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ALESSANDRA PONTIS

PSICOLOGIA
POSITIVA
TEORIE E
BEST PRACTICES
PER IL BENESSERE
PSICOLOGICO
Ai miei genitori.
Mi hanno insegnato come sia la felicità.
Il presente libro è accreditato come Autoapprendimento FAD con riconoscimento
ECM per psicoterapeuti, neuropsichiatri infantili, psichiatri, psicologi e tecnici della
riabilitazione psichiatrica, solo attraverso apposita registrazione al sito
www.ebookecm.it

COLLANA EBOOKECM
EBOOK PER L’EDUCAZIONE CONTINUA IN MEDICINA © 2021
ISBN: 9788831253321
INDICE

PRESENTAZIONE
ALL’ALBA DI UN NUOVO CAMBIAMENTO 6

Capitolo 1
LA VIA DELLA FELICITÀ. NASCITA DELLA PSICOLOGIA POSITIVA 10
1.1 Da Seneca ai giorni nostri: il Sacro Graal della felicità 10
1.2 “Stop the madness”, ovvero dal deficit alla risorsa secondo la psicologia
positiva 16
1.3 Il cervello è salutogenico? Il nocciolo della questione 24
1.4 Neurobiologia dell’ottimismo: la felicità è una questione di cervello 30
1.5 Andrà davvero tutto bene? Il relativismo della psicologia positiva 37

Capitolo 2
DALLA TEORIA ALLA PRATICA:
APPLICAZIONE IN AMBITO CLINICO-SANITARIO 41
2.1 Il benessere psicologico 41
2.2 Linee guida per un’etica della felicità 46
2.3 Oltre il trauma: il valore della speranza 54
2.4 Mens sana in corpore sano: la connessione tra benessere psicologico e salute 60

Capitolo 3
FORMARE ALLA FELICITÀ 68
3.1 Promuovere il benessere giovanile 68
3.2 Approccio positivo a scuola: come insegnare il benessere 71
3.3 Percezione della felicità nei giovani 86
3.4 Strategie di coping per la transizione verso l’età adulta 89
Capitolo 4
LE IMPRESE FELICI. LA PSICOLOGIA POSITIVA NEL CONTESTO
ORGANIZZATIVO 93
4.1 Il Positive Organizational Behavior: il contributo della PP al benessere
organizzativo 93
4.2 Il coinvolgimento del lavoratore nella costruzione di senso 99
4.3 Il Positive Coaching 109

CONCLUSIONI 117

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 120

SITOGRAFIA 162

TABELLE E STRUMENTI AGGIUNTIVI 163


indice

PRESENTAZIONE
ALL’ALBA DI UN NUOVO CAMBIAMENTO

“Dicono che il mondo è di chi si alza presto. Non è vero.


Il mondo è di chi è felice di alzarsi”.
(Monica Vitti)

La filosofia prima e le discipline umanistiche dopo hanno scavato fino


in fondo nei meandri del vivere sociale per comprendere chi o cosa fosse
l’artefice del destino umano: se per gli antichi greci si tratta di una que-
stione da esaurire nel qui e ora, la situazione si fa più complessa quando,
nei secoli a venire, l’uomo trova il senso del suo esistere nel tessuto rela-
zionale di cui fa parte.
Senza dimenticare ovviamente le influenze spirituali delle grandi ci-
viltà orientali che si sono delicatamente intrecciate (in taluni casi invece
sovrapposte) alla ricerca collettiva del benessere, portando le persone ad
interrogarsi costantemente e ad essere più consapevoli del proprio essere-
nel-mondo.
Al giorno d’oggi felicità, benessere, ottimismo e pensiero positivo
sono termini entrati ormai nel lessico quotidiano ma vengono usati, inde-
bitamente, in maniera intercambiabile, creando una leggera confusione
anche tra gli addetti ai lavori. Non sarà dunque facile dare una risposta
su cosa sia o meno la felicità perché è una questione aperta, personale e
intima ma che comunque può essere resa condivisibile grazie al confronto
e all’esperienza. Esperienza che deriva principalmente da un cammino

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PSICOLOGIA POSITIVA
PRESENTAZIONE

necessario che ogni persona è portata a fare a prescindere dalla professio-


ne. È un atto d’amore dunque dedicarsi, in alcune fasi della vita, ad una
discesa negli inferi emotivi non fosse altro che per approcciarsi con più
consapevolezza alla propria professione e ritrovarsi, una volta risaliti in
superficie, con più strumenti di quanti se ne possano desiderare.
Scegliere di appoggiare la psicologia positiva e i suoi assunti è dunque
una questione in gran parte personale e che proviene dalla necessità di
avere un punto di partenza per una piccola quotidiana ribellione. Non a
caso è il risultato di una riflessione profonda sul proprio ruolo di profes-
sionista per interrogarsi su quali aspetti del proprio essere rappresentino
lo zoccolo duro della pratica professionale e consentano di andare oltre
una visione monolitica del lavoro.
La psicologia positiva è, per definizione, inclusiva.
Non si tratta dunque di escludere a priori l’ombra delle emozioni ne-
gative e di relegare a mero “periodo buio” i momenti di crisi e di soffe-
renza, ma di dare dignità alla ricchezza del vissuto di ognuno. È infatti
nelle contraddizioni e nei paradossi che la persona si definisce in quanto
tale, dove finalmente abbraccia la complessità del buio e della luce di cui
siamo tutti portatori. Parlare di punti di forza o di ottimismo è tuttavia
una questione spinosa perché, a discapito della scientificità con la quale
oggi si può definire la psicologia positiva una disciplina a tutti gli effetti,
sono proliferati negli anni filoni che hanno a che fare poco o nulla con
la sua essenza.
Il dilemma è riassumibile nella frase “Andrà tutto bene” tanto in voga
negli ultimi tempi ma che nasconde un ottimismo di facciata e assoluti-
stico che ha ben poco a che vedere con la consapevolezza che la psicolo-
gia positiva vuole promuovere. Quel tutto che asfalta anche i momenti
di sconforto e di confusione nei quali molte persone invece riescono a
conoscere più profondamente sé stesse e a creare nuove strategie di so-
pravvivenza, quelle che più comunemente vanno a rimpolpare il termine
di resilienza.
È nello strappo, nella spaccatura che crea il baratro, che infatti si ri-
conosce la forza (strenght) dell’essere umano, capace di andare oltre la
visione patogenica della psicologia tradizionale.
Il trauma e la crisi non definiscono, dunque, chi si è.

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PRESENTAZIONE

Nella prima parte di questo lavoro è stato doveroso raccontare come,


nei secoli, la ricerca della felicità abbia subito dei cambiamenti, passando
da un modello del deficit ad uno delle risorse, grazie anche agli studi
sull’impotenza appresa dello psicologo Martin Seligman e al supporto del-
le neuroscienze. Attorno a questa ricerca hanno ruotato poi diversi miti
e diverse leggende lasciando, a volte, il tema dell’ottimismo alla mercé di
fraintendimenti ed equivoci: basta dunque convincersi di essere positivi
per esserlo davvero? E il pessimismo che ruolo gioca?
La naturale tendenza all’essere negativi è quindi uno degli strumenti
che nella psicologia positiva assume il ruolo di contrappeso nel delicato
equilibrio tra discreto ottimismo e necessaria obiettività. Nella seconda
parte si descrivono le sue applicazioni nel campo della salute e del benes-
sere psicologico che dimostrano come un cervello felice sia di fondamen-
tale importanza in condizioni critiche e abbia benefici sul sistema immu-
nitario e sulla gestione delle malattie mentali. Facendo riferimento ad un
modello biopsicosociale, attivare risorse positive nella persona significa
prestare attenzione anche all’ecosistema del quale fa parte: famiglia e care-
givers sono quindi compresi nel delicato lavoro di sviluppo di strategie di
coping per la gestione dello stress. All’interno di questo percorso vengono
presentate le linee guida per un’etica professionale positiva e indicazio-
ni sull’utilizzo dello humor per orientare il processo terapeutico verso
il raggiungimento di obiettivi, coinvolgendo la persona in un cammino
più ricco e piacevole. Tali strategie sono riprese successivamente anche
nella terza parte quando, parlando di contesti educativo-formativi, i pro-
fessionisti sono chiamati ad interagire con una delle fasce più vulnerabili
della popolazione: i bambini e gli adolescenti. Il mondo della scuola vede
gravitare più protagonisti come i genitori, gli insegnanti e gli studenti
stessi e in questo contesto bisogna entrare in punta di piedi per proporre
una visione innovativa delle cose senza snaturare il compito educativo e
aiutare le nuove generazioni a diventare cittadini del mondo.
Bambini felici diventano infine adulti felici? È ciò che ci si augura
come persone e come professionisti, soprattutto considerando quale pa-
norama lavorativo potrebbe attendere le nuove generazioni. È in corso
ormai da tempo una piccola rivoluzione riguardo le buone pratiche messe
in atto all’interno dei contesti lavorativi che vede il lavoratore come il cen-
tro della costruzione di senso organizzativo. Nell’ultima parte, infatti, il

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PRESENTAZIONE

coinvolgimento, la soddisfazione lavorativa e la gestione delle emozioni in


condizioni di stress sono, in concertazione con lo sviluppo di competenze
tecniche, la formula positiva per un’impresa felice. Abbandonato il mito
della produttività a tutti i costi, il mondo del lavoro si impegna dunque
ad una presa di coscienza sul capitale umano che determina l’ambiente
organizzativo: è un luogo in cui le persone possono esprimere sé stesse,
dove possono creare legami e relazioni, dove possono investire i loro valori
e riconoscersi in quelli dell’azienda. La persona diventa a tutti gli effetti il
baricentro dei delicati equilibri tra il micro ed il macro sistema, veicolan-
do e producendo positività.
Questo testo, scritto e pensato da una psicologa per psicologi, vuole es-
sere un vademecum per la pratica professionale: gli elementi cardine del-
la psicologia positiva sono stati quindi seminati lungo il cammino come
piccoli semini da far fiorire… o da lasciare lì in attesa di una riflessione
successiva. Alla fine di ogni capitolo sono inoltre presenti delle brevi pro-
poste operative utili per la pratica professionale.
L’obiettivo è che, prima di applicare tali aspetti nella pratica, li si possa
mettere alla prova nella vita di tutti i giorni. È quel tanto agognato ritor-
no all’attenzione per le piccole cose, per i momenti belli che ravvivano e
consolidano l’amore per il proprio lavoro e per le persone, quel deside-
rio di investire in un nuovo progetto, la gratificazione di sentirsi utili ed
importanti per il prossimo, la soddisfazione di poter finalmente dare un
nome (ed una forma) ad una nuova ricerca estetica del Bello e del Buono
dell’esistenza umana.
È, per dirlo con le parole dello psicologo Martin Seligman, tutto ciò
che rende la vita degna di essere vissuta.

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CAPITOLO 1
LA VIA DELLA FELICITÀ.
NASCITA DELLA PSICOLOGIA POSITIVA

Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia!


chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza.
(Lorenzo De’ Medici, Canzone di Bacco)

1.1 DA SENECA AI GIORNI NOSTRI: IL SACRO GRAAL DELLA FELICITÀ

Per secoli filosofi e psicologi sono rimasti affascinati dalla ricerca della
buona vita e dalle modalità per poterla raggiungere (Guigon, 1999; Russell,
1945). Tale desiderio di conoscenza affonda le sue radici nelle teorie di
Aristippo (435-366 a.C.) il quale sosteneva la necessità della gratificazio-
ne sensoriale immediata. Successivamente anche Epicuro (342-270 a.C.)
riconobbe come obbligo morale dell’uomo l’esperienza del piacere. Per i
filosofi greci il dibattito si snoda principalmente su quale sia il rapporto
tra la componente materiale e quella spirituale e quali forme esso possa
assumere. Se per Socrate solo chi è onesto e buono può essere felice, per
Platone il concetto va oltre ogni aspettativa: l’espressione della virtù è un
passepartout per la vita ultraterrena. È con Aristotele e con la sua Etica Ni-
comachea (cfr. A. Roncoroni, 2007) che si conosce come la felicità sia quel-
la della vita contemplativa, lontana dal possesso e dai beni esteriori frutto
del facile edonismo. Ogni autore, dunque, tenta di far emergere la propria
idea di buona vita per sottrazione, ovvero escludendo di volta in volta dal
panorama umano ciò che non è felicità e allontanando i fantasmi fasulli
del piacere terreno. Per Seneca (Epistulae ad Lucilium 59, 15) infatti:
“Tutti mirano alla vera gioia, ma da dove possano conseguire una gio-
ia durevole e grande, lo ignorano; uno pensa di ricavarla dai festini e

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PSICOLOGIA POSITIVA
1. LA VIA DELLA FELICITÀ. NASCITA DELLA PSICOLOGIA POSITIVA

dal concedersi ogni stravaganza [...]. Tutti costoro si lasciano inganna-


re da svaghi fallaci ed effimeri, come l’ebbrezza, che fa pagare l’allegra
follia di un’ora sola con un tedioso malessere di lunga durata”.
Per Lucrezio (De rerum natura II,1-46) il vero piacere è quello stabile, il
risultato di assenza del dolore fisico e della tranquillità dello spirito, ele-
menti all’apparenza semplici ma difficili da ottenere. Così come in Orazio
(Ode I, 11), dove l’essenzialità dell’espressione carpe diem viene a tratti ri-
presa anche dai moderni e talvolta confusa con un invito a godere a tutti i
costi. Essa invece esorta l’essere umano a prendere coscienza della propria
condizione imperfetta e limitata: accantonando la ricerca spasmodica di
un bene futuro o di un riconoscimento ultraterreno l’uomo arriva così a
godere di quell’attimo infinito di felicità. L’avvento del cristianesimo ha
invece introdotto l’idea che l’unico fine dell’uomo fosse quello di evitare
il peccato, spesso identificato nei beni terreni e nei piaceri fugaci. È solo
con Erasmo (1466-1536) e Thomas Moore (1478-1535) che la felicità di-
venta un desiderio di Dio, a patto che non abbia a che fare con metodi
artificiali. Ma l’edonismo filosofico è stato supportato da diversi teorici
come Thomas Hobbes (1588-1679) e Jeremy Bentham (1748- 1832), a par-
tire dai quali si sono gettate le basi per il paradigma utilitaristico. In tempi
più recenti tale visione è stata ripresa dagli psicologi per i quali il benes-
sere consiste nella felicità che può essere estesa anche al raggiungimento
degli obiettivi in diversi ambiti della vita (Diener et al., 1988). Kahneman
et al. (1999) hanno poi definito la psicologia edonica come lo studio delle
esperienze di vita piacevoli e spiacevoli, arrivando a far coincidere il benes-
sere con lo stesso edonismo.
Ragionando in tali termini, la psicologia edonica si pone come obietti-
vo la ricerca e l’intervento riguardo la massimizzazione umana della ricom-
pensa e l’ottimizzazione degli input associati al piacere. Per far ciò è fonda-
mentale fare riferimento alla valutazione del benessere soggettivo (Subjective
Well Being, SWB; Diener & Lucas, 1999) secondo tre componenti:

– soddisfazione della vita


– presenza di umore positivo
– assenza di stato d’animo negativo.

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PSICOLOGIA POSITIVA
1. LA VIA DELLA FELICITÀ. NASCITA DELLA PSICOLOGIA POSITIVA

È interessante notare come, nel panorama scientifico, l’attenzione per


la salute psicologica sia esplosa in un momento di relativa crescita econo-
mica come accaduto negli anni Sessanta (Seligman & Csíkszentmihályi
2000). Oltre alla corrente edonica (Kahneman et al., 1999), la psicologia
si arricchisce di una seconda prospettiva che vede la felicità come attua-
lizzazione delle potenzialità umane. Tale corrente definita eudemonismo
(Waterman, 1993), che affonda le radici nella filosofia aristotelica, vede
nel dàimon (o vera natura) la realizzazione della massima espressione di sé
e delle proprie virtù. L’eudaimonia si verifica quando le attività nella vita
delle persone si adattano a valori profondamente radicati e permettono
esperienze vive ed intense (PE-espressività personale), le quali assumono
una connotazione di sfida e di coinvolgimento globale. Per Ryff & Singer
(1995) ciò si traduce in una “ricerca della perfezione che rappresenta la
realizzazione del proprio vero potenziale”, definendo così il benessere psi-
cologico (PWB). Ciò si distingue dal benessere soggettivo (SWB) ed è un
approccio multidimensionale caratterizzato da sei aspetti distinti:

– autonomia
– crescita personale
– accettazione di sé
– scopo della vita
– padronanza
– relazioni positive

A tal proposito si aggiunge la teoria dell’autodeterminazione-SDT


(Ryan & Deci, 2000) che ha ugualmente abbracciato il concetto di autore-
alizzazione (o eudaimonia) come elemento cardine del benessere. Secon-
do gli autori infatti i bisogni psicologici di base (autonomia, competenza
e parentela) sono essenziali per definire i requisiti minimi della salute
psicologica oltre a fornire la spinta necessaria per prosperare in virtù dei
propri valori. La SDT è direttamente veicolata dal contesto culturale ed
evolutivo in cui una persona è immersa poiché influisce continuamente
sulle modalità di espressione e sui mezzi di soddisfazione dei bisogni di
base. A tal proposito è interessante notare la somiglianza con il concetto
di funzionamento ottimale di Rogers (1963) nel quale la valutazione delle

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PSICOLOGIA POSITIVA
1. LA VIA DELLA FELICITÀ. NASCITA DELLA PSICOLOGIA POSITIVA

emozioni positive e negative è lo strumento di analisi della rilevanza e


della valenza di determinati eventi e condizioni di vita.
Un concetto che viene ripreso dalla teoria dell’autorealizzazione di
Maslow (1970) il quale ritiene che la psicologia umanistica si debba basare
sullo studio della vita e degli schemi di comportamento delle cosiddette
persone realizzate (Moss, 2001), in modo tale da avere una comprensione
più completa e profonda del potenziale umano. È nel suo libro Motiva-
tion and Personality (1954) che appare per la prima volta il termine psico-
logia positiva a dimostrazione che:
“La scienza della psicologia ha avuto molto più successo sul versante
negativo che positivo; ci ha rivelato molto sulle mancanze dell’uomo,
le sue malattie, i suoi peccati, ma poco sulle sue potenzialità, le sue
virtù, le sue aspirazioni realizzabili o la sua pienezza. È come se la psi-
cologia si fosse involontariamente limitata a metà della sua giurisdi-
zione e che quella fosse la metà più scura e cattiva” (Maslow, 1954).
All’interno di questo quadro teorico si snodano dunque le ultime evo-
luzioni riguardo la ricerca di piacere e di senso indicando come il benes-
sere sia a tutti gli effetti un fenomeno multidimensionale (Ryan & Deci,
2001).
Le due concezioni antitetiche di edonismo e eudaimonia influenzano
le prospettive di ricerca e di sviluppo del benessere ma, allo stesso tempo,
consentono ai ricercatori di comprendere come le esperienze delle perso-
ne siano modellate a seconda delle loro caratteristiche e delle motivazioni
(Emmons, 1986).
Parole come felicità, ottimismo e virtù hanno dunque assunto nel
corso della storia posizioni differenti eppure sono sempre state al centro
dell’attenzione della ricerca filosofica e psicologica, anche se in misura ri-
dotta rispetto alla mainstream science. Negli ultimi vent’anni è tuttavia cre-
sciuto in maniera esponenziale l’interesse per questi temi anche a fronte
di un’accezione più globale del concetto di benessere da parte dell’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità). Esso non è dunque più assenza
di malattia, ma presenza di elementi positivi di funzionamento, con una
maggiore attenzione sulla prevenzione piuttosto che sulla cura così come
proposto dal modello biopsicosociale (Engel, 1977). Oltre alla necessità

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PSICOLOGIA POSITIVA
1. LA VIA DELLA FELICITÀ. NASCITA DELLA PSICOLOGIA POSITIVA

di considerare la salute come condizione di benessere fisico, psicologico e


sociale (Bickenbach et al., 1999), è fondamentale secondo l’OMS (2004):
“Uno stato di benessere in cui l’individuo realizza le proprie capacità,
può gestire adeguatamente le normali situazioni di stress della vita,
può lavorare produttivamente ed è in grado di contribuire attivamente
alla propria comunità”.
In maniera parallela all’avvento della cosiddetta terza ondata (successi-
va a quelle sulla centratura, sulla patologia e sul problema) della psicolo-
gia, anche la connotazione di supporto alla persona ha subito profondi
cambiamenti. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta infatti la
prospettiva professionale ha cominciato ad interessarsi alle attività di evo-
luzione sociale e all’emancipazione degli individui (IFSW, International
Federation of Social Workers, 1996). Il trattamento quindi non è più
incentrato sul colmare eventuali deficit e mancanze ma sul recupero, sul
potenziamento e sullo sviluppo delle risorse individuali alle quali si ag-
giunge la ricerca del piacere e del senso, unitamente a quella della felicità
soggettiva.
La psicologia positiva prende ufficialmente forma grazie agli studi di
Martin Seligman (2002) il quale centra il movimento attorno a tre filoni
di ricerca principali riguardanti:

– le emozioni positive
– le caratteristiche positive, come le virtù personali e i punti di forza
– le istituzioni positive come la scuola, la democrazia e la famiglia.

La psicologia positiva si pone all’interno di un nascente dibatti-


to sul prodotto accademico lordo nel quale Martin Seligman e Mihály
Csíkszentmihályi hanno denunciato la mancanza di conoscenza su ciò per
cui valga la pena vivere. Nella seconda metà del XX secolo la psicologia
ha sicuramente fatto passi da gigante riguardo temi come la depressione,
la violenza e gli eventi avversi ma aveva molto meno da dire sui punti di
forza, le virtù e le condizioni ottimali che portano le persone ad essere
felici ed impegnarsi nella collettività. Era infatti una disciplina che aiutava
l’individuo a comprendere come “passare da otto a zero ma non era abba-
stanza capace di capire come passare da zero a otto” (Gable et al., 2005).

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PSICOLOGIA POSITIVA
1. LA VIA DELLA FELICITÀ. NASCITA DELLA PSICOLOGIA POSITIVA

Sono noti infatti gli studi sulla helplessness di Martin Seligman (1990) e sui
fattori di rischio che portano gli individui ad abbandonare i propri pro-
getti e a sviluppare sentimenti di impotenza, depressione e frustrazione; a
questi però lo studioso ha successivamente abbinato un quesito: perché ci
sono persone che, nelle stesse condizioni, riescono ugualmente a superare
gli ostacoli e portare a termine il compito?
Dopo la Seconda guerra mondiale, l’interesse della ricerca si è focaliz-
zato principalmente sulla sofferenza e sui disturbi mentali a supporto dei
veterani di rientro dai campi di battaglia, creando così le condizioni per la
nascita di un modello medico improntato più sulla cura che sulla preven-
zione (Seligman, 2000). Per molti decenni tuttavia questo modello non
ha permesso di identificare i tamponi distali nei punti di forza personali
e sociali che permettessero di condurre una vita degna di essere vissuta
(Seligman, 1990).
Lo scopo della psicologia positiva non è quello di rimuovere gli aspetti
negativi della vita ma di riconoscere pienamente l’esistenza della sofferen-
za umana, dei sistemi e delle istituzioni disfunzionali. La ricerca ha infatti
dimostrato come le valutazioni degli eventi negativi abbinati ad un’analisi
razionale delle proprie capacità aiuti a mediare l’effettiva esperienza di
angoscia (Folkman & Lazarus, 1988).
Si è dunque inconsapevolmente portati a guardare sempre al lato oscu-
ro della luna? In un certo qual modo la risposta è sì.
In una revisione del panorama scientifico Baumeister et al. (2001)
hanno documentato come gli eventi negativi abbiano un impatto maggio-
re sulle persone e tali informazioni vengano elaborate più accuratamente
di quelle positive.
Questo meccanismo di vigilanza automatica agli stimoli negativi (Prat-
to & John, 1991) è il risultato di un processo adattivo dell’evoluzione
umana, necessario a riconoscere le minacce potenziali rispetto alle ricom-
pense, per preservare la sopravvivenza e la riproduzione. Cosmides & To-
oby (1992) hanno infatti dimostrato come le persone siano maggiormente
capaci di rilevare individui che violano i contratti sociali (come i truffato-
ri) ma non ci sono abbastanza prove per il contrario (quando incontrano
altruisti, per esempio). Le informazioni negative hanno a tutti gli effetti
il primato perché violano le nostre aspettative (Olson et al., 1996) a tal
punto da aver 3,2 eventi positivi per ogni negativo (Gable, 2000).

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PSICOLOGIA POSITIVA
1. LA VIA DELLA FELICITÀ. NASCITA DELLA PSICOLOGIA POSITIVA

La semplice ripetizione di affermazioni positive, inoltre, non riduce


l’effetto degli eventi avversi, né aumenta il nostro rendimento. Per la
psicologia positiva è il modo in cui si affrontano le situazioni e le loro
conseguenze a fare la differenza. La maggior parte delle persone infatti è
naturalmente portata a catastrofizzare e per dirla con le parole di Martin
Seligman (1990):
“L’ottimismo non funziona attraverso una positività ingiustificata ver-
so il mondo, ma attraverso il pensiero non negativo”.
Il pessimismo è dunque alla base del realismo di cui spesso si ha bi-
sogno, a differenza di un cieco ottimismo che si rivela spesso infondato.
Questo accade in particolar modo nei casi di depressione lieve in cui serve
a contenere le amplificazioni della spinta ottimistica, frenando il deside-
rio di agire in maniera imprudente e irrazionale (Seligman, 1990).

1.2 “STOP THE MADNESS”, OVVERO DAL DEFICIT ALLA RISORSA


SECONDO LA PSICOLOGIA POSITIVA

A partire dagli anni Cinquanta gli psicologi clinici hanno comincia-


to a “vedere sé stessi come un mero sottocampo delle professioni sani-
tarie” (Seligman & Csíkszentmihályi, 2000). Il linguaggio medico aveva
infatti patologizzato tanto la pratica clinica quanto l’accettazione acritica
del modello medico, la spiegazione organica del disturbo mentale “ha
stravolto e danneggiato lo sviluppo della psicologia clinica” (Seligman &
Csíkszentmihályi, 2000). Parole come sintomo, diagnosi e paziente hanno
enfatizzato l’anomalia rispetto alla normalità, promuovendo la dicotomia
tra problemi clinici e non clinici e situando il difetto all’interno della
persona. Le persone venivano quindi ritratte come attori passivi, vittime
di fattori intrapsichici e biologici, una lettura lontana dalla prospettiva
globalizzante della psicologia. Nel nuovo vocabolario, introdotto dal mo-
vimento positivo, i modelli di comportamento inefficaci, le cognizioni e
le emozioni non vengono descritti come disturbi ma come problemi della
vita e sono il risultato dell’interazione tra l’individuo e l’ambiente socio-
culturale in cui è immerso. La categorizzazione del Manuale Diagnostico
dei Disturbi Mentali-DSM (APA, 1987) descrive elementi caratterizzanti
come l’affiliazione, l’altruismo e umorismo come “meccanismi di difesa”

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PSICOLOGIA POSITIVA
1. LA VIA DELLA FELICITÀ. NASCITA DELLA PSICOLOGIA POSITIVA

(Seligman et al., 2000) a dimostrazione che le nostre concezioni di normali-


tà versus anormalità siano costruzioni sociali (Widiger & Trull, 1991) e che
veicolino delle regole contestuali di comportamento derivanti dai valori
condivisi in un determinato momento storico (Becker, 1963).
La psicologia positiva si pone l’obiettivo di mettere al primo posto la
soddisfazione, le abilità e la responsabilità personale al fine di riconoscere
come “le persone e le esperienze sono incorporate in un contesto sociale”
(Seligman & Csíkszentmihályi, 2000).
La necessità di creare dunque un lessico innovativo e una visione più
olistica si traduce nel libro “Character Strengths and Virtues: A Handbo-
ok and Classification” di Christopher Peterson e Martin Seligman, i quali
propongono come “la psicologia dovrebbe rivendicare lo studio del carat-
tere e delle virtù come algoritmi legittimi dell’indagine psicologica e del
discorso sociale” (2004).
In quanto scienza della prevenzione fornisce i mezzi per accrescere i
punti di forza concentrandosi sulla potenzialità umana grazie alla classifi-
cazione e alla misurazione scientifica di tali fattori di protezione. Secondo
Lopez & Snyder (2002) infatti:
“Gli obiettivi a lungo termine di una psicologia positiva assertiva sono
la prevenzione dei disturbi emotivi, stili di vita sempre più sani e la crea-
zione di persone più resilienti”.
Un importante ambito di applicazione è lo studio delle emozioni po-
sitive come la fiducia e la speranza, utilizzate come strategie per gestire
gli effetti degli eventi spiacevoli. Decidere di dedicare sforzi nel coltivare
relazioni, pianificare attività ricreative coinvolgenti o iniziare a lavorare su
sé stessi sono stili di vita per rimodellare la cultura al fine di promuovere
il benessere (Myers,1992). Le tecniche e la ricerca positiva non si mettono
al servizio solo del singolo ma anche delle istituzioni stesse, grazie agli
scambi tra i membri. La trasformazione della comunità è possibile laddo-
ve ogni individuo esperisce emozioni positive e le condivide con l’Altro,
creando catene di eventi significativi utili alla coesione e all’armonia in-
terna (Frederickson, 2003).
Gli individui positivi sono dunque il motore del cambiamento perché
ritengono che le loro prospettive possano avere un risultato favorevole e
continuano a lottare per il raggiungimento dei loro obiettivi nel lavoro,

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PSICOLOGIA POSITIVA
1. LA VIA DELLA FELICITÀ. NASCITA DELLA PSICOLOGIA POSITIVA

nelle relazioni e nel benessere fisico. Secondo Aspinwall & Staudinger


(2007) infatti:
“Gli ottimisti, quando si trovano di fronte a problemi irrisolvibili, pre-
stano attenzione alle informazioni rilevanti sui rischi [...] L’ottimismo sem-
bra dunque renderli flessibili: variano il loro comportamento a seconda
delle proprietà oggettive delle difficoltà da affrontare”.
Sono persone che abbondano nell’uso della fiducia soprattutto nei
momenti più critici dell’esistenza tanto che “la loro naturale resilienza
permette loro di riprendersi dallo stress emotivo, psicologico e fisico più
velocemente” (Seligman, 1990).
Per Martin Seligman (1990), uno dei maggiori esponenti della psicolo-
gia positiva, uno dei fattori principali che aiutano le persone ad affrontare
le difficoltà sta nello stile esplicativo ottimistico. Nel suo libro “Imparare
l’ottimismo” (1990) lo ha infatti definito come una sorta di medicina
preventiva che “aiuta il cervello ed il sistema immunitario a funzionare
ancora più agevolmente” (Wellner & Adox, 2000). A tal proposito cita
un fatto accaduto pochi mesi dopo essere stato eletto presidente della
American Psychological Association-APA. Mentre era in giardino intento
a togliere delle erbacce dal giardino sua figlia Nikki di 5 anni si divertiva
a lanciarle in aria, spargendole nuovamente in giro. Per questo Seligman
la sgridò, ma la figlia prontamente chiese:
“Papà, ti ricordi del mio quinto compleanno? Prima di quel giorno ero
una piagnucolona, ma da quel momento decisi di non esserlo più. Si
può quindi smettere di essere dei brontoloni”.
Da questo accadimento lo psicologo capì che non solo è possibile an-
dare oltre la crisi, ma anche valorizzare le qualità migliori di ognuno tro-
vando nuovi spazi dove poterle coltivare.
Se i pessimisti ritengono che le battute d’arresto e le frustrazioni de-
rivino da cause personali, permanenti e pervasive, gli ottimisti sono più
propensi a ritenere che siano frutto di cause temporanee, specifiche ed
esterne (Seligman, 1990). Questo atteggiamento è correlato con la dimen-
sione della perseveranza che porta le persone ad impegnarsi maggiormente
nella vita, una componente fondamentale per la salute psicologica (Day
& Rottinghaus, 2003).
Ma chi sono coloro che non si arrendono facilmente?

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