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Stefano Colonna, Giancarlo Folco

La chimica nel piatto:


fatti e misfatti
delle diete
Con contributi di:
Paolo Buonaiuto



La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete


La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Stefano Colonna, Giancarlo Folco

ISBN 978-88-6756-701-0

Indirizzo e-mail: shcmilan@springer.com

Via Decembrio, 28 © 2022 Springer Healthcare Italia S.r.l.


20137 Milano Pubblicato nel mese di settembre 2022
www.springerhealthcare.it Hanno collaborato alla revisione di questo testo Alessandro
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Stefano Colonna, Giancarlo Folco

La chimica nel piatto:


fatti e misfatti
delle diete
Con contributi di:
Paolo Buonaiuto
La natura della terra, la qualità dei suoi frutti e la differenza dei climi
hanno contribuito alla varietà dei colori, e alla diversità delle figure e dei
temperamenti di ciascuno degli uomini.

(Edme-Gilles Guyot, Nouveau système du microcosme, ou traité de la


nature de l’homme, La Haye, M.G. de Merville, 1727)

Our understanding of how diet affects health is limited to 150 key


nutritional components that are tracked and catalogued by national
databases. These nutritional components are only a small fraction of the
more than 26.000 distinct, defined bio-chemicals present in our diets.

(Barabási, AL., Menichetti, G. & Loscalzo, J. The unmapped chemical


complexity of our diet. Nat Food 1, 33–37 (2020))
Gli autori

Stefano Colonna è stato professore ordinario di Chimica Organica della


Facoltà di Farmacia dell’Università degli Studi di Milano e per molti anni
direttore scientifico della Fondazione Carlo Erba di Milano, per la quale ha
organizzato numerose conferenze internazionali.Ha fatto parte del Pole
Scientifique des Universités di Grenoble. È autore di più di duecento pub-
blicazioni scientifiche su riviste internazionali e coeditore  del libro Self
Production of Supramolecular Structures (Klewer Academic Publishers
1994). Ha scritto quattro libri sugli alimenti:
- Cucina e scienza. Ingredienti-processi e menu (Hoepli 2008),
- I cibi della salute. Le basi chimiche di una corretta alimentazione
(Springer 2013),
- Alimenti vegetali e salute. Alla scoperta delle sostanze biologicamente
attive negli alimenti di origine vegetale (Aracne 2014),
- La chimica nel piatto- Alimenti vegetali  e l’arte di vivere sani (Aracne
2019). Collabora abitualmente con la rivista Prometeo edita da Mondadori.

Giancarlo Folco è stato professore ordinario di Farmacologia della Facoltà


di Farmacia dell’Università degli Studi di Milano e per molti anni responsa-
bile del Joint Research Program, NHLBI-CNR, per la ricerca e la medicina
respiratoria. È stato (AA 2003-2004) Visiting Scientisti presso il Dip. di
Farmacologia (prof. R.C. Murphy), Università del Colorado, Denver CO,
USA. È stato (1975-2005) Segretario Scientifico della serie di conferenze
“Advances in Prostaglandin, Thromboxanes and Leukotriene Research”.
È autore di 150 pubblicazioni scientifiche su riiviste internazionali e co-e-
ditore dei seguenti libri:
- Molecular Biology and Pharmacology of Cyclic Nucleotides, Elsevier/
North Holland
- Leukotrienes and Prostacyclin, Plenum Press
- Drugs affecting Leukotrienes and other eicosanoid pathways, Plenum
Press
- Advances in Prostaglandin and Leukotriene Research: Basic Science
and New Clinical Applications, Springer-Kluwer
- Advances in Prostaglandins, Thromboxanes and Leukotriene Resear-
ch, vol. 23, Raven Press
- Asthma Treatment, a multidisciplinary approach, Plenum Press
Ha scritto (con S. Colonna e F Marangoni) “I cibi della salute. Le basi
chimiche di una corretta alimentazione” (Springer 2013).

VII
Indice

Prefazione XV
Introduzione XVII
Capitolo 1 - I principi delle diete 1
1.1 Rapporti degli isotopi stabili: biomarkers nutrizionali 1
1.2 Frequenza dei pasti 3
1.3 Alimentazione in un tempo ristretto 4
1.4 Digiuno intermittente e periodico 5
1.5 Diete che imitano il digiuno 6
1.6 Una dieta vegetale di 17000 anni fa 7
1.7 Una dieta per astronauti 8
1.8 Fiori commestibili come fonte di nutraceutici 10
1.9 Nutrizione, cibo biologico (BIO, Organic) e miglior
sostenibilità della dieta 11
1.10 Trasmissione ed apprendimento sociale della sicurezza
del cibo negli animali (social transmission of food safety) 12
1.11 Interazioni farmaci-alimenti 12
1.12 Nuove coltivazioni di piante per la sicurezza alimentare 13
1.13 Nutrire il cervello 16
1.14 Proprietà nutraceutiche dei carotenoidi 17
1.15 Alimenti allergizzanti (o allergenici) 19
1.16 I nitrati della dieta e la performance fisica 23
1.17 Produzione e metabolismo di ossido nitrico 24
1.18 Nitrati e nitriti negli alimenti 25
1.19 Ingredienti alimentari che migliorano lo stato di salute 27
1.20 Sulforafano 29
1.21 Vitamina D 30
1.22 Il ruolo della carne rossa nella nostra alimentazione:
nutrizione e benefici per la salute 31
1.23 Analoghi della carne come cibo del futuro 33

IX
1.24 Alternative nutrizionali alla carne 36
1.25 Alimenti ricchi in proteine animali e vegetali e stato di
salute cardiovascolare: un enigma complesso 37
1.26 Alimenti di origine vegetale e microbioma nella tutela
della salute e nella prevenzione della malattia 38
1.27 Ruolo delle fibre dei cereali nei processi digestivi 41
1.28 Il vegetarianismo (o vegetarismo) è salutare per gli adulti
ed i bambini? 44
1.29 Il microbiota e la malnutrizione: impatto dello stato
nutrizionale nelle prime fasi della vita 46
1.30 I microbi aiutano a controllare (“monitorare”) il tempo 47
1.31 Sindrome metabolica 50
1.32 I microbi intestinali metabolizzano i farmaci utilizzati
nel trattamento farmacologico del morbo di Parkinson 51
1.33 Integratori alimentari 52
1.34 Capacità antiossidante totale e aspettativa di vita 53
1.35 Insetti nella dieta, una fonte di proteine 54
1.36 Le alghe negli alimenti 56
1.37 Spirulina 58
1.38 Le alghe marine ed il rischio di patologie cardiovascolari 59
1.39 Consumo di uova e rischio di patologie croniche 60
1.40 Nutrizione e vaccini 61
Bibliografia 62

Capitolo 2 - Il gusto 71
2.1 Umami 71
2.2 Umami e funghi edibili 73
2.3 Funghi Shiitake 73
2.4 Sciroppi con alto contenuto di fruttosio 74
2.5 Consumo di zuccheri, alimenti e bevande zuccherate e
rischio di cancro 75
2.6 Dolcificanti con poche calorie: più complicati dei
dolcificanti senza calorie 75
2.7 Riduzione dello zucchero senza compromettere la percezione
sensoriale: un sogno impossibile? 76

X
2.8 Le api usano tracce visive e odorose per trovare i fiori
del melo 79
2.9 Miele maturo 81
2.10 Propoli 83
2.11 Una strategia per aumentare il gusto del salato negli alimenti
mantenendo un basso contenuto di sale 84
2.12 L’importanza delle aldeidi alifatiche come sostanze volatili
olfattive negli alimenti umani 87
2.13 Il senso del gusto negli animali 88
2.14 Recettori del gusto amaro 89
2.15 Kokumi 90
Bibliografia 91

Capitolo 3 – Fermentazione 94
3.1 Cenni storici 94
3.2 Fermentazione e microbiota intestinali umani 95
3.3 Aceto 96
3.4 Fermentazione e cioccolato 97
3.5 Principi della fermentazione halal 99
3.6 Salsa di soia 100
3.7 Jet supersonici di CO2 quando si stappa una bottiglia
di champagne 102
3.8 Vini rossi Italiani 102
3.9 Un Riesling vecchio di 10 anni 104
3.10 I tappi 104
3.11 Astringenza del vino 105
3.12 Resveratrolo e salute umana 107
3.13 L’affinamento del vino in legno: impatto sulla stabilità
antiossidante 109
3.14 Birra e salute 110
3.15 Birra non alcolica 112
3.16 Uso di isotopi del carbonio per combattere le frodi
del whisky 113
3.17 Cognac 114
3.18 Il Liquore Qingke dal Tibet 115

XI
3.19 Baijiu 115
Bibliografia 116

Capitolo 4 – Latte e latticini 120


4.1 Latte dei mammiferi (ruminanti) per neonati in bottiglie 120
preistoriche
4.2 Composizione chimica del latte vaccino 120
4.3 Autenticazione del latte organico 124
4.4 Latte di asina 124
4.5 Latte di capra 124
4.6 Acidi grassi nei latticini e nella carne 125
4.7 Kefir 125
4.8 Yogurt 126
4.9 Formaggi 126
4.10 Effetto del latte aggiunto al tè 127
4.11 Latte di mandorle 127
4.12 Latte di soia 128
Bibliografia 128

Capitolo 5 – Bevande 131


5.1 Tè, la civiltà cinese in tavola 131
5.2 Tè Pu-Erh 131
5.3 Modificazioni della normale vita vegetativa della pianta:
lo stress per migliorare l’aroma del té 133
5.4 Torrefazione del caffè 134
5.5 Caffè e salute 135
5.6 Caffè di cicoria 136
5.7 Anidride carbonica in bottiglie di acque minerali frizzanti 137
5.8 Succhi di frutta: il colore scuro 138
Bibliografia 138

Capitolo 6 – Frutta 140


6.1 Classificazione e caratteristiche dei frutti 140
6.2 Frutti tropicali 141
6.3 Banana 142
6.4 Avocado 143
6.5 Mango 143
6.6 Papaia 143
6.7 Kiwi 143
6.8 Melagrana 144
6.9 Le nocciole tostate, proprietà ed effetti 145
6.10 Mandorle 145
6.11 Ribes nero 146
6.12 Uva 147
6.13 Agrumi 147
6.14 Fragole 149
6.15 Fruttosio della dieta e obesità 150
6.16 Biomarker per valutare la quantità totale di frutta e verdura 150
Bibliografia 151

Capitolo 7 – Verdure e spezie 153


7.1 Diete vegetariane 153
7.2 Spinaci 155
7.3 Patate 156
7.4 Asparagi 159
7.5 Tartufi 160
7.6 Basilico (Ocimum basilicum) 161
7.7 Timo (Thymus) 161
7.8 Aglio 162
7.9 Aglio nero 164
7.10 Cipolla 165
7.11 Ginseng 166
7.12 Liquirizia 166
7.13 Popoli, migrazioni ed il commercio delle spezie 167
7.14 Le spezie nella nostra alimentazione 167
7.15 Sesamo 168
7.16 Olio di sesamo 169
7.17 Peperoncino 169
7.18 Paprika e autenticazione 171
7.19 Pepe nero e frodi alimentari 173

XIII
7.20 Zafferano 174
7.21 Fieno greco 174
7.22 Spezie ed erbe a dosi relativamente alte migliorano
la pressione sanguigna in adulti 175
Bibliografia 175

Capitolo 8 – Cereali 179


8.1 Golden Rice 179
8.2 Olio della crusca di riso 180
8.3 Crusca 180
8.4 Avena e suoi aromi 180
8.5 Grano 181
8.6 Grano saraceno 182
8.7 Quinoa 184
8.8 Chia 186
Bibliografia 187

Capitolo 9 – L’intossicazione botulinica 189


Bibliografia 192

Glossario 193

Appendice – Il parere del nutrizionista 199


A1 La piramide alimentare moderna e sua interpretazione 199
A2 Principali modelli dietetici 202
A3 Nutraceutici e integratori: ruolo e interazioni con la dieta 217
A4 Nutrigenomica e nutrigenetica, verso la nutrizione
di precisione - fact o myth ? 223
A5 Ormesi e capacità ormetiche 228
A6 Mindful eating 230
A7 The China study: la grande opera o la bufala del secolo? 231

Indice analitico 233

XIV
Prefazione

Questo libro nasce dall’idea di fornire a tutti i lettori uno strumento utile a
comprendere meglio il mondo della nutrizione, le sue mille sfumature,
dalle proprietà chimiche dei nutrienti alla lista degli alimenti funzionali,
chimica e biologia si fondono in un tutt’uno per dare forza e potere preven-
tivo e curativo a ciò che la natura ci ha donato gratuitamente, il cibo!
Il libro vuole, inoltre, diffondere la cultura di una sana e corretta alimenta-
zione, perché è importante mangiare in modo sano e consapevole, cono-
scere –come affermano gli autori nella loro introduzione- la scienza e la
chimica dei cibi, la composizione e qualità dei nutrienti e le varie tipologie
dietetiche. È altresì fondamentale demistificare concetti su presunti effetti
negativi di alcuni cibi e spazzare il campo da notizie fuorvianti, quali fake
news e bufale su cibi e diete miracolose. Spesso si commette l’errore di
associare il concetto di “dieta” all’idea di un’alimentazione restrittiva,
come se l’obiettivo principale di nutrirsi fosse il dimagrimento; invece la
parola dieta deriva dal greco dijaita (dìaita) e significa modo di vivere,
quindi ciò che sotto-intende è un concetto molto più profondo del semplice
nutrirsi, ma abbraccia una visione olistica di stile di vita. Il nostro modo di
mangiare si ripercuote sul modus vivendi e sull’equilibrio mente-corpo
(influenza sullo stato d’animo, sulle sensazioni, sull’umore), e sulla pre-
venzione/insorgenza di malattie croniche che sono in continuo aumento
nella società occidentale, quali quelle metaboliche (ipertensione, ipercole-
sterolemia, diabete, steatosi epatica), malattie infiammatorie, tumorali.
Altro errore frequente è il ricorso alla “pillola magica” (integratori) e la
convinzione che questa possa, da sola, apportare benefici: in realtà è sem-
pre preferibile ricorrere ad un percorso terapeutico basato su criteri scien-
tifici e non a qualcosa di magico e fantasioso, pubblicizzato come tale.
Non si diventa esperti di nutrizione per aver letto un libro o appreso qual-
che notizie dal web o via social.

Prima di proseguire, vale la pena citare alcune celebri affermazioni:

“Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo”
(Ippocrate di Kos)

“Noi siamo ciò che mangiamo”


(Feurbach)

XV
Prefazione

Un’alimentazione corretta insieme ad un’adeguata attività fisica, al netto


di altri fattori di rischio, costituisce la chiave per la prevenzione di nume-
rose patologie legate ad una scorretta alimentazione e inadeguato apporto
di nutrienti. Siamo nell’era della comunicazione digitale e, molto spesso,
non vi sono regole e direttive: diventa quindi facile condizionare ed in-
fluenzare le persone mediaticamente sfruttando l’appeal dei canali social.
Ecco perché la decisione di un libro quale mezzo sicuro, efficace ed atten-
dibile, per fare chiarezza e avere certezze sulla scelta consapevole dei cibi,
per migliorare il proprio benessere e restare in forma, che sia fruibile indi-
stintamente da tutti, professionisti del settore ma anche chi non ha espe-
rienza nell’ambito della scienza della nutrizione e vuole essere guidato in
quella via che diventa sempre più impervia e piena di ostacoli, “il mangiar
sano”. Con ciò si vuole reiterare l’importanza di affidarsi a specialisti,
esperti in nutrizione, medici, biologi, che siano in grado di valutare con
attenzione e scrupolo i bisogni/esigenze delle persone, tenendo conto dello
stato di salute, degli stili di vita e che siano capaci di saper consigliare la
dieta più adatta, “ad personam”.
La decisione di seguire una dieta equilibrata, non solo finalizzata al dima-
grimento, deve essere presa in piena consapevolezza ed affidandosi a pro-
fessionisti in grado di guidare il paziente attraverso un percorso corretto di
empowerment, supportandolo e rendendolo orgoglioso dei risultati rag-
giunti ed educandolo al mantenimento del nuovo stile di vita.

Consentitemi un breve pensiero personale:


la vera strada è quella che si sceglie liberamente nella piena consapevo-
lezza, quella che ti consente di assaporare il sacrificio che dà senso a quel
percorso e ti rende degno e orgoglioso di te stesso, perché senza sacrificio
evapora il senso del dovere verso la lotta e la resilienza per una vita vis-
suta appieno delle proprie forze e capacità!

Paolo Buonaiuto

XVI
Introduzione

La nutrizione è una scienza complessa, indipendente dalle differenze cul-


turali, ma tuttavia abitudini e tradizioni fra le culture sono molto diverse.
La globalizzazione ha accomunato generazioni, mettendo in luce  fra di
esse e contemporaneamente, differenze, analogie, complementarietà.
La malnutrizione, come sottolineato dalla FAO nel 2017, poggia su tre
cardini essenziali che sono: la sottonutrizione, la mancanza di micronu-
trienti ed il sovrappeso-obesità.
Si stima che l’11% della popolazione mondiale soffra la fame, 2 miliardi
di persone di carenza di micronutrienti ed il 40% sia affetto da obesità o
sovrappeso.
Non ci sono mai risposte univoche a problematiche di tale complessità; per
questo abbiamo bisogno di saperne di più sul cibo che mangiamo ogni
giorno, sulle modalità di alimentazione e sulla scienza che ne è alla base.
Il nucleo essenziale delle nostre conoscenze attuali del modo in cui il cibo
influenza la salute è basato sui 150 componenti nutrizionali riconosciuti
dal Ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) e da altri “databa-
se” nazionali e queste componenti nutrizionali rappresentano solo una par-
te di tutti i composti biochimici presenti negli alimenti.
Questa eccezionale diversità chimica può essere considerata come la “ma-
teria oscura” della nutrizione, poiché la maggior parte di questi prodotti
chimici non compare negli studi epidemiologici e resta in tal modo invisi-
bile al grande pubblico.
Le dieci maggiori multinazionali del cibo controllano l’80% dei prodotti
venduti nei negozi di tutto il pianeta, ognuna di esse può vantare un fattu-
rato annuo di 40 miliardi di dollari (dati del 2017).
Nel 2009 le società più importanti hanno dichiarato di aver versato ai “lob-
bisti” la somma di 58 milioni di dollari, nei soli USA.
Il primo studio clinico sul “cibo spazzatura” (garbage o thrash food) risale
al 20191. Questo pone seri dubbi sull’attendibilità dei dati riportati in let-
teratura e sottolinea la necessità di una seria analisi critica.
Gli alimenti eccessivamente raffinati sono stati descritti come formulazio-

1
Hall KD, Ayuketah A, Brychta R, Cai H, Cassimatis T, Chen KY, Chung ST, Costa E,
Courville A, Darcey V, Fletcher LA, Forde CG, Gharib AM, Guo J, Howard R, Joseph PV,
McGehee S, Ouwerkerk R, Raisinger K, Rozga I, Stagliano M, Walter M, Walter PJ, Yang
S, Zhou M. Ultra-Processed Diets Cause Excess Calorie Intake and Weight Gain: An In-
patient Randomized Controlled Trial of Ad Libitum Food Intake. Cell Metab. 2019 Jul
2;30(1):67-77.e3.

XVII
Introduzione

ni di prodotti energetici e nutrienti (assieme agli additivi), derivati in gran


parte da fonti poco costose, grazie all’impiego di processi industriali com-
plessi e diversificati2.
Gli alimenti che consumiamo sono un insieme di numerose sostanze nutri-
tive che influiscono in vari modi sull’organismo ed il microbiota-micro-
bioma, perciò comprendere con chiarezza quali relazioni possano intercor-
rere fra dieta, metabolismo e salute non è un problema di semplice
soluzione.
Come ha messo in evidenza Tim Spector, nel suo recente libro “Presi per
la gola - Perché tutto quello che ci hanno detto sul cibo è sbagliato”3,
nell‘agosto del 2019 FooDB registrava la presenza di 26625 sostanze bio-
chimiche. La ricerca alimentare è uno dei campi più dinamici della scien-
za, purtroppo ancora arretrata rispetto ad altre discipline, ma potenzial-
mente in grado di diventare, oggi, la più importante di tutte.
Con il procedere delle conoscenze si accumulano sempre nuovi dati, che
vengono interpretati in modo diverso e lentamente si formano conoscenza
e consenso attorno ad una (o più) delle interpretazioni proposte. Come ha
acutamente osservato Max Planck, Premio Nobel per la Fisica nel 1918,
“…le nuove idee si affermano non perché gli oppositori si convincono, ma
perché gli oppositori muoiono e lasciano spazio ai sostenitori di nuove
idee.”
A nostro parere, come abbiamo detto sopra, “… abbiamo bisogno di sa-
perne di più sul cibo che mangiamo ogni giorno, sulle modalità di alimen-
tazione e sulla scienza che ne è alla base.”
Questa è la filosofia che ha ispirato questo nostro libro. Esso è suddiviso in
otto capitoli:
1. Principi delle diete
2. Il gusto
3. Fermentazione
4. Latte e latticini 
5. Bevande
6. Frutta
7. Verdure e spezie 
8. Cereali
9. L’intossicazione botulinica

2
Monteiro CA, Cannon G, Moubarac JC, Levy RB, Louzada MLC, Jaime PC. The UN
Decade of Nutrition, the NOVA food classification and the trouble with ultra-processing.
Public Health Nutr. 2018 Jan;21(1):5-17. doi: 10.1017/S1368980017000234.
3
Tim Spector. Presi per la gola - Perché tutto quello che ci hanno detto sul cibo è
sbagliato ISBN 9788833934297. Bollati Boringhieri.2020
CAPITOLO

I principi delle diete 1

1.1  Rapporti degli isotopi stabili: biomarkers nutrizionali

L’utilizzo di metodi ben collaudati ed affidabili nello studio di una dieta è


un elemento cruciale per la ricerca nutrizionale. Senza informazioni attendibi-
li sull’assunzione di cibo è impossibile analizzarne in dettaglio gli effetti sulla
salute, studiare l’impatto di una alimentazione a livello di intere popolazioni e
quindi sviluppare raccomandazioni per la dieta stessa. Malgrado tale impor-
tanza, questi metodi sono scarsi e la maggior parte degli studi si basa sull’uti-
lizzo di diete “auto dichiarate”, a dispetto delle loro ben note limitazioni, so-
prattutto quando si tratta di diete a lungo termine. Le analisi dei markers
biochimici della dieta, spesso indicati come biomarkers nutrizionali, sono
spesso considerate come il metodo più accurato per lo studio delle diete. Essi
di solito riflettono la presenza sistematica di singoli composti e non sono per-
ciò soggetti agli inconvenienti che possono derivare da dichiarazioni non veri-
tiere o da variabilità nella composizione del cibo (1).
La maggior parte dei biomarkers nutrizionali si basa sia direttamente sui
composti di maggior interesse (e.g. acidi grassi o micronutrienti), o indiretta-
mente sui loro metaboliti (e.g. metaboliti microbici) ovvero su composti bio-
attivi. Votruba e collaboratori hanno invece utilizzato un approccio diverso (2);
invece di basarsi sull’analisi di singoli composti per valutare una dieta, essi
hanno preso in considerazione proprietà fisico-chimiche ed in particolare i
rapporti degli isotopi stabili 12C e 13C e 14N e 15N, in globuli rossi o nei
capelli.
I rapporti degli isotopi stabili come biomarkers nutrizionali sono stati usa-
ti da più di 40 anni; inizialmente sono stati usati in discipline quali l’archeolo-
gia e l’ecologia per studiare l’alimentazione degli animali. Gli isotopi stabili di
carbonio ed azoto sono quelli più comunemente usati nella ricerca nutriziona-
le, benché si possa ricorrere anche a zolfo, ossigeno ed idrogeno. Il rapporto
degli isotopi dell’azoto rappresenta un marker eccellente di fonti di proteine,
poiché l’azoto nei tessuti deriva quasi esclusivamente dall’azoto della dieta. È
un indice ideale per identificare l’assunzione di cibo marino, poiché la catena
degli alimenti marini è molto più lunga di quella degli alimenti terrestri. Inol-
tre la maggior parte del cibo di cui si nutrono i pesci è di tipo predatorio, in
contrasto con quello degli animali terrestri. Le differenze nel rapporto degli
isotopi stabili del carbonio sono dovute a due fattori principali: le fonti del
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

carbonio e la sua fissazione biochimica. Le piante marine derivano il loro car-


bonio principalmente dal bicarbonato, che è arricchito in 13C, se confrontato
con l’anidride carbonica atmosferica.
Nelle piante terrestri, le differenze principali sono dovute a due diversi
percorsi fotosintetici. Nelle piante C4 la fissazione del carbonio segue un per-
corso complesso, che porta ad un delta C13 12-13% più alto rispetto alle pian-
te C3. Il delta C13 è una misura del rapporto degli isotopi stabili del carbonio,
13C:12C, che consente di dedurre la composizione della dieta del consumato-
re. Questa differenza è importante poiché, a parte il frumento, la canna da
zucchero, il miglio ed il sorgo, la maggior parte degli alimenti vegetali consu-
mati ad es. negli Stati Uniti derivano da piante C3.
I rapporti di isotopi stabili sono dei biomarkers molto promettenti per va-
lutare l’assunzione di carne e di pesce, due alimenti il cui consumo disequili-
brato può essere associato al rischio di neoplasie del colon-retto o a patologie
cardiovascolari.
Il rapporto degli isotopi stabili del carbonio è anche di grande interesse per
valutare l’assunzione di bevande arricchite con gli zuccheri. Stabilire i rappor-
ti degli isotopi stabili come biomarkers di routine nella ricerca nutrizionale è
importante perché, rispetto alla maggior parte degli altri biomarkers tradizio-
nali, fornisce informazioni sull’assunzione della dieta a lungo termine.
Fra le applicazioni dell’analisi del carbonio-14 (14 C) vi è anche la possi-
bilità di identificare la presenza di sofisticazioni tramite l’utilizzo di prodotti
naturali (3). L’esame dei prodotti naturali attraverso l’analisi del 14 C consen-
te di differenziare costituenti derivanti da animali o piante da analoghi costi-
tuenti derivati da idrocarburi prodotti dall’industria petrolchimica (fonti pe-
trolchimiche).
È relativamente comune imbattersi in prodotti alimentari con un’etichetta
che rivendica “tutto naturale” o “100% naturale”. Ciononostante è possibile
che degli ingredienti siano stati adulterati e non derivino completamente da
fonti animali o vegetali. Gli aromi artificiali sono solitamente ottenuti da fonti
petrolchimiche, abbondanti ed economiche, mentre quelli naturali sono meno
facilmente disponibili e più costosi.
La Food and Drug Administration (FDA) utilizza il termine aroma natura-
le per definire oli essenziali, essenze o distillati, contenenti costituenti aroma-
tizzanti che traggono origine da e.g. spezie, frutti, vegetali o materiali da essi
derivati, la cui funzione principale è legata all’aroma piuttosto che al valore
nutrizionale.
La strumentazione analitica utilizzata si basa sull’uso della spettrometria
di massa con acceleratore (Accelerator Mass Spectrometry, AMS) ed è in
grado di identificare concentrazioni molto basse di atomi di elementi speci-
fici, in base al loro peso atomico. Questa tecnica è, al giorno d’oggi, il meto-
do più comune usato per l’analisi del 14 C. Tutti gli organismi viventi con-
tengono un livello noto di 14 C, un isotopo del carbonio debolmente

2
Capitolo 1  I principi delle diete

radioattivo. Quando una pianta o un organismo muoiono, il livello del carbo-


nio-14 diminuisce ad una velocità nota, in accordo con un tempo di semivita
di 5730 anni. Misurando l’ammontare di 14 C in un dato campione, l’analisi
può essere usata non solo per datare un reperto archeologico o geologico, ma
anche per distinguere tra fonti naturali biologiche o fonti di combustibili
fossili; i prodotti derivanti da piante e animali (e.g. fonti naturali biologiche)
hanno un livello noto di 14 C, mentre questi ultimi (e.g. combustibili fossili)
sono abbastanza vecchi da essere privi dell’isotopo radioattivo. Ad esempio
il succo d’arancia è uno dei molti alimenti che contengono butirrato di etile,
un aroma ben noto derivante dall’etanolo. Benché il butirrato di etile possa
avere origine da fonti naturali, esso può essere anche preparato da intermedi
dell’industria petrolchimica. L’analisi AMS consente facilmente di distin-
guere l’eventuale frode.
Il limite di questa metodologa è esemplificato dalla vanillina artificiale; se
questa è sintetizzata a partire da guaiacolo, sostanza contenuta in molti catra-
mi, l’analisi del 14 C può svelare la frode. Se però essa è sintetizzata da fonti
naturali come la lignina, la vanillina naturale non può essere distinta da quella
sintetica.

1.2  Frequenza dei pasti

Il consumo del cibo fornisce l’energia ed i nutrienti necessari per soste-


nere la vita, consentendone la crescita, la riparazione (e.g. meccanismi di
riparazione del DNA) e la riproduzione. Una nutrizione appropriata può in-
fluenzare la salute e la sopravvivenza e costituisce un importante fattore di
prevenzione contro l’insorgere ed il progredire di malattie croniche. La ma-
nipolazione di una dieta bilanciata, grazie ad una gestione ottimale dell’ap-
porto calorico (e.g. controllo dell’assunzione di energia) o del tempo che
intercorre fra i pasti (e.g. rispettare il “tempo del mangiare e del digiunare”),
può portare ad una vita più sana e più lunga nella maggior parte degli orga-
nismi. In generale, una riduzione prolungata nell’apporto calorico e cicli
periodici di digiuno possono incidere sull’insorgenza di malattie legate
all’età (e.g. malattie cardiovascolari, diabete, tumori, demenza) ed allungare
la vita. A questo proposito, de Cabo e collaboratori (4), hanno proposto quat-
tro strategie.
Esse sono:
1) la classica restrizione calorica (Caloric Restriction, CR) in cui l’apporto
calorico tipicamente decresce dal 15% fino al 40%;
2) l’alimentazione in un tempo ristretto (Time-Restricted Feeding, TRF) che
limita l’assunzione quotidiana di cibo a “finestre” da 4 a 12 ore;
3) il digiuno intermittente (Intermittent Fasting, IF), parziale o totale;
4) le diete che imitano il digiuno (Fast-Mimicking Diet, FMD).

3
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

In alcuni modelli animali (e.g. roditori), è stato infatti dimostrato che


un’attenta gestione di CR può prolungare la durata della vita fino al 50%;
inoltre un controllo a lungo termine di CR assicura una funzionalità più reatti-
va, migliorando numerosi markers di salute, quali la diminuzione di peso cor-
poreo, la velocità metabolica, il danno ossidativo, una minore incidenza di
patologie.

1.3  Alimentazione in un tempo ristretto

L’alimentazione in un tempo ristretto (TFR) costituisce una specie di di-


giuno intermittente, nel quale il cibo è consumato all’interno di un intervallo
di almeno 8-12 ore, favorendo l’utilizzazione ottimale dei nutrienti e miglio-
rando il nostro stato di salute (4). L’importanza del TRF è emersa da studi che
hanno esaminato come la frequenza di assunzione degli alimenti possa in-
fluenzare il sistema circadiano (5,6).
L’idea era quella di limitare l’alimentazione a momenti ben definiti del
giorno o della notte e di controllare come questa “restrizione” potesse influen-
zare il ciclo di attività-riposo e le componenti del nostro “orologio circadiano”
(e.g. ritmo circadiano) negli organi metabolici (in primo luogo nel fegato). La
salute metabolica e la diagnosi di malattia sono spesso legate al metabolismo
del glucosio, dei grassi e del colesterolo. Il fegato gioca un ruolo importante
nel metabolismo di questi tre fattori.
Studi recenti hanno effettivamente dimostrato che TRF può migliorare la
salute cardiometabolica. Il rispetto rigoroso di TRF nell’intervallo quotidiano
di 6 ore (dalle 8 di mattina alle 2 del pomeriggio) per 5 settimane è in grado di
aumentare la sensibilità all’insulina e di diminuire l’insulina postprandiale, lo
stress ossidativo, la pressione sistemica e l’appetito.
Il fegato di un topo TFR ha una steatosi epatica significativamente ridotta
rispetto al fegato di un topo che mangia “ad libitum”. Si ha anche una conco-
mitante riduzione di colesterolo ed aumento degli acidi biliari.
Il TRF può garantire una efficace protezione contro le gravi controindica-
zioni metaboliche tipiche di una dieta occidentale (molti grassi e carboidrati,
soprattutto zuccheri raffinati); tutto ciò si verifica grazie al concorso di molte-
plici fattori quali una riduzione del peso corporeo, un aumentato consumo di
energia, un migliorato controllo glicemico, più bassi livelli di insulina, dimi-
nuzione del grasso epatico e iperlipidemia ed attenuati fenomeni infiammatori.
A sua volta il TRF sembra avere effetti benefici sullo stato di salute del cervel-
lo, come è mostrato da alcuni risultati preliminari, ottenuti utilizzando model-
li sperimentali animali ed in modo specifico proteggendo o ritardando l’insor-
gere o lo sviluppo di patologie neurodegenerative.
Il sostanziale successo del TRF nel combattere l’obesità e le malattie me-
taboliche in modelli “in vivo”, rappresenta una importante acquisizione della

4
Capitolo 1  I principi delle diete

ricerca sperimentale e ci permette di ipotizzare, con ragionevole ottimismo


che, a lungo termine, si possa migliorare la salute pubblica e ridurre i costi
delle spese ad essa relativi. Esiste una solida relazione fra orologio circadiano
e metabolismo, dato che essi condividono alcuni regolatori comuni. La limita-
zione dell’assunzione del cibo a metà del giorno, diminuisce il peso ed il gras-
so corporeo, la glicemia a digiuno ed i livelli di insulina, l’iperlipidemia e
l’infiammazione, producendo una blanda restrizione calorica.
Il TRF riduce i lipidi plasmatici ed aiuta a normalizzare il quadro lipidico
nel fegato, mentre induce una riduzione (“down-regulation”) dei geni infiam-
matori. Inoltre esso aumenta la ricchezza e la biodiversità microbica, che è
probabilmente associata con il ritmo circadiano ed i livelli dei lipidi.
Perciò il TRF potrebbe essere un rimedio affidabile per la prevenzione
delle malattie metaboliche legate sia alle dislipidemie che ad una alterazione
degli indici di funzionalità epatica, dato che regola il ritmo circadiano associa-
to con la modulazione del microbiota intestinale (6). Analogamente, il quadro
dei markers metabolici risulta migliorato in gruppi di persone che seguono una
dieta isocalorica con un pranzo più sostanzioso ed una cena frugale. È preferi-
bile assumere la maggior parte del cibo nella prima parte del giorno piuttosto
che dividerlo in sei porzioni durante il giorno.

1.4  Digiuno intermittente e periodico

Gli studi sperimentali, condotti prevalentemente nei roditori, dimostrano chia-


ramente che il digiuno intermittente e periodico aumenta l’aspettativa di vita e
protegge contro l’obesità, le malattie cardiovascolari, l’ipertensione, il diabete e le
malattie neurodegenerative. Esso può rallentare la progressione dei tumori, au-
mentare l’efficacia di farmaci chemioterapici nei confronti di una molteplicità di
cellule cancerose e la sensibilità all’azione dell’insulina. Apportare modifiche
mirate alla dieta per integrare la terapia convenzionale delle neoplasie è un ap-
proccio eminentemente pratico su cui si focalizza una crescente attenzione.
La composizione dietetica ci indica quale possa essere la disponibilità di
nutrienti nel plasma e quindi nel microambiente (Milieu intérieur, definizione
coniata da Claude Bernard, liquido interstiziale) delle cellule del corpo, inclu-
se le cellule cancerose.
La manipolazione del microambiente metabolico delle cellule cancerose
cambia in modo marcato la loro attività metabolica, modificandone la sensibi-
lità ai farmaci, la velocità di proliferazione ed i requisiti metabolici.
I tumori dipendono dalla fornitura di nutrienti per la loro crescita e soprav-
vivenza. Le modificazioni della dieta dell’organismo ospitante possono, come
detto, cambiare la disponibilità dei nutrienti nel microambiente tumorale e
questo potrebbe rappresentare una strategia promettente per inibire la crescita
del tumore stesso.

5
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

Studi recenti hanno suggerito che la modificazione di molti nutrienti nella


dieta può alterare l’efficacia delle terapie antineoplastiche. Ad esempio il glu-
cosio ha molti ruoli pro-tumorali, esso è una fonte di produzione di energia e
per la sintesi di biomolecole che sostengono la rapida proliferazione delle cel-
lule cancerose.
Studi preclinici hanno suggerito che, per aumentare l’efficacia delle tera-
pie antitumorali, alcuni macronutrienti (e.g. proteine) sono buoni bersagli per
la restrizione dietetica calorica. Inoltre, alcuni regimi dietetici che limitano
interi gruppi di nutrienti, zuccheri (glucosio, fruttosio), amino acidi (asparagi-
na, arginina, cisteina), sembrano avere effetti benefici sull’inibizione della
progressione tumorale. Si è dimostrato infatti che molte pratiche di digiuno
prevengono l’insorgere di neoplasie sperimentali nei roditori. Il digiuno inter-
mittente previene il linfoma nei topi anziani e ritarda lo sviluppo di sarcoma e
linfoma in uno specifico ceppo di topi (Trp53) anche in uno stadio avanzato
della loro vita. La combinazione di prolungati stadi di digiuno, unitamente
all’uso di farmaci chemioterapici, ha migliorato in modo sostanziale la terapia
in modelli animali (topi) sottoposti a xenotrapianto (eterotrapianto) di cellule
neoplastiche del tumore del seno, melanoma e neuroblastoma. Una dieta alter-
nativa, consistente in periodi di un regime periodico di basse calorie e scarse
proteine, ha mostrato effetti protettivi simili a quelli di un digiuno prolungato.
Dato che i pazienti affetti da neoplasie sono più fragili degli individui sani,
questa dieta potrebbe essere preferibile rispetto a un protocollo di digiuno pro-
lungato, poiché garantisce una “compliance” migliore, è di più facile realizza-
zione e probabilmente non comprometterebbe lo stato del paziente a differen-
za di un digiuno prolungato (7).

1.5  Diete che imitano il digiuno

La dieta FMD (Fast-Mimicking Diet) ha poche calorie e si basa su zuppe


vegetali, tè erbacei, barrette energetiche, spuntini a base di frutti secchi-acheni
ed integratori, in un ciclo mensile di cinque giorni, per tre mesi. Nel primo
giorno, l’ammontare calorico è di circa 1090 calorie (10% di proteine, 56% di
grassi e 34% di carboidrati) e per i giorni 2 - 5 vengono fornite solo 725 calo-
rie (9% di proteine, 44% di grassi e 74% di carboidrati). A dispetto dei risulta-
ti positivi sullo stato di salute, la dieta FDM non sembra in grado di aumentare
la longevità in modelli sperimentali ed ha fornito risultati controproducenti
quando è stata somministrata a soggetti molto anziani.
Si è insistito per decenni sui benefici per la salute derivanti dal digiuno.
Studi epidemiologici mostrano una maggiore durata della vita in persone che
praticano un digiuno intermittente per ragioni personali o religiose. Anche
molti studi preclinici hanno mostrato che il digiuno può migliorare il quadro
complessivo di qualità della vita in soggetti affetti da neoplasie; in maggioran-

6
Capitolo 1  I principi delle diete

za essi hanno trovato che può avere effetti sinergici con la terapia antitumorale
(radioterapia e chemioterapia), anche se vi sono numerose eccezioni.
La nostra dieta ha chiaramente un grande impatto sul rischio di sviluppare
tumori. Interventi sulla dieta hanno la potenzialità di migliorare le conseguen-
ze della patologia senza introdurre tossicità addizionali e complicazioni a lun-
go termine (8).
In conclusione, interventi dietetici che sono accompagnati da periodi di
digiuno costituiscono una strategia promettente che ha come bersaglio una
miriade di parametri clinici che costituiscono il fondamento di patologie quali
la sindrome metabolica, disturbi cardiovascolari, neoplasie e perfino patologie
neurodegenerative.

1.6  Una dieta vegetale di 17000 anni fa

Le antiche strategie di caccia hanno focalizzato, in particolar modo, l’at-


tenzione degli archeologi, relegando in secondo piano lo studio delle modalità
con cui si raccoglievano le piante, poiché le modalità di conservazione delle
piante sono spesso di difficile interpretazione nei siti archeologici. Una dieta
vegetale, benché talvolta abbia lasciato pochissime o nessuna traccia, cioè una
dieta che possiamo ben definire “invisibile”, deve aver contribuito in modo
sostanziale alla sicurezza alimentare in passato, come documentato per caccia-
tori-raccoglitori in Africa durante l’ultimo secolo.
I geofiti (bulbi, tuberi, rizomi) immagazzinano amido nei loro organi sot-
terranei che diventano fonti di carboidrati per uomini ed animali in grado di
scavarli. La raccolta di geofiti commestibili, che si effettua ai giorni nostri
presso alcune tribù autoctone in Sud Africa, dimostra che essi avrebbero potu-
to, a buon diritto, entrare a fare parte della dieta dei loro progenitori. La cottu-
ra aumenta la digeribilità della carne e dei vegetali, riduce la tossicità e nel
caso dei geofiti ha considerevoli effetti di ammorbidimento, facilita l’elimina-
zione della buccia e aumenta la disponibilità di glucosio.
I carboidrati vegetali erano indubbiamente consumati nell’antichità, anche
se geofiti amidacei sono stati raramente ritrovati, preservati, in siti archeologi-
ci. Wadley e collaboratori hanno recentemente fornito prove che testimoniano
dell’utilizzo di geofiti da parte di popolazioni primitive vissute almeno 170000
anni fa (9).
Reperti di rizomi carbonizzati provenienti dalla Border Cave, Sud Africa,
sono stati identificati come appartenenti al genus Hypoxis L., confrontando la
morfologia e l’anatomia dei rizomi antichi e recenti. L’Hypoxis angustifolia
Lam prolifera in aree con regimi di precipitazioni molto variabili. In queste
aree e possibilmente più a nord, durante i periodi umidi, i rizomi di Hypoxis
potrebbero aver fornito delle fonti di carboidrati, sicure e facilmente accessibi-
li, alle popolazioni nomadi.

7
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

Al vitto Pitagorico, Vincenzo Corrado aveva dedicato un capitolo del suo volu-
me Il cuoco galante pubblicato nel 1773 e più volte ristampato. Scriveva: Il vitto
Pitagorico consiste in erbe fresche, radiche, fiori, frutta, semi, e tutto ciò che
dalla terra si produce per nostro nutrimento. Vien detto pitagorico, poiché Pita-
gora, com’è tradizione, di questi prodotti della terra soltanto fece uso. Nel 1781
Corrado pubblica tutta un’opera Del cibo Pitagorico ovvero erbaceo. Nella pre-
fazione precisa: Non senza ragione…la italiana gente, assai avvedutamente
oggi più che in altro tempo, le Pitagoriche leggi ha ripigliato a osservare con
tutto impegno nelle cucine e nelle mense: e le nazioni anche più culte, che
dall’Italia sono lontane, han preso il gusto di dare corpo al nutrimento più sano
e gustoso.

1.7  Una dieta per astronauti

La NASA ha elaborato un sistema alimentare sicuro per gli astronauti im-


pegnati in missioni in orbita vicino alla terra, della durata da 4 a 12 mesi.
Tuttavia la quantità limitata di acqua, l’immagazzinamento e la possibilità di
preparare il cibo (aggiunta di acqua, utilizzo di fonti di calore), costringono
l’equipaggio ad una scelta limitata di prodotti stabili, in singole porzioni di
alimenti nella loro forma naturale o conservata per disidratazione, termostabi-
lizzazione o irradiazione.
Gli astronauti sono liberi di scegliere circa il 20% dei loro alimenti e be-
vande, mentre l’80% della loro dieta deriva da un protocollo standard condivi-
so. Le riserve alimentari sono fatte pervenire in orbita più volte all’anno, por-
tando frutta fresca, verdure ed alcune specialità. Gli astronauti riferiscono che
queste forniture hanno effetti molto positivi dal punto di vista psicologico.
Le modalità con cui queste consegne intermittenti sono in grado di colma-
re le restrizioni nutrizionali, non sono facili da determinare, poiché la varietà e
la quantità di frutta fresca e verdura variano e la capacità di conservazione è
limitata a pochi giorni o settimane (10).
Durante le missioni lunari della durata di 10 giorni, gli astronauti hanno
sottolineato l’importanza della disponibilità di acqua calda come elemento es-
senziale e privo di alternative; questa potrebbe essere non disponile almeno
per parte delle future missioni spaziali.
La necessità di risparmiare spazio nelle missioni lunari ha imposto l’uso di
barrette, per integrare calorie e nutrienti, nella misura del 10%. La messa a
punto di un protocollo alimentare per le missioni su Marte, porrà problemi
molto più complessi e di difficile soluzione rispetto a quelli che hanno presen-
tato le missioni lunari. È verosimile che esse impegnino l’equipaggio per un
viaggio di circa 6 mesi, una durata simile a missioni spaziali precedenti, ma

8
Capitolo 1  I principi delle diete

senza la possibilità di mandare in orbita forniture di cibo fresco. L’equipaggio


potrebbe dover restare su Marte per 18 mesi, prima di affrontare il viaggio di
ritorno di altri 6 mesi. Benché sia stato spesso considerato un problema secon-
dario, in realtà trovare un protocollo alimentare per la missione su Marte rap-
presenta una sfida molto difficile. In passato, le storiche spedizioni polari sono
state travagliate da problemi alimentari, e.g. quantità insufficienti (tiamina e
vitamina C) o eccessive (minerali, vitamina A e piombo) o dalla loro mancata
conservazione.
Per riassumere, l’alimentazione nello spazio deve soddisfare i seguenti cri-
teri base:
1) sicurezza dal punto di vista microbiologico e fisico;
2) stabilità per almeno 5 anni in uno spazio ostile (esposizione a radiazioni,
temperature estreme);
3) palatabilità (cibo appetibile);
4) evitare le perdite di cibo;
5) riduzione al minimo delle risorse (volume acqua, energia e rifiuti devono
essere minimizzati);
6) facilità di preparazione degli alimenti (condizioni ben diverse da quelle in
presenza di gravità terrestre).

Questi problemi sono ben noti alle gerarchie militari, consapevoli dell’im-
portanza del cibo. A differenza della missione su Marte che, presumibilmente,
durerà circa 1000 giorni, l’arco temporale max, previsto dalle gerarchie mili-
tari per cibi pronti all’uso è di 21 giorni consecutivi (11).
Con lo sviluppo della scienza e delle tecnologie, la quantità e la qualità dei
cibi utilizzabili nelle missioni nello spazio sono aumentate rapidamente. At-
tualmente gli astronauti possono contare su un menu variato settimanalmente;
in talo modo gli astronauti americani non si sono fatti mancare gli alimenti
tradizionali della “cultura del fast food” con burger, insalate, salsiccie e perfi-
no il tacchino per il Thanksgiving. Analogamente, l’equipaggio impegnato
nelle missioni russe ha avuto a disposizione più di 300 piatti, quattro pasti al
giorno e molte opzioni per ciascun pasto, incluse purè di patate con noci, carne
di maiale in gelatina, broccoli e formaggio, carne di manzo secca-stagionata e
così via. Analogamente la cucina cinese è molto ricca e può fornire agli astro-
nauti più di cento varietà di cibo, dal maiale, al pollo, al porridge di semi di
loto, manzo stufato, polpette di riso.
Il cibo utilizzato dagli astronauti ha subìto una evoluzione, nel tempo. Du-
rante il progetto Mercury, nei primi anni sessanta, il cibo delle missioni spazia-
li era molto semplificato e sostanzialmente erano disponibili solo tre forme. La
prima costituita da cibo in tubo, che veniva utilizzato come fosse un dentifri-
cio. La seconda opzione era costituita da cubetti di circa 1 cm, che potevano
essere ingeriti tal quali. Infine, erano disponibili polveri essiccate che poteva-
no essere ingerite dopo reidratazione.

9
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

Durante la missione Apollo (1968-1972) si è avuto un miglioramento nella


confezione del cibo e nella sua varietà. La missione Apollo è stata anche la
prima a poter godere di acqua calda, che ha reso più facile reidratare il cibo
liofilizzato. Nel 1973 lo Skylab aveva anche un frigorifero ed un forno, che ha
consentito all’equipaggio di disporre di gelati, filetti di carne, aragoste, bevan-
de refrigerate e desserts.

1.8  Fiori commestibili come fonte di nutraceutici

I fiori commestibili sono stati usati nell’arte culinaria per centinaia di anni,
per il loro aroma e per guarnire i piatti. I romani usavano fiori in cucina, come
anche i cinesi, le culture del Medio Oriente e dell’India. Durante il regno della
regina Vittoria, i fiori commestibili erano popolari, così come nel Nord America
ed in Europa (12). Finora non vi sono elenchi ufficiali di fiori commestibili, co-
dificate da istituzioni internazionali, quali FAO, FDA ed EFSA. Tuttavia, la Eu-
ropean Regulation (EC) no 258/97 concernente i nuovi alimenti e i nuovi ingre-
dienti alimentari, fornisce alcune informazioni sulla sicurezza di questi fiori.
In generale i fiori commestibili includono 97 famiglie, 100 generi e 180
specie. Nella medicina popolare, si ritiene che essi abbiano proprietà antiansia,
antitumorali, antidiabetiche, antinfiammatorie, antiossidanti, diuretiche, im-
munomodulatrici ed antimicrobiche (13).
Generalmente la composizione del 70%-95% dei fiori commestibili è rap-
presentata dall’acqua; la materia secca è fonte dei maggiori costituenti come
carboidrati, proteine, lipidi, così come di vitamine, minerali e fitochimici a
basso peso molecolare.
Le possibili fonti di fiori commestibili includono infiorescenze di piante da
frutto, piante medicinali e ornamentali. Specie come la borragine (Borago of-
ficinalis), violetta (Viola tricolor) e nasturzio (Tropaelum majus), sono utiliz-
zate negli Stati Uniti non solo per il loro valore estetico, ma anche come ali-
menti e/o piante medicinali. In Europa questo gruppo comprende l’altea,
(Althea officinalis), la margherita (Bellis perennis), la malva (Malva sylve-
stris), il tarassaco (Taraxacum officinalis) e molte altre specie.
Dal punto di vista nutrizionale i fiori possono essere distinti in tre specie: il
polline, il nettare ed i petali e altre parti. Il polline, presente in quantità molto scar-
sa, è una ricca fonte di proteine, amino acidi, carboidrati, lipidi saturi ed insaturi.
Il nettare è a sua volta un liquido dolciastro, contenente una miscela di
zuccheri (fruttosio, glucosio e saccarosio), amino acidi (soprattutto prolina),
proteine, ioni inorganici, lipidi, acidi organici, terpeni, alcaloidi. Il terzo grup-
po (petali ed altre parti) è un’importante fonte di vitamine (soprattutto vitami-
na A), minerali e antiossidanti. I fiori commestibili contengono quantità signi-
ficative di antiossidanti; ne sono un esempio i fiori delle begonie, rose,
nasturzi. Nella Rosa rugosa è presente una quantità cospicua di acido gallico,

10
Capitolo 1  I principi delle diete

oltre ad altri antiossidanti quali i flavanoli (quercitina e kaempferolo). L’an-


tiossidante più importante del crisantemo è la luteolina.
Nei gigli, i polifenoli più importanti sono la (+) catechina, che da sola
rappresenta il 75%, l’acido clorogenico, la rutina e la quercetina; il contenuto
di questi componenti è massimo all’apice della fioritura. L’attività antiossidan-
te dei petali di rosa è simile a quella del tè verde o del tè nero, ma l’assenza di
caffeina rende gli infusi di petali di rosa più interessanti dal punto di vista nu-
trizionale, poiché non portano ad un aumento della pressione sanguigna. Nel
crisantemo il carotene più importante (ottimo antiossodante) è la luteina così
come nel nasturzio (Tropaeolum major), a sua volta la fonte più comune di
fiori commestibili. Si ritiene che l’assunzione di fiori di calendula abbia effetti
apprezzabili nel ridurre i rischi di degenerazione maculare ed altri disturbi
oculari come la cataratta. I fiori commestibili non solo hanno attività antiossi-
danti, ma anche effetti antinfiammatori, antifungini e antibatterici. Queste pro-
prietà si ritrovano ad esempio nei fiori della calendula per la presenza del fla-
vonoide patuletina. Nei fiori di violetta un componente aromatico è costituito
dal terpenoide ciclico beta–ionone, che ha un marcato effetto inibitore sulla
crescita di cellule tumorali.
Le proprietà nutritive e chemioprotettive di alcuni fiori commestibili fanno
sì che essi possano essere considerati come nutraceutici (14). Sono frequente-
mente consumati come fiori freschi, ma possono anche essere utilizzati secchi,
nei cocktail (in cubi di ghiaccio) e conservati in distillati.

1.9 Nutrizione, cibo biologico (BIO, Organic) e miglior


sostenibilità della dieta

Nel 2010 la FAO ha definito sostenibili le diete che proteggono e rispettano la


biodiversità e gli ecosistemi, che sono culturalmente accettabili, economicamente
giuste ed accessibili, adeguate dal punto di vista nutrizionale, sicure e salutari. Il
considerevole sviluppo del mercato degli alimenti biologici (organic, in inglese,
ha la valenza del nostro biologico) guidato da motivi di salute e ambientali, riflet-
te la domanda dei consumatori per metodi di produzione più sostenibili.
I sistemi di produzione biologici sono spesso considerati migliori delle
loro controparti perché utilizzano meno pesticidi e per la loro composizione
nutrizionale. In Europa essi sono inquadrati in una regolazione specifica e ri-
gorosa (CEE regolamento No. 834/20). Uno studio che prendeva in considera-
zione la sostenibilità della dieta, tra 29100 partecipanti dello studio Nutri-
Net-Santé, ha utilizzato i databases sviluppati all’interno del progetto
BioNutriNet (15). Nello studio di coorte BioNutriNet sono stati considerati
quattro parametri: 1) indicatori nutrizionali; 2) indicatori ambientali (effetto
serra, richiesta di energia cumulativa e occupazione della terra; 3) indicatori
economici sul costo della dieta; 4) esposizioni quotidiane a 15 pesticidi.

11
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

Il consumo di cibo più ricco in componenti “biologiche”, associato a un


maggiore consumo di vegetali e ad un uso minore di sostanze animali, ha ga-
rantito una qualità nutrizionale completa ed un più basso indice di massa cor-
porea (BMI).
Le emissioni di gas serra e la domanda di energia cumulativa diminuiscono
gradualmente all’aumentare del consumo di cibo biologico, mentre cresce il
costo monetario.
In conclusione, le diete con alti livelli di cibo BIO sono caratterizzate da
benefìci nutrizionali ed ambientali, mentre le modalità di produzione compor-
tano un maggiore costo monetario ed una riduzione complessiva di pesticidi.
Non va taciuto, peraltro, che il sistema di coltivazione BIO, comporta un signi-
ficativo aumento del consumo di suolo ed alla luce del crescente aumento del-
la popolazione mondiale, rappresenta una scelta non facile (16).

1.10 Trasmissione ed apprendimento sociale della


sicurezza del cibo negli animali (social transmission
of food safety)

Il fattore che determina il consumo del cibo negli animali è rappresentato


dalle necessità metaboliche, ma anche altri elementi ne orientano l’assunzione,
di momento in momento. Per esempio un predatore può smettere di mangiare,
anche se è affamato. Al contrario quando trova un cibo appetitoso può abbando-
narsi ad un consumo prolungato, che porta all’accumulo di grasso di scorta.
Inoltre molte specie utilizzano informazioni acquisite dai loro pari (trasmissione
sociale) per decidere se un cibo è sicuro. Mentre i primati si basano principal-
mente su indizi visivi, i roditori usano, a questo scopo, il loro odorato, incluso il
solfuro di carbonio (CS2), un componente semiochimico presente nell’esalato.
La trasmissione sociale della preferenza del cibo ha luogo quando un ratto
“osservatore” (soggetto che apprende) si trova a contatto con un ratto “dimo-
stratore” (soggetto affidabile che funge da esempio, alimentato con cibo che
emana odori) e sceglie quel cibo rispetto ad altre alternative odorose. Quando
un animale è di fronte ad un cibo che non gli è familiare, il suo odore, assieme
ai composti semiochimici emanati da un animale della stessa specie, costitui-
sce un messaggio di sicurezza e ne autorizza l’assunzione. Roditori esposti
contemporaneamente a cibo aromatizzato con cumino e timo, mostrano un’in-
nata preferenza per l’opzione timo (17).

1.11  Interazioni farmaci-alimenti

Succo di pompelmo, latte e alcol sono esempi comuni di alimenti che pos-
sono alterare l’efficacia dei farmaci, ma sempre più numerose sono le sostanze

12
Capitolo 1  I principi delle diete

chimiche presenti in natura che influenzano i meccanismi di Assorbimento,


Distribuzione, Metabolismo, Escrezione (ADME) o l’attività di farmaci speci-
fici. Le interazioni che possono intercorrere fra farmaco ed alimento-nutriente
(Drug-Nutrient Interactions, DNIs) sono talmente critiche per la sicurezza dei
farmaci che la US-FDA e l’Agenzia Europea per i Medicinali (European Me-
dicines Agency, EMA) richiedono che la biodisponibilità e la bioequivalenza
dei farmaci vengano verificate usando, come parte dei loro processi di appro-
vazione, dei pasti-test altamente calorici e ricchi in grassi. La natura del com-
portamento dei farmaci che ha luogo nel tratto gastrointestinale, susseguente-
mente all’assunzione di cibo, provoca interazioni dinamiche che possono
alterare l’assorbimento ed il metabolismo locale dei farmaci (18). In contrasto,
possiamo considerare le DNIs sotto una diversa prospettiva, cui si è prestata
minor attenzione e precisamente, come i farmaci possono alterare lo stato del
nutriente. Una deplezione dell’alimento indotta dal farmaco (Drug-Induced
Nutrient Depletions, DINDs) può aver luogo quando un farmaco altera un pro-
cesso ADME, il più comune dei quali è l’inibizione del trasporto del nutriente.
I 420 trasportatori di soluti (SoLute Carriers, SLCs) sono generalmente
proteine di membrana deputate al trasporto, attraverso cellule e membrane in-
tracellulari, di ioni, metaboliti e sostanze chimiche esogene, inclusi nutrienti,
tossine e farmaci.
I singoli SLCs possono avere selettività monospecifica, oligospecifica o po-
lispecifica per metaboliti o xenobiotici e proteine codificate da un singolo com-
ponente di una famiglia di geni e possono trasportare gli stessi prodotti chimici.
Dal momento che un funzionamento anomalo di SLCs è stato associato
con neoplasie, disordini metabolici e del sistema nervoso, essi sono un poten-
ziale bersaglio per sostanze di interesse terapeutico. Tuttavia, le analogie strut-
turali fra le sostanze chimiche della dieta ed i farmaci, aumentano la probabi-
lità di effetti indesiderati a carico di processi fisiologici che coinvolgono
l’assorbimento ed il metabolismo del nutriente.
Con più di 19000 farmaci prescritti sul mercato, nei soli Stati Uniti, la valu-
tazione di DNIs e DINDs costituisce una sfida per i metodi tradizionali di ricerca
(focalizzati su di un singolo obiettivo) e complicano le valutazioni regolatorie.
Una strategia proposta recentemente, che potrebbe essere in grado di far
luce su queste complesse problematiche, è costituita da un “corpus” di ricerca
combinata, farmacocinetica e farmacodinamica, su un farmaco antidiabetico
orale, la metformina (biguanidina) (19).

1.12 Nuove coltivazioni di piante per la sicurezza


alimentare

Dati pubblicati recentemente su autorevoli riviste scientifiche internazio-


nali mostrano l’esistenza di una chiara associazione tra carente produttività

13
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

agricola ed uno stato di grave malnutrizione (20,21). È stato anche dimostrato


che un rapido contenimento di un contesto di povertà estrema è possibile solo
quando si verificano condizioni tali da garantire un aumentato profitto dei pic-
coli proprietari. Nuovi sistemi di coltivazione di piante (New Plant Breeding
Techniques, NPBTs), come l’editing genomico ovvero tecniche di modifiche
del genoma (“genoma editing”), potranno contribuire in modo sostanziale alla
sicurezza sociale globale. In anni relativamente recenti, la pratica di coltiva-
zioni geneticamente modificate (Genetically Modified - GM) ha portato a rese
più alte, minor uso di pesticidi, riduzione della povertà e nutrizione migliorata.
I prodotti GM sono arrivati sul mercato degli Stati Uniti nel 1996. Il primo pro-
dotto è stato il pomodoro Flavr Savr, creato per garantirne una più lunga con-
servazione. Tuttavia dopo un iniziale successo, i canali di distribuzione hanno
cessato di venderlo a causa delle crescenti preoccupazioni dei consumatori.
Le piante GM sono state accettate solo dopo una ventina d’anni e sono ora
largamente diffuse. Nei soli Stati Uniti la loro coltivazione coinvolge metà dei
terreni disponibili; in tutto il mondo sono piantate su una superficie pari a circa
180 milioni di ettari, il 12% del totale, principalmente in Nord America, Sud
America e Asia. La superficie piantata nell’Europa occidentale ed in Africa
rimane estremamente contenuta. Delle 12 coltivazioni più comuni, 9 riguarda-
no direttamente l’alimentazione umana (mais, soia, canola, barbabietola da
zucchero, papaia, melo, popone, melanzane, patate e mele) e 3 riguardano
colture non alimentari (cotone, pioppi e erba medica).
Oltre a quelle utilizzate nella nostra alimentazione, molte sono usate per
nutrire bestiame (erba medica) o come comuni ingredienti in molti alimenti
(ad esempio zucchero da barbabietola da zucchero). Poiché soia e mais (le
coltivazioni principali di GM) sono ingredienti comuni in molti alimenti (sci-
roppo di mais, olio di mais, olio di soia) è normale che facciano parte delle
diete, come certificato dalla FDA.
Le regole, pur molto rigorose dell’Unione Europea, permettono che la di-
zione GM non compaia nell’etichetta solo a condizione che la presenza di tali
prodotti sia inferiore a 0,99%.
La maggior parte delle coltivazioni commercializzate come GM sono
mais, soia e cotone. Le tecniche di ingegneria genetica sono oggi applicate non
solo alle piante. Nel 2015 è stata approvata la commercializzazione per uso
alimentare, negli Stati Uniti, di salmoni GM, a seguito di studi condotti negli
anni 90 per avere pesci che crescessero più rapidamente. Malgrado le gravi
preoccupazioni nell’opinione pubblica che essi potessero costituire un rischio
per l’ecosistema, se fossero sfuggiti dagli allevamenti o rilasciati in natura, nel
2017 i salmoni GM sono stati messi in commercio da una società americana
sul mercato canadese, costituendo il primo caso di animali GM ammessi al
consumo umano. Nell’ambito dell’Unione Europea, le nazioni aderiscono di
comune accordo al principio di precauzione e tutti gli alimenti GM vengono
considerati caso per caso e valutati dall’EFSA (European Food Safety Autori-

14
Capitolo 1  I principi delle diete

ty). Solo due coltivazioni (patate e mais) sono state autorizzate sul mercato
negli ultimi vent’anni nessuna di queste per alimentazione umana. In Europa
poche coltivazioni GM sono approvate e molti prodotti sono importati o usati
per alimentazione animale (22). Al contrario, in altri paesi come gli Stati Uni-
ti, vale il principio della sostanziale equivalenza, che si basa sul confronto dei
prodotti GM con i consimili naturali. Essi sono riconosciuti generalmente
come sicuri a meno che non differiscano in modo significativo in struttura,
funzione o composizione dalle sostanze che si trovano correntemente negli
alimenti. I vari paesi tendono ad affrontare il problema degli alimenti GM in
base a quattro approcci distinti: promozionale, permissivo, precauzionale e
preventivo. Da una parte vi sono paesi come Perù, Turchia, Ucraina che hanno
regolamenti non restrittivi ed un approccio promozionale, mentre paesi come
Danimarca, Francia e Italia sono più restrittivi ed hanno politiche più preven-
tive. Paesi come il Messico, l’India e gli Stati Uniti sono fra quelli meno re-
strittivi.
Anche se circa 30 anni di ricerca hanno mostrato che le coltivazioni GM
non sono più rischiose di quelle convenzionali, molti paesi dell’Asia e dell’A-
frica sono restii a promuoverne l’uso a causa dei rischi (erroneamente percepi-
ti) e del timore di perdere i mercati di esportazione in Europa.
Nel frattempo, si è consolidato l’uso di Nuove Tecniche di Miglioramento
Genetico (NPBTs, New Plant Breeding Technique(s)). Queste tecnologie si
basano su presupposti più rassicuranti rispetto ai timori legati all’uso dei GM.
Per esempio, recenti progressi nelle tecniche di modifica del genoma (“geno-
ma editing”) consentono l’alterazione di geni endogeni senza trasferire
trans-geni fra specie vicine. In particolare il CRISPR-Cas9 (Clustered Regu-
larly Interspaced Short Palindromic Repeats), un taglia e incolla genetico che
consente la correzione mirata di una sequenza di DNA, si è imposto come uno
dei principali approcci metodologici con cui regolare il genoma dei cereali più
importanti quali riso, frumento, mais e di altri alimenti come banane e manio-
ca (cassava o yuca). La biochimica statunitense Jennifer Douda dell’Universi-
tà di Berkeley, California e la microbiologa francese Emanuelle Charpentier,
oggi al Max Plank Insitute di Berlino si sono aggiudicate il premio Nobel per
la chimica del 2020 per aver scoperto e sviluppato questo metodo.
L’uso di DNA ricombinante (estraneo) negli GM è la ragione principale
delle loro regolazioni molto stringenti. Facendo tesoro di esperienze pregresse,
la strategia dovrebbe essere basata su una comunicazione trasparente dei siste-
mi di innovazione (in particolare, approfondimento ed educazione permanente
dei ricercatori e di altri addetti), oltre che fornire un “corpus” di regole sempli-
ficate, efficienti ed in grado di garantire una informazione consapevole.
La tecnologia CRISPR-Cas9 è già usato, per esempio, per migliorare col-
tivazioni quali riso (con alte rese), frumento (resistente alla siccità) e pomodo-
ri (con maggior aroma). È importante sottolineare una recente sentenza della
Corte di Giustizia Europea, che applica alle coltivazioni che utilizzano tecni-

15
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

che di modifica del genoma (“genoma editing”) le stesse regole dei GM. Que-
sta presa di posizione potrebbe rallentare il suo utilizzo per migliorare le col-
tivazioni, nonostante il suo potenziale per combattere la fame e la povertà.

1.13  Nutrire il cervello

Benché il peso del nostro cervello costituisca in media il 2% del peso cor-
poreo di un adulto, esso consuma il 20-25% dell’energia totale richiesta
dall’organismo. Gli uomini sono unici tra i mammiferi a richiedere un impiego
di energia così importante per il suo funzionamento. Il consumo di glucosio, la
principale fonte di energia per il cervello umano, nei due anni postnatali, è
equivalente a quella di un adulto. Questo zucchero è essenziale per la forma-
zione ed eliminazione (“synaptic pruning”) delle sinapsi. In un adulto il gluco-
sio usato per queste funzioni neurologiche costituisce circa il 10-12% del glu-
cosio totale metabolizzato dal cervello. Nell’infanzia, però, si arriva anche a
picchi del 30%.
La formazione ed il continuo rimodellamento del nostro cervello sono un
processo che dura tutta la vita. Le strutture delle sue proteine si rinnovano in
tempi che possono variare da minuti, a ore o giorni. È perciò necessaria una
sua nutrizione adeguata, dal concepimento alla tarda età.
Oltre al glucosio, sono essenziali il ferro, lo zinco, lo iodio, il rame ed il
selenio. I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dicono che la de-
ficienza di ferro interessa circa due miliardi di persone. Nel corpo umano la
maggior parte è incorporata nell’eme (65%) per il trasporto di ossigeno ed il
resto nella mioglobina o altre proteine, per consentirne l’attività enzimatica. Il
suo accumulo nella tarda età è stato associato all’insorgenza di malattie neuro-
degenerative quali Parkinson e Alzheimer (23). La deficienza di zinco è parti-
colarmente elevata in diete scarse di proteine animali o ricche di mais, che
contiene fitati che interferiscono con il suo assorbimento (24). Una deficienza
di zinco porta a uno sviluppo non appropriato della proliferazione delle cellule
staminali e della differenziazione neuronale. Anche la deficienza di iodio può
essere alla base di danni cerebrali, di sviluppo anomalo dei bambini e del cre-
tinismo. Questo elemento alogeno è essenziale per la produzione della tirossi-
na e della triiodotironina nella ghiandola tiroide.
Tra gli altri minerali presenti in tracce ed essenziali per un sano sviluppo del
nostro organismo e per un suo corretto funzionamento, possiamo ricordare il se-
lenio, un non metallo cofattore critico per enzimi antiossidanti, che protegge dai
radicali liberi e riduce la morte cellulare (apoptosi). Il rame, un altro catione biva-
lente, contribuisce anch’esso all’ attività antiossidante ed al metabolismo della
dopamina. Anche le vitamine della dieta sono necessarie per un salutare funzio-
namento del cervello. Tutte le otto vitamine essenziali del gruppo B giocano un
ruolo critico, in primo luogo come coenzimi nella produzione di energia.

16
Capitolo 1  I principi delle diete

La letteratura scientifica che si occupa di nutrizione è focalizzata in primo


luogo sul folato (vitamina B9) e sulla cobalamina (vitamina B12). Questa ul-
tima è sintetizzata da batteri ed è garantita da una dieta ricca in alimenti di
origine animale. I vegetariani o i soggetti e/o popolazioni con carenze dieteti-
che, sono a rischio per una sua deficienza, che comporta disturbi sensoriali e
legati al movimento, oltre a perdite di memoria. I vegetariani ed i vegani hanno
perciò bisogno di integratori contenenti questa vitamina, così come di ferro,
zinco e acidi grassi a lunga catena.
Le rimanenti vitamine (B1), (B2), (B3), (B5 e (B7) giocano un ruolo chia-
ve nel metabolismo cerebrale e la loro carenza ha ripercussioni sullo sviluppo
neuronale e sul funzionamento cerebrale.
È necessaria anche la vitamina A, la cui carenza comporta cecità, infezioni
ed è correlata ad una aumentata incidenza di mortalità infantile. Anche la coli-
na, un nutriente essenziale identificato più recentemente (nel 1998), è impor-
tante nel primo sviluppo del cervello, nell’apprendimento e nella memoria
nell’età adulta.
Tra i macronutrienti, due acidi grassi, l’acido alfa-linolenico e l’acido lino-
leico, sono essenziali nella nutrizione umana per la sintesi degli acidi grassi
poliinsaturi omega-3 e omega-6. Il nostro cervello è ricco di lipidi; l’acido
docosaesanoico (DHA) è l’acido grasso principale omega-3, mentre l’acido
arachidonico AA lo è per gli omega-6.

1.14  Proprietà nutraceutiche dei carotenoidi

I fitochimici sono una classe di composti bioattivi di derivazione vegetale


e possono essere poi aggiunti agli alimenti. Il loro utilizzo combina i benefici
nutrizionali a vantaggi per la salute. Tra i fitochimici più conosciuti possiamo
ricordare e.g. i carotenoidi, i polifenoli, composti organo solforati e composti
del selenio. I carotenoidi sono pigmenti naturali prodotti da piante, alghe e
batteri, che conferiscono un colore brillante ad alcuni frutti e vegetali. La di-
sposizione degli elettroni pi all’interno dei legami chimici, crea colori gialli,
arancio e rossi grazie al fenomeno della risonanza. Hanno proprietà protettive
nei confronti di patologie neurodegenerative, disturbi cardiovascolari e certe
forme di tumori. Sono sostanze uniche nel loro genere, con una spiccata attivi-
tà antiossidante e perciò proteggono una molteplicità di tessuti del nostro or-
ganismo, specialmente gli occhi, dai danni della luce.
In particolare i carotenoidi hanno un tropismo per la retina, sono nutrienti
derivanti dalla dieta e proteggono gli occhi da molte patologie retiniche, come
la degenerazione maculare. Dato che molte di queste patologie si accompa-
gnano a bassi livelli di carotenoidi, metodi accurati, non invasivi, possono aiu-
tare gli oculisti a identificare i pazienti in grado di beneficiare da una integra-
zione di carotenoidi (25). Nell’uomo la biodisponibilità del beta-carotene

17
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

nelle carote e negli spinaci varia fra il 3%-15%; è quindi importante aumenta-
re la biodisponibilità dei carotenoidi della dieta. Il loro assorbimento dopo un
pasto può essere influenzato da molti fattori, tra cui la ritenzione od il rilascio
dalla matrice dell’alimento, la loro incorporazione nei lipidi della bile, il loro
assorbimento a livello degli epiteli intestinali.
La presenza di lipidi, assieme ai vegetali, ne aumenta in modo sostanziale
la biodisponibilità, data la loro liposolubilità. Si è visto per la prima volta che
l’ingestione di latte fermentato con una bevanda a base di carota, contenente
carotenoidi, ha effetti positivi in questo senso. Il latte fermentato aumenta la
concentrazione di carotenoidi in circolo, quali alfa-carotene, beta-carotene,
licopene e luteina.
Questi risultati indicano che le proteine ed i metaboliti presenti nel latte
fermentato, prodotto dai batteri acidi lattici, aumentando la biodisponibilità
dei carotenoidi, possono migliorare il nostro stato di salute (26). In natura i
carotenoidi sono coinvolti nella fotosintesi, interagendo con la clorofilla; essi
proteggono anche le cellule delle piante agendo come chelanti (“scavengers”)
di radicali liberi.
Il licopene è un idrocarburo poliene lineare di formula C49H56, che contie-
ne 11 doppi legami coniugati e due non coniugati, che danno isomerizzazione a
5-cis, 9-cis, 13-cis o 15-cis, dopo esposizione alla luce e reazioni chimiche.
La molecola di licopene ha una struttura ricca in elettroni, responsabile
delle sue straordinarie capacità antiossidanti. Allo stesso tempo, la presenza di
molti legami coniugati, lo rendono molto sensibile a degradazione e ossidazio-
ne. Le ossidazioni indotte da ossigeno, calore e metalli (Cu2+, Fe3+) causano
la sua degradazione. Analogamente, l’attività di eme-ossigenasi endogene
possono influenzare direttamente o indirettamente lo stesso processo, così
come quelle dei radicali liberi.
In vari frutti e vegetali freschi il licopene è presente in particolare nella
forma strutturalmente stabile (trans), mentre nei prodotti trattati o conservati
in presenza di ossigeno vi sono quantità significative della forma cis.
Questa ultima è la forma caratterizzata da una maggiore attività biologica.
L’incorporazione di una fase oleosa e la formazione di una emulsione licope-
ne-olio sono condizioni favorevoli per aumentare l’isomerizzazione e la sua
biodisponibilità. Molti studi hanno dimostrato che vegetali della specie Al-
lium, Brassica e Raphanus, ricchi in composti contenenti zolfo (alliina nell’a-
glio fresco), possono facilitare la conversione del trans-licopene alla forma cis.
Il licopene è il carotenoide responsabile del colore rosso nelle piante perché
assorbe la luce a una lunghezza d’onda massima a 444, 470 e 502 nanometri.
Lo si trova nei frutti e nei vegetali rossi, come cocomeri, carote, guava, pom-
pelmo rosa, patate dolci, zucche e pomodori. Questi ultimi sono una fonte
particolarmente ricca di questo composto, rappresentando dall’80 al 90% del
contenuto di tutti i carotenoidi presenti nel cibo. I livelli di licopene dipendono
dalla varietà e dal grado di maturazione dei vegetali. Anche la temperatura

18
Capitolo 1  I principi delle diete

ambiente nella fase di maturazione può influenzarne la quantità nei pomodori.


Una diminuzione di circa il 30% caratterizza i vegetali raccolti in estate rispet-
to alle altre stagioni. Questo è giustificato dal fatto che la temperatura ottimale
per la crescita del frutto varia da 16°C a 26°C; al di sopra di questa temperatu-
ra il licopene è convertito in beta-carotene.
L’alta temperatura causa anche la degradazione della matrice cellulare, che
rilascia licopene ai lipidi del cibo. I processi di preparazione degli alimenti, a
caldo, ne aumentano la solubilità e l’assorbimento, senza abbassarne il poten-
ziale antiossidante. I pomodori lavorati, come il ketchup, zuppe, salse e succhi
contengono la più alta quantità di questa sostanza.
Considerando le sue proprietà salutari, quelle di altri vegetali e di salse a
base di pomodori, è chiaro quanto sia significativo il ruolo del “soffritto” (pre-
parato da pomodori, cipolla, sedano, carote e capperi cotti in olio d’oliva)
come componente chiave della dieta Mediterranea (27). Gli alimenti ricchi in
licopene non dovrebbero essere assunti assieme a prodotti contenenti calcio,
poiché quest’ultimo ne diminuisce in modo significativo la biodisponibilità
(circa 80%); è probabile che la causa risieda nelle micelle che lo rivestono
durante la digestione.
Data la sua struttura, esso agisce come antiossidante e questo è alla base
delle sue proprietà salutistiche. Lo stress ossidativo è riconosciuto come un
importante fattore nella eziopatogenesi delle malattie croniche, come disordini
neurodegenerativi, obesità, diabete di tipo 2, cancro e malattie cardiovascolari,
perciò il licopene sembra essere un composto con un ampio spettro salutistico.
Il licopene può quindi essere considerato un potenziale agente terapeutico.
Il maggior consumo di pomodori (e dei loro prodotti) nei paesi europei è ri-
scontrabile in Grecia (163,6 g/die) ed in Spagna (97,6 g/die), mentre in Fran-
cia è minore (22 g/die), in Svezia 32 g/die, in Olanda 16 g/die (28). I dati di-
sponibili per l’Italia (vedi ItalFruit), indicano un consumo domestico, pro
capite, di pomodoro fresco, pari a 40 g/die.

1.15  Alimenti allergizzanti (o allergenici)

L’elenco di alimenti allergenici, stilato dalla Comunità Europea, con obbligo


di etichettatura, include 14 gruppi: cereali contenenti glutine, acheni, arachidi,
soia, uova, latte, alimenti marini, senape, sedano, molluschi, lupini, sesamo e
solfiti, indipendentemente dalla loro quantità (29). Le linee-guida americane
(e.g. FDA) identificano 8 alimenti come allergizzanti e responsabili di almeno il
90% delle reazioni avverse: latte, uova, pesce, crostacei, noccioline e nocciole
(e.g. mandorle, noci comuni, noci di acagiù, noci pecan), grano, soya.
Le allergie alimentari sono molto diffuse e si calcola che possano interes-
sare circa 20 milioni di persone in Europa, circa 2.5 milioni in Italia e 32 mi-
lioni negli USA (2019). La reazione allergica, mediata dalle immunoglobuline

19
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

E (IgE) ha luogo quando il nostro sistema immunitario reagisce in modo pato-


logico alla presenza di alcune proteine presenti nei cibi. Le risposte allergiche
possono essere di varia gravità, da blande reazioni cutanee (e.g. orticaria) a
reazioni gravi che possono mettere a repentaglio la vita (reazione anafilatti-
che), se non trattate opportunamente. Le allergie alimentari non possono esse-
re curate ma la combinazione di una attenta prevenzione e di strategie terapeu-
tiche opportune, garantisce risultati molto promettenti.
È di fondamentale importanza che i soggetti che soffrono di allergie legga-
no con molta attenzione le etichette che indicano quali allergeni sono presenti
e permettono di evitarli. È importante che oltre al nome generico venga ripor-
tata l’origine dell’alimento [e.g. lecitina (soia), farina (grano-frumento)] e che
l’etichettatura indichi che un determinato alimento contiene e.g. latte, soia,
anche se in tracce. Ci sono poi molti ingredienti alimentari che causano reazio-
ni di ipersensibilità-intolleranza, non IgE-mediate, e.g. nausea, vomito diar-
rea; tra questi possiamo ricordare il glutine, coloranti alimentari come il giallo
tartrazina-yellow 5/E102, il sesamo.
La sintomatologia delle reazioni allergiche è molto varia ed include: orti-
caria, prurito, gonfiore delle labbra o lingua, vomito, diarrea, crampi addomi-
nali, difficoltà respiratorie, perdita di coscienza. È importante che i soggetti
che manifestano tali reazioni avverse abbiano pronta disponibilità di strumen-
ti terapeutici efficaci (e.g. iniezione intramuscolare di adrenalina) e che venga-
no seguiti da personale medico esperto.
Siti (web-sites) governativi e privati, facilmente accessibili, forniscono in-
formazioni dettagliate ed esaurienti; www.nhs.uk, www.fda.gov/food-aller-
gies, www.mayoclinic.org/food-allergies, Ministero della Salute - Allergie
alimentari e sicurezza del consumatore.
Recentemente una particolare attenzione è stata focalizzata sul glutine, un
complesso proteico i cui componenti principali sono proteine come la gliadina
e la glutenina; sono presenti in grano, avena, segale e nell’orzo e si prestano,
in particolar modo, per la panificazione, dando gusto e consistenza ottimale al
prodotto finito. In soggetti geneticamente predisposti, la presenza del glutine
causa celiachia (30). In Italia, la AIC (Associazione Italiana Celiachia) rappre-
senta il punto di riferimento per tale patologia. Negli USA, la Celiac Disease
Foundation, in collaborazione con la FDA, fornisce supporto, educazione e
coordina la stesura delle linee guida. Analogo compito ed impegno è portato
avanti in Inghilterra dal National Health Service (vedi www.NHS.UK/condi-
tions/coeliac-disease).
L’allergia alimentare (AA), reazione immunologica avversa al cibo, è una
malattia con elevato impatto sulla qualità di vita dei soggetti che ne sono affet-
ti e dei loro familiari, con costi sanitari rilevanti per l’individuo e per il Sistema
Sanitario Nazionale (31).
Diversamente dalle sostanze tossiche o dagli agenti infettivi, che costitui-
scono un pericolo per la popolazione, nel caso dell’AA sono taluni costituenti

20
Capitolo 1  I principi delle diete

alimentari, innocui per i più, in grado di determinare reazioni immediate o ri-


tardate, da lievi a molto gravi, fino ad essere fatali.
La sintomatologia clinica può essere diversificata in base al coinvolgimen-
to di anticorpi o mediatori cellulari. Quadri clinici, mediati dalle IgE, includo-
no principalmente: shock anafilattico, orticaria-angioedema, manifestazioni
allergiche (orticaria e anafilassi) associate all’esercizio fisico dopo consumo di
un alimento (Food-associated exercise-induced anaphylaxis), disturbi respira-
tori (asma e rinite), sindrome orale allergica (SOA), disturbi a carico del tratto
gastrointestinale. La caratteristica fondamentale è l’immediatezza della loro
insorgenza: i sintomi insorgono a breve distanza dall’assunzione del cibo (1 - 2
ore) e sono tanto più gravi quanto più precocemente insorgono.
Lo shock anafilattico è una reazione sistemica a rapida insorgenza che
coinvolge diversi organi ed apparati e può portare a perdita di conoscenza. È
dovuto alla liberazione immediata di mediatori vasoattivi, come l’istamina ed
i leucotrieni cisteinilici (cys-LT) e può insorgere indipendentemente dall’età.
Come accennato precedentemente, gli alimenti più frequentemente chiamati
in causa sono: frutta secca (arachidi, nocciole), crostacei (gamberi), pesce,
latte, uova.
La diagnostica molecolare (Component Resolved Diagnosis, CRD) ha
consentito di chiarire che la causa di tale reazione sono molecole allergeniche
di natura proteica, particolarmente potenti, che non vengono alterate dalla di-
gestione gastrica.
La SOA, dipendente da pollini o alimenti (Pollen–Food related, OAS), si
caratterizza per l’insorgenza di prurito con edema limitato esclusivamente al
cavo orale.
Nei disturbi gastrointestinali, l’AA IgE-mediata può determinare quadri
clinici gravi (coliche addominali violente e molto dolorose, diarrea, vomito)
che rappresentano uno shock anafilattico localizzato al tratto addominale.
La dermatite atopica è una sindrome caratterizzata da sintomi che possono
manifestarsi in soggetti appartenenti a diverse fasce d’età e diversi apparati;
nello stesso soggetto si possono avere, negli anni, sintomi a carico della cute
(manifestazioni eczematose) con distribuzione diversa e/o dell’apparato respi-
ratorio (l’asma bronchiale è frequente nell’adulto).
Studi recenti condotti soprattutto negli Stati Uniti indicano che i disturbi
indotti da AA interessano fino al 5% dei bambini di età inferiore a 3 anni e
circa il 4% della popolazione adulta. In Europa si calcola che 1-2% degli adul-
ti e 5-8% dei bambini siano interessati da allergie alimentari IgE-mediate.
Come accennato precedentemente, gli alimenti responsabili della stragrande
maggioranza delle allergie alimentari sono: latte, uova, arachidi, pesci, frutta
secca, soia (nei bambini), arachidi, noci, pesci, crostacei, verdura e frutta (ne-
gli adulti).

21
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

Cereali

L’allergia al frumento può manifestarsi per la produzione di IgE specifiche


nei confronti di diverse classi di proteine, dalle gliadine all’alfa-amilasi; alcu-
ne di queste proteine risultano stabili alla denaturazione termica, quindi anco-
ra “tossiche” dopo la cottura o altri trattamenti.

Arachide (Arachis hypogaea)

Le arachidi come tali o sotto forma di derivati, quali olio, la farina, il burro
di arachidi e così via sono spesso all’origine di allergie molto serie, che causa-
no difficoltà respiratorie, edemi della laringe, problemi intestinali e shock ana-
filattico

Soia (Glycine max)

Spesso utilizzata nelle formule destinate all’allattamento dei soggetti aller-


gici al latte vaccino, la soia si è dimostrata a sua volta in grado di indurre
sensibilizzazione.

Frutta a guscio

I principali frutti a guscio coinvolti nelle reazioni allergiche sono la man-


dorla (Amigdalus communis), la nocciola (Corylus avellana), la noce (Juglans
regia), l’anacardo o noce di Acajù (Anacardium occidentale), la noce diPecan
(Corya illinoiensis), la noce del Brasile (Bertholletia excelsa), il pistacchio
(Pistachia vera) e la noce del Queensland (Macadamia ternifolia).

Sedano, sesamo e senape

L’allergia al sedano (Apium graveolens) ha una certa diffusione in Italia,


mentre la sensibilizzazione a sesamo (Sesamum indicum) e senape (Sinapis
alba) presentava fino a qualche anno fa una rilevanza clinica trascurabile. Con
l’avvento della cucina etnica e la diffusione del sesamo, quale ingrediente dei
prodotti da forno ha acquistato maggiore rilevanza.

Allergeni di origine animale

Latte e uova sono i principali responsabili di reazioni allergiche in età pe-


diatrica, mentre i prodotti ittici (pesci, crostacei e molluschi) sono importanti
allergeni dell’età adulta.

22
Capitolo 1  I principi delle diete

Latte

L’allergia al latte è sicuramente la più frequente e conosciuta allergia ali-


mentare; la sua elevata prevalenza deriva dal fatto che i neonati, che non pos-
sono essere allattati al seno, vengono alimentati con formule a base di latte
vaccino.

Uova

Anche le uova sono frequentemente coinvolte nelle forme allergiche infan-


tili e come per il latte, si osserva una tendenza a sviluppare tolleranza nei primi
anni di vita. I principali allergeni dell’uovo sono tutte le proteine dell’albume
e di queste il lisozima sembrerebbe responsabile della sensibilizzazione solo
in un limitato numero di soggetti. Anche nel tuorlo sono state presenti proteine
allergeniche.

Pesci

I pesci rappresentano una complessa classe di alimenti, con analogie strut-


turali (relazioni filogenetiche) molto diversificate. L’allergia al pesce è ben
conosciuta e si manifesta principalmente in età adulta. Nonostante il numero
molto elevato di pesci inclusi nella dieta mondiale, solo alcuni allergeni di
origine ittica sono stati identificati dal punto di vista molecolare; tra questi,
quello meglio caratterizzato è la parvalbumina del merluzzo,
L’Europa e gli Stati Uniti hanno recepito negli ultimi anni le istanze delle
associazioni di consumatori e delle società scientifiche, promulgando leggi e
regolamenti concernenti la etichettatura degli alimenti. In Europa, la normati-
va riguardante gli allergeni alimentari è stata pubblicata nel 2003 (32).

1.16  I nitrati della dieta e la performance fisica

L’ossido nitrico (anche monossido di azoto, NO) rappresenta un caso par-


ticolare di gas farmacologicamente attivo caratterizzato da una molteplicità di
ruoli importanti nel nostro organismo. Per la sua scoperta, è stato attribuito a
R. Furchgott, L. Ignarro e F. Murad, il Premio Nobel per la Medicina e la Fi-
siologia, nel 1998 (33). Una carente produzione di NO (per esempio nell’an-
ziano o in varie condizioni patologiche) può avere un impatto negativo sulla
salute e sulla performance fisica (34). Oltre alla produzione per via endogena,
attraverso l’ossidazione della L-arginina, NO può essere formato per via non
enzimatica attraverso la riduzione di nitrato a nitrito; una biodisponibilità otti-
male di questi anioni può essere garantita attraverso il consumo di alimenti
ricchi in nitrati, come i vegetali a foglia verde.

23
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

Studi recenti indicano che l’assunzione di nitrati con la dieta, ad es. sotto
forma di succo di barbabietola, può migliorare l’efficienza muscolare:
a) riducendo il consumo di O2 in condizioni di esercizio sub massimale e
migliorando quindi la “performance” di resistenza;
b) aumentando la contrattilità dei muscoli e la capacità di effettuare scatti
improvvisi e veloci (sprint).
Molti atleti utilizzano una dieta bilanciata, per mantenere uno stato di sa-
lute adeguato e ricorrono ad integratori per migliorare le prestazioni durante le
competizioni. Esempi di questi integratori includono caffeina, creatina, bicar-
bonato di sodio, beta-alanina e più recentemente nitrati inorganici.
Questi ultimi, a differenza di altri integratori, possono dare anche benefici
cardiovascolari grazie ad un controllo ottimale della pressione sistemica.
Il nitrato inorganico è un componente naturale presente negli alimenti, so-
prattutto dei vegetali a foglia verde e viene utilizzato per preservare prodotti
come le carni trasformate-conservate.
Per molti anni, seppur a dispetto di deboli evidenze scientifiche, il nitrato
NO3 meno ed il nitrito NO2 meno, sono stati considerati cancerogeni; eviden-
ze recenti e ben documentate (35) indicano che il nitrato può essere considera-
to un componente chiave, bioattivo, ad es. nelle insalate, il cui consumo è
consigliato per migliorare la propria salute. Questo ha portato ad una rivaluta-
zione dei rischi e benefici dei nitrati della dieta.

1.17  Produzione e metabolismo di ossido nitrico

L-arginina e O2 producono ossido nitrico (NO) a seguito di una reazione


catalizzata dall’enzima NO sintasi (NOs) con co-produzione di citrullina, che
può essere riciclata in modo efficiente a L-arginina.  NO ha una emivita molto
breve (circa un secondo) e può essere rapidamente ossidato per formare NO2
meno e NO3 meno. Questo ultimo può essere ridotto a NO meno da batteri
anaerobici presenti nella cavità orale.
NO2 meno può subire una ulteriore riduzione a NO in condizioni acide e
di ipossia, come quelle che hanno luogo nella muscolatura scheletrica durante
lo sforzo. Il consumo di alimenti ricchi in NO3 meno aumenta in modo signi-
ficativo la capacità del nostro organismo di immagazzinare questa sostanza (e
di conseguenza la biodisponibilità di NO), attraverso un processo a cascata.  
L’ossido nitrico è un gas, un radicale libero ubiquitario, che gioca un ruolo
critico e multifunzionale in processi quali vasodilatazione, attivazione piastri-
nica, respirazione mitocondriale, omeostasi di glucosio e calcio e non ultimo,
contrattilità dei muscoli scheletrici, in particolare in condizioni di prolungato
affaticamento.
Lo US-National Research Council ha pubblicato nel 1981 (anno in cui è
stato scoperto il NO) un documento intitolato “The Health Effects of Nitrate,

24
Capitolo 1  I principi delle diete

Nitrite and N-nitroso Compounds” in cui si certifica che l’assunzione media,


complessiva, di nitriti e nitrati, da cibo, negli Stati Uniti è quantizzabile rispet-
tivamente in 0,77 e 76 mg al giorno.
Come accennato precedentemente, la sicurezza alimentare di nitriti e nitra-
ti è un tema dibattuto, che richiede attenzione. La tossicità acuta, i.e. indice di
esposizione, è definita dai livelli plasmatici di metaemoglobina (metaemoglo-
binemia). La dose letale di nitrito è considerata pari a 22-23 mg/kg di peso
corporeo. Questa dose è circa 150 volte più alta di quella usata a scopo tera-
peutico. Il nitrato, d’altra parte, è relativamente innocuo.
La preoccupazione principale è la potenziale formazione di n-nitroso ammi-
ne, alcune delle quali sono cancerogene. Il primo studio sugli effetti cancerogeni
della N-nitroso-dimetilammina e l’ipotesi che N-nitrosoammine a basso peso
molecolare potessero formarsi dopo nitrosazione di varie ammine, ha destato
molto scalpore (36). La prova diretta che tale nitrosazione può aver luogo con
nitrito presente negli alimenti, fu fornita da Ender e collaboratori (37), che iden-
tificarono la N-nitroso-dimetilammina in pesce conservato con nitrito.
A loro volta Sander e coll. hanno dimostrato la formazione “in vivo” di ni-
trosammine nell’ambiente acido dello stomaco, nell’uomo (38). A partire dagli
anni ottanta sono stati pubblicati numerosi lavori scientifici sull’associazione di
N-nitrosoammine e certe forme di neoplasie, in particolare di cancro colon-ret-
tale, in soggetti che consumavano carne rossa senza l’apporto di una quantità
sufficiente di vitamina C (39). Come ha affermato Paracelso, è “la dose che fa il
veleno”. Ci sono oggi prove chiare e incontrovertibili che i nitriti e nitrati della
dieta migliorano il nostro stato di salute, ad es. abbassando la pressione sistemi-
ca di almeno 5 mm Hg. Tali dosi sono ben al di sotto di quelle tossiche o letali!.
In definitiva i benefici sono di gran lunga superiori ai rischi.

1.18  Nitrati e nitriti negli alimenti

La percezione (diffidenza…sospetto) che il consumatore manifesta nei


confronti dei prodotti della carne trattata con nitriti (insaccati) è un fenomeno
paradossale, quasi senza precedenti.
I nitriti restano fra i più temuti additivi presenti nei cibi mentre le fonti
vegetali contenenti nitrati concentrati, quali i succhi di barbabietola, sono ac-
cettate in assoluta tranquillità dallo stesso pubblico che ha orrore della loro
presenza nella carne (40).
Benché le fonti di nitriti-nitrati derivate dalle piante siano incorporate nel-
la matrice dell’alimento al posto delle fonti tradizionali (cioè sintetiche, eso-
gene), questi composti vengono aggiunti per avere gli stessi risultati organolet-
tici e sono indistinguibili a livello molecolare.
I nitriti e meno comunemente i nitrati, sono usati per conferire proprietà
uniche ai prodotti finali. Queste proprietà consistono in: a) aumento dell’aro-

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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

ma e del gusto, b) fissazione dei pigmenti, c) potenziale antimicrobico, d) con-


servazione prolungata.
Per quanto riguarda la gamma di concentrazioni del nitrito, 10-15 ppm
(parti per milione) sono necessari per la fissazione dei pigmenti e garantire la
stabilità dei prodotti commerciali, 20-50 ppm sono richiesti per ritardare l’ir-
rancidimento, 50 ppm per lo sviluppo di un aroma appropriato e 40-80 ppm
per inibire la crescita del Clostridium botulinum.
Una volta aggiunti alla carne, i nitriti vanno incontro ad un complesso destino
chimico-metabolico: reazione con le eme-proteine (5-15%), reazione con le non
eme-proteine (20-30%), reazione con alfa amino acidi liberi per formare azoto
gassoso (1-5%), reazione con gruppi solfidrilici (5-15%) e con lipidi (1-5%).
Il nitrito influenza spiccatamente l’aroma, impedendo l’ossidazione dei
lipidi e la corrispondente formazione di sottoprodotti indesiderabili, come esa-
nale e 2,4-decadienale.
Il nitrito, come agente batteriostatico, impedisce la formazione di organi-
smi che peggiorano la qualità del cibo e promuovono l’insorgenza dei patoge-
ni principali, come il Clostridium botulinum.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization,
WHO) ha stabilito, come assunzione quotidiana ammissibile (Acceptable
Daily Intake, ADI), valori pari a 0,0-0,07 e 0,0-3,7 mg/Kg/die per l’ingestione
cumulativa di nitriti e di nitrati, rispettivamente. Usando, come riferimento, i
valori più alti di ADI, un individuo sano di 60 kg di peso corporeo può consu-
mare senza problemi fino a 4,2 mg di nitrito al giorno.
In termini di ingestione di nitrati, è importante notare che circa l’80-85%
di nitrati della dieta derivano da fonti vegetali e non da carne trattata. La por-
zione media di spinaci nell’insalata può superare da sola questo valore e chi
segue diete specifiche come la DASH (Dietary Approaches to Stop Hyperte-
sion), può andare oltre la ADI per i nitrati.
I nitrati, indipendentemente dalla loro origine, sono ridotti a nitriti dai bat-
teri commensali, i.e. batteri che sono presenti sulla superfice dorsale della lin-
gua e possiedono una biodisponibilità assoluta che può raggiungere il 100%.
Si valuta che circa il 25% di nitrati della dieta sia secreto nella saliva e che
circa il 20% (5-8% dell’assunzione di nitrato totale) sia successivamente ridot-
to a nitrito. Questo nitrito diventa una fonte di NO. I risultati di studi clinici
epidemiologici (trials) a breve temine indicano che i nitrati della dieta possono
abbassare la pressione del sangue e migliorare la funzione vascolare. Inoltre è
stata messo in luce un legame fra diete ricche in vegetali, in particolare vege-
tali a foglia larga (green leaves vegetables) e un minor rischio di malattie car-
diovascolari (41).
Gli studi epidemiologici che hanno preso in considerazione l’esistenza di
una possibile correlazione fra l’assunzione di nitrati da vegetali e la protezione
da mortalità cardiovascolare sono invece ancora poco numerosi ed incompleti;
è quindi impossibile trarre conclusioni ben documentate.

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Capitolo 1  I principi delle diete

A questo proposito, uno studio recente di coorte (un studio di tipo osserva-
zionale) che merita, comunque, attenzione è stato condotto in Australia, su
soggetti anziani, di sesso femminile. Esso documenta che una più alta assun-
zione di nitrati vegetali. è associata ad un minore rischio di mortalità in pazien-
ti affetti da coronaropatia aterosclerotica e da episodi ischemici cerebrovasco-
lari (42).
E stato anche studiato l’effetto dell’assunzione giornaliera di 300 mg di
nitrati provenienti da vegetali a foglia verde o da integratori alimentari, per la
durata di 5 settimane, sulla pressione sistemica in soggetti normali o ipertesi. 
I risultati hanno mostrato che non vi è riduzione della pressione in soggetti
normali o ipertesi rispetto a chi segue diete povere in nitrati. Ricordiamo che
la Società Europea di Cardiologia definisce come normali i seguenti valo-
ri: pressione sistolica, 130-139 mmm Hg; diastolica 85-89 mm Hg.  Per quan-
to concerne l’ipertensione, rispettivamente 140-159 mm Hg e 90-99 mm Hg
(43). I nitriti presenti nella saliva reagiscono in soluzione con ammine secon-
darie e terziarie, ammidi N-sostituite, carbammati. Quando questo avviene, si
producono N-nitrosammine nel tratto gastrointestinale. Tuttavia, composti
come polifenoli, vitamine C ed E ed altri antiossidanti, largamente presenti nei
vegetali ne inibiscono la formazione. Si ritiene che la fonte maggiore di espo-
sizione alle nitrosammine, sia la fonte endogena, favorita dall’ambiente acido
dello stomaco.
Questo effetto del pH è stato confermato dall’incapacità di formare nitro-
sammine in un ambiente a pH neutro del colon, anche in presenza di ammine
secondarie.
La catalogazione di N-nitroso composti come cancerogeni, determina la
forte domanda dei consumatori per sostituire i nitriti negli alimenti, in modo
da minimizzarne l’esposizione.
Gli sforzi per ridurre l’esposizione a nitrati e nitriti negli alimenti non si
limitano ai prodotti trattati della carne.
In agronomia si è realizzata con successo la coltivazione di lattuga esente
da nitrati ed i livelli di nitriti nei sottaceti sono stati ridotti del 97% grazie
all’inclusione di funghi (Boletus edulis) che contengono la nitrato reduttasi.

1.19 Ingredienti alimentari che migliorano lo stato di


salute

Il concetto di alimento funzionale ha origine per la prima volta in Giappo-


ne, a seguito di un grande programma di ricerca legato a nuove funzionalità del
cibo (44).
In genere il cibo assolve tre funzioni principali: a) la nutrizione, che è ne-
cessaria per le attività essenziali del nostro organismo; b) il valore edonistico,
legato alle proprietà sensoriali, che produce sensazioni desiderate; c) gli effet-

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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete

ti legati al miglioramento della nostra salute, al di là della nutrizione di base,


come ad esempio gli effetti protettivi contro le malattie croniche (45).
La più grande sfida per il futuro è rappresentata dalla disponibilità del cibo
ed “…il diritto all’accesso fisico ed economico al cibo per tutti, in ogni mo-
mento” (dichiarazione FAO), oltre al diritto ad un “cibo sano” per prevenire
malattie legate allo stile di vita, in particolare patologie cardiovascolari, infar-
to e ipertensione fra le altre.
È ancora difficile definire chiaramente quali alimenti possano essere con-
siderati funzionali, perché ci troviamo di fronte ad una diffusa disinformazio-
ne, presente in particolare nelle reti sociali che cercano di promuovere il mar-
keting, danno un risalto eccessivo alle reali funzionalità dei cibi e cercano di
convertirli in farmaci.
Il mercato del cibo funzionale è molto dinamico ed in continuo aumento,
poiché al giorno d’oggi il consumatore preferisce diete bilanciate nelle quali
può essere incluso il cibo funzionale. Questo mercato è stato pari a circa 150
miliardi di $ nel 2018 e si pensa che possa crescere fino a raggiungere i 260
miliardi di dollari nel 2025, con un tasso di crescita annuale composto (CAGR,
Compound Annual Growth Rate) del 6,85% durante il periodo 2019-2025.
I polifenoli sono ubiquitari nelle piante e giocano un ruolo significativo fra
gli ingredienti che promuovono la salute. La loro attività biologica è stata og-
getto di moltissimi studi negli ultimi 20 anni così come le interazioni con i
microbiota intestinali e la loro biodisponibilità e metabolismo.
Vi è una correlazione diretta fra il consumo di cibi ricchi in polifenoli e la
riduzione di malattie cardiovascolari (CVDs, CardioVascular Diseases), in
corrispondenza con i loro effetti anti-infiammatori, antitrombotici e vasodila-
tatori.
Le proantocianidine (PA) o tannini condensati sono strutture fenoliche po-
limeriche che si trovano comunemente nei frutti e negli acheni; hanno attività
antitumorali e citotossiche sulle cellule cancerose, così come effetti protettivi
contro CVDs e diabete di tipo 2.
Un esempio è quello del melograno (o melagrana), un frutto noto per esse-
re ricco in ellagitannini e antocianine. Uno studio recente, ha dimostrato che il
melograno contiene una quantità significativa di PA, sotto forma di una misce-
la complessa di diversi flavan-3-oli monomeri, incluse catechina, epicatechi-
na, epigallocatechina. Queste ultime sono state identificate nelle parti comme-
stibili del frutto solo recentemente, grazie alla messa a punto di tecniche
analitiche ad alta sensibilità e specificità. Lo studio ha mostrato che le PA del
melograno comprendono soprattutto monomeri e dimeri, che potrebbero avere
una più alta biodisponibilità e quindi un maggiore potenziale per le loro pro-
prietà funzionali (46).
Nutrienti antiossidanti come i polifenoli, presenti nel succo di melograno,
possono prevenire il danno neuronale causato dai radicali liberi prodotti du-
rante il normale metabolismo. Questo studio è stato condotto per 12 mesi su

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Capitolo 1  I principi delle diete

soggetti adulti ed anziani, a cui sono stati somministrati ogni giorno 236 ml di
succo. L’assunzione quotidiana ha stabilizzato la capacità di mantenere l’in-
formazione visiva e potrebbe correggere la perdita di memoria legata all’in-
vecchiamento (47). I fattori critici che possono garantirne una funzionalità
biologica ottimale sono due: a) il tipo di metaboliti, b) il loro assorbimento nel
tratto gastrointestinale.
Ad esempio, per quanto riguarda i sali biliari, che giocano un ruolo nella
digestione dei lipidi, è stato suggerito che il loro corretto funzionamento venga
modulato dal contenuto delle fibre della dieta (Diet Fibers, DF) e dagli effetti
dei microbiota intestinali. Infatti, DF legano gli acidi biliari nel tratto gastroin-
testinale, aiutando in questo modo a ridurre il riassorbimento del colesterolo
nel sangue.
E noto che acidi fenolici, flavonoidi ed altri polifenoli coniugati hanno un
ruolo nel prevenire l’ossidazione di lipoproteine a bassa densità (LDL) legan-
dosi alle proteine di trasporto ed evitando in questo modo la formazione di
placche che protrudono nel lume delle arterie, il primo stadio dell’aterosclero-
si.
Tra i polifenoli, l’acido ellagico e la quercetina hanno una spiccata capaci-
tà di legare (“binding”) le LDL e l’albumina.
Per quanto riguarda l’invecchiamento, l’acido cicorico, uno degli acidi
idrossicinnamici, un dicaffeoilestere presente in molte piante e soprattutto nel-
la famiglia delle Asteraceae (cicoria, basilico), è ben conosciuto per le sue
proprietà antinfiammatorie e immunostimolanti. Inoltre è stato anche dimo-
strato che le sue proprietà  bi-funzionali favoriscono l’allungamento di vita
della Caenorhabditis elegans, un piccolo verme nematode che vive nel suolo;
tale effetto è associato ad una maggiore resistenza allo stress, come risultato
della riduzione “in vivo” di specie reattive dell’ossigeno (Reactive Oxygen
Species, ROS) (48).
Studi sperimentali, condotti nei roditori (topo), hanno messo in evidenza
che una dieta arricchita con polpa di fragole intere, ha un effetto protettivo
contro la colite indotta. La polvere essiccata a freddo è ricca in antocianine,
flavonoli, flavan-3-oli e ellagitannini che hanno attività antinfiammatoria e
mucoprotettiva. Tali effetti si associano altresì ad una ridotta alterazione del
microbiota intestinale nel topo, aumentando la quota di batteri benefici (Bifi-
dobacterium e Lactobacillus) e diminuendo quelli dannosi (49).

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