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Medical Stars: Blue Sky thinking at the point of care

L’ago della bilancia


In equilibrio tra la pratica clinica, il vissuto della persona
con obesità e l’evidenza scientifica

Cristina Parrino

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L’ago della bilancia

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L’ago della bilancia
In equilibrio tra la pratica clinica,
il vissuto della persona con obesità
e l’evidenza scientifica
Cristina Parrino

III
L’ago della bilancia
Cristina Parrino,

ISBN 978-88-6756-710-2

Indirizzo e-mail: shcmilan@springer.com

Via Decembrio, 28 © 2022 Springer Healthcare Italia S.r.l.


20137 Milano Pubblicato nel mese di novembre 2022
www.springerhealthcare.it Hanno collaborato alla revisione di questo testo Alessandro
Gallo, Filippo Polcaro, Eleonora Zanaboni.
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Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della
fantasia dell’autrice. Qualsiasi somiglianza con persone reali,
viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi pura-
mente casuale.

IV
L’autrice

Dott.ssa Cristina Parrino

Medico Specialista in Endocrinologia e Malattie del Meta-


bolismo, ha conseguito un Master Universitario in Scienza
dell’Alimentazione e Dietetica Applicata e ha ottenuto il rico-
noscimento di SCOPE National Fellow da parte della World
Obesity Federation.
Si occupa della cura delle persone con obesità dal 2010. Ne-
gli anni ha maturato esperienza professionale a livello nazio-
nale e internazionale in ambito clinico, presso strutture ospe-
daliere e ambulatoriali, ha preso parte e ha condotto progetti
di ricerca e ha ricoperto ruoli medici nell’industria farmaceu-
tica nell’area terapeutica dell’obesità.
È autrice di pubblicazioni scientifiche su giornali interna-
zionali peer-reviewed e dal 2019 svolge il ruolo di Section Edi-
tor dell’area Endo-Diabete del giornale online di Springer
“Medici Oggi”.
Attualmente presta servizio come Specialista Ambulatoria-
le nella branca di Endocrinologia presso la ASL di Rieti e la
ASL di Viterbo e pratica la libera professione a Roma, presso il
Centro Medico Santagostino, e a Ragusa.

V
Indice

Prefazione IX

Introduzione XI

CAPITOLO 1 1
1.1 Riflessioni dalla pratica clinica: La presa di coscienza
e la ricerca di aiuto 2
1.2 Storia narrata: Lo specchio di Mara 5
1.3 Evidenza scientifica: L’obesità è una malattia? 6
Scheda pratica n.1: La diagnosi di obesità 8

CAPITOLO 2 11
2.1 Riflessioni dalla pratica clinica: Accogliere la persona
con obesità 12
2.2 Storia narrata: Mario e il bottone 14
2.3 Evidenza scientifica: Cosa è lo stigma sociale dell’obesità? 15
Scheda pratica n.2: L’impegno contro lo stigma per l’obesità 19

CAPITOLO 3 23
3.1 Riflessioni dalla pratica clinica: L’anamnesi e l’esame obiettivo 24
3.2 Storia narrata: Luisa, le domande e le risposte 30
3.3 Evidenza scientifica: Che “peso” ha la genetica dell’obesità? 32
Scheda pratica n.3: L’acanthosis nigricans 34

CAPITOLO 4 39
4.1 Riflessioni dalla pratica clinica: Le complicanze dell’obesità 40
4.2 Storia narrata: Alberto con il cuore sull’orlo del precipizio 43
4.3 Evidenza scientifica: Quali parametri valutare per individuare
le complicanze? 44
Scheda pratica n.4: L’Edmonton Obesity Staging System 46

CAPITOLO 5 51
5.1 Riflessioni dalla pratica clinica: L’obesità nel bambino e
all’adolescente 52
5.2 Storia narrata: Andrea e Marisa, quando uno più uno
è uguale a tre 54
5.3 Evidenza scientifica: L’approccio all’obesità in età infantile e
adolescenziale ha delle peculiarità? 56

VII
Indice

Scheda pratica n.5: L’uso delle curve per la diagnosi di sovrappeso


e obesità 61

CAPITOLO 6 65
6.1 Riflessioni dalla pratica clinica: La terapia dietetica 66
6.2 Storia narrata: Il peso “social” di Angela 70
6.3 Evidenza scientifica: Cosa è la dieta chetogenica a bassissimo
contenuto calorico? 72
Scheda pratica n.6: Il protocollo Very Low-Calorie Ketogenic Diet 76

CAPITOLO 7 81
7.1 Riflessioni dalla pratica clinica: La terapia farmacologica 82
7.2 Storia narrata: Rose è in barca a vela 84
7.3 Evidenza scientifica: Quali sono i farmaci per il trattamento
dell’obesità in Italia? 86
Scheda pratica n.7: Schede tecniche dei farmaci e regole
per la sospensione 91

CAPITOLO 8 95
8.1 Riflessioni dalla pratica clinica: La terapia chirurgica 96
8.2 Storia narrata: Giovanni ha il sole in tasca 100
8.3 Evidenza scientifica: Quali sono i benefici e le complicanze
della chirurgia? 101
Scheda pratica n.8: La supplementazione nutrizionale
post-chirurgia 107

CAPITOLO 9 111
9.1 Riflessioni dalla pratica clinica: L’infezione da SARS-CoV-2 112
9.2 Storia narrata: Bruno dietro l’oblò 114
9.3 Evidenza scientifica: COVID e obesità, quali effetti? 116
Scheda pratica n.9: Consigli pratici per le persone con obesità
durante la pandemia 120

VIII
Prefazione
Nunzia Caporarello, Ph.D.
Assistant Professor of Physiology
Department of Physiology and Biomedical Engineering
Mayo Clinic, Rochester, MN (USA)

Non esistono eroi con la pancia. Nell’immaginario collettivo, il “gras-


sottello” è relegato a personaggi minori: quando non è il cattivo, è l’amico
bonaccione e tontolone, spesso impicciato e pigro e sempre pronto ad uno
spuntino e mai all’azione.
Questo schema si ripete in continuazione in ogni narrativa, tanto che
siamo arrivati ad identificare un vero a proprio stigma sociale nei confron-
ti delle persone affette da obesità.
Le persone con obesità fanno più fatica a trovare un lavoro perché sono
considerate spesso prive di forza di volontà e disponibilità all’impegno,
quindi lavoratori di “scarso” valore. Con questi presupposti, non è difficile
immaginare la marginalizzazione di questi soggetti.
Nonostante il dibattito sia stato molto acceso per anni, l’obesità è a
tutti gli effetti una patologia cronica e spesso associata al termine “pande-
mia”, perché i numeri sono in continua crescita in tutto il mondo. Ma
quante sono le diagnosi effettive di obesità? Ebbene, nella maggior parte
dei casi ci si limita a diagnosi verbali che non risolvono le criticità della
condizione e sono complicate da difficoltà comunicative tra clinici e pa-
zienti, che magari giungono all’operatore sanitario per motivi diversi dalla
ricerca di perdita di peso.
Talvolta, sembra manchi consapevolezza sia da parte dei sanitari, vitti-
me dello stigma e spinti da esso a dedicare meno tempo ai pazienti con
obesità; sia da parte dei pazienti stessi che magari si abbandonano alla loro
condizione e, sentendosi giudicati ed incompresi, rifuggono il rapporto
con gli operatori stessi.
Curare una persona con obesità vuol dire accoglierla e considerare tut-
ti gli aspetti che l’hanno portata a soffrirne: biologici, psicologici, genetici,
sociali e persino politici.
Con questo testo possiamo imparare qualcosa sulla nuova percezione
che dovremmo avere delle persone con obesità e che non esiste una strate-
gia univoca per affrontare questa patologia, ma esistono delle basi comuni
da cui iniziare, conoscendo le principali problematiche correlate a diagno-
si, dietoterapia, trattamenti farmacologici e chirurgia.

IX
X
Introduzione
Marianna Pasqua
Editorial Project Manager presso Springer Healthcare Italia e Biologa
Nutrizionista

“Per le persone grasse la vergogna è come ossigeno: ci siamo dentro


come pesci nel mare e spesso non ce ne accorgiamo, tanto è la nostra
normalità. Viviamo nella speranza che la nostra condizione sia transito-
ria, che prima o poi ci libereremo di questo fardello che ci rende target
facilmente identificabili, ma allo stesso tempo invisibili.”
Dalla prefazione di “Fat Shame” di Amy Erdman Farrell a cura di
Belle di faccia.
L’obesità è una patologia epidemica e rappresenta uno dei maggiori
problemi per la sanità pubblica. Le cause sono da ricercarsi in fattori gene-
tici, ambientali e psicologici. (1)
Uno degli obiettivi primari nella gestione del paziente con obesità deve
mirare alla prevenzione primaria per cercare di promuovere un migliora-
mento della qualità della vita dei pazienti arginando, difatti, i costi dettati
dalle comorbidità.
L’obesità rappresenta un fattore di rischio per infezioni respiratorie e la
pandemia da Sars-CoV-2 ha confermato la fragilità dei pazienti che ne
sono affetti. L’infiammazione cronica, causata dalla presenza di massa
grassa in eccesso, potrebbe aver esacerbato la risposta immunitaria alla
COVID-19, favorendo l’insorgenza di sintomi gravi. (2)
Considerando l’origine complessa della patologia e volendo andare ol-
tre la superficie del problema, dobbiamo superare il concetto basato sulla
responsabilità personale del singolo che ingrassa perché non rispetta delle
regole. (3)
Lo stigma sociale peso-correlato può addirittura inasprire la condizio-
ne e favorire la presenza di stress con un rischio aumentato di depressione,
ansia e suicidi (4). Questa problematica è presente anche in ambito sanita-
rio e rientra tra uno dei motivi per cui la prevenzione primaria finora con-
dotta non ha portato ai risultati sperati in termini di perdita di peso e ridu-
zione dei rischi associati alla condizione di obesità: alcuni studi riportano
che i professionisti sanitari tendono a dedicare meno tempo e accuratezza
ai loro pazienti con obesità, così questi tendono a ridurre il loro accesso
alle cure, in quanto discriminati. (1)
Questo scenario non fa che complicare il quadro della salute e ritardare
le sottomissioni ad esami di screening.
Le cause dello stigma clinico sono influenzate da aspetti socio-econo-
mici e culturali, siamo tutti abituati a pensare che il peso sia un fattore
controllabile interamente dall’individuo, assumendo che le persone con
obesità siano solo golose, pigre e senza forza di volontà, come se la condi-
zione si possa contrastare mangiando meno e praticando più attività fisica.

XI
L’ago della bilancia C. Parrino

L’adipe in eccesso diventa quasi un tratto caratteriale che rende le persone


affette da obesità colpevoli. In questo contesto si sviluppano le cattive po-
litiche di salute pubblica, che non favoriscono l’accesso a trattamenti e non
potenziano la ricerca in tale ambito.
L’obiettivo verso cui tendere è quello di non considerare il paziente con
obesità colpevole della propria malattia, nella patogenesi troviamo fattori
genetici ed epigenetici, sostenuti da un alterato meccanismo neuro-endo-
crino di regolazione del peso corporeo e bisogna considerare che il corpo
umano tende sempre all’omeostasi, quindi si opporrà al calo ponderale
prolungato. Ragion per cui, un incremento di peso smisurato è stato reso
possibile da una serie di eventi consequenziali che si sono manifestati in
un particolare periodo della vita di queste persone affette da obesità ma
che hanno raggiunto una sorta di equilibrio. Tale equilibrio potrà anche
permettere loro di mantenere una sorta di stato di salute a cui mirare senza
focalizzarsi sul peso ideale calcolato attraverso formule matematiche. Al-
cuni studi hanno infatti dimostrato che un calo ponderale del 5-10% sia
sufficiente a diminuire il rischio cardiovascolare. (5)
Soprattutto in ambito sanitario dovremmo focalizzarci su una valuta-
zione multidisciplinare delle persone con obesità, dovremmo visualizzare
la persona che c’è dietro l’immaginario collettivo di “grasso”. Cambiando
prospettiva, invece che sottoporre uno schema dietetico di difficile appli-
cazione nel lungo termine, potremmo analizzare il problema a 360° e otte-
nere come conseguenza di questi sforzi il calo ponderale tanto agognato ed
una diminuzione del rischio di comorbidità.
Questo libro si sviluppa in quest’ottica trasversale ed inclusiva, sup-
portato dalla medicina narrativa che mette al centro l’esperienza reale dei
pazienti.
Il testo si articola in 9 capitoli e come un ago della bilancia oscilla tra
la pratica clinica e le evidenze scientifiche passando per le storie narrate
dei pazienti.
Dalla pratica clinica nascono spunti di riflessione che ci spingono a
riflettere sui concetti di diagnosi, anamnesi e gestione dei pazienti con
obesità. Le storie narrate ci forniscono uno scorcio della vita reale, un’im-
medesimazione di quella che a molti sembra una condizione scelta e le
evidenze scientifiche ci forniscono i dati e risposte.
Le schede pratiche alla fine di ogni capitolo ne approfondiscono i temi
ed offrono le conoscenze basilari per trattare un paziente affetto da obesità.

Bibliografia
1. Italian health policy brief – Lo stigma clinic nell’obesità. Anno X – speciale
2020
2. Kwok S, Adam S, Ho JH et al. Obesity: A critical risk factor in the COVID-19
pandemic. Clin Obes. 2020 Dec;10(6):e12403. doi: 10.1111/cob.12403. Epub
2020 Aug 28. PMID: 32857454; PMCID: PMC7460880.
3. Brewis A, Sturtz Sreetharan C, Wutich A. Obesity stigma as a globalizing health
challenge. Global. Health 2018;14:20.

XII
L’ago della bilancia C. Parrino

4. Rubino F et al. Joint international consensus statement for ending stigma of


obesity. Nature Medicine 2020;26:485-497.
5. Durrer Schutz D, Busetto L, Dicker D. et al. European Practical and Pa-
tient-Centred Guidelines for Adult Obesity Management in Primary Care. Obes
Facts. 2019;12(1):40-66. doi: 10.1159/000496183. Epub 2019 Jan 23. PMID:
30673677; PMCID: PMC6465693.

XIII
CAPITOLO

1
1.1 Riflessioni dalla pratica clinica: La presa
di coscienza e la ricerca di aiuto
1.2 Storia narrata: Lo specchio di Mara
1.3 Evidenza scientifica: L’obesità è una
malattia?
Scheda pratica n.1: La diagnosi di obesità

1
L’ago della bilancia C. Parrino

1.1 R
 iflessioni dalla pratica clinica: La presa
di coscienza e la ricerca di aiuto
I professionisti sanitari che decideranno di occuparsi di eccesso ponde-
rale apprenderanno, nel corso della propria carriera, che la richiesta di
aiuto da parte delle persone con obesità può avere tempi e caratteristiche
molto differenti.
Spesso si incontreranno persone che hanno provato, anche per periodi
molto lunghi, a trovare una soluzione in autonomia, consultando parenti e
amici, seguendo diete “mono-alimento”, raccogliendo informazioni online
o sottoponendosi a numerose rinunce. Altre volte, invece, ci si confronterà
con persone che vivono l’eccesso ponderale come una punizione o uno
stato irreversibile al quale rassegnarsi, privandosi anche di attività quoti-
diane semplici come fare una passeggiata, acquistare un abito nuovo o
prendere in braccio i propri figli. In questi casi è possibile che i professio-
nisti sanitari siano chiamati ad interagire con i familiari o gli amici che si
presentano come portatori della richiesta di aiuto.
Non raramente, giungeranno all’attenzione dei sanitari anche persone
che percepiscono l’obesità come uno stato da cui allontanarsi con estrema
rapidità e manifestano l’impellenza di trovare una soluzione nel più breve
tempo possibile, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi costo. L’urgenza della
richiesta e la necessità di una soluzione immediata possono esporre i pa-
zienti a rischi in grado di compromettere il loro stato di salute.
Diversi vissuti, come quelli appena presentati, possono coesistere e con-
tribuire a rendere la gestione clinica particolarmente complessa.

Indipendentemente dal tempo impiegato dai nostri pazienti per prende-


re coscienza della necessità di chiedere aiuto, è compito di ogni professio-
nista sanitario accogliere, informare e guidare le persone con obesità
attraverso le diverse possibilità terapeutiche disponibili. Oggi, infatti, solo
una minoranza di persone affette da obesità riceve una diagnosi e un trat-
tamento di comprovata efficacia clinica (1–3).
È, inoltre, cruciale che il professionista sanitario sia informato delle
numerose barriere che ostacolano l’accesso ai percorsi diagnostici e tera-
peutici per la cura dell’obesità (1).
Lo studio ACTION (Awareness, Care, and Treatment in Obesity ma-
Nagement), condotto negli Stati Uniti nel 2015, ha preso in esame, attra-
verso interviste telefoniche o email, le potenziali barriere alla cura dell’o-
besità analizzando la percezione di persone adulte con obesità, professio-
nisti sanitari e rappresentanti dei datori di lavoro (2).
Nel 2018 è stato condotto anche lo studio ACTION International Ob-
servation, ACTION-IO, che ha identificato le potenziali barriere alla cura
dell’obesità a livello internazionale (Australia, Cile, Israele, Italia, Giap-
pone, Messico, Saudi Arabia, Corea del Sud, Spagna, Emirati Arabi e Gran
Bretagna), esaminando le risposte fornite da persone con obesità e profes-
sionisti sanitari (3).

2
L’ago della bilancia C. Parrino

L’obiettivo di questi studi è stato non solo individuare gli ostacoli alla
cura dell’obesità, ma anche elaborare raccomandazioni per gli operatori
sanitari (2,3).
Nello studio ACTION (1), il 71% delle persone con obesità intervistate
ha riferito di avere affrontato il tema del peso corporeo con un operatore
sanitario nei precedenti 5 anni, il 55% ha dichiarato di avere ricevuto una
diagnosi di obesità e il 38% ha riportato di avere discusso con un profes-
sionista sanitario un piano di decremento ponderale negli ultimi 6 mesi.
Nello studio internazionale (3) solo la metà delle persone intervistate ha
riferito di avere avviato una discussione sul proprio peso corporeo con un
professionista.
La possibilità di affrontare l’argomento “obesità” con un sanitario si è
presentata per molti pazienti dopo diversi tentativi, circa 7 in media (me-
diana 3) (1) e, in contesto internazionale, sembra avere richiesto una media
di 6 anni (mediana di 3 anni) (3).
È importante precisare che nello studio ACTION solo la metà dei pa-
zienti intervistati si è definita affetta da obesità, nonostante i parametri
antropometrici riportati da tutti i partecipanti allo studio confermassero la
diagnosi di obesità (BMI$30 Kg/m2) (1).

Gli operatori sanitari intervistati hanno riportato che le ragioni princi-


pali per cui non viene avviata una discussione relativa al decremento pon-
derale sono rappresentate da:
• mancanza di tempo durante le visite (circa 50%) (1,3);
• necessità di affrontare problemi ritenuti di maggiore importanza (1);
• mancanza di motivazione o interesse dei pazienti a perdere peso (1,3);
• preoccupazione nei riguardi dello stato emotivo e psicologico dei pa-
zienti (1).

La maggior parte dei sanitari ha dichiarato di avviare attivamente un


dialogo sull’eccesso ponderale con i propri pazienti (1). Dopo un colloquio
sulla riduzione del peso con un professionista, le persone con obesità hanno
riportato una percezione positiva nel 64% dei casi, negativa nel 44% e si
sono sentiti offesi solo nel 3% dei casi (3).
È importante anche sottolineare che, sebbene gran parte dei professioni-
sti sanitari si senta a proprio agio nell’affrontare i temi dell’eccesso ponde-
rale, circa un terzo si definisce parzialmente o poco a proprio agio a discu-
tere questi temi (1). Questo dato non deve essere sottovalutato perché, du-
rante il percorso d’istruzione degli operatori sanitari, l’obesità non è affron-
tata in maniera sistematica e l’educazione e la formazione sul tema sembra-
no avere una bassa priorità anche nei programmi formativi universitari (1,4).
Altro aspetto cruciale messo in luce dallo studio ACTION (1), è la
“responsabilità” del decremento ponderale. Gran parte delle persone con
obesità (82%) ha indicato di sentirsi completamente responsabile della
propria perdita di peso, il 72% dei professionisti sanitari ha riportato di
avere una responsabilità condivisa con i propri pazienti, mentre solo il
46% dei datori di lavoro riconosce di avere anche solo una parziale respon-

3
L’ago della bilancia C. Parrino

sabilità. Lo studio ACTION-IO ha rilevato che il 30% degli operatori sani-


tari ritiene i pazienti responsabili del loro decremento ponderale (3).
Le principali ragioni identificate come ostacoli per l’accesso alla cura
dell’obesità sono riportate in Tabella 1 (1,3).

Tabella 1. Principali ragioni che ostacolano l’accesso al trattamento sanitario


nell’obesità, modificata da (1,3).
Ragioni fornite dalle persone Ragioni fornite dagli operatori
con obesità sanitari
1. Completa responsabilità nella ge- 1. Imbarazzo nell’avviare una discus-
stione del proprio peso corporeo sione relativa alla riduzione del peso
2. Assunzione di conoscere già le 2. Mancanza di motivazione nella per-
strategie per ottenere riduzione dita di peso
del peso
3. Mancanza di risorse finanziarie 3. Mancanza di consapevolezza nella
per affrontare un programma di possibilità di perdere peso
decremento ponderale
4. Mancanza di motivazione nella 4. Mancata visione dell’eccesso pon-
perdita di peso derale come un problema medico
5. Imbarazzo nell’avviare una di- 5. Mancanza di interesse nella perdita
scussione relativa alla riduzione di peso
del peso

Le barriere identificate per l’avvio di un programma finalizzato alla


perdita di peso sono, invece, rappresentate da (1,3):
• mancanza di esercizio fisico;
• mancanza di motivazione;
• preferenza per cibi non inclusi nei piani alimentari per la perdita di
peso;
• difficoltà a controllare la fame;
• costi associati all’acquisto dei cibi per seguire i piani alimentari.

Nello studio ACTION-IO (3) solo un terzo delle persone con obesità e
meno della metà dei professionisti sanitari ha percepito i fattori genetici
come una barriera al decremento ponderale. Si evince, quindi, come i
fattori associati allo stile di vita siano ritenuti le maggiori barriere, a diffe-
renza di fattori biologici e genetici.
Gli studi presentati hanno delle limitazioni, per esempio la natura de-
scrittiva, l’impossibilità di stabilire un certo nesso causa-effetto e la rac-
colta di dati antropometrici riportati dai pazienti, ma identificano alcune
delle difficoltà e forniscono spunti di riflessione e suggerimenti pratici
per i professionisti.
Agli operatori sanitari è, infatti, consigliato di (1,3):
• avviare precocemente un dialogo sul peso corporeo, prima che si
possano instaurare le complicanze dell’obesità, iniziando semplice-
mente da calcolo del Body Mass Index (BMI, vedi Scheda Pratica alla
fine del capitolo);

4
L’ago della bilancia C. Parrino

• discutere con i pazienti il ruolo dei fattori biologici e genetici alla


base dell’obesità;
• riconoscere le risposte positive dei pazienti agli stimoli proposti.

Per i professionisti sanitari è prioritario riconoscere l’esistenza di


barriere che possono ostacolare l’accesso alle cure o ritardare l’avvio
di un programma di decremento ponderale.
Quando una persona con obesità rende manifesta una richiesta di aiuto,
una delle più grosse barriere è già stata superata.

1.2  Storia narrata: Lo specchio di Mara


Trrr trrr trrr. Lo schermo del cellulare si illumina sul comodino e
segnala che è stata prenotata una visita per il pomeriggio. Sono le
cinque del mattino e non riesco a leggere i dettagli della notifica.
Trrr trrr trrr. La visita è stata cancellata.
Trrr trrr trrr. Lo schermo è nuovamente illuminato e segnala una

5
L’ago della bilancia C. Parrino

visita per il pomeriggio. Adesso sono quasi le sei ed è arrivato il mo-


mento di alzarsi e iniziare una lunga giornata.

Anche oggi recupero la lista dei pazienti prenotati al desk e mi


dirigo con passo svelto verso la mia stanza. Mara è già seduta sulla
sediolina pieghevole davanti alla porta dell’ambulatorio e sospira de-
lusa non appena vede la mia figura minuta avvicinarsi alla porta della
stanza numero 14. Mi guarda dalla testa ai piedi e poi abbassa lo
sguardo sulle sue scarpe con il velcro.
Indosso velocemente il mio camice e il sorriso più accogliente che
ho e la chiamo:
-“Mara Sottile?” “Prego si accomodi.”
Mara si alza in piedi accompagnata dallo scricchiolio della sedio-
lina di legno e a passi ondeggianti entra in stanza.
Il mio sguardo corre subito verso la sedia con i braccioli all’altro
capo della scrivania e mi rendo conto che Mara non riuscirebbe ad
accomodarsi in maniera agevole e sicura. Decido di far cadere “acci-
dentalmente” sul pavimento alcuni fogli appoggiati sulla scrivania.
Avrò il tempo di girare attorno alla scrivania e sostituire la sedia blu
con i braccioli con la seduta nera appoggiata al muro?
Mara solleva le maniche della maglietta di cotone, si passa il dorso
della mano destra sulla fronte traslucida e si abbandona sul sedile del-
la seduta senza braccioli.
Dopo aver lasciato cadere entrambe le mani con le unghie cortissi-
me sul piano della scrivania, mi dice:
– “Le ho provate tutte, per molti anni. Con me non funziona niente.
Ma stanotte mi sono svegliata e mi sono guardata allo specchio, e...”
Mara si interrompe un attimo per passare il dorso della mano de-
stra sul labbro superiore madido di sudore e per scostare i capelli ricci
e sottili dalla spalla, e poi riprende:
– “...e allo specchio non ero io, non mi riconosco più. Non riesco neanche
respirare senza affaticarmi. Voglio perdere 50 chili subito. Mi aiuti?”.

Anche per Mara è arrivato il momento giusto. Ieri, nel cuore della
notte.
Adesso è pronta per farsi accompagnare per una strada tortuosa, in
salita e pieni di sassi. Io sono qui per lei e le tendo la mano. Oggi in-
dosso le mie scarpe comode.

1.3 Evidenza scientifica: L’obesità è una malattia?


Un testo sull’obesità, edito nel 1979, afferma che l’obesità non è “una
singola malattia” e che ogni paziente con una malattia curabile può essere

6
L’ago della bilancia C. Parrino

trattato solo nel momento in cui viene posta una diagnosi (5). Già 40 anni
fa, nella comunità scientifica, vi era un crescente interesse per il “proble-
ma” dell’obesità e si riconosceva che questa “condizione”, sebbene consi-
derata in maniera differente nelle diverse epoche e culture, fosse responsa-
bile di una maggiore mortalità (5).
Il riconoscimento dell’obesità come malattia da parte dell’Organizza-
zione Mondiale della Sanità (OMS) risale originariamente al 1948, quan-
do l’obesità fu inclusa nella 6a versione della International Classification
of Diseases (ICD) (6). L’ICD definisce e classifica in maniera comprensiva
tutte le malattie, i disordini, danni e altre condizioni correlate allo stato di
salute degli individui (7). L’obesità è presente come malattia anche nella 9a
versione del 1975 e nel 1995 è stata aggiunta l’obesità “patologica” (6,7).
I governi dei vari paesi del mondo e le comunità scientifiche hanno
identificato l’obesità come una malattia e come una minaccia per la salute
degli individui in tempi molto diversi, spesso sottovalutandola. Solo tra il
1995 e il 1997 è stata evidenziata la gravosità della gestione medica ed
economica dell’obesità a livello globale (6,7).

Oggi, l’obesità è riconosciuta come una malattia cronica da diverse


organizzazioni nazionali e nazionali tra cui vi sono (3,8):
• The Obesity Society (9);
• American Medical Association (10);
• European Association for the Study of Obesity (EASO) (11);
• World Obesity Federation (12);
• UK Royal College of Physicians (13).
In particolare, le linee guida EASO del 2015 (11) puntualizzano che
l’obesità è una malattia metabolica cronica e si configura come una del-
le principali cause di disabilità, comorbilità e mortalità non solo negli
adulti, ma anche nei bambini e negli adolescenti.
Anche gli Standard Italiani per la Cura dell’Obesità 2016-2017 (14)
definiscono l’obesità una patologia cronica e ne sottolineano l’eziopatoge-
nesi complessa che vede l’interazione di numerosi fattori.
Nello specifico, in Italia, sono stati recentemente compiuti dei signi-
ficativi passi in avanti. A Ottobre 2019 è stata elaborata la carta dei di-
ritti e doveri della persona con obesità (15). Questo documento specifica
che le persone con obesità hanno diritto a ricevere una diagnosi e un
trattamento per la cura dell’obesità e delle complicanze ad essa correlate,
ma hanno anche il dovere di rispettare le indicazioni sullo stile di vita e
le terapie prescritte dagli operatori sanitari. La Camera dei Deputati del
Parlamento Italiano, nel mese di Novembre 2019, ha, inoltre, approvato
all’unanimità una mozione che riconosce l’obesità come una malattia
cronica (16).
L’utilizzo del termine “malattia” ha sicuramente una serie di implica-
zioni non solo per il trattamento della patologia in questione (5,17), ma
anche per i decisori politici, e si accompagna anche a riflessioni sul tema
della responsabilità individuale (8).
Sebbene le organizzazioni a tutela della salute a livello globale, le co-

7
L’ago della bilancia C. Parrino

munità scientifiche e il mondo della politica stiano lentamente cambiando


il proprio approccio all’obesità, considerandola una malattia, i dati relativi
all’opinione delle persone con obesità e degli operatori sanitari sono sor-
prendenti (1).
Lo studio ACTION, illustrato all’inizio del capitolo, ha infatti eviden-
ziato che solo il 65% delle persone con obesità e il 64% dei datori di lavo-
ro sia propenso a considerare l’obesità una malattia. La percentuale au-
menta all’80% nel caso dei professionisti sanitari, ma non raggiunge la
totalità (1). Dati simili sono riportati nello studio ACTION-IO con il 65%
delle persone con obesità in accordo con la definizione dell’obesità come
malattia cronica e l’88% degli operatori sanitari (3).
I professionisti sanitari hanno riferito di non formulare sempre o nella
maggior parte dei casi la diagnosi di obesità e di ricorrere, talvolta, soltan-
to ad una diagnosi “verbale”.
La mancata documentazione nella diagnosi di obesità è, inoltre, con-
fermata dalle persone con obesità che hanno riferito di non avere ricevuto
una diagnosi formale di obesità in circa la metà dei casi (3).

Scheda pratica n.1: La diagnosi di obesità (11,18–20)

Negli adulti (età superiore ai 18 anni) l’obesità è diagnosti-


cata utilizzando il Body Mass Index (BMI), un indice calcolato
utilizzando parametri semplici come il peso, espresso in Kg, e
l’altezza, espressa in metri. La formula per calcolare il BMI è la
seguente: Kg/m2
(https://www.siditalia.it/clinica/formule-e-calcolatori/indi-
ce-di-massa-corporea).
In base ai valori di BMI è possibile individuare 6 categorie:

Valore di BMI Categoria

<18.5 Sottopeso
18.5–24.9 Normopeso
25.0–29.9 Sovrappeso
30.0–34.9 Obesità di I grado
35.0–39.9 Obesità di II grado
≥40 Obesità di III grado

Per le persone di etnia asiatica è necessario fare riferimento a dif-


ferenti cut-off di BMI: <18.5, 18.5-22.9, 23-26.9, ≥27 Kg/m2.
Il BMI, pur essendo un indice di facile utilizzo in pratica clinica, non

8
L’ago della bilancia C. Parrino

consente però di distinguere tra massa magra e massa grassa. La classifi-


cazione dell’OMS si basa principalmente sull’associazione tra BMI e
mortalità.

L’accumulo di grasso intra addominale, che si associa a maggior ri-


schio metabolico e cardiovascolare, può essere stimato attraverso la mi-
surazione della circonferenza vita. La circonferenza vita (CV), espres-
sa in cm, deve essere misurata con un metro morbido, sul piano orizzon-
tale, a livello del punto che si trova a metà il margine inferiore dell’ulti-
ma costola e la cresta iliaca superiore omolaterale.
L’accumulo di tessuto adiposo a livello viscerale (obesità viscera-
le, androide o “a mela”) è definito dai seguenti valori:

Valore di CV Genere
≥ 94 Uomo
≥ 80 Donna (non in gravidanza)

I valori di circonferenza vita per definire l’obesità centrale posso-


no essere più bassi per alcuni gruppi etnici. Un altro indice di facile
calcolo è rappresentato dal rapporto vita-fianchi che indica accumulo
di grasso addominale se >1.0 negli uomini e >0.85 nelle donne.

Bibliografia
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L’ago della bilancia C. Parrino

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L’ago della bilancia C. Parrino

CAPITOLO

2
2.1 Riflessioni dalla pratica clinica: Accogliere
la persona con obesità
2.2 Storia narrata: Mario e il bottone
2.3 Evidenza scientifica: Cosa è lo stigma
sociale dell’obesità?
Scheda pratica n.2: L’impegno contro lo
stigma dell’obesità

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L’ago della bilancia C. Parrino

2.1 Riflessioni dalla pratica clinica: Accogliere la


persona con obesità

L’incontro con il professionista sanitario rappresenta un momento cru-


ciale per l’avvio del percorso di cura della persona con obesità. L’obesità
è, infatti, una malattia cronica (1) che prevede un trattamento multidi-
sciplinare a lungo termine (2,3) e che si configura come il risultato
dell’interazione di fattori biologici, psicologici, sociali, ambientali e po-
litici (4).
Le persone con obesità, nel corso della loro vita, possono avere già
sperimentato sentimenti di bassa autostima e percezione negativa della
propria immagine corporea, alterazioni del tono dell’umore, difficoltà re-
lazionali e discriminazione sociale a causa del proprio peso corporeo
(5,6).
I professionisti sanitari dovranno, quindi, essere in grado non solo di
mostrare attenzione per gli aspetti psicologici della persona di cui si pren-
deranno cura, ma anche di avviare una relazione terapeutica solida e dura-
tura.
Aspetti fondamentali da tenere in considerazione per accogliere un pa-
ziente sono rappresentati da (5):
• approccio di cura rivolto alla persona e non alla malattia o all’orga-
no;
• costruzione di un’alleanza terapeutica;
• utilizzo di una comunicazione efficace;
• empatia.
Questi strumenti possono essere efficacemente impiegati nel percorso
di cura della persona dell’obesità, così come per molte altre patologie.
L’approccio al “paziente come persona” prevede la capacità del sani-
tario di riconoscere il significato e l’impatto multidimensionale che la ma-
lattia ha nella vita del singolo paziente (5).
Il termine “empatia” deriva da una parola tedesca che può essere tra-
dotta in italiano con l’espressione “sentirsi in” (7). L’empatia può essere,
quindi, definita come la capacità di un individuo di percepire e compren-
dere le emozioni e la prospettiva di altre persone (5,7). Nel caso degli
operatori sanitari essa prevede anche l’abilità di comunicarla alla persona
di cui ci si prende cura e di saperla trasformare in azioni terapeutiche ap-
propriate ed efficaci (5).
Sebbene l’approccio multidisciplinare appaia come il modello di cura
più efficiente (3), ogni singolo professionista sanitario può, nell’ambito
della propria pratica clinica, contribuire alla promozione di un approccio
di cura empatico rivolto alla persona con obesità.

12
L’ago della bilancia C. Parrino

Uno degli elementi che può compromettere l’avvio di una relazione


terapeutica positiva con gli operatori sanitari è rappresentato dallo stigma
sociale per l’obesità (4), cioè la tendenza ad attribuire qualità negative a
singole persone o a specifici gruppi di persone con particolari caratteristi-
che (6,8).
Sfortunatamente gli atteggiamenti discriminatori e stigmatizzanti,
molto frequenti negli ambienti familiari, lavorativi e scolastici, sono
presenti e diffusi anche in ambito sanitario (9,10) e possono avere effetti
deleteri sullo stato di salute e sulla qualità di vita delle persone affette da
obesità. Questi aspetti verranno descritti in maggiore dettaglio nel para-
grafo 2.3.

Le linee guida europee per la gestione clinica della persona con obe-
sità nel contesto delle cure primarie (3) sottolineano come il medico di
medicina generale sia molto spesso la prima figura professionale che ha
la possibilità di entrare in contatto con le persone con obesità e che ha
l’occasione di avviare un processo di screening e trattamento. Il medico di
medicina generale, inoltre, rappresenta una delle figure professionali chia-
ve all’interno dei team multidisciplinari insieme a medici specialisti in
obesità, dietisti, nutrizionisti, specialisti nell’ambito dell’attività fisica,
psicologi, medici psichiatri e infermieri.

Le linee guida (3) forniscono un elenco di sei indicazioni pratiche per


ridurre al minimo gli atteggiamenti negativi e stigmatizzanti, in grado
di pregiudicare l’instaurarsi di una relazione tra medico e paziente e poten-
zialmente di compromettere l’efficacia terapeutica:
1. accogliere il paziente con empatia e senza atteggiamenti di giudizio;
2. tenere in considerazione che il paziente potrebbe già avere vissuto
esperienze caratterizzate da percezioni negative relative al proprio
peso corporeo durante incontri con altri operatori sanitari;
3. riconoscere che l’obesità è una malattia multifattoriale e che la vo-
lontà personale non è l’unico fattore in gioco;
4. evitare l’utilizzo di un linguaggio non appropriato per mantenere
una relazione positiva; (approfondimento nel paragrafo 2.3)
5. chiedere al paziente se è disponibile per avviare insieme un dialogo sul
peso corporeo (soprattutto nel caso in cui il contatto non sia avvenuto
specificatamente per discutere la presenza di sovrappeso o obesità);
6. utilizzare la forma “persona con obesità” piuttosto che l’aggettivo
“obeso”.

Accogliere empaticamente la persona con la malattia, e non la ma-


lattia, è il primo e importante passo per migliorare lo stato di salute e la
qualità di vita dei nostri pazienti.

13
L’ago della bilancia C. Parrino

2.2 Storia narrata: Mario e il bottone


Mario ha il naso rotondo e gli occhi verdi e brillanti come l’opale.
È un uomo di poche parole e ascolta volentieri. Il nostro colloquio sta
quasi per terminare.
A tratti ho avuto l’impressione di avere stabilito una connessione
con lui: ha annuito, ha abbassato la testa sulla spalla sinistra un paio di
volte e ha anche detto “Sì” forte e chiaro. Spero che il mio messaggio
sia arrivato a destinazione: stiamo dalla stessa parte e dobbiamo rag-
giungere insieme lo stesso obiettivo.

Mario si alza in piedi e sta per indossare la giacca di velluto quan-


do, all’improvviso, il quinto bottone della sua camicia azzurra a qua-
dri schizza come una scheggia attraverso la stanza, colpisce il mio
viso e rimbalza a terra.
Il tempo si ferma. Mario resta in piedi. Io non mi muovo.
Adesso l’ombelico di Mario fa capolino attraverso i quadri della
camicia di cotone.

14
L’ago della bilancia C. Parrino

Mi porto la mano sul viso, come a controllare che sia tutto a posto.
È chiaramente tutto a posto, il bottone mi ha solo sfiorata.
Mario è molto imbarazzato. Si scusa più volte e prova ad abbassar-
si per recuperare il bottone sul pavimento. Ci prova appena, ma si
ferma e torna indietro.
Non allunga neanche il braccio. È come se sapesse già di non po-
tercela fare. “Dottorè, non è la prima volta sa...”, mi dice passandosi la
mano sul volto e tra i capelli. Inaspettatamente si siede di nuovo e
inizia a raccontare.
“Una volta all’officina mi è capitato di peggio. Stavo spiegando al
nuovo ragazzo come controllare una parte del motore. Una parte un
po’ nascosta – precisa Mario muovendo la mano ruvida in aria - una
parte da meccanici con esperienza. Per indicare bene dove guardare,
mi sono abbassato e piegato, sporgendomi in avanti così – e muove il
busto verso di me. Poi non so cosa è successo...forse mi sono piegato
troppo e la tuta da lavoro...insomma..., la tuta si è squarciata. La cuci-
tura, dottorè, si è aperta come una sdraio, la cucitura dei pantaloni in-
tendo, se lo immagina? E in officina tutti a ridere. I miei impiegati, la
segretaria, i miei clienti, i nuovi ragazzi.
Da quel giorno a ogni mio movimento qualcuno in officina grida
“Marione, attento alla tuta!”. Se provo a sollevare degli scatoloni o a
trasportare dei pezzi più grossi arriva sempre qualcuno, perché si sa,
io con questo peso dove vado? E poi devo stare attento alla tuta... Io mi
sento quello di prima, certo, con questo peso in più mi affatico, ma il
mio lavoro lo so fare. Ma un tempo sa, le cose erano diverse, quando
ero giovane e magro ero gagliardo. Guardi, guardi qua”.
Mario estrae dalla tasca dei pantaloni il portafogli e mi mostra la
foto di un vecchio scatto. Guardo bene e lo riconosco, giovane e
asciutto. Stessi occhi verdi e brillanti. È in piedi, vicino ad un’auto-
mobile rossa sportiva e indossa una camicia bianca con tanti piccoli
bottoni in fila. Con pazienza Mario ed io riusciremo a ricucire, insie-
me, anche questo “bottone”.

2.3 Evidenza scientifica: Cosa è lo stigma sociale


dell’obesità?
Lo stigma sociale dell’obesità può essere definito come l’atteggia-
mento di rifiuto sociale e di svalutazione nei confronti degli individui
che presentano caratteristiche fisiche, come peso e immagine corporea,
differenti dai modelli socialmente accettati (10).

15
L’ago della bilancia C. Parrino

Il peso e l’immagine corporea sono, molto spesso, gli unici elementi su


cui si basano i giudizi che spingono la società a ritenere che le persone con
obesità siano pigre, indisciplinate, poco intelligenti, prive di forza di vo-
lontà, incapaci di successi e non aderenti agli interventi mirati a ottenere
un decremento ponderale (8,11). Lo stigma rende le persone con obesità
vittime di pregiudizio e può essere causa di esclusione, emarginazione ed
iniquità (9).
Lo stigma sociale viene percepito dalle persone con obesità, che ripor-
tano frequentemente di subire trattamenti differenti a causa del loro peso
corporeo in diverse circostanze e di avere consapevolezza degli stereotipi
e dei sentimenti negativi e a loro rivolti (12).
Sia gli uomini (vedi paragrafo 2.2 Storia narrata: Mario e il bottone)
che le donne possono essere destinatari di atteggiamenti stigmatizzanti,
anche se le donne sembrano maggiormente interessate (9). Non solo gli
adulti, ma anche i bambini e gli adolescenti subiscono lo stigma e molto
spesso il peso corporeo rappresenta una delle ragione per cui i più giovani
diventano vittime di bullismo (13).
I pregiudizi della società sono fortemente legati all’assunzione che
l’obesità sia il mero risultato di scelte personali dei singoli individui e che
possa essere semplicemente risolta attraverso l’adozione di differenti stili
di vita, ignorando le complesse dinamiche biologiche e sociali legate all’o-
besità (9,11). Secondo questa linea di pensiero la stigmatizzazione verreb-
be considerata una forma di “incoraggiamento” per le persone con obesità
a modificare le proprie abitudini e il fine sarebbe quello di creare una pres-
sione tale da indurre il cambiamento. Vedremo, in seguito, come lo stigma
abbia, invece, effetti deleteri sullo stato di salute fisica e psichica degli in-
dividui di tutte le età.

Le persone con obesità, oltre a subire gli effetti della discriminazione


sociale, sembrano anche essere percepiti come “meno umani” (10,12).
La “palese deumanizzazione”, cioè la convinzione che una persona sia
meno umana di un’altra, appare come un fattore in grado di facilitare il
pregiudizio e di rendere giustificabili comportamenti inadeguati e violenti.
La tendenza a “de-umanizzare” alcuni gruppi di persone fa tristemente
parte della storia dell’umanità e ne sono noti numerosi esempi nei confron-
ti di popolazioni indigene e gruppi etnici (14). Alcuni gruppi di persone,
durante le guerre e i genocidi, sono state descritte ed etichettate come
non-umane e frequentemente accomunate anche a specie animali (14). La
scorretta percezione di un differente grado di “umanità” sembrava, infatti,
legittimare e incoraggiare i comportamenti violenti e le atrocità commes-
se.
Sebbene questi avvenimenti possano essere avvertiti come lontani nel
tempo e distanti dagli attuali comportamenti socialmente accettabili, in

16
L’ago della bilancia C. Parrino

realtà, la tendenza a deumanizzare alcuni gruppi di individui è fortemente


presente anche nella società moderna (12,14).
Uno studio pubblicato nel 2019 (12), che ha analizzato le percezioni di
1506 partecipanti provenienti dagli stati Uniti, dal Regno Unito e dall’In-
dia, ha messo in evidenza come le persone con obesità siano percepite
come meno evolute e meno umane rispetto alle persone senza obesità. È
stato, inoltre, osservato che la percezione della deumanizzazione fosse più
marcata tra i partecipanti con peso corporeo più basso, ma è stata rilevata
anche tra le persone con obesità di I grado (12).

Nonostante sia noto che lo stigma sociale dell’obesità sia estremamen-


te diffuso, solo pochi studi multinazionali hanno messo a confronto lo stig-
ma nei vari paesi del mondo (11). Uno studio condotto in Europa, in Ger-
mania (15), in una popolazione di 3003 soggetti ha messo in evidenza
come un numero progressivamente crescente di soggetti abbia riportato
episodi stigma e discriminazione passando dalla categoria del normopeso/
sovrappeso alla categoria dell’obesità (normopeso/sovrappeso 5.6% dei
partecipanti, obesità di I grado 10.2%, obesità II grado 18.7%, obesità III
grado 38%). La discriminazione peso-correlata è stata inoltre riportata dal
19.7% dei partecipati con sottopeso.
Un altro studio (11), che ha analizzato e confrontato lo stigma sociale
dell’obesità in due paesi differenti, ha indicato come lo stigma per l’obesi-
tà sia maggiormente presente negli Stati Uniti, paese con maggiore preva-
lenza di obesità, rispetto alla Germania. I dati osservati supportano l’ipo-
tesi che la maggiore diffusione dell’obesità in un paese possa generare una
maggiore tendenza alla misrappresentazione delle persone con obesità
anche attraverso i mezzi di comunicazione e favorendo, così, discrimina-
zione e stigmatizzazione. Questa linea di pensiero si trova in contrapposi-
zione con l’ipotesi che l’elevata prevalenza di obesità in un paese sia asso-
ciata a una minore diffusione di stigmatizzazione per la percezione dell’o-
besità come un fenomeno comune nella società (16).

Le persone con obesità subiscono lo stigma sociale nella vita di tutti i


giorni, in moltissime situazioni sociali (famiglia e amici) e in ambienti come
la scuola e i luoghi di lavoro (8–10), che, invece, dovrebbero rappresentare
gli spazi ideali nei quali esprimere al meglio le proprie potenzialità e intra-
prendere confronti sereni e proficui con compagni e colleghi.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (9) ha indicato che lo stigma è
anche causa di iniquità sanitarie e impedisce alle persone di ricevere ade-
guate cure, minando ulteriormente lo stato di salute delle persone con obesità.
Lo stigma per l’obesità è comune anche tra gli operatori sanitari,
che tendono a definire, esattamente come accade per la popolazione gene-
rale, le persone con obesità come pigre e affermano che questa patologia

17
L’ago della bilancia C. Parrino

possa essere semplicemente prevenuta e curata attraverso l’aderenza a un


differente stile di vita (17). È evidente che anche tra i professionisti sanita-
ri, molto spesso, non vi siano precise conoscenze riguardanti la biologia
dell’obesità.
Nonostante sia stato suggerito che lo stigma possa rappresentare una
sorta di “pressione sociale” utile per esortare le persone con obesità a mo-
dificare il proprio stile di vita e ottenere il decremento ponderale, un nume-
ro crescente di studi in letteratura scientifica suggerisce il contrario (8–11)
indicando come lo stigma favorisca non solo comportamenti associati ad
ulteriore incremento ponderale, come per esempio scelte alimentari non
adeguate e minore predisposizione all’esercizio fisico, ma anche peggiori
effetti clinici.
Lo stigma dell’obesità genera stress, favorisce l’isolamento sociale e
può causare effetti deleteri sulla salute fisica e psicologica delle persone
con obesità compromettendo l’avvio di adeguati percorsi di cura sia in età
adulta, che in età pediatrica e adolescenziale (8,13,18).
Tra le conseguenze dello stigma sono riportati (8,9,19):
• sentimenti di bassa autostima e sicurezza;
• insoddisfazione nei confronti della propria immagine corporea;
• percezione di mancanza di qualità positive;
• pensieri e tendenza ad atti suicidari;
• depressione, disturbi d’ansia, disturbi del comportamento alimentare;
• abuso di sostanze;
• tendenza ad evitare il movimento e l’attività fisica;
• rifiuto per le cure mediche.

Anche i mezzi di comunicazione hanno un ruolo rilevante nel raffor-


zare e legittimare nella società gli atteggiamenti stigmatizzanti (8,9). È
stato messo in evidenza come negli Stati Uniti oltre il 70% delle imma-
gini diffuse dai mezzi di comunicazione abbia un effetto di rinforzo sullo
stigma, mentre in Europa i messaggi veicolati sembrano porre particola-
re enfasi sulla responsabilità individuale (9). Anche i messaggi diffusi
dai social media sembrano avere un effetto in grado di perpetuare lo
stigma (9).
La rappresentazione mediatica del trattamento dell’obesità pone, inol-
tre, particolare enfasi sulla dieta e sull’esercizio fisico, anche con grosso-
lane inesattezze dal punto di vista scientifico, presentandole spesso come
le uniche modalità di intervento e scoraggiando alcuni pazienti che potreb-
bero beneficiare di altri trattamenti efficaci e sicuri (8).
Attraverso i mezzi di comunicazione le persone con obesità sono spes-
so rappresentate come pigre, trasandate, voraci, prive di forza di volon-
tà e autocontrollo e sono molto comuni le raffigurazioni de-umanizzate
di immagini di porzioni di corpi prive di un volto (12). Molto frequente,

18
L’ago della bilancia C. Parrino

anche sul web, è l’utilizzo di immagini di addome che mettono in evidenza


i depositi adiposi.
Per cercare di favorire la diffusione di immagini che rappresentassero le
persone con obesità in maniera non stigmatizzante, la World Obesity Fede-
ration ha creato e messo a disposizione una raccolta di immagini (vedi Sche-
da pratica n.2: l’impegno contro lo stigma dell’obesità). In queste immagini
le persone con obesità sono rappresentate per intero, con aspetto curato,
durante lo svolgimento di attività quotidiane e in situazioni di socialità.

Oltre alle immagini, anche il linguaggio utilizzato per comunicare con


le persone con obesità o per diffondere informazioni sull’obesità riveste un
ruolo cruciale. Sono riportati casi di campagne di sensibilizzazione per
l’obesità che hanno fatto, maldestramente, ricorso a immagini e messaggi
stigmatizzanti (13).
Il linguaggio standard e rispettoso a cui fare ricorso è il linguaggio
people-first, cioè un linguaggio indirizzato alle persone con malattie cro-
niche e che non identifica la persona con la malattia da cui è affetta (20).
Il linguaggio people-first è comunemente impiegato per descrivere perso-
ne con disabilità fisica o altre patologie, mentre ha un impiego veramente
modesto nel campo dell’obesità (20,21). Si raccomanda agli operatori di
fare riferimento ai propri pazienti come “persone con obesità” piuttosto
che come “persone obese”, poiché è stato messo in evidenza come l’utiliz-
zo dell’aggettivo “obeso” abbia un effetto sulla percezioni degli individui
in relazione alla propria condizione e possa anche avere delle ripercussioni
sull’accesso ai percorsi di cura (20).
Il linguaggio people-first, permette di riconoscere prima la persona
rispetto alla condizione da cui è affetta, mettendo l’individuo al centro
del percorso di cura.

La strada per eradicare lo stigma sociale dell’obesità è ancora lunga,


ma un documento recentemente pubblicato (8) ha sancito il consenso in-
ternazionale da parte di esperti accademici e di organizzazioni scientifiche
a porre fine allo stigma e ha contribuito a diffondere conoscenza sul tema
nella comunità scientifica.

Scheda pratica n.2: L’impegno contro lo stigma dell’obesità

Il documento di consensus pubblicato su Nature a Marzo 2020


https://www.nature.com/articles/s41591-020-0803-x, in occasione della
Giornata Mondiale dell’Obesità 2020, include il link al sito del King’s
College di Londra che permette di sottoscrivere un “impegno” per

19
L’ago della bilancia C. Parrino

contribuire ad eradicare lo stigma sociale dell’obesità.


I singoli individui, le associazioni scientifiche, le associazioni di
pazienti, le riviste mediche e scientifiche e le istituzioni accademiche,
le strutture ospedaliere, le aziende farmaceutiche e i gruppi parlamen-
tari possono firmare l’impegno attraverso il seguente link: https://
www.kcl.ac.uk/research/obesity-pledge

L’impegno si articola in tre parti fondamentali:

• riconoscimento dell’esistenza dello stigma sociale dell’obesità,


supportato da pregiudizi che non risultano in linea con le attuali
conoscenze scientifiche;
• disapprovazione dell’uso di linguaggio, immagini, atteggiamenti
discriminanti e stigmatizzanti;
• impegno a trattare con rispetto le persone con sovrappeso e obesi-
tà e a non fare ricorso a stereotipi.

È disponibile anche la lista delle organizzazioni che hanno già fir-


mato l’impegno.

La World Obesity Federation, inoltre, ha creato una raccolta di im-


magini non stigmatizzanti che ritraggono le persone con obesità du-
rante lo svolgimento di attività quotidiane e in situazioni di socialità,
che è possibile visualizzare e scaricare al seguente link https://www.
worldobesity.org/resources/image-bank .

Possiamo tutti contribuire in maniera attiva all’eradicazione dello


stigma sociale dell’obesità, diffondendo iniziative educative e di sen-
sibilizzazione ai temi dell’obesità.
Diffondiamo insieme un nuovo modello di cultura sanitaria
non stigmatizzante!

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