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LE FUNZIONI ESECUTIVE
NEI DISTURBI
DEL NEUROSVILUPPO
dalla valutazione all,intervento
Edizione eBook
ISBN: 978-12-81075-16-0
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione dell’opera o di parti di essa con qualsiasi mezzo,
compresa stampa, copia fotostatica, microfilm e memorizzazione elettronica, se non espressamente
autorizzata dall’Editore.
I curatori
Chiara Pecini
Professore associato in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università di Firenze,
ha conseguito il PhD in Neuroscienze dello sviluppo presso l’Università di Pisa e la specializ-
zazione in Psicologia Clinica presso l’Università di Siena. Ha svolto attività di ricerca clinica
in Neuropsicologia dello sviluppo presso l’IRCCS Fondazione Stella Maris fino al 2018. I suoi
temi di ricerca riguardano i processi cognitivi sottostanti lo sviluppo del linguaggio e l’appren-
dimento scolastico in condizioni tipiche e atipiche. È docente di master in vari Atenei italiani e
autrice di numerose pubblicazioni scientifiche e di software per l’intervento in remoto nell’am-
bito dei disturbi del neurosviluppo.
Paola Viterbori
Professore associato in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università di Genova,
ha conseguito il PhD in Metodi di ricerca in psicologia e la specializzazione in Psicologia clinica
presso lo stesso Ateneo. I suoi temi di ricerca riguardano la valutazione e l’intervento nell’ambito
delle funzioni esecutive e lo studio della relazione fra funzioni esecutive e altri domini dello
sviluppo.
Gli autori
Presentazione
Cesare Cornoldi XI
Prefazione
Pierluigi Zoccolotti XIII
14. F
unzioni esecutive nel disturbo dello sviluppo delle abilità visuospaziali
(disturbo non verbale)
Cesare Cornoldi e Irene C. Mammarella 209
14.1. Caratteristiche del disturbo 209
14.2. La memoria di lavoro nel disturbo non verbale 211
14.3. Lo studio di altre FE nel disturbo non verbale 214
14.4. Valutazione e intervento sulle FE nel disturbo non verbale 215
Caso clinico 216
Bibliografia 241
È con grandissimo piacere che introduco questo volume sulle funzioni esecutive
nell’ambito evolutivo, sia perché si tratta di un libro prezioso e molto completo sia
perché in Italia si avvertiva il bisogno di una presentazione organica e aggiornata della
tematica. Il testo è non solo prezioso, ma anche autorevole, perché dà voce a una rete
di ricercatori italiani (GRIFE) che da anni si coordinano e danno vita ad iniziative per
promuovere lo studio e la conoscenza delle funzioni esecutive in età evolutiva. Come
Presidente nazionale dell’AIRIPA (Associazione Italiana per la Ricerca e l’Intervento
in Psicopatologia dello Sviluppo), che è coinvolta nell’attività del gruppo GRIFE ed è
beneficiaria dei diritti d’autore di questo volume con l’accordo di utilizzarli per inizia-
tive del gruppo, saluto quindi con estremo piacere la comparsa del testo.
Devo confessare che, avendo a lungo frequentato Alan Baddeley e Tim Shallice, ed
avendo più volte incontrato Donald Norman e Bruce Pennington, mi ero in passato
fortemente interessato alla tematica delle funzioni esecutive, studiandole sperimen-
talmente e riprendendo il costrutto di controllo esecutivo per rappresentare la me-
moria di lavoro. Poi però, come era successo anche per altri colleghi, avevo ridotto il
mio coinvolgimento sull’argomento, per due ragioni principali e cioè per l’eterogeneità
delle funzioni e per l’eccessiva capacità esplicativa assegnata alle funzioni esecutive
per spiegare i disturbi del neurosviluppo (v. ADHD, autismo e DSA) o altri costrut-
ti cognitivi (v. intelligenza). Purtroppo, alcuni studiosi di funzioni esecutive avevano
continuato a ribadire queste tesi estreme della prima ora creando diffidenza. Vedo
invece che il presente testo evita questo pericolo, grazie alla presenza di autori anche
giovani che non hanno pesanti eredità da difendere e all’ampiezza della trattazione,
che permette di andare in profondità sugli argomenti affrontati.
Va detto che lo stesso termine “funzioni esecutive” al plurale avrebbe dovuto ricor-
dare che si sta parlando di più “funzioni” e non di una sola. Il primo capitolo del libro,
curato da Gianmarco Marzocchi (il quale non a caso viene da un dottorato svolto sotto
la guida di Shallice) e Alessandra Mingozzi, ci offre una visione illuminata e moderna
del costrutto, specificando che si sta parlando di un “termine ombrello” (come del resto
sono “concetti ombrello” molti altri grandi termini usati dalla psicologia, a partire da
percezione e linguaggio, per finire con attenzione, memoria e pensiero), che si riferisce
a “una rete di processi cognitivi di ordine superiore per coinvolgere, dirigere o coor-
dinare altri processi psicologici di ordine inferiore, al fine di raggiungere determinati
obiettivi”. E infatti, anche per altri costrutti citati, per esempio memoria, attenzione e
XII LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO
pensiero (che tra l’altro presentano molte sovrapposizioni con le funzioni esecutive),
oggi si fa un riferimento generale, ma anche articolato. Si dedica magari ad essi un
capitolo nei manuali introduttivi alla psicologia, ma poi si perviene a un’articolazione
e a un’analisi di singoli semi-indipendenti aspetti. Guardiamo con sospetto chi parla
tout court di “linguaggio” o di “memoria” senza tenere conto dei vari aspetti sottostanti,
spesso scarsamente correlati fra loro, spesso con funzioni e criticità diverse a seconda
delle tipologie di problemi o psicopatologie. Lo stesso mi sembra valere per le “fun-
zioni esecutive” anche se forse, in questo caso, c’è un maggiore comun denominatore,
anche sulla base della maggiore riconoscibilità di comuni correlati neurali. Tuttavia,
un’articolazione ragionata, consistente e condivisa richiede ulteriore ricerca. I vari ca-
pitoli del volume ci testimoniano ciò, mostrando come le varie tematiche affrontate
richiedano una differenziazione fra strumenti e corrispondenti tipologie di funzioni
esecutive, e nel primo capitolo si illustrano alcuni modelli e proposte di differenziazio-
ne delle funzioni esecutive, riflesso dell’attuale difficoltà a raggiungere una posizione
condivisa.
Gli autori dei vari capitoli sono comunque rispettosi della ricchezza e varietà di
proposte presenti nel campo e onestamente riportano le criticità del settore. Mi ha
colpito vedere presentata la posizione recente di Sabine Doebel, che implicitamente
riprende il timore di aporia associato alle funzioni di controllo (se esse controllano la
mente, chi a loro volta le controlla?) e in qualche modo propone che le funzioni di con-
trollo si sviluppino sulla base di una serie di processi inerenti alle funzioni controllate.
In questo volume sono autore non solo di questa breve presentazione, ma anche
– insieme a Irene Mammarella – di un capitolo che riguarda le funzioni esecutive nel
caso del disturbo non verbale. Devo dire che, quando Irene mi propose di collaborare
a questo capitolo, rimasi perplesso, perché non penso che le funzioni esecutive costi-
tuiscano una chiave fondamentale per la comprensione del disturbo. Ho poi accettato
quando ho appreso che ci sarebbero stati capitoli anche per altre problematiche, per
esempio i DSA, ove la situazione mi pare per molti versi simile. Ho quindi inteso il
compito come un invito a considerare la possibilità che anche le funzioni esecutive
possano avere un ruolo in questi disturbi e che quindi il clinico, con una visione am-
pia, ne deve tenere conto. Non vorrei tuttavia avere contribuito a creare in chi userà il
volume l’idea che le funzioni esecutive abbiano uguale importanza in tutti i disturbi
del neurosviluppo. Infatti, per quanto sia stata dismessa l’idea che in certi disturbi (in
primis l’ADHD) il problema risieda solo nelle funzioni esecutive, continuo a pensare
che in tali disturbi il peso delle funzioni esecutive sia particolarmente importante.
Cesare Cornoldi
Professore emerito di Psicologia
Università degli studi di Padova
Prefazione
1
Baddeley, A. e Wilson, B. (1988). Frontal amnesia and the dysexecutive syndrome. Brain and
Cognition, 7(2), 212-230. doi: 10.1016/0278-2626(88)90031-0
XIV LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO
Pierluigi Zoccolotti
Sapienza Università di Roma
2
https://snlg.iss.it/wp-content/uploads/2022/03/LG-389-AIP_DSA.pdf (consultato il 15/11/2022).
Parte prima
1
Gage era un operaio delle ferrovie che sopravvisse a un incidente nel quale una barra di ferro
penetratagli nel cranio gli distrusse gran parte del lobo frontale sinistro.
4 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO
Il manifesto di apertura allo studio delle FE in età evolutiva scritto da Welsh e Pen-
nington nel 1988 aprì la strada alle ricerche di neuropsicologia clinica dello sviluppo
tramite la somministrazione di batterie di test classicamente usati per valutare le FE
in età adulta.
Nel 1991 due gruppi di ricerca, uno coordinato dalla Welsh e l’altro da Levin,
pubblicarono i risultati dei primi studi che permisero di comprendere la struttura in-
terna delle FE anche nei bambini di 6-12 anni, somministrando batterie di test classici
e conducendo a posteriori delle analisi fattoriali esplorative (EFA) per comprendere
come si strutturavano le misure relative alle FE.
Il gruppo di ricerca della Welsh (Welsh, Pennington e Groisser, 1991) propose i
seguenti sei test: la Torre di Hanoi (ToH), il Wisconsin Card Sorting Test (WCST), il
Matching Familiar Figure Test (MFFT), un compito di ricerca visiva, uno di fluenza
verbale e uno di apprendimento di sequenze motorie. L’analisi fattoriale mise in luce
l’esistenza di tre fattori: il primo, denominato rapidità della risposta, includeva misu-
re che implicano efficienza e rapidità (compiti di ricerca visiva, di fluenza verbale e
di sequenziamento motorio); il secondo, denominato generazione di ipotesi e controllo
dell’impulsività, rimanda al controllo delle risposte impulsive e alla flessibilità cognitiva
(compito di WCST e di MFFT); infine, il terzo, la pianificazione, che includeva le
prestazioni alla Torre di Hanoi.
L’altro studio pubblicato da Levin e collaboratori nel 1991 comprendeva la sommi-
nistrazione di una batteria simile: il WCST, il California Verbal Learning Test (CVLT),
la Torre di Londra (ToL), il Twenty Questions (una prova di ragionamento) e un go/
no-go test. Anche in questo caso dall’analisi fattoriale esplorativa emersero tre fattori:
il primo venne denominato controllo delle perseverazioni e includeva misure relative al
controllo delle risposte impulsive; il secondo venne definito formazione dei concetti e
includeva misure di ragionamento e memoria; infine, il terzo fattore venne definito
pianificazione e includeva il punteggio della ToL.
I due modelli appena presentati sono in parte sovrapponibili perché includono
un fattore relativo alla pianificazione, misurato in entrambi i casi con i compiti delle
torri; un altro fattore simile riguarda il controllo delle risposte impulsive, ovvero dei
processi di inibizione; infine, emergono divergenze tra gli aspetti relativi alla rapidità
di risposta o di generazione di concetti. Da questi primi studi risulta in modo chiaro
che esistono dei fattori parzialmente indipendenti nel dominio delle FE nei bambini,
ma è altrettanto vero che la struttura dei processi cognitivi dipende in larga parte dai
test e dalle misure considerate nelle analisi statistiche.
Nel 1996 Bruce Pennington e Sally Ozonoff definirono le FE come complesso di
abilità necessarie per la messa in atto di un comportamento finalizzato al raggiungimento
di un obiettivo. In merito ai rapporti con altri domini cognitivi, il dominio esecutivo
sembrerebbe differenziabile da percezione, memoria e linguaggio, mentre apparirebbe
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 5
Plus-minus task
Local-global task
Antisaccade task
Stroop task
Figura 1.1. Struttura del dominio esecutivo e prove volte alla valutazione della singole componenti ese-
cutive (Miyake et al., 2000)
Esecuzione
Rappresentazione -Intenzione
Pianificazione Valutazione
del problema (intending)
-Uso delle regole
Figura 1.2. Modello del problem solving di Zelazo, Müller, Frye e Marcovitch (2003)
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 9
Questi aspetti conflittuali sarebbero in grado di attivare processi riflessivi, cioè ri-
elaborazioni attive di informazioni che consentono alle persone di mantenere attiva-
mente in memoria il materiale per formulare comportamenti più complessi orientati
all’azione, generando così una maggiore flessibilità cognitiva e un maggior controllo
inibitorio delle proprie azioni. Appare quindi evidente come nell’IR model i processi
riflessivi coinvolgano le tre FE basilari: memoria di lavoro, flessibilità cognitiva e con-
trollo inibitorio, consentendo all’individuo di raggiungere comportamenti complessi
in un’ampia gamma di situazioni. L’aumento progressivo dei processi riflessivi si può
individuare nella crescente capacità dei bambini, durante lo sviluppo, di individuare
situazioni problematiche (conflitti), fermarsi, considerare le proprie opzioni anche a
seconda del contesto in cui si trovano prima di emettere una risposta, mettendo in atto
quindi dei processi deliberativi di tipo top-down. La capacità di fermarsi dopo aver
individuato il conflitto permette al bambino di mettere in atto le proprie FE, spesso
inizialmente utilizzando un discorso ad alta voce indirizzato a se stesso mentre esegue
l’azione, per mantenere al meglio nella propria memoria di lavoro le regole esplicite
di comportamento (Gooch et al., 2016), regole che consentono di raggiungere una
buona flessibilità cognitiva e controllo inibitorio. L’IR model è in grado di catturare le
interazioni dinamiche tra influenze più di tipo bottom-up (area limbica) e più di tipo
top-down (aree corticali) durante lo svolgimento di azioni orientate a uno scopo. In
alcuni casi le informazioni posso essere processate senza un gran coinvolgimento dei
processi riflessivi (cioè con poche rielaborazioni iterative), come ad esempio nei casi
in cui la situazione sia poco conflittuale e necessiti solo di una semplice valutazione;
in questo caso vengono coinvolte maggiormente le aree limbiche. L’individuazione del
conflitto, come già accennato, elicita i processi riflessivi: in questo caso le informazioni
precedentemente elaborate dalle aree limbiche vengono integrate da un’ulteriore ela-
borazione a carico di regioni corticali (tra cui la PFC), che permette di cogliere più
aspetti di una specifica situazione e di integrarli in una rappresentazione (o interpreta-
zione) più ricca, sfaccettata e complessa, dando la possibilità all’individuo di apprezzare
una più ampia gamma di opzioni e comportamenti da mettere in atto.
Sembra esserci una forte associazione tra lo sviluppo di FE e il miglioramento di
network corticali nella PFC; in particolar modo lo sviluppo della corteccia prefrontale
laterale si associa ad un maggior uso di regole nel bambino, aspetto che si traduce
in una migliore regolazione del suo comportamento. Durante lo sviluppo negli anni
prescolari il bambino diventa progressivamente in grado di usare regole via via più
strutturate che dipendono da reti neurali più complesse e integrate.
Il modello IR, infine, descrive entrambi i processi cognitivi e neurali associati alla
riflessione e come questi coinvolgano le FE generando comportamenti più regolati.
A livello neurale si pongono i processi di rielaborazione iterativa che attivano regioni
corticotalamiche (incluse la PFC e regioni subcorticali). A livello cognitivo i processi
riflessivi scaturiti dalla rielaborazione iterativa elicitano un processamento e un ripro-
cessamento attivo delle informazioni, considerando il contesto e l’utilizzo di sistemi di
regole comportamentali, e si interfacciano con le FE sia calde che fredde, dando luogo
a un’interpretazione più ricca della situazione. A livello comportamentale, infine, le FE
calde e fredde permettono un efficace funzionamento sociale sia in contesti neutri che
in contesti affettivamente carichi.
12
Figura 1.3. Schematizzazione del modello di rielaborazione iterativa (Iterative Reprocessing, IR) (adattato da Zelazo, 2020)
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 13
al. (2000) sia stato particolarmente utile per il raggiungimento degli obiettivi presenti,
si riscontra la necessità di studiare modelli esecutivi che riflettano il contesto evolutivo
in cui i bambini sono inseriti. L’approfondimento letterario, infine, suggerisce che le
competenze alla base delle FE si sviluppino gerarchicamente, con due fasi principali:
prima dei 3 anni si ha l’emergere delle competenze di base necessarie per le compo-
nenti esecutive, mentre lo sviluppo successivo ai 3 anni sembra essere considerato un
periodo di integrazione in cui queste competenze basilari si coordinano.
Come detto in precedenza, i modelli di FE presenti nel panorama scientifico sug-
geriscono che i primi anni di vita siano caratterizzati da FE indifferenziate, che si
frazionano in FE discrete, ma correlate, a partire dagli anni della scuola primaria.
Questo modello evolutivo prevede prestazioni altamente correlate tra memoria di la-
voro, inibizione e compiti di flessibilità negli anni prescolari. Si ipotizza, quindi, che
le relazioni tra le FE si indeboliscano con l’età fino all’età adulta, in linea con il veri-
ficarsi di un frazionamento delle FE in funzioni correlate, ma dissociabili. Lo studio
di Howard, Okeley e Ellis (2015) ha cercato di valutare queste previsioni utilizzando
misure ben consolidate del funzionamento esecutivo e gruppi di età più precisi rispetto
alle ricerche precedenti. A differenza delle precedenti revisioni, i ricercatori si sono
concentrati sulle FE in un range d’età molto più ampio. I risultati attuali suggeriscono
che le prestazioni esecutive nei compiti durante l’età prescolare siano non correlate tra
loro, mentre le FE dei bambini più grandi, al contrario, siano sempre più correlate tra
loro; ciò fornisce prove in contrasto con il modello che prevede un funzionamento
esecutivo inizialmente indifferenziato (e dunque con FE altamente correlate) e che
diviene gradualmente più diversificato con l’aumentare dell’età. I risultati indicano
quindi che una singola traiettoria evolutiva diretta verso una crescente differenziazione
delle FE potrebbe essere insufficiente per spiegare esaustivamente lo sviluppo precoce
delle FE. Sebbene Wiebe et al. (2011) abbiano trovato prove simili per un modello ad
un fattore delle FE, utilizzando gruppi di bambini di 3 anni, il modello a due fattori da
loro individuato ha fornito un adattamento leggermente migliore ai loro dati, nono-
stante sia poi stato scelto il modello unidimensionale seguendo un criterio di maggiore
parsimonia. I dati attuali forniscono evidenze rispetto al fatto che gli anni prescolari
possano essere un periodo di integrazione di processi esecutivi inizialmente non corre-
lati, piuttosto che una risorsa esecutiva unificata nei primi anni prescolari. I risultati di
Howard, Okeley e Ellis (2015) evidenziano anche la necessità di considerare la natura
potenzialmente mutevole e la struttura del funzionamento esecutivo dei bambini più
piccoli in un’ottica evolutiva e di cambiamento.
Questa prospettiva ha permesso un esame delle FE e uno spostamento del focus
verso una dimensione evolutiva, alla luce di questioni centrali di sviluppo come le tra-
iettorie evolutive, le sequenze di acquisizione, il cambiamento qualitativo/quantitativo
e i meccanismi di sviluppo sia a livello comportamentale che neurale. Sulla base di
questo quadro la ricerca futura dovrebbe predisporre di un’ampia fascia di età e compiti
comparabili per rivelare le traiettorie di sviluppo di ogni componente, esaminare le
diverse relazioni tra le componenti e valutare i possibili meccanismi di sviluppo (Best
e Miller, 2010).
In conclusione, si potrebbe ipotizzare che le discrepanze dei differenti modelli te-
orici qui proposti possano essere dovute a due principali ragioni: in primis al fatto
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 17
di considerare fasce d’età troppo ampie che possono non riflettere qualitativamente i
cambiamenti funzionali in un’ottica evolutiva e, in secondo luogo, alla difficoltà in me-
rito alla scelta di compiti adeguati alla valutazione delle FE in età prescolare (Wiebe
et al., 2011).
1.7. Autoregolazione e FE
Infine, Doebel (2020) propone un’interessante visione critica delle FE, che si discosta
dalla classica visione modulare, la quale esercita nel panorama scientifico una forte
influenza su come i ricercatori concettualizzino le FE. L’autrice, infatti, mostra i limiti
della visione attuale predominante riguardo alle FE, viste come un insieme di poche (e
variabili, a seconda del modello) componenti che supportano altri fenomeni di svilup-
po e l’autoregolazione. I limiti di tale visione sono riscontrabili nel fatto che allenare
le FE tramite training appositi non sempre migliori il funzionamento esecutivo o altre
abilità in differenti domini, specialmente quando si considerano gli effetti far transfer,
ovvero gli effetti dei training su vari aspetti del comportamento e dell’apprendimento,
correlati ma distinti rispetto alle FE. Inoltre, molti studi mostrano la scarsa corre-
lazione tra le misure di FE utilizzate nei setting sperimentali e le misure di FE e di
autoregolazione valutate tramite questionari, aspetto che sembra screditare l’idea che
le FE giochino un ruolo cruciale nel supportare processi di autoregolazione.
Distanziandosi dunque dall’idea dello sviluppo delle FE visto come l’emergere
di un set di diverse componenti dominio-generali, differenziabili tramite specifici
subtest, Doebel propone una visione in cui lo sviluppo delle FE riflette l’acquisizione
di un’abilità di controllo del comportamento attraverso l’attivazione di contenuti men-
tali, tra cui conoscenze, credenze e valori diretti verso un obiettivo specifico. Questi
obiettivi specifici, quindi, attiverebbero contenuti mentali quali conoscenze rilevanti,
credenze, valori, regole, interessi e preferenze, che il bambino acquisisce nel corso del
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 19
suo sviluppo calato in uno specifico contesto socioculturale, che influenza il modo in
cui il bambino eserciterà il controllo del suo comportamento. Per chiarire al meglio la
questione, Doebel riporta un esempio pratico: un bambino che impara a non picchiare
un suo compagno che gli ha rubato un gioco non sta semplicemente esercitando la
propria FE di inibizione della risposta come fosse qualcosa di decontestualizzato e
applicabile a qualsiasi situazione, ma sta mettendo in atto una serie di credenze, regole
e valori, quali ad esempio la comprensione del dolore altrui nel caso in cui picchiasse il
compagno, la comprensione delle punizioni che seguirebbero questo atto, la compren-
sione dell’esistenza di alternative socialmente accettabili alla violenza fisica e così via.
La visione prevalente sullo sviluppo delle FE, quindi, prevede che esse si sviluppino
in modo endogeno, decontestualizzato, e che supportino lo sviluppo in vari domini
cognitivi, quale per esempio l’autoregolazione; la visione alternativa proposta da Doe-
bel afferma che l’acquisizione del controllo da parte di un individuo non possa essere
scomposta o spiegata in termini di componenti (inibizione, flessibilità, memoria di
lavoro), ma che una persona, semplicemente, eserciti il suo controllo in una modalità
specifica, modalità influenzata e resa possibile dai contenuti mentali elicitati e acquisiti
durante lo sviluppo, cioè i sistemi di valori e regole, credenze, conoscenze, predispo-
sizioni personali, ecc. In questa prospettiva, le correlazioni tra misure tipiche di FE
e altre misure di abilità dominio-specifiche come, ad esempio, la teoria della mente
(ToM), sono indice del fatto che entrambe le misure valutino e catturino il control-
lo comportamentale diretto verso specifici obiettivi ottenuti tramite l’attivazione dei
contenuti mentali sopracitati (conoscenze, credenze, norme, ecc.). Nelle teorizzazioni
classiche, le FE e la ToM sono correlate perché le FE vengono ritenute necessarie per
esprimere una conoscenza concettuale già esistente (ad es., saper inibire il proprio
punto di vista nel momento in cui si deve rispondere pensando al punto di vista altrui,
sapendosi spostare flessibilmente). Nella teorizzazione di Doebel, FE e ToM sono
molto più interrelate: da una parte, saper rispondere correttamente a un compito di
falsa credenza necessita lo sviluppo del controllo, che è ottenuto tramite l’attivazione
di conoscenze rilevanti; dall’altra, la conoscenza di stati mentali altrui è in grado di
supportare la performance in alcune misure di funzionamento esecutivo. La nuova
teorizzazione di Doebel permette inoltre di spiegare le basse correlazioni spesso os-
servate tra misure di funzionamento esecutivo performance-based e valutazioni tramite
questionari e rating scale: al posto di catturare due costrutti totalmente differenti (te-
oria spesso riportata a spiegazione delle basse correlazioni tra i punteggi ottenuti con
le due diverse misure), le misure performance-based e i questionari valuterebbero un
controllo comportamentale esercitato in modi diversi con diverse tipologie di creden-
ze, conoscenze e valori messi in gioco, aspetti che cambiano notevolmente a seconda
del contesto in cui si trova il bambino.
Doebel, nella sua riflessione (2020), fa riferimento anche alla già citata teoria
dell’IR di Cunningham e Zelazo (2007), in cui i processi riflessivi (reflection) gioca-
no un ruolo fondamentale nello sviluppo e sostenimento delle FE; secondo l’autrice,
nonostante i processi riflessivi siano sicuramente indispensabili per un buon funzio-
namento esecutivo nei vari ambienti di vita, la capacità e la predisposizione a metterli
in atto cambierebbe in gran parte a seconda dei contenuti mentali attivati nella mente
del bambino in relazione a uno specifico obiettivo. La riflessione e il conseguente
20 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO
sviluppo del controllo esecutivo, quindi, si verificano grazie alle conoscenze concettuali
coinvolte nello specifico contesto, caratterizzato da specifici obiettivi. È importante
sottolineare che secondo questa visione si possono riscontrare delle differenze nell’ac-
quisizione del controllo e dei processi riflessivi a seconda del contesto socioculturale
in cui il bambino si trova a vivere, contesto che modella anche i diversi sistemi di
credenze, regole, valori e, in generale, i contenuti mentali che supportano l’acquisizio-
ne di abilità esecutive. Per permettere un miglior funzionamento esecutivo, dunque,
invece che allenare il bambino durante compiti esecutivi a esercitare la riflessione,
secondo Doebel sarebbe necessario fornirgli un numero abbondante di esperienze che
gli consentano di comprendere il valore del controllo e di comprendere il bisogno di
esercitarlo durante momenti critici (che Cunningham e Zelazo nel 2007 definirono
“situazioni di conflitto”). Ciò che si verifica nello sviluppo tipico, quindi, non è tanto
l’acquisizione di competenze generali, separate e decontestualizzate, quali inibizione,
flessibilità o memoria di lavoro, bensì di abilità che permettono di esercitare il con-
trollo diretto verso specifici obiettivi, grazie all’acquisizione e all’attivazione di vari
contenuti mentali. Due importanti implicazioni emergono dal lavoro di riconcettua-
lizzazione attuato da Doebel (2020): da una parte, emerge il bisogno di ripensare ai
training sulle FE in relazione a specifici obiettivi e relative credenze, valori e norme:
invece di tentare di aumentare l’inibizione comportamentale di un bambino con trai-
ning poco ecologici, ha senso considerare gli specifici obiettivi e i sistemi di credenze
che potrebbero supportare il suo raggiungimento (ad es., spiegare a un bambino che
esistono diverse alternative socialmente accettabili al picchiare un compagno di classe
quando ruba il suo gioco); fornire, cioè, dei value-based training di FE, ovvero dei
training non decontestualizzati, ma focalizzati e basati sui sistemi di valori importanti
per il bambino e per i suoi obiettivi, valori che possono anche variare a seconda del
contesto socioculturale di riferimento (sappiamo infatti che la conoscenza concettuale
può cambiare anche in base allo status socioeconomico, SES). Il secondo punto fonda-
mentale per l’autrice è la necessità di attuare valutazioni delle FE molto più ecologiche
rispetto a quelle classiche laboratoriali in uso oggi: al posto di chiedere al bambino di
inibire la risposta che lo porterebbe a schiacciare il bottone (il classico paradigma del
go/no-go task), si potrebbe chiedere al bambino di inibire la risposta che lo porterebbe
a toccare giocattoli per lui attraenti visualizzati sul monitor. In questo modo le misure
di FE risulterebbero più valide dal punto di vista ecologico e più pertinenti rispetto
alle domande di ricerca e ai risultati di interesse.
2
Correlati neurofunzionali
delle funzioni esecutive
dalla nascita all’adolescenza
Antonino Vallesi e Paola Brovedani
Lo sviluppo neurofunzionale delle funzioni esecutive (FE), dall’infanzia fino alla pie-
na maturità cognitiva, è un argomento molto studiato e di grande interesse sia per le
neuroscienze cognitive che per la psicologia dello sviluppo. Le FE sono implicate non
solo nel controllo del comportamento ma anche di altre funzioni cognitive. Hanno
un marcato scopo adattivo e sono importanti predittori del funzionamento scolastico,
lavorativo, della salute fisica e mentale (Friedman e Miyake, 2017; Moffitt et al., 2011).
L’evidenza sempre più consistente della letteratura, sia su individui sani sia su pa-
zienti con disturbi neurologici e neuropsichiatrici, ha ormai da anni stabilito che i
termini FE e funzioni “frontali”, ovvero sottese esclusivamente dai lobi frontali, non
sono intercambiabili (Bettcher et al., 2016), in quanto le FE sono sottese da circuiti
cerebrali estesi benché con una base neurale importante nelle aree prefrontali. Le FE,
infatti, dipendono sia da un efficace funzionamento delle aree prefrontali del cervello
sia dalle loro connessioni con altre aree.
A livello ontogenetico, la corteccia prefrontale raggiunge il livello di maturazione
strutturale e funzionale per ultima, impiegando circa due decadi. La corteccia pre-
frontale è probabilmente una delle aree a maggiore plasticità ed è particolarmente
influenzabile, come di conseguenza le FE che da essa in parte dipendono, da fattori
ambientali negativi quali stress, deprivazione, povertà, ma anche da altri fattori quali la
prematurità e da perturbazioni di diversa eziologia durante lo sviluppo pre e perinata-
le. Alterazioni dei circuiti prefrontali e delle FE si riscontrano frequentemente come
elementi trainanti nelle traiettorie che portano a vari disturbi del neurosviluppo, quali
ad esempio il disturbo da deficit di attenzione e iperattività e il disturbo dello spettro
dell’autismo (cfr. capitoli 10 e 11).
In questo capitolo verranno trattate le tre principali componenti di base delle FE,
almeno secondo modelli classici, ossia inibizione, memoria di lavoro, flessibilità cogni-
tiva (Miyake et al., 2000; Garon, Bryson e Smith, 2008). Verranno presentati i dati
sulle basi neurali sottostanti le principali FE nello sviluppo, inclusa la connettività fun-
zionale, come emerge da recenti studi di neuroimmagine ed elettrofisiologia. Sezioni
separate verranno dedicate alle basi neurofunzionali di ciascuna componente delle FE
dall’infanzia all’adolescenza, pur nella consapevolezza che una suddivisione rigida di
associazione tra singola funzione e correlati neurofunzionali nelle diverse fasi dello
22 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO
sviluppo sia una “forzatura”, dato ad esempio il problema della task impurity, ossia il
probabile coinvolgimento di più circuiti neurali e sottofunzioni che sottendono la pre-
stazione in un determinato test concepito per indagare una determinata componente
delle FE (cfr. capitolo 5). Verranno solo brevemente presentati i network che sotten-
dono l’attenzione secondo l’ottica di Posner e collaboratori (Petersen e Posner, 2012).
Tali autori, grazie ai loro studi che hanno considerato diversi livelli di analisi (com-
portamentale, neuronale, neurotrasmettitoriale, cellulare), hanno infatti fornito im-
pulsi significativi all’attuale stato dell’arte sul funzionamento dell’attenzione umana,
anche in termini di sviluppo, sia nella normalità sia nella patologia (Posner, Rothbart
e Ghassemzadeh, 2020). Per la sovrapposizione, sebbene parziale, di network attentivi,
almeno per quanto riguarda alcune componenti come l’attenzione esecutiva, con le FE
analizzate in questo capitolo, è apparso utile farne cenno.
Lobo
parientale
Lobo
frontale
Lobo
occipitale
Lobo
temporale
Corteccia prefrontale
Dorsolaterale
Ventrolaterale
Orbitofrontale laterale
Dorsomediale
Orbitofrontale mediale
Figura 2.2. Visione laterale e mediale del lobo prefrontale che evidenzia le diverse divisioni (adattata da
G. Denes, L. Pizzamiglio, C. Guariglia, S. Cappa, D. Grossi e C.G. Luzzatti, Manuale di neuropsicologia.
Normalità e patologia dei processi cognitivi. Terza edizione [p. 1192], Zanichelli, Bologna, 2019)
Non sorprende dunque, date tutte queste caratteristiche, che la maturazione dei
lobi frontali accompagni i progressi nelle abilità cognitive superiori, incluse le FE,
lungo l’infanzia e l’adolescenza. La piena maturazione dei lobi frontali avviene in circa
vent’anni e mostra una più rapida evoluzione nei primi due anni di vita, periodo in cui
iniziano a formarsi connessioni con altre aree e circuiti cerebrali (Hodel, 2018).
L’aumento del volume e della superficie della corteccia prefrontale avviene attra-
verso l’incremento del numero dei neuroni e delle sinapsi e l’infoltimento degli alberi
dendritici neuronali. Tra i 6 e i 12 mesi si osserva un arricchimento dell’arborizzazione
dendritica nello strato III della corteccia prefrontale (Koenderink, Uylings e Mrzljak
1994), e tra i 12 e i 18 mesi si ha un picco di sinaptogenesi nella corteccia prefrontale
dorsolaterale (Huttenlocher e Dabholkar, 1997). Studi post mortem hanno mostrato
sinaptogenesi nei primi 10 anni seguita da una riduzione sinaptica che comincia nell’a-
dolescenza (Glantz et al., 2007). Molti studi di risonanza magnetica strutturale hanno
infatti mostrato che lo spessore e il volume corticali si sviluppano secondo una curva a
U invertita, aumentando inizialmente nell’infanzia e poi declinando durante la prima
età adulta (Gogtay et al., 2004; Shaw et al., 2008; Tamnes et al., 2013). È interessante
notare che traiettorie di sviluppo a U rovesciata si osservano anche per la sinaptogenesi
(Glantz et al., (2007) e per il volume nella corteccia prefrontale (Kanemura et al., 2003).
Anche la mielinizzazione è importante per raggiungere il pieno sviluppo del cer-
vello e della sua funzionalità, consentendo una comunicazione veloce e sincronizzata
tra regioni cerebrali (Deoni, 2011; Miller et al., 2012). La mielinizzazione segue un
pattern gerarchico: le regioni sottocorticali, il cervelletto e il ponte sono mielinizzati
per primi. La mielinizzazione prosegue appena prima della nascita nelle aree motorie
e sensoriali, attorno ai 4-6 mesi nei lobi parietale e occipitale e poi nel lobo temporale,
mentre le regioni associative prefrontali, con funzioni cognitive superiori, vengono
prevalentemente mielinizzate per ultime tra i 6 e gli 8 mesi (Deoni, 2011; cfr. Sousa
et al., 2018 per una rassegna), anche se la sua mielinizzazione continua ben oltre quel
periodo.
Nella lenta e prolungata maturazione della corteccia prefrontale, i cambiamenti
strutturali sono accompagnati da cambiamenti metabolici. Il metabolismo del glu-
cosio, quantificato grazie a tecniche di neuroimmagine quali la tomografia a emissio-
ne di positroni (PET), nella corteccia prefrontale aumenta linearmente dalla nascita,
raggiungendo il suo plateau a circa 8-9 mesi di età e continua fino ai 4 anni. Nella
corteccia somatosensoriale il metabolismo è invece già alto sin dalla nascita, e viene
riportato un aumento esponenziale nelle regioni posteriori già nei primi 2 mesi di vita
(occipitale, temporale e parietale) (Chugani, Phelps e Mazziotta, 1987; Chugani, 2018;
Franceschini et al., 2007).
In sintesi, dalla letteratura sullo sviluppo strutturale della corteccia prefrontale
emerge che entro il primo anno di vita avvengono dei cambiamenti strutturali signi-
ficativi che si esprimono come aumento del numero dei neuroni, delle sinapsi e dei
dendriti e del volume delle sostanza bianca con picchi di maturazione intorno ai 6-8
mesi per la sinaptogenesi, la mielinizzazione e l’attività metabolica del glucosio. Tali
processi maturativi si protraggono nel tempo ma, già dalla tarda adolescenza, essi si ri-
ducono progressivamente. La connettività strutturale tra corteccia prefrontale ed altre
aree cerebrali, necessaria per il buon funzionamento delle FE, viene facilitata da questi
processi maturativi a livello della sostanza grigia e bianca.
Connessioni della corteccia prefrontale con altre aree cerebrali sottendono lo svi-
luppo di specifiche FE, quali inibizione, memoria di lavoro, flessibilità cognitiva (Fiske
e Holmboe, 2019). Tale connettività funzionale, studiata attraverso metodiche di neu-
roimmagine, verrà discussa nel prossimo paragrafo.
2. Correlati neurofunzionali delle funzioni esecutive... 25
2.2.1 Inibizione
L’inibizione è il processo che consente di sopprimere l’attenzione o risposte automa-
tiche a informazioni o stimoli salienti ma potenzialmente distraenti, per poter rag-
giungere uno scopo cognitivo o comportamentale in modo ottimale (cfr. capitoli 1
e 3). Tradizionalmente, si considera la fine del primo anno di vita come l’inizio della
curva di sviluppo per l’inibizione (Garon, Bryson e Smith, 2008), con miglioramenti
più marcati durante gli anni prescolastici (Garon, Smith e Bryson, 2014) e un miglio-
ramento successivo più stabile fino a raggiungere livelli di maturità nella prima adole-
scenza (van den Wildenberg e van der Molen, 2004; Williams et al., 1999). In compiti
antisaccadici dove viene richiesto di guardare dalla parte opposta a quella in cui com-
pare lo stimolo visivo, considerati richiedere inibizione della risposta preponderante,
bambini di 6-7 anni mostrano significative difficoltà, migliorando la prestazione ne-
gli anni successivi e raggiungendo la massima prestazione intorno ai 20 anni (Luna,
2009). Tuttavia, alcune ricerche suggeriscono che delle forme primitive di controllo
inibitorio possano essere già presenti attorno ai 6 mesi (Holmboe, Bonneville-Roussy,
Csibra e Johnson, 2018).
I correlati neurali dell’inibizione durante l’infanzia per compiti quali il go/no-go
(rispondere a uno stimolo bersaglio e non rispondere a stimoli non bersaglio) includo-
no la corteccia prefrontale ventrolaterale e dorsolaterale (cfr. fig. 2.2) come dimostrato
da studi fMRI (Bunge et al., 2002). In particolare, la corteccia dorsolaterale prefrontale
è coinvolta quando nel compito sono richiesti sia inibizione sia memoria di lavoro,
soprattutto durante la prima infanzia, quando le due componenti esecutive sembrano
essere co-dipendenti, mentre l’attivazione di quest’area durante compiti inibitori si
riduce con lo sviluppo (Durston et al., 2006; Tamm, Menon e Reiss, 2002). Studi di
28 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO