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LE FUNZIONI ESECUTIVE

NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO


dalla valutazione all,intervento
A cura di
Gian Marco Marzocchi, Chiara Pecini,
Maria Carmen Usai e Paola Viterbori

LE FUNZIONI ESECUTIVE
NEI DISTURBI
DEL NEUROSVILUPPO
dalla valutazione all,intervento

Presentazione di Cesare Cornoldi


Prefazione di Pierluigi Zoccolotti
Le funzioni esecutive nei disturbi del neurosviluppo.
Dalla valutazione all’intervento
Gian Marco Marzocchi, Chiara Pecini,
Maria Carmen Usai e Paola Viterbori (a cura di)

Edizione eBook
ISBN: 978-12-81075-16-0

© 2022, 2024, Hogrefe Editore, Firenze


Viale Antonio Gramsci 42, 50132 Firenze
www.hogrefe.it

Coordinamento editoriale: Jacopo Tarantino


Redazione: Alessandra Galeotti
Impaginazione e copertina: Stefania Laudisa

Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione dell’opera o di parti di essa con qualsiasi mezzo,
compresa stampa, copia fotostatica, microfilm e memorizzazione elettronica, se non espressamente
autorizzata dall’Editore.
I curatori

Gian Marco Marzocchi


Professore associato in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università di Milano-
Bicocca, ha conseguito il PhD in Neuroscienze presso la SISSA di Trieste. Cofondatore del
Centro per l’Età Evolutiva di Bergamo, dove effettua consulenze a genitori, insegnanti e valuta-
zioni psico-diagnostiche per bambini e ragazzi, ha curato con Marina Cavallero l’adattamento
italiano delle ADHD Rating Scale-5 for Children and Adolescents (Hogrefe, 2019).

Chiara Pecini
Professore associato in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università di Firenze,
ha conseguito il PhD in Neuroscienze dello sviluppo presso l’Università di Pisa e la specializ-
zazione in Psicologia Clinica presso l’Università di Siena. Ha svolto attività di ricerca clinica
in Neuropsicologia dello sviluppo presso l’IRCCS Fondazione Stella Maris fino al 2018. I suoi
temi di ricerca riguardano i processi cognitivi sottostanti lo sviluppo del linguaggio e l’appren-
dimento scolastico in condizioni tipiche e atipiche. È docente di master in vari Atenei italiani e
autrice di numerose pubblicazioni scientifiche e di software per l’intervento in remoto nell’am-
bito dei disturbi del neurosviluppo.

Maria Carmen Usai


Professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze della formazione dell’Università di Ge-
nova, insegna Sviluppo delle differenze individuali e Psicologia dello sviluppo. Il tema delle
funzioni esecutive nello sviluppo tipico e atipico costituisce uno dei suoi principali argomenti di
ricerca e di docenza nell’ambito di alcuni master di secondo livello. Su questo e altri temi affini
è autrice di pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali. Ha partecipato al
gruppo di scrittura sui prerequisiti dell’apprendimento nelle nuove Linee Guida sulla gestione dei
Disturbi Specifici dell’Apprendimento (ISS, 2022).

Paola Viterbori
Professore associato in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università di Genova,
ha conseguito il PhD in Metodi di ricerca in psicologia e la specializzazione in Psicologia clinica
presso lo stesso Ateneo. I suoi temi di ricerca riguardano la valutazione e l’intervento nell’ambito
delle funzioni esecutive e lo studio della relazione fra funzioni esecutive e altri domini dello
sviluppo.
Gli autori

Clara Bombonato Sara Mazzotti


IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa
Silvia Bonetti Alessandra Mingozzi
Équipe Evolutiva, Viareggio Università di Milano-Bicocca
Paola Brovedani Pietro Muratori
IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa
Claudia Casalini Maria Chiara Passolunghi
IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa Dipartimento di Scienze della vita,
Università di Trieste
Emanuela Castro
Centro P.O.P., Livorno Chiara Pecini
Dipartimento di Scienze della formazione,
Cesare Cornoldi lingue, intercultura, lettere e psicologia
Dipartimento di Psicologia generale, Università di Firenze
Università di Padova
Francesca Pulina
Alessandro Crippa Dipartimento di Psicologia dello sviluppo
Laboratorio di Psicopatologia dello sviluppo, e della socializzazione, Università di Padova
IRCCS “Eugenio Medea”, Bosisio Parini
Carlotta Rivella
Paola Cristofani Dipartimento di Scienze della formazione,
IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa Università di Genova
Maria Chiara Di Lieto Silvia Spoglianti
IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa Paroleincerchio, Imola
Martina Fontana Irene Tonizzi
Dipartimento di Scienze della vita, Dipartimento di Scienze della formazione,
Università di Trieste Università di Genova
Elena Gandolfi Laura Traverso
Dipartimento di Scienze della formazione, Dipartimento di Scienze della formazione,
Università di Genova Università di Genova
Silvia Lanfranchi Maria Carmen Usai
Dipartimento di Psicologia dello sviluppo Dipartimento di Scienze della formazione
e della socializzazione, Università di Padova Università di Genova
Irene C. Mammarella Antonino Vallesi
Dipartimento di Psicologia dello sviluppo Dipartimento di Neuroscienze e Padova
e della socializzazione, Università di Padova Neuroscience Center, Università di Padova
Alice Martinelli Paola Viterbori
IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa Dipartimento di Scienze della formazione
Gian Marco Marzocchi Università di Genova
Dipartimento di Psicologia
Università di Milano-Bicocca
Indice

Presentazione
Cesare Cornoldi XI

Prefazione
Pierluigi Zoccolotti XIII

Parte prima. Inquadramento teorico e strumenti per la valutazione e l’intervento

1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva


Gian Marco Marzocchi e Alessandra Mingozzi 3
1.1. I primi studi sulle funzioni esecutive in età evolutiva 4
1.2. Modelli frazionati di FE 5
1.3. Modelli sequenziali di FE 7
1.4. Modelli di FE hot e cold 9
1.5. Modello di rielaborazione iterativa e reflection 10
1.6. FE e ciclo di vita: modelli unitari e dimensionali 13
1.7. Autoregolazione e FE 17
1.8. Nuove prospettive nelle FE 18

2. Correlati neurofunzionali delle funzioni esecutive dalla nascita all’adolescenza


Antonino Vallesi e Paola Brovedani 21
2.1. Sviluppo della corteccia prefrontale e delle aree ad essa connesse 22
2.2. Le basi neurofunzionali sottese alle diverse funzioni esecutive 25
2.3. Vulnerabilità e plasticità dei circuiti sottesi alle FE 34
2.4. Conclusioni 36

3. Traiettorie evolutive nello sviluppo tipico delle funzioni esecutive


Elena Gandolfi e Maria Carmen Usai 37
3.1 Lo sviluppo delle funzioni esecutive 37
3.2. Contesto di sviluppo delle FE: il ruolo delle relazioni parentali e
del contesto socioeconomico 40
3.3. Funzioni esecutive e altri domini di sviluppo 42
VIII LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

4. Le funzioni esecutive nei disturbi del neurosviluppo e in altre condizioni


di sviluppo neurofunzionale atipico
Chiara Pecini e Claudia Casalini 48
4.1. Disturbi e traiettorie atipiche dello sviluppo neurofunzionale 48
4.2. Profili di FE nello sviluppo neurofunzionale atipico 51
4.3. Ricadute clinico-educative nella presa in carico dei bambini
con sviluppo atipico 57

5. La valutazione delle funzioni esecutive nel periodo prescolare e scolare


Carlotta Rivella, Clara Bombonato e Paola Viterbori 61
5.1. Perché e quando valutare le FE 61
5.2. Come cambia la valutazione in relazione all’età del bambino 62
5.3. Strumenti di valutazione delle FE 63
5.4. Aspetti critici nella valutazione delle FE 68
5.5. Valutazione delle FE nella disabilità e nei disturbi del neurosviluppo 70
5.6. Televalutazione delle FE 71
5.7. Spunti conclusivi 72

6. Criteri generali per il potenziamento e la riabilitazione delle funzioni esecutive


Laura Traverso, Emanuela Castro e Maria Chiara Di Lieto 74
6.1. Gli interventi 74
6.2. I benefici 79
6.3. Criteri generali 82

Parte seconda. Funzioni esecutive e sviluppo atipico: ricerche e casi clinici

7. Quadri a rischio nei primi anni di vita


Sara Mazzotti, Alice Martinelli e Paola Viterbori 87
7.1. Il rischio nella prima infanzia 87
7.2. Ruolo e valutazione delle FE nella prima infanzia 89
7.3. La valutazione delle FE emergenti nella pratica clinica 92
7.4. Mediatori ambientali: ricadute valutative 96
7.5. Condizioni di rischio e sviluppo delle FE nella prima infanzia 97
7.6. Esperienze e prospettive di intervento 99
7.7. Conclusioni e prospettive 102
Caso clinico 103

8. Funzioni esecutive e disturbi primari del linguaggio


Claudia Casalini e Clara Bombonato 106
8.1. Inquadramento nosografico dei disturbi primari del linguaggio 106
8.2. Fenotipo clinico dei disturbi primari del linguaggio 108
8.3. Endofenotipo cognitivo dei disturbi primari del linguaggio 109
8.4. La valutazione delle FE nei disturbi del linguaggio 114
INDICE IX

8.5. L’intervento sulle FE nei disturbi del linguaggio 114


Caso clinico 117

9. Funzioni esecutive nei disturbi specifici di apprendimento


Silvia Spoglianti, Silvia Bonetti e Chiara Pecini 121
9.1. I disturbi specifici di apprendimento 121
9.2. FE ed apprendimento scolastico nello sviluppo tipico 124
9.3. FE e difficoltà di apprendimento scolastico 126
9.4. Protocolli di valutazione delle FE nei DSA 133
9.5. L’intervento sulle FE nei DSA 136
9.6. Spunti conclusivi relativi alla relazione tra DSA e FE 141
Caso clinico 142

10. Funzioni esecutive e disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD)


Gian Marco Marzocchi e Alessandra Mingozzi 146
10.1. Inquadramento nosografico 146
10.2. Modelli interpretativi di ADHD 147
10.3. FE e ADHD 150
10.4. Profili di FE e protocolli di valutazione 154
10.5. Interventi sulle FE nell’ADHD 157
10.6. Considerazioni conclusive 162
Caso clinico 162

11. Funzioni esecutive e disturbi dello spettro dell’autismo


Alessandro Crippa, Irene Tonizzi e Maria Carmen Usai 166
11.1. Inquadramento nosografico 166
11.2. Descrizione del funzionamento generale e modelli interpretativi 166
11.3. Profili e protocolli di valutazione 171
11.4. Gli interventi 173
Caso clinico 175

12. Funzioni esecutive e disabilità intellettiva


Silvia Lanfranchi, Martina Fontana, Maria Chiara Passolunghi,
Francesca Pulina e Maria Carmen Usai 181
12.1. Caratteristiche generali 181
12.2. Descrizione del funzionamento nell’area delle FE 182
12.3. La valutazione delle FE nella disabilità intellettiva 183
12.4. Potenziamento delle FE in bambini e ragazzi con disabilità intellettive 186
Caso clinico 189

13. Funzioni esecutive e disturbi neuromotori


Maria Chiara Di Lieto, Paola Cristofani, Carlotta Rivella e Sara Mazzotti 196
13.1. Inquadramento nosografico 196
X LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

13.2. Descrizione del funzionamento generale 198


13.3. Ruolo delle FE nella diagnosi funzionale 201
13.4. Esperienze e prospettive d’intervento 204
Caso clinico 207

14. F
 unzioni esecutive nel disturbo dello sviluppo delle abilità visuospaziali
(disturbo non verbale)
Cesare Cornoldi e Irene C. Mammarella 209
14.1. Caratteristiche del disturbo 209
14.2. La memoria di lavoro nel disturbo non verbale 211
14.3. Lo studio di altre FE nel disturbo non verbale 214
14.4. Valutazione e intervento sulle FE nel disturbo non verbale 215
Caso clinico 216

15. Funzioni esecutive nei disturbi esternalizzanti e internalizzanti


Silvia Bonetti, Emanuela Castro e Pietro Muratori 223
15.1. Inquadramento nosografico 223
15.2. FE e disturbi internalizzanti ed esternalizzanti 227
15.3. Interventi che possono promuovere le FE in età evolutiva 233
Caso clinico 236

Bibliografia 241

Indice analitico 297


Presentazione

È con grandissimo piacere che introduco questo volume sulle funzioni esecutive
nell’ambito evolutivo, sia perché si tratta di un libro prezioso e molto completo sia
perché in Italia si avvertiva il bisogno di una presentazione organica e aggiornata della
tematica. Il testo è non solo prezioso, ma anche autorevole, perché dà voce a una rete
di ricercatori italiani (GRIFE) che da anni si coordinano e danno vita ad iniziative per
promuovere lo studio e la conoscenza delle funzioni esecutive in età evolutiva. Come
Presidente nazionale dell’AIRIPA (Associazione Italiana per la Ricerca e l’Intervento
in Psicopatologia dello Sviluppo), che è coinvolta nell’attività del gruppo GRIFE ed è
beneficiaria dei diritti d’autore di questo volume con l’accordo di utilizzarli per inizia-
tive del gruppo, saluto quindi con estremo piacere la comparsa del testo.
Devo confessare che, avendo a lungo frequentato Alan Baddeley e Tim Shallice, ed
avendo più volte incontrato Donald Norman e Bruce Pennington, mi ero in passato
fortemente interessato alla tematica delle funzioni esecutive, studiandole sperimen-
talmente e riprendendo il costrutto di controllo esecutivo per rappresentare la me-
moria di lavoro. Poi però, come era successo anche per altri colleghi, avevo ridotto il
mio coinvolgimento sull’argomento, per due ragioni principali e cioè per l’eterogeneità
delle funzioni e per l’eccessiva capacità esplicativa assegnata alle funzioni esecutive
per spiegare i disturbi del neurosviluppo (v. ADHD, autismo e DSA) o altri costrut-
ti cognitivi (v. intelligenza). Purtroppo, alcuni studiosi di funzioni esecutive avevano
continuato a ribadire queste tesi estreme della prima ora creando diffidenza. Vedo
invece che il presente testo evita questo pericolo, grazie alla presenza di autori anche
giovani che non hanno pesanti eredità da difendere e all’ampiezza della trattazione,
che permette di andare in profondità sugli argomenti affrontati.
Va detto che lo stesso termine “funzioni esecutive” al plurale avrebbe dovuto ricor-
dare che si sta parlando di più “funzioni” e non di una sola. Il primo capitolo del libro,
curato da Gianmarco Marzocchi (il quale non a caso viene da un dottorato svolto sotto
la guida di Shallice) e Alessandra Mingozzi, ci offre una visione illuminata e moderna
del costrutto, specificando che si sta parlando di un “termine ombrello” (come del resto
sono “concetti ombrello” molti altri grandi termini usati dalla psicologia, a partire da
percezione e linguaggio, per finire con attenzione, memoria e pensiero), che si riferisce
a “una rete di processi cognitivi di ordine superiore per coinvolgere, dirigere o coor-
dinare altri processi psicologici di ordine inferiore, al fine di raggiungere determinati
obiettivi”. E infatti, anche per altri costrutti citati, per esempio memoria, attenzione e
XII LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

pensiero (che tra l’altro presentano molte sovrapposizioni con le funzioni esecutive),
oggi si fa un riferimento generale, ma anche articolato. Si dedica magari ad essi un
capitolo nei manuali introduttivi alla psicologia, ma poi si perviene a un’articolazione
e a un’analisi di singoli semi-indipendenti aspetti. Guardiamo con sospetto chi parla
tout court di “linguaggio” o di “memoria” senza tenere conto dei vari aspetti sottostanti,
spesso scarsamente correlati fra loro, spesso con funzioni e criticità diverse a seconda
delle tipologie di problemi o psicopatologie. Lo stesso mi sembra valere per le “fun-
zioni esecutive” anche se forse, in questo caso, c’è un maggiore comun denominatore,
anche sulla base della maggiore riconoscibilità di comuni correlati neurali. Tuttavia,
un’articolazione ragionata, consistente e condivisa richiede ulteriore ricerca. I vari ca-
pitoli del volume ci testimoniano ciò, mostrando come le varie tematiche affrontate
richiedano una differenziazione fra strumenti e corrispondenti tipologie di funzioni
esecutive, e nel primo capitolo si illustrano alcuni modelli e proposte di differenziazio-
ne delle funzioni esecutive, riflesso dell’attuale difficoltà a raggiungere una posizione
condivisa.
Gli autori dei vari capitoli sono comunque rispettosi della ricchezza e varietà di
proposte presenti nel campo e onestamente riportano le criticità del settore. Mi ha
colpito vedere presentata la posizione recente di Sabine Doebel, che implicitamente
riprende il timore di aporia associato alle funzioni di controllo (se esse controllano la
mente, chi a loro volta le controlla?) e in qualche modo propone che le funzioni di con-
trollo si sviluppino sulla base di una serie di processi inerenti alle funzioni controllate.
In questo volume sono autore non solo di questa breve presentazione, ma anche
– insieme a Irene Mammarella – di un capitolo che riguarda le funzioni esecutive nel
caso del disturbo non verbale. Devo dire che, quando Irene mi propose di collaborare
a questo capitolo, rimasi perplesso, perché non penso che le funzioni esecutive costi-
tuiscano una chiave fondamentale per la comprensione del disturbo. Ho poi accettato
quando ho appreso che ci sarebbero stati capitoli anche per altre problematiche, per
esempio i DSA, ove la situazione mi pare per molti versi simile. Ho quindi inteso il
compito come un invito a considerare la possibilità che anche le funzioni esecutive
possano avere un ruolo in questi disturbi e che quindi il clinico, con una visione am-
pia, ne deve tenere conto. Non vorrei tuttavia avere contribuito a creare in chi userà il
volume l’idea che le funzioni esecutive abbiano uguale importanza in tutti i disturbi
del neurosviluppo. Infatti, per quanto sia stata dismessa l’idea che in certi disturbi (in
primis l’ADHD) il problema risieda solo nelle funzioni esecutive, continuo a pensare
che in tali disturbi il peso delle funzioni esecutive sia particolarmente importante.

Cesare Cornoldi
Professore emerito di Psicologia
Università degli studi di Padova
Prefazione

Quando un libro parla di funzioni cognitive quali intelligenza, memoria o attenzione,


è certamente importante il riferimento a modelli teorici; tuttavia, il lettore possiede
una comprensione generale dei fenomeni di cui si parla. La nostra conoscenza della
mente umana include infatti una visione generale (o di “psicologia ingenua”, come
viene talvolta definita) di questi processi psicologici. Quando la trattazione riguarda
invece le funzioni esecutive, un primo problema è di tipo definitorio. Che cosa si in-
tende con il termine funzioni esecutive? Perché è utile riferirsi a questi processi?
Storicamente, il punto di partenza nella descrizione dei processi esecutivi deriva
da studi neuropsicologici in pazienti con lesioni cerebrali. Alcuni pazienti (spesso con
lesioni nelle aree frontali) presentavano disturbi complessi che non potevano essere in-
quadrati facendo riferimento solo a processi quali linguaggio, memoria, attenzione, ecc.
In epoche recenti, Alan Baddeley e Barbara Wilson nel 19881 hanno descritto un
caso molto chiaro. A causa di un incidente stradale, R.J., un uomo di 42 anni, ave-
va subito un trauma cranico con emorragie in entrambi i lobi frontali. A sei mesi
dall’incidente, R.J. presentava per alcuni aspetti un quadro chiaro di amnesia frontale,
come indicato da una memoria episodica gravemente compromessa sia per il materiale
verbale che per quello non verbale. Tuttavia, altri aspetti del profilo del paziente non
erano facilmente inquadrabili in un disturbo di memoria. In particolare, R.J. presenta-
va un’alterazione della velocità e dell’accuratezza delle prestazioni in test di memoria
semantica e alterazioni nella prestazione in alcuni compiti di apprendimento proce-
durale; inoltre, la sua memoria autobiografica era scarsa e soggetta a confabulazioni.
Baddeley e Wilson hanno proposto che il quadro non era spiegabile come una forma
qualitativamente differente di amnesia frontale ma si dovevano prendere in considera-
zione anche difficoltà aggiuntive (e parzialmente indipendenti) a carico delle funzioni
di pianificazione e controllo del comportamento, ovvero delle funzioni esecutive. Gli
autori concludevano che il quadro presentato dal paziente indicava sia un’amnesia
frontale sia una “sindrome disesecutiva”.
Invocare l’esistenza di funzioni “esecutive” rappresenta quindi una necessità logica
per spiegare alcuni disturbi comportamentali (in presenza di lesioni cerebrali) e, più

1
Baddeley, A. e Wilson, B. (1988). Frontal amnesia and the dysexecutive syndrome. Brain and
Cognition, 7(2), 212-230. doi: 10.1016/0278-2626(88)90031-0
XIV LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

in generale, per spiegare il comportamento umano. Questa osservazione ci rimanda


alla natura inferenziale dell’analisi che noi compiamo del comportamento, cioè di in-
terpretazione e di conoscenza dei processi sottostanti. In questo senso, la descrizione
dei processi esecutivi non differisce da altri processi quali linguaggio, memoria o at-
tenzione. Anche in questi casi l’analisi non si limita a una mera descrizione del com-
portamento: l’approccio scientifico si caratterizza per l’obiettivo di formulare modelli
esplicativi, cioè per l’interesse a comprendere le dimensioni sottostanti il comporta-
mento. Ne segue che la necessità di definire le funzioni esecutive, e di poterlo fare
compiutamente solo all’interno di modelli che sono stati sviluppati sulla base della ri-
cerca, rappresenta una premessa per affrontare questo tema non in termini meramente
descrittivi, ma sottolineando la natura inferenziale non solo dell’analisi scientifica ma
anche dello stesso processo diagnostico.
Mi sembra che sia proprio questa la prospettiva con cui il volume curato da Mar-
zocchi, Pecini, Usai e Viterbori affronta il tema delle funzioni esecutive nei disturbi del
neurosviluppo. La descrizione delle varie funzioni esecutive è sviluppata all’interno dei
modelli recenti presenti nella letteratura scientifica e da questa impostazione deriva
tutta l’articolazione successiva del testo, dalla descrizione (aggiornata ed approfondi-
ta) dei correlati neurofunzionali, alla presentazione puntuale delle traiettorie evolutive
nello sviluppo tipico e atipico.
Il quadro che ne esce è certamente complesso. In particolare, può colpire il fatto
che modelli cognitivi differenti propongano funzioni esecutive almeno parzialmente
differenti e che modelli differenti sembrino più efficaci per spiegare aspetti differenti,
ad esempio i correlati neurofunzionali oppure gli andamenti evolutivi. D’altro canto,
la ricerca indica il forte potere esplicativo che assumono le funzioni esecutive in un
ventaglio ampio di comportamenti, dall’acquisizione linguistica agli apprendimenti
scolastici.
Questa complessità e insieme l’elevato potere esplicativo possono essere utilmente
trasferiti dall’ambito della ricerca a quello della valutazione dei disturbi del neurosvi-
luppo. Negli ultimi anni, vi sono stati significativi cambiamenti nella prospettiva con
la quale sono stati considerati questi disturbi. Alla fine del Ventesimo secolo, prevaleva
una tendenza a sottolineare la specificità dei disturbi e a cercare di identificare la sin-
gola causa di ogni singolo disturbo. Negli ultimi vent’anni, è prevalsa una prospettiva
in cui i disturbi del neurosviluppo vengono visti in un’ottica multifattoriale, in cui le
varie condizioni cliniche sono descritte nella loro complessità senza necessariamente
effettuare artificiose gerarchie tra sintomi (si veda, ad es., la distinzione tra sintomi
primari e secondari). Questo cambio di prospettiva, sottolineato nel libro, è particolar-
mente significativo quando si esaminano le funzioni esecutive. Una prospettiva basata
sulla specificità dei disturbi porterebbe a una visione meccanicistica del rapporto tra
funzioni esecutive e disturbi del neurosviluppo. Viceversa, accettare la complessità dei
quadri sintomatologici che sono tipici dei disturbi evolutivi consente di utilizzare in
modo costruttivo il contributo esplicativo offerto dai processi esecutivi.
È in questa prospettiva che si sviluppa la serie di contributi che descrivono il ruolo
delle funzioni esecutive in un ampio spettro di disturbi che spaziano dalla sfera delle
difficoltà cognitive (come nel caso dei disturbi del linguaggio e dell’apprendimento)
sino a disturbi comportamentali (ADHD) e di adattamento (disturbi esternalizzanti e
PREFAZIONE XV

internalizzanti). La prospettiva della comorbidità e della multifattorialità consente una


visione più unitaria dei disturbi del neurosviluppo e la descrizione del contributo delle
funzioni esecutive ne arricchisce l’illustrazione senza creare automatismi interpretativi.
Mi sembra vada sottolineato come questo approccio sia di notevole interesse per-
ché possiede grandi potenzialità interpretative non solo in una prospettiva di ricerca
ma anche nell’analisi di casi singoli, ove venga rispettata ed affrontata la specificità del
profilo individuale. D’altro canto, non si può negare la complessità di una valutazione
effettuata nella prospettiva generale della comorbidità rispetto a un approccio che si
fonda sull’idea della specificità del disturbo. Le etichette diagnostiche (caratteristi-
che di manuali internazionali quali DSM e ICD) rappresentano in qualche misura
un “porto” sicuro in cui ancorare procedure diagnostiche nella prospettiva categoriale
della “specificità”. Accettare la complessità dei quadri individuali rappresenta una sfida
notevole, che tuttavia può dare risultati molto positivi in ambito clinico-diagnostico e
contribuire ad arricchire la programmazione di piani di trattamento individualizzati.
Vorrei far notare come questa prospettiva stia peraltro entrando a pieno titolo an-
che nella formulazione di buone pratiche cliniche. Si veda ad esempio il caso della
recente Linea Guida sulla gestione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento pubblicata
nel novembre 2021 e recepita dal Sistema Nazionale Linee Guida nel febbraio di
quest’anno2. La raccomandazione 6.1 riguarda, così, l’inclusione nel processo diagno-
stico dei disturbi dell’apprendimento (DSA), indipendentemente dall’età, della valu-
tazione di una serie di competenze cognitive, tra le quali sono indicate le funzioni
esecutive con particolare riferimento alle funzioni di pianificazione e di monitoraggio.
Inquadrare i disturbi dello sviluppo tenendo conto del ruolo delle funzioni ese-
cutive rappresenta quindi per il clinico un importante arricchimento ma anche una
sfida non indifferente. In questo percorso il volume curato da Marzocchi, Pecini, Usai
e Viterbori può rappresentare un punto di riferimento importante per la chiarezza
dei riferimenti teorici, la ricchezza di informazioni e la varietà di esemplificazioni in
ambito clinico-diagnostico.

Pierluigi Zoccolotti
Sapienza Università di Roma

2
https://snlg.iss.it/wp-content/uploads/2022/03/LG-389-AIP_DSA.pdf (consultato il 15/11/2022).
Parte prima

Inquadramento teorico e strumenti


per la valutazione e l’intervento
1
Modelli neurocognitivi delle
funzioni esecutive in età evolutiva
Gian Marco Marzocchi e Alessandra Mingozzi

Le funzioni esecutive (FE) sono processi psicologici fondamentali per l’autoregola-


zione di pensieri, comportamenti ed emozioni nella vita di tutti i giorni. Vengono
implementate quando abbiamo bisogno di esercitare il controllo sui nostri pensieri
e comportamenti, specialmente quando stiamo cercando di mettere in atto qualcosa
che possa superare le nostre abitudini, impulsi e desideri. Più formalmente, spesso
le FE sono state definite come una rete di processi cognitivi di ordine superiore per
coinvolgere, dirigere o coordinare altri processi psicologici di ordine inferiore, al fine
di raggiungere determinati obiettivi (Diamond, 2013). Il termine “funzioni esecutive”
viene utilizzato come umbrella term atto a indicare molteplici domini correlati tra di
loro in base a modelli neurocognitivi che nel corso degli anni sono stati pubblicati sulle
principali riviste scientifiche.
L’interesse per le FE in età adulta risale ad oltre centosettant’anni fa, con il fa-
moso caso di Phineas Gage del 18481, che permise di iniziare a comprendere il ruolo
e il funzionamento dei lobi frontali. Dopo centoquarant’anni, nel 1988 comparve il
primo articolo scientifico di Welsh e Pennington sulla valutazione dei lobi frontali nei
bambini, facendo riferimento al costrutto delle FE, termine già molto utilizzato in
neuropsicologia degli adulti.
La nostra comprensione delle FE e dei processi di controllo è in gran parte dovuta
ai lavori pioneristici di Tim Shallice e Donald Norman sul sistema attentivo superviso-
re (SAS) (Norman, Shallice, Davidson, Schwartz e Shapiro, 1986), da un lato, e di Alan
Baddeley sull’esecutivo centrale della memoria di lavoro, dall’altro (Baddeley e Hitch,
1974). In questa sede, per ragioni di spazio, non possiamo descrivere questi due mo-
delli, ormai ritenuti classici e facilmente rinvenibili nella letteratura neuropsicologica.
Già negli anni novanta, gli autori interessati a comprendere la natura e la struttura
delle FE riscontrarono che questi due modelli classici (il SAS e l’esecutivo centra-
le) avevano il limite di essere dei monoliti, ragion per cui vengono chiamati model-
li unitari delle FE, una sorta di scatola nera (era proprio definita una black box) in
cui si collocavano i processi cognitivi di ordine superiore capaci di governare i nostri

1
Gage era un operaio delle ferrovie che sopravvisse a un incidente nel quale una barra di ferro
penetratagli nel cranio gli distrusse gran parte del lobo frontale sinistro.
4 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

comportamenti più complessi, ma che, tuttavia, non potevamo comprendere perché la


ricerca non aveva ancora avuto accesso alla struttura interna della scatola nera.

1.1. I primi studi sulle funzioni esecutive in età evolutiva

Il manifesto di apertura allo studio delle FE in età evolutiva scritto da Welsh e Pen-
nington nel 1988 aprì la strada alle ricerche di neuropsicologia clinica dello sviluppo
tramite la somministrazione di batterie di test classicamente usati per valutare le FE
in età adulta.
Nel 1991 due gruppi di ricerca, uno coordinato dalla Welsh e l’altro da Levin,
pubblicarono i risultati dei primi studi che permisero di comprendere la struttura in-
terna delle FE anche nei bambini di 6-12 anni, somministrando batterie di test classici
e conducendo a posteriori delle analisi fattoriali esplorative (EFA) per comprendere
come si strutturavano le misure relative alle FE.
Il gruppo di ricerca della Welsh (Welsh, Pennington e Groisser, 1991) propose i
seguenti sei test: la Torre di Hanoi (ToH), il Wisconsin Card Sorting Test (WCST), il
Matching Familiar Figure Test (MFFT), un compito di ricerca visiva, uno di fluenza
verbale e uno di apprendimento di sequenze motorie. L’analisi fattoriale mise in luce
l’esistenza di tre fattori: il primo, denominato rapidità della risposta, includeva misu-
re che implicano efficienza e rapidità (compiti di ricerca visiva, di fluenza verbale e
di sequenziamento motorio); il secondo, denominato generazione di ipotesi e controllo
dell’impulsività, rimanda al controllo delle risposte impulsive e alla flessibilità cognitiva
(compito di WCST e di MFFT); infine, il terzo, la pianificazione, che includeva le
prestazioni alla Torre di Hanoi.
L’altro studio pubblicato da Levin e collaboratori nel 1991 comprendeva la sommi-
nistrazione di una batteria simile: il WCST, il California Verbal Learning Test (CVLT),
la Torre di Londra (ToL), il Twenty Questions (una prova di ragionamento) e un go/
no-go test. Anche in questo caso dall’analisi fattoriale esplorativa emersero tre fattori:
il primo venne denominato controllo delle perseverazioni e includeva misure relative al
controllo delle risposte impulsive; il secondo venne definito formazione dei concetti e
includeva misure di ragionamento e memoria; infine, il terzo fattore venne definito
pianificazione e includeva il punteggio della ToL.
I due modelli appena presentati sono in parte sovrapponibili perché includono
un fattore relativo alla pianificazione, misurato in entrambi i casi con i compiti delle
torri; un altro fattore simile riguarda il controllo delle risposte impulsive, ovvero dei
processi di inibizione; infine, emergono divergenze tra gli aspetti relativi alla rapidità
di risposta o di generazione di concetti. Da questi primi studi risulta in modo chiaro
che esistono dei fattori parzialmente indipendenti nel dominio delle FE nei bambini,
ma è altrettanto vero che la struttura dei processi cognitivi dipende in larga parte dai
test e dalle misure considerate nelle analisi statistiche.
Nel 1996 Bruce Pennington e Sally Ozonoff definirono le FE come complesso di
abilità necessarie per la messa in atto di un comportamento finalizzato al raggiungimento
di un obiettivo. In merito ai rapporti con altri domini cognitivi, il dominio esecutivo
sembrerebbe differenziabile da percezione, memoria e linguaggio, mentre apparirebbe
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 5

parzialmente sovrapponibile ai domini di attenzione, ragionamento e problem solving.


Gli autori identificarono due aspetti cardine che contraddistinguono le FE: esse (1)
forniscono un contributo essenziale per la selezione di azioni contesto-specifiche e
per l’integrazione di informazioni provenienti da altri domini; (2) sono utili per la
regolazione del comportamento durante la fase di esecuzione. Pennington e Ozonoff
condussero una rassegna molto ampia nel dominio delle FE circoscrivendo così cinque
funzioni maggiormente ricorrenti negli studi presenti in letteratura scientifica: l’ini-
bizione comportamentale, la pianificazione, la memoria di lavoro verbale e visuospaziale,
la flessibilità cognitiva e la fluenza verbale fonemica e semantica. Il loro lavoro fu pionie-
ristico anche perché distinsero i principali test in base ai diversi processi esecutivi. In
seguito, molti altri autori si occuparono di questo genere di tassonomia, per cui cerche-
remo di fare chiarezza al termine del capitolo per evitare di disorientare il lettore con
classificazioni in parte contraddittorie.

1.2. Modelli frazionati di FE

Nel 2000 Miyake e collaboratori pubblicarono su Cognitive Psychology un articolo tra


i più citati nella letteratura neuropsicologica, in cui venne proposto un modello che
ha frazionato le FE in tre componenti parzialmente indipendenti, anche se correlate
tra loro: l’inibizione delle risposte predominanti (inibizione), l’aggiornamento delle
informazioni nella memoria di lavoro (updating of working memory) e la flessibilità co-
gnitiva (shifting). Tale modello è annoverato tra i modelli frazionati delle FE, insieme
ai modelli di Levin et al. (1991), Welsh, Pennington e Groisser (1991), Pennington e
Ozonoff (1996) e Barkley (1997), tutti accomunati dall’idea che i modelli unitari di FE
fossero fin troppo semplicistici e che le FE potessero essere concepite come un domi-
nio scomponibile in diverse componenti indipendenti ma interrelate.
Rispetto all’inibizione, Miyake e collaboratori (2000) focalizzarono la loro attenzio-
ne prevalentemente sulla soppressione volontaria delle risposte divenute automatiche,
dominanti e preponderanti. È un tipo di comportamento osservabile che gli autori han-
no misurato tramite le risposte errate a tre tipologie di compito, quali il test di Stroop,
lo Stop Signal Task (SST) e l’antisaccade task. Nel test di Stroop al soggetto vengono
proposti stimoli conflittuali, come ad esempio la parola “nero” scritta in rosso: la richie-
sta è di pronunciare il nome del colore (rosso) e non leggere la parola (nero), compito
che risulta più veloce e automatizzato, in quanto il processo di lettura è più esercitato e
quindi automatico rispetto alla denominazione dei colori. Nell’SST, durante una fase di
apprendimento vengono presentati degli stimoli visivi cui bisogna rispondere veloce-
mente, mentre nella fase successiva vengono presentati, in misura minoritaria, avverti-
menti sonori in corrispondenza degli stimoli che avvisano il soggetto di non rispondere
agli stimoli visivi. Anche in questo caso il compito richiede al soggetto di trattenersi dal
rispondere a uno stimolo al quale precedentemente era stato allenato e abituato a rea-
gire in modo rapido e continuativo. Nell’antisaccade task sono proposti in un emicampo
stimoli visivi che i soggetti devono evitare di guardare, inibendo la risposta automatica
di dirigere la saccade verso lo stimolo per indirizzarla verso il lato opposto.
Il secondo processo individuato da Miyake e collaboratori nel dominio delle FE
6 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

consiste nell’aggiornamento e nel monitoraggio delle rappresentazioni contenute nella


memoria di lavoro (updating of working memory). Tale componente fa riferimento, da
un lato, alla capacità di monitorare e codificare le informazioni in ingresso rilevanti
per il compito in esecuzione, dall’altro all’abilità di valutare le informazioni contenute
nei magazzini mnestici, per sostituire quelle datate e divenute irrilevanti con quelle
in ingresso e maggiormente pertinenti. Ciò che è importante sottolineare è che la
funzione di aggiornamento va oltre la semplice ritenzione del materiale rilevante per il
compito e prevede come suo elemento saliente la possibilità di manipolare attivamente
e volontariamente le informazioni. Proprio la caratteristica di manipolazione attiva di
materiale distingue la memoria di lavoro dalla memoria a breve termine (MBT), che
consente il mantenimento delle informazioni senza la componente di manipolazione
attiva e che in termini evolutivi si sviluppa prima e più velocemente.
I tre compiti proposti per catturare questo processo cognitivo furono: keep track task,
tone monitoring task e letter memory task. Il keep track task prevede che ai partecipanti
vengano mostrate inizialmente sei diverse categorie di parole, per poi successivamente
mostrare due-tre parole per categoria: il compito del soggetto è di ricordare l’ultima
parola presentata per ciascuna categoria. Nel tone monitoring task sono presentati tre
tipi di suoni (con frequenza alta, media, bassa), di cui il soggetto deve tenere traccia
premendo un tasto all’udire del quarto suono di una certa tipologia e riportando infine
quanti suoni alti, medi o bassi sono stati presentati. Il letter memory task utilizza un
paradigma di n-back, in quanto viene presentata una serie di lettere al ritmo di una
ogni due secondi; il compito è di mantenere continuamente in memoria le ultime
quattro lettere presentate: ad ogni lettera nuova il soggetto dovrà scartare quella vista
in quintultima posizione e rievocare solo le ultime quattro lettere lette.
La terza e ultima componente individuata è definita flessibilità cognitiva o shifting.
Con questo termine ci si riferisce alla capacità di spostarsi flessibilmente tra prove co-
gnitive o comportamentali, operazioni ed assetti mentali multipli e differenti. La fles-
sibilità implica un disancoraggio dell’attenzione da un compito divenuto irrilevante in
base alle richieste contestuali e il successivo ancoraggio a un nuovo e diverso set cogni-
tivo e comportamentale per realizzare un compito richiesto. Garon, Bryson e Smith
(2008) definiscono lo spostamento come il passaggio da un “set mentale” a un altro.
Indipendentemente dalla forma particolare che assumono, tutte le attività di cambio
di set comportano due fasi. Una prima fase richiede la formazione di un set mentale
in cui viene fatta un’associazione tra un particolare stimolo e una risposta, in cui ci si
concentra sugli elementi rilevanti, mantenendoli in memoria di lavoro; la seconda fase
consiste nel passaggio a un nuovo set mentale che è in conflitto con il primo. Miyake
e colleghi (2000) individuarono come test particolarmente rappresentativi della flessi-
bilità cognitiva il plus-minus task, il number-letter task e il local-global task, tre test acco-
munati dalla necessità di spostarsi tra differenti set mentali, mettendo appunto in atto
un’abilità di shifting. I tre test sono accomunati dal requisito di flessibilità cognitiva,
mentre si differenziano per la natura delle informazioni, tra cui spostarsi flessibilmente
durante il compito (shifting tra addizioni e sottrazioni, tra categorizzazioni di numeri
o lettere e tra focalizzazione attentiva sul particolare o sul globale).
Si veda figura 1.1 per una sintesi delle prove individuate per ciascuna componente
del modello di Miyake et al. (2000).
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 7

Plus-minus task

Number-letter task Shifting

Local-global task

Keep track task

Tone monitoring task Updating

Letter memory task

Antisaccade task

Stop signal task Inibizione

Stroop task

Figura 1.1. Struttura del dominio esecutivo e prove volte alla valutazione della singole componenti ese-
cutive (Miyake et al., 2000)

1.3. Modelli sequenziali di FE

Nonostante, come mostrato dai modelli frazionati, le FE possano essere scomposte


in diverse componenti e raggruppate in alcuni meccanismi cognitivi fondamentali,
non è semplice identificare un compito il cui fallimento possa essere imputabile ad
una difficoltà selettiva ed esclusiva a carico di un singolo processo esecutivo. Partendo
da questo presupposto si è assistito alla formulazione di modelli atti a spiegare le FE
attraverso un approccio funzionale: le FE vengono descritte in funzione della modalità
con cui contribuiscono alla risoluzione di problemi o al superamento di un compito
complesso. Tali modelli, detti modelli sequenziali, risultano più aderenti all’applica-
zione di schemi comportamentali complessi e permettono di costruire strumenti di
valutazione dotati di maggior validità ecologica, dal momento che riescono a fornire
una panoramica del comportamento reale del soggetto nell’atto di perseguire e rag-
giungere un obiettivo.
La peculiarità del modello proposto da Zelazo, Müller, Frye e Marcovitch nel 2003
è la seguente: anziché concettualizzare le FE come gruppo di sottofunzioni, ne de-
scrivono il funzionamento facendo attenzione alle differenti fasi che si susseguono. In
particolare, gli autori illustrano come i differenti processi esecutivi operino in modo
integrato nell’intento di risolvere problemi e/o di raggiungere obiettivi. La decisione
di avvalersi di questo approccio è imputabile al desiderio degli autori di sottolineare la
8 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

dimensione strategica e metacognitiva del dominio esecutivo, che un modello fram-


mentato porta inevitabilmente a perdere. Il modello prevede quattro fasi temporal-
mente e funzionalmente distinte: rappresentazione del problema, pianificazione, esecu-
zione e valutazione.
La rappresentazione del problema può essere definita come costruzione, ricostru-
zione e riconfigurazione dello spazio problemico e dei costrutti coinvolti in esso, oltre
che confronto e movimento flessibile tra i diversi costrutti. Questa fase di problem
solving richiede flessibilità, quindi capacità di spostare agevolmente il focus attentivo
e abilità nel muoversi tra le varie prospettive e rappresentazioni in gioco; richiede, inol-
tre, ridefinizione delle priorità e stima dei legami intercorrenti tra i singoli elementi.
La seconda fase, di pianificazione, comporta la selezione delle azioni in una speci-
fica sequenza, la più efficiente tra le alternative proposte. La formulazione di un’appro-
priata modalità di procedere richiede un’attenta analisi dei mezzi e dei fini, memoria
di lavoro, definizione di obiettivi e sotto-obiettivi, elaborazione di alternative di azione,
previsione delle conseguenze delle proprie azioni, stima delle risorse fisiche e sociali e
della loro accessibilità, gestione di queste ultime.
All’elaborazione del piano segue la sua implementazione: l’esecuzione. Gli autori
identificano due componenti dell’esecuzione: intending ed uso delle regole, differen-
ziate e classificate come due sottofasi. Con il termine intending si fa riferimento alla
ritenzione del piano per un periodo di tempo sufficiente alla messa in atto di un’ap-
propriata azione, comportamento; l’uso delle regole rimanda invece alla traduzione
del piano in azione concreta. Questa fase richiede controllo attenzionale, volizione,
gestione delle priorità, flessibilità e strategicità.
La quarta ed ultima fase, la valutazione, ha luogo se e solo se le tre precedenti
sono andate a buon fine. La valutazione consente di determinare se l’esito desiderato
è stato raggiunto, di rilevare e correggere eventuali errori commessi e di revisionare le
precedenti fasi del problem solving, onde trarne indicazioni utilizzabili in un prossimo
futuro. Il modello è esemplificato graficamente in figura 1.2.
Si tratta di un modello che non fornisce una spiegazione delle FE, ma che dà im-
portanti indicazioni in merito al contributo di specifici processi base (cognitivi e non)
nel dominio esecutivo, agli strumenti che sarebbe opportuno utilizzare per mappare le
FE, alla modalità con la quale le differenti FE operano in sinergia tra loro.
La cornice teorica entro cui si inserisce il suddetto modello è la teoria della comples-
sità e del controllo cognitivo (Frye, Zelazo e Palfai, 1995; Zelazo, Müller, Frye e Marco-
vitch, 2003). Si tratta di un approccio che spiega il dominio esecutivo e il suo sviluppo

Esecuzione
Rappresentazione -Intenzione
Pianificazione Valutazione
del problema (intending)
-Uso delle regole

Figura 1.2. Modello del problem solving di Zelazo, Müller, Frye e Marcovitch (2003)
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 9

focalizzando l’attenzione sulla complessità, definita facendo riferimento alla struttura


gerarchica del sistema di regole utilizzato dal soggetto. In linea con questa teoria, i
cambiamenti evolutivi nel dominio esecutivo sarebbero funzione del grado massimo
di complessità delle regole che un soggetto è in grado di formulare e di utilizzare in
modo efficace ed efficiente nella risoluzione di problemi. Aumentare il grado di com-
plessità delle regole offre al soggetto la possibilità di esercitare una nuova forma di
controllo su ragionamento e comportamento. Il grado di complessità delle regole è a
sua volta funzione della capacità di riflettere ed elaborare ipotesi in merito al significa-
to e al contributo che le regole possono offrire. La formulazione delle regole è guidata
dal linguaggio interno e prevede l’associazione tra un antecedente e una conseguenza
(“se… allora…”).

1.4. Modelli di FE hot e cold

Possiamo citare un’ulteriore organizzazione teorica delle FE proposta da Zelazo e


Müller (2002), che hanno posto l’accento sulle componenti emotive e affettive del
funzionamento esecutivo. Fino agli anni novanta del Novecento, infatti, le varie teo-
rizzazioni e i vari studi si focalizzarono quasi esclusivamente su quelle FE poi definite
in seguito “fredde”, ovvero fondate su una dimensione puramente cognitiva. Merito
di Zelazo e di Müller fu di suggerire un modello di carattere dominio-generale in cui
si potessero distinguere aspetti esecutivi “caldi” e “freddi”. Le componenti esecutive
“fredde” a livello neurale sono associate all’attivazione delle regioni prefrontali dorso-
laterali e sono elicitate, a livello contestuale, in situazioni astratte e di fronte a proble-
mi non legati strettamente all’ambiente (ad es., gran parte delle FE valutate con test
performance-based somministrati nei contesti controllati dei laboratori sperimentali
sono FE fredde). Esse vengono richiamate in attività che sono richiedenti dal punto di
vista cognitivo, ma emotivamente neutrali, come ad esempio in compiti di memoria di
lavoro. Le FE “calde”, invece, sono associate all’attivazione dell’area ventrale e mediale
delle regioni prefrontali e sono elicitate in situazioni in cui esiste un coinvolgimento
motivazionale, come ad esempio in caso di reward o di richieste contestuali che inclu-
dono la regolazione degli affetti, quali situazioni ansiogene. È stato suggerito che en-
trambe le FE, calde e fredde, lavorino in interazione come parte di un sistema adattivo
più ampio, volto alla gestione e risoluzione delle problematiche quotidiane. Strumenti
esemplificativi che catturano il costrutto di FE fredde sono quelli tipicamente usati
in setting sperimentali, tra cui ricordiamo il go/no-go per l’inibizione motoria, il Wi-
sconsin Card Sorting Test (WCST) per la flessibilità cognitiva, il digit span e il Corsi
Block-Tapping Test, rispettivamente per la memoria di lavoro verbale e visuospaziale, la
ToL per la pianificazione.
Lo strumento più esemplificativo nell’ambito delle FE calde è costituito dall’Iowa
Gambling Task (IGT; Bechara, Damasio, Damasio e Anderson, 1994), il cui adatta-
mento in età evolutiva è rappresentato dal Children’s Gambling Task (Kerr e Zelazo,
2004), una prova finalizzata alla valutazione della capacità di prendere delle decisioni
in situazioni nelle quali entrano in gioco ricompense e punizioni, rendendo la perfor-
mance carica dal punto di vista emotivo. Questo strumento, nonostante attivi in larga
10 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

parte le FE calde, sembrerebbe risentire anche di aspetti esecutivi freddi, in particolar


modo di abilità di memoria di lavoro (Manes et al., 2002), rendendo evidente che FE
calde e fredde si integrino e modulino tra di loro. Per quanto riguarda il loro sviluppo,
mentre le FE fredde sembrano seguire una curva di sviluppo progressiva e graduale,
sviluppandosi durante gli anni prescolari e continuando a migliorare gradualmente
fino all’adolescenza, periodo di rapido sviluppo esecutivo, fino a raggiungere una sta-
bilizzazione intorno ai 20 anni, le FE calde sembrano caratterizzate da curve di svi-
luppo più brusche, mostrando un salto qualitativo dai 3 ai 4 anni. In uno studio di
Hongwanishkul, Happaney, Lee e Zelazo (2005), infatti, bambini di 3 anni mostrava-
no prestazioni in compiti esecutivi caldi decisamente peggiori rispetto a bambini di 4
e 5 anni, le cui performance erano invece equiparabili. In uno studio condotto da Poon
(2018) le FE calde sembrano caratterizzate da un periodo di fragilità e riassestamento
intorno all’adolescenza (14 anni), dove i soggetti mostrano i più alti comportamenti
di impulsività e di sensibilità alla ricompensa, tendenze che si riducono durante la
tarda adolescenza, probabilmente grazie alla maturazione delle aree limbiche e para-
limbiche, che rendono più semplice per gli adulti regolare i propri comportamenti in
situazioni cariche emotivamente (per un approfondimento sugli aspetti neurologici,
cfr. il capitolo 2).
Appare quindi evidente come FE fredde e calde si integrino nel funzionamento
esecutivo quotidiano, rappresentando una serie di operazioni mentali che si interfac-
ciano e interagiscono sempre con emozioni e motivazioni; sono dunque calate in un
contesto di vita necessariamente carico dal punto di vista affettivo, volte all’esecuzione
di comportamenti complessi indispensabili per un buon adattamento della persona
nel proprio ambiente di vita. Gli studi in età evolutiva mostrano infatti come fragilità
nelle FE calde siano associate a comportamenti problematici in ambito scolastico (ad
es., disattenzione; per un approfondimento sulle FE nell’ADHD, cfr. il capitolo 10),
mentre difficoltà nelle FE fredde siano associate a più basse performance accademiche
(ad es., scrittura e lettura; per un approfondimento sulle FE nei DSA, cfr. il capitolo
9) (Brock, Rimm-Kaufman, Nathanson e Grimm, 2009; Willoughby, Kupersmidt,
Voegler-Lee e Bryant, 2011; Zelazo, 2020).

1.5. Modello di rielaborazione iterativa e reflection

Secondo il modello di rielaborazione iterativa (IR model) (Cunningham e Zelazo


2007), che si basa sulla rivisitazione della teoria della complessità e controllo cognitivo
(Frye, Zelazo e Palfai, 1995; Zelazo, Müller, Frye e Marcovitch, 2003), lo sviluppo
delle FE sarebbe possibile grazie all’aumento dei processi di rielaborazione riflessi-
va (reflection) di informazioni attraverso circuiti neurali che coordinano regioni della
corteccia prefrontale (PFC). Le FE sono in grado di modulare gli aspetti attentivi, e
di conseguenza di controllare i comportamenti, rendendoli più adattivi e pianificati. Il
punto chiave dell’IR model sono i processi riflessivi (reflection) che vengono elicitati
dal rilevamento di incertezze o conflitti, o più in generale da qualsiasi aspetto che
segnala un problema e richiede quindi di essere processato in modo deliberato e non
automatico (ovvero con processi di tipo top-down).
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 11

Questi aspetti conflittuali sarebbero in grado di attivare processi riflessivi, cioè ri-
elaborazioni attive di informazioni che consentono alle persone di mantenere attiva-
mente in memoria il materiale per formulare comportamenti più complessi orientati
all’azione, generando così una maggiore flessibilità cognitiva e un maggior controllo
inibitorio delle proprie azioni. Appare quindi evidente come nell’IR model i processi
riflessivi coinvolgano le tre FE basilari: memoria di lavoro, flessibilità cognitiva e con-
trollo inibitorio, consentendo all’individuo di raggiungere comportamenti complessi
in un’ampia gamma di situazioni. L’aumento progressivo dei processi riflessivi si può
individuare nella crescente capacità dei bambini, durante lo sviluppo, di individuare
situazioni problematiche (conflitti), fermarsi, considerare le proprie opzioni anche a
seconda del contesto in cui si trovano prima di emettere una risposta, mettendo in atto
quindi dei processi deliberativi di tipo top-down. La capacità di fermarsi dopo aver
individuato il conflitto permette al bambino di mettere in atto le proprie FE, spesso
inizialmente utilizzando un discorso ad alta voce indirizzato a se stesso mentre esegue
l’azione, per mantenere al meglio nella propria memoria di lavoro le regole esplicite
di comportamento (Gooch et al., 2016), regole che consentono di raggiungere una
buona flessibilità cognitiva e controllo inibitorio. L’IR model è in grado di catturare le
interazioni dinamiche tra influenze più di tipo bottom-up (area limbica) e più di tipo
top-down (aree corticali) durante lo svolgimento di azioni orientate a uno scopo. In
alcuni casi le informazioni posso essere processate senza un gran coinvolgimento dei
processi riflessivi (cioè con poche rielaborazioni iterative), come ad esempio nei casi
in cui la situazione sia poco conflittuale e necessiti solo di una semplice valutazione;
in questo caso vengono coinvolte maggiormente le aree limbiche. L’individuazione del
conflitto, come già accennato, elicita i processi riflessivi: in questo caso le informazioni
precedentemente elaborate dalle aree limbiche vengono integrate da un’ulteriore ela-
borazione a carico di regioni corticali (tra cui la PFC), che permette di cogliere più
aspetti di una specifica situazione e di integrarli in una rappresentazione (o interpreta-
zione) più ricca, sfaccettata e complessa, dando la possibilità all’individuo di apprezzare
una più ampia gamma di opzioni e comportamenti da mettere in atto.
Sembra esserci una forte associazione tra lo sviluppo di FE e il miglioramento di
network corticali nella PFC; in particolar modo lo sviluppo della corteccia prefrontale
laterale si associa ad un maggior uso di regole nel bambino, aspetto che si traduce
in una migliore regolazione del suo comportamento. Durante lo sviluppo negli anni
prescolari il bambino diventa progressivamente in grado di usare regole via via più
strutturate che dipendono da reti neurali più complesse e integrate.
Il modello IR, infine, descrive entrambi i processi cognitivi e neurali associati alla
riflessione e come questi coinvolgano le FE generando comportamenti più regolati.
A livello neurale si pongono i processi di rielaborazione iterativa che attivano regioni
corticotalamiche (incluse la PFC e regioni subcorticali). A livello cognitivo i processi
riflessivi scaturiti dalla rielaborazione iterativa elicitano un processamento e un ripro-
cessamento attivo delle informazioni, considerando il contesto e l’utilizzo di sistemi di
regole comportamentali, e si interfacciano con le FE sia calde che fredde, dando luogo
a un’interpretazione più ricca della situazione. A livello comportamentale, infine, le FE
calde e fredde permettono un efficace funzionamento sociale sia in contesti neutri che
in contesti affettivamente carichi.
12

Processi neurali Abilità neurocognitive Comportamento

Rielaborazione Riflessione Funzioni esecutive Prossimale Distale


iterativa Riprocessamento
Processamento elaborativo delle FE fredde: Apprendimento
rientrante informazioni; flessibilità Modulazione efficace e
nei circuiti considerazione del cognitiva, dell’attenzione e adattivo,
talamocorticali che contesto memoria di del comportamento compresa la
coinvolge regioni lavoro, diretto a uno scopo regolazione
della PFC disposte controllo in contesti freddi emotiva e il
gerarchicamente e inibitorio funzionamento
regioni importanti sociale
per il ragionamento,
l’azione e Uso di regole FE calde: Modulazione
l’emozione Formulazione e dirette a uno dell’attenzione e
mantenimento in scopo; del comportamento
memoria di lavoro modulazione diretto a uno scopo
di regole e sistemi dell’approccio/ in contesti caldi
di regole evitamento,
valutazione
LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

Figura 1.3. Schematizzazione del modello di rielaborazione iterativa (Iterative Reprocessing, IR) (adattato da Zelazo, 2020)
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 13

1.6. FE e ciclo di vita: modelli unitari e dimensionali


Le traiettorie evolutive delle FE sono state oggetto di numerosi studi e ricerche (per
un approfondimento, cfr. il capitolo 3). Vi è un sostanziale accordo in merito alla loro
natura gerarchica: le prime abilità a comparire sarebbero quelle fondamentali (ad es.,
controllo attentivo e memoria di lavoro), seguite da quelle più complesse e multifat-
toriali (Senn, Espy e Kaufmann, 2004; Huizinga e Smidts, 2011). Manca consenso,
invece, in merito alla stadialità o linearità dello sviluppo dei singoli domini esecutivi.
I cambiamenti più significativi a livello esecutivo avvengono durante l’età presco-
lare, ricoprendo un ruolo fondamentale per lo sviluppo di processi cognitivi superiori
nel corso del ciclo di vita. Il veloce e rapido incremento delle FE si situa, infatti, nel-
la fascia d’età dei 3 e 5 anni e si associa ad una maggiore organizzazione cognitiva
e comportamentale, alla messa in atto di comportamenti autoregolatori, all’aumento
della flessibilità e alla diminuzione di risposte reattive a stimoli esterni (Garon, Bryson
e Smith, 2008). In effetti, è stato suggerito che lo sviluppo delle FE in questi anni
possa riflettere un cambiamento più qualitativo delle funzioni cognitive, mentre gli
sviluppi successivi possano riflettere raffinamenti quantitativi e il perfezionamento di
queste abilità (Best e Miller, 2010). La teorizzazione e strutturazione precoce di questo
costrutto risulta, però, difficile e complessa, in quanto le FE sono modulate da altre
capacità, come ad esempio il linguaggio, la memoria e il sistema attentivo, ed è inoltre
necessario tenere presente la variabilità delle capacità e la dimensione evolutiva che
caratterizza il periodo infantile. Per far fronte a questa problematicità in letteratura
esistono diverse teorie interpretative delle FE, ad uno o più fattori. La tecnica utiliz-
zata per estrarre il numero di domini cognitivi a livello esecutivo è l’analisi fattoriale
confermativa (CFA). Tramite essa, una batteria di compiti accomunati da simili aspetti
esecutivi ma che differiscono negli stimoli e nelle richieste è somministrata ad uno
stesso campione, rendendo così possibile estrarre la varianza di FE in comune. At-
tualmente, considerando l’età adulta, il modello a tre fattori proposto da Miyake et al.
(2000) risulta essere il più adatto secondo la CFA; in questa casistica il costrutto di FE
è descritto come organizzato in un’entità unitaria di carattere dominio-generale con
tre distinte componenti: controllo inibitorio, memoria di lavoro e flessibilità cognitiva.
Queste tre componenti sembrano essere differenziate tra loro ma fortemente cor-
relate (modello unity but diversity). Le differenze individuali nelle performance dei
compiti, importanti per predire comportamenti cruciali dal punto di vista clinico e
sociale, hanno suggerito sia l’unità che la diversità del modello. La struttura tripartita,
rilevata tramite il metodo dell’estrazione delle variabili latenti, risulta presente a partire
dall’infanzia media (Miyake e Friedman, 2012; Miyake et al., 2000; Garon, Bryson e
Smith, 2008). Sebbene la struttura delle FE caratterizzate sia da un’unità che da una
diversità (tripartizione) sembri ben applicabile a partire dalla tarda infanzia fino all’età
adulta, l’immagine appare in parte diversa nella prima infanzia. A differenza delle
ricerche che si sono focalizzate su campioni di soggetti più grandi (tarda infanzia,
adolescenza ed età adulta) vi sono stati tre studi sperimentali che hanno trovato, nel
periodo prescolare, un modello di FE meglio descritto da un unico fattore (Wiebe,
Espy e Charak, 2008; Wiebe et al., 2011; Hughes, Ensor, Wilson e Graham, 2010).
A questo proposito Wiebe, Espy e Charak (2008) ritengono, per ragioni di bontà
14 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

di adattamento e di parsimonia, una soluzione a un fattore maggiormente rappresen-


tativa del modello osservato in un campione di bambini di età compresa tra i 3 e i 6
anni. I ricercatori hanno utilizzato una serie di compiti per la misurazione delle FE
in età prescolare, riscontrando che una divisione tra memoria di lavoro e controllo
inibitorio non andasse a migliorare la bontà di adattamento del modello. La ricerca
di Wiebe et al. (2011) replica l’indagine condotta da Wiebe, Espy e Charak (2008),
ma in un campione maggiormente strutturato di bambini di 3 anni e con una batteria
testistica più appropriata per l’età prescolare. I dati raccolti sostengono un modello
unidimensionale delle FE di carattere unitario, scelto in base all’adattamento relativo e
assoluto del modello. Gli autori ipotizzano però, in entrambi gli studi, che la struttura
a due fattori sia in grado, da un lato, di prevedere maggiormente esiti importanti come
eventuali difficoltà comportamentali o capacità accademiche e scolastiche del bambi-
no, dall’altro che le combinazioni, in gruppi latenti di bambini, di regolari variazioni
e differenze nella componente di memoria di lavoro e quella inibitoria siano meglio
rappresentate da un unico fattore. In assenza di prove empiriche, i risultati attuali
supportano comunque una concettualizzazione unitaria delle FE all’inizio del periodo
prescolare, scelta sulla base del criterio di parsimonia.
Il terzo studio condotto da Hughes, Ensor, Wilson e Graham (2010) porta ulterio-
ri prove a sostegno di un modello unidimensionale delle FE in età prescolare. In que-
sto caso si tratta di una ricerca a carattere longitudinale, dove quindi i bambini sono
stati valutati all’età di 4 e 6 anni tramite la somministrazione di batterie testistiche
atte a misurare le capacità di controllo inibitorio, memoria di lavoro e pianificazione.
I risultati ottenuti tramite la tecnica di CFA supportano l’applicazione di un singolo
costrutto unitario delle FE per descrivere le variazioni nei punteggi dei bambini sui tre
compiti di controllo inibitorio, memoria di lavoro e pianificazione. Questi risultati si
applicavano sia a bambini di 4 anni che di 6 anni, indipendentemente dal loro genere.
Le ricerche qui presentate, a favore di un modello unidimensionale, mostrano però
delle differenze in riferimento alle fasce di età dei campioni presi in considerazione,
ai compiti utilizzati e ai metodi di analisi dei dati impiegati. Ad esempio, gli studi di
Wiebe, Espy e Charak (2008) e Wiebe et al. (2011) hanno preso in analisi le compo-
nenti esecutive di inibizione e di memoria di lavoro, senza raccogliere dati inerenti
alla misura della flessibilità cognitiva, confrontando diversi modelli ipotetici attraverso
il metodo della CFA. Hughes, Ensor, Wilson e Graham (2010), invece, non hanno
potuto confrontare modelli di FE concorrenti, perché includevano solo un compito
rilevante per le tre diverse dimensioni delle FE: memoria di lavoro, controllo inibitorio
e pianificazione (Usai, Viterbori, Traverso e de Franchis, 2014). Possiamo inoltre ag-
giungere che le evidenze a favore di un modello unitario presente nel periodo prescola-
re, possono essere coerenti con l’ipotesi di una differenziazione successiva dei processi
esecutivi a partire dalla scuola primaria. Ciò è in linea con un processo generale di
crescente specializzazione funzionale dei sistemi neurali, inizialmente indifferenziati,
come esito di un processo evolutivo di adattamento. In conclusione, si ipotizza che le
FE rimangano sempre molto correlate tra di loro, ma dissociabili a partire dalla tarda
infanzia e dall’età adolescenziale e adulta, in linea con il modello unity but diversity di
Miyake et al., 2000 (Wiebe, Espy e Charak, 2008; Wiebe at al., 2011; Hughes, Ensor,
Wilson e Graham, 2010).
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 15

È importante sottolineare, però, l’esistenza di diverse ricerche sostenitrici di una


concettualizzazione bidimensionale riscontrata fin dall’età prescolare, che diverge dal-
le ricerche precedentemente esposte. Un esempio è lo studio svolto da Miller et al.
(2012), i quali hanno individuato una struttura a due fattori, sempre in età prescolare,
caratterizzata da memoria di lavoro e inibizione. I risultati longitudinali di Usai, Vi-
terbori, Traverso e de Franchis (2014) hanno anch’essi supportato una strutturazione
a due fattori in un campione di bambini di 5 e 6 anni. Il miglior adattamento ai dati
in entrambi i livelli di età, infatti, rifletteva un modello in cui si distingueva da una
parte inibizione e dall’altra memoria di lavoro e flessibilità cognitiva, che emergevano
come componenti unitarie non distinte tra loro. Monette, Bigras e Lafrenière (2015)
hanno riscontrato che i bambini della scuola materna mostrano una differenziazione
tra i processi di memoria di lavoro rispetto al controllo inibitorio, mentre la flessibilità
cognitiva non ha ancora un’autonomia operativa. Tuttavia, anche se distinte, le com-
ponenti di memoria di lavoro e di inibizione si sono dimostrate significativamente
correlate, risultato che porta ulteriori prove empiriche a favore sia dell’unità che della
diversità delle FE, come precedentemente sostenuto da Miyake et al. (2000).
Le numerose discrepanze in merito ai differenti modelli qui proposti hanno por-
tato Scionti e Marzocchi (2021) ad indagare i modelli dimensionali e unidimensionali
delle FE, andando a considerare anche la loro validità ecologica. La prima ricerca
svolta si è concentrata su un campione di bambini di 36-59 mesi, con l’obiettivo di in-
dagare la dimensionalità delle FE. In questa casistica la struttura ad un fattore non si è
rivelata una buona soluzione per i risultati, mentre la caratterizzazione bidimensionale
è risultata adatta e in linea con le ricerche precedenti di Miller et al. (2012) e Monette,
Bigras e Lafrenière (2015), divergendo dai risultati ottenuti da Wiebe, Espy e Charak
(2008), Wiebe et al. (2011) e Hughes, Ensor, Wilson e Graham, 2010. I due fattori
estratti, correlati tra di loro, erano controllo inibitorio e memoria di lavoro/flessibilità
cognitiva, suggerendo la presenza di un’unità e diversità delle FE come proposto da
Miyake et al., (2000). Nel secondo studio, i dati hanno supportato una struttura bi-
dimensionale rispetto ad un modello unitario: infatti, le componenti di controllo ini-
bitorio e memoria di lavoro/flessibilità cognitiva risultavano distinte. Inoltre, rispetto
a studi precedenti, è stata considerata la validità ecologica di questi modelli andando
ad indagare le loro connessioni con aspetti comportamentali e di autoregolazione: in
questo caso la struttura bidimensionale ha supportato una validità ecologica maggiore
rispetto alla struttura unidimensionale.
La revisione della letteratura di Garon, Bryson e Smith (2008) risulta particolar-
mente interessante perché propone la necessità per la ricerca futura di concentrar-
si maggiormente sulla dimensione evolutiva della FE. Garon e collaboratori hanno
proposto un modello di FE integrativo gerarchico, in cui ogni componente esecutiva
nei primi anni di vita è costruita su funzioni a sviluppo precedente, il cui precursore è
l’attenzione; la memoria di lavoro è la componente che si sviluppa per prima, seguita
poi da controllo inibitorio e infine da flessibilità cognitiva, che si fonda su entrambe.
Ad oggi la letteratura suggerisce che le forme elementari delle principali componenti
esecutive siano presenti precocemente durante il periodo prescolare e che i cambia-
menti durante la seconda metà di questa fase siano dovuti in particolare allo sviluppo
dell’attenzione e all’integrazione delle FE. Sebbene il quadro proposto da Miyake et
16 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

al. (2000) sia stato particolarmente utile per il raggiungimento degli obiettivi presenti,
si riscontra la necessità di studiare modelli esecutivi che riflettano il contesto evolutivo
in cui i bambini sono inseriti. L’approfondimento letterario, infine, suggerisce che le
competenze alla base delle FE si sviluppino gerarchicamente, con due fasi principali:
prima dei 3 anni si ha l’emergere delle competenze di base necessarie per le compo-
nenti esecutive, mentre lo sviluppo successivo ai 3 anni sembra essere considerato un
periodo di integrazione in cui queste competenze basilari si coordinano.
Come detto in precedenza, i modelli di FE presenti nel panorama scientifico sug-
geriscono che i primi anni di vita siano caratterizzati da FE indifferenziate, che si
frazionano in FE discrete, ma correlate, a partire dagli anni della scuola primaria.
Questo modello evolutivo prevede prestazioni altamente correlate tra memoria di la-
voro, inibizione e compiti di flessibilità negli anni prescolari. Si ipotizza, quindi, che
le relazioni tra le FE si indeboliscano con l’età fino all’età adulta, in linea con il veri-
ficarsi di un frazionamento delle FE in funzioni correlate, ma dissociabili. Lo studio
di Howard, Okeley e Ellis (2015) ha cercato di valutare queste previsioni utilizzando
misure ben consolidate del funzionamento esecutivo e gruppi di età più precisi rispetto
alle ricerche precedenti. A differenza delle precedenti revisioni, i ricercatori si sono
concentrati sulle FE in un range d’età molto più ampio. I risultati attuali suggeriscono
che le prestazioni esecutive nei compiti durante l’età prescolare siano non correlate tra
loro, mentre le FE dei bambini più grandi, al contrario, siano sempre più correlate tra
loro; ciò fornisce prove in contrasto con il modello che prevede un funzionamento
esecutivo inizialmente indifferenziato (e dunque con FE altamente correlate) e che
diviene gradualmente più diversificato con l’aumentare dell’età. I risultati indicano
quindi che una singola traiettoria evolutiva diretta verso una crescente differenziazione
delle FE potrebbe essere insufficiente per spiegare esaustivamente lo sviluppo precoce
delle FE. Sebbene Wiebe et al. (2011) abbiano trovato prove simili per un modello ad
un fattore delle FE, utilizzando gruppi di bambini di 3 anni, il modello a due fattori da
loro individuato ha fornito un adattamento leggermente migliore ai loro dati, nono-
stante sia poi stato scelto il modello unidimensionale seguendo un criterio di maggiore
parsimonia. I dati attuali forniscono evidenze rispetto al fatto che gli anni prescolari
possano essere un periodo di integrazione di processi esecutivi inizialmente non corre-
lati, piuttosto che una risorsa esecutiva unificata nei primi anni prescolari. I risultati di
Howard, Okeley e Ellis (2015) evidenziano anche la necessità di considerare la natura
potenzialmente mutevole e la struttura del funzionamento esecutivo dei bambini più
piccoli in un’ottica evolutiva e di cambiamento.
Questa prospettiva ha permesso un esame delle FE e uno spostamento del focus
verso una dimensione evolutiva, alla luce di questioni centrali di sviluppo come le tra-
iettorie evolutive, le sequenze di acquisizione, il cambiamento qualitativo/quantitativo
e i meccanismi di sviluppo sia a livello comportamentale che neurale. Sulla base di
questo quadro la ricerca futura dovrebbe predisporre di un’ampia fascia di età e compiti
comparabili per rivelare le traiettorie di sviluppo di ogni componente, esaminare le
diverse relazioni tra le componenti e valutare i possibili meccanismi di sviluppo (Best
e Miller, 2010).
In conclusione, si potrebbe ipotizzare che le discrepanze dei differenti modelli te-
orici qui proposti possano essere dovute a due principali ragioni: in primis al fatto
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 17

di considerare fasce d’età troppo ampie che possono non riflettere qualitativamente i
cambiamenti funzionali in un’ottica evolutiva e, in secondo luogo, alla difficoltà in me-
rito alla scelta di compiti adeguati alla valutazione delle FE in età prescolare (Wiebe
et al., 2011).

1.7. Autoregolazione e FE

Come evidenziato da Nigg nella review riguardo al costrutto di autoregolazione (2017),


anche se il tema dell’autoregolazione gioca un ruolo centrale negli studi psicologici
odierni, la caratterizzazione e definizione di questo costrutto risulta ad oggi ancora
poco chiara e delineata. L’autore mette in luce come in letteratura ci sia tuttora poca
chiarezza riguardo al costrutto di autoregolazione, che viene ancora definito in modi
diversi e che viene spesso fatto coincidere con altri costrutti che, pur avendo aree di
sovrapposizione, non necessariamente costituiscono dei sinonimi. Si sottolinea anche
come questa confusione e ambiguità nella terminologia abbia causato un rallentamen-
to nei progressi di ricerca. Tra i termini collegati e spesso fatti coincidere con l’auto-
regolazione vengono ricordati i costrutti di FE, controllo cognitivo ed effortful control:
essi appartengono tutti a processi top-down dell’autoregolazione a livello cognitivo,
ma non sono identici in tutto e per tutto al costrutto sopracitato. Nella definizione
di tale concetto, Nigg fa riferimento alla capacità dinamica e adattiva di modulare i
propri stati interni o i propri comportamenti in modo autonomo, capacità formata
sia da processi top-down (intenzionali) che da processi bottom-up (automatici). Tale
abilità viene gradualmente acquisita nel corso dello sviluppo, in cui si passa da una
regolazione a opera di altri individui (in primis i caregiver) a una regolazione interna,
detta appunto autoregolazione.
L’autoregolazione è un costrutto spesso messo in relazione con quello di FE, e
da alcuni autori fatto totalmente coincidere con esso. Le FE, come già detto pre-
cedentemente, permettono di gestire un conflitto immediato (ad es., inibendo una
risposta automatica), così come di gestire nell’immediato dei conflitti futuri, tramite
ad esempio una pianificazione accurata orientata al futuro. Il crescente riconoscimento
dell’esistenza di FE calde, caratterizzate da un coinvolgimento emotivo, ha reso ancora
più sfumata la differenziazione rispetto all’autoregolazione di tipo emotivo. Barkley
(2012) ha sostenuto che FE potessero essere considerate qualsiasi tipo di azione volta
al raggiungimento di un obiettivo, facendole equivalere a processi top-down di autore-
golazione; Zelazo e Cunningham (2007) hanno sottolineato il diretto coinvolgimento
delle FE nei processi di autoregolazione emotiva, giungendo alla descrizione delle due
tipologie di FE, calde e fredde, già ampiamente citate. Nella loro ottica quindi, le FE
calde rappresenterebbero dei processi top-down di autoregolazione emotiva, mentre
le FE fredde sarebbero dei processi top-down di autoregolazione cognitiva in contesti
dove gli aspetti emotivi risultano minimizzati. Secondo la loro visione, quindi, quando
l’obiettivo finale è costituito dall’autoregolazione (cioè, quando le FE sono impiegate
al servizio dell’autoregolazione), allora il concetto di FE risulta totalmente identico e
sovrapponibile a quello di autoregolazione, dal momento che le FE sia calde che fred-
de sono coinvolte in tutti i processi top-down dell’autoregolazione. La visione di Nigg
18 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

(2017), tuttavia, si distanzia parzialmente da quella di Zelazo e Cunningham (2007),


mettendo in guardia il lettore dal porre in atto un’equazione fin troppo semplicistica
tra FE e autoregolazione. Secondo Nigg, infatti, il costrutto di autoregolazione fa ri-
ferimento alla capacità adattiva di modulare i propri stati interni e comportamenti,
mentre le FE sono un set di capacità mentali che possono certamente consentire e
facilitare l’autoregolazione, ma che non coincidono totalmente con essa. Le FE, infatti,
possono essere utilizzate anche per altri scopi rispetto a quello di autoregolarsi; una
FE ampiamente citata è rappresentata dal problem solving: quando una persona mette
in atto un problem solving sta implementando una FE, ma non sta necessariamente
esercitando un processo di autoregolazione. Anche il costrutto di controllo cognitivo è
spesso collegato all’autoregolazione. Esso viene definito come “la capacità di regolare
in modo flessibile il comportamento in un contesto di obiettivi e compiti dinamica-
mente mutevoli”(Carter e Krus, 2012, p. 89); pur essendo collegato alle FE, il controllo
cognitivo è un costrutto più ristretto e formato da aspetti più basilari rispetto a processi
cognitivi ed emotivi complessi inclusi nelle FE. Così come le FE, anche il controllo co-
gnitivo può essere utilizzato sia nell’implementazione dell’autoregolazione che per al-
tri scopi. L’ultimo termine spesso in relazione con le FE e l’autoregolazione è l’effortful
control (EC, controllo efficace): esso fa riferimento alla capacità di utilizzare strategie
di controllo top-down per autoregolarsi, è collegato a tratti temperamentali basilari e
non include aspetti e strategie di cognizione complessa. Quando il controllo cognitivo
è utilizzato per raggiungere l’autoregolazione, esso si delinea come effortful control.

1.8. Nuove prospettive nelle FE

Infine, Doebel (2020) propone un’interessante visione critica delle FE, che si discosta
dalla classica visione modulare, la quale esercita nel panorama scientifico una forte
influenza su come i ricercatori concettualizzino le FE. L’autrice, infatti, mostra i limiti
della visione attuale predominante riguardo alle FE, viste come un insieme di poche (e
variabili, a seconda del modello) componenti che supportano altri fenomeni di svilup-
po e l’autoregolazione. I limiti di tale visione sono riscontrabili nel fatto che allenare
le FE tramite training appositi non sempre migliori il funzionamento esecutivo o altre
abilità in differenti domini, specialmente quando si considerano gli effetti far transfer,
ovvero gli effetti dei training su vari aspetti del comportamento e dell’apprendimento,
correlati ma distinti rispetto alle FE. Inoltre, molti studi mostrano la scarsa corre-
lazione tra le misure di FE utilizzate nei setting sperimentali e le misure di FE e di
autoregolazione valutate tramite questionari, aspetto che sembra screditare l’idea che
le FE giochino un ruolo cruciale nel supportare processi di autoregolazione.
Distanziandosi dunque dall’idea dello sviluppo delle FE visto come l’emergere
di un set di diverse componenti dominio-generali, differenziabili tramite specifici
subtest, Doebel propone una visione in cui lo sviluppo delle FE riflette l’acquisizione
di un’abilità di controllo del comportamento attraverso l’attivazione di contenuti men-
tali, tra cui conoscenze, credenze e valori diretti verso un obiettivo specifico. Questi
obiettivi specifici, quindi, attiverebbero contenuti mentali quali conoscenze rilevanti,
credenze, valori, regole, interessi e preferenze, che il bambino acquisisce nel corso del
1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva 19

suo sviluppo calato in uno specifico contesto socioculturale, che influenza il modo in
cui il bambino eserciterà il controllo del suo comportamento. Per chiarire al meglio la
questione, Doebel riporta un esempio pratico: un bambino che impara a non picchiare
un suo compagno che gli ha rubato un gioco non sta semplicemente esercitando la
propria FE di inibizione della risposta come fosse qualcosa di decontestualizzato e
applicabile a qualsiasi situazione, ma sta mettendo in atto una serie di credenze, regole
e valori, quali ad esempio la comprensione del dolore altrui nel caso in cui picchiasse il
compagno, la comprensione delle punizioni che seguirebbero questo atto, la compren-
sione dell’esistenza di alternative socialmente accettabili alla violenza fisica e così via.
La visione prevalente sullo sviluppo delle FE, quindi, prevede che esse si sviluppino
in modo endogeno, decontestualizzato, e che supportino lo sviluppo in vari domini
cognitivi, quale per esempio l’autoregolazione; la visione alternativa proposta da Doe-
bel afferma che l’acquisizione del controllo da parte di un individuo non possa essere
scomposta o spiegata in termini di componenti (inibizione, flessibilità, memoria di
lavoro), ma che una persona, semplicemente, eserciti il suo controllo in una modalità
specifica, modalità influenzata e resa possibile dai contenuti mentali elicitati e acquisiti
durante lo sviluppo, cioè i sistemi di valori e regole, credenze, conoscenze, predispo-
sizioni personali, ecc. In questa prospettiva, le correlazioni tra misure tipiche di FE
e altre misure di abilità dominio-specifiche come, ad esempio, la teoria della mente
(ToM), sono indice del fatto che entrambe le misure valutino e catturino il control-
lo comportamentale diretto verso specifici obiettivi ottenuti tramite l’attivazione dei
contenuti mentali sopracitati (conoscenze, credenze, norme, ecc.). Nelle teorizzazioni
classiche, le FE e la ToM sono correlate perché le FE vengono ritenute necessarie per
esprimere una conoscenza concettuale già esistente (ad es., saper inibire il proprio
punto di vista nel momento in cui si deve rispondere pensando al punto di vista altrui,
sapendosi spostare flessibilmente). Nella teorizzazione di Doebel, FE e ToM sono
molto più interrelate: da una parte, saper rispondere correttamente a un compito di
falsa credenza necessita lo sviluppo del controllo, che è ottenuto tramite l’attivazione
di conoscenze rilevanti; dall’altra, la conoscenza di stati mentali altrui è in grado di
supportare la performance in alcune misure di funzionamento esecutivo. La nuova
teorizzazione di Doebel permette inoltre di spiegare le basse correlazioni spesso os-
servate tra misure di funzionamento esecutivo performance-based e valutazioni tramite
questionari e rating scale: al posto di catturare due costrutti totalmente differenti (te-
oria spesso riportata a spiegazione delle basse correlazioni tra i punteggi ottenuti con
le due diverse misure), le misure performance-based e i questionari valuterebbero un
controllo comportamentale esercitato in modi diversi con diverse tipologie di creden-
ze, conoscenze e valori messi in gioco, aspetti che cambiano notevolmente a seconda
del contesto in cui si trova il bambino.
Doebel, nella sua riflessione (2020), fa riferimento anche alla già citata teoria
dell’IR di Cunningham e Zelazo (2007), in cui i processi riflessivi (reflection) gioca-
no un ruolo fondamentale nello sviluppo e sostenimento delle FE; secondo l’autrice,
nonostante i processi riflessivi siano sicuramente indispensabili per un buon funzio-
namento esecutivo nei vari ambienti di vita, la capacità e la predisposizione a metterli
in atto cambierebbe in gran parte a seconda dei contenuti mentali attivati nella mente
del bambino in relazione a uno specifico obiettivo. La riflessione e il conseguente
20 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

sviluppo del controllo esecutivo, quindi, si verificano grazie alle conoscenze concettuali
coinvolte nello specifico contesto, caratterizzato da specifici obiettivi. È importante
sottolineare che secondo questa visione si possono riscontrare delle differenze nell’ac-
quisizione del controllo e dei processi riflessivi a seconda del contesto socioculturale
in cui il bambino si trova a vivere, contesto che modella anche i diversi sistemi di
credenze, regole, valori e, in generale, i contenuti mentali che supportano l’acquisizio-
ne di abilità esecutive. Per permettere un miglior funzionamento esecutivo, dunque,
invece che allenare il bambino durante compiti esecutivi a esercitare la riflessione,
secondo Doebel sarebbe necessario fornirgli un numero abbondante di esperienze che
gli consentano di comprendere il valore del controllo e di comprendere il bisogno di
esercitarlo durante momenti critici (che Cunningham e Zelazo nel 2007 definirono
“situazioni di conflitto”). Ciò che si verifica nello sviluppo tipico, quindi, non è tanto
l’acquisizione di competenze generali, separate e decontestualizzate, quali inibizione,
flessibilità o memoria di lavoro, bensì di abilità che permettono di esercitare il con-
trollo diretto verso specifici obiettivi, grazie all’acquisizione e all’attivazione di vari
contenuti mentali. Due importanti implicazioni emergono dal lavoro di riconcettua-
lizzazione attuato da Doebel (2020): da una parte, emerge il bisogno di ripensare ai
training sulle FE in relazione a specifici obiettivi e relative credenze, valori e norme:
invece di tentare di aumentare l’inibizione comportamentale di un bambino con trai-
ning poco ecologici, ha senso considerare gli specifici obiettivi e i sistemi di credenze
che potrebbero supportare il suo raggiungimento (ad es., spiegare a un bambino che
esistono diverse alternative socialmente accettabili al picchiare un compagno di classe
quando ruba il suo gioco); fornire, cioè, dei value-based training di FE, ovvero dei
training non decontestualizzati, ma focalizzati e basati sui sistemi di valori importanti
per il bambino e per i suoi obiettivi, valori che possono anche variare a seconda del
contesto socioculturale di riferimento (sappiamo infatti che la conoscenza concettuale
può cambiare anche in base allo status socioeconomico, SES). Il secondo punto fonda-
mentale per l’autrice è la necessità di attuare valutazioni delle FE molto più ecologiche
rispetto a quelle classiche laboratoriali in uso oggi: al posto di chiedere al bambino di
inibire la risposta che lo porterebbe a schiacciare il bottone (il classico paradigma del
go/no-go task), si potrebbe chiedere al bambino di inibire la risposta che lo porterebbe
a toccare giocattoli per lui attraenti visualizzati sul monitor. In questo modo le misure
di FE risulterebbero più valide dal punto di vista ecologico e più pertinenti rispetto
alle domande di ricerca e ai risultati di interesse.
2
Correlati neurofunzionali
delle funzioni esecutive
dalla nascita all’adolescenza
Antonino Vallesi e Paola Brovedani

Lo sviluppo neurofunzionale delle funzioni esecutive (FE), dall’infanzia fino alla pie-
na maturità cognitiva, è un argomento molto studiato e di grande interesse sia per le
neuroscienze cognitive che per la psicologia dello sviluppo. Le FE sono implicate non
solo nel controllo del comportamento ma anche di altre funzioni cognitive. Hanno
un marcato scopo adattivo e sono importanti predittori del funzionamento scolastico,
lavorativo, della salute fisica e mentale (Friedman e Miyake, 2017; Moffitt et al., 2011).
L’evidenza sempre più consistente della letteratura, sia su individui sani sia su pa-
zienti con disturbi neurologici e neuropsichiatrici, ha ormai da anni stabilito che i
termini FE e funzioni “frontali”, ovvero sottese esclusivamente dai lobi frontali, non
sono intercambiabili (Bettcher et al., 2016), in quanto le FE sono sottese da circuiti
cerebrali estesi benché con una base neurale importante nelle aree prefrontali. Le FE,
infatti, dipendono sia da un efficace funzionamento delle aree prefrontali del cervello
sia dalle loro connessioni con altre aree.
A livello ontogenetico, la corteccia prefrontale raggiunge il livello di maturazione
strutturale e funzionale per ultima, impiegando circa due decadi. La corteccia pre-
frontale è probabilmente una delle aree a maggiore plasticità ed è particolarmente
influenzabile, come di conseguenza le FE che da essa in parte dipendono, da fattori
ambientali negativi quali stress, deprivazione, povertà, ma anche da altri fattori quali la
prematurità e da perturbazioni di diversa eziologia durante lo sviluppo pre e perinata-
le. Alterazioni dei circuiti prefrontali e delle FE si riscontrano frequentemente come
elementi trainanti nelle traiettorie che portano a vari disturbi del neurosviluppo, quali
ad esempio il disturbo da deficit di attenzione e iperattività e il disturbo dello spettro
dell’autismo (cfr. capitoli 10 e 11).
In questo capitolo verranno trattate le tre principali componenti di base delle FE,
almeno secondo modelli classici, ossia inibizione, memoria di lavoro, flessibilità cogni-
tiva (Miyake et al., 2000; Garon, Bryson e Smith, 2008). Verranno presentati i dati
sulle basi neurali sottostanti le principali FE nello sviluppo, inclusa la connettività fun-
zionale, come emerge da recenti studi di neuroimmagine ed elettrofisiologia. Sezioni
separate verranno dedicate alle basi neurofunzionali di ciascuna componente delle FE
dall’infanzia all’adolescenza, pur nella consapevolezza che una suddivisione rigida di
associazione tra singola funzione e correlati neurofunzionali nelle diverse fasi dello
22 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

sviluppo sia una “forzatura”, dato ad esempio il problema della task impurity, ossia il
probabile coinvolgimento di più circuiti neurali e sottofunzioni che sottendono la pre-
stazione in un determinato test concepito per indagare una determinata componente
delle FE (cfr. capitolo 5). Verranno solo brevemente presentati i network che sotten-
dono l’attenzione secondo l’ottica di Posner e collaboratori (Petersen e Posner, 2012).
Tali autori, grazie ai loro studi che hanno considerato diversi livelli di analisi (com-
portamentale, neuronale, neurotrasmettitoriale, cellulare), hanno infatti fornito im-
pulsi significativi all’attuale stato dell’arte sul funzionamento dell’attenzione umana,
anche in termini di sviluppo, sia nella normalità sia nella patologia (Posner, Rothbart
e Ghassemzadeh, 2020). Per la sovrapposizione, sebbene parziale, di network attentivi,
almeno per quanto riguarda alcune componenti come l’attenzione esecutiva, con le FE
analizzate in questo capitolo, è apparso utile farne cenno.

2.1. Sviluppo della corteccia prefrontale e delle aree ad essa


connesse
La corteccia prefrontale, situata di fronte alle aree motorie del lobo frontale, occupa
quasi un terzo della corteccia cerebrale e riceve informazioni circa tutte le modalità
sensoriali e gli stati motivazionali ed emotivi dell’individuo (cfr. figg. 2.1 e 2.2). La
corteccia prefrontale è una delle ultime regioni a maturare sia filogeneticamente che
ontogeneticamente (Diamond, 2002; Teffer e Semendeferi, 2012). È una regione ric-
camente connessa sia al suo interno tramite fibre a corto raggio che con tutto il resto
del cervello (Catani e Thiebaut De Schotten, 2012).

Lobo
parientale

Lobo
frontale
Lobo
occipitale

Lobo
temporale

Figura 2.1. I lobi cerebrali


2. Correlati neurofunzionali delle funzioni esecutive... 23

Corteccia prefrontale

Area supplementale motoria

Dorsolaterale

Anteriore Visione laterale

Ventrolaterale

Orbitofrontale laterale

Area supplementale motoria

Dorsomediale

Ventromediale Visione mediale

Corteccia cingolata anteriore

Orbitofrontale mediale

Figura 2.2. Visione laterale e mediale del lobo prefrontale che evidenzia le diverse divisioni (adattata da
G. Denes, L. Pizzamiglio, C. Guariglia, S. Cappa, D. Grossi e C.G. Luzzatti, Manuale di neuropsicologia.
Normalità e patologia dei processi cognitivi. Terza edizione [p. 1192], Zanichelli, Bologna, 2019)

Non sorprende dunque, date tutte queste caratteristiche, che la maturazione dei
lobi frontali accompagni i progressi nelle abilità cognitive superiori, incluse le FE,
lungo l’infanzia e l’adolescenza. La piena maturazione dei lobi frontali avviene in circa
vent’anni e mostra una più rapida evoluzione nei primi due anni di vita, periodo in cui
iniziano a formarsi connessioni con altre aree e circuiti cerebrali (Hodel, 2018).

2.1.1. Lo sviluppo strutturale della corteccia prefrontale


La maturazione strutturale di questi importanti lobi consiste inizialmente in processi
di accrescimento, quali neurogenesi e sinaptogenesi con conseguente aumento della
sostanza grigia e mielinizzazione che porta all’aumento di sostanza bianca mentre,
successivamente, si osservano processi di tipo regressivo, quali apoptosi, pruning si-
naptico e perdita di volume di sostanza grigia (Gogtay et al., 2004; O’Hare et al.,
2008). Tali processi sono comuni agli altri lobi, con tempi di maturazione che possono
tuttavia variare.
24 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

L’aumento del volume e della superficie della corteccia prefrontale avviene attra-
verso l’incremento del numero dei neuroni e delle sinapsi e l’infoltimento degli alberi
dendritici neuronali. Tra i 6 e i 12 mesi si osserva un arricchimento dell’arborizzazione
dendritica nello strato III della corteccia prefrontale (Koenderink, Uylings e Mrzljak
1994), e tra i 12 e i 18 mesi si ha un picco di sinaptogenesi nella corteccia prefrontale
dorsolaterale (Huttenlocher e Dabholkar, 1997). Studi post mortem hanno mostrato
sinaptogenesi nei primi 10 anni seguita da una riduzione sinaptica che comincia nell’a-
dolescenza (Glantz et al., 2007). Molti studi di risonanza magnetica strutturale hanno
infatti mostrato che lo spessore e il volume corticali si sviluppano secondo una curva a
U invertita, aumentando inizialmente nell’infanzia e poi declinando durante la prima
età adulta (Gogtay et al., 2004; Shaw et al., 2008; Tamnes et al., 2013). È interessante
notare che traiettorie di sviluppo a U rovesciata si osservano anche per la sinaptogenesi
(Glantz et al., (2007) e per il volume nella corteccia prefrontale (Kanemura et al., 2003).
Anche la mielinizzazione è importante per raggiungere il pieno sviluppo del cer-
vello e della sua funzionalità, consentendo una comunicazione veloce e sincronizzata
tra regioni cerebrali (Deoni, 2011; Miller et al., 2012). La mielinizzazione segue un
pattern gerarchico: le regioni sottocorticali, il cervelletto e il ponte sono mielinizzati
per primi. La mielinizzazione prosegue appena prima della nascita nelle aree motorie
e sensoriali, attorno ai 4-6 mesi nei lobi parietale e occipitale e poi nel lobo temporale,
mentre le regioni associative prefrontali, con funzioni cognitive superiori, vengono
prevalentemente mielinizzate per ultime tra i 6 e gli 8 mesi (Deoni, 2011; cfr. Sousa
et al., 2018 per una rassegna), anche se la sua mielinizzazione continua ben oltre quel
periodo.
Nella lenta e prolungata maturazione della corteccia prefrontale, i cambiamenti
strutturali sono accompagnati da cambiamenti metabolici. Il metabolismo del glu-
cosio, quantificato grazie a tecniche di neuroimmagine quali la tomografia a emissio-
ne di positroni (PET), nella corteccia prefrontale aumenta linearmente dalla nascita,
raggiungendo il suo plateau a circa 8-9 mesi di età e continua fino ai 4 anni. Nella
corteccia somatosensoriale il metabolismo è invece già alto sin dalla nascita, e viene
riportato un aumento esponenziale nelle regioni posteriori già nei primi 2 mesi di vita
(occipitale, temporale e parietale) (Chugani, Phelps e Mazziotta, 1987; Chugani, 2018;
Franceschini et al., 2007).
In sintesi, dalla letteratura sullo sviluppo strutturale della corteccia prefrontale
emerge che entro il primo anno di vita avvengono dei cambiamenti strutturali signi-
ficativi che si esprimono come aumento del numero dei neuroni, delle sinapsi e dei
dendriti e del volume delle sostanza bianca con picchi di maturazione intorno ai 6-8
mesi per la sinaptogenesi, la mielinizzazione e l’attività metabolica del glucosio. Tali
processi maturativi si protraggono nel tempo ma, già dalla tarda adolescenza, essi si ri-
ducono progressivamente. La connettività strutturale tra corteccia prefrontale ed altre
aree cerebrali, necessaria per il buon funzionamento delle FE, viene facilitata da questi
processi maturativi a livello della sostanza grigia e bianca.
Connessioni della corteccia prefrontale con altre aree cerebrali sottendono lo svi-
luppo di specifiche FE, quali inibizione, memoria di lavoro, flessibilità cognitiva (Fiske
e Holmboe, 2019). Tale connettività funzionale, studiata attraverso metodiche di neu-
roimmagine, verrà discussa nel prossimo paragrafo.
2. Correlati neurofunzionali delle funzioni esecutive... 25

2.1.2. Lo sviluppo della connettività funzionale nella corteccia prefrontale

Come parte del processo di maturazione, la corteccia prefrontale, dunque, sviluppa


molte connessioni al suo interno e con altre aree corticali, sottocorticali e limbiche,
inclusa una complessa ma ben organizzata integrazione dei maggiori sistemi di neu-
rotrasmettitori, che insieme sottendono le FE (Kolk e Rakic, 2022). Ad esempio, lo
sviluppo della connettività funzionale frontostriatale è stato associato a miglioramenti
nel controllo cognitivo nel corso dello sviluppo (Rubia et al., 2006; van den Bos, Ro-
driguez, Schweitzer e McClure, 2015).
Oltre a miglioramenti nella connettività tra regioni prefrontali e altre regioni du-
rante lo sviluppo, si è osservato un cambiamento in funzione dell’età, da un’attivazione
generale e aspecifica della corteccia prefrontale ad attivazioni più localizzate, durante
lo svolgimento di compiti richiedenti le FE. Questo cambiamento potrebbe indicare il
raggiungimento di maggiore efficienza e specializzazione di determinate regioni della
corteccia prefrontale per FE specifiche con la maturazione cerebrale (Durston et al.,
2006).
L’evidenza empirica ha dimostrato recentemente che specifici meccanismi alla base
delle FE dipendono dall’interazione tra meccanismi genetici di maturazione (ad es.,
sinaptogenesi, arborizzazione dendritica, mielinizzazione) e fattori ambientali, come
esposizione a contesti stimolanti o, al contrario, deprivazione sensoriale e sociale. Du-
rante il primo anno di età, la connettività a riposo tra aree corticali a lungo raggio,
ossia tra aree cerebrali relativamente distanti tra di loro (ad es., frontoparietali) non è
ancora del tutto funzionalmente operativa, mentre lo è dai 2 anni di età, e le regioni
prefrontali sembrano acquisire un ruolo chiave nell’orchestrare l’organizzazione corti-
cale (Gao et al., 2011).
Inoltre, nonostante lo sviluppo strutturale e funzionale della corteccia prefrontale
si protragga per lungo tempo, tale regione cerebrale comincia ad essere funzionalmen-
te coinvolta nella regolazione di risposte comportamentali già dalla prima infanzia
(Grossmann, 2013). La traiettoria di sviluppo continua e prolungata dà alla corteccia
prefrontale la possibilità di controllare gerarchicamente, e potenzialmente modificare,
l’influenza di regioni che si sviluppano più precocemente, quali quelle sensoriali e
motorie.

2.2. Le basi neurofunzionali sottese alle diverse funzioni


esecutive
Verrà analizzata l’evidenza scientifica relativa alle aree e ai circuiti che sottendono le
tre principali componenti di base delle FE, tenendo in considerazione il fatto che tale
evidenza non è sempre convergente. A volte, ad esempio, test diversi possono essere
utilizzati per valutare le stesse FE. Inoltre, in determinate fasi dello sviluppo, alcune
funzioni o componenti delle FE di base possono essere non ancora separabili chiara-
mente. In aggiunta, tra i diversi studi non si ha sempre omogeneità a livello termino-
logico e concettuale. Per esempio, il termine ombrello inibizione (che in realtà è un
costrutto multidimensionale) può essere usato come sinonimo di controllo cognitivo,
26 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

controllo inibitorio motorio o controllo dell’interferenza; come altri esempi, ci si può


riferire alla memoria di lavoro anche con il termine inglese updating (in italiano, “ag-
giornamento”) e alla flessibilità cognitiva con set-shifting, task-switching o “flessibilità
mentale”. Tali aspetti, che hanno rilevanza a livello teorico (ad es., diversità ed unita-
rietà delle FE, cfr. il capitolo 3), soprattutto in termini di modelli delle traiettorie di
sviluppo, sono tuttora oggetto di dibattito e discussione (cfr., ad es., Morra, Panesi,
Traverso e Usai, 2018; Friedman e Miyake 2017), ma non verranno direttamente trat-
tati in questo capitolo.
Prima di presentare gli studi sulle traiettorie di sviluppo delle basi neurofunzionali
delle varie FE, appare utile descrivere brevemente le finalità delle diverse tecniche di
neuroimmagine (fMRI, fNIRS, PET) ed elettrofisiologiche (EEG) che sono state
utilizzate per analizzare le basi neurobiologiche delle FE di base. Semplificando, tali
metodologie molto complesse di visualizzazione non invasiva e “in vivo” del cervello
sono tecniche che consentono di rilevare indici (indiretti nel caso delle neuroimma-
gini) dell’attività neuronale sia nelle condizioni in cui la persona sta svolgendo un de-
terminato compito cognitivo sia quando non è impegnata in alcun test, ossia a riposo.
La risonanza magnetica funzionale (functional Magnetic Resonance Imaging,
fMRI) misura la variazione di consumo locale di ossigeno nel tempo tramite il segnale
emodinamico detto BOLD (Blood Oxygenation Level-Dependent signal). È quindi
una misura indiretta di attività neuronale. Una classica applicazione dell’fMRI consi-
ste nel presentare al soggetto varie condizioni di stimolazione nell’ambito di compiti
cognitivi, mentre si acquisiscono nel tempo sequenze funzionali del suo cervello nello
scanner di risonanza. Le condizioni somministrate differiscono per componenti co-
gnitive specifiche, consentendo di generare mappe di attivazione (ossia aumento di
segnale BOLD) che mostrano quali aree cerebrali sono differenzialmente reclutate in
determinate attività cognitive. Inoltre, si può usare l’fMRI per studiare le fluttuazioni
del segnale BOLD in uno stato di riposo, ossia senza la somministrazione di compiti
cognitivi. Questo tipo di studi viene usato per indagare la connettività funzionale in-
trinseca, ossia la correlazione temporale del segnale in aree cerebrali diverse.
La spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso (functional Near-Infrared Spectro-
scopy, fNIRS) è un’altra tecnica non invasiva di neuroimmagine. Nonostante abbia
una risoluzione spaziale più bassa rispetto all’fMRI (ovvero minore precisione nella
localizzazione dell’attività cerebrale), è usata spesso nelle ricerche con neonati e bam-
bini molto piccoli poiché presenta dei vantaggi quali l’alta tollerabilità per il bambino,
costi relativamente bassi, silenziosità, portabilità e facilità di impiego. A differenza
della risonanza, non prevede l’inserimento di un individuo in uno scanner, ma solo
l’applicazione di sensori sullo scalpo, di solito tramite cuffie predisposte. Come l’fMRI,
l’fNIRS indaga l’attività emodinamica della corteccia cerebrale e le sue funzioni, tut-
tavia sfruttando un meccanismo diverso. L’fNIRS si basa infatti sulla luce diffusa nella
banda spettrale del vicino infrarosso.
La tomografia a emissione di positroni (Positron Emission Tomography, PET) è una
tecnica di neuroimmagine che misura il metabolismo cerebrale, ormai in disuso per la
ricerca di base in seguito all’avvento dell’fMRI e impiegata per lo più nella diagnostica
clinica. La ragione del suo ormai scarso utilizzo in ricerca non clinica è che la PET
comporta la somministrazione per via endovenosa di radiotraccianti (che emettono
2. Correlati neurofunzionali delle funzioni esecutive... 27

positroni) simili a sostanze normalmente presenti nell’organismo quali il glucosio.


Speciali detettori di raggi gamma, raggi prodotti quando i positroni collidono con gli
elettroni man mano che il radiotracciante si diffonde nell’organismo, consentono di
localizzare l’attività metabolica in termini, ad esempio, di consumo di glucosio, anche
a livello cerebrale.
L’elettroencefalografia (Electroencephalography, EEG) è una tecnica non invasiva
che consente di registrare direttamente l’attività elettrica di milioni di neuroni tra-
mite elettrodi esterni posti sullo scalpo. Con tale tecnica si può misurare sia l’attività
elettrica spontanea che quella evocata da stimoli o risposte del soggetto, ed è possibile
derivare anche misure di connettività funzionale (ossia la correlazione temporale del
segnale in regioni anatomicamente distinte). Rispetto alle tecniche di neuroimmagine
come l’fMRI, ha una migliore risoluzione temporale (ovvero misura cambiamenti di
attività neuronale nell’ordine dei millisecondi), ma peggiore risoluzione spaziale in
quanto è difficile ricostruire l’esatta localizzazione delle aree cerebrali che generano
i segnali elettrici. L’EEG ad alta densità (High Density-EEG, HD-EEG), grazie a
un numero molto elevato di elettrodi esterni distribuiti sullo scalpo (in genere da 64
a 256), consente una maggiore precisione nell’identificare la localizzazione spaziale
dell’attività neuronale misurata in superficie tramite apposite analisi matematiche che
ricostruiscono le sorgenti sottostanti.

2.2.1 Inibizione
L’inibizione è il processo che consente di sopprimere l’attenzione o risposte automa-
tiche a informazioni o stimoli salienti ma potenzialmente distraenti, per poter rag-
giungere uno scopo cognitivo o comportamentale in modo ottimale (cfr. capitoli 1
e 3). Tradizionalmente, si considera la fine del primo anno di vita come l’inizio della
curva di sviluppo per l’inibizione (Garon, Bryson e Smith, 2008), con miglioramenti
più marcati durante gli anni prescolastici (Garon, Smith e Bryson, 2014) e un miglio-
ramento successivo più stabile fino a raggiungere livelli di maturità nella prima adole-
scenza (van den Wildenberg e van der Molen, 2004; Williams et al., 1999). In compiti
antisaccadici dove viene richiesto di guardare dalla parte opposta a quella in cui com-
pare lo stimolo visivo, considerati richiedere inibizione della risposta preponderante,
bambini di 6-7 anni mostrano significative difficoltà, migliorando la prestazione ne-
gli anni successivi e raggiungendo la massima prestazione intorno ai 20 anni (Luna,
2009). Tuttavia, alcune ricerche suggeriscono che delle forme primitive di controllo
inibitorio possano essere già presenti attorno ai 6 mesi (Holmboe, Bonneville-Roussy,
Csibra e Johnson, 2018).
I correlati neurali dell’inibizione durante l’infanzia per compiti quali il go/no-go
(rispondere a uno stimolo bersaglio e non rispondere a stimoli non bersaglio) includo-
no la corteccia prefrontale ventrolaterale e dorsolaterale (cfr. fig. 2.2) come dimostrato
da studi fMRI (Bunge et al., 2002). In particolare, la corteccia dorsolaterale prefrontale
è coinvolta quando nel compito sono richiesti sia inibizione sia memoria di lavoro,
soprattutto durante la prima infanzia, quando le due componenti esecutive sembrano
essere co-dipendenti, mentre l’attivazione di quest’area durante compiti inibitori si
riduce con lo sviluppo (Durston et al., 2006; Tamm, Menon e Reiss, 2002). Studi di
28 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

neuroimmagine più recenti hanno osservato attivazione parietale associata all’inibizio-


ne e cambiamenti di tale attivazione in funzione dello sviluppo, oltre al coinvolgimen-
to dello striato (Mehnert et al., 2013), un’importante formazione di sostanza grigia,
componente chiave nei circuiti che connettono la corteccia ai gangli della base e coin-
volta nei processi di selezione delle azioni come anche nell’apprendimento in generale.
Lo studio fMRI di Bunge e colleghi (2002) mostra altresì che le aree cerebrali
attivate nei bambini possono variare in funzione del compito inibitorio svolto. Ad
esempio, la capacità di contrastare l’interferenza nel compito flanker, in cui si richiede
di rispondere a uno stimolo bersaglio centrale ignorando stimoli distraenti ai lati, è
associata differenziatamente ad attivazione di regioni prefrontali nell’emisfero opposto
nei bambini di 8-12 anni rispetto agli adulti (ossia corteccia ventrolaterale prefrontale
sinistra vs destra). L’inibizione motoria richiesta nelle prove go/no-go attiva, almeno
nei bambini con migliori capacità inibitorie, regioni parietali inferiori invece della re-
gione prefrontale destra attivata dagli adulti.
L’avvento dell’fNIRS ha consentito di investigare i correlati neurali dell’inibizione
in stadi più precoci dello sviluppo rispetto alla maggior parte degli studi fMRI. Si è
ad esempio trovato che i bambini di 4-6 anni mantengono alti livelli di attivazione
delle cortecce prefrontale e parietale di destra sia in prove go sia no-go, rispetto agli
adulti che attivano selettivamente queste aree durante le prove di inibizione (no-go),
suggerendo minore specificità e maggior difficoltà generale nei bambini in questo tipo
di compiti (Mehnert et al., 2013). Un altro recente studio fNIRS di Moriguchi e Shi-
nohara (2019) ha trovato maggiore coinvolgimento frontale inferiore destro quando
bambini di 3-4 anni dovevano evitare di indicare una ricompensa maggiore rispetto a
una minore nel compito “meno è più”, che implica un alto coinvolgimento emozionale
oltre che cognitivo.
I risultati sullo sviluppo neurofunzionale del controllo inibitorio sono tuttavia a
volte contraddittori, con ad esempio alcuni studi che mostrano che la corteccia ven-
trolaterale prefrontale destra è quella che viene attivata durante il controllo inibitorio
progressivamente in misura maggiore nello sviluppo fino all’adolescenza (Rubia et al.,
2006; Schroeter, Zysset, Wahl e von Cramon, 2004), come mostrato anche a livello
longitudinale (Durston et al., 2006), e altri studi che riportano un aumento progressi-
vo dell’attivazione della corteccia prefrontale ventrolaterale sinistra o bilaterale invece
che soltanto destra (Tamm, Menon e Reiss, 2002). Un altro studio fNIRS (Moriguchi,
Shinohara e Yanaoka, 2018), che usava un compito di controllo inibitorio emozionale,
mostrava invece che i bambini in età prescolare attivavano maggiormente la corteccia
ventrolaterale destra quando il controllo inibitorio falliva (ossia quando non riuscivano
a ritardare una gratificazione).
I vari risultati suggeriscono che lo sviluppo dei meccanismi neurali dell’inibizio-
ne possa essere più sfumato e complesso rispetto a modelli che prevedono pattern
semplici quali un cambiamento dall’attivazione diffusa a quella focale. Sembra quindi
che, mentre alcune aree riducono l’attivazione, altre aumentano il loro coinvolgimento
specializzandosi progressivamente di più (cfr. Johnson, 2011) con differenze tra uno
studio e l’altro che sono interpretabili solo parzialmente come dovute alle diverse tra-
iettorie neuroanatomiche associate ai compiti inibitori specifici utilizzati. I processi
maturazionali, inoltre, devono essere interpretati, come suggerito dalla prospettiva
2. Correlati neurofunzionali delle funzioni esecutive... 29

neurocostruttivista (Karmiloff-Smith, 2006), in interazione dinamica con fattori legati


all’esperienza durante lo sviluppo ontogenetico.
Infine, un ruolo chiave evidenziato da studi recenti è senz’altro rappresentato
dall’emergere della connettività funzionale tra regioni distali. Lo studio di Mehnert
e colleghi (2013), in particolare, mostra come la capacità inibitoria negli adulti fosse
accompagnata da maggiore connettività ad ampio raggio tra regioni frontali e parietali,
mentre nei bambini si osservava maggiore connettività a corto raggio, ossia tra aree
cerebrali spazialmente vicine, all’interno delle cortecce frontali e parietali destre, di-
mostrando l’importanza della connettività funzionale nel network frontoparietale per
lo sviluppo della capacità inibitoria. A sottolineare ancora l’importanza della connet-
tività nello sviluppo del controllo inibitorio, è stato dimostrato che la connettività tra
corteccia cingolata anteriore e corteccia prefrontale laterale aumenta progressivamente
lungo l’arco evolutivo, e questo si associa a un progressivo miglioramento della capacità
di controllo proattivo di informazioni interferenti con l’adolescenza e l’età adulta. I
bambini più piccoli, invece, rispondono alle sfide cognitive in modo più reattivo, man
mano che queste si presentano, e non proattivamente in funzione del conflitto esperito
in prove precedenti (Waxer e Morton, 2011).
In sintesi, i pattern di attivazione dei correlati neurofunzionali dell’inibizione nello
sviluppo possono essere diversi rispetto a quelli degli adulti, ad esempio in termini
di minore specializzazione, di maggiore reclutamento di specifiche aree o di minore
connettività funzionale ad ampio raggio, e variano non solo in funzione dell’età, ma
anche delle differenze interindividuali nelle capacità inibitorie e delle richieste del
compito specifico.

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