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Scienze dell’Educazione e della Formazione, fra


fenomenologia dell’evidenza e autonomia della
ragione: necessità di...

Conference Paper · June 2007

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Rita Minello
Università degli studi Niccolò Cusano
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Rita Minello-Claudia Tavolieri. Processi formativi e tecniche narrative fra Tarda antichità ed evo
contemporaneo. Ricerca di natura storico-sociale-educativa. View project

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]CORISCO[
i linguaggi delle
scienze cognitive1
Cultura, evoluzione,
simulazione
Atti del Convegno 2007
del CODISCO
Coordinamento dei Dottorati italiani
di Scienze Cognitive

a cura di
Alessandra Falzone
Mariangela Campochiaro

presentazione di
Antonino Pennisi

Graphic designer
Daisy Jacuzzi

stampa e distribuzione
Squilibri
Viale dell’Università, 25 – 00185 Roma
e-mail: info@squilibri.it
sito: www.squilibri.it

ISBN: 978-88-88325-12-5
indice
11 Presentazione
di Antonino Pennisi

17 Introduzione
di Alessandra Falzone e Mariangela Campochiaro

Tavole rotonde
Si può naturalizzare la cultura?
Pietro Perconti
25 Naturalizzare la cultura

Mario De Caro
33 Scienza e filosofia: per un naturalismo pluralistico

Simona Morini
43 Si può naturalizzare l’etica?

Berardino Palumbo
48 “‘Naturalizzare’ la ‘cultura’”. Versione 1 e 2

Evoluzionismo e scienze cognitive


Antonino Pennisi
65 Biologia, evoluzionismo e scienze cognitive

Giorgio Vallortigara
80 Strutture e funzioni. Due storie personali sul ruolo
delle spiegazioni evoluzionistiche nelle scienze cognitive

Telmo Pievani
90 Darwinizzare Chomsky con moderazione

Alessandra Falzone
102 Dalla struttura al pensiero. Il contributo della teoria evolutiva
alla comprensione della complessità
Francesco Ferretti Rita Minello
115 Evoluzionismo e scienza cognitiva 225 Scienze dell’Educazione e della Formazione, fra fenomenologia
dell’evidenza e autonomia della ragione:
Edoardo Boncinelli necessità di una nuova prospettiva esplicativa
128 Evoluzione, genetica e scienze cognitive
Letizia Nucara
234 Maturana e il linguaggio dell’autopoiesi
Pensare è simulare?
Franco Lo Piparo Antonella Russo
137 Sulla natura iconica del pensare 244 Linguaggio, processi cognitivi e capacità di utopia

Rocco Pititto
142 Pensare è simulare? Perché simulare non è pensare: Evoluzione
tracce per una discussione Domenica Bruni, Vivian M. De La Cruz, Maria Primo
253 Evoluzione e linguaggio. L’origine della produzione vocale
Augusto Ponzio
158 Pensare è simulare. Linguaggio e modellazione Mariangela Campochiaro
263 Livelli di mentalizzazione e riconoscimento di sé

Erica Cosentino
Relazioni 271 Tempo e autoconsapevolezza. Per una prospettiva evolutiva
Cultura
Lorenzo Altieri Valentina Cuccio
171 Ornitorinchi, rinoceronti e unicorni. 281 Perché le patologie genetiche non sono una prova
Lo schematismo tra embodiment ed ecologia della teoria modulare del linguaggio

Antonino Bondì Elena Mascalzoni


187 La “funzione semiotica” di Louis Hjelmslev, 290 Strutturazione percettiva dello spazio visivo in un modello animale
dalla linguistica strutturale alla linguistica cognitiva
Orsola Rosa Salva
Marco Cruciani 296 Il pulcino di pollo domestico come modello animale
198 Interessi e significato per lo studio della cognizione sociale

Tiziana Giudice
215 Metafora, corporeità e processi immaginativi Simulazione
Antonino Bucca
305 Folli o gelosi? Le forme cognitive e linguistiche delle esperienze deliranti
Massimiliano Cappuccio Cristina Puleo, Annalisa Sindoni
320 La costruzione cognitiva dello spazio dell’azione. 401 Cognizione sociale e intenzione condivisa
Dalla bio-robotica ai neuroni specchio
Caterina Scianna
Sara De Carlo 408 L’ipotesi Grodzinsky: area di Broca e teoria della traccia
330 Fenomeno di specchio. Per una ricognizione neurofenomenologica
nell’opera di Merleau-Ponty Miano S., Bruni O., Elia M., Trovato A., Smerieri A., Verrillo E.,
Roccella M., Terzano M.G., Ferri R.
Anna Fratantonio 417 Il sonno in bambini con disturbo dello spettro autistico:
338 L’influenza dell’informazione contestuale in relazione alla complessità un questionario ed uno studio polisonnografico
ortografica: un confronto tra dislessici evolutivi e normolettori

Marco Seghini
342 Per un’analisi semiotica del Collaborative Tagging

Daniela Tagliafico
357 Neuroni specchio e simulazione radicale.
Alcune critiche alla proposta di Robert Gordon

Poster
Seidita G., Mirisola M., D’Anna R.P., Gallo A., Jensen R.T.,
Mantey S.A., Gonzalez N., Falco M., Zingale M., Elia M., Cucina L.,
Chiavetta V., Romano V., Cali F.
375 Analisi molecolare del gene recettore “gastrin-releasing peptide receptor”
(GRPR) in pazienti italiani con disturbi dello spettro autistico

Mario Graziano
379 Il ruolo del linguaggio nella cognizione matematica

Stefania La Foresta, Maria C. Quattropani


383 La neuropsicoanalisi: un approccio tra metapsicologia e neurobiologia.
Un contributo clinico

Assunta Penna, Valentina Cardella, Manuela Bruno


392 Etologia e paleoneurologia: un contributo allo studio dell’evoluzione
della cognizione umana
Antonino Pennisi

Presentazione
Si pubblicano qui gli Atti del primo Convegno nazionale del CODISCO (Co-
ordinamento dei Dottorati italiani di Scienze cognitive, http://codisco.unime.it)
ad un anno esatto dalla sua realizzazione. Se li state leggendo vuol dire che siamo
riusciti nell’intento di presentarli al secondo appuntamento annuale, mantenen-
do quello che l’anno scorso ci siamo posti come impegno primario. Un impegno
che l’Assemblea fondativa del Coordinamento mi aveva affidato assieme alla ste-
sura di un documento unitario che fungesse da piattaforma progettuale per la no-
stra futura attività. Tale documento, che ho preparato assieme a Pietro Perconti,
sarà oggetto di un’apposita assemblea che svolgeremo nel corso del nostro secon-
do incontro. Per il momento, quindi, non resta che licenziare il volume degli At-
ti e dichiarare ufficialmente iniziato il percorso del CODISCO.
Si tratta di un’impresa che non potrebbe cadere in un momento più favorevole.
Le scienze cognitive sono una delle aree di ricerca più avanzate nel panorama
mondiale contemporaneo. Insieme a pochi altri campi di ricerca, le scienze
cognitive sono tra le discipline a cui l’umanità può affidare il suo futuro.
Comprendere, saper riprodurre e riabilitare i processi della conoscenza rap-
presenta un contributo decisivo alla consapevolezza della natura umana e allo
sviluppo tecnologico e sociale delle generazioni che verranno. Si tratta di un
ambito di studi in cui la collaborazione tra studiosi di provenienza diversa ha
prodotto uno scenario fruttuoso e stabile, un modello avanzato di unità dei
saperi offerto a tutte le altre pratiche di collaborazione scientifica.
Le scienze cognitive hanno da ora anche una storia: una rispettabile storia di
almeno mezzo secolo. La riflessione sulla natura della cognizione, nata nel-
l’ambito del pensiero matematico-cibernetico, si è ormai estesa a macchia d’o-
lio su tutte le scienze umane e naturali. Da Turing, Simon, Newell, siamo
giunti oggi ai Chomsky, ai Dennett, ai Pinker, ai Gazzaniga, ai Kandell, ai Da-
masio, ma anche ai Dan Sperber, ai Ned Block, ai Daniel Kahneman e Ver-
non Smith, per non parlare del contributo decisivo che sta dando tutta inte-
ra la biologia evoluzionistica e di cui si parlerà ampiamente in questo stesso
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volume. Che l’incontro tra scienze diverse fosse alla base del progetto iniziale Ma l’aver messo l’accento sui linguaggi delle scienze cognitive ha voluto qui sot-
era prevedibile: in fondo il pensiero formale da cui ha preso l’avvio il movi- tolineare anche un altro aspetto, generalmente ignorato e comunque, in Ita-
mento aboliva per definizione i contenuti per far emergere esclusivamente il lia, del tutto disatteso, delle scienze cognitive: quello relativo alla formazione
modello, nella fattispecie il modello computazionale del pensiero. Ciò che era di una nuova etica per la ricerca scientifica.
destinato a sfuggire ad ogni previsione era invece la natura assolutamente li- Di tutti i Paesi in cui la ricerca scientifica è considerata fondamentale per le
bera della convergenza culturale attorno a quel modello. Tanto libera che, a sorti dell’intera comunità, l’Italia è certamente quella in cui il peso delle cor-
distanza di cinquanta anni, la diversità dei contenuti ha finito col prevalere sul porazioni accademiche ha maggiore rilievo. L’infausta congiunzione di astri
modello, di fatto esautorandolo, e lasciando al suo posto un vago fantasma sfavorevoli come questo enorme peso corporativo del mondo accademico e la
“unitario”: la centralità dei processi cognitivi nelle attività animali (soprattut- nostra tradizionale inefficienza legislativa e burocratica, rende davvero diffici-
to umane). È così che hanno fatto legittima irruzione nel nucleo fondaziona- le la realizzazione di un libero percorso per la ricerca scientifica dei giovani che
le delle scienze della mente e del cervello, del linguaggio e delle formalizza- studiano in Italia. Stretti tra una malintesa idea di appartenenza a “scuole” o
zioni logico-filosofiche, anche l’antropologia culturale e fisica, l’etologia, l’e- “tradizioni”, una condizione di dipendenza diretta dall’organizzazione gerar-
conomia, il diritto, l’estetica, l’etica, l’architettura, le arti, in una parola, per chica della docenza universitaria, un artificioso, barocco e dannosissimo siste-
l’appunto, i linguaggi delle scienze cognitive. ma di polverizzazione dei settori scientifico-disciplinari, questi nostri giovani
Un ambito di ricerca così strategico ha trovato nell’organizzazione scientifica dei finiscono troppo spesso per rinunziare preventivamente alla possibilità di con-
Paesi più avanzati un adeguato riflesso istituzionale. Intorno alle numerose rivi- frontare le proprie esperienze con quelle di una cerchia più ampia e diversa di
ste specializzate, alle associazioni professionali e alle strutture universitarie, la co- competenze. Siamo davvero lontani dalla meravigliosa struttura aperta dei di-
munità degli scienziati cognitivi ha coltivato la propria impresa in modo sicuro partimenti della tradizione anglosassone (ma anche tedesca, spagnola, e di
e organizzato. In Italia tutto ciò non è ancora pienamente possibile. Mentre, da tante altre importanti realtà di ricerca) dove uno studioso può cominciare la
una parte, i ricercatori hanno praticato da vari decenni la loro disciplina orga- propria carriera da biologo, continuarla da antropologo e finirla da linguista
nizzandosi autonomamente in modi via via sempre più saldi, l’Università è ri- o filosofo; dove accanto a chi si occupa di neuroscienze si colloca l’équipe di
uscita a riflettere e a favorire tale corso soltanto in modo tardivo e incompleto. psicologia sperimentale, il laboratorio di informatica della rappresentazione, il
Grazie alla recente apertura della Classe 63s (ora LM-55, “Scienze cognitive”) paleontologo e l’etologo cognitivo; dove i dibattiti epistemologici sulla me-
sono stati inaugurati i primi corsi di laurea magistrale in Scienze cognitive, è sta- tafisica delle conoscenze si tengono parallelamente ai collegamenti on-line con
ta inoltre aperta una Facoltà di Scienze cognitive a Trento e molti Dipartimen- le banche dati sulla struttura del genoma delle diverse specie animali o con le
ti universitari e numerosi Dottorati di ricerca sono ormai stati dedicati a tale ricostruzioni mappali dei rapporti fra popoli, geni e lingue.
area. Sono state fondate riviste specializzate e aperte varie associazioni profes- Da questa difficoltà dei nostri giovani di realizzare un libero – ma non per
sionali. Ma manca ancora un “luogo” della ricerca in cui la comunità italiana questo meno rigoroso – programma di ricerca scientifica si vuole partire in
possa realmente riconoscersi e formare i nuovi studiosi. questa occasione: per superarla, naturalmente, attraverso un percorso da in-
“I linguaggi delle scienze cognitive” è diventato così il nome di battesimo dell’i- traprendere, da oggi, assieme. I linguaggi delle scienze cognitive vogliono offri-
niziativa culturale che si apre oggi e che speriamo possa costituire per i giova- re una tribuna costante per la libertà di ricerca interdisciplinare nelle nuove
ni ricercatori questo luogo dedicato, sotto forma di un appuntamento fisso strutture istituzionali dei dottorati e delle scuole di dottorato dell’apertissimo
per lo scambio di progetti, opinioni, idee. campo delle scienze cognitive.
I linguaggi delle scienze cognitive stanno, innanzitutto, a testimoniare la diver- Per arrivare a questo scopo proponiamo una struttura di convegno annuale fon-
sità e l’interazione tra i diversi approcci scientifici di fronte ai medesimi pro- data su un duplice scambio. Da un lato l’esperienza degli studiosi più esperti o,
blemi. Credo che tutti noi che abbiamo aderito all’iniziativa – al di là dei le- comunque, con orribile vocabolo, “strutturati” – che daranno vita a tavole ro-
gittimi dubbi sui modi della futura interazione – crediamo fortemente nella tonde su argomenti specifici definiti anno per anno dal coordinamento del CO-
produttività scientifica di questo vorticoso intrecciarsi di competenze diverse. DISCO – verrà messa in discussione dai dottorandi e dagli altri studiosi invita-
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ti. Dall’altro lato i singoli contributi di tutti i dottorandi che i vari collegi di le scientifico: Umberto Eco (Dottorato in Discipline Semiotiche dell’Univer-
Dottorati o Scuole di Dottorato decideranno di candidare ogni anno per tene- sità di Bologna, coordinatrice: Patrizia Violi);
re una relazione, avranno come controparte critica non solo tutti gli altri dotto- • Dottorato di Scienze Filosofiche dell’Università di Napoli, coordinatore:
randi partecipanti ma anche i relatori delle tavole rotonde. La sezione dei po- Domenico Jervolino;
ster, invece, non sarà soggetta, per evidenti limiti temporali, a discussione pub- • Dottorato in Scienze Cognitive dell’Università di Padova, coordinatore: Re-
blica: i presentatori delle varie ricerche potranno comunque discuterne infor- mo Job;
malmente negli spazi appositi previsti annualmente per ogni convegno. Tutti i • Dottorato in Filosofia del Linguaggio e della Mente dell’Università di Paler-
materiali prodotti saranno pubblicati nella collana annuale che prenderà il no- mo, coordinatore: Franco lo Piparo;
me dalla nostra comune iniziativa: i linguaggi delle scienze cognitive. • Dottorato in Filosofia del Linguaggio dell’Università del Piemonte orienta-
In conclusione vorrei qui ringraziare chi ha culturalmente incoraggiato e ma- le, coordinatore: Diego Marconi;
terialmente permesso l’organizzazione dell’iniziativa a partire dal prof. Fran- • Scuola di dottorato in Scienze della Cognizione e della Formazione dell’U-
cesco Tomasello, non solo in qualità di Magnifico Rettore dell’Università di niversità di Trento, coordinatore: Nicolao Bonini;
Messina ma anche come neuroscienziato e neurochirurgo di fama mondiale; • Dottorato in Neuroscienze e Scienze Cognitive dell’Università di Trieste, co-
dall’Avv. Corrado Valvo, giovane e brillante sindaco di Noto, impegnato in ordinatore: Paolo Battaglini;
prima fila a candidare questa splendida città a diventare una vera capitale cul- • Dottorato in Scienze della Cognizione e della Formazione dell’Università
turale della Sicilia meridionale; dal prof. Salvatore Cavallo, infaticabile orga- Ca’ Foscari di Venezia, coordinatore: Umberto Margiotta;
nizzatore del CUMO (Consorzio Universitario Mediterraneo Orientale), e da • Società di Filosofia del Linguaggio, presidente: Savina Raynaud;
Sebastiano Caporale (Amministratore delegato del Consorio Universitario • Associazione Italiana di Scienze Cognitive, presidente: Rosaria Conte;
Megara-Ibleo). Senza il generoso contributo degli Enti da loro rappresentati • Coordinamento Nazionale di Filosofia della Mente e delle Scienze Cogniti-
non sarebbe mai stato possibile dar vita all’iniziativa. ve, coordinatore: Michele Di Francesco.
Ugualmente prezioso il contributo scientifico dei Dottorati, delle Scuole di
Dottorato, dei Dipartimenti e delle Associazioni di Scienze cognitive che han- Un ringraziamento finale voglio rivolgerlo, infine, ai docenti e ai dottorandi
no concesso il loro partenariato culturale ed hanno costantemente collaborato del Dottorato in Scienze Cognitive dell’Università di Messina, che ho l’onore
alla riuscita dell’iniziativa. Vorrei qui menzionarli ad uno ad uno, non solo per di coordinare, per l’impegno assiduo profuso in questi mesi nella non facile
un atto formale e dovuto, ma soprattutto perché rappresentano, ufficialmente, opera di organizzazione del Convegno, dimostrando come il sapere non è, e
la piattaforma di partenza del CODISCO che alla data del presente convegno non deve mai essere, scisso dal saper fare.
(cioè giugno del 2007) non può che risultare del tutto provvisoria:
Messina, 30 Marzo 2008
• Scuola di Dottorato in Scienze Cognitive dell’Università di Messina (Dotto-
rati di: Scienze cognitive; Psicobiologia dei processi cognitivi; Antropologia;
Metodologie della filosofia), coordinatore: Antonino Pennisi;
• Scuola di Dottorato in Computer Science, Mathematical Logic and Cognitive
Science dell’Università di Siena, coordinatore: Sandro Nannini;
• Dottorato in Teoria del Linguaggio e Scienze dei Segni dell’Università di Ba-
ri, coordinatore: Augusto Ponzio;
• Dottorato in Filosofia del Linguaggio, Linguistica e Scienze Cognitive del-
l’Università di Bologna, coordinatore: Paolo Leonardi;
• Scuola superiore di studi umanistici dell’Università di Bologna, responsabi-
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Alessandra Falzone
Mariangela Campochiaro

Introduzione
Le scienze cognitive sono un paradigma d’indagine che ha ottenuto negli ul-
timi quindici anni un grande successo di risultati introducendo importanti in-
novazioni nel campo della conoscenza umana. Successo dovuto principal-
mente alla metodologia utilizzata che contempla l’analisi di un certo argo-
mento di ricerca dalla prospettiva di più discipline interessate alla compren-
sione dello stesso problema. Lo scopo delle scienze cognitive, infatti, è analiz-
zare il funzionamento della mente e dei sistemi di cognizione umana e de-
scriverli in maniera tale da risultare riproducibili su qualsiasi struttura mate-
riale. Si tratta di un obiettivo affascinante ma nel contempo oneroso.
Affascinante perché la conoscenza dei meccanismi sottostanti ai processi cogni-
tivi che ci permettono di prendere decisioni, di avere consapevolezza di noi stes-
si e di chi ci sta intorno, di percepire misure e grandezze spaziali, temporali e
numeriche, di conoscere il mondo e di agire in esso, costituirebbe un’ottima ba-
se per la descrizione non solo della natura della nostra mente, ma in generale
della natura umana, di ciò che caratterizza il sapiens come specie e lo differenzia
– su basi strutturali e funzionali – dalle altre specie animali. Ma produrre tali ri-
sultati comporta anche assumersi l’onere di disporre, all’interno di un quadro
teorico e applicativo vasto, le conoscenze e le competenze di discipline che spes-
so adottano strategie differenti e che mirano però a risultati simili.
La comprensione delle attività cognitive umane, infatti, è stata a lungo ogget-
to di studio da parte di discipline differenti che hanno affrontato tale studio
all’interno del proprio orizzonte epistemologico: la linguistica – con l’analisi
concettuale; l’intelligenza artificiale – con la simulazione delle procedure di al-
cune attività cognitive; la psicologia – con la descrizione di ciò che avviene a
livello sia cognitivo che comportamentale quando mettiamo in atto determi-
nati processi mentali; le neuroscienze – con l’analisi di cosa avviene a livello
cerebrale; la filosofia – con la determinazione dei quadri teorici attraverso cui
comprendere ed interpretare il funzionamento di attività che producono co-
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noscenza e che permettono rappresentazioni; l’antropologia – con la descri- in chiave moderna, ma della possibilità di indagare i meccanismi funzionali
zione dei processi di formazione e influenza culturale delle attività psichiche. che sostanziano le nostre attività mentali, senza ridurre queste ultime a meri
Le scienze cognitive hanno segnato una svolta epocale nello studio della men- scambi chimico-fisici. La difesa della “a-biologicità” di ciò che ci rende unica-
te umana fornendo, più che una serie di paletti epistemologici alle discipline mente umani porta spesso a sostenere posizioni circolari come la convinzione
che hanno aderito al loro programma di ricerca, un metodo interdisciplinare che l’unica modalità di analisi di funzioni cognitive superiori come il lin-
adottato in maniera stabile dai ricercatori di aree differenti. Lo sforzo cono- guaggio è da ricercarsi nella stessa dimensione linguistica: sia il processo di na-
scitivo applicato da discipline differenti è volto alla conoscenza delle modali- turalizzazione della mente sia la considerazione del linguaggio umano alla
tà attraverso cui si realizza un dato processo mentale. stessa stregua di un oggetto biologico sono possibili solo se si considera lo
È proprio questo lo spirito che anima il CODISCO, il Coordinamento dei “spazio naturale” in cui l’uomo agisce come una costruzione linguistica.
Dottorati Italiani di Scienze Cognitive. L’incontro annuale dei dottorati, in- Differente è, invece, la posizione di chi sostiene che il processo di naturalizza-
fatti, ha visto l’alternarsi di relazioni in cui i dottorandi provenienti da per- zione della cultura, messo in atto dalle scienze cognitive che intendono analiz-
corsi formativi spesso diversi (si tratta di dottorati di matrice filosofica, lin- zare con le proprie metodologie oggetti sociali e culturali, può produrre risulta-
guistica, semiotica, neuroscientifica, psicobiologica, cognitiva, etologica e for- ti apprezzabili solo adottando alcune cautele per evitare di incorrere nei rischi di
mativa) discutevano dei propri temi di ricerca da prospettive complementari, semplificazione o riduzione di questioni intrinsecamente complesse, perché so-
e di tavole rotonde in cui venivano dibattuti temi metodologici fondamenta- cialmente e storicamente costruite, come la cultura – e questo viene realizzato
li per le scienze cognitive: il problema della naturalizzazione dei processi men- anche a fini politici e di potere – e di applicazione di schemi cognitivi “occi-
tali e culturali, l’applicazione di paradigmi epistemologici come la teoria evo- dentali” in culture che non li adottano per interpretare la realtà (cfr. Palumbo).
lutiva all’interno dello studio delle attività cognitive, la possibilità di ottenere L’approccio naturalista viene applicato anche a fenomeni come il libero arbitrio
procedure delle attività mentali simulabili su strutture non necessariamente e all’etica (cfr. Morini e De Caro): in questo caso viene proposto un approccio,
simili al corpo umano. In questo volume che raccoglie gli atti del Primo con- il naturalismo pluralistico, incentrato sull’idea dell’irriducibile pluralità delle
vegno del CODISCO si è scelto di suddividere sia le tavole rotonde che i con- forme di comprensione della realtà, e del mondo umano in particolare.
tributi dei dottorandi in base a questi tre temi basilari: la naturalizzazione del- Adottando le categorie delle scienze cognitive, la conduzione dell’analisi delle
la cultura, l’evoluzionismo e le scienze cognitive, il pensiero e la simulazione. attività mentali ha determinato, inoltre, tra gli studiosi la convinzione che
Dai vari contributi è emerso un quadro complesso dei possibili approcci ai non tutto ciò che riteniamo unicamente umano lo sia poi veramente. In par-
suddetti temi. Il concetto stesso di “naturalizzazione”, ad esempio, non è così ticolare gli studi comparativi sui processi mentali rintracciabili in specie non
scontato e diventa ancora più problematico se associato a quello di “cultura”. umane hanno aperto la strada sia alla destrutturazione di un paradigma d’in-
Esistono, infatti, diverse accezioni del primo termine, ma la più comune si ri- dagine che ascriveva “specialità” ad ogni comportamento umano ritenuto “su-
ferisce alla possibilità di trattare determinati fatti come se fossero oggetti na- periore”, sia alla applicazione della teoria evoluzionista all’interno degli studi
turali, e dunque – nella prospettiva delle scienze cognitive – di trattare i pro- sulla cognizione umana. Tale lavoro di assimilazione di paradigmi, però, com-
cessi cognitivi e i loro prodotti come se fossero fatti naturali (cfr. Perconti). Il porta la necessità di creare uno scenario che tenga conto delle variazioni del-
programma delle scienze cognitive prevede l’adesione ad una tale prospettiva le attività cognitive dei singoli individui all’interno di un percorso di conti-
epistemologica: adesione che non implica, tuttavia, un radicale riduzionismo nuità evolutiva che valica i confini storici. Come ricorda Pennisi, infatti, l’e-
della complessità della cognizione umana ma, al contrario, la considerazione voluzionismo e le scienze cognitive potrebbero paradossalmente presentarsi in
della intrinseca problematicità dei livelli di indagine strutturali. Discipline co- rotta di collisione epistemologica, in quanto il primo adotta una strategia in-
me le neuroscienze o la genetica hanno apportato conoscenze significative non trinsecamente diacronica, mentre le seconde pretendono di fornire spiegazio-
soltanto sulle basi neuroanatomiche e biogenetiche dei processi cognitivi – ni a processi che, per definizione, sono del tutto sincronici.
che spesso vengono considerate l’oggetto di studio principale di tali campi Ovviamente la conciliabilità di evoluzione e scienze cognitive si realizza nella
d’indagine – ma su come tutto ciò si realizza: non si tratta di una frenologia valutazione della complessità strutturale da cui derivano, come proprietà
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emergenti, sia le funzioni immediate, garanti di adattatività e selezione, sia ciò le risposte “risentite” alla proposta simulazionista puntano l’indice sull’im-
quelle esattate e considerate complesse (cfr. Falzone). In tale chiave interpre- possibilità di considerare il pensiero cosciente come qualcosa di apparentabile ai
tativa la prospettiva modulare della mente – base teorica della prima formu- programmi dei calcolatori dichiarando la specialità del pensiero umano, tutt’og-
lazione epistemologica delle scienze cognitive ma difficilmente applicabile, al- gi non simulabile in altri sistemi fisici (cfr. Pititto), o ancora proponendo una pe-
meno nella sua definizione classica, alla spiegazione di attività cognitive com- tizione di metodo contro simulazioni unilaterali e totalizzanti (cfr. Ponzio). In
plesse – riuscirebbe a spiegare le funzioni declinanti, quelle che nel processo realtà, simulare il pensiero non implica necessariamente l’assunzione della posi-
biologico-evoluzionista della segregazione di strutture autonome sono state zione simulazionista (sia nella sua versione forte che in quella debole): simulare
separate morfologicamente e funzionalmente. L’applicazione della teoria evo- potrebbe voler dire produrre icone, attività che sembrerebbe caratterizzare la
lutiva alla complessità delle strutture e delle organizzazioni degli organismi vi- mente umana più della produzione di segni (cfr. Lo Piparo).
venti, dunque, comporta la considerazione di tutte le caratteristiche biologi- Naturalmente nella sezione delle Relazioni hanno avuto ampio spazio le libere
co-funzionali di un determinato fenomeno (cfr. Vallortigara). ricerche dei dottorandi che non facevano riferimento a temi predefiniti. La sin-
Ma come utilizzare la spiegazione evolutiva per i processi cognitivi? La soluzio- tesi in tre ampie sezioni (Cultura, Evoluzione, Simulazione) va, quindi, inter-
ne a tale quesito sembra essere quella di applicare i principi della selezione na- pretata in maniera molto più elastica rispetto all’approccio delle tavole roton-
turale anche alle nostre attività cognitive, sostenendo che la presenza di mecca- de. Nella prima sezione sono più che altro raccolti i lavori di maggior pregnan-
nismi mentali “universali” è spiegabile proprio perché, nel corso dell’evoluzio- za filosofica: dal problema dello schematismo kantiano (Altieri), al più tradi-
ne del sapiens, sono stati selezionati positivamente quei comportamenti che ri- zionale approccio analitico (Cruciani), semiotico (Giudice, Russo), neostruttu-
sultavano adattativi e quindi vantaggiosi. La compatibilità tra teoria evoluzio- ralista (Bondì), pedagogico (Minello), sino alle esplorazioni più recenti della
nista e scienze cognitive si realizzerebbe, dunque, in un quadro selezionista di filosofia della complessità (Nucara). Più unitaria la seconda sezione dove si con-
moduli comportamentali universali (cfr. Ferretti). Nonostante lo sforzo della frontano interessanti ipotesi di ricerca evoluzionista sull’origine e l’evoluzione
psicologia evoluzionistica di “mitigare” le proprie assunzioni in relazione alla del linguaggio (Bruni, De La Cruz, Primo), della coscienza (Cosentino, Cam-
forza della selezione naturale sui processi mentali, tale posizione sembra non pochiaro), delle psicopatologie (Cuccio) e delle funzioni percettive in chiave
rendere conto delle variazioni individuali (ineliminabili) dei processi cognitivi etologica (Mascalzoni, Rosa Salva). Il tema della simulazione definisce, infine,
e della dinamica stessa della selezione: una struttura potrebbe venir selezionata lo spazio più eterogeneo: dalla simulazione paranoica (Bucca), a quella spaziale
se fornisce vantaggi, ma anche se non li fornisce perché associata, ad esempio, in chiave artificialista (Cappuccio) o della semantica del web (Seghini), a quel-
ad altri tratti che producono vantaggi e a cui tale struttura è connessa per mo- la neuroscientifica, soprattutto in relazione all’analisi funzionale e filosofica dei
tivi morfologico-genetici (cfr. Bocinelli). La psicologia evoluzionista ha avuto il neuroni specchio (Tagliafico, De Carlo) o più propriamente del comporta-
merito di sottolineare come la teoria dell’evoluzione non agisca solo a livello mento psicolinguistico (Fratantonio). Una buona prova iniziale, certamente, di
strutturale, ma anche a livello funzionale; estremizzando, tuttavia, la propria confronto serrato sulle diverse direzioni che stanno prendendo nella ricerca ita-
prospettiva non riesce a dare spiegazione della complessità dell’organizzazione liana i nuovi linguaggi delle scienze cognitive. È in questa chiave di mediazio-
dei vari moduli basici di cognizione (cfr. Pievani). ne tra contenuti che altrimenti resterebbero monadologicamente incomunica-
La relazione tra componenti strutturali e funzionali della cognizione umana ha bili che si colloca la proposta del CODISCO che vede nell’integrazione dei
come risvolto teorico e applicativo la possibilità di identificare le procedure at- contributi di discipline differenti – che sposano uno stesso paradigma metodo-
traverso cui si realizzano le nostre attività cognitive per instanziarle, formalizzan- logico e uno stesso obiettivo di ricerca – una risposta tendenzialmente esausti-
dole, su piattaforme morfologiche non necessariamente biologiche. Questo è il va alla comprensione della complessità della cognizione umana.
principio su cui si fonda il simulazionismo in base al quale è possibile produrre
simulazioni, appunto, del nostro pensiero. La questione è molto controversa, an-
che perché nell’ambito delle scienze cognitive sono ormai in pochi a sostenere la
plausibilità di una visione simulazionista hard dei processi cognitivi. Nonostante
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tavole rotonde
Si può naturalizzare la cultura?
Pietro Perconti, Naturalizzare la cultura
Mario De Caro, Scienza e filosofia: per un naturalismo pluralistico
Simona Morini, Si può naturalizzare l’etica?
Berardino Palumbo, “‘Naturalizzare’ la ‘cultura’”. Versione 1 e 2

Evoluzionismo e scienze cognitive


Antonino Pennisi, Biologia, evoluzionismo e scienze cognitive
Giorgio Vallortigara, Strutture e funzioni. Due storie personali
sul ruolo delle spiegazioni evoluzionistiche nelle scienze cognitive
Telmo Pievani, Darwinizzare Chomsky con moderazione
Alessandra Falzone, Dalla struttura al pensiero.
Il contributo della teoria evolutiva alla comprensione della complessità
Francesco Ferretti, Evoluzionismo e scienza cognitiva
Edoardo Boncinelli, Evoluzione, genetica e scienze cognitive

Pensare è simulare?
Franco Lo Piparo, Sulla natura iconica del pensare
Rocco Pititto, Pensare è simulare? Perché simulare non è pensare:
tracce per una discussione
Augusto Ponzio, Pensare è simulare. Linguaggio e modellazione
Si può naturalizzare la cultura?

Pietro Perconti
Università degli studi di Messina
Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive
dell’Università di Messina
Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive

Naturalizzare la cultura
1. Cosa vuol dire “culturale”
Agli occhi di numerosi filosofi e di altrettanti scienziati sociali l’idea stessa di
“naturalizzare la cultura” appare come una provocazione o un segno di un at-
teggiamento improntato a un insopportabile scientismo. La “natura” e la “cul-
tura” sono considerate come i due lati della più comune barricata filosofica, le
parole feticcio a cui aggrappare le contrapposte pratiche conoscitive della scien-
za sperimentale e delle discipline che hanno il loro punto di riferimento nelle
creature umane e nelle loro pratiche sociali. È proprio ai due lati di questo mu-
ro che si sono formate alcune tra le più consuete contrapposizioni teoriche dal-
l’Ottocento ad oggi, come quella tra le scienze della natura e le scienze dello spi-
rito o quella tra la pratica della spiegazione (Erklären) e quella della compren-
sione (Verstehen). La natura sarebbe il regno del determinismo e della soggezio-
ne a norme ineluttabili; la cultura l’ambito della creatività e della libertà. Da
una parte ci sarebbe la medesimezza delle leggi universali, dall’altra la variabili-
tà sociale e geografica e il mutamento storico. Mentre la natura andrebbe stu-
diata adottando il punto di vista della terza persona e mimando, in definitiva,
la prospettiva che Dio stesso avrebbe se osservasse il nostro mondo con occhi
scientifici, la cultura richiederebbe invece la consapevolezza che l’osservatore è,
oltre che il soggetto dell’analisi, anche il suo oggetto. Tale circolarità farebbe
delle discipline che hanno nei processi culturali la loro materia di investigazio-
ne qualcosa di speciale e irriducibile alle altre imprese conoscitive.
Benché molte volte sia stata denunciata l’inadeguatezza di tale rappresentazione
ed annunciato il suo superamento in vista di una “nuova alleanza” tra le due pro-
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spettive contrapposte, come nel caso del celebre libro di Ilya Prigogine e Isabel- no assunto le sembianze di altrettanti tentativi di naturalizzare, man mano che
le Stengers (1979) che celebrava la possibilità di superare le vecchie opposizio- i risultati della scienza incoraggiavano a farlo, i più diversi e classici problemi
ni, il vecchio modo di pensare è sopravvissuto radicato nelle abitudini degli stu- filosofici. Si è tentato in questo modo di naturalizzare di volta in volta il si-
diosi. La possibilità di “naturalizzare la cultura” e le chances da affidare a tale gnificato e l’intenzionalità, così come l’etica e l’estetica.
tentativo dipendono ovviamente da cosa si intende con i termini in questione. In generale è possibile intendere la naturalizzazione in almeno due modi distin-
In questo testo con la parola “cultura” intendo tutte le pratiche e le informazio- ti. Da una parte si può essere estremamente liberali e contemplare tanti esempi
ni che sono socialmente trasmesse. Dan Sperber e Lawrence Hirschfeld (2004) di naturalizzazione quante sono le nozioni di “natura” che i filosofi hanno con-
hanno motivato questo genere di scelta terminologica nel modo seguente: templato. In questa prospettiva ogni tentativo di trattare filosoficamente un fe-
nomeno inserendolo nell’ordine della “natura”, intesa di volta in volta come la
Un gruppo culturale è tenuto insieme da un flusso costante di informazioni, la fùsis aristotelica o la natura di Giordano Bruno, potrebbe essere inteso come un
maggior parte delle quali riguardano circostanze mutevoli e non sopravvivono caso genuino di naturalizzazione. Diviene ben presto evidente, tuttavia, che tale
molto oltre i contesti da cui originano. Alcune informazioni, essendo di rilevanza accezione del termine “naturalizzazione” è troppo vaga e di scarsa utilità euristi-
più generale, sono ripetutamente trasmesse in modo esplicito o implicito e pos- ca. Il secondo modo di intendere il termine è ben più efficace. In quest’altra pro-
sono così finire per essere condivise da molti o addirittura dalla maggior parte dei spettiva “naturalizzare x” vuol dire senz’altro “trattare x” come un oggetto delle
membri del gruppo. Il termine ‘cultura’ si riferisce a queste informazioni ampia- scienze naturali. Queste ultime finiscono per assumere così il ruolo di istanza
mente distribuite, alle loro rappresentazioni nella mente della gente e ai loro com- definitiva per stabilire i limiti del nostro impegno ontologico e della correttezza
portamenti ed interazioni (ib., p. 40). delle affermazioni sui fatti che stiamo investigando. Così, se naturalizzare l’etica
vuol dire considerarla come un oggetto alla portata del metodo delle scienze na-
Se ci chiediamo invece cosa voglia dire esattamente il verbo “naturalizzare” ci turali, analogamente naturalizzare la cultura significa trattare tutto ciò che è so-
troviamo di fronte a un termine più controverso del significato di “cultura”. cialmente trasmesso e appreso alla stregua degli oggetti delle scienze naturali.
Cosa vuol dire “naturalizzare”, infatti, dipende da cosa si intende per “natu-
ra”. Le scienze naturali hanno acquistato un prestigio enorme nella società
contemporanea. Come era facile prevedere, tutto ciò ha avuto le sue conse- 2. Si perderebbe qualcosa a naturalizzare davvero la cultura?
guenze anche sulla filosofia. In generale l’espressione “naturalismo filosofico” Sorgono a questo punto due questioni distinte. Innanzi tutto c’è da chiedersi se
si riferisce proprio alla riflessione sul ruolo che la scienza sperimentale do- oggi la naturalizzazione della cultura, nel senso appena specificato, sia una im-
vrebbe o non dovrebbe esercitare sulla filosofia. L’influenza del pensiero di presa effettivamente praticata. La risposta, come accennato in precedenza, deve
Willard Van Orman Quine si è rivelata decisiva in tale dibattito, così come la essere positiva, dato che sono sempre più numerosi gli ambiti “culturalmente
sua tesi (1969) che l’epistemologia naturalizzata debba, man mano che l’inte- sensibili” che vengono esaminati alla stregua dei fenomeni naturali. Il fascino
grazione va avanzando, trasformarsi senz’altro nella psicologia sperimentale. Il che promana dall’idea di naturalizzare i fenomeni culturali è riposto, oltre che
rifiuto di Quine dell’idea di una filosofia prima a cui spetterebbe il compito nell’effettivo superamento di ogni residuo della distinzione tra Geistes – und
di indicare alla scienza le ragioni della propria iniziativa ha suscitato una am- Natur – Wissenschaften, anche nella sensazione che tale programma di ricerca
pia discussione che continua ancora oggi. Sfortunatamente, più che una pre- ha un valore simbolico epocale. Si tratterebbe di compiere l’ultimo passo che
cisa posizione teorica, il naturalismo è una “pletora” di posizioni diverse (Kim ancora rimane da percorrere sul sentiero della “demitizzazione” della natura
2003, p. 84). In un certo senso si tratta di una sorta di senso comune di una umana che, cominciata con la rivoluzione copernicana e proseguita nel pro-
parte della filosofia analitica statunitense, precisamente di tutti coloro che fondo impatto sociale che ha avuto la teoria della selezione naturale di Charles
hanno abbandonato la vecchia e comoda analisi concettuale e si sono mostra- Darwin, ha infine investito più recentemente anche gli aspetti più interni e sog-
ti attenti ad accordare le proprie ricerche con i risultati delle scienze empiri- gettivi dell’esperienza umana. Affrontare da un punto di vista naturalistico fe-
che. Così numerosi programmi di ricerca della filosofia angloamericana han- nomeni come la comunicazione, l’attrazione sessuale, la presa di decisione po-
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litica, l’empatia o la categorizzazione dei gruppi sociali significa ricondurre Il caso della cognizione sociale è particolarmente istruttivo in questa prospet-
definitivamente le creature umane nell’ambito degli altri fenomeni naturali che tiva. Cosa può dire la scienza sperimentale sul modo in cui i rapporti sociali
abbiamo imparato a investigare con successo negli ultimi secoli. prendono forma nelle pratiche di rappresentazione del potere e in genere in
Tutto ciò è allo stesso tempo attraente e fonte di preoccupazione. Infatti ci si tutti quegli ambiti in cui intere discipline, tra cui l’economia, il diritto, la so-
può chiedere se sia davvero possibile naturalizzare la cultura, anche se ciò fos- ciologia e l’antropologia, hanno prodotto i loro risultati? La pretesa avanzata
se desiderabile. Esiste cioè una questione relativa al titolo di legittimità di que- da campi del sapere fortemente naturalizzati, come le neuroscienze cognitive,
sta sorta di tentativi. È dopo tutto possibile studiare fenomeni come la perce- di gettare dall’altra parte del muro che ancora divide gli scienziati naturali da
zione della bellezza o il significato linguistico come se si trattasse di oggetti in- quelli sociali una serie di vincoli di compatibilità di cui questi ultimi dovreb-
teramente naturali? Non si rischia di perdere, così facendo, quella specificità bero tener conto nel loro lavoro sembra quasi tracotante agli occhi di nume-
dell’ambito umano che sembrava preservata nelle Humanities, anche quando rosi studiosi dei rapporti sociali che sono stati istruiti nella vecchia temperie.
si lamentava la mancanza di rigore di tali discipline? Cosa vuol dire, in defini-
tiva, “naturalizzare la cultura”?
Il “naturalismo scientifico” e il “naturalismo liberalizzato” costituiscono le due 3. La cognizione sociale naturalizzata
principali opzioni teoriche in campo. Mentre i sostenitori del naturalismo scien- Il termine “sociale” vuol dire due cose parzialmente diverse per gli studiosi della
tifico sono convinti che sia possibile ridurre l’ambito del fenomeno che inten- “cognizione sociale” e per i cultori delle “scienze sociali”. Mentre i primi utiliz-
diamo naturalizzare al linguaggio delle scienze sperimentali (Nannini 2007), co- zano tale termine all’incirca come sinonimo di “intersoggettivo”, i secondi con-
loro che accordano la propria fiducia al naturalismo liberalizzato ritengono piut- siderano sociali soltanto un certo tipo di rapporti intersoggettivi. La ragione del-
tosto che la continuità tra la scienza e la filosofia debba essere piuttosto basata la maggiore estensione dell’accezione preferita dai neuroscienziati e dagli psico-
sui vincoli di compatibilità che la prima deve esercitare sulla seconda (De Caro logi risiede in una assunzione tradizionale nella scienza cognitiva, ossia il solipsi-
e Macarthur 2005). Uno dei principali motivi per preferire la varietà liberaliz- smo metodologico. Hilary Putnam (1975) l’ha descritta nel modo seguente:
zata di naturalismo consiste proprio nella preoccupazione che tale approccio in-
clude nella propria ricerca per la genuità di alcuni significativi fenomeni cultu- Essa consiste nell’assumere che nessuno stato psicologico propriamente detto pre-
rali. Tra le cose che rischiamo di perdere adottando il naturalismo scientifico, suppone l’esistenza di alcun individuo oltre il soggetto cui è attribuito quello sta-
nella sua forma più radicale, ci sono il fatto che le rappresentazioni umane sem- to. (Ed anzi, l’assunzione era (nei secoli precedenti) addirittura che nessuno stato
brano procedere da una prospettiva di prima persona, il lato normativo insito psicologico presuppone l’esistenza del corpo del soggetto: se P è uno stato psico-
in numerosi fenomeni culturali come le leggi, le convenzioni sociali e il lin- logico propriamente detto deve essere logicamente possibile che “una mente dis-
guaggio verbale, gli aspetti qualitativi degli stati mentali dotati di consapevolez- incarnata” sia in P) (ib., trad. it. p. 244).
za e i meccanismi del funzionamento del potere all’interno dei gruppi.
Mentre l’ontologia contemplata dalla forma più radicale di naturalismo sem- Nella pur breve storia della scienza cognitiva accorgersi che la mente non si tro-
bra non riuscire ad includere gli oggetti sociali, la sfida di conservare l’intui- va soltanto nel buio delle teste, ma anche fuori da esse, nello spazio aperto che
zione secondo cui i fatti che avvengono nella società dopo tutto sono fatti ge- regola i rapporti tra gli individui, è stata una conquista abbastanza recente. Sol-
nuini è invece accettata nella prospettiva del naturalismo liberalizzato. Il pun- tanto da poco ci si è resi conto che il modo in cui funziona la mente non è sol-
to critico, tuttavia, non risiede tanto nella controversia in fondo vagamente tanto una questione che riguardi l’architettura dell’elaborazione delle informa-
ideologica su quanta autonomia assicurare alle forme più sottili delle pratiche zioni, ma anche come tutto ciò si realizza effettivamente in un corpo. O, per
culturali per preservarle da una invadenza scientifica sempre più imperiosa, meglio dire, ci si è accorti che è proprio il modo specifico in cui le informa-
quanto nella capacità di individuare il genere di vincoli che la scienza speri- zioni vengono elaborate dal nostro cervello che fa della nostra mente quel dis-
mentale può offrire a una indagine che sia interessata alla compatibilità con le positivo dotato di tanta singolarità da colpire la nostra immaginazione sino a
evidenze prodotte dall’indagine empirica. figurarci come creature estranee al resto della natura. D’altra parte, la mente
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non è neppure esclusivamente ciò che il nostro cervello effettivamente fa, se- pevole. Ma accettare che ci sono aspetti della vita culturale che sfuggono al
condo lo slogan preferito dai funzionalisti, quanto qualcosa che ha luogo an- metodo della scienza naturale non vuol dire rassegnarsi all’idea che ci siano
che nelle relazioni sociali, laddove prende una forma che sia pubblicamente ap- cause immateriali che determinano il comportamento manifesto. In fondo,
prezzabile. È così che interi campi di ricerca come la “cognizione situata”, la benché alcune delle difficoltà che si incontrano sul cammino della naturaliz-
“embodied cognition” e la “cognizione sociale” hanno sviluppato le loro po- zazione sembrino insormontabili per ragioni di principio, a ben vedere anche
tenzialità, mostrando come la mente vada estesa da un luogo impalpabile den- questo aspetto del sapere è sensibile all’avanzamento della pratica scientifica.
tro le teste fino alla struttura concreta del funzionamento del cervello e del re- Così come molte volte nel passato è accaduto che fenomeni che all’inizio era-
sto del corpo e fino a comprendere anche la forma che essa prende nelle rela- no sembrati intrattabili dal metodo scientifico divenissero infine ad esso as-
zioni sociali che stabilisce e dalle quali è a sua volta condizionata. soggettati, può darsi che anche stavolta gli ostacoli che sembrano essere de ju-
Se prendiamo in considerazione gli studi relativi alla cognizione sociale ci tro- re alla fine si mostrino essere nient’altro che inciampi de facto.
viamo di fronte ad una serie di evidenze che spingono a considerare in modo È evidente che i processi coinvolti nella cognizione sociale mediano le dina-
più naturale il modo in cui le relazioni sociali sono stabilite. La cognizione so- miche culturali in cui essi compaiono. Il problema più interessante a questo
ciale, intesa come ambito disciplinare praticato all’interno del panorama della punto sta nel chiedersi che genere di attrito forniscono tali evidenze per la
scienza cognitiva, illumina molti aspetti delle relazioni intersoggetive, tra cui la comprensione dei processi culturali corrispondenti. Detto altrimenti: verso
predizione comportamentale basata sull’attribuzione di stati mentali, l’empa- quali teorie (giuridiche, sociologiche, economiche, antropologiche, etc.) sia-
tia, le regole che si seguono quando si prende una decisione e il riconoscimen- mo condotti dai risultati provenienti dalla cognizione sociale e quali altre teo-
to delle emozioni altrui. D’altra parte, anche se un giorno conoscessimo com- rie sono con essi incompatibili? Ci sono scoperte scientifiche che sono con-
piutamente tutto ciò che la cognizione sociale può dirci sugli aspetti cognitivi gruenti con certe teorie e che invece contrastano con altre? La risposta a que-
delle relazioni tra gli individui, non avremmo affatto esaurito tutto quello che ste domande sembra essere positiva. L’insieme delle scoperte relative alla pre-
c’è da sapere sulla società. La ragione fondamentale di tale sfiducia risiede sem- sa di decisione e alla affidabilità delle testimonianze oculari, per esempio, sug-
plicemente nel fatto che non ogni cosa che vale la pena di sapere sulla società gerisce l’immagine di un attore sociale limitato che contrasta con il soggetto
riguarda la sua elaborazione in termini di conoscenza. Ci sono aspetti della vi- razionale idealizzato che è tipico sia delle analisi economiche sia di quelle giu-
ta sociale nei quali ciò che conta maggiormente non sono gli scambi delle in- ridiche. Sappiamo che nel prendere le proprie decisioni in condizioni di in-
formazioni e la loro rappresentazione nella mente degli individui. Si prendano certezza le persone sono portate a compiere errori regolari dovuti al corso che
per esempio in considerazione le regole che in un dato ordinamento giuridico i nostri pensieri naturalmente prendono (Kahneman e Tversky 2000) e sap-
prescrivono a quali condizioni privare della libertà un certo individuo. Benché piamo anche che l’affidabilità delle testimonianze oculari è minore della stes-
in esse gli aspetti cognitivi siano indubbiamente rilevanti, lo è ancora di più sa sincerità di coloro che le rendono spontaneamente (Loftus 1996).
esaminare il fenomeno dal punto di vista del tentativo affidato allo Stato mo- Possiamo avanzare la richiesta che le teorie economiche e giuridiche tengano
derno di regolare l’esercizio della violenza nel contesto pubblico. conto di questi vincoli e siano cognitivamente plausibili. La plausibilità co-
Alcuni limiti a ciò che la cognizione sociale può effettivamente dire su come gnitiva è proprio lo spazio teorico in cui può avere effettivamente luogo la na-
funzionano le società umane derivano dal fatto che alla fine la scienza non è turalizzazione dei diversi aspetti delle pratiche culturali, come nel caso appe-
l’unica fonte del sapere umano, né riguardo i fatti naturali né relativamente a na menzionato potrebbe avvenire con i processi della presa di decisioni pub-
quelli culturali. Esistono numerose altre fonti di informazione, incluse quelle bliche e del rendere testimonianza in un tribunale. La compatibilità tra i ri-
del senso comune, che contribuiscono a formare le nostre rappresentazioni so- sultati provenienti dalle scienze cognitive e le teorie sociali rappresenta la fron-
ciali. Inoltre, va anche considerato che i metodi impiegati nelle scienze cogni- tiera in cui un programma di ricerca vagamente ideologico come la naturaliz-
tive non sembrano in grado di illuminare neanche tutti gli aspetti della stessa zazione della cultura può prendere effettivamente corpo in un modo che sia
cognizione sociale, come testimoniano le persistenti difficoltà a fornire una euristicamente produttivo.
spiegazione scientifica del lato soggettivo e qualitativo dell’esperienza consa- Il programma di naturalizzazione rappresenta una sfida assai ambiziosa. Esso
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può essere considerato come un effetto fastidioso della tracotanza insita in Mario De Caro
quella nozione di modernità basata sulla scienza e sulla tecnica che tanto ha Università degli studi di Roma Tre
preoccupato i difensori della specialità dell’esperienza umana nell’ordine del Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive
creato. È possibile, tuttavia, vedere le cose anche in modo più fiducioso. Get- dell’Università di Messina
tare una luce proveniente dalle scienze naturali su fenomeni finora considera- Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive
ti intrattabili da ogni sorta di metodo sperimentale può rappresentare una op-
portunità. Non esauriremo certo la ricchezza dei fatti culturali considerando-
li come eventi naturali, ma forse li collocheremo in una cornice più realistica.

Riferimenti bibliografici Scienza e filosofia:


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per un naturalismo pluralistico
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Loftus E.F. (1996) Eyewitness Testimony, Cambridge (Mass.), Harvard University Press. che la filosofia non potesse ignorare i risultati della scienza e che anzi dovesse
Nannini A. (2007) Naturalismo cognitivo. Per una teoria materialistica della mente, darne conto. Persino la polemica goethiana e schellingiana contro l’aridità del-
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Gallimard, trad. it. La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Torino, Einaudi, 1981. quella meccanicistica originata dalla rivoluzione scientifica). Con Hegel il rap-
Putnam H. (1975) The Meaning of “Meaning”, Mind, Language, and Reality, Philo- porto tra filosofia e scienza si fece però più problematico e, in pochi decenni,
sophical Papers, 2, Cambridge, Cambridge University Press, pp. 139-152, trad. it. in divenne un vero e proprio iato. Così, Bergson poteva decretare che lo scienti-
Mente, linguaggio e realtà, pp. 237-297, Milano, Adelphi, 1987. smo bloccava il cammino della metafisica e che la scienza doveva “restare
Quine W.V.O. (1969) Epistemology Naturalized, Ontological Relativity and Other Es- scientifica”, senza impelagarsi in “una metafisica incosciente, che si presenta…
says, New York, Columbia University Press, trad. it., Epistemologia Naturalizzata, in agli ignoranti, o ai semidotti, sotto la maschera della scienza” (Bergson 1934,
“La relatività ontologica e altri saggi”, Roma, Armando, 1986. p. 83). Ancora più nettamente, in Che cosa significa pensare?, Heidegger pro-
Sperber D., Hirschfeld L. (2004) The cognitive foundations of cultural stability and nunciò il famoso e controverso giudizio “la scienza non pensa”. Questo per il
diversity, Trends in Cognitive Sciences, 8, 1, pp. 40-46. pensatore di Messkirch significava che la scienza non mette mai realmente in
questione né potrebbe farlo il proprio oggetto; alcuni però interpretarono
queste parole in senso radicalmente relativistico, come se in linea di principio
la scienza non avesse affatto accesso al reale. In Italia, le filosofie antiscien-
tifiche godono oggi di vasta fortuna, e anzi sono state estremizzate, non di ra-
do in funzione irrazionalistica, spiritualistica o immediatamente teocratica
(d’altra parte, com’è tristemente noto, il nostro non è un paese a cui l’atteg-
giamento antiscientifico sia storicamente del tutto estraneo).
All’atteggiamento anti-scientifico si oppongono storicamente le filosofie na-
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turalistiche, che recentemente hanno conosciuto un notevole ritorno di inte- be compromesso (ma, naturalmente, se lo scenario fosse vero, tanto peggio per
resse, ormai anche da noi. La matrice filosofica di queste concezioni è rappre- il nostro amor proprio). In secondo luogo, si consideri la comune idea secondo
sentata dal positivismo, dal pragmatismo e da molta parte della filosofia ana- la quale i nostri sistemi penali si fondano sulla giustezza della pena. Come po-
litica (la quale, pur essendo un movimento che, soprattutto alle origini, con trebbero le pene essere giuste, nel caso in cui nessun criminale potesse essere con-
Frege, Wittgenstein, Moore, non aveva ispirazione naturalistica, molto con- siderato responsabile dei propri atti? Oppure si pensi a sentimenti come la gra-
tribuì alla rinascita di una filosofia rigorosa, ispirata ai canoni metodologici titudine, il biasimo o la lode: i destinatari di tali sentimenti, infatti, non essen-
della logica e della matematica). do responsabili per le azioni che compiono, non li meriterebbero affatto.
Il contesto filosofico naturalistico si caratterizza, nella sua interezza, per un at- È indubbio, peraltro, che in molte scienze si assista oggi ad una notevole fortu-
teggiamento esplicitamente filo-scientifico. I naturalisti contemporanei, dun- na delle teorie di carattere deterministico. Lo spettro, in questo senso, è molto
que, negano la legittimità dell’appello al soprannaturale in ambito filosofico ampio: teorie deterministiche sono oggi comuni, oltre che in macrofisica (la teo-
(e per questo criticano con forza posizioni anti-scientifiche come il dualismo ria della relatività), in biologia (il determinismo genetico, ad esempio), nelle
rispetto al problema mente-corpo o la tesi del Disegno intelligente). In que- neuroscienze, in psicologia (si pensi alla psicologia evoluzionistica), in varie teo-
sta luce, è necessario che la filosofia tenga un rapporto stretto con le scienze, rie delle scienze sociali. Né è dubbio che, almeno a livello intuitivo, parrebbe
incluse ovviamente le scienze cognitive. che il determinismo renda impossibile la libertà. È tesi comune, infatti, che se
Ciò detto, è questione controversa se la filosofia mantenga o meno una reale fosse vero che tutte le nostre azioni discendono dagli stati passati del mondo in
autonomia rispetto alle scienze. Per alcuni – i fautori del naturalismo scien- ottemperanza a leggi deterministiche non avrebbe senso considerarci liberi. In-
tifico – la filosofia va pensata in continuità con la scienza (soprattutto con la somma, l’idea è che se siamo determinati, la nostra fiducia nella libertà è una
scienza naturale); per altri – i fautori di un naturalismo liberalizzato o plura- mera illusione. Perciò, argomentano (o più spesso presuppongono) gli articoli
listico – la filosofia può invece, e anzi deve, mantenere una sua autonomia ri- dei quotidiani di cui sopra, dato che la scienza ci mostra che noi siamo deter-
spetto alla scienza per quanto riguarda il metodo, l’oggetto e gli scopi stessi minati e che il determinismo non lascia spazio alla libertà, bye bye freedom.
della ricerca. In quanto segue difenderò quest’ultimo punto di vista critican- Ma è questa l’ultima parola sulla libertà umana? In realtà, no. In primo luo-
do alcuni tentativi di risolvere questioni filosofiche di estrema complessità, co- go, com’è noto, alle teorie deterministiche si oppongono ancora, in molti
me quella del libero arbitrio e quello della portata e del senso della morale, ri- campi, teorie indeterministiche: e, come esempio, si pensi soltanto alle tesi
chiamandosi in modo semplicistico ad alcune teorie scientifiche di grande sulla neurofisiologia difese da Penrose o da Edelmann. In secondo luogo, per
successo. Il mio è solo quello di richiamare la necessità di essere prudenti nel quanto ciò possa apparire strano, molti grandi filosofi (come Locke, Hume,
travaso dalla scienza alla filosofia – con la convinzione, però, che le implica- Mill e, per venire ad oggi, Davidson e Dennett) hanno sostenuto – con argo-
zioni filosofiche dei risultati della scienza siano uno dei temi più importanti menti per nulla risibili – che nel determinismo non c’è nulla che impedisca la
che la cultura contemporanea si trova di fronte. libertà. Anzi secondo molti di questi autori, il determinismo è condizione ne-
cessaria della libertà. L’idea, detto in breve, è che ciò che conta per la libertà è
2. Nelle pagine scientifiche dei quotidiani – oltre a frequenti notizie su “sco- soltanto se noi facciamo effettivamente ciò che desideriamo fare (e, in questo
perte”, tipo il neurone della timidezza o il gene della filosofia – non è raro leg- senso, il fatto che i nostri desideri e le nostre intenzioni siano determinati non
gere che qualche scienziato avrebbe definitivamente provato che gli esseri cambia nulla). Questa importante concezione si chiama compatibilismo, e su
umani, essendo causalmente determinati, non possono mai dirsi liberi. Non di essa sono state scritte montagne di parole – in favore e contro. Ciò che non
solo: dato che (come già notava Kant) la libertà è condizione necessaria del- si può fare, allora, è ignorare placidamente la tesi del compatibilismo, decre-
l’imputabilità dell’azione, da ciò seguirebbe anche che non possiamo nemme- tando simpliciter che, nella misura in cui siamo determinati, allora non siamo
no ritenerci moralmente responsabili per le azioni che compiamo. liberi. Il nesso concettuale tra libertà e determinismo è assai problematico e
In effetti, se questo scenario fosse vero, le conseguenze non sarebbero di poco bisogna fare attenzione a non scioglierlo in modo semplicistico.
momento. In primo luogo, naturalmente, il nostro amor proprio ne risultereb- Ma non errano solo quanti, con un pigro automatismo, denunciano la liber-
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tà in nome del determinismo. Molti infatti fanno l’errore opposto e dichiara- mente che, oltre all’indeterminismo, la libertà presuppone anche speciali poteri
no che noi siamo liberi in quanto il mondo è indeterministico – come prove- causali da parte degli agenti. Di una cosa almeno possiamo comunque essere
rebbe la meccanica quantistica. Anche questo ragionamento è fallace per va- certi: ovvero che l’indeterminismo non è condizione sufficiente della libertà –
rie ragioni. In primo luogo, non è affatto stabilito (e forse non lo sarà mai) se come invece implicitamente assumono quanti sostengono che se il mondo fos-
l’interpretazione indeterministica – che pure forse oggi è maggioritaria – dica se indeterministico, allora il mistero della libertà si dissolverebbe.
l’ultima parola rispetto alla meccanica quantistica. Non mancano, infatti, au- Insomma, se anche scoprissimo che il mondo (e più specificamente l’ambito
tori secondo i quali non è affatto chiaro quali siano le implicazioni della mec- dell’agire umano) è deterministico, oppure che è indeterministico, il proble-
canica quantistica rispetto al determinismo; né d’altra parte è impossibile (co- ma della libertà – “il più controverso dei problemi filosofici”, come lo definì
me ci ha insegnato la storia della scienza) che in futuro tale teoria venga ab- Hume – non sarebbe ipso facto risolto. Ma ciò non significa che la scienza non
bandonata e rimpiazzata da una teoria esplicitamente deterministica. abbia nulla da dire sul tema, naturalmente. Molti filosofi, come abbiamo vi-
Inoltre ci sono ragioni più specifiche per pensare che la questione della liber- sto, alla luce delle loro analisi concettuali radicano la filosofia nel determini-
tà non sarebbe stata affatto risolta nemmeno se l’indeterminismo quantistico smo, altri nell’indeterminismo. Ma ciò significa che questi filosofi demanda-
fosse provato una volta per tutte. Ad esempio, è opinione oggi diffusa che l’in- no alla scienza l’indagine sulla verità del determinismo (o dell’indetermini-
determinismo quantistico non abbia ricadute significative al livello macrosco- smo) per quanto riguarda l’ambito umano; e a un’indagine del genere posso-
pico: così, come abbiamo visto, secondo molti, è ragionevole ritenere che al no, e debbono, contribuire molte scienze: dalla fisica alla biologia, dalla neu-
livello macroscopico la tesi deterministica sia (almeno approssimativamente) rofisiologia, dalle scienze cognitive alle scienze sociali. Sul problema della li-
vera e che, dunque, gli eventi macroscopici in genere, e le nostre azioni in par- bertà devono continuare a lavorare tanto i filosofi quanto gli scienziati.
ticolare, manifestino comportamenti sostanzialmente deterministici. Secondo Per il momento possiamo dire che la questione della libertà è irrisolta – e for-
i sostenitori di questo punto di vista, insomma, lo scarto tra il determinismo se lo rimarrà per sempre. E ciò basti come consolazione, la prossima volta che
vero e proprio e il quasi-determinismo del mondo macroscopico non avrebbe leggeremo sul giornale che la biologia o la neurologia o la fisica ha “provato”
ricadute apprezzabili dal punto pratico. che gli esseri umani non sono liberi.
E non è tutto. C’è infatti anche un argomento filosofico (già chiaramente for-
mulato da David Hume) che dovrebbe indurci a ritenere che il problema della 3. Per comprendere la complessità, ma anche la fecondità dei rapporti tra filo-
libertà non verrebbe automaticamente risolto nemmeno se si dimostrasse che i sofia e scienza, è utile anche guardare a quanto va oggi accadendo nel campo
nessi causali che reggono il mondo umano hanno carattere indeterministico. In dell’etica. La tradizione filosofica ha generalmente ritenuto che i concetti eti-
sé, in effetti, il mero indeterminismo fisico – comportando la semplice casuali- ci (come giusto/ingiusto o buono/cattivo) siano irriducibili alle categorie de-
tà degli accadimenti – non garantisce affatto la libertà; anzi, secondo alcuni, la scrittive delle scienze naturali. Indicativo, in questo senso, è il giudizio di Da-
rende impossibile. Se fosse vero l’indeterminismo, infatti, le azioni umane, al vid Hume, secondo il quale l’ambito dell’etica è quello del dover essere ed es-
pari di tutti gli altri eventi, sarebbero causalmente indeterminate; nulla, dunque, so non può essere assimilato all’ambito della scienza, che riguarda invece l’es-
ne determinerebbe il verificarsi – e, a fortiori, nemmeno gli agenti. Ma in que- sere. Secondo i naturalisti scientifici contemporanei, però, una tale peculiari-
sto modo gli agenti non eserciterebbero alcun controllo sulle proprie azioni; tà rappresenta in realtà un problema da risolvere, in quanto, come si è visto,
dunque – conclude questo argomento – la libertà collasserebbe sul caso. E, in- essi concepiscono la filosofia in continuità, tanto per contenuto che per me-
negabilmente, l’idea di libertà che ci sta a cuore (quella connessa all’autonomia, todo, con la scienza. Significativo, in questo senso, è il caso di John Mackie,
alla responsabilità, alla retribuzione, alla dignità, alla razionalità) non ha nulla a filosofo australiano che fu di stanza a Oxford, secondo il quale i concetti mo-
che spartire con il caso, con la mera accidentalità. rali, essendo irriducibili all’apparato concettuale delle scienze naturali, sono
Le implicazioni di questo argomento sono state, e sono ancora, molto discusse. non-naturali e dunque inaccettabili; dal che segue che tutti i giudizi morali,
Secondo alcuni autori, infatti, esso dimostra che l’indeterminismo non può in che quei concetti ovviamente includono, sono falsi. Una posizione simile è di-
alcun caso coesistere con la libertà, mentre secondo altri esso indica semplice- fesa con vigore, in Italia, da Sandro Nannini, che con argomenti tratti dalla
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filosofia della mente, dall’ontologia e dall’epistemologia, sostiene con forza la dei comportamenti altruistici e morali, siano la chiave d’accesso per affronta-
tesi che le categorie della folk-psychology, dell’etica e, in generale, dell’“imma- re in modo fecondo le questioni dell’etica. Che l’etica abbia una base neuro-
gine manifesta” del mondo (per riprendere il termine di Wilfrid Sellars) sa- logica, in effetti, appare plausibile: e gli studi sui neuroni-specchio del grup-
rebbero in realtà delle illusioni. po parmense di Rizzolatti, Fogassi e Gallese aprono orizzonti molto interes-
Altri naturalisti scientifici prendono invece una strada diversa, ma non meno santi sul tema. La domanda che dobbiamo porci però è se la determinazione
ambiziosa, ricercando ciò che in gergo filosofico si chiama una ‘riduzione’ dei dei correlati neurologici dell’empatia e degli atteggiamenti morali possa con-
concetti morali ai concetti scientifici. L’idea, in sostanza, è quella di tradurre tribuire a risolvere i dilemmi morali.
il significato degli enunciati morali usando soltanto i concetti delle scienze Consideriamo un esempio. Alcuni individui pensano che l’aborto sia morale;
della natura. Non sorprenderà che in genere questi tentativi di riduzione dei altri che non lo sia. Concediamo per un momento (anche se non pare affatto
concetti etici facciano riferimento a due degli ambiti più battuti e fecondi del- scontato) che giungeremo un giorno a determinare che tra i due gruppi di in-
la scienza contemporanea: la neurofisiologia e la teoria dell’evoluzione. dividui ci sia una specifica differenza cerebrale: come potremo stabilire, guar-
Che la neurofisiologia possa contribuire in modo decisivo a illuminare senso e dando i due tracciati neurali, chi ha ragione e chi ha torto? Come faremo cioè
finalità dell’etica è tesi che incontra oggi notevole fortuna. Anzi, come capita a determinare se l’aborto è moralmente lecito oppure no?
spesso nei casi in cui si intravede la possibilità di notevoli successi conoscitivi, Alle tesi di Gazzaniga, in sostanza, viene spontaneo opporre un dubbio: non sa-
questo progetto ha anche dato vita a una nuova scienza, o meglio alla ridefini- rà che il conflitto tra il concetto di responsabilità morale, da una parte, e l’ap-
zione di una scienza appena nata: la “neuroetica”. Quando fu fondata, all’ini- parato concettuale delle neuroscienze, dall’altra, deriva semplicemente dal fatto
zio degli anni Novanta, la neuroetica non era altro che una branca della bioe- (che almeno Mackie rilevava, anche se poi ne traeva conclusioni insostenibili)
tica applicata alle neuroscienze: affrontava cioè temi come i limiti etici della che l’etica appartiene a un piano di discorso incommensurabile al discorso del-
chirurgia e delle terapie neurologiche. Oggi tuttavia molti spingono per dare le scienze naturali, ma non per questo illegittimo? Ogni naturalista, è ovvio,
alla neuroetica un senso ulteriore. Così, per esempio, nel suo La mente etica concorda sulla tesi che i nostri giudizi etici siano espressione di pensieri che so-
(2006), il neuroscienziato cognitivo Michael Gazzaniga – autorevole, ancorché no dotati di una qualche base neurofisiologica (che, è ovvio, sarebbe del massi-
non sempre allineato, membro del “Council on Bioethics” di Bush Jr. – ha mo interesse conoscere): ma perché mai la base neurofisiologica dovrebbe esau-
esplicitamente sostenuto che la neuroetica è il campo in cui le questioni mora- rire il significato di quei giudizi? Il modo di ragionare di Gazzaniga non ricorda
li possono essere affrontate investigando i loro corrispettivi neurologici. “Ab- forse quello di chi sostenga che il tavolo di fronte a noi in realtà non ha consi-
biamo bisogno di una bussola morale” ha recentemente dichiarato il Nostro al- stenza perché in massima parte è composto di vuoto e solo in piccolissima par-
la New York Academy of Sciences “e le neuroscienze hanno qualcosa da dire ri- te di atomi? (Incidentalmente, non è mancato qualche pasdaran del naturalismo
spetto alle importanti questioni morali da cui tutti siamo toccati”. Ambiziosa- scientifico che ha difeso anche quest’ultima tesi). In definitiva, sebbene si pregi
mente, dunque, Gazzaniga non si propone solo di spiegare la genesi neurofisio- di riferirsi agli stupefacenti progressi delle neuroscienze, il riduzionismo neu-
logica delle pratiche morali (il che, in effetti, pare un obiettivo ragionevole), ma roetico à la Gazzaniga sembra informato a uno scientismo d’antan.
anche di contribuire, con la bussola delle scoperte neurofisiologiche, alla riso- Insieme al coté neurofisiologico, il tentativo di colonizzare l’etica da parte dei na-
luzione dei dilemmi morali. Nel portare avanti questo progetto, tuttavia, le sue turalisti scientifici assume però una diversa forma, che si basa sull’ipotesi che
tesi sembrano molto meno nitide dei suoi programmi. l’ambito dell’etica possa essere illuminato ricorrendo al ricco strumentario che
Così, senza entrare in sottigliezze, con le quali peraltro i filosofi si scontrano ci è messo a disposizione dalla teoria dell’evoluzione. Anche in questa impresa,
da secoli, Gazzaniga in primo luogo afferma placidamente che presto – sem- peraltro, è stata mobilitata una scienza di assai recente sviluppo, la psicologia
plicemente guardando ai dati neurofisiologici – sarà possibile prevedere le de- evoluzionistica (che, va detto, di per sé ha credenziali ben più solide della neu-
cisioni e i comportamenti degli individui. E ciò, naturalmente, non potrà che roetica di Gazzaniga). In generale, la psicologia evoluzionistica si propone di
scuotere la concezione tradizionale della responsabilità morale. In secondo spiegare le proprietà e i meccanismi psicologici nei termini di predisposizioni
luogo, egli ritiene che i correlati neurofisiologici dell’empatia e, in generale, specie-specifiche prodotte dalla selezione naturale. Molti pensano, dunque, che
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la sua applicazione all’etica sia assai promettente. Lo stesso Gazzaniga ha offer- sua teoria, perché – esattamente come capita con la capacità linguistica univer-
to contributi in questo senso, ma forse il più brillante esponente di questa linea sale, che prende forme anche molto diverse a seconda della comunità linguisti-
di indagine è l’etologo di Harvard Mark Hauser, autore del recente Moral ca nella quale un bambino nasce – la capacità etica universale viene declinata di-
Minds. How Nature Designed a Universal Sense of Right and Wrong (2006). versamente a seconda dei contesti culturali in cui ci capita di venire educati.
Quando si dà una spiegazione evolutiva di un determinato tratto comporta- Tutto ciò è interessante; ci dobbiamo però chiedere cosa spieghi esattamente.
mentale, è cruciale spiegare quali sono i vantaggi adattativi che hanno permes- Hauser stesso riconosce che la sua è una teoria descrittiva della morale e dun-
so ai portatori di quel tratto di passare il test della selezione naturale. In effetti, que non pretende di coglierne l’aspetto normativo. Certamente sul piano del-
è convincente affermare che la capacità di produrre comportamenti e giudizi la genesi delle capacità morali le tesi di Hauser non paiono affatto peregrine.
morali abbia potuto offrire notevoli vantaggi sul piano della coesione sociale e Tuttavia spiegare la genesi di un fenomeno non equivale a spiegarne né il sen-
dunque anche su quello della competizione evolutiva. Ma Hauser va oltre que- so né la portata: e, in effetti, quando Hauser tenta di porsi a questo livello ‘al-
sta assai plausibile osservazione, quando afferma che esiste una sorta di innata to’ di spiegazione, le sue tesi paiono assai meno soddisfacenti. In primo luo-
‘grammatica della morale’ (analoga alla grammatica universale postulata da go, un gran numero di dati antropologici mettono in questione la tesi che esi-
Chomsky per la capacità linguistica): un articolato complesso di meccanismi stano universali morali (in molte culture, per esempio, “aiuta i bambini e i de-
che soggiacerebbe alla produzione dei comportamenti e dei giudizi morali. Tali boli” non è certo un precetto valido nel caso in cui i bambini e i deboli ap-
meccanismi, secondo Hauser, sono inconsci; ma, al contrario dei fenomeni in- partengano a un’etnia ritenuta inferiore). In secondo luogo, pur concedendo
consci freudiani, essi rimangono del tutto opachi ai tentativi di comprensione che alcuni universali morali esistano veramente e che la grammatica morale
cosciente da parte dell’agente. In questa luce, allora, le spiegazioni che diamo dei sia in grado di darne adeguatamente conto, dovremmo ancora chiederci come
nostri comportamenti e giudizi morali sarebbero mere razionalizzazioni a po- mai essi siano violati con tanta frequenza. Non c’è bisogno di aver letto Ma-
steriori, che ben poco avrebbero a che fare con i veri meccanismi causali che ge- chiavelli per comprendere, per esempio, che un precetto come quello che
nerano tali comportamenti e giudizi. L’unico modo di comprendere i meccani- chiede di comportarsi con gli altri come si vorrebbe che essi si comportino
smi della grammatica morale sarebbe dunque quello di ricorrere allo strumen- verso di noi è di fatto costantemente violato nell’agone pubblico. La morale,
tario oggettivante delle varie scienze della natura: e in questo senso la teoria del- certo, ci dice che un tal comportamento non dovrebbe verificarsi: ma in que-
la selezione naturale potrebbe giocare un ruolo centrale. sto modo, appunto, siamo passati dal piano descrittivo a quello normativo, su
L’idea di Hauser, dunque, è che nel corso della storia dell’evoluzione i compor- cui esplicitamente Hauser non si pronuncia.
tamenti e i valori morali siano stati selezionati per gli indubbi vantaggi adatta- C’è poi la questione che in moltissimi casi le diverse culture giudicano diver-
tivi che offrivano e in tal modo essi si sarebbero inscritti nel nostro codice ge- samente quali comportamenti siano morali e quali no. Anche in questo caso
netico. Una comunità di egoisti morali, d’altra parte, non sarebbe sopravvissu- meccanismi del tipo di quelli suggeriti da Hauser potrebbero in effetti gioca-
ta a lungo, mentre la solidarietà tra gli individui è un eccellente fattore di co- re un ruolo: ma questi meccanismi, per ammissione dello stesso Hauser, non
esione e permette un ottimo adattamento alle pressioni ambientali. E così, per spiegano affatto il contenuto di quei giudizi morali. Il piano su cui la sua spie-
usare una terminologia che non è di Hauser, circa 50.000 anni fa l’homo mora- gazione si pone, dunque, è tutt’al più quello delle cosidette “enabling condi-
lis avrebbe vinto la sua battaglia evolutiva contro l’homo amoralis. tions”, delle condizioni che rendono fisicamente possibile la produzione dei
Secondo Hauser la grammatica morale innata spiega perfettamente i comporta- comportamenti e degli enunciati morali. Ma la lista delle ‘enabling condi-
menti morali universali (quelli che a suo giudizio sarebbero espressi da precetti tions’ delle pratiche morali ne comprende di molto varie (è necessario avere
come “comportati con gli altri nel modo in cui vorresti che essi si comportasse- un apparato fonatorio adeguato per formulare linguisticamente i giudizi mo-
ro con te”, “aiuta i bambini e i deboli”, “non commettere incesto e adulterio”). rali; è necessario che la specie umana non sia stata spazzata via da una glacia-
D’altra parte, al di là di questi principi morali generalissimi, è un fatto che le va- zione ecc.). E nessuna di queste condizioni è in grado di dare conto del con-
rie culture si distinguono profondamente per i rispettivi insiemi di credenze eti- tenuto specificamente morale di tali pratiche.
che. Secondo Hauser, tuttavia, questo fatto non va visto come un’obiezione alla D’altra parte, ogni tentativo di spiegare, a partire da categorie evolutive, il con-
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tenuto dei giudizi morali – e non solo la loro genesi –va incontro anche a un’im- Simona Morini
portante obiezione di principio. Concediamo per un momento che il contenu- Università degli studi IUAV-Venezia
to dei giudizi etici si riduca al fatto che le azioni che essi descrivono offrono un Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive
vantaggio evolutivo a chi le compie. Ora immaginiamo che tra centomila anni dell’Università di Messina
la specie umana sia evoluta in modo tale che tutti riterranno eticamente giusto Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive
uccidere i malati gravi (tale situazione non pare impossibile, perché certamente
da questa pratica potrebbero discendere alcuni vantaggi per gli altri individui e
per la specie nel suo complesso). Bene, noi non siamo forse nella condizione di
dover dire che in quel caso l’evoluzione porterebbe all’affermarsi di valori etici
errati? Potrebbe capitare insomma che tra il piano del dover essere (quello ge-
nuinamente morale) e quello dell’essere (quello dell’evoluzione) si crei uno scar- Si può naturalizzare l’etica?
to incolmabile. E questo mostra che il tentativo di ricondurre, senza residui,
l’ambito dell’etica a quello dell’evoluzione è un classico esempio di quella falla-
cia naturalistica di cui già un secolo fa parlava G.E. Moore. Secondo Hilary Putnam, “il fascino del naturalismo si basa sulla paura: tale
Abbiamo dunque visto che, per il momento almeno, i tentativi dei naturalisti paura sembra consistere nel terrore per ciò che è normativo”.
scientifici di spiegare il libero arbitrio e le categorie dell’etica usando lo stru- Perché temere il normativo? Perché il naturalismo assume, sempre secondo
mentario delle scienze naturali non hanno successo. Ciò non significa affatto, Putnam, che se la sfera della normatività non si può eliminare o ridurre al non
però, che il naturalismo sia sconfitto e che ci si debba arrendere a uno dei so- normativo, allora c’è un qualcosa di “occulto” nei nostri discorsi. Il naturali-
prannaturalismi tornati oggi à la page. Il naturalismo pluralistico, infatti, rap- smo tenderebbe così ad escludere enunciati che non costituiscano una descri-
presenta un’alternativa a mio giudizio promettente, incentrata sull’idea del- zione o delle definizioni della realtà. Se il fascino del naturalismo, oggi, stesse
l’irriducibile pluralità delle forme di comprensione della realtà, e del mondo tutto qui sarebbe davvero difficile comprendere perché si parla di “svolta na-
umano in particolare, e sulla costitutiva autonomia della filosofia, alla quale turalistica”. Si tratta di una onorata tradizione filosofica, ma non certo di una
spetta come compito peculiare quello di dialogare (senza alcuna pretesa fon- svolta. Se di svolta si parla, quindi, è forse perché molte caratteristiche della
dazionale o egemonica), oltre che con le scienze forti, anche con le arti, con natura umana che sembravano sfuggire alla descrizione sono oggi al centro
le scienze sociali e con il senso comune. della ricerca scientifica e, in particolare, delle cosiddette scienze cognitive.
Alcune scoperte nel campo della neurofisiologia e degli studi sul cervello ri-
guardano infatti aspetti della mente umana e della soggettività che sembrava-
Riferimenti bibliografici no intrattabili, “irriducibili” all’analisi scientifica. Non passa giorno senza che
Bergson H. (1934) La pensée et le mouvant, Paris, Alcan. siano annunciate scoperte su ogni aspetto della nostra sfera emotiva (gelosia,
Gazzaniga M. (2006) La mente etica, Torino, Codice edizioni. avarizia, altruismo) e anche alcuni ambiti “normativi” che riguardano quel che
Hauser M. (2006) Moral Minds. How Nature Designed a Universal Sense of Right and consideriamo bello, brutto, piacevole, spiacevole, buono o cattivo sono sotto-
Wrong, New York, Ecco. posti a sperimentazione e analisi scientifica. La “svolta naturalistica”, insom-
ma, sembra consistere nella conquista scientifica del terreno finora scientifica-
mente inesplorato delle emozioni, della coscienza, della mente, dell’io.
E qui siamo di fronte a una nuova e diversa paura: la paura che qualcosa di im-
portante possa essere svelato, che si arrivi a toccare la nostra cosa più intima: la no-
stra identità, il nostro io. Di fronte a queste straordinarie e rivoluzionarie scoperte,
filosofi, scienziati, uomini di fede e persone comuni reagiscono spesso in modo ti-
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moroso e conservatore: così come è accaduto quando qualcuno ha osato sfidare i Nel nostro esempio, il fatto di uscire a fare una passeggiata anziché seguire il
cieli o paragonare gli uomini alle scimmie o decifrare il genoma umano. La paura convegno sarebbe incoerente con il mio voler continuare a far parte di un am-
della scienza dà forza alla religione, il che rafforza negli scienziati la paura dell’irra- biente accademico, o con il mio desiderio di continuare a essere amica degli
zionalità e il rifiuto dogmatico della critica. Insomma più paure si congiungono. organizzatori o dei relatori. Sono quindi “impegnata” o “vincolata” dal mio si-
Ci vorrebbe una psicanalisi epistemologica! Ma non mi interessa, né quella nor- stema di preferenze complessivo a restare al convegno.
male, né quella epistemologica. Non c’è motivo di avere timori di sorta. Moore, quando avanzò l’argomento della domanda aperta, prendeva di mira
La domanda “si può naturalizzare l’etica o la cultura?” sembra quindi una do- proprietà come l’utilità sociale aggregata, nelle versioni naturalistiche ispirate a
manda sulle implicazioni filosofiche e sugli eventuali limiti di applicazione del- Bentham, che interpretavano l’utilità come “felicità” e quindi come un senti-
le scienze cognitive e di alcuni loro risultati. Vorrei qui concentrarmi sul “terro- mento naturale, una disposizione. Ma è assai controverso, alla luce della ricerca
re per ciò che è normativo”, sul carattere normativo dell’intenzionalità e quindi successiva, se l’utilità sociale sia una proprietà “naturale”. In termini neoutilitari-
sul tema della naturalizzazione dell’etica (e della razionalità, dal momento che stici – per esempio nei modelli di decisione etica proposti da Harsanyi (1977) –
io concepisco l’etica come una branca della teoria della decisione razionale). infatti, le disposizioni corrisponderebbero alle nostre preferenze personali (intese
Un buon punto di partenza per la discussione è la questione della “domanda aper- come insiemi di desideri), mentre le intenzioni corrisponderebbero alle nostre
ta” sollevata da George Edward Moore nel §13 dei suoi Principia Ethica (1913). preferenze sociali, che si ottengono con un’operazione assai poco naturale, consi-
Riformuliamola così: “Sono a un convegno. Fuori c’è una bella giornata. Ho una stente nel mettersi in una posizione impersonale e imparziale1 e nel decidere, in
certa disposizione a uscire e ad andare a farmi una passeggiata. Ma: dovrei farlo?” questa piuttosto scomoda e “innaturale” “posizione originaria”, qual è l’atto (se
La risposta che mi dò: “No, non dovrei farlo” esprime una condizione mentale, siamo utilitaristi degli atti) o la regola (se siamo utilitaristi delle regole) che mas-
una intenzione, che è diversa dalla mia disposizione (desiderio) ad andare a fare una simizza l’utilità di tutti. In altri termini io (in quanto per esempio utilitarista del-
passeggiata. Si tratta di qualcosa che “si aggiunge” alla disposizione a compiere le regole) non esco a fare una passeggiata perché se diventasse una regola sociale
una certa azione e che anzi la inibisce, mi impedisce di soddisfarla. alzarsi dai convegni per farsi i fatti propri l’onorevole istituzione del convegno si
Da questo tipo di considerazione, Moore traeva la conclusione che le afferma- dissolverebbe. Inoltre, esattamente come nella concezione di Wittgenstein-Krip-
zioni valutative del tipo “no, non dovrei uscire” sono asserzioni riguardanti un ke, la mia preferenza per la passeggiata risulterebbe incoerente – nel senso defini-
mondo “non naturale” o ascrivono proprietà “non naturali” agli oggetti del to dagli assiomi di razionalità normativi del modello – con il mio desiderio di
mondo naturale (per esempio ai desideri o agli impulsi, valutandoli inopportu- non offendere i colleghi, di essere invitata ad altri convegni, ecc. (Se invece pen-
ni). Per dirla con Ludwig Wittgenstein – secondo la lettura di Kripke, almeno sassi che è bene smetterla con i convegni, potrei naturalmente decidere di uscire.
– il problema importante è che “il proprio stato mentale presente non determi- In tal caso violerei una convenzione e ne pagherei le conseguenze).
na ciò che si dovrebbe fare nel futuro”. Nella interpretazione che ne hanno da- Molto opportunamente, io credo, Donald Davidson ha sottolineato la natu-
to Wittgenstein e soprattutto Kripke (1982) gli stati intenzionali (credenze, in- ra olistica di questa concezione dell’intenzionalità (o della razionalità delle pre-
tenzioni, ecc.) sono delle specie di “doveri” (o “divieti”) interni; o meglio “im- ferenze, se si preferisce) e ha sostenuto che gli stati intenzionali sono disposi-
pegni” ad agire in un certo modo (nella terminologia della teoria delle decisio- zioni mentali che, diversamente da altre, sono “vincolate” o “governate” da
ni si direbbe che sono preferenze “razionalmente vincolate”). Come osserva principi normativi di razionalità e quindi non riducibili a stati fisici (David-
Akeel Bilgrami nella sua convincente interpretazione di Saul Kripke,

desiderare o credere qualcosa significa pensare che si dovrebbero pensare o fare 1


Questa posizione impersonale e imparziale consiste, per John Harsanyi, nel scegliere come se
svariate altre cose, quelle che sono implicate da tali desideri alla luce di certi prin- si avesse probabilità 1/n di trovarsi in una delle n possibili posizioni degli n individui che com-
cipi o vincoli normativi (alla luce dei principi che codificano la razionalità dedut- pongono la società, o che sono interessati dalla decisione. Nella “posizione originaria” di Rawls,
invece, si deve scegliere come se ci si trovasse nella posizione della persona più svantaggiata. In
tiva o induttiva o di quelli che codificano la razionalità della teoria delle decisio- questa sede adotteremo il punto di vista di Harsanyi, dati i ben noti inconvenienti a cui porta
ni) (Bilgrami 2005, p.120). la regola del maximin proposta da Rawls, per cui rimandiamo a Harsanyi (1975).

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son 2005). Si pone allora la domanda sul significato esatto della nozione di rale non si possono ridurre alla fisica né ad alcuna scienza naturale (che invece po-
“vincolo” o “governo” da parte dei principi normativi di razionalità. trebbe chiarirci benissimo i meccanismi delle nostre disposizioni o il formarsi del-
In generale, una delle idee che stanno alla base dei modelli normativi della teoria le nostre preferenze, o dei nostri sentimenti, o della nostra avversione al rischio o
delle decisioni etiche o sociali (nella loro versione neoutilitarista, almeno) è che i delle nostre assegnazioni di probabilità). Il difetto sta nel pensare che quel che non
giudizi morali non esprimano “intuizioni morali” o giudizi di valore su singoli si può “ridurre” o definire naturalisticamente non meriti di essere chiamato scien-
comportamenti (come quando pensiamo che “mentire è male”) e quindi, in un za (Davidson 2005, pp.150-151). Oppure –ancor peggio – nel pensare che la de-
certo senso, sentimenti “naturali”, ma esprimano un giudizio, per esempio la no- scrizione psicologica dei comportamenti effettivi delle persone possa costituire
stra accettazione di certe norme, criticabili e rivedibili, che consultiamo al fine di una confutazione dei modelli normativi di razionalità o di scelta etica. Se c’è un
decidere se certi “sentimenti” o “intuizioni” morali sono giustificati o meno (è la rischio, a mio parere, è che descrizioni naturalistiche o “scientifiche” delle nostre
posizione sostenuta per esempio da Allan Gibbard (1990), sulla scia di Harsanyi). intuizioni morali pretendano in qualche modo di avvalorarle, mentre una conce-
Le norme si scelgono in base a criteri razionali che possono essere diversi e quin- zione normativa dell’etica ci impone di sottoporle al vaglio della critica razionale
di portare a scelte diverse (come nel caso dei modelli neoutilitaristi e neocontrat- e, se ha un pregio, è di toglierci dalle secche delle definizioni. Io credo che la cri-
tualisti) e che presuppongono l’accettazione di tali criteri di razionalità come ba- tica, e non la scienza in quanto tale, ci liberi dai fondamentalismi. Si devono com-
se della scelta (sarebbe difficile discutere con chi pone alla base della scelta di que- battere solo i dogmatici (compresi quelli scientifici), non chi dà senso al mondo
ste norme il Corano, o la Bibbia, cioè con tradizioni che pongono alla base dei lo- in un modo diverso da quello che a noi sembra il migliore.
ro “giudizi” morali un testo sacro). Il problema è allora se esistano ragioni univer-
salmente condivise per accettare la discussione razionale di norme e principi: una
discussione in cui ciascuno deve tener conto degli interessi altrui al fine di giun- Riferimenti bibliografici
gere a scelte che possano essere accettate da tutti. Questo tipo di etica definisce Bilgrami A. (2005) Intenzionalità e norme, in De Caro M., Macarthur D. (eds.), pp.
quindi reazioni ponderate e critiche al disaccordo morale, non cerca una definizio- 117-144.
ne del bene, del buono o del giusto. In questo senso è normativa e non descritti- Davidson D. (2005) È possibile una scienza della razionalità, in De Caro M., Macar-
va. E in questo sta, a mio avviso, il suo carattere innovativo e il suo interesse. thur D. (eds.) (2005), pp.145-163.
Secondo l’utilitarismo le ragioni per accettare questi vincoli di razionalità pog- De Caro M., Macarthur D. (a cura di) (2005) La mente e la natura. Per un naturali-
giano su due caratteristiche del comportamento umano: il suo essere rivolto al smo liberalizzato, Roma, Fazi Editore.
raggiungimento di obbiettivi (o alla realizzazione di desideri) e una sostanziale Gibbard A. (1990) Wise Choices, Apt Feelings: A Theory of Normative Judgement, Har-
“empatia” e “benevolenza” della natura umana (in linea di principio se tutti gli vard University Press, and Oxford, Oxford University Press.
esseri umani fossero sadici, l’utilitarismo non saprebbe come escludere la scelta Harsanyi J. C. (1975) Can the maximin principle serve as a basis for morality? A cri-
di una società le cui regole sono improntate al sadismo). Inoltre, modelli etici di tique of John Rawls’ theory, American Political science review, 59, pp.594-606, trad it
questo tipo fanno una assunzione forte sulla natura umana, e cioè che le perso- in Harsanyi John C., L’utilitarismo, (a cura di S. Morini), Milano, Il Saggiatore, 1988.
ne siano razionali (o cerchino di esserlo). E dal momento che questa assunzio- Harsanyi J. C. (1977) Rational Behavior and Bargaining Equilibrium in Games and
ne è normativa, questo sembra escludere che sia possibile una interpretazione Social Situations, Cambridge University Press, trad. it. Comportamento razionale e
naturalistica delle teorie della scelta morale. È grave? Questo significa introdur- equilibrio di contrattazione, (a cura di S, Morini), Milano, Il Saggiatore, 1985.
re qualcosa di “occulto” nei nostri discorsi etici? Io non credo, né credo che ci Kripke S. (1982) Wittgenstein on Rules and private Language, Harvard University Press,
sia nulla da temere sul piano della scientificità. trad it. Wittgenstein su regole e linguaggio privato, Torino, Bollati Boringhieri, 1982.
Ha ragione Davidson a sostenere che dal fatto che gli elementi olistici, normati- Moore G. E. (1903) Principia Ethica, Cambridge University Press, trad.it. Principia
vi o esternalistici non si possano eliminare senza mutare radicalmente gli oggetti Ethica, Milano, Bompiani, 1964.
in questione non segue automaticamente che non ci possano essere modelli scien- Putnam H. (2005) Contenuto e fascino del naturalismo, in De Caro M., Macarthur D.
tifici della razionalità o della scelta morale, ma piuttosto che la razionalità e la mo- (eds.), pp.45-57.

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Berardino Palumbo contrapporre due “realtà” discrete e differenziate, la “natura” e la “cultura”:
Università degli studi di Messina idee e assunti che, parte del “senso comune”, possono apparire confusi, gene-
Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive rici e inesatti quando li si osservi da prospettive scientifiche. Sempre Remot-
dell’Università di Messina ti, però, ci ricorda che proprio una simile ambiguità è alla base dei meccani-
Dottorato di ricerca in Scienze antropologiche smi sociali che rendono possibile “naturalizzare” la “cultura”:

Ma proprio questo intendiamo dimostrare, ossia che – specialmente nelle stabilizza-


zioni assolute – non vi è un concetto unico e uniforme di natura, dato che questo è
soltanto un espediente, un mezzo culturalmente inventato per provvedere a una sta-
bilizzazione definitiva. Un unico tratto accomuna le diverse nozioni di natura qui
“‘Naturalizzare’ la ‘cultura’”. considerate: la presupposizione di una realtà in qualche modo esterna ai costumi

Versione 1 e 2 umani, un universo più stabile e uniforme, un ordine più certo a cui le culture pos-
sono/debbono aggrapparsi nei loro processi di stabilizzazione (Remotti 2008, p. 38).

“He got a sweet gift of gab, he got a harmonious tongue, he knows every È (in primo luogo e per lo più) a processi di questo tipo che in antropologia (so-
song of love that ever has been sung. Good intentions can be evil, both ciale e culturale) ci si riferisce quando si parla di “naturalizzazione” della “cultu-
hands can be full of grease. You know that sometimes Satan comes as a ra”. “Naturalizzare” la “cultura”, in questo senso – versione 1 – è una operazione
man of peace”. Bob Dylan, “Man of Peace”, Infidels, 1983 che, intendendo sottrarre le pratiche umane alla processualità storica o inseren-
dole in una storicità pre-determinata, è molto spesso parte di complesse strategie
attraverso le quali, precisi attori sociali – sia individui che istituzioni – a partire
1. “Naturalizzare” la “cultura”. Versione 1 da specifiche esigenze e in determinati scenari, intendono rendere non contesta-
Nella nostra società, come del resto in altri gruppi umani, la tendenza ad an- bili, e dunque assoluti, il proprio punto di vista, le proprie categorie, propri as-
corare la fluidità e la complessità delle pratiche culturali e dei loro molteplici sunti di carattere ideologico (Bourdieu 2000). Più specificamente la “naturaliz-
sensi ad un piano “naturale”, immaginato come stabile, immutabile nel tempo zazione” – ossia la de-storicizzazione e l’ancoramento in una “natura” immagina-
e sottratto alle possibilità manipolatorie dell’ agency umana, è piuttosto comu- ta come realtà fissa e discreta – dei fatti sociali – fatti nel senso letterale di “rea-
ne. Come ha di recente sottolineato Francesco Remotti (2008, pp. 37-38): lizzati”, “prodotti” – appare una delle più importanti strategie attraverso le qua-
li, soprattutto in Occidente, immaginare/presentare determinati rapporti di po-
Dal punto di vista delle stabilizzazioni assolute, la natura viene infatti concepita co- tere, conseguenza di processi storici complessi e mutevoli, come (se fossero) in-
me un mondo a sé stante, fornito di leggi stabili e di strutture permanenti: la sta- variabili, immobili e non modificabili. Oramai diciassette anni fa, ad esempio, al-
bilità viene quindi raggiunta adeguando il mondo umano alle leggi naturali, anco- l’interno di una riflessione teorica sui rapporti tra dimensioni ideologiche (con-
rando le società ai pilastri della natura, organizzando gli universi culturali sulla ba- sapevoli e contestabili) e piani egemonici (non consapevoli e abitudinari) dell’a-
se di un ordine pre – o extra-umano, quello vigente nella natura o – se altra è la gency umana, Jane e John Comaroff, antropologi di Chicago di impostazione
fonte – quello che appare e si realizza nella natura. gramsciana, definivano in questo modo il nesso tra “naturalizzazione” e potere:

Ovviamente, il processo di “naturalizzazione” così inteso implica tanto una se- Noi riteniamo che l’egemonia esista all’interno di una relazione di reciproca interdi-
rie, non sempre coerente, di idee relative a cosa sia la “natura”, quanto alcune pendenza con l’ideologia: essa è parte di una visione del mondo dominante che è sta-
assunzioni, spesso contraddittorie, su cosa sia e come operi la “cultura”, quan- ta naturalizzata e che, dopo essersi nascosta sotto le vesti dell’ortodossia, non sembra
to, infine, una ontologia di tipo dicotomico che ritiene di poter individuare e più nemmeno una ideologia (Comaroff e Comaroff 1991, p. 25, traduzione mia).

48 49
Muovendosi nella stessa direzione analitica, Emiko Ohnuki-Tierney, all’inter- narrative (culturalmente determinate) adoperate per “naturalizzare” la “cultu-
no di una etnografia dedicata all’interpretazione delle nozioni giapponesi di ra”1. Innumerevoli ricerche etnografiche e molte riflessioni antropologiche han-
“sé”, così definiva la “naturalizzazione”: no reso evidente come l’attribuzione di “naturalità” alla “famiglia” (così come
intesa nella nostra tradizione culturale), il supporre biologicamente fondate e,
Come è che una certa rappresentazione diviene strategica, e in che modo essa ac- dunque, invariabili le (“nostre”) nozioni di “filiazione”, “affinità”, “sangue”,
quista il potere di naturalizzare il proprio significato? Il mio utilizzo del verbo na- “consanguineità”, siano (tra le altre cose) operazioni retoriche (dunque insieme
turalizzare è simile a quello di Barthes, Foucault e Bourdieu. Quando parlo di na- performative, conoscitive ed emozionali) volte ad ancorare nella immobilità di
turalizzazione mi riferisco a un processo storico attraverso il quale valori e norme simboli immaginati “naturali” la classificazione sociale del mondo sociale (Lévi
culturalmente determinati acquisiscono uno status che li fa sembrare alla gente Strass 1964, Douglas 1973). Le istituzioni, i sistemi di potere (a partire ovvia-
“naturali”, non arbitrari (Ohnuki-Tierney 1993, p. 6, traduzione mia). mente dagli individui concreti e dai loro mente-corpi che a questi danno vita
reale) utilizzano simili griglie “naturali” per fissare ed essenzializzare le proprie
In una simile prospettiva l’etnografia e l’antropologia, in quanto critiche del pretese, fornendo, nello stesso tempo, modelli plausibili e facilmente compren-
senso comune (Herzfeld 2006), appaiono oggi come delle pratiche conosciti- sibili dell’universo “naturale” e “sociale”: “Fratelli d’Italia”, “Enfants de la patrie”,
ve che fanno della de-naturalizzazione il fondamento performativo delle pro- “Madre Patria”, “versare il sangue per la patria” o “naturalizzare un calciatore”
prie aspirazioni scientifiche. non sono, da questo punto di vista metafore né occasionali, né neutre, così co-
Prendiamo, ad esempio, l’idea – oggi sempre più parte del senso comune me- me il cosiddetto “stupro etnico”, inscrivendo con la violenza una presenza bio-
diatico, politico e, spesso, anche “scientifico” – che la “famiglia”, il “matrimo- logica nel corpo femminile e in quello della “nazione” nemica, mira a rendere
nio” e la “parentela” nelle forme assunte da queste istituzioni nel corso della sto- metonimicamente naturale una brutale posizione di dominio (Herzfeld 1997).
ria occidentale – ossia, rispettivamente, la famiglia coniugale, formata da un ma- Le strategie di naturalizzazione, però, non sono appannaggio esclusivo di attori
rito/padre, da una moglie/madre e dai figli; il matrimonio stabile e monogami- sociali violenti, potenti e/o nicodemicamente “razzisti” (“i giudici sono antropo-
co tra due individui di sesso diverso, fondato sull’accesso esclusivo di un uomo logicamente malati…”, il sangue mestruale è naturalmente contaminante). Sono
alla sessualità di una donna e sulla patrimonializzazione dell’unione; la rete pa- invece (state) ampiamente usate dagli “scienziati sociali”, antropologi compresi.
rentale, immaginata come un calco delle “reali” e bilaterali trame della consan- Lasciando da parte le metafore organiciste attraverso le quali antropologi e so-
guineità, che si produce a partire dalla accoppiamento di individui– costituisca- ciologi hanno cercato, nella prima parte del Novecento, di immaginare l’ogget-
no dei dati “naturali”, inscritti nella biologicità della specie e, dunque presenti to sociale (cfr. De Martino 1941 per una precoce e lucida critica di simile for-
in tali forme in ogni società umana. Contro una simile assunzione, l’antropolo- ma di naturalizzazione), possiamo comunque prendere, tra i molteplici esempi
gia ha da tempo dimostrato l’estrema variabilità delle forme di “famiglia” sia nel possibili, il modo in cui Giuseppe Pitré, tra i fondatori degli studi di folklore in
tempo (la “familia” dei Romani era cosa ben diversa dalla “famiglia” dei conta- Italia, naturalizza, patologizzandoli, alcuni comportamenti rituali siciliani:
dini del Sannio contemporaneo), sia nello spazio (unità domestiche poliginiche,
poliandriche, matrifocali, natolocali, avuncolocali, “omosessuali”, “ricomposte”, In sessanta feste, sei offrono il disgustoso spettacolo di uomini, di donne, che dalla
ecc. sono diffuse in tutto il mondo e occupano, dunque, i nostri manuali). Pur porta della chiesa all’altare maggiore o ai piedi del santo, carponi, alzati da com-
continuando ad interrogarsi sull’esistenza o meno di tratti comuni alla base di pagni pietosi, o da loro stessi alzatisi di volta in volta, a passi misurati, uniformi,
simile variabilità (cfr. Fox 1973, 1979, Zimmerman 1993, Astuti 2001, Astuti, strisciano la lingua sul pavimento della chiesa, il giorno solenne della festa. Non
Solomon e Carey 2005, Remotti 2008), però, all’interno del progetto, ora ac-
cennato, di operare una de-naturalizzazione dei tentativi umani di “naturalizza-
1
re” pratiche culturali, gli antropologi hanno da tempo indagato anche gli enjeux Systems of Consanguinity and Affinity of the Human Family, del 1871, è il titolo di un’opera per
molti versi fondativa degli studi antropologici sulla parentela dell’antropologo evoluzionista sta-
sociali e politici implicati dalle operazioni di “naturalizzazione” dei “sistemi di tunitense L.H. Morgan. Per una presentazione critica dell’implicita teoria della natura presente
consanguineità e affinità della famiglia umana”, i loro protagonisti e le forme nel testo di Morgan, oltre a Remotti, 2008, mi sia consentito rinviare anche a Palumbo 1997.

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so cosa ne pensino i fautori della vita passata, ma io devo dichiarare schiettamen- La posizione di Sperber è chiara: se si accetta l’esigenza di un “programma na-
te che la prima ed ultima volta che fui spettatore di tali scene, ne rabbrividii per la turalistico nelle scienze sociali” (ib., p. 5), allora la strada da seguire è quella che,
degradazione della natura umana, per il disgusto che il fanatico rettileggiare provoca- tornando in fondo a riflettere sulle definizioni durkheimiane (i fatti sociali so-
va, per la difesa che inevitabilmente ne veniva alla chiesa, di siffatte pazzie non con- no “cose” e “rappresentazioni”), prenda seriamente in considerazione il fatto
sigliera (Pitrè 1978, pp. XLVII-XLIII, corsivi miei, tranne l’espressione in latino). che gli oggetti di studio della scienza sociale sono rappresentazioni, mentali e/o
pubbliche, e che questi fenomeni mentali possono/debbono essere definiti a
O, restando sempre in Sicilia, ecco come Fabio Armao (2000), studioso delle partire da quegli studi di psicologia cognitiva che hanno reso possibile una lo-
organizzazioni mafiose, naturalizza, anche lui patologizzandole, le pratiche e ro spiegazione (naturalizzazione) fiscalista (materialista) e scientifica. Come
le attitudini dei mafiosi: Durkheim aveva mostrato nell’atto fondativo della moderna scienza sociale, an-
che Sperber ritiene che i fatti sociali/culturali siano rappresentazioni; diversa-
Il mafioso è un individuo criminale che presenta dei disturbi della personalità (ib., mente da Durkheim, però, rifiutando l’idea che si tratti di fatti emergenti e sui
p. 27)…. Il mafioso, quindi, non può essere considerato un individuo pienamente generis, deve porsi il problema di come (attraverso quali meccanismi cognitivi e
realizzato… (ib., p. 29)…. Il mafioso, allora, se analizzato a partire dal proprio com- inferenziali) le idee, le rappresentazioni, fatti mentali o pubblici di menti indi-
portamento criminale risulterebbe afflitto da una personalità psicopatica (ib., p. 32). viduali, si propaghino, si trasmettano da mente a mente, per diventare quindi
condivise e, nel linguaggio, di Durkheim, collettive. Se Durkheim, come Boas
o Kroeber, attraverso l’assunzione del carattere sui generis delle rappresentazio-
2. “Naturalizzare la cultura”. Versione 2 ni collettive e dei fatti culturali, avevano voluto fondare l’autonomia della scien-
Fin da queste generiche e iniziali considerazioni è evidente come, ad un primo za antropologica (sociologica), Sperber, qualche decennio più tardi, intende ri-
livello (Versione 1), il significato attribuito alla “naturalizzazione della cultura” aprire uno spazio di riflessione comune tra psicologia e antropologia, struttura-
nella ricerca antropologico-sociale (o culturale) e quello che tale operazione ha, to intorno alle linee di ricerca delle scienze cognitive contemporanee. Laddove,
invece, nel campo delle scienze cognitive (Versione 2) siano, se non proprio op- infine, l’antropologia, dopo la fondazione novecentesca, si costituiva come
posti, comunque decisamente distanti. Oramai dodici anni fa, infatti, Dan scienza interpretativa e sostanzialmente storica, Sperber, attraverso l’opzione
Sperber, all’interno di un percorso che lo avrebbe portato dallo strutturalismo materialista e realista, tende a ricondurla nell’alveo delle scienze nomotetiche,
francese ad una teoria della modularità massiva (Lutri 2008, p. 38), collocan- lavorando ad una possibile conoscenza naturalistica della società.
dolo in una prospettiva originale e innovativa, ma sempre più distante dalla co- Nella proposta di Sperber, come in quella dei molti antropologi che, sia pure da
re knowledge della disciplina antropologica, delineava con precisione i quadri una posizione non centrale nel dibattito disciplinare, hanno con lui, o a partire
epistemologici e teorici di una “teoria naturalistica della cultura”: da lui, accettato questo nuovo programma cognitivista, “naturalizzare la cultu-
ra”, dunque, vuol dire inscrivere nuovamente l’analisi dei fatti sociali e cultura-
Come si può fare per situare gli oggetti sociali nella natura, in altre parole per ‘na- li in prospettive teoriche di tipo scientifico e all’interno di ontologie realiste, ca-
turalizzarli’? Qui la scienza cognitiva è rilevante sotto più di un aspetto. Un pro- paci di riformulare problemi di ricerca e nozioni teoriche a partire da una ri-
gramma naturalistico è un programma che stabilisce continuità fondamentali tra il configurazione dei confini disciplinari e da un dialogo attento con altre disci-
proprio ambito e quello di uno delle scienze naturali adiacenti. Le scienze psicolo- pline2. Per quanto non venga quasi mai esplicitamente dichiarato dagli antro-
giche sono immediatamente attigue alle scienze sociali e alcuni dei loro programmi
di ricerca, grosso modo quelli che rientrano sotto l’etichetta di ‘scienza cognitiva’ so-
2
no oggetto di uno sforzo di naturalizzazione più o meno avanzato. È presumibile Anche solo limitandosi alla seconda antropologia cognitiva – laddove la prima è quella che, come
quindi che naturalizzare l’oggetto delle scienze sociali significhi stabilire una certa ricorda Miller (1993), ha partecipato fin dall’inizio alla rivoluzione cognitiva: cfr. Tyler 1969, Cas-
son 1981, D’Andrade 1995 – il campo degli studi è oramai molto vasto. Non posso qui fare altro
continuità tra queste e i programmi della scienza cognitiva (Sperber 1999, p. 11). che rinviare all’utile volume curato da Lutri (2008) nel quale, oltre a presentare al lettore italiano
alcuni importanti lavori antropologico-cognitivi, si fornisce un quadro degli studi più recenti.

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pologi di impostazione cognitivista, il programma di naturalizzazione dei fatti I problemi che dal mio punto di vista sono posti della scelta di “naturalizzare
culturali sembrerebbe implicare – o almeno sembra farlo agli occhi di molti an- la cultura”, però, non sono tanto il riduzionismo e la possibile scomparsa o
tropologi non cognitivisti (cfr. Tanney 1998, Martin 2000 e, da un diverso pun- trasformazione in senso naturalistico delle scienze sociali. In fondo, come tut-
to di vista, Ingold 2004, 2007) – la necessità del riduzionismo e, con questo, il te le attività umane, anche i campi disciplinari dell’antropologia (o della so-
rischio del dissolvimento delle stesse scienze sociali. Sperber, ben consapevole di ciologia) sono destinati a scomparire e, al di là delle resistenze paradigmati-
simili timori, rifiuta la possibilità di una opzione riduzionistica, anche se consi- che, non esiste alcuna ragione in sé per cui una determinata configurazione
dera le “vere” operazioni di riduzione dei “grandi successi scientifici” (1999, p. dei saperi debba perpetuarsi nel tempo. Del resto, la perdita di senso delle
11). Sceglie, invece, una diversa soluzione: “riconcettualizzare il sociale”: scienze sociali e la connessa disarticolazione della stessa idea novecentesca di
“società” sono indicate come condizioni proprie delle realtà euro-occidentali
Potrebbe darsi che il nostro modo di sezionare concettualmente il sociale non ne post-moderne anche da punti di vista radicalmente contrapposti al naturali-
segua le giunture naturali. In questo caso, gli attuali concetti delle scienze sociali smo cognitivista (Holmes 2000). Non si possono ignorare, d’altro canto, gli
dovrebbero essere sostituiti – almeno nel quadro di un programma naturalistico – importanti risultati conseguiti negli ultimi decenni dalle ricerche di antropo-
con una nuova batteria di concetti. Il sociale dovrebbe essere sezionato in modo logia cognitiva che, sia pure a partire da posizionamenti teorici molto diversi,
tale che le categorie dei fenomeni sociali corrispondano chiaramente alle catego- iniziano a farci comprendere con una certa precisione sia alcune dimensioni
rie dei fenomeni naturali. Ma come fare? (Sperber 1999, p. 12). invarianti del modo di operare della mente umana, sia i rapporti tra strutture
mentali (schemi, moduli) e specifiche forme culturali4. I problemi che il pro-
Sul come fare, i saggi raccolti nel volume sull’epidemiologia delle idee forni- getto realista di “naturalizzare la cultura” pone alla ricerca antropologica, così
scono, evidentemente, delle risposte, anche se le parole con le quali lo studio- come è venuta configurandosi negli ultimi decenni, sono di altra natura, epi-
so francese conclude il primo capitolo del suo libro non sembrano lasciare stemologici, metodologici e, se si vuole, politici. Anche in questo caso, Sper-
molte speranze per quella che continua a restare la visione standard della ri- ber, sembra cogliere quantomeno un aspetto della questione: se i concetti del-
cerca interpretativa in antropologia: l’antropologia non sono mai dei veri concetti teorici, ma degli strumenti in-
terpretativi (Sperber 1999, pp. 21-23; cfr. anche Sperber 1982); se, ancora, le
Un’epidemiologia delle rappresentazioni stabilirà una relazione di reciproco inte- somiglianze che gli antropologi riescono a stabilire tra i loro concetti e i loro
resse tra le scienze cognitive e le scienze sociali, simile a quella tra la patologia e dati non sono altro che “somiglianze interpretative” (Sperber 1999, p. 26), al-
l’epidemiologia. Questa relazione non è in alcun modo una riduzione del sociale lora fin quando si resta all’interno di un percorso interpretativo contestuale
allo psicologico: in questo approccio i fenomeni socioculturali sono distribuzioni non sembra possibile poter operare alcuna naturalizzazione (nel senso scien-
ecologiche di fenomeni psicologici; i fatti sociologici vengono definiti in termini tifico del termine). È solo riducendo le rappresentazioni interpretative degli
di fatti psicologici, ma non si riducono a essi (Sperber 1999, p. 35). antropologi e dei soggetti umani da loro studiati a rappresentazioni descritti-
ve di stati mentali individuali, ossia passando dall’antropologia alla psicologia
Se i fenomeni sociali sono fatti psicologici (rappresentazioni di “concrete” men-
ti individuali), gli scienziati sociali, una volta spiegati – in termini naturalizzati,
ossia psicologico-cognitivi – i meccanismi alla base della diffusione delle idee, 2007) ad interagire con “il mondo esterno” non sono le “menti”, che esistono solo in quanto incor-
porate in concreti individui, ma appunto dei corpi o, se si vuole, degli organismi fenotipici.
divengono degli analisti dei flussi distributivi (epidemiologi) della cultura3. 4
Penso, tra gli innumerevoli riferimenti possibili, ai lavori di Boyer 2000, 2003 sui fondamenti
cognitivi delle credenze religiose; a quelli di Atran 2000 sui sistemi di classificazione del mon-
do naturale, di Hirschfeld 1995, 1996, 1997, di Bloch 1991, 2005, di Astuti 2001 e Astuti,
3
La virgolettatura dell’aggettivo “concrete” riferito alle menti individuali vuole segnalare il proble- Carey e Solomon 2005 sulla folksociology e la folkbiology. Studi importanti che meriterebbero
ma del carattere in sostanza mentalista della scienza socio-psicologico-cognitiva proposta da Sperber una maggiore attenzione da parte di altri settori delle scienze cognitive, di solito fortemente an-
e, più in generale, dall’antropologia cognitiva. Come sottolineato anche da antropologi attenti ad un corati, tanto dal punto di vista teorico-concettuale, quanto sul piano delle concrete ricerche, ad
dialogo con letture biologiche del comportamento e della storia umane (ad esempio Ingold 2004, universi esclusivamente e talvolta etnocentricamente occidentali.

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cognitiva, che le categorie dei fenomeni sociali possono essere naturalizzate e generali, o generiche, e rischiano di non trovare affatto corrispondenze nello
divenire, così, oggetti di una ricerca scientifica di taglio materialista. Da qui scenario più “basico” all’interno del quale li si intende “naturalizzare”. Ecco
l’esigenza della radicale rimappatura, a partire da concetti pertinenti nella psi- perché anche le ricerche di neurofisiologia, secondo Adolphs (ib., p. 124) de-
cologia cognitiva, delle categorie delle scienze sociali indicata da Sperber vono interrogarsi sul tipo di procedure conoscitiva da adottare (se riduzioni-
(1999, p. 12) come necessaria per sviluppare una teoria naturalistica della cul- stica o capace di riconfigurare nuovi spazi concettuali) e perché non possono
tura. Come dire, i fenomeni e i concetti delle scienze sociali perdono di per- non riflettere con attenzione sul vocabolario adoperato:
tinenza e di valore referenziale quando li si naturalizza sul piano mentale e co-
gnitivo. Qui sorge, però, un primo problema. Quegli stessi concetti natura- Se riconosciamo che prima o poi avremo bisogno di una teoria, sorge la questio-
lizzati nel linguaggio della psicologia cognitiva e che, dunque, rispetto alle ne del tipo di vocabolario a partire dal quale una simile teoria possa essere dise-
“somiglianze interpretative” degli antropologi sembrano possedere una solidi- gnata. All’inizio, probabilmente, dovremo in gran parte fare affidamento su quel-
tà scientifica maggiore, possono divenire altrettanto precari e non sostenibili lo che già abbiamo, ossia i termini della psicologia sociale, da un lato, e della psi-
quando li si considera a partire dalle esigenze e dalle procedure conoscitive di cologia cognitiva, dall’altro (…) (Adolphs 2003, p. 124).
una scienza più “basilare” come la neurofisiologia. In un saggio del 2003, de-
dicato alle ricerche di neuroscienza cognitiva sul comportamento sociale, Quando però il programma di naturalizzazione neurofisiologica delle proce-
Ralph Adolphs, neurofisiologo statunitense, pone con estrema lucidità tale dure delle menti individuali e delle forme comportamentali della psicologia
questione epistemologica e metodologica. Adolphs si chiede: sociale sarà realizzato, cosa succederà, si chiede Adolphs?

Abbiamo bisogno di un vocabolario aggiuntivo per spiegare i processi cognitivi che La nostra spiegazione neurobiologica del comportamento in termini di processi
guidano il comportamento sociale? Oppure il comportamento sociale può essere le- mentali, qualunque sia la sua forma finale, è probabile che sia piuttosto diversa dal-
gato alla neurobiologia attraverso quei costrutti generali, indicanti domini come l’at- le spiegazioni intuitive e di folk-psicologia delle altre persone che oggi abbiamo a
tenzione, la memoria e così via, che già esistono? (2003, p. 121, traduzione mia) disposizione. (…) Non è chiaro se un vocabolario futuro, che sia in massima par-
te predittivo o economico in relazione ai dati neurobiologici possa nello stesso tem-
Il problema, aggiunge lo scienziato statunitense, pensando sia alle classifica- po essere facile da comprendere, perché i concetti esplicativi che esso dovrà adope-
zioni psicologiche del comportamento sociale, sia a quelle dei diversi tipi di rare possono non essere traducibili in alcuno dei nostri concetti intuitivi che trat-
stimolo, è che: tano del comportamento umano. (…) Il motivo per il quale possiamo compren-
dere quello che gli psicologi sociali dicono è che usano concetti che hanno un sen-
abbiamo già a disposizione per il comportamento umano alcune caratterizzazioni di so intuitivo: possiamo connetterli (con un po’ di fatica e di allenamento) alle no-
modelli statistici del comportamento che sono descritti esattamente dai tratti della stre rappresentazioni pre-scientifiche, folk, degli altri. Per la stessa ragione, però,
personalità. Ma questo livello di classificazione del comportamento si rivela utile per potremmo non essere capaci di comprendere il quadro della cognizione sociale che
le ricerche di neuroscienza cognitiva? Senza alcun dubbio possiamo trovare alcune una futura neuroscienza potrà fornire (Adolphs 2003, p. 125).
correlazioni tra tratti della personalità e l’attività neuronale in alcune strutture cere-
brali, proprio come abbiamo individuato correlazioni tra alcune dimensioni dello In sintesi, quando partiamo da fenomeni “più complessi” e mettiamo in atto una
stimolo e l’attività neuronale. Il problema, dunque, non è che non si colgano asso- strategia di naturalizzazione, il problema è, per così dire, di ridondanza: troppi
ciazioni sistematiche tra funzioni neurali e categorie del comportamento o dello sti- aspetti del livello più generico possono corrispondere ad elementi del livello ba-
molo; al contrario, il problema è che se ne possono cogliere troppe (ib., p. 122). sico e, dunque, può non essere facile stabilire correlazioni precise. Se, però, si im-
magina la completa realizzazione del programma di naturalizzazione della men-
Insomma, quando si parte da fenomeni di un livello meno basilare, le defini- te, allora, guardando dal nuovo scenario basico (neurobiologico) verso il mondo
zioni di partenza dei “fatti” da trasformare in “dati” si rivelano spesso troppo di partenza (psicologico cognitivo e sociale) allora il rischio è quello della intra-
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ducibilità, della impossibilità di riconoscimento reciproco e, in ultima istanza, mune di quelli degli scienziati sociali? E soprattutto, attraverso quale vocabo-
della incommensurabilità. D’altro canto – proprio come in ogni ricerca etno- lario (radicalmente altro – ma allora non ci orienteremmo – o, per così dire
grafica – per quanto imprecisi e non corrispondenti al mondo che occorre inda- continuista – e allora dovremmo ammettere la resistenza, nel nostro stesso lin-
gare, nel mettere in atto un processo di naturalizzazione (della cultura e/o della guaggio naturalizzato, di margini di interpretatività) ne potremmo parlare?
mente) non possiamo che partire dai concetti (interpretativi o già fisicalizzati) Insomma, come detto, ridondanza e incommensurabilità sembrano fissare i li-
che abbiamo a disposizione nel contesto di partenza. Pur sapendo che essi tradi- miti gnoseologici di un programma di naturalizzazione della cultura. Se la se-
ranno inevitabilmente il “significato” che intendono cogliere, trascinandosi die- conda opzione, nonostante gli importanti risultati della scienza cognitiva, non
tro buona parte della loro densità, speriamo che, passo dopo passo, esperimen- sembra di facile realizzazione e pone comunque complessi problemi di natu-
to dopo esperimento, essi possano dissolversi nel nuovo vocabolario che andia- ra sociale e politica, la scelta della “ridondanza” – utilizzare, cioè, concetti e
mo costruendo per rendere comprensibile un diverso universo concettuale. termini delle discipline da naturalizzare per poterne operare una traduzione
Le considerazioni svolte per la naturalizzazione dei rapporti mente – cervello nei termini del nuovo ordine discorsivo – pratica comune nella scienza co-
mi paiono possano valere, a maggior ragione, dato il carattere esplicitamente gnitiva (Ingold 2004, 2007) presenta problemi metodologici ed epistemolo-
interpretativo dei termini osservativi degli antropologi, anche per la naturaliz- gici sui quali è necessaria qualche ulteriore, e conclusiva, considerazione. Al di
zazione psicologica della cultura (cultura – mente). E in effetti lo stesso Sper- là della capacità di cogliere i meccanismi che regolano l’acquisizione, la tra-
ber, nei suoi tentativi di formulare una spiegazione naturalistica della cultura, sformazione e la diffusione delle idee all’interno di un individuo e di una se-
parte sempre e inevitabilmente dai concetti interpretativi degli antropologi (il rie di individui e della scoperta di strutture capaci di rendere cognitivamente
“matrimonio”, la “magia”, la “stregoneria”, la “famiglia”, la “religione”, l’ “ar- possibili queste operazioni, insieme mentali e condivise, quando ammettiamo
te”ecc.) che a loro volta sono rappresentazioni (mentali) delle rappresentazioni che, per poter leggere in termini di rappresentazioni mentali individuali un
di altre menti (quelle) dei soggetti studiati. Per quanto vaghe, imprecise, inter- certo comportamento (fare un rito), una certa istituzione (la famiglia), si deb-
pretative, intuitive e ridondanti siano, sono proprio queste categorie antropo- ba comunque partire dalle nozioni interpretative e spurie degli studiosi (clas-
logiche a rendere praticabile la riconfigurazione teorico concettuale che Sper- sici) di scienze sociali (appunto il “rito” o la “famiglia”), stiamo implicita-
ber auspica alla base di una naturalizzazione della cultura. D’altro canto, però, mente e inevitabilmente dando per buona, con l’esistenza di simili categorie,
come ha lucidamente mostrato Adolphs (2003), questo processo di rimodella- la loro estensione semantica, i loro significati contestualmente determinati.
mento categoriale e di implicita traduzione da un vocabolario all’altro, da una Ogni etnografo conosce bene tanto l’inevitabilità conoscitiva di una simile
scienza interpretativa ad una scienza naturalizzata, non può che essere parzia- ammissione, quanto i rischi interpretativi che essa comporta. Quando adope-
le, dovendo mantenere ponti di senso tra gli ambiti che intende connettere. Se, riamo un concetto “nostro” per puntare alla comprensione di universi di sen-
invece, la naturalizzazione fosse totale, se cioè ci si trovasse già in uno spazio so “altri”, rischiamo sempre, come detto all’inizio di questo lavoro, di trasci-
concettuale nuovo nel quale una teoria naturalizzata della cultura fosse piena- narci dietro assunzioni implicite, solidificate, naturalizzate. Per questo la ri-
mente operante, allora dovremmo accettare il rischio di non poter essere più in cerca antropologica, pur con i limiti legati all’assunzione di teorie arcaiche o
grado di riconoscere dal nostro punto di arrivo il contesto di partenza: non do- ingenue del funzionamento della mente che studiosi come Bloch (2005) o
vremmo cioè poter più parlare di “cultura”, di “società”, di “gruppo”, di “rap- Sperber (Sperber e Hirschfeld 2004) hanno giustamente sottolineato, ha svi-
presentazione pubblica”, concetti oramai “tradotti” nel nuovo vocabolario na- luppato una complessa capacità (insieme metodologica ed epistemologica) di
turalizzato delle idee (rappresentazioni) e della loro capacità di contagio. Co- critica dei propri concetti interpretativi nel momento in cui questi, inevita-
me ci apparirebbe quello che oggi chiamiamo “mondo sociale” se lo leggessi- bilmente, si pongono come ponti ermeneutici tra diversi universi di senso.
mo a partire da categorie interne all’universo psicologico cognitivo che si È proprio l’assenza di una simile capacità critica, ossia l’ingenuità e la cecità cul-
configurasse al termine del programma di naturalizzazione della cultura? E do- turale, ideologicamente e politicamente modulate, del ragionamento standard
ve fermare questa naturalizzazione, se i concetti della psicologia cognitiva e so- nella scienza cognitiva, più che il rischio del riduzionismo o della destruttura-
ciale appaiono ai neurofisiologi altrettanto vaghi, interpretativi e di senso co- zione del proprio sapere, che mi sembra urtare la sensibilità degli antropologi.
58 59
In effetti, una parte non irrilevante di chi adotta una prospettiva di scienza co- turalmente distanti dalle nostre, teorie, presupposti impliciti, categorie e idee
gnitiva – lungi dal mostrare la sensibilità epistemologica che guida le riflessioni fortemente incardinati nella “nostra” genealogia storico-intellettuale; e contro la
di Adolph (2003) – all’interno di un modo di ragionare che a me pare correre possibilità di (continuare ad) immaginare l’umanità declinata sempre e solo in
spesso il rischio della tautologia, volendo trovare dei fondamenti naturali e uni- forme “occidentali”. La scelta di trasportare nei complicati mondi studiati dagli
versali di un determinato comportamento o di una rappresentazione – di cui si antropologi i metodi sperimentali messi a punto dalle scienze cognitive costi-
presuppone con sospetta facilità il carattere discreto e fisso – non possono che tuisce un tentativo di far fronte ad entrambe le esigenze. Affiancate dalla sedi-
partire – per le ragioni conoscitive che abbiamo appena sottolineato – da defini- mentata e sottile abitudine critico-decostruttiva acquisita dagli etnografi in lun-
zioni “emiche” (interpretative, socialmente connotate, spesso di senso comune) ghi anni di vita nei “propri” terreni, le pur sempre rapide – ai nostri occhi di an-
di quel comportamento e dalla propria rappresentazione. Mettendo poi in atto tropologi – metodologie sperimentali finiscono inevitabilmente per aprirsi ai
forme più o meno cortocircuitate di naturalizzazione (ossia, dal loro punto di contesti, alla loro articolazione e alla loro ricchezza. In questo modo i rischi di
vista, di riformulazione in uno scenario concettuale nuovo e più aderente alle fraintendimento e di proiezione su altri uomini delle “nostre” categorie sembra-
“giunture della natura”, come dice significativamente Sperber, o di più chiaro ri- no poter essere controllati: “naturalizzare” la “cultura” versione 1 e “naturalizza-
duzionismo) trovano con una certa facilità (in un modulo, se non addirittura in re la cultura” versione 2 possono restare operazioni disgiunte.
una qualche determinazione genetica) i fondamenti che cercavano per il loro Contro il rischio di una simile fusione, infine, e a partire dalla consapevolezza
“pacchetto culturale” etnocentricamente preconfezionato, individuandone ma- che essa continua ad essere operante, quasi sempre in maniera non consapevo-
gari delle ipotetiche valenze adattive (Ingold 2001, 2004, 2007). In questo mo- le, nelle pratiche di esseri umani, scienziati cognitivi compresi, sta reagendo
do, però, al di là della tautologia, si corre un duplice rischio. Da un lato, quel- con attenzione crescente la ricerca antropologica. All’interno di un sempre più
lo di continuare, in linea con il carattere etnocentrico della tradizione filosofica, marcato interesse per la “scienza” intesa come pratica sociale (Fisher 2007), le
a pensare l’umanità sempre e solo a partire dal mondo occidentale, presuppo- stesse attività di ricerca delle scienze cognitive, insieme a quelle della biologia
nendo così, nello specifico caso, quella universalità umana che occorrerebbe in- evolutiva e della genetica (Martin 2000, Ingold 2001, 2007, Palmié 2007) so-
vece dimostrare. Dall’altro quello di far passare come ovvi significati e valori no divenute oggetto di indagini etnografiche. Gli scienziati sociali sono inte-
“culturali” connessi con quella parola, quella rappresentazione, ottenendo l’ef- ressati a cogliere come concretamente agiscano nel proprio campo di ricerca gli
fetto di “naturalizzare” una loro pratica culturale. In questo caso, “naturalizza- scienziati cognitivi, i genetisti, i neurofisiologi e se, incorporate nelle loro pra-
re” la “cultura” nella versione 1 (politico-antropologica) e “naturalizzare la cultura” tiche di naturalizzazione scientifica non possano (a volte) ritrovarsi proprio
nella versione 2 (naturalistico-scientifica) sono operazioni che possono pericolo- quelle operazioni di naturalizzazione ideologica cui la disciplina ha dedicato,
samente convergere. Esattamente contro questo rischi, del resto, hanno riflettu- fin dalla sua nascita, una costante attenzione: “naturalizzare” la “cultura” – ver-
to alcuni studiosi che, a mio parere, hanno fornito alcuni dei contributi più si- sione 1 – è dunque una pratica sociale che gli scienziati cognitivi, per quanto
gnificativi alla ricerca contemporanea in antropologia cognitiva. Penso ai lavori continuino ad immaginare di agire secondo i canoni del programma 2, posso-
di Maurice Bloch (1991, 2005) e Rita Astuti (2001, e, con altri, 2005). En- no in effetti condividere con molti altri attori sociali.
trambi, infatti, riconoscendo la debolezza degli assunti psicologici di gran parte
degli antropologi contemporanei, hanno scelto di accettare la sfida che le ricer-
che di ambito cognitivo evidentemente pongono ad una riflessione generale sul- Riferimenti bibliografici
l’uomo. Nel far questo ritengono di poter rilanciare le capacità generalizzanti Adolphs R. (2003) Investigating the cognitive neuroscience of social behaviour, Neu-
dell’antropologia, a loro parere offuscate dalla scelta interpretativa e critica, do- ropsychologia, 41, pp. 119-126.
minante oggi nello scenario internazionale. Soprattutto, però, all’interno del Armao F. (2000) Il sistema mafia. Dall’economia-mondo al dominio locale, Torino, Bol-
mio ragionamento, va sottolineato come sia Bloch che Astuti si muovano nella lati Boringhieri.
convinzione che la ricerca antropologica possa costituire un importante antido- Astuti R. (2001) Are we all Natural Dualist? A Cognitive Developmental Approach,
to “empirico” contro il rischio, sempre presente, di estendere a realtà umane cul- JRAI, 7, 3, pp. 429-447.

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Evoluzionismo e scienze cognitive

Antonino Pennisi
Università degli studi di Messina
Scuola di dottorato in Scienze Cognitive
dell’Università di Messina
Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive

Biologia, evoluzionismo
e scienze cognitive
1. Sono davvero felice di poter inaugurare e – senza alcun altro merito che es-
sere il padrone di casa – coordinare una tavola rotonda che vede riuniti illu-
stri amici tanto competenti quanto scientificamente diversi tra loro come
Edoardo Boncinelli, biologo evoluzionista, Francesco Ferretti, filosofo del lin-
guaggio, Telmo Pievani, filosofo della scienza, Giorgio Vallortigara, etologo, e
Alessandra Falzone, giovane psicobiologa del linguaggio. La mia felicità rad-
doppia perché il tema scelto è tra quelli a me più cari, e cioè il rapporto tra
evoluzionismo e scienze cognitive.
Vorrei partire tuttavia senza farmi influenzare da tanto entusiasmo e porre a
tutti voi un problema fondativo: è proprio certo che stiamo parlando di un
rapporto realmente esistente, legittimo, accettato e accettabile senza riserve?
Tra i tanti petali che sbocciano di frequente nella margherita delle Scienze Co-
gnitive e che ambiscono a diventarne parte stabile, non è, infatti, affatto pa-
cifico che possiamo annoverarvi la biologia evoluzionista. Ci sono anzi buone
ragioni per pensare il contrario.
Certo le neuroscienze costituiscono il fulcro di ogni teoria sul funzionamen-
to della mente: e le neuroscienze sono – di fatto – l’architrave biologica della
fisiologia cognitivista. Ma gli scopi della biologia evoluzionista contempora-
nea non coincidono affatto con la descrizione funzionale dei processi neuro-
fisiologici. Per certi aspetti paradossali, anzi, biologia evoluzionista e scienze
cognitive potrebbero addirittura entrare in rotta di collisione epistemologica.
La ricostruzione evolutiva, infatti, è per sua natura intrinsecamente diacronica,
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laddove le operazioni mentali che devono essere spiegate dalle scienze cogni- se consideriamo quanto sia profonda la somiglianza tra la biologia dell’evoluzione
tive sono, per definizione, processi paralleli e squisitamente sincronici. In altri e le scienze storiche e, al contrario, quanto la prima sia diversa dalla fisica tanto
termini per chi descrive le regole di funzionamento di un evento mentale po- nell’impostazione concettuale quanto nel metodo, non sorprende affatto che sia
trebbe essere del tutto superfluo conoscere la storia delle strutture di cui sono così difficile, addirittura quasi impossibile, tracciare una linea di demarcazione
materiati i corpi che le applicano. netta tra le scienze naturali e quelle umanistiche (Mayr 2004, p. 13).
Le cose, per fortuna, non sono così semplici. L’idea che i processi cognitivi pos-
sano essere interamente simulati da procedure algoritmiche appartiene, infatti, 2. L’evoluzionismo, quindi, entra a buon diritto nell’orizzonte delle scienze co-
alla preistoria delle scienze cognitive. La crisi del computazionalismo classico gnitive solo a condizione di modificarne definitivamente la loro natura episte-
non deve essere, tuttavia, attribuita alla critica filosofica fondata sulle teorie del- mologica. Non, tuttavia, per ridurne il tasso di determinismo (che, al contrario,
la complessità o alle psicologie olistiche: anch’esse preistoriche. L’epistemologia non può che accrescersi per l’abbandono di ogni residuo teleologico) ma per evi-
del cognitivismo contemporaneo si muove tutta dentro uno scenario comples- tare di trasformare questo ripotenziato meccanicismo in un’improbabile filosofia
sivo modulare e deterministico universalmente accettato ma non più modellato della storia di segno matematico-platonico. Il suo ingresso, inoltre, impone un
sulla logica della computazione ma sulla biologia della computazione. riaccostamento più stretto tra l’ontogenesi, la filogenesi e la sociogenesi dei pro-
Le neuroscienze incarnano bene questo complesso passaggio. Esse circoscri- cessi cognitivi e culturali: una prospettiva scientifica unificante che in biologia
vono un campo di ricerca che, pur fondandosi su un’euristica modulare e de- evoluzionista si è affermata sotto il nome di genetica delle popolazioni.
terministica, non può dar luogo a previsioni formalmente uniformate a quel- L’operazione non è affatto delle più semplici e comporta delle grosse rinunce sia
le della cibernetica. La consapevolezza di questo nuovo stato della ricerca è, nel campo delle scienze della cognizione sia in quello delle scienze dell’evoluzione.
per l’appunto, il risultato dell’impatto epistemologico della biologia sulle Le prime possono continuare a conservare uno statuto fortemente determini-
scienze cognitive. In questo passaggio di testimone tra l’Intelligenza Artificia- stico e modulare ma dovranno rinunziare alla certezza previsionale che era im-
le e le Neuroscienze gioca, infatti, un ruolo decisivo la natura dell’hardware su plicita nei modelli computazionali della prima ora e, forse, ai modelli compu-
cui si instanzierebbero le procedure, i corpi viventi che applicano le regole. tazionali tout-court. Un qualunque costrutto di natura formalmente decidibile
Sfugge spesso, tuttavia, che il differenziale decisivo tra la logica e la biologia si deve dar luogo a previsioni: anzi è rappresentabile come un elenco, anche po-
concentra – a questo punto – interamente sulla parte evolutiva delle scienze tenzialmente infinito, ma sempre ricorsivamente enumerabile, di risultati pre-
naturali. Queste ultime, infatti, nelle loro componenti fisiche e bio-chimiche visti. Un costrutto evolutivo, al contrario, pur non potendosi mai sottrarre al-
non si differenziano affatto dalle scienze matematico-meccanicistiche. È l’in- le regole fisiche, chimiche e genetiche, è sempre imprevedibile, nel senso tec-
gresso della dimensione diacronica a fare delle scienze naturali le naturali gua- nico-biologico della parola: l’introduzione di mutazioni e il loro attecchimen-
stafeste di un improbabile progetto “intelligente”, seppure di natura esausti- to selettivo sono quanto di più simile esista alla vincita di una lotteria.
vamente materiale. Con una formula un poco provocatoria potremmo dire Le scienze dell’evoluzione dovranno a loro volta rinunziare ad ogni residuo me-
che l’intelligenza artificiale sta ai modelli fisico-matematici come l’intelligen- tafisico, tuttora fortissimo nelle componenti più legate all’ortodossia darwinista.
za naturale sta a quelli biologici: in mezzo ci sono le Scienze Cognitive. La Certo Darwin ha avuto l’innegabile merito di sposare senza tentennamenti la
biologia evoluzionista diventa per questa strada, e del tutto inaspettatamente, scomoda ipotesi della causalità regionale dei cambiamenti morfologici e funzio-
il ponte di collegamento tra le scienze cognitive di natura umanistica (filo- nali: si tratta – scrive Gould – “della spiegazione più ‘riduzionista’ disponibile
sofia, linguistica, antropologia) e quelle a vocazione spiccatamente formale- nella biologia del tempo” (2002, p. 18). Contemporaneamente, non potendo
naturale (I.A., neuroscienze, neuropsicologia). aver idea della reale natura dei mutamenti genetici, dimostrata solo dalla biolo-
Ernst Mayr, il più illustre biologo evoluzionista del Novecento, scrivendo il gia molecolare moderna, ha concesso troppo credito alla lenta accumulazione
suo ultimo libro alla veneranda età di quasi cento anni, ha mirabilmente cen- degli effetti delle variazioni favorevoli, conservando un residuo dei disegni la-
trato questo punto: marckiani. Tuttavia oggi sappiamo che la variazione non è prevedibile perché l’a-
dattamento selettivo opera sul modellamento e non sulla genesi dei grandi muta-
66 67
menti strutturali e, quindi, sulla storia delle speciazioni. Detto con una battuta: tute succedere che una successione di ipotesi su ciò che invisibilmente ha real-
la persistenza nel continuismo assoluto – che pure ispira l’indiscutibile finalismo mente portato a ciascuno dei singoli stati di fatto e alle loro modificazioni.
intrinseco degli organismi, il loro unico e cieco “telos” – potrebbe inopinata- C’è voluta tutta l’umiltà scientifica e il rigore metodologico di scienze empi-
mente fornire quel passaporto scientifico che oggi manca all’intelligent design. ricamente fondate come l’etologia e la paleontologia per capire che la loco-
Contro queste convergenti strategie ingegneristiche la ricerca interdisciplina- mozione bipede rappresenta una forma piuttosto inefficace di locomozione
re ha evidenziato una serie di motivi che proprio dall’interno delle scienze del- per un mammifero1; che molte specie di ominidi con uno scarso sviluppo del
la vita stanno prepotentemente emergendo. cervello, la maggior parte dei primati ed anche molte specie di uccelli, e per-
sino di insetti, fabbricano e usano strumenti (cfr. fra gli altri, McGrew 2004,
2.1. Innanzitutto il rapporto tra gli algoritmi genetici e le forme dello svilup- Whiten, Horner e deWaal 2005); che il braccio e la mano hanno subito dav-
po, tra il progetto genomico e le filogenesi e, meno che mai, quello tra geni e vero pochissime trasformazioni dall’epoca in cui venivano usati per aggrap-
funzioni o comportamenti, ci appare quanto mai problematico. Non tanto parsi ai rami sino quando non ci hanno permesso di suonare il pianoforte o
perché non conosciamo ancora buona parte della struttura e del funziona- ricamare un tombolo (Mayr 1963, II, p. 695). Insomma:
mento dei nostri geni, né perché le forme della filogenesi e le funzioni e i com-
portamenti degli individui di una data specie siano programmaticamente anziché sostenere che il bipedismo rese le mani disponibili per altre funzioni, si
inaccessibili perchè “troppo complessi”, quanto perché tendiamo ad attribui- comincia a pensare se il perfezionamento del bipedismo non sia stato grande-
re scopi inesistenti all’evoluzione delle forme di vita, tanto da oscurare le ra- mente accelerato dal fatto che le estremità anteriori erano già occupate con altre
gioni puramente empiriche del primato riproduttivo. funzioni, quelle ‘manipolative’. L’uso e forse anche la costruzione di semplici uten-
Come ci ricordano i genetisti contemporanei persino il sacrario dei “geni regola- sili non sembra aver richesto un grande aumento delle capacità cerebrali, e non ri-
tori” (Fox, Hox) assomiglia ad un insieme di patches funzionalmente eterogenee chiese neppure una decisiva ristrutturazione dell’estremità anteriore (ib.).
ognuna delle quali deve la propria formulazione attuale a ragioni di pura soprav-
vivenza e di persistenza insuperabile delle ragioni morfogenetiche che hanno sino- Di questo continuo infinito farsi e disfarsi delle ipotesi ingegnieristiche della psi-
ra costretto quelle forme ad evolversi entro i vincoli del proprio sviluppo. Niente cologia evoluzionista, fondata sull’accezione leggendaria dell’adattamento funzio-
di più lontano delle raffinate ingegnerie funzionali e psico-funzionali della psico- nale e su quella altrettanto semplicistica del cambiamento di strutture che ne de-
logia evoluzionista o del modularismo neo-frenologico delle attuali neuroscienze. riverebbe è costellata la storia recente dei rapporti fra biologia evoluzionista e
Non possiamo continuare a pensare, in maniera consolatoria rispetto alla proble- scienze cognitive. Un altro esempio assai significativo, quello della reale origine
maticità e alla “sporcizia” della complessità delle strutture, che i comportamenti si etologica dell’abbassamento del tratto vocale sopralaringeo, è stato più volte por-
siano sistematicamente evoluti adattandosi armoniosamente in appositi periodi di tato all’attenzione da Alessandra Falzone (2006, II) che ce ne riferirà tra poco an-
tempo, simultanei per tutti i conspecifici di una data specie, e migliorando conti- che in questa sede. Si tratta, in tutti i casi, di contrapporre sempre a un metodo
nuamente le loro prestazioni e i risultati. Così – inventando di sana pianta una centrato sulle ipotesi filosofiche che ci piacerebbe veder dimostrate perché con-
filosofia della storia psicogenetica dell’Homo sapiens – avremmo prima una certa nesse a qualche intrinseco disegno ideologico (il continuismo, il saltismo, l’adat-
funzione A (per esempio la locomozione quadrupede) che pian piano si trasforma tivismo, il selezionismo o un qualche altro “ismo” che galvanizzi più fazioni), un
in una funzione B (per esempio la locomozione bipede) da cui deriva la funzione
C (la manipolazione manuale attraverso la liberazione degli arti superiori) da cui 1
“Il bipedismo è una forma di deambulazione pericolosa e l’allungamento degli arti posteriori in
scaturisce un aumento delle dimensioni del cervello sviluppando la funzione D (la un soggetto stabilmente bipede può essere considerato un handicap locomotorio. Esso moltiplica
comunicazione verbale) che porta poi alla funzione E (l’uso esteso del linguaggio) la probabilità dei danni tipici dei tendini umani quando il loro rapporto lunghezza-tensione de-
senza il quale non potrebbe scaturire la funzione F (la scrittura), etc. termina una sfasatura delle proprietà inerziali dell’arto nel momento del contatto col suolo, op-
pure quando l’arto avverte un improvviso e irregolare caricamento durante lo scatto, o, ancor più,
Questo “meraviglioso” disegno dell’ingegneria evolutiva appare più come una nei rapidi cambiamenti di direzione” (Lovejoy 2005, p. 120). Cfr. per una analisi del problema
nuda descrizione a posteriori di alcune tra le tante cose visibili che sarebbero po- Hansen et al. 2004, Kidd 1998, Vilensky 1987, MacLarnon 1996, Abitbol 1995.

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altro metodo centrato sulla fatica di una continua comparazione interdisciplina- cui presupposto scientifico è l’ipoteca antinaturalistica non solo di molte filo-
re di nudi dati: cronologici, geo-fisici, fisiologici, biochimici, etologici, statistici, sofie antievoluzioniste contemporanee ma anche delle tante teleologie interne
epidemiologici, ed anche – e qui sta il contributo determinante delle scienze co- al continente neo-darwiniano:
gnitive – sperimentali, cioè ricostruiti anche nei laboratori della psicobiologia,
delle neuroscienze e simulati da sistemi computazionali tarati sui saperi biologici. l’uomo ha creato i suoi universi simbolici e culturali di significato e di valore e se
ne è avvalso come di un diaframma tra sé e la natura, o li ha imposti a sé e alla na-
2.2. In secondo luogo occorre ricordare come una discussione tutta fondata tura come un modello, talchè egli vede ogni cosa, pensa ogni cosa, agisce verso
sull’opposizione fra strutture e funzioni, o, peggio, sulle filosofie delle strut- ogni cosa e ogni persona, incluso se medesimo, essenzialmente nel quadro di si-
ture contrapposte alle filosofie delle funzioni, trascura il dato etologico pri- gnificati e di fini che egli stesso ha creato e si è imposto (Frank 1951, p. 45b).
mario, e cioè che la storia biologica delle forme viventi (e non) è sempre de-
terminata dalle interazioni ecologiche con l’ambiente. A parte le posizioni più estreme, oggi esemplificate nell’estremismo ermeneu-
Non certo in contrapposizione con gli antropologi (la cui posizione è qui rap- tico, nell’idealismo linguistico solipsistico e delirante, o nelle filosofie più stri-
presentata dall’eccellente contributo di Berardino Palumbo), ma semplice- tolate dal nastro di Moebius della circolarità epistemica del linguaggio (cfr.
mente per evitare confusioni di metodo, intendo qui riferirmi non tanto al- Cimatti 2004), questo atteggiamento antinaturalistico è molto diffuso, sep-
l’ambiente in quanto sfondo culturale di ogni pratica ma a quello che lo psi- pur in maniera meno virulenta, in buona parte dei saperi umanistici. È il frut-
chiatra Harold F. Searles chiamava nell’ormai lontano 1960 “l’ambiente non to culturale di un secolo che ha visto l’affermarsi concomitante della svolta
umano”. Si trattava, nel suo caso, di un principio sintetico a cui ricondurre il linguistica, dell’antropologia e del relativismo culturali e del dualismo filo-
disagio psichico, quindi di un’argomentazione critica nei confronti di tutti i sofico, oltre che di due guerre mondiali. Come ricordava ieri Simona Morini,
modelli psicologici, psichiatrici e psicoanalitici fondati su un’eziologia esclu- secondo Hilary Putnam questo istinto antinaturalistico della cultura contem-
sivamente inter o intra-personale dei conflitti, ignorando, appunto poranea si basa sul terrore della possibile esistenza reale di una norma, di un
significato “ultimo” che vada oltre ogni possibile interpretazione umana.
l’ambiente non umano (ossia la totalità dell’ambiente dell’uomo, ad eccezione de- Che possa esistere qualcosa di vero, cioè di una realtà indipendente da ogni
gli altri esseri umani che vi vivono) (…) come se la vita umana si svolgesse in un semantica e che questa realtà possa coincidere con la spiegazione di una for-
vuoto – come se la specie umana fosse la sola nell’universo, perseguendo destini ma di vita non generata dalla mente umana – al di là, quindi, dell’ipostasi vi-
individuali e collettivi in un’omogenea cornice di non essere, su uno sfondo pri- chiana del verum-factum – è inaccettabile in una visione competitiva tra i sa-
vo di forma, di colore e di sostanza (Searles 1960, p. 5). peri, cioè nel neo-dualismo di molte delle filosofie contemporanee. Da qui i
fantasmi del “riduzionismo”, del “biodeterminismo”, del “creazionismo” e di
Si tratta di un costrutto epistemico da cui ha avuto inizio un interessante e tutti gli altri –ismi che abbiamo già stigmatizzato in precedenza. Contraria-
creativo periodo di riflessione sul rapporto critico fra uomo e ambiente che mente all’opinione di molti degli amici che stanno seduti a questo tavolo (per
nel giro di dieci anni andrà a sfociare in un libretto destinato a segnare un’e- lo meno, suppongo, a quella di Francesco Ferretti e Telmo Pievani) credo che
poca: gli Otto peccati capitali della nostra civiltà di K. Lorenz (1973). A parte non sia utile, che non valga la pena dedicarsi a confutare questo genere di os-
l’ampiezza del dibattito che coinvolse, tra i tanti, personalità quali Eibl-Eibe- servazioni e impostazioni. Al contrario è importantissimo, almeno per cerca-
sfeldt, Erich Fromm, Claude Lévi-Strauss, vorrei qui insistere su un punto re di capire i rapporti tra l’evoluzionismo e le scienze cognitive che qui stiamo
tornato oggi di grandissima attualità, e proprio per gli interrogativi che ci po- cercando di circoscrivere, sondare le posizioni antinaturalistiche più sfumate,
niamo in questa tavola rotonda2: l’anomalia ecologica della specie umana, il quelle che, spesso all’interno della cittadella darwinista, con un colpo al cer-
chio ed uno alla botte, pretendono di accreditare una versione più “umana”
2
Mi permetto di rinviare su questi punti a Pennisi (2008), Il prezzo del linguaggio. Evoluzione del naturalismo, quasi si trattasse di un’ideologia totalitaria.
ed estinzione dell’Homo sapiens, in corso di stampa. La prima confusione che emerge in chi persegue questo scopo è un’idea della se-
70 71
lezione naturale che confonde continuamente il target della complessità con quel- le caratteristiche non ottimali della sua fertilità naturale, grazie alla capitaliz-
lo dell’adattività. Ci si accorge spesso troppo tardi che chi vuol addentrarsi nel zazione dell’adattabilità climatica, dei vantaggi sociali, della coesione dei
campo minato della “specialità” dell’Homo sapiens difficilmente ha per scopo di gruppi, dell’ampiezza degli spazi a disposizione e, più in generale, delle tec-
circoscrivere i fondamenti etologici della sua diversità, ma, in maniera esplicita o, nologie proprietarie della qualità della vita, ha prodotto un fattore premiale
molto più spesso, implicita e (forse) inconsapevole, vuole in realtà magnificarne straordinario: la crescita demografica esponenziale, inesorabilmente progressi-
le capacità e riconoscere a mamma Evoluzione quanto è stata brava con Lui. va ed altrettanto inesorabilmente autoriproduttiva.
Così non emergono mai nel dibattito i veri fattori condizionanti dell’etologia Tutto straordinario, quindi: l’evoluzione “culmina” nell’uomo, la complessità
umana: le conseguenze dell’ovulazione nascosta nella femmina della specie uma- strutturale, funzionale e sociale del sapiens ha permesso la sua affermazione sul
na che porta alla costituzione di una struttura “interna” della famiglia e all’emer- teatro della storia evolutiva, l’uomo è l’animale più adattivo e adattato del crea-
gere di un principio di condensazione in nuclei tribali concorrenti (cfr. Diamond to. Siamo in piena apologia della diversità: l’uomo è “irriducibile” a qualsiasi
1992, Miller 2002); la lunga dipendenza dalle cure parentali e, quindi, l’abnor- modello conosciuto ed ha poca importanza – da questo rinnovato punto di vi-
me prolungarsi del periodo di mancata autonomia degli individui; l’estendersi sta – se lo è nonostante sia il frutto di Dio o della mano cieca dell’Evoluzione.
della mancata ritualizzazione dell’aggressività che causa la distruttività dei conflit- In questo contesto la tematica del linguaggio non può non assumere un ruo-
ti intra-specie e fa del sapiens l’unico mammifero che assassina i suoi conspecifici; lo centrale. Non c’è alcuno studioso che non riconosca nel linguaggio il con-
la conseguente affermazione universale nell’uomo del principio di pseudospecia- trassegno della complessità e della superiorità dell’animale uomo (seppur pos-
zione culturale per il quale una specie che secondo il principio della compatibi- siamo ancora chiamarlo così) su tutti gli altri. La storia del linguaggio viene
lità riproduttiva è unica, si frammenta continuamente in sottogruppi (razze, po- rivissuta come il punto di fuga dal quale si diparte l’affermazione e l’estensio-
poli, nazioni, etnìe, etc.) ognuno dei quali ripropone il proprio modello come ne del sapiens. Si tratta, d’altrocanto, di una verità così ovvia ed evidente che
prototipo umano (cfr. Lorenz 1963 e 1973, Eibl-Eibesfeldt 1983). non vale certo la pena di confutare. Qualunque sia la combinazione origina-
Accanto a queste vere e proprie specie-specificità filogenetiche si collocano le ria di mutazione genetica, trasformazione delle strutture fisiologiche, adatta-
peculiarità derivanti da ciò che sicuramente ha una natura culturale e che, mento funzionale, puro caso, è certo che dal momento che è stato possibile
quindi, con altrettanta sicurezza, è totalmente inscritto nella natura umana. per gli ominidi articolare suoni finemente modulabili la loro storia ha preso
Mi riferisco in particolare all’unicità ecologica del sapiens che ha violato ogni una svolta radicale. Con ogni probabilità il pensiero calcolistico e la ricorsivi-
precedente statuto di regole della fitness delle specie (nel semplice senso che ha tà individuata da Chomsky come criterio decisivo delle potenzialità insite nel-
stabilito un nuovo statuto delle regole ecologiche) ed ogni principio di coesi- la sintassi umana, sarebbero stati impossibili senza l’articolazione linguistica.
stenza delle nicchie ecologiche all’interno di ecosistemi compatibili. In parti- Allo stesso modo è innegabile che la precisione del discorso formale, quindi la
colare sotto il profilo dell’estensione territoriale ha raggiunto la massima produzione di tecnologie trasmissibili e cumulabili, sarebbe stata impossibile
espansione, superando sia le tolleranze climatiche che le dipendenze create senza il linguaggio verbale. Infine è assai verosimile che la formazione di cre-
dalla limitatezza delle risorse (cibo, acqua, spazi, fonti di energia), operando denze, valori, religioni, ideologie, di tutto ciò, insomma, che muove e orien-
sul controllo e sull’autoproduzione di esse attraverso l’agricoltura, l’alleva- ta grandi masse di conspecifici, deve tutto all’esistenza di questo incompara-
mento e l’applicazione delle tecnologie di manipolazione biochimica, ed oggi bile creatore di realtà “meta-fisiche” che è il linguaggio umano.
anche genetica, che ha portato a propagare la specie praticamente in ogni an- Qualche generoso combattente dell’esercito darwinista – primo fra tutti il mio
golo della terra. Sotto il profilo della competizione non ha più alcun concor- carissimo amico e collega Francesco Ferretti – pensa che il modo migliore di
rente avendo assoggettato gli animali addomesticabili, trasformato grandi rintuzzare i rigurgiti creazionisti sia quello di negare queste assolute lapalissia-
mammiferi, uccelli e pesci allevabili, cacciato dagli habitat comuni gli altri ne evidenze, affannandosi a spiegare “perché non siamo speciali” (Ferretti
animali pericolosi, sconfitto persino le forme responsabili delle mortalità epi- 2007). O meglio perché solo attraverso il paradigma continuista, la lenta evo-
demiche. Infine, sotto il profilo della fertilità, secondo cui più una specie ha luzione adattativo-funzionale tanto cara anche alla psicologia evoluzionista,
facilità di riprodursi più sopravvive, nonostante l’handicap iniziale dovuto al- possiamo spiegare un fenomeno che si deve in tutti i modi negare: l’irrime-
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diabile complessità e diversità dell’uomo nella storia caotica e casuale della vi- genesi – e quella sociale – ovvero la sociogenesi di ogni forma culturale social-
ta. In questa direzione cerca di coinvolgere anche Chomsky che – notoria- mente trasmessa, sembrano richiedere una quantità di risorse energetiche (in
mente – la specificità assoluta del linguaggio umano la difende dagli anni ses- senso molto lato) direttamente proporzionale al grado di complessità rag-
santa, rifuggendo dalle spiegazioni evolutive pur autoproclamandosi più vol- giunto. La velocità con cui si afferma e si estende il dominio di una specie
te naturalista, biologista, innatista. sembra anticipare la repentinità della sua consumazione.
È certo che per cogliere questi aspetti occorre afferrare la lente delle grandi
2.3. Non voglio nascondermi dietro il politically correct: penso che sul lin- diacronie della prospettiva biologica. Applicare, quindi, per prima cosa, ad
guaggio abbia ragione Chomsky nonostante il suo antievoluzionismo dichia- ogni studio sulle strutture o sulle funzioni cognitive il metro cronologico: le
rato. Il motivo per cui, pur interpretando correttamente l’evoluzionismo, al- “sterminate antichità” – come le chiamava Vico – dicono molto di più della
cuni tra i migliori esponenti del post-darwinismo sono costretti a contorcere spettacolarità dei comportamenti sulla presunta riuscita degli adattamenti se-
le proprie argomentazioni sino a negare l’evidenza della diversità cognitiva del lettivi. Il Tilacino, ad esempio, era un fortissimo carnivoro australiano che
linguaggio umano (contorsione che tormentò, beninteso, lo stesso Darwin) è sembrava destinato all’eternità; detiene invece il record dei tempi di estinzio-
ancora una volta ideologico. Non è un caso che si tratti quasi sempre di filo- ne: è scomparso in soli cinquemila anni dopo l’introduzione esogena di un
sofi, sociologi, antropologi, insomma di studiosi di scienze umane. A questi normalissimo cagnetto, il Dingo, totalmente estraneo all’habitat indigeno ma
soggetti sembra di fare un torto alla “laicità degli studi” se ipotizziamo un rit- ghiottissimo dei piccoli uccelli e roditori di cui si nutriva il Tilacino.
mo di variazione esagerato, una rottura dei tempi di “maturazione” delle tra- La casualità, quindi, temperata e proiettata sulle sterminate antichità può
sformazioni strutturali-e-funzionali, un’accelerazione incommensurabile del quindi fornirci un vero punto di riferimento nel trasferire il paradigma evo-
passaggio a nuove proprietà emergenti a partire dalle vecchie declinanti. luzionista in quello cognitivista.
Per questi studiosi, come abbiamo visto, l’ambiente non umano è del tutto se- Come sta, da questo punto di vista, il nostro sapiens? Lo specchio della sua cro-
condario. Non li sfiora neanche l’idea che un pensiero genuinamente biologi- nologia è per il momento indecidibile: centomila anni non sono né una stermi-
co possa sostanzialmente disinteressarsi del caso umano. Proprio perché l’uo- nata e neppure una microscopica antichità. Sono una nullità nella storia della
mo è una delle tante componenti che materiano la biodiversità, è indifferen- speciazione biologica. Se estendiamo l’indagine su una scala più vasta, inclu-
te che la “complessità” umana sembri irriducibile a quella delle altre forme vi- dendovi almeno la genesi degli ominidi, qualcosa di interessante pare, tuttavia,
venti. Non è infatti questo il metro di misura della biologia evoluzionista: non già emergere. Dal ritrovamento dei fossili sappiamo che la prima apparizione
lo è mai stato, né mai lo sarà. degli Australopitechi conta cinque milioni di anni. Da allora ad oggi, mentre
Ciò a cui mira oggettivamente (nel senso della norma “vera” che secondo Put- continuano ad esistere buona parte delle specie che raggruppiamo sotto il nome
nam atterrisce gli antinaturalisti) la selezione naturale è la sopravvivenza. Non di “Primati”, ogni ramo degli ominidi precedente al nostro si è estinto.
si possono confondere le teorie della complessità con le teorie dell’evoluzione. In I più longevi in questa storia (certamente “ricostruita”, e non ancora piena-
una prospettiva radicalmente selettiva non vince l’organismo più complesso mente) sembrano essere i più rozzi: gli Australopitechi, la cui specie più lon-
ma quello che si adatta meglio: in genere il più semplice. Il celecanto ha sei- geva ha toccato il milione e duecentomila anni (l’Afarensis), e i Parantropi (il
cento milioni di anni, i bivalvi ottocento milioni, i batteri forse due miliardi Robustus e il Boisei) che si sono trascinati sulla terra per circa un milione e
di anni. I dinosauri si sono estinti in meno di cento milioni di anni. Molti mezzo di anni. Poi via via tutti gli altri, spariti in un arco di tempo che va da
mammiferi sono durati meno di un milione di anni. La consumazione di un milione a trecentomila anni. Anche all’interno del genere Homo il più lon-
infinite storie zoologiche sembra evidenziare l’inesorabile regola della propor- gevo sembra essere il più rozzo: l’Erectus che ha superato il milione e trecen-
zione inversa tra longevità e complessità. tomila anni. Poi più si affinano strutture, funzioni e comportamenti, più si
La complessità strutturale – cioè la filogenesi delle forme nella logica e nei vin- fanno cognitivamente riconoscibili rispetto a quelli che conosciamo oggi, più
coli del loro sviluppo – quella funzionale – cioè l’ontogenesi delle capacità e rapidamente sembra avvicinarsi l’estinzione. L’Homo habilis ci impiega tre-
delle abilità che realizza l’integrazione tra filogenesi, morfogenesi ed embrio- centocinquantamila anni, l’ergaster 250.000, il neanderthal 200.000. Il ceppo
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da cui deriviamo è un albero di suicìdi. Il genere Homo è oggi rappresentato rali interamente sotto il profilo della contro-adattività. La specializzazione co-
dal suo ultimo e unico rampollo. Se davvero la complessità strutturale, fun- gnitiva e culturale ad esempio, va considerata un capitolo centrale della storia
zionale e sociale fosse il metro infausto della sua rapidità di consunzione, que- delle estinzioni. Complessità e specializzazioni strutturali, funzionali e sociali
sto genere potrebbe avere i millenni contati. rendono fragili gli individui, le specie e le società. L’imitazione, la creatività,
le tecnologie rendono più estese le espansioni degli individui, delle famiglie e
3. Ciò non costituirebbe tuttavia un problema per la storia naturale che an- dei gruppi, ma più esposte e vulnerabili le società, meno disponibili a supera-
novererebbe un’altra delle sue illustri vittime. Un poco più per noi, in quan- re i cambiamenti radicali e più bisognosi del contesto. L’evoluzione culturale
to attori del film, naturalmente, non certo in quanto studiosi. Sia nella veste può alterare gli equilibri eto-ecologici sino a determinare l’estinzione precoce
di biologi evoluzionisti, sia in quella di scienziati cognitivi questa prospettiva, di specie che pure sembravano lanciate dalla loro intrinseca vocazione teleo-
ormai completamente naturalizzata, può suggerirci alcuni spunti di indagine nomica verso la più ampia affermazione.
che, in chiusura, mi permetto qui di suggerire al dibattito anche sotto forma
di provocatorio decalogo sintetico finale del perfetto bio-cognitivista: f ) studia in questa nuova prospettiva l’evoluzione del linguaggio, la forma sinora
più spettacolare di “specializzazione cognitiva contro-adattativa”. Il tratto vocale
a) non confondere le teorie della complessità con le teorie dell’evoluzione. Nel sopralaringeo, che nasce – secondo Fitch (2002) – come richiamo sessuale di-
campionato naturale per la sopravvivenza non conta il più bravo ma il più re- rettamente legato alla selettività riproduttiva, in appena centomila anni si è
sistente. Non si vince per i propri meriti, ma per i demeriti altrui; trasformato, secondo Richerson e Boyd (2005), nella maggior causa di dena-
talità dei paesi economicamente più sviluppati. Analogamente Diamond
b) applica subito ad ogni ipotesi speculativa sulla evoluzione degli organismi la (1992 e 2005) vede nel linguaggio il maggior responsabile del “collasso” eco-
tara deterministica: qualsiasi microvariazione organica non è mai adattivamen- logico del pianeta. Secondo Eibl-Eibesfeldt, inoltre,
te libera di orientarsi in uno spazio selettivo “neutrale” essendo comunque sot-
toposta ai vincoli della fisica e della chimica. Per esempio la storia dell’evolu- la guerra come aggressione distruttiva tra gruppi, condotta con l’uso di armi e pia-
zione scheletrica e cerebrale dei vertebrati, così importante per le scienze co- nificata strategicamente” (…) non “ritualizzata”, e quindi volta alla distruzione non
gnitive, comunque sia andata, non può non aver fatto i conti con la forza di simbolica degli avversari, è un risultato della pseudospeciazione culturale nel corso
gravità che tiene permanentemente schiacciati i corpi, e con la specifica consi- della quale i gruppi umani si allontanano gli uni dagli altri per lingua e costumi, e
stenza delle molecole di cui è composta la biochimica degli apparati ossei; giungono a definire come uomini a pieno titolo solamente se stessi (1983, p. 288).

c) applica ad ogni studio sulle strutture o sulle funzioni cognitive il metro cro- Non molto diversamente la pensano molti antropologi sociali. Più in genera-
nologico; le si possono attribuire evolutivamente al linguaggio l’affinamento massimo
delle funzioni formali nello sviluppo speciativo delle tecnologie, e quelle più
d) non dedicarti alla dimostrazione dei processi adattativi, praticamente infal- interpretative ed ermeneutiche connesse alla formazione di credenze e com-
sificabili, ma a quello dei processi contro-adattativi (o non-adattativi; anadattati- plessi di valori. Osservare l’esito di queste specializzazioni cognitive sulla sto-
vi, etc.) molto più verificabili perché di breve durata: Dio sta nelle catastrofi. ria adattativa della specie Homo sapiens potrebbe costituire un programma di
Come lo studio delle patologie nella filosofia del linguaggio ha rivelato speri- ricerca del tutto nuovo nell’ambito delle Scienze cognitive.
mentalmente i limiti, inferiori e superiori, delle funzioni cognitive più raffina-
te, analogamente lo studio dei maladattamenti lascia trasparire inequivocabil- In definitiva credo si possa dire che l’apporto dell’evoluzionismo alle scienze
mente, se non la ragione dei successi, almeno la causalità dei fallimenti; cognitive possa essere maggiormente apprezzabile in funzione distruttiva che
in funzione costruttiva. Come l’ecologia e l’etologia, la biologia evoluzionista
e) analizza la storia delle specializzazioni strutturali, funzionali e socio-cultu- e la genetica delle popolazioni mirano a ricostruire più gli intricati reticoli dei
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divieti e delle restrizioni che l’indimostrabile topica delle possibilità e delle ca- Lovejoy C.O. (2005) The natural history of human gait and posture. Part 1. Spine
pacità di individui e specie. Ci permettono, quindi, un maggior ancoramen- and pelvis, Gait and Posture, 21, pp. 95-112.
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Giorgio Vallortigara una specie meno complessa (in qualsivoglia struttura del corpo, cervello in-
Università degli studi di Trieste cluso) non possa essere derivata da una specie meno complessa. L’evoluzione
Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive per selezione naturale non implica la costruzione di cervelli sempre più com-
dell’Università di Padova plessi, perché non è la complessità di struttura il criterio su cui essa opera,
bensì la sopravvivenza selettiva e la riproduzione (chi ha detto che ci si ripro-
duce di più con un grande cervello?).
Vedo tracce del pregiudizio nelle risposte che raccolgo alla domanda che mi
piace porre ai miei amici psicologi cognitivi e neuropsicologi: quale specie
animale (non umana) dovrebbe usare uno scienziato cognitivo per le sue ri-
Strutture e funzioni. cerche? La risposta è, di solito, che dovrebbe usare quanto di più filogenetica-
Due storie personali sul ruolo mente prossimo alla nostra specie sia disponibile, fatti salvi i vincoli di bud-
get. Quindi le scimmie, in prima istanza. Se lo scienziato cognitivo non ha ab-
delle spiegazioni evoluzionistiche bastanza quattrini per comperare le scimmie allora i ratti o i topi. Grazie al
cielo (anzi, grazie alle agenzie di fondi per la ricerca europee) il mio laborato-
nelle scienze cognitive rio in questi ultimi anni è stato ben finanziato. Tuttavia è stato abitato sola-
mente da pulcini, varie specie di pesci, rospi e, ultimamente, da api. Niente
Voglio raccontarvi due storie, relative alla mia personale attività di ricerca, che scimmie. E non prevedo di acquistarne nel prossimo futuro.
possono illustrare la natura di alcune persistenti difficoltà nel far proprio il A quanto pare circola una concezione davvero ingenua del modo in cui nelle
modo di pensare evoluzionistico all’interno delle scienze cognitive. Due sto- scienze biologiche si seleziona un animale come modello per studiare un cer-
rie di ottusità personale, sarebbe il caso di dire. to problema scientifico. Quello della vicinanza filogenetica è solo un possibi-
Tutti noi scienziati cognitivi e neuro-cognitivi ci portiamo dietro quello che le criterio, spesso non il più importante. Dalla genetica alla neurobiologia i
io amo definire “il pregiudizio della grande scalinata”. Sospetto che questo af- successi più importanti nella ricerca di base sono stati conseguiti impiegando
fondi le sue radici nella nostra costituzione biologica e che perciò meritereb- animali filogeneticamente lontanissimi dall’uomo, come il moscerino della
be di essere indagato di per sé stesso, nell’ambito di quella che oggi viene chia- frutta o la lepre di mare (Aplysia californica).
mata “folk biology”. Ad ogni modo qua il pregiudizio mi interessa soltanto
perché spesso rende difficile la comunicazione tra chi studia gli esseri umani Veniamo adesso alla prima storia personale. Mi interessa il problema dell’o-
e chi invece ha rivolto il proprio interesse di sperimentatore ad altre specie. rigine e della natura della conoscenza nelle creature viventi. In special mo-
Esso riguarda l’idea che esista una sorta di scala ascendente delle creature vi- do mi interessa quanto e che cosa sanno gli organismi appena venuti al
venti, che vede collocati sui gradini più bassi le creature meno complesse e mondo, prima che le esperienze inizino a scolpire le loro menti. I neonati
meno evolute e agli apici quelle più evolute e complesse, i primati e in special della nostra specie non sono soggetti interessanti per le mie ricerche (anche
modo i primati umani. Il pregiudizio si palesa nell’espressione “specie più evo- se, come vi dirò tra breve, possono diventarlo) per via delle limitazioni in
lute” o nel suo complementare “specie meno evolute”. Ovviamente per gli or- quello che sanno fare e in quello che si può loro fare. Non ho in mente qua
ganismi attualmente viventi – gli unici che possiamo studiare direttamente nulla di particolarmente truculento, intendiamoci. Tuttavia è un dato di fat-
per ciò che riguarda il comportamento e i tessuti molli come il cervello – non to che non posso, per molte buone ragioni, controllare accuratamente le
ha alcun senso parlare di specie più o meno evolute. Sono tutte specie egual- esperienze dei neonati prima che giungano nel mio laboratorio. Posso farlo
mente evolute. Ho spiegato altrove (Vallortigara 2004, 2006c) con maggiori invece molto bene con le specie cosiddette a sviluppo precoce, come il pul-
dettagli perché neppure il criterio della complessità di struttura consenta di cino del pollo domestico.
porre i viventi in una scala evolutiva lineare e progressiva: è falso ritenere che Un collega tedesco che adesso lavora in Canada, Niko Troje, ha introdotto re-
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centemente l’espressione “life detector” (forse imperfetta, ma che rende bene duceva il movimento di un potenziale predatore, un gatto. Il risultato è stato
l’idea), per indicare il problema di come gli organismi riconoscano le altre en- che il gatto era avvicinato dai pulcini tanto quanto la gallina!
tità animate (Troje e Westhoff 2006). Con i miei collaboratori abbiamo cer- L’ottusità personale, qua, riguardava la natura delle informazioni che l’inna-
cato di capire con quale genere di informazione il pulcino venga al mondo per ta maestra elementare (come la chiamava Lorenz), alias selezione naturale,
affrontare tale problema. Il mio interesse è di vecchia data e, in origine, di na- mette a disposizione delle creature biologiche all’alba dei loro comporta-
tura squisitamente etologica. menti. Non avrebbe alcun senso dotare il pulcino in partenza dell’informa-
Tutti conoscete l’imprinting, il fenomeno di rapido attaccamento sociale che zione specifica sul movimento della chioccia: questo lo può imparare da sé,
i piccoli delle specie nidifughe manifestano nei riguardi del primo oggetto co- per esposizione, attraverso il meccanismo dell’imprinting. Conviene, però,
spicuo che entri nel loro campo visivo subito dopo la nascita. Gli etologi san- dotare il pulcino di un meccanismo selettivo, una specie di filtro che incana-
no che qualsiasi oggetto, naturale come una chioccia o artificiale come un cu- la il processo di apprendimento verso certi tipi di stimoli anziché altri. Que-
bo colorato, va bene a questo scopo; meglio, però, se l’oggetto è in movi- sto perché vi sono tante cose che si muovono nel mondo quando il pulcino
mento. La mia curiosità riguardava la sensibilità degli animali ai diversi tipi di mette la testa fuori del guscio. Alcune, per esempio il movimento delle foglie
movimento. Ovviamente sapevo che il movimento attira l’attenzione. E sape- mosse dal vento o di una pietra che rotola, conviene ignorarle, per destinare
vo che le entità capaci di auto-propulsione hanno una natura intuitivamente invece la propria attenzione ai movimenti semi-rigidi, che sono tipici degli
diversa da quella delle entità che si muovono solo per contatto fisico con al- oggetti biologici. Poco importa se così facendo si corre il rischio di avvicina-
tre entità (Spelke 2000, 2003). Però avevo in mente qualcosa di più specifico, re i gatti oltre che le galline. Normalmente fuori del guscio c’è la gallina ad
perché una gallina, ad esempio, si muove in un modo affatto speciale, e mi attendere il pulcino. E se per caso c’è un gatto, il pulcino sarà comunque un
domandavo se il pulcino non nascesse già predisposto ad avvicinare quel par- pasto per il gatto, che lo avvicini o meno.
ticolare tipo di movimento rispetto ad altri. Mi sbagliavo, ovviamente, e avrei Quando si discute, in particolar modo in psicologia dello sviluppo, delle co-
dovuto capirlo. È valsa però la pena di condurre gli esperimenti (come mi ha noscenze innate, che farebbero parte del nostro repertorio biologico di specie,
ricordato l’altra sera a cena, qua a Noto, Dado Boncinelli, nessun dato speri- bisognerebbe sempre considerare che la selezione naturale opera al risparmio.
mentale è mai stato davvero anticipato dalla mera riflessione teorica!). E lo fa in maniera largamente inter-specifica, sulla base dei vincoli più gene-
Non sto a raccontarvi i dettagli degli esperimenti, ma l’idea generale è abba- rali cui soggiacciono tutti i viventi di un certo gruppo tassonomico. France-
stanza semplice. Usando la tecnica introdotta dallo psicologo svedese Gunnar sca Simion e Lucia Regolin all’università di Padova hanno recentemente pro-
Johannson (1973), abbiamo costruito degli stimoli costituiti da punti che ri- vato a usare i nostri stimoli-gallina con i neonati della specie umana (Simion
producevano il movimento di una gallina (vedi Fig. 1) oppure, a parità di tut- et al., subm.). Risultato: i neonati di poche ore di vita preferiscono guardare
te le altre condizioni, un movimento di tipo rigido oppure uno di tipo casua- punti che si muovono come una gallina anziché punti che si muovono rigi-
le (Vallortigara et al. 2005). I pulcini, appena nati e privi di qualsiasi altra damente o in modo casuale. Una gallina, pensate un po’… Sembra bizzarro
esperienza visiva, preferivano in effetti avvicinare i punti che si muovevano co- perfino per dei neonati padovani!
me una gallina anziché quelli che si muovevano come un oggetto rigido o in I neonati mostrano anche un secondo tipo di effetto che avevamo in prece-
maniera casuale. Tuttavia, con mia sorpresa, quando i puntini sulla gallina denza documentato nei pulcini appena nati (cfr. Vallortigara e Regolin 2006):
erano spostati a caso, pur mantenendo ciascuno la propria traiettoria origina- se il movimento della gallina costituita di punti viene presentato ruotato di
le, i pulcini continuavano a preferire questo stimolo allo stimolo rigido o ca- 180 gradi (vedi Fig. 1), i pulcini non l’avvicinano più (e i neonati non la guar-
suale, sebbene non fosse più riconoscibile in esso alcuna gallina. Apparente- dano di più rispetto agli stimoli rigidi e casuali). Niko Troje pensa che qua sia
mente, quello che contava non era il movimento specifico della gallina, quan- in gioco un “bias” legato alla direzione della gravità, che agirebbe specifica-
to il fatto che il movimento fosse un movimento di tipo “biologico”, conte- mente in relazione al moto delle gambe – e che perciò si applicherebbe in mo-
nente, cioè, una mistura di elementi di rigidità e di elasticità tra le parti. Per do generalizzato alle creature dotate di gambe (quindi, più che di un “life de-
verificare questo abbiamo provato a utilizzare uno stimolo a punti che ripro- tector” si tratterebbe di un “legs detector” (cfr. anche Johnson 2006). Gli espe-
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rimenti rilevanti per ciò che concerne quest’ipotesi sono ancora in corso nel zione sulle asimmetrie cerebrali, sia strutturali che funzionali, dei mammiferi
mio laboratorio e quindi non so anticiparvi la conclusione. Stiamo anche cer- non-umani. Tra i casi meglio documentati vi sono le evidenze sulla superiorità
cando di capire quali aree nel cervello dell’animale siano responsabili della dell’emisfero destro nell’elaborazione delle mappe spaziali dell’ambiente e nel ri-
predisposizione innata e, forse, le moderne tecniche di topografia ottica con- conoscimento di facce e stimoli sociali familiari (vedi ad esempio il “Focus” che
sentiranno adesso o un domani non troppo lontano di fare lo stesso anche nel la rivista Cortex ha recentemente dedicato all’argomento, con i contributi dei
cervello dei neonati (il problema nasce dal fatto che molto probabilmente la principali ricercatori nel settore; Vallortigara 2005).
predisposizione è legata all’attività di neuroni mesencefalici anziché corticali,
che può essere studiata nell’animale con procedure invasive, ma non nel neo- Ma perché l’uomo e gli altri animali hanno cervelli asimmetrici? Sono stati
nato con la risoluzione attuale della topografia ottica). ipotizzati diversi vantaggi. Ad esempio, si risparmia materiale (neuroni) fa-
Il secondo esempio di ottusità personale riguarda un problema cui mi sono cendo sì che le due metà del cervello svolgano funzioni diverse, senza ri-
dedicato per molti anni, quello dell’evoluzione dell’asimmetria cerebrale. Nel- dondanti duplicazioni di funzioni. Poi, soprattutto negli animali con gli oc-
le scienze cognitive si è creduto a lungo che il diverso ruolo dei due emisferi chi posizionati lateralmente, che vedono porzioni differenti del campo visi-
cerebrali, destro e sinistro, nei processi mentali fosse un’esclusiva della nostra vo scarsamente integrate tra loro, diventa essenziale che una metà del cer-
specie. Ciò a causa del fatto che la sua primissima manifestazione osservata è vello svolga funzioni di controllo e di decisione sull’azione (altrimenti l’ani-
stata quella associata al linguaggio: nella gran maggioranza delle persone, le le- male si troverebbe “bloccato” nell’incertezza tra opzioni diverse come il fa-
sioni di certe aree dell’emisfero sinistro producono deficit nella comprensione moso asino di Buridano).
e produzione linguistica, non così le lesioni delle aree corrispondenti nell’e- Non pago delle ipotesi già disponibili ho contribuito io stesso a formularne
misfero destro. L’associazione tra lateralità e linguaggio ha fatto sì che si pen- un’altra: molti compiti cognitivi richiedono di essere svolti da meccanismi di-
sasse che l’una non potesse esistere senza l’altro. Ma, in realtà, la lateralizza- stinti, a causa di certe incompatibilità intrinseche al funzionamento di diffe-
zione cerebrale è comparsa molto prima del linguaggio. In questi ultimi anni renti modalità di elaborazione delle informazioni, ma in modo simultaneo. La
se ne sono trovate manifestazioni sorprendenti in organismi filogeneticamen- lateralizzazione funzionale parrebbe essere una buona strategia per realizzare
te disparati, dai pesci agli anfibi, dagli scimpanzè ai colombi (per una rassegna simultaneamente e parallelamente computazioni distinte nei due emisferi ce-
recente vedi Vallortigara e Rogers 2005). rebrali (Vallortigara et al. 1999). Anche questa ipotesi, come per la verità tut-
La manifestazione più ovvia della lateralizzazione del cervello nella nostra specie te le altre, gode di un certo supporto empirico (Rogers et al. 2004).
riguarda l’uso asimmetrico delle mani, con dominanza, nella maggioranza della Tutto ciò rappresenta però solo parte della storia. C’è infatti un aspetto che è
popolazione, della mano destra. Bisogna considerare, però, che l’uso asimmetri- stato completamente trascurato in tutte le spiegazioni sedicenti “evoluzioni-
co degli arti non è l’unica possibile manifestazione comportamentale dell’asim- stiche” che sono state formulate per spiegare l’origine dell’asimmetria cere-
metria del cervello. Negli animali con gli occhi collocati lateralmente sul capo brale. Apparentemente il possesso di un cervello asimmetrico può migliorare
(nei quali le vie di collegamento al cervello sono almeno inizialmente pressoché le prestazioni dell’animale indipendentemente dalla direzione dell’asimmetria.
completamente incrociate) sono state osservate recentemente un gran numero Ma se è così perché la maggior parte degli animali all’interno di una popola-
di asimmetrie funzionali. Ad esempio, l’occhio destro (ma sarebbe più corretto zione dovrebbe mostrare asimmetrie nella stessa direzione? Le asimmetrie di
dire l’emicampo visivo di destra) sembra specializzato nella rilevazione delle pre- cui stiamo parlando sono infatti asimmetrie “direzionali”, nel senso che più
de, mentre il sinistro manifesta risposte più pronte ai predatori e agli stimoli di del 50% degli individui della specie mostra asimmetria nella medesima dire-
tipo sociale. Ciò è stato osservato nel mio laboratorio e confermato in numero- zione. Consideriamo l’uso della mano destra nella specie umana. Essa si os-
si altri laboratori in varie specie di uccelli, nei pesci e nei rettili (vedi Vallortiga- serva in più del 90% della popolazione. Assumiamo che vi siano dei vantaggi
ra, 2000; Vallortigara et al. 1999, Vallortigara 2006b). Negli uccelli l’asimme- legati alla differente funzionalità delle due mani (e dei due emisferi cerebrali).
tria di funzioni tra l’emisfero destro e sinistro è nota da tempo e si manifesta in Questi vantaggi, è ovvio, sono relativi all’asimmetria in sé, non alla sua dire-
modo molto spiccato; negli ultimi anni, poi, è stata raccolta molta documenta- zione. Potremmo benissimo avere il 50% degli individui che favorisce l’uso
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della mano destra e il 50% quello della mano sinistra. Tutti questi individui, tendono a stare in gruppo per “diluire” i rischi della predazione. Se sei un pe-
destrimani o mancini che fossero, sarebbero egualmente avvantaggiati dal fat- sce e stai in un banco le dimensioni del banco sono calibrate in relazione a
to d’essere asimmetrici, pur senza che si evidenzi asimmetria direzionale (cioè questi vantaggi antipredatori. Ma nel banco è importante che il comporta-
nella stessa direzione) nella popolazione. mento degli individui sia coordinato: per un pesce asimmetrico all’interno del
Il problema è che la migliore prestazione cerebrale associata al possesso di un banco è cruciale l’allineamento della sua asimmetria con quella degli altri
cervello asimmetrico è un vantaggio individuale, rispetto al quale la direzione membri del gruppo. Ciò implica che tutti gli organismi dovrebbero quindi gi-
dell’asimmetria degli altri individui parrebbe affatto ininfluente. Ma perché si rare dallo stesso lato? E quindi che la lateralizzazione direzionale dovrebbe
è verificato allora che le asimmetrie sono (in molte specie e in molte circo- avere caratteristiche tutto-o-nulla (tutti che girano a sinistra o tutti che gira-
stanze) di tipo direzionale piuttosto che individuale? Si potrebbe immaginare no a destra perché chi trasgredisce è un pesce morto)? Non proprio. I dati bio-
che ciò sia il sottoprodotto accidentale di una determinazione di tipo geneti- logici ci dicono che normalmente vi è un polimorfismo stabile nelle popola-
co, in cui l’asimmetria è specificata fin dall’inizio con una particolare direzio- zioni. Per esempio, vi è una percentuale abbastanza fissa, circa il 10%, di in-
ne. Gli individui erediterebbero quindi il fatto di essere asimmetrici assieme a dividui mancini nella specie umana per ciò che concerne l’asimmetria nell’u-
una ben specificata direzione di asimmetria. È possibile che in qualche modo so delle mani. La teoria predice esattamente questa eventualità: gli individui
le cose stiano davvero così, ma ciò solleva un nuovo ordine di problemi. che fuggono dal predatore sul lato “sbagliato” sono penalizzati, perché perdo-
Supponiamo, ad esempio, che la gran parte degli animali di una certa specie no contatto con il grosso del banco, ma hanno un vantaggio perché manife-
tenda a scappare verso sinistra quando avvista un predatore (ciò è stato docu- stano un comportamento inaspettato dal punto di vista del predatore. Il van-
mentato di recente in varie specie di pesci; cfr. Vallortigara e Rogers 2005). La taggio, ovviamente, si mantiene solo se questi sono pochi, una minoranza nel-
prevedibilità di comportamento associata a una tale asimmetria può però es- la popolazione. I biologi si riferiscono a questo fenomeno con l’espressione
sere sfruttata dai predatori. Se ciascun individuo di quella specie di potenzia- “selezione dipendente dalla frequenza”.
li prede fosse invece asimmetrico solo a livello individuale (ma non a livello di Le spiegazioni funzionali, evolutive, per essere tali debbono riconoscere e ren-
popolazione) il predatore non avrebbe modo di prevedere incontrando un dere conto di tutte le caratteristiche biologiche di un fenomeno. Nel caso spe-
particolare individuo se questi fuggirà a destra oppure a sinistra. cifico della lateralizzazione cerebrale, si tratta di riconoscere che certi problemi
Se allineare le asimmetrie nei diversi individui determina tali evidenti svan- non sono di natura neurologica (come contribuisce l’asimmetria di funzioni al
taggi, per quale ragione allora la selezione naturale ha prodotto le asimmetrie miglior funzionamento della macchina cerebrale?), ma ecologica (come contri-
direzionali? Non era meglio limitarsi a costruire organismi con cervelli indi- buisce l’asimmetria di funzioni al più efficace comportamento di un individuo
vidualmente asimmetrici, cioè con una direzione equiprobabile delle asimme- in relazione a quello degli altri individui?). La lezione, anche in questo caso, era
trie, 50% a destra e 50% a sinistra? semplice (ma perché ci ho messo così tanto tempo per capirla?).

L’ipotesi di spiegazione che ho formulato recentemente assieme ai miei colla-


boratori sfrutta la teoria matematica dei giochi e il concetto di “strategia evo- Riferimenti bibliografici
lutivamente stabile” (Ghirlanda e Vallortigara 2004, Vallortigara e Rogers Ghirlanda S., Vallortigara G. (2004) The evolution of brain lateralization: A game theo-
2005, Vallortigara 2006a). Si basa sulla semplice considerazione che molti or- retical analysis of population structure, Proc. Royal Soc. London B, 271, pp. 853-857.
ganismi posseggono una vita di relazione, cioè interagiscono gli uni con gli al- Johansson G. (1973) Visual perception of biological motion and a model for its
tri. Può accadere allora che in certe situazioni ciò che è meglio fare per un in- analysis percept, Psychophys., 14, pp. 201-211.
dividuo (asimmetrico) dipende da ciò che fanno gli altri individui (pure loro Johnson M. (2006) Biological Motion: A Perceptual Life Detector?, Curr. Biol., 16,
asimmetrici) del suo gruppo. Per esempio, è vero che organismi che scappas- pp. R376-R377.
sero sempre a sinistra mostrerebbero un comportamento prevedibile che po- Spelke E.S. (2000) Core knowledge, Amer. Psychol., 55, pp. 1233-1243.
trebbe essere sfruttato dai predatori, ma è altresì vero che spesso gli animali Spelke E.S. (2003) What makes us smart. Core knowledge and natural language, in

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Legenda della figura


Figura 1: Esempi degli stimoli utilizzati da Vallortigara et al. (2005) per stu-
diare le predisposizioni innate nel riconoscimento del movimento biologico
nei pulcini appena nati. A sinistra una gallina in posizione canonica, a destra
la stessa gallina a testa in giù. I pulcini non riconoscono il movimento della
gallina a testa in giù (Vallortigara e Regolin, 2006).
88 89
Telmo Pievani stica, che cadono nei tranelli narrativi delle spiegazioni ad hoc di tipo adatta-
Università degli studi di Milano Bicocca zionista. Tornerò su questo argomento in chiusura del mio ragionamento.
Prima vorrei riprendere alcuni temi molto interessanti proposti da Giorgio
Vallortigara. Mi limito intanto a rideclinarli e poi a lanciare a mia volta altre
provocazioni. Mi ricollego in particolare al tema del rapporto difficile e am-
biguo tra evoluzione biologica neodarwiniana e complessità delle strutture e
delle organizzazioni nelle scienze del vivente. Torniamo a due questioni evo-
Darwinizzare Chomsky cate poco fa. Vallortigara ha scelto un esempio molto importante, l’ultimo,
con moderazione per il quale ha chiamato in causa una serie di meccanismi evolutivi, come il
consolidarsi di strategie evolutivamente stabili e la selezione dipendente dalla
frequenza, che dal mio punto di vista offrono un messaggio significativo. Os-
Grazie davvero a Ninni Pennisi sia per l’invito a questa tavola rotonda sia per serviamo un’evidenza empirica apparentemente contraddittoria: un compor-
le provocazioni molto acute con le quali mi cede gentilmente la parola. Non tamento individuale vantaggioso rischia di essere svantaggioso a livello di po-
sono sicuro di poter rispondere a queste domande adeguatamente, ma credo polazione, o viceversa. Questo ci fa capire un aspetto decisivo della spiegazio-
di essere d’accordo con questa impostazione, anche se forse per ragioni leg- ne evoluzionistica: il fatto di essere un gioco, dicendolo con John Maynard
germente diverse dalle sue. Sulla domanda se vi sia o meno una compatibili- Smith, di compromessi selettivi a diversi livelli. Il risultato di questo intreccio
tà fra la spiegazione evoluzionistica e le scienze cognitive, molto banalmente di spinte eterogenee non è quasi mai quello di una pressione selettiva univo-
si potrebbe rispondere che non potrebbe non esserci se partiamo da una co- ca e lineare che produce un tratto ottimale ma è in molti casi un equilibrio
mune opzione di tipo naturalistico. Altrimenti da dove trarrebbe origine, se precario di pressioni selettive anche contraddittorie che trovano di volta in
non dall’evoluzione biologica, la nostra mente? Il punto però non è così sem- volta, in modo contingente, i loro trade off selettivi.
plice, perchè, come si è detto giustamente ora, occorre mettere in atto una se- Il secondo spunto riguarda la perfezione e i suoi rischi. È un’idea molto sugge-
rie di cautele epistemologiche sia nel caso della spiegazione evoluzionistica sia stiva, Stephen Jay Gould l’amava molto, anche se forse la drammatizzava un po’
nel caso delle scienze cognitive. troppo ricordando come le specie più specializzate e più adattate siano quelle in
cima alla lista dei candidati all’estinzione. Basta infatti un piccolo cambiamen-
to ambientale per destabilizzarle. Ciò è vero in alcuni casi di iper-specializzazio-
1. Compromessi selettivi ne, una condizione che può creare difficoltà perchè espone le popolazioni e le
Si evocavano poco fa i pericoli, per esempio, di un approccio adattazionista specie a una maggiore vulnerabilità rispetto ai cambiamenti ambientali. Rende
troppo rigido e di stampo esclusivamente funzionalista. Mi trovo d’accordo nel- più difficile, banalmente, rincorrere l’habitat in trasformazione o manifestare
la sostanza, anche se forse non radicalizzerei troppo questa critica. Alcuni evo- quella flessibilità adattativa che in molti contesti, soprattutto di instabilità eco-
luzionisti, ma a dire il vero assai più spesso alcuni filosofi che si sono occupati logica, è fondamentale. Il messaggio di fondo, tuttavia, è ancora quello darwi-
di evoluzione, hanno pensato di poter sostituire l’architetto celeste della teolo- niano classico: cioè che l’adattamento è un concetto scivoloso perché indica sia
gia naturale pre-darwiniana con un ingegnere onnipotente e ottimizzante asso- il processo sia il prodotto del processo, è un fenomeno relativo a contesti can-
ciato al meccanismo della selezione naturale tratto per tratto, o modulo per mo- gianti ed è una condizione, come notava Darwin stesso già dai suoi Taccuini
dulo. Si tratta di una semplificazione fuorviante, in effetti, anche se penso che giovanili del 1837-1838, destinata a rimanere incompiuta. Insomma, è un pro-
nella pratica concreta della ricerca sperimentale in campo evoluzionistico sia sta- cesso di cambiamento immerso in contesti ecologici contingenti.
ta di fatto abbondantemente superata. Non mi sembra un tema sul quale im-
prontare una battaglia così radicale, anche se indubbiamente esistono alcuni
esponenti della vecchia sociobiologia, o della più recente psicologia evoluzioni-
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2. Il problema degli stadi incipienti passaggio in passaggio era in azione una funzione adattativa specifica, potesse
Eppure – e questo è un caso di studio molto particolare che illumina in mo- anche essere un continuista, o meglio un gradualista, cioè qualcuno convinto
do interessante anche le scienze cognitive – noi sappiamo che l’evoluzione è che gli organi, i tratti, si sviluppassero passo dopo passo, senza salti, senza dis-
stata capace di produrre strutture e organi di estrema complessità e perfezio- continuità. Come si poteva spiegare infatti, concluse Mivart, l’inizio di un oc-
ne. Come è possibile, se il processo è così poco ottimizzato, così in balìa di chio o l’inizio di un’ala, cioè di organi estremamente complessi le cui fasi iniziali
percorsi contingenti di esplorazione di possibilità adattative locali? Si tratta di non potevano certo essere utili per le funzioni che avrebbero avuto in seguito?
una questione che occupa quasi un intero capitolo dell’edizione che leggiamo La selezione naturale, sostenne Mivart, era incapace di spiegare gli stadi inci-
tutti de L’Origine delle specie, cioè la sesta del 1872. È un problema che peral- pienti di strutture estremamente complesse, che richiedono molte parti orga-
tro Darwin aveva ben in mente già da giovanissimo, ancora non trentenne, nizzate che interagiscono fra loro e sono disposte oggi in modo tale da svolgere
quando scrive i suoi primi taccuini appena tornato dal viaggio con il Beagle, una funzione specifica. Nel caso dell’occhio, le parti oggi cooperano per per-
i “taccuini della trasmutazione”. Darwin sta per formulare il meccanismo che mettere all’animale di vedere, ma il 5% di un occhio non serve di vedere.
poi chiamerà di selezione naturale, o sopravvivenza differenziale, ma ad un Il tranello di Mivart era quello di indurre Darwin in contraddizione e di por-
certo punto, preso da un momentaneo pessimismo, scrive un appunto e con- tarlo a rispondere in uno dei due modi che per lui sarebbero stati altrettanto
fessa a se stesso che forse non riuscirà mai a spiegare come in natura possano inaccettabili: dire cioè che l’occhio si era sviluppato tutto d’un colpo oppure
originarsi, attraverso questi meccanismi naturali, organi di complessità straor- ipotizzare che l’occhio fin dall’inizio si fosse sviluppato per la sua funzione
dinaria come un occhio, che ha conservato nel corso del tempo la trama del- finale, come se la selezione naturale e gli altri meccanismi naturali in qualche
le relazioni che costituiscono la sua pregevolissima organizzazione. Nel luglio modo prevedessero il futuro e lo condizionassero finalisticamente. Darwin ca-
del 1838 lo assale un dubbio: “Forse non saremo mai capaci”, scrive nel Tac- pisce benissimo la questione e, con onestà intellettuale, non la sottovaluta ma
cuino C, “di ricostruire gli stadi attraverso i quali l’organizzazione dell’occhio, la considera rilevante. Dedica passaggi significativi della sesta edizione dell’O-
passando da uno stadio più semplice a uno più perfetto, conserva le proprie rigine delle specie a questa obiezione e risponde avanzando due ipotesi ausilia-
relazioni. Questa forse è la difficoltà più grande di tutta la mia teoria”. rie o ad hoc, nel senso che al momento di proporle sa di non avere gli elementi
Il pericolo di cui Darwin si accorse fin dagli esordi consisteva nella possibile empirici per provarne la realtà.
contraddizione fra due principi cardine della spiegazione evoluzionistica: se il
cambiamento avviene gradualmente, senza soluzioni di continuità, e la sele-
zione naturale ha bisogno di riconoscere, ad ogni stadio, un vantaggio adatta- 3. Le due assunzioni ausiliarie di Darwin
tivo per quanto infinitesimale, per svolgere quale funzione si sviluppano gli Si esce da questo problema, propone Darwin, in due modi: innanzitutto, pos-
stadi incipienti di organi particolarmente complessi come un occhio o un’ala? siamo ipotizzare che la selezione naturale implementi una struttura perché fin
Difficile immaginare che un abbozzo di ala possa servire per spiccare il volo. dall’inizio anche gli stadi incipienti, il 5 per cento di un’ala, il 5 per cento di un
Il problema è che l’evoluzionista non può rinunciare né all’uno né all’altro dei occhio, offrono comunque l’inizio di un vantaggio adattativo visibile dalla sele-
principi di partenza: non può ipotizzare che l’occhio si sia formato tutto in un zione naturale. In un ambiente ostile pieno di predatori, una cellula fotosensibi-
colpo, né che all’inizio la natura lo stesse plasmando finalisticamente “in vi- le per avvertire la vicinanza di un nemico è sempre meglio di niente. La struttu-
sta” della sua utilità futura. L’obiezione verrà rilanciata alcuni decenni più tar- ra garantisce un vantaggio iniziale, che è in continuità con l’adattamento prin-
di da George St. Mivart e sarà presa seriamente in considerazione nel sesto ca- cipale in azione anche oggi, e viene progressivamente implementata, migliorata
pitolo della sesta edizione de L’origine delle specie del 1872: “Supporre che l’oc- e perfezionata per quel vantaggio offerto ai suoi portatori. In questo modo, so-
chio, con tutti i suoi inimitabili congegni, … possa essersi formato per sele- no garantite sia la continuità del processo evolutivo, senza salti e senza disconti-
zione naturale sembra, lo ammetto francamente, del tutto assurdo”. nuità miracolose, sia l’azione permanente di una pressione selettiva specifica.
George St. Mivart chiese in sostanza a Darwin di spiegare come fosse possibile Poi però Darwin aggiunge una seconda risposta: questa è soltanto una prima
che un funzionalista, cioè chi pensava che la selezione naturale agisse perchè di possibilità, la seconda è che possa avvenire un altro tipo di processo, cioè che
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una struttura in natura possa svilupparsi in virtù di una certa funzione adattati- interessanti oggi in corso per aggiornare l’impianto della teoria dell’evoluzio-
va iniziale in un dato contesto e poi nel corso del processo evolutivo venga co- ne. Eppure, l’argomento della presunta impermeabilità alla spiegazione evo-
optata, convertita o “riciclata” per svolgere una funzione anche completamente luzionistica di alcune strutture particolarmente complesse non ha affascinato
diversa. Si tratta di un processo che molto tempo dopo, nel 1982, Stephen J. soltanto i creazionisti. Colpisce molto notare che, per ragioni completamente
Gould ed Elisabeth Vrba chiameranno “exaptation”, cioè cooptazione funzio- diverse, un argomento analogo venne evocato nel 1988 da Noam Chomsky,
nale di strutture originatesi per una funzione adattativa primaria indipendente il quale, riferendosi alla facoltà del linguaggio, affermò che la selezione natu-
o anche per nessuna funzione adattativa iniziale. Ne deriva l’intuizione, oggi di rale non sarebbe mai riuscita a spiegare come possano aver avuto origine or-
grande attualità per i biologi evoluzionisti, che la selezione non agisca soltanto gani complessi come un’ala e come un occhio, e appunto proprio come il lin-
come un ingegnere che ottimizza i suoi modelli, ma più spesso come un arti- guaggio, che a maggior ragione esibirebbe una complessità irriducibile ad una
giano che rimaneggia il materiale a disposizione al variare delle circostanze. La spiegazione naturalistica ed evoluzionistica.
perfezione, come già Darwin aveva notato, è sempre relativa a un contesto di In Language and Problems of Knowledge, nella convinzione che il linguaggio
pressioni selettive contingenti e non sempre l’utilità attuale di un organo, o di goda di totale autonomia dalle altre facoltà cognitive e che non vi siano nessi
un comportamento, corrisponde alla sua origine storica. di continuità con il resto del mondo animale, Chomsky giunge alla conclu-
Non solo, Darwin nel 1872 aggiunge anche un’altra nota: evidentemente si ac- sione che “nel caso di sistemi come il linguaggio o le ali non è facile nemme-
corge che questa seconda ipotesi ausiliaria è suscettibile di un’ulteriore contro- no immaginare uno sviluppo della selezione che abbia dato loro origine. Un’a-
obiezione logica immediata, alquanto semplice. Se una struttura per una certa la rudimentale, per esempio, non è ‘utile’ per il movimento, anzi è più un im-
fase della storia evolutiva ha svolto una certa funzione e poi viene convertita per pedimento. Perché mai dunque deve svilupparsi quest’organo negli stati pri-
tutt’altro, che cosa garantisce il proseguimento della funzione precedente e i re- mitivi dell’evoluzione?”. L’impianto dell’argomento è esattamente quello del-
lativi vantaggi acquisiti? Nella visione darwiniana difficilmente può esserci una la difficoltà della selezione naturale di spiegare organi o strutture estrema-
fase con strutture disadattative o controadattative, perché la selezione agirebbe mente complesse. Si fissa così quella sfortunata profezia di Chomsky a pro-
per eliminarne i portatori. Affinché dunque sia plausibile la seconda ipotesi, è posito dell’incompetenza dell’evoluzione nel dar conto delle proprietà elusive
necessario supporre che la natura abbia la tendenza ad essere ridondante, cioè del linguaggio, facoltà autonoma senza una continuità naturale ravvisabile, ir-
che sia possibile che in natura un organo possa svolgere più funzioni e una fun- riducibile nella sua complessità. Per estensione, l’umanità stessa, che è con-
zione possa essere svolta da più organi in cooperazione. In questo modo, ap- nessa al linguaggio e da esso discende, non sembra permettere una possibilità
profittando per esempio delle duplicazioni – come oggi, sappiamo, avviene dif- di gradazione evoluzionistica: è questione di tutto o niente. Il linguaggio,
fusamente a livello molecolare – è possibile che una struttura possa continuare troppo complesso e speciale per essere spiegato in termini evoluzionistici, è
a fare il suo mestiere e un’altra possa essere cooptata per fare qualcos’altro senza dunque il candidato ideale per rappresentare quella soglia qualitativa radicale
che la precedente funzione venga disattivata. È una risposta molto ingegnosa, che distinguerebbe senza mezzi termini l’umano dal non umano.
anche se allora per Darwin si trattava di una mera ipotesi ad hoc. Oggi sono passati quasi vent’anni da quella profezia di impossibilità e molto
è successo in campo scientifico. La stessa teoria dell’evoluzione a cui faceva ri-
ferimento allora Chomsky è cambiata profondamente. Non solo, rispetto a
4. La profezia di Chomsky e il paradosso che ne è seguito quella profezia si è venuto a creare oggi un paradosso molto interessante e dav-
L’argomento della complessità – oggi si chiamerebbe della “complessità irri- vero cruciale, che andrebbe approfondito in un contesto come questo in cui
ducibile” – è tornato di moda perché il tema dell’occhio, delle ali, del flagel- si discute del rapporto fra evoluzione biologica e scienze della mente. Il para-
lo batterico, in generale degli organi complessi è diventato uno dei cavalli di dosso è che, da una parte, la profezia ci dice che l’evoluzione non avrà niente
battaglia dei sostenitori della dottrina neocreazionista dell’Intelligent Design e da dire sulle origini del linguaggio, eppure, proprio nel solco dell’indirizzo di
di chi cerca surrettiziamente alternative sovrannaturalistiche alla spiegazione ricerca fecondo inaugurato e approfondito da Chomsky, noi scopriamo che
evoluzionistica, un versante della controversia del tutto estraneo ai dibattiti l’argomento della povertà dello stimolo è vieppiù interessante proprio perché
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ci fa capire la ricchezza della mente di cui c’è bisogno per capire i processi di ambito neuroscientifico e aderenti all’idea, alquanto plausibile, che il linguag-
acquisizione di comportamenti complessi. gio si sia evoluto in stretta dipendenza dalla capacità della nostra specie – co-
Ci rendiamo cioè conto che il linguaggio è un’abilità complessa ed estrema- me di altre – di ancorarsi al mondo fisico (linguaggio spaziale) e al contempo
mente specializzata, tanto che qualcuno si spinge addirittura a chiamarla “l’i- al mondo sociale (pragmatica del linguaggio). Dobbiamo in un certo senso
stinto del linguaggio”. Oggi sappiamo, anche grazie agli studi di etologia co- “darwinizzare Chomsky”, suggerisce Ferretti, con un’espressione che fino a
gnitiva, quanto le menti umane e di molti altri animali siano equipaggiate con poco tempo fa sarebbe suonata eretica ma che forse oggi non lo è più così tan-
articolati repertori di competenze innate e con sofisticati sistemi di selezione to. Se il modello standard delle scienze sociali entra in crisi, nota giustamen-
dei dati pertinenti. Come Giorgio Vallortigara ci fa spesso vedere con i suoi te Ferretti, portandosi dietro il suo relativismo linguistico, anche la tradizione
ottimi esperimenti e i chiarissimi esempi, vi è indubbiamente una forte dota- chomskiana deve insomma fare i conti con il paradosso ormai insostenibile
zione innata, un ricco repertorio di competenze diciamo pre-programmate, del suo peccato originale antievoluzionista.
“cablate”, hard wired. Inoltre, quando noi studiamo questa dotazione com- Vengo dunque all’ultimo punto della mia argomentazione, che è una risposta al-
plessa iniziale le attribuiamo caratteristiche tipiche come quella di essere adat- la provocazione iniziale circa l’adattazionismo. Se siamo d’accordo che la strada
tativa e di essere specie-specifica. Ma allora, se le nuove conoscenze da intraprendere potrebbe essere questa, cioè provare a tenere insieme continui-
scientifiche ed etologiche stanno in questi termini, ad un evoluzionista si al- tà e specificità, vediamo subito che i dati di continuità non pongono grossi pro-
zano tutte le antenne, perché qualcosa di preprogrammato, di adattativo e di blemi epistemologici per un evoluzionista. Non abbiamo alcun problema ad ac-
specie-specifico è di solito il frutto dell’evoluzione, il suo tipico prodotto, l’e- cumulare dati che attestino una continuità forte, filogenetica, omologica, con
sito di una storia naturale. Partiamo dunque da quella profezia che ci dice che specie più o meno lontanamente imparentate con Homo sapiens. Per un evolu-
l’evoluzione non serve a niente perché il linguaggio è troppo complesso, ma zionista è molto più difficile, ma anche più interessante forse, organizzare dati ri-
poi, seguendo lo stesso tipo di studi, ci rendiamo conto che stiamo studiando guardanti la specificità di Homo sapiens: qual è? Che cos’è che ci rende una spe-
qualcosa che invece è un oggetto privilegiato dell’indagine evoluzionistica. cie particolare? Come ha detto un evoluzionista tempo fa, siamo l’ennesima spe-
cie unica, un’altra specie unica in mezzo a tante altre specie uniche, il che corri-
sponde all’idea entusiasmante secondo me che in fondo ogni specie è l’esito di
5. L’ultra-darwinizzazione di Chomsky un percorso di esplorazione adattativa unico e irripetibile, proprio perché con-
Ciò che sta succedendo oggi, a mio avviso, è che stiamo finalmente cercando di tingente come dicevamo a proposito della citazione dai Taccuini giovanili di Dar-
superare, da più parti, questo paradosso ingiustificato. Francesco Ferretti, nel li- win. Noi siamo uno, fra tanti, di questi percorsi di esplorazione adattativa.
bro Perché non siamo speciali, lavora proprio all’idea di tenere insieme gli aspet- Ecco però, su questo punto specifico, una strada scivolosa che noi potremmo
ti di continuità e di specificità (e non specialità assoluta, discontinua) della men- prendere: quella di trasformare l’evoluzione per selezione naturale in una forma
te-cervello e del linguaggio. Condivido fortemente questa ipotesi, con il suo laica di intelligent design, in un selezionismo ingegneristico forte, tanto discuti-
doppio movimento per cui in qualche modo le facoltà cognitive impregnano il bile quanto poco realistico. Il problema di questo metodo di “ingegneria inver-
linguaggio, e non soltanto viceversa, e l’acquisizione del linguaggio retroagisce sa” rigidamente funzionalista e selezionista è secondo me che non riesce a de-
sulle facoltà cognitive stesse. In questo effetto di ritorno del linguaggio, una vol- scrivere bene i dati con cui abbiamo a che fare: è quindi un problema più di ti-
ta acquisito, sull’intelligenza umana si innescherebbe la comparsa di facoltà ine- po sperimentale, di corrispondenza con il dato empirico, che non epistemologi-
dite come l’autoriflessione. Il linguaggio avrebbe quindi riorganizzato e ristrut- co o ideologico. Molta psicologia evoluzionistica oggi soffre di questo limite.
turato a sua volta l’intelligenza umana. Un doppio movimento di “coevoluzio- Nella comunità degli studiosi della mente che hanno accettato di considerare la
ne” che anche da un punto di vista paleoantropologico si adatta abbastanza be- “continuità nella specificità” dell’evoluzione umana stanno probabilmente
ne ai dati empirici che abbiamo oggi a disposizione sull’evoluzione della mo- emergendo in questi anni due sensibilità differenti, che in qualche modo, sor-
dernità anatomica e della modernità mentale della specie Homo sapiens. prendentemente, attingono proprio alle due ipotesi ad hoc con le quali Darwin
Si valorizzano in questo modo due direzioni di ricerca oggi molto feconde in aveva risposto in anticipo alla profezia pessimistica di Chomsky. Autori come
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Steven Pinker, Paul Bloom e Daniel Dennett sembrano prediligere la prima ri- pré, pur evitando accuratamente questi eccessi, non mancano di far notare le de-
sposta darwiniana, centrata sull’azione ottimizzante e permeante della selezione bolezze teoriche ed empiriche delle narrazioni selezioniste spesso infalsificabili
naturale. I loro modelli evoluzionistici, per quanto diversi, si basano su catego- della psicologia evoluzionista, prediligendo un darwinismo “esteso” o “pluralista”
rie funzionaliste forti: specializzazione, divisione in tratti adattativi discreti, pro- che fa invece tesoro della seconda ipotesi ad hoc proposta da Darwin, quella re-
blem solving. L’adattazionismo duro dell’“ingegneria inversa” di Dennett, e di lativa alla sub-ottimalità dei tratti adattativi, ai vincoli strutturali e agli effetti di
gran parte della psicologia evoluzionista contemporanea, compendia perfetta- ridondanza che rendono le strategie evolutive molto più diversificate.
mente questo approccio alla spiegazione dell’architettura evoluta della mente Esiste dunque un altro modo per “darwinizzare Chomsky”, molto più soft ma
umana: il metodo consiste nell’immaginare, speculativamente, i problemi adat- a mio avviso più realistico ed efficace. È un approccio che parte dall’idea che
tativi che i nostri antenati paleolitici avrebbero incontrato nel loro ambiente an- Darwin stesso non fosse affatto un “ultradarwinista”, ma un evoluzionista fles-
cestrale e nel dedurre di conseguenza gli adattamenti psicologici che si sarebbe- sibile e pluralista, convinto che i fattori del cambiamento siano molteplici e
ro evoluti per risolverli. L’architetto celeste dell’intelligent design viene sostituito includano anche i vincoli strutturali alla selezione, i pattern macroevolutivi, le
dal “progettista della natura: la selezione naturale”, scrive Pinker. ingegnose cooptazioni funzionali e i bricolage molecolari scoperti per esem-
Parafrasando Ferretti, è come se qualcuno avesse deciso di “ultradarwinizzare pio dalla biologia evoluzionistica dello sviluppo (evo-devo). Penso a quanto
Chomsky”. Come capita spesso quando un modello efficace che nasce in una sarebbe interessante una sorta di “psicologia evoluzionistica sofisticata”, di se-
scienza passa in un’altra, corriamo il rischio talvolta di usare uno schema espli- conda generazione, meno ossessionata dagli schemi selezionisti e funzionalisti
cativo ipersemplificato, talvolta metaforico, solo allusivo, un po’ caricaturale. omnipervasivi. Si farebbe in questo modo un esercizio epistemologico molto
Con l’effetto paradossale che poi quel modello finisce di essere usato persino significativo: quello di verificare l’utilità – nella psicologia e nelle scienze del-
nella sua disciplina di origine, perché poco realistico, ma continua a soprav- la mente – non di una versione semplificata della spiegazione evoluzionistica,
vivere per inerzia nella disciplina che ha “colonizzato”. L’approccio selezioni- ma di una spiegazione pluralista, più consona con lo stato attuale della ricer-
sta forte in psicologia evoluzionistica è una versione aggiornata di adattazio- ca in campo biologico, dove si ragiona oggi di selezione in termini di com-
nismo pervasivo: ipotizziamo l’esistenza di un tratto adattativo che abbia ele- promessi selettivi, dove l’idea di conversione funzionale è estremamente im-
menti discreti, cioè che si possa separare da altri; ci chiediamo a quale pro- portante, dove prevale l’idea di sub-ottimalità, l’idea cioè che la selezione non
blema adattativo risponde, come in un gioco lineare di problem solving; a que- è una forza che plasma gli organismi come se fossero di creta ma è una forza
sto punto immaginiamo un ipotetico “ambiente adattativo ancestrale” in cui che agisce in un contesto di vincoli – di vincoli fisici, di vincoli interni, di vin-
quel tratto adattativo sia una risposta precisa a un certo tipo di problema. Si coli di sviluppo – e che genera quindi un gioco evoluzionistico un po’ più
presuppone dunque che l’evoluzione sia uno schema problem solving classico, difficile da decifrare ma coerente con l’impianto darwiniano originario, com-
fra unità discrete, come se i tratti adattativi potessero davvero essere distinti in patibile anche con quello neodarwiniano, pur introducendo una maggiore
modo netto. Si presuppone che quell’ambiente adattativo ancestrale sia real- pluralità e complessità di fattori. Fra l’altro, il problema di compatibilità fra la
mente esistito e che sia rimasto abbastanza stabile. Troppe supposizioni per ri- definizione di intelligenza proposta da Ferretti (con tutta la sua flessibilità, la
costruire una storia plausibile sul piano evoluzionistico. creatività, l’improvvisazione) e la teoria modulare della mente attualmente do-
minante – dove i moduli sono intesi come sistemi di elaborazione automatici
e dominio specifici – verrebbe provvisoriamente aggirato considerando l’in-
6. Una psicologia evoluzionistica di seconda generazione telligenza generale come la capacità di stabilire un equilibrio adattativo tra si-
La reazione a questo programma di ricerca assume talvolta toni esacerbati. Jerry stemi di elaborazione in cooperazione o competizione fra loro.
Fodor, nel criticare duramente l’adattazionismo dell’“ingegneria inversa”, clamo- Si viene così organizzando una sensibilità darwiniana alternativa. Non è un
rosamente si spinge fino a dubitare che l’adattamento stesso sia il meccanismo at- caso che Chomsky stesso nel frattempo abbia significativamente modificato il
traverso cui avviene l’evoluzione, cadendo così nuovamente in un’opzione antie- suo approccio ai contributi evoluzionistici: è così appassionato al tema da de-
voluzionista radicale. Altri, come i filosofi della biologia David Buller e John Du- dicare pagine intere all’interpretazione delle scoperte paleoantropologiche sul-
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la rivoluzione paleolitica e al ruolo dell’evo-devo, la biologia evolutiva dello lino, Bologna, 1991). L’esistenza di grammatiche di complessità intermedia, come via
sviluppo, per comprendere le origini del linguaggio. È molto significativo che per introdurre modelli evoluzionistici nello studio del linguaggio inteso come istinto
Fitch, Hauser e Chomsky – e così riguadagniamo un’altra citazione chom- fissatosi per selezione naturale, è argomentata da Steven Pinker in L’istinto del lin-
skiana – nell’ormai classico paper del 2002 adottino proprio l’exaptation co- guaggio (Mondadori, Milano, 1997) e Come funziona la mente (Mondadori, Milano,
me un possibile strumento di analisi dell’evoluzione naturale nel linguaggio. 2000). La ricchezza dei repertori percettivi e cognitivi di menti non umane è stata
L’evoluzione del linguaggio viene spiegata come una cooptazione di funzioni abilmente descritta da Giorgio Vallortigara in Altre menti (Il Mulino, Bologna, 2000)
adattative precedenti, se non addirittura come uno “spandrel”, cioè un pen- e in Cervello di gallina (Bollati Boringhieri, Torino, 2005). Il metodo dell’ingegneria
nacchio architettonico: la metafora che Stephen J. Gould aveva utilizzato per inversa è esposto da Daniel Dennett in L’idea pericolosa di Darwin (Bollati Borin-
rappresentare i caratteri degli organismi che si sviluppano senza alcuna fun- ghieri, Torino, 1997). La reazione antidarwiniana eclatante di Jerry Fodor è apparsa
zione adattativa originaria – in quanto effetti di struttura o dismissioni – e che in “Why Pigs don’t Have Wings”, in London Review of Books, ottobre 2007. Una rac-
poi vengono ingaggiati opportunisticamente dalla selezione naturale. colta classica sulla psicologia evoluzionista è J.H. Barlow, L. Cosmides, J. Tooby (a cu-
Questo è un cambiamento epistemologico, secondo me, straordinario. Dan ra di), The Adapted Mind (Oxford University Press, Oxford, 1992). Una raccolta ita-
Sperber, quando ragiona su come il linguaggio può essersi evoluto a partire liana più recente è M. Adenzato, C. Meini (a cura di), Psicologia evoluzionistica (Bol-
dalle facoltà cognitive, usa molte volte nei suoi testi il concetto di effetto col- lati Boringhieri, Torino, 2007). Tre esempi di argomentazione critica sulla psicologia
laterale: un’evoluzione adattativa in una certa direzione ha una ricaduta colla- evoluzionistica: John Dupré, Natura umana. Perché la scienza non basta (Laterza, Ro-
terale altrove, che porta a scoprire nuove possibilità adattative, che a loro vol- ma-Bari, 2007); David J. Buller, Adapting Minds (The MIT Press, Cambridge MA,
ta portano a modificare la nicchia ecologica in cui si è immersi, la quale a sua 2005); Robert C. Richardson, Evolutionary Psychology as Maladapted Psychology (The
volta retroagisce sugli organismi attraverso nuove pressioni selettive (niche MIT Press, Cambridge MA, 2007). Gli articoli di Hauser, Chomsky e Fitch sull’evo-
construction). Il giovane e promettente biolinguista di Harvard Cedric Boeckx, luzione della facoltà del linguaggio: M.D. Hauser, N. Chomsky, W.T. Fitch, “The Fa-
nel suo Linguistic Minimalism del 2006, per spiegare l’evoluzione del lin- culty of Language: What Is It, Who Has It, and How Did It Evolve?”, in Science, 298,
guaggio dal punto di vista del programma minimalista dell’ultimo Chomsky pp. 1569-79; W.T. Fitch, M.D. Hauser, N. Chomsky, “The Evolution of Language
ricorre all’idea, cara a Gould, di una selezione naturale che agisce come un bri- Faculty: Clarifications and Implications”, in Cognition, 97, pp. 179-210. Spunti bril-
coleur in un contesto di vincoli strutturali interni. lanti per una darwinizzazione soft del minimalismo chomskiano si ritrovano in Ce-
Questi giochi un po’ meno ingenui di retroazione, di selezione in un contesto dric Boeckx, Linguistic Minimalism (Oxford University Press, Oxford, 2006). Il dar-
di vincoli, offriranno a mio avviso un armamentario euristico molto più rea- winismo esteso è ampiamente descritto e argomentato da Stephen J. Gould in La
lista, molto più efficace per introdurre la spiegazione evoluzionistica nelle struttura della teoria dell’evoluzione (Codice Edizioni, 2003). Il saggio del 1982 che ha
scienze della mente. Nei prossimi anni potrebbe essere interessante esplorare introdotto il concetto di “exaptation” nel dibattito evoluzionistico è: S.J. Gould, E.
questo filone di ricerca e provare a ragionare su un incontro, e non solo su una Vrba, Exaptation, a Missing Term in the Science of Form, in “Paleobiology”, 8 (1),
compatibilità, tra un evoluzionismo raffinato, un neodarwinismo veramente 1982, pp. 4-15. Seguito poi da: E. Vrba, S.J. Gould, The hierarchical expansion of sor-
aggiornato allo stato attuale della ricerca, e le scienze cognitive. La mia im- ting and selection: sorting and selection cannot be equated, in “Paleobiology”, 12, 1986.
pressione è che possa derivarne un salutare superamento di antichi steccati e Una selezione dei Taccuini della Trasmutazione di Darwin è stata di recente pubbli-
un reciproco arricchimento. cata in edizione italiana a cura di chi scrive: Charles Darwin, Taccuini 1836-1844
(Taccuino Rosso, B ed E, Laterza, Roma-Bari, 2008).

Bibliografia ragionata
Il libro di Francesco Ferretti sulla “darwinizzazione” di Chomsky è Perché non siamo
speciali. Mente, linguaggio e natura umana (Laterza, Roma-Bari, 2007). La profezia an-
tievoluzionista di Noam Chomsky è in Linguaggio e problemi della conoscenza (Il Mu-

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Alessandra Falzone differenti genera confusioni teoriche e fraintendimenti terminologici. Già nel-
Università degli studi di Messina le prime definizioni delle caratteristiche tipicamente umane alcune teorie lin-
Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive guistiche mettevano in campo nozioni etologiche, trasformandone, però, il si-
dell’Università di Messina gnificato più profondo (cfr. per un’analisi, Falzone 2004).
Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive È il caso della famosa definizione chomskiana – in parte superata – di lin-
guaggio come una capacità specie-specifica, una sorta di “tipo unico di orga-
nizzazione intellettuale” (Chomsky 1966). In questa definizione da un lato
viene precisata la natura specifica, unicamente umana, del linguaggio; dall’al-
tro tale capacità viene definita come indipendente dalle strutture anatomiche
e dagli organi periferici ad essa associati, e non collegabile direttamente con
Dalla struttura al pensiero. l’intelligenza generale. La facoltà linguistica sarebbe, dunque, “una cosa tutta
Il contributo della teoria evolutiva umana”, non deriverebbe da abilità o sistemi comunicativi delle specie animali
evolutivamente precedenti al sapiens, né sarebbe il risultato di una serie di
alla comprensione della complessità adattamenti. Sebbene nel 2002 abbia pubblicato un articolo dal titolo The Fa-
culty of Language: What is it, Who has it, and How did it evolve? insieme agli
etologi Hauser e Fitch in cui viene riconosciuta la presenza di sistemi comu-
Il recente dibattito interno alle discipline interessate al campo di indagine del- nicativi in altre specie animali non umane, Chomsky riserva al nucleo centra-
le scienze cognitive sembra caratterizzato da un’attenzione crescente verso i le del linguaggio una natura non evolutiva, che rende qualitativamente in-
processi evolutivi che hanno condotto all’uomo moderno. Tale interesse è de- comparabile il linguaggio umano alle altre forme di comunicazione.
terminato da motivazioni che variano in base alle finalità conoscitive delle sin- La componente computazionale sintattica non solo è “specie-specifica”, ma è ir-
gole discipline. Non è più così raro che i filosofi, così come i linguisti o gli an- riducibile a qualsiasi altra capacità cognitiva. Messa in salvo dalle dinamiche evo-
tropologi si interessino di evoluzione umana. Il paradigma dell’evoluzioni- lutive, la ricorsività sintattica diventa l’unico aspetto studiabile e da studiare per
smo, però, ha ricoperto, fin dalla sua definizione esplicita (Darwin 1872), un capire cosa è e come funziona il linguaggio. Ovviamente ciò implica l’adozione
ruolo di “agente rivoluzionario” nei diversi campi di indagine cui è stato ap- di un paradigma defisicizzato per l’interpretazione e lo studio della funzione lin-
plicato. La sua introduzione all’interno delle scienze cognitive ha prodotto, e guistica, paradigma che de-naturalizza tale funzione e la assolve da possibili in-
continua a produrre, un acceso dibattito. Nonostante il compito delle scienze terventi dei processi evolutivi. Con la teoria della Grammatica Universale – a sca-
cognitive sia quello di individuare il funzionamento delle attività mentali e, pito della base innatista che cerca di ricondurre le facoltà cognitive e i compor-
dunque, richieda il riferimento continuo a discipline che cercano di indivi- tamenti specifici dell’uomo ad un fondamento naturale (genetico, anche se non
duare la base strutturale – organica e funzionale – dei processi attraverso cui così esplicitamente definito) della specie – Chomsky sostiene l’impossibilità che
si realizza la conoscenza umana, infatti, la relazione tra la spiegazione evolu- una funzione talmente complessa come il linguaggio possa essersi affermata nel-
zionista e la spiegazione cognitiva non è affatto scontata ma risulta per certi la specie umana tramite i meccanismi “probabilistici” del caso e la selezione na-
aspetti problematica (cfr. per un ampio dibattito, Pennisi e Perconti 2006). turale. Risulterebbe maggiormente plausibile, invece, che il linguaggio sia il pro-
dotto di cambiamenti qualitativi che hanno reso “diverso”, unico, l’uomo.
In questo caso il fraintendimento si gioca in parte sulla definizione di specie-
1. Specificità e adattatività nelle scienze cognitive del linguaggio specifico, termine mutuato dall’etologia classica, in parte su una presunta in-
Come in tutti i momenti di trasformazione e/o assimilazione da parte di di- comparabilità e irrelazionabilità tra complessità strutturale e complessità fun-
scipline diverse di un paradigma scientifico che veniva utilizzato in preceden- zionale. Per quanto riguarda la nozione di “specie-specifico”, l’etologia –
za in un campo di indagine specifico proprio l’integrazione di metodologie scienza in cui tale concetto è stato formulato in relazione alla possibilità di in-
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dividuare comportamenti gestiti geneticamente o appresi – fornisce una più evoluto. In un motto: più recente è la specie (e l’uomo è quella più recente
definizione inequivocabile. Se un etologo, infatti, si fosse trovato di fronte al nella “scala evolutiva”) maggiore sarà il grado di complessità organica e fun-
compito di definire cosa del linguaggio è specie-specifico probabilmente zionale raggiunto. Fin qui nulla di male se il concetto di evoluzione non fos-
avrebbe indicato proprio quegli aspetti che Chomsky, almeno nelle sue prime se strettamente connesso a quello di adattatività della specie.
formulazioni teoriche, voleva escludere dalla definizione di linguaggio: le L’adattatività è il principio chiave della teoria darwiniana: in base ad essa un da-
componenti anatomiche, strutturali. to organismo, per sopravvivere, deve essere adatto all’ambiente, la sua struttura
Secondo Lorenz (cfr. Lorenz 1959 e nella prospettiva etologica moderna Eibl- anatomica, cioè, deve rispettare le condizioni dettate dalle leggi chimiche, fisi-
Eibesfeldt 1987), infatti, specie-specifico è tutto ciò che pertiene l’ambito del- che e biologiche. In sostanza l’adattatività è il vaglio necessario cui viene sotto-
la necessità genetica nelle specie animali, dunque ciò che le specie animali non posto qualsiasi organismo determinandone la sopravvivenza o la morte. Va da
possono non mostrare, in quanto espressione fenotipica delle istruzioni conte- sé che l’adattatività non implica nessuna valutazione di merito circa la nuova
nute nel proprio corredo cromosomico. Non bisogna quindi confondere la no- struttura mutata. Ancora una volta siamo di fronte ad una semplificazione di
zione di “specie-specificità” con tutto ciò che dei comportamenti di una specie concetti bio-genetici ed evolutivi intrinsecamente problematici. Per due ragioni
ci appare “caratteristico” ed anche, in un certo senso, “unico”. Non è affatto principali; innanzitutto un’evidenza paleologica: lungo l’esteso percorso che va
detto che i comportamenti specie-specifici siano quelli più “spettacolari”. An- dalle prime forme batteriche fino all’uomo moderno i casi di specie non so-
zi, poiché i comportamenti specie-specifici sono determinati dalla program- pravvissute alle variazioni ambientali sono innumerevoli. Se l’evoluzione fosse
mazione degli algoritmi genetici, essi, in genere, si riferiscono a meccanismi co- un percorso verso la perfezione e la complessità, ogni tappa di questo percorso
atti, ad azioni o ritmi o fasi obbligatorie che limitano in maniera determinan- sarebbe necessaria per raggiungere il fine. Ma la storia paleontologica è piena di
te le strategie adattative più creative, di natura non genetica. I casi di enfants rami evolutivi spezzati: niente di meno prevedibile teleologicamente della ca-
sauvages (cfr. per un’analisi interpretativa dettagliata di ritrovamenti recenti sualità biologica. La seconda ragione è che le mutazioni in sé portano il germe
Pennisi 2006) – casi eccellenti e non ripetibili di rispetto del protocollo speri- dell’instabilità e dell’imprevedibilità: qualsiasi modificazione di un equilibrio
mentale della deprivazione ambientale nella specie sapiens – dimostrano come, anatomico già adattativo implica la ridefinizione di un nuovo equilibrio. Ciò
in assenza di attivazione sociale e dell’acquisizione tramite imitazione e au- comporta una sorta di compromesso tra la nuova struttura anatomica che ha de-
toapprendimento di tecniche motorie e cognitive precise, l’unica componente terminato la speciazione e il nuovo riassetto funzionale.
del linguaggio espressa fenotipicamente risulta essere la struttura anatomica:
niente articolazione, né tantomeno ricorsività grammaticale.
È evidente, dunque, che un’interpretazione banalizzante dei processi evoluti- 2. Integralismo metodologico: due rischi nella prospettiva evolutiva
vi che producono il gradiente di regolazione genetica e apprendimento che delle scienze cognitive
ogni individuo appartenente a una data specie animale mostra, rischia di pro- Nel quadro epistemologico che si sta configurando, dunque, il contributo che
durre solo pasticci epistemologici e posizioni ideologizzate. La teoria dell’evo- può dare la spiegazione evolutiva all’interpretazione che le scienze cognitive
luzione è l’unica prospettiva di ricostruzione che può limitare la speculazione intendono fornire dei processi mentali consiste proprio nella descrizione del-
interpretativa pura sulle “capacità cognitive superiori unicamente umane” e la problematicità del rapporto esistente tra complessità evolutiva e strutturale
contemporaneamente fornire una spiegazione scientifica della relazione tra da un lato e complessità funzionale dall’altro.
complessità anatomica e funzionale. Tale relazione, infatti, è spesso estromes- Per chiarire meglio tale forma di contributo fornito dalla teoria evoluzionista
sa dallo studio delle abilità cognitive soprattutto quando queste vengono va- vorrei però mettere in evidenza due rischi cui si potrebbe incorrere applican-
lutate nelle specie evolutivamente recenti (Primati e mammiferi in generale) do la spiegazione evolutiva alle scienze cognitive, due rischi che rappresenta-
in quanto la si considera o inutile o scontata: una funzione complessa pre- no l’integralismo metodologico di entrambe le prospettive di ricerca.
suppone una struttura complessa. Nella vulgata della teoria darwiniana del- Il primo consiste nella propensione alla ricerca continua del “precedente evoluti-
l’evoluzione, infatti, un organismo complesso corrisponde ad un organismo vo”. In parte questa tendenza provoca una sensazione tipica in quegli studiosi di
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scienze umane che si sforzano di individuare nei comportamenti dell’uomo esclu- Ma la possibilità di individuare in maniera filogeneticamente comune le com-
sività e specificità che lo renderebbero diverso, particolare, speciale, rispetto alle ponenti di base di alcune abilità che nell’uomo, e in generale nei Primati, ven-
altre specie animali. Ebbene, gli studi etologici hanno costantemente smorzato gono definite “cognitivamente superiori” (si pensi alla socialità, alle forme di or-
l’enfasi su tali specialità, dimostrando che, spesso, ciò che si ritiene unicamente ganizzazione dei gruppi, ai criteri di gestione del cibo e della riproduttività ba-
umano è presente anche in altre specie animali, non sempre evolutivamente vici- sati su categorie e ranghi sociali, alla comunicazione interpersonale etc.), possi-
ne al sapiens. Non si tratta di una giustificazione o una difesa dell’impostazione bilità che costituisce proprio la forza di tale teoria, lascia scoperta la spiegazione
utilizzata dai filosofi old fashion circa l’oggetto e il metodo d’indagine da utilizza- dei processi attraverso cui da una base analogica od omologica del comporta-
re nello studio della funzione linguistica, ma è una cautela metodologica che evi- mento possa venire prodotta una competenza e delle abilità che risultano com-
denzia il pericolo in cui ci si potrebbe imbattere nel momento in cui la ricerca del plessivamente non confrontabili negli esiti e nelle possibilità (si considerino le
precedente evolutivo di una determinata funzione diventa fine a se stessa. differenze nelle possibilità della social cognition dei Primati non umani e del-
Una soluzione ad un tale possibile problema, anche se si tratta di una solu- l’uomo, cfr. Tomasello 1999). Come accade spesso per le teorie che cercano di
zione parziale, potrebbe essere rintracciata nel concetto formulato da Hauser ricondurre a spiegazioni modularizzanti il funzionamento delle capacità cogni-
e Spelke (2004), la core knowledge, conoscenza nucleare. Essa sarebbe costi- tive, l’ipotesi avanzata da Spelke individuerebbe alcune delle abilità condivise
tuita da una serie di capacità definibili come “basiche”, presenti nell’uomo, dal sapiens e dai Primati non umani, ma non riesce a motivare le modalità at-
ma anche in specie evolutivamente precedenti. Si tratterebbe, dunque, di ca- traverso cui si verificherebbe la differenziazione di tali capacità tra le varie spe-
pacità che si sono evolute indipendentemente dall’attecchimento del linguag- cie che ne mostrano di simili o accomunabili a livello della core knowledge.
gio nella specie umana. Secondo Spelke e Kinzler (2007) la cognizione uma- In realtà il principio sottostante alla core knowledge, cioè la possibilità di rin-
na si basa, in parte, su quattro sistemi di origine filogenetica utili per tracciare un nucleo centrale di competenze modularizzate, è un principio che
sta alla base della biologia evoluzionistica: il principio delle proprietà emer-
rappresentare gli oggetti inanimati e i loro meccanismi di interazione, gli agenti e genti (cfr. Boncinelli 2002). Quando una struttura raggiunge una complessi-
le loro azioni dirette a scopi, i set e le loro relazioni numeriche di ordine, addizio- tà di funzionamento tale da renderla specializzata, gli elementi strutturali che
ne e sottrazione, e i luoghi nella loro forma e nelle loro relazioni geometriche. fanno parte di tale struttura vengono segregati, raggiungono una autonomia
Ogni sistema contiene un set di principi che è necessario per individuare le diver- oltre che funzionale anche anatomica, si costituisce un modulo. In biologia
se entità nei loro rispettivi domini e per supportare le inferenze circa il compor- dello sviluppo, un modulo è una sequenza di eventi che procedono in manie-
tamento delle entità (Spelke e Kinzler 2007, p. 89). ra autonoma rispetto a ciò che accade intorno (Minelli 2007). La storia del-
l’evoluzione della vita sulla terra è una storia di segregazioni, incapsulamenti
Tali capacità, raccolte all’interno della core knowledge, sarebbero accompagna- e nidificazioni della “materia funzionalizzata”.
te da un quinto sistema per la rappresentazione dei partners sociali e avrebbe- L’esempio classico che i teorici della biologia evoluzionistica riportano è proprio
ro un fondamento modularista, cioè sarebbero veri e propri moduli con ca- il passaggio nella storia evolutiva da cellula procariote a cellula eucariote, un pas-
ratteristiche di indipendenza e specificità di domino e di compito, incapsula- saggio evolutivo, s’intende, con tutte le caratteristiche genetico-strutturali e se-
mento informazionale, automaticità, e sviluppo precoce (Spelke 2003). Una lettivo-adattative del caso. In tale passaggio, in sostanza, si verifica una separa-
tale interpretazione di alcune capacità che costituiscono la base di diversi pro- zione del contenuto nucleare dal resto delle strutture cellulari. Nella cellula pro-
cessi cognitivi umani risulta abbastanza plausibile sia da un punto di vista evo- cariote, infatti, il contenuto cellulare, che permette la sopravvivenza e la ripro-
lutivo che cognitivo, in quanto il funzionamento di alcune strutture può ve- duzione della cellula stessa, risulta sparso nel citoplasma, nella cellula procario-
nire ereditato filogeneticamente (è il caso dell’omologia, cfr. Lorenz 1978) o te, invece, è isolato strutturalmente all’interno della membrana nucleica e for-
può presentarsi come un adattamento funzionale all’ambiente in specie anche ma un elemento sia morfologicamente che funzionalmente indipendente, svol-
filogeneticamente distanti (è il caso dell’analogia, ib.) e questo può in parte gendo un ruolo preciso e differenziato dal lavoro compiuto dalla componente
spiegare il funzionamento di capacità elementari nell’uomo. extranucleica. Dalla cellula procariote a quella eucariote, dunque, è possibile
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rintracciare elementi di variazione strutturale – la segregazione del nucleo – che “unità” per la comprensione e la descrizione dei processi evolutivi e di cam-
determinano l’emergenza di proprietà nuove rispetto a quelle possedute dalle biamento risulta fondamentale per non incorrere in errori di valutazione. È,
strutture precedenti. È proprio il principio delle proprietà emergenti che do- scrive Minelli, come se nel valutare le caratteristiche di una casa in cui anda-
vrebbe far riflettere sul significato di tali cambiamenti e sull’applicabilità di tale re ad abitare fossimo più interessati al numero di mattoni di cui la casa è fat-
principio ai diversi livelli della complessità anatomico-funzionale. Una proprie- ta che non alla dimensione e alla reciproca disposizione delle stanze.
tà emergente dipende, infatti, in maniera necessaria da un punto di vista strut- Sostenere che esistono alcune competenze nucleari, infatti, corrisponderebbe a
turale da quella declinante, ma contemporaneamente non risulta più interpre- sostenere che esistono proprietà declinanti, ma la difficoltà principale, il nodo
tabile con gli stessi principi e le stesse spiegazioni che venivano impiegate per teorico su cui oggi principalmente si dibatte è la possibilità di individuare le ca-
comprendere il funzionamento delle strutture e delle proprietà precedenti. ratteristiche delle proprietà emergenti e il peso che le strutture e le funzioni de-
La soluzione della core knowledge dunque, ha una base biologica: le compe- clinanti possiedono nell’influenzare la tipologia e le possibilità delle nuove strut-
tenze nucleari del sapiens vengono acquisite evolutivamente e quindi è possi- ture e delle proprietà emergenti che le caratterizzano. Suggeriremo una possibi-
bile rintracciarle in varie specie animali. In questi casi si tratta di abilità di ba- le strategia per risolvere l’impasse dei livelli di pertinenza in conclusione.
se modularizzate che fungono da trampolino per lo sviluppo di capacità fun- Il secondo rischio, invece, si corre estremizzando e facendo prevalere la con-
zionalmente complesse, indubbiamente legate a capacità basiche ma non più vinzione spesso diffusa tra gli studiosi di scienze umane secondo cui è assolu-
interpretabili con le stesse categorie di spiegazione. Il “difetto” epistemologi- tamente inutile per la spiegazione della funzione linguistica l’elemento strut-
co della core knowledge consisterebbe, allora, nel livello di applicabilità di tale turale, la filogenesi, ciò che ha condotto alla attuale configurazione anatomi-
spiegazione. L’esempio della funzione linguistica in tale direzione è lampante: ca di una determinata specie. Tale convinzione rivendica, inoltre, l’assoluta in-
dipendenza dei settori di studio strutturali e funzionali e, dunque, il valore ac-
Possiamo o dobbiamo, quindi, far uso di spiegazioni di tipo fisico o chimico an- cessorio delle necessità evolutive nel determinare l’attuale funzionamento di
che nell’analisi delle attività cerebrali superiori, come la percezione, la rappresen- capacità cognitivamente superiori, come il linguaggio. Lo stridente anacroni-
tazione e l’interpretazione del linguaggio? La risposta a questa domanda non può smo di tale interpretazione rispetto alle evidenze fornite dalle scienze naturali
essere troppo semplificata: si potrebbe indifferentemente acconsentire o dissenti- – nel senso di scienze sperimentali volte allo studio delle funzioni e della mor-
re e trovarsi ugualmente dalla parte del vero o del falso. Il problema coincide, in- fologia delle specie umane e animali, sia attuali che evolutivamente preceden-
fatti, con quello dell’individuazione del livello di pertinenza adeguato all’analisi ti – viene aggirato sostenendo che sia il processo di naturalizzazione della
delle proprietà emergenti di un certo stato evolutivo. (…) Stabilire questo genere mente sia la considerazione del linguaggio umano alla stessa stregua di un og-
di pertinenza significa, in concreto, rinunziare ad affrettare l’istanza modularisti- getto biologico sono possibili solo se si considera lo “spazio naturale” in cui
ca sino al momento in cui non siamo in grado di stabilire con quale tipo di orga- l’uomo agisce come una costruzione linguistica.
nismo evolutivo abbiamo a che fare, ma, contemporaneamente, sforzarsi di de- Una spiegazione circolare, che riconduce l’analisi biologica all’interno di un
terminare le limitazioni accertate negli stati anteriori che possiamo ormai dare per vincolo puramente speculativo-filosofico: la lingua è un’entità naturale perché
assodata assumendo un certo punto di partenza (Pennisi 2005, p. 275). è l’ambiente in cui vive il parlante, il suo habitat. Solo adottando la lingua co-
me suolo in cui si concretizza ogni atto e spazio pubblico umano ha senso par-
Il merito, o demerito, di aver condotto la discussione relativa all’evoluzione lare di “cervello”, in quanto entità linguistica e dunque entità “sensata” (Ci-
delle strutture anatomiche e alle funzioni che queste consentono ad una spie- matti 2007). Questa posizione antievoluzionista estrema implica due conse-
gazione fortemente modularista è da attribuire in parte alla tendenza – domi- guenze: da un lato prevede che la struttura organica della specie sapiens deb-
nante nella biologia moderna da Mendel in poi – ad individuare come unità ba essere necessariamente quella attuale – inscrivendosi, nel miglior caso, in
di misura degli stadi evolutivi le mutazioni e l’invarianza dei geni, indiscussi una teleologia della biologia; dall’altro semplifica in maniera forte il concetto
detentori dei “poteri mutazionali”, quelli sulla cui base si verificano i cambia- di complessità evolutiva appiattendolo su quello di complessità strutturale. Le
menti e le “novità evolutive” (Minelli 2007). È evidente che la scelta delle evidenze dell’impossibilità di sostenere una tale posizione provengono da
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molti settori d’indagine, dall’etologia alla paleoantropologia alla paleoneuro- far riferimento ad un concetto che rientra nella formulazione teorica dell’etolo-
logia. È, infatti, ormai noto che, sebbene l’Homo sapiens sia comparso nella gia classica ma che è ancora valido in diversi paradigmi evolutivi: il concetto di
scena evolutiva circa 120-200.000 anni fa, bisogna attendere circa 70.000 an- analogia. L’analogia è una convergenza funzionale avvenuta parallelamente in re-
ni prima di poter intravedere le prime manifestazioni culturali, manifestazio- lazione ad un dato ambiente. Nell’analogia una stessa informazione adattativa
ni che testimoniano un’attività simbolica linguistica. viene raggiunta in assenza di una fonte comune. In sostanza la somiglianza non
La lezione di Leroi-Gourhan (1964) in questo è molto chiara: nonostante i pri- viene determinata dalla discendenza da un antenato né da una fonte di tradizio-
mi sapiens fossero anatomicamente come l’uomo moderno, non si conservano ne comune (come nel caso dell’omologia): sarebbe una sorta di somiglianza fun-
resti che testimonino un’attività simbolica, come le pratiche di inumazione dei zionale. Eibl-Eibesfeldt (1987) chiarisce tale concetto sostenendo che non è ne-
morti o le pitture rupestri. Sembra, dunque, che a fronte di mutamenti morfo- cessario ipotizzare una comune origine culturale per spiegare la somiglianza tra
logici non si verifichino cambiamenti nelle funzioni precedenti. È probabile, in- le accette di pietra dei popoli europei, asiatici o africani dell’Età della Pietra: sem-
vece, che le strutture anatomiche siano state selezionate positivamente non per plicemente la forma dell’accetta dipende dalla sua funzione, è un processo con-
le funzioni che oggi consentono, ma per altri vantaggi immediati. Il cervello vergente. Nel caso dell’analisi di processi evolutivi non connessi a fatti culturali,
umano, così, potrebbe essersi ingrandito e strutturato nel modo attuale sia gra- l’importanza delle analogie risulta significativa per comprendere il valore dell’a-
zie alla liberazione dalle costrizioni fisico-meccaniche, sia per assolvere alle fun- dattatività strutturale e funzionale all’ambiente e la complessità di tale relazione.
zioni indispensabili alla sopravvivenza degli ominidi in date condizioni ambien- Esempi chiari di convergenza sono evidenti in alcuni pesci bentonici (Wickler
tali. Niente di meno teleologico dei processi biologici che hanno condotto al- 1957, 1965). Le specie Homalopteridae e Gastromyzonidae vivono entrambe nei
l’attuale configurazione anatomica del sapiens: il cervello dell’uomo e gli organi torrenti montani. Pur discendendo da due famiglie differenti (rispettivamente
periferici connessi alla fonazione non si sono affacciati sulla scena evolutiva per Cobitidae e Cyprinidae) le convergenze morfologiche e comportamentali sono
consentire all’uomo l’articolazione linguistica e/o migliorare la comunicazione e impressionanti: ambedue i gruppi possiedono pinne pettorali molto ampie e bi-
le relazioni interpersonali, né è possibile ipotizzare che siano emersi dal nulla. partite. Mentre respirano controcorrente tali pesci spingono l’acqua facendola
Proporre una mediazione tra posizioni dicotomiche come quelle sopra de- scivolare sul ventre e agitando le pinne pettorali con il risultato di riuscire a
scritte è possibile solo se viene adottata una cautela metodologica per evitare mantenere la stessa posizione (l’acqua scorre più velocemente sotto il pesce ri-
di incorrere nei rischi di approcci epistemologici estremizzanti e nelle conse- spetto a sopra) nonostante la corrente. In sostanza tali pesci, appartenenti a fa-
guenze che ne derivano. miglie diverse e discendenti da pesci che non muovevano ritmicamente le pin-
ne pettorali, hanno sviluppato un sistema analogo per mantenere la stessa posi-
zione in una condizione avversa, quella della forte corrente dei torrenti.
3. Conclusioni: l’analogia esattata Questo tratto anatomico consentirebbe loro la sopravvivenza in quanto in una
La biologia evoluzionistica dello sviluppo descrive la problematicità che risie- situazione in cui la corrente è più forte della capacità di resistenza muscolare
de nella valutazione complessiva degli organismi viventi: finché l’analisi si ar- sarebbe impossibile mettere in atto comportamenti nutritivi e riproduttivi. Lo
resta alla definizione della priorità della forma o della funzione è impossibile studio delle analogie, come evidenziato da tali analisi, risulta importante
ottenere un quadro esaustivo dei vincoli e delle possibilità che caratterizzano quanto quello delle omologie ritenute decisive per la ricostruzione dell’evolu-
ciascuna forme vivente (Minelli 2007). La confusione tra evoluzione delle zione filogenetica. Un esempio di struttura analogica presente nel sapiens e in
strutture e delle funzioni che esse consentono, o la negazione dell’importanza altre specie animali è stata fornita di recente da Tecumseh Fitch, che si è oc-
che tale relazione riveste, determina, a nostro avviso, un quadro poco chiaro cupato di indagare le presenza di un tratto anatomico ritenuto unicamente
delle tappe che hanno condotto alle capacità cognitive umane e l’impossibili- umano anche in altre specie animali: il tratto vocale sopralaringeo. Fitch
tà di considerarne le reali caratteristiche. (2002) sostiene, infatti, che proprio il tratto vocale sopralaringeo – uno dei
Per chiarire meglio in che modo sia possibile integrare i concetti e i metodi d’a- baluardi della specificità e dell’unicità del linguaggio e della capacità articola-
nalisi appartenenti a prospettive d’indagine ad oggi poco interagenti è possibile toria dell’uomo – sia riscontrabile anche in altre specie animali lontane filo-
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geneticamente dal sapiens, evolutivamente precedenti. In base alla sua ipotesi di coevoluzione di strutture anatomiche vantaggiose e di possibilità emergenti
il tratto vocale sopralaringeo è una manifestazione di analogia in quanto svol- che, una volta stabilizzata la funzione immediata, hanno potuto manifestarsi
ge una funzione adattativa in più specie. grazie alla liberazione dai vincoli evolutivo-strutturali precedenti.
L’ipotesi di Fitch è abbastanza nota e si basa sull’osservazione del fatto che Questo esempio permette di individuare il nodo teorico della ipotesi che pro-
diverse specie animali – tra cui il cervo nobile (Cervus elaphus), i cani (Ca- poniamo: è necessario considerare il complesso percorso evolutivo che ha con-
nis familiaris), le capre (Capra hircus), i maiali (Sus scrofa) e i tamarini (San- dotto alle strutture anatomiche attuali per comprendere come è potuta instal-
guinus oedipus), le foche, i koala, i daini, gli alligatori – abbiano la possibi- larsi una funzione cognitiva complessa come il linguaggio. Gli studi compa-
lità di ottenere, tramite variazioni fisiche, una struttura anatomica del trat- rati, infatti, dimostrano che possedere un apparato modulabile fino ad assu-
to vocale sopralaringeo molto simile a quella umana. La teoria di Fitch for- mere una conformazione simile a quella umana non è sufficiente per produr-
nirebbe una spiegazione migliore dell’attecchimento del tratto vocale sopra- re il linguaggio. Solo considerando il complesso delle modificazioni anatomi-
laringeo rispetto a quella avanzata dalle teorie linguistico-evolutive (cfr. Bic- che selezionate e la variazione nel controllo e nella coordinazione motoria in-
kerton 1990) che vedono nel linguaggio il vantaggio immediato della pre- dipendente degli organi fonatori – uno “scivolamento evolutivo” verso la co-
senza di alcune strutture anatomiche tra cui il tratto vocale. Secondo Fitch, ordinazione volontaria dei movimenti laringali e respiratori determinato da
infatti, il tratto vocale sopralaringeo avrebbe avuto una prima funzione im- un probabile cambiamento nel sistema nervoso (Deacon 1992) – è possibile
mediata nell’uomo: economizzare gli sforzi per ingrandire la percezione del- ottenere un quadro che dia una spiegazione non biologicamente riduttiva né
la propria stazza, sforzo che le altre specie compiono proprio abbassando la speculativamente ideologica della funzione linguistica del sapiens.
laringe fino ai limiti fisiologici durante la produzione di suoni e in partico- Solo considerando la storia filogenetica, i processi evolutivi che hanno condot-
lare durante il periodo dell’accoppiamento. Il valore adattativo connesso al- to all’Homo sapiens nello studio e nella comprensione della funzione linguisti-
la produzione di frequenze formantiche, dunque, non sarebbe rintracciabi- ca, dunque, ci spiegherebbe il motivo per cui l’uomo è l’unico essere vivente
le nella produzione articolata del linguaggio ma nella possibilità di risultare che è in grado di rappresentarsi linguisticamente la realtà e non è un cervo.
maggiormente attraenti per le femmine del gruppo “fingendo” di ingrandi-
re la propria stazza (size-exaggeration theory).
La stabilizzazione di una struttura che consente una produzione vocale “vir- Riferimenti bibliografici
tuosa” come quella umana potrebbe essere stata selezionata positivamente nel Bickerton D. (1990) Language and Species, Chicago, The University of Chicago Press.
corso dell’evoluzione con gli stessi meccanismi e per le stesse ragioni funziona- Boncinelli E. (2002) Io sono, tu sei. L’identità e la differenza negli uomini e in natura,
li delle strutture fonatorie degli animali non umani, ma l’uso che oggi ne fa l’- Milano, Mondadori.
Homo sapiens esula dai fini originari. È improbabile che la discesa della laringe Cimatti F. (2007) Il volto e la parola. Psicologia dell’apparenza, Macerata, Quodlibet.
nell’uomo sia vantaggiosa per il solo motivo di ingrandire, a scopi sessuali e di Darwin Ch. (1872) The origins of species by means of natural selection, tr. it. L’origine
difesa, la propria stazza corporea. I meccanismi di rifunzionalizzazione (exap- delle specie per selezione naturale, Torino, Boringhieri, 1967.
tation) hanno prodotto un riadattamento di tale struttura che, una volta sele- Deacon T. (1992) The neural circuitry underlying primate calls and human language, in
zionata positivamente grazie a un certo vantaggio evolutivo – che potrebbe es- Wind J., Bichakjian B.H., Nocentini A., Chiarelli B. (eds.) “Language origins: A mul-
sere l’esagerazione della propria taglia o qualsiasi altro vantaggio immediato tidisciplinary approach”, Dordrecht, Kluwer Academic Publishers.
che abbia fornito incremento della fitness stabilizzando il tratto anatomico al- Eibl-Eibesfeldt I. (1987) Grundriss der vergleichenden Verhaltensforschung, Munchen,
l’interno della specie – ha comunque consentito l’articolazione e la modula- tr. it. I fondamenti dell’etologia. Il comportamento degli animali e dell’uomo, Milano,
zione fine di suoni in sequenze più o meno complesse con frequenze forman- Adelphi, 1995.
tiche tipiche. La funzione secondaria, quella che si è instanziata successiva- Falzone A. (2004) Filosofia del linguaggio e psicopatologia evoluzionista, Catanzaro,
mente e non necessariamente per fornire vantaggi adattativi immediati, sareb- Rubbettino.
be, dunque, quella fonatoria. Si tratterebbe di una “analogia esattata”, un caso Fitch W.T.S. (2002) Comparative Vocal Production and the Evolution of Speech: Rein-

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ra di Frigerio A., Raynaud S., “Pubblicazioni della Società di Filosofia del linguaggio”, gia cognitiva dovrebbe apparire una mossa del tutto scontata. Non è così, tut-
2, 2005, Aracne Editrice, Roma, pp. 307-325. tavia. Contro la psicologia evoluzionistica vengono mosse sia critiche interne
Pennisi A., Perconti P. (a cura di) (2006) Le scienze cognitive del linguaggio, Bologna, al paradigma naturalistico, sia esterne ad esso. In questo scritto, dopo un bre-
Il Mulino. ve esame delle critiche interne, presteremo particolare attenzione alle obiezio-
Spelke E.S. (2003) What Makes Us Smart?Core Knowledge and Natural Language, in ni che alcuni studiosi muovono alla psicologia evoluzionistica dall’esterno del
Gentner D., Golden-Meadow S. (2003) “Language and Mind. Advances in the Study paradigma naturalistico. La conclusione a cui perverremo è che le accuse alla
of Language and Thought” pp. 277-311, Cambridge (MA), MIT Press. svolta evoluzionistica della scienza cognitiva sono in larga parte infondate e
Spelke E.S., Kinzler K.D. (2007) Core knowledge, Developmental Science, 10, 1, pp. che la psicologia evoluzionistica può a ragione essere considerata uno dei mo-
89-96. vimenti teorici più promettenti della ricerca futura sulla mente umana.
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Il Mulino, 2005. 1. Antievoluzionismo
Wickler W. (1957) Vergleichende Verhaltensstudien an Grundfischen. I. Beiträge zur Di primo acchito, la situazione non è molto incoraggiante. Alcuni dei padri
Biologie, besonders zur Ethologie von Blennius fluviatilis Asso im Vergleich zu einigen an- fondatori della scienza cognitiva, Chomsky (1988) in primo luogo, criticano
deren Bodenfischen, “Z. Tierpsycol.”, 14, p. 393-428. fortemente l’approccio evoluzionistico allo studio del linguaggio e della men-
Wickler, W. (1965) Über den taxonomischen Wert homologer Verhaltensmerkmale, “Die te. Per quanto negli ultimi anni, il linguista americano abbia mostrato qual-
Naturwiss.”, 52, pp. 441-444. che ripensamento, egli ha sempre criticato l’idea che l’evoluzione giocasse un
ruolo rilevante nell’analisi della natura del linguaggio. Il motivo del suo dis-
senso, tuttavia, dipende dalle caratteristiche interne del suo modello teorico:
l’idea di Chomsky è in effetti che la grammatica universale sia semplicemen-
te “troppo complessa” per poter essere spiegata in termini gradualistici e con-
tinuistici. L’ampio sistema di conoscenze innate alla base della facoltà del lin-
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guaggio è un sistema che o si dà tutto insieme o non si dà affatto. Per quan- Lo scopo di Pinker e Bloom, attraverso la nozione di “complessità adattativa”,
to sia un naturalista convinto, contro l’evoluzione del linguaggio Chomsky è la darwinizzazione delle tesi di Chomsky. Le critiche che agitano il tema del-
agita lo spettro della complessità, l’arma utilizzata dai creazionisti per sostan- la complessità, dunque, non sono valide per contrastare l’approccio evoluzio-
ziare la tesi del “disegno intelligente” (Pievani 2006). nista allo studio del linguaggio: per un approccio naturalista l’evoluzionismo
La complessità, tuttavia, non può essere utilizzata come una prova contro gli ap- sembra essere l’unica strada da seguire.
procci evoluzionistici. Per quanto l’idea che una grammatica complessa o fun-
zioni del tutto o non funzioni affatto sia abbastanza condivisa, essa non vale in La critica di Chomsky all’evoluzionismo è una critica interna al programma di
maniera maggiore per il linguaggio di quanto non valga per gli occhi, le ali e tut- naturalizzazione. Gli attacchi più forti all’approccio evoluzionistico, tuttavia, so-
ti gli altri organi complessi presentati dagli antidarwinisti a conforto della loro no quelli che provengono dall’esterno di tale programma. Alla base di tali attac-
tesi. Se, fedeli al programma di naturalizzazione, non si intende aderire alla tesi chi è una certa visione di ciò che gli umani sono, o, meglio, di ciò che essi do-
creazionista, l’unica alternativa plausibile per spiegare la complessità del lin- vrebbero essere per una loro piena realizzazione. La nostra idea è che il dibattito
guaggio è affidarsi alla teoria dell’evoluzione. Solo l’evoluzionismo, infatti, spie- sull’evoluzionismo (che è un’ipotesi empirica) sia fortemente viziato da precon-
ga la possibilità di un sistema complesso senza chiamare in causa l’operato in- cetti ideologici circa il posto dell’uomo nella natura (Ferretti 2007). Un’idea lar-
tenzionale di un sommo artefice della natura. Gran parte degli argomenti dei gamente condivisa nel dibattito contemporaneo è che per essere artefice de pro-
neocreazionisti poggiano sulla distinzione dicotomica tra caso e progetto: se la prio destino l’essere umano deve possedere sin dalla nascita una caratteristica in
complessità non può essere attribuita al caso, deve dipendere da un progetto. L’e- grado di distinguerlo dal resto del mondo animale: uno stato di povertà istin-
voluzionismo darwiniano ha rotto tale dicotomia chiamando in causa il ruolo di tuale (Virno 2006). Una concezione di questo tipo (cara a Herder e ripresa dal-
un terzo elemento: la selezione naturale. Per quanto i neocreazionisti insistano l’antropologia filosofica) è stata utilizzata per giustificare il carattere flessibile e
nel considerare l’evoluzionismo governato dalla casualità, il caso gioca un ruolo creativo del comportamento umano: per essere flessibili e creativi, secondo que-
all’interno del processo evolutivo, ma non caratterizza tale processo nella sua in- sti autori, gli esseri umani devono essere sistemi cognitivi indeterminati alla na-
terezza. Spiegando la complessità degli organismi senza ridurla al caso e senza scita. La scienza cognitiva, viceversa, fa perno sull’argomento della “povertà del-
chiamare in causa l’intervento trascendente di un creatore, l’alternativa offerta da lo stimolo”, ovvero sull’idea della natura ricca e determinata dei costituenti in-
Darwin rende l’ipotesi del disegno intelligente semplicemente superflua. terni agli individui – come è noto, l’innatismo (declinato in varie forme) rap-
Che la via da seguire sia quella di interpretare la complessità del linguaggio al- presenta uno dei nodi teorici di base di questo programma teorico. Uno degli at-
l’interno del quadro continuista e gradualista offerto da Darwin è stato dimo- tacchi più forti mossi alla scienza cognitiva è che se ammettiamo sistemi cogni-
strato da Pinker e Bloom (1990) in un articolo che ha riaperto il dibattito sul tivi ricchi e determinati sin dalla nascita dobbiamo rinunciare alla flessibilità e
tema dell’origine del linguaggio. Inserendo la grammatica universale nel quadro alla creatività che distinguono gli umani dagli altri animali. Ma è proprio così?
evoluzionista, i due autori arrivano a un esito opposto rispetto a quello di
Chomsky. La loro proposta rovescia i termini della questione: la complessità del
linguaggio, infatti, piuttosto che un ostacolo alla tesi evoluzionista, è ciò che ri- 2. Ideologia
chiede una risposta in termini evolutivi. Bloom (1998, p. 209) riassume in tre La prima cosa da fare è sgombrare il terreno da un fraintendimento (viziato dal-
punti le tesi espresse da Pinker (1994) e Pinker e Bloom (1990): l’ideologia). Soprattutto in Italia, per molti autori chiamare in causa l’innatismo
significa agitare lo spettro del biodeterminismo: poiché la psicologia evoluzio-
1. La selezione naturale è la sola spiegazione dell’origine della complessità nistica è in gran parte fondata sull’idea di una mente ricca e articolata alla na-
adattativa; scita, segue che la psicologia evoluzionistica è in buona sostanza un programma
2. Il linguaggio umano mostra un progetto complesso per il fine adattativo che vede gli umani governati dai geni che li abitano. Non a caso, per liquidare
della comunicazione; la questione, l’accusa più forte a questo approccio teorico è di essere una filia-
3. Il linguaggio, dunque, è evoluto per selezione naturale. zione diretta della sociobiologia. La connessione diretta tra geni e comporta-
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mento viola il principio dell’essere umano come padrone del proprio destino in- nismo, a sua avviso, è la concezione ideologica che porta scienziati razzisti a
catenando le persone a un destino in larga parte prefissato. Dupré (2001), tra i produrre scienza razzista. Gould e Lewontin hanno ragione: la scienza è fatta
critici più forti alla psicologia evoluzionistica, inquadra questo paradigma teori- da uomini in carne e ossa, e gli esseri umani in carne e ossa hanno inclinazio-
co all’interno del quadro meccanicista. Per la risonanza che i suoi lavori hanno ni, desideri, preferenze, ideologie e credenze sul mondo che influiscono sem-
nel dibattito sul tema, è bene prendere in seria considerazione le sue critiche. pre su ciò che fanno. E hanno ragione a sottolineare che i giudizi scientifici
Secondo Dupré l’errore alla base della psicologia evoluzionistica è quello di (specie quando è in ballo la natura umana) non sono inerti sul piano etico e
considerare il genoma come un programma o un insieme di istruzioni capace politico. Tutto questo non solo è indubbio ma è qualcosa su cui vale la pena
(così come il progetto di un architetto sulla carta) di determinare in modo di insistere sempre, visto che in nome di presunte verità scientifiche “oggetti-
univoco la costruzione di un cervello o di essere responsabile di un certo tipo ve” è stato possibile assecondare politiche razziali e nefandezze di ogni sorta.
di comportamento. Il fulcro del biodeterminismo è l’idea che lo sviluppo del- Detto questo, tuttavia, c’è qualcosa che non convince nelle argomentazioni
l’organismo sia in qualche modo l’esecuzione di un programma; la tesi di Du- che i due autori portano contro il biodeterminismo: la commistione dei livel-
pré è che la “convinzione che lo sviluppo di un organismo non sarebbe altro li di analisi. Non è legittimo utilizzare giudizi di carattere etico-politico per
che la realizzazione di un piano o l’esecuzione di un programma in qualche decidere circa la verità o la falsità di una determinata ipotesi teorica. Una co-
modo già scritto nel DNA è un paradigma delle conseguenze distorte cui por- sa è dire che non esistono fatti oggettivi e che i giudizi degli scienziati sono
ta il meccanicismo” (Dupré 2001, trad. it. p. 10). parte del loro sistema concettuale e delle loro opzioni metafisiche di fondo, al-
Questa idea, a suo dire, incarna alla perfezione il fulcro del programma mec- tra cosa è confondere i livelli interpretativi. Nella introduzione alla riedizione
canicista e riduzionista che anima la gran parte degli studi sulla mente di riveduta e ampliata del 1996 di Intelligenza e pregiudizio, Gould sottolinea po-
stampo cognitivo. sitivamente il ruolo dell’ideologia nell’indagine scientifica: criticando Murray
Le critiche di Dupré al biodeterminismo si inseriscono in un quadro teorico (uno dei due autori di The Bell Curve) noto per la sua militanza politica a fa-
noto e consolidato. In Intelligenza e pregiudizio, uno dei libri più belli e inci- vore di Reagan, Gould dichiara di aver scritto Intelligenza e pregiudizio perché
sivi su questo argomento, Gould (1981) ha mostrato in maniera convincente aveva vedute politiche differenti (ib., trad. it. p. 29). Per quanto l’utilizzo del
che la pretesa oggettività delle indagini scientifiche sull’uomo riflette i pre- biodeterminismo a fini politici e sociali debba essere combattuto con ogni
giudizi e la visione del mondo degli scienziati. Uno dei pregiudizi che mag- mezzo è necessario distinguere con cura il giudizio morale o politico che pos-
giormente hanno influito su tali indagini è il biodeterminismo. Cosa dobbia- siamo dare di questo utilizzo dal giudizio di fatto circa la verità o la falsità di
mo intendere propriamente con questo termine? Secondo Gould chi fa ap- una determinata teoria. Il biodeterminismo non può essere falso a causa del-
pello al biodeterminismo le deprecabili utilizzazioni in campo etico, politico e sociale.
Il punto è un altro. Ed è molto più semplice, se si vuole: il biodeterminismo
sostiene che le norme comportamentali comuni e le differenze sociali ed econo- è falso sul piano empirico – e questo dovrebbe porre fine ad ogni discussione.
miche tra gruppi umani – in primo luogo razze, classi e sessi – derivano da di- Il biodeterminismo è falso perché a considerarlo tale sono in primo luogo ge-
stinzioni innate ereditarie, e che la società, in questo senso, è un esatto riflesso del- netisti e biologi: la connessione diretta e automatica tra geni e comportamen-
la biologia (ib., trad. it. p. 42). to è infatti una favola che nessuno è più disposto a raccontare. Questo, para-
dossalmente, complica la posizione di Dupré: la sua battaglia è contro un ne-
Dopo questa definizione “tecnica” Gould ne fornisce un’altra in cui emerge un mico che non c’è. Se la genetica e la biologia non sono biodeterministe, per-
aspetto diverso, un giudizio di tipo politico, molto istruttivo ai fini del nostro ché dovrebbe esserlo una teoria (sul linguaggio o sulla mente, poniamo) che
discorso: secondo tale definizione, in effetti, il biodeterminismo è “la conce- fa riferimento alla genetica e alla biologia?
zione secondo cui coloro che stanno in basso (nella scala sociale) sono fatti di Nel libro La nascita della mente, Marcus (2004) spiega perché il genoma deve
materiale intrinsecamente scadente (cervelli poveri, geni cattivi eccetera)” (ib., essere posto a fondamento del cervello, della mente e del comportamento de-
p. 50). Lewontin (2000) è molto più netto a questo riguardo: il biodetermi- gli umani. Il suoi argomenti sono molto istruttivi per discutere la questione del
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biodeterminismo. Un caso emblematico è quello del linguaggio. Nel 2001, Fis- mente coinvolti nello studio delle relazioni tra geni e linguaggio) sostiene
her, Monaco e Lai hanno scoperto un raro disturbo del linguaggio e della pa- esplicitamente che FoxP2 non è il gene del linguaggio perché il linguaggio
rola provocato da un gene unico prevalente in una famiglia britannica nota co- non può dipendere da un gene. Quello che non si capisce, allora, è perché di
me “famiglia KE”. Per quanto i media e la gran parte dei critici facciano riferi- fronte a dichiarazioni esplicite come queste, la maggior parte delle critiche ri-
mento a FoxP2 nei termini del “gene del linguaggio”, l’opinione di Marcus è volte agli studi sui fondamenti genetici del linguaggio continuino a fare rife-
che un’espressione del genere sia, oltre che falsa, del tutto fuorviante: rimento alla pretesa esistenza di un gene del linguaggio.

Uno dei motivi per cui non ha senso parlare del gene “di” un particolare com-
portamento è che il circuito neurale coinvolto nell’attuazione di un qualunque da- 3. Psicologia evoluzionistica e sociobiologia
to comportamento è molto più complesso di un qualunque singolo gene. Non ci Considerare la psicologia evoluzionistica come biodeterminista, ovviamente,
può essere un unico gene per il linguaggio, o per la propensione a parlare del tem- porta a considerarla una parente stretta della sociobiologia. Dupré è uno dei
po che fa, più di quanto ci possa essere per il ventricolo sinistro di un cuore uma- sostenitori più accesi del riconoscimento di tale parentela. Per quanto egli sia
no. Persino un’unica cellula del cervello – o un’unica cellula del cuore – è il pro- benevolmente disposto a concedere che gli psicologi evoluzionistici entrino
dotto di molte proteine e quindi di molti geni. E, se si esclude forse il caso dei più nel dettaglio dell’analisi dei dispositivi innati mentali di quanto non fa-
riflessi, la maggior parte dei comportamenti sono il prodotto di molti circuiti neu- cessero i sociobiologi, l’unico fatto che, a suo avviso, li distingue dai loro pre-
rali. (…) Il contributo principale dei geni nelle azioni istante-per-istante di un decessori è che “mentre i sociobiologi tendevano a parlare in modo approssi-
animale avviene prima, quando si imposta e si mette a punto il circuito neurale, mativo dell’evoluzione di un comportamento, per esempio la violenza sessua-
non nel funzionamento istante-per-istante del sistema nervoso. I geni costruisco- le da parte di alcuni maschi, loro parlano dell’evoluzione, nei maschi, di mo-
no le strutture neurali, non il comportamento (Marcus 2004, trad. it. p. 95-96). duli psicologici per lo stupro” (Dupré 2001, trad. it. p. 25). Da questa cita-
zione emerge un altro bersaglio polemico delle critiche alla psicologia evolu-
La metafora del gene del linguaggio è fuorviante in primo luogo perché fa zionistica: la mente modulare – una concezione meccanicistica del mentale
esplicito riferimento a una metafora fuorviante: la visione distorta del “geno- che molti vedono come un ostacolo serio alla spiegazione della flessibilità e
ma come un progetto”. Scrive Marcus (2004, ivi, p. 8): della creatività degli umani. Come rispondere a queste critiche?
Sostenere che la psicologia evoluzionistica è soltanto la versione aggiornata del-
Per capire come i geni influenzino le caratteristiche e le capacità umane dobbia- la sociobiologia è un’affermazione che merita attenzione. La sociobiologia (Wil-
mo innanzitutto abbandonare l’idea consueta di genoma (l’insieme dei geni in un son 1975) ha proposto una concezione del comportamento umano largamente
dato organismo) come di un progetto. Il genoma non è uno schema elettrico per determinato dai geni: secondo Dawkins (1986), ad esempio, il comportamen-
la mente o una fotografia di un prodotto finito, anche se i titoli dei giornali lo la- to degli organismi deve essere considerato come l’espressione diretta delle esi-
sciano così spesso intendere. genze del “gene egoista”. Gli esseri umani, ovviamente, non fanno eccezione.
Ammettendo un’idea di questo tipo, le critiche di chi sostiene che il comporta-
Mentre nei progetti vige una corrispondenza diretta fra gli elementi del dise- mento umano è troppo flessibile per poter essere classificato in questo modo
gno e quelli dell’oggetto reale costruito, non è possibile ipotizzare alcuna cor- colgono sicuramente nel segno. Ma davvero la psicologia evoluzionistica sostie-
rispondenza uno-a-uno tra i geni e le cellule e le strutture di un organismo. ne una concezione così deterministica del comportamento umano? No, non è
Molto semplicemente: poiché non esiste un gene del linguaggio, gli studi sul- così. Gli psicologi evoluzionistici, tanto per cominciare, criticano fortemente la
la genetica del linguaggio non riguardano la ricerca di un gene del linguaggio. sociobiologia. Contro la tesi della connessione diretta tra geni e comportamen-
Ora, pur essendo chiaro (a tutti) che la metafora del progetto è scorretta, le to portata avanti dai sociobiologi, infatti, gli psicologi evoluzionistici pongono
discussioni infinite sul ruolo del genoma nel comportamento fanno riferi- l’accento “sui meccanismi psicologici che mediano la dimensione biologica con
mento esplicito proprio a tale metafora. Marcus (uno degli studiosi maggior- quella del comportamento manifesto” (Adenzato e Meini 2006, p. XIV). L’er-
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rore di Dupré è di non aver colto questa differenza sostanziale. Secondo Carru- La selezione naturale è un processo di inesorabile superamento delle difficoltà che
thers (2002) confondere la psicologia evoluzionistica con la sociobiologia è co- tende a sostituire configurazioni relativamente meno efficienti con altre che hanno
me confondere la scienza cognitiva con il comportamentismo: risultati migliori. (…). Dato questo criterio, supporre una prevalenza dei meccani-
smi indipendenti dal dominio non è né prudente né parsimonioso. I meccanismi in-
Evolutionary psychology (…) – as heir to the cognitivist revolution – take quite se- dipendenti dal dominio non possono affatto risolvere la maggior parte dei proble-
riously a belief/desire (or an information/goal) organization of psychological mi adattativi, e nei pochi casi in cui possono farlo un meccanismo specializzato li ri-
systems. This is true even in the case of insects, where it turns out that desert ant solverebbe probabilmente in modo più efficiente. La ragione è piuttosto chiara. È
has states representing that food source is 44.64 meters North-East of its nes on a un principio di costruzione valido generalmente quello per cui una medesima mac-
bearing of 16.5 degrees, say, which it can deploy either in the service of the goal of china raramente è capace di risolvere altrettanto bene due distinti problemi. Co-
carrying a piece of food in a strainght line back to the nest, or in returning directly struiamo tanto cavatappi quanto tazze perché ciascuno consente di risolvere un de-
to the source once again – or, in the case of bees, when the goal is to inform other terminato problema meglio degli altri. Sarebbe estremamente difficile aprire una
bees of the location of the food source (Gallistel 1990, 2000). What has been se- bottiglia di vino con una tazza o bere con un cavatappi. Lo stesso principio si ap-
lected for in the first instance, on this view, are systems for generating beliefs and plica alla configurazione del corpo umano. (…) La specializzazione nella configura-
desires; the behaviors which result from those beliefs and desires can be many and zione è il marchio della selezione naturale, nonché il risultato più comune (Williams
various. Indeed, once modules for gathering information about social norms, and 1966). Di fatto, più è importante il problema adattativo, più intensamente la sele-
for generating desires for things which will enhance social status, are factored into zione naturale tende a produrre specializzazione, e migliora le prestazioni del mec-
the evolutionary psychology equation, then there seems no limit to the flexibility canismo mediante cui risolverlo. (…). Per questa ragione dobbiamo aspettarci che
of behavior which an evolved modular psychology could issue in (ib., pp. 1-2). l’architettura della mente umana includa numerose specializzazioni cognitive adat-
tative, funzionalmente distinte. Ed è così (ivi, trad. it. pp. 24-5).
Considerare la psicologia evoluzionistica una filiazione diretta della sociobiolo-
gia è un errore grossolano. Se proprio si sente l’esigenza di costruire parentele, La mente modulare fornisce all’organismo un’efficace sistema per la soluzione
la filiazione della psicologia evoluzionistica deve essere riferita alla scienza co- di problemi. L’automaticità e l’obbligatorietà dei moduli (le caratteristiche che
gnitiva – il cui avvento, contro ogni ipotesi deterministica, ha sancito il ruolo li rendono simili ai riflessi, piuttosto che all’intelligenza) rendono questi si-
degli stati mentali nella spiegazione del comportamento degli individui. stemi di elaborazione estremamente rapidi nel produrre la risposta appropria-
Per quanto riguarda la modularità, il discorso da fare è più articolato. La que- ta al compito in questione. Dal punto di vista adattativo la velocità di rispo-
stione è di importanza decisiva, visto che gli argomenti più forti a favore del mo- sta è una caratteristica fondamentale ai fini della sopravvivenza. Per essere ve-
dularismo riguardano proprio la compatibilità con i modelli evoluzionistici. La loci, tuttavia, i moduli devono essere “automatici” e “obbligati”, due proprie-
prima cosa da sottolineare è che la forza della teoria modulare è nella debolezza tà che sembrano entrare in contrasto con la flessibilità e la creatività del com-
del modello alternativo, quello che fa riferimento a una forma di “intelligenza portamento umano. Ora, davvero (come sostengono i critici della mente mo-
generale”. Nelle situazioni concrete del mondo reale non esistono “problemi ge- dulare) aderire a un modello di questo tipo implica l’impossibilità di dar con-
nerali” da risolvere ma solo problemi specifici e determinati: dal punto di vista to di queste importanti caratteristiche del comportamento umano?
adattativo, dunque, “non esiste qualcosa come un ‘risolutore universale di pro-
blemi’ perché non c’è nulla come un problema universale” (Symons 1992, trad.
it. p. 48). Ma se la mente non può essere considerata come un risolutore gene- 4. Flessibilità e creatività
rale di problemi allora la sua architettura, probabilmente, è molto più simile a Oltre ai pregiudizi contro l’innatismo, molte delle critiche alla mente modu-
quella di un coltellino svizzero in cui ogni lama è espressamente progettata per lare chiamano in causa il meccanicismo. La maggior parte di queste critiche
una funzione specifica (Cosmides e Tooby 1994). La selezione naturale deve utilizzano argomenti di tipo cartesiano: la tesi secondo cui alcuni aspetti del-
aver favorito sistemi adattativi ricchi di meccanismi dominio-specifici: la natura umana (quelli che rendono gli umani ciò che sono) non sono inter-
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pretabili nei termini della semplice “disposizione d’organi” ma devono far ri- timane. La serie dei comportamenti che conducono alla sopravvivenza anche tem-
ferimento a un principio di ordine diverso. Questa tesi è stata ripresa da poranea dell’individuo (…) costituiscono un sottoinsieme estremamente piccolo
Chomsky secondo cui la flessibilità e la creatività del comportamento umano di tutte le sequenze comportamentali possibili. Così, la proprietà di variare il com-
(di quello linguistico in special modo) non possono essere spiegate in termini portamento in ogni dimensione in modo libero e indipendente da condizioni non
meccanicistici. Ora, poiché la mente modulare è una mente meccanica, il ri- è vantaggiosa: è evolutivamente e individualmente disastrosa (ivi, p. 101).
sultato è che alcuni aspetti del comportamento umano, quelli cui siamo soli-
to riferirci in termini di creatività e flessibilità, sembrano preclusi in via di Sostenere che la flessibilità (non ulteriormente specificata) è potenzialmente
principio alla mente modulare. dannosa non significa dover rinunciare a dar conto di una delle proprietà più ca-
Che i sistemi cognitivi di cui dispongono gli umani siano caratterizzati da un al- ratteristiche della mente umana. La risposta al problema passa per la soluzione
to grado di flessibilità è un fatto indiscutibile che aspetta giustificazioni. Se i siste- di un apparente paradosso: da una parte gli esseri umani sono sistemi cognitivi
mi cognitivi umani non sono retti da una forma generale di intelligenza, la flessi- estremamente flessibili; d’altra parte la loro capacità di risolvere problemi di-
bilità che li caratterizza deve essere spiegata in riferimento a qualcos’altro. La scien- pende dall’uso di dispositivi di elaborazione fortemente specializzati. Per risolve-
za cognitiva è oggi alle prese con il problema di conciliare la concezione modula- re il paradosso si ha bisogno di un modello della mente in grado di mantenere
rista della mente con il fatto che i comportamenti umani siano flessibili e creativi insieme l’efficacia in un contesto determinato e la capacità di far fronte a diver-
(Carruthers 2006, Sperber 2005). Non entriamo qui nei particolari di questo di- si contesti problematici. Tale modello non passa per la individuazione di un ge-
battito. La cosa che ci preme sottolineare è che, come emerge chiaramente dal di- nerico meccanismo di risoluzione di problemi. La “flessibilità adattativa” dipen-
battito in corso, la tesi modularista non è in contrasto con l’idea che le menti uma- de infatti dall’aggregazione di un ampio numero di meccanismi specializzati.
ne siano flessibili e creative: solo menti ricche e articolate, infatti, possono spiega- Paradossalmente allora la flessibilità è una proprietà che alcuni dispositivi hanno
re la flessibilità e la creatività del comportamento umano (Ferretti 2007). per il fatto di essere costituiti da un alto numero di sistemi dominio-specifici.
Una prima considerazione da fare a tale proposito è che la disputa sulla pla- Diversamente da quanto suggerito dal modello standard, in effetti, l’analisi del-
sticità e indeterminatezza della mente umana in relazione alla flessibilità adat- le peculiarità del sistema computazionale degli esseri umani suggerisce che
tativa si basa su un fraintendimento del termine flessibilità. Tooby e Cosmi-
des (1992) sostengono che la posizione classica fa coincidere due diverse ac- la flessibilità adattativa (…) è così grande a causa del numero dei meccanismi spe-
cezioni del termine: la flessibilità intesa come assenza di vincoli nelle risposte; cifici per dominio a disposizione degli umani. (…) Questo va nella stessa direzio-
la flessibilità intesa come capacità di produrre risposte appropriate ai contesti. ne dell’argomento di William James secondo cui gli umani hanno più “istinti” de-
La difficoltà di questa confusione è ben messa in luce dai due autori. Quan- gli altri animali, non meno (ivi, p. 113).
do i sostenitori della tesi della natura povera e indeterminata dell’essere uma-
no pensano a un sistema cognitivo flessibile essi di fatto aderiscono al primo Il riferimento alla tesi modularista è la condizione per dar conto di una men-
senso di flessibilità e credono che per costruire un sistema cognitivo di questo te flessibile ed efficace: “gli esseri umani si comportano con flessibilità perché
tipo sia sufficiente rimuovere tutti i vincoli che possano limitarne il campo sono programmati” (Pinker 2002, trad. it. p. 56). La mente modulare, dun-
d’azione. Sistemi di questo tipo, tuttavia, non sono in grado di produrre com- que, piuttosto che in contrasto con l’idea della flessibilità della natura umana,
portamenti flessibili nel secondo senso di flessibilità (non agiscono in modo appare essere la sua unica spiegazione legittima.
appropriato al variare dei contesti). Il riferimento alla flessibilità in quanto ta-
le può rivelarsi fallimentare da un punto di vista evolutivo:
5. Conclusioni
Potenzialmente, gli esseri umani e gli altri animali possono agire secondo un nu- Se le accuse alla svolta evoluzionistica della scienza cognitiva si basano sul bio-
mero infinito di modi. La difficoltà sta nel fatto che la grandissima maggioranza determinismo e sul meccanicismo abbiamo buoni motivi per essere ottimisti. La
delle sequenze comportamentali sarebbero letali nel giro di poche ore, giorni o set- psicologia evoluzionistica non è la sociobiologia: il riferimento costante agli sta-
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ti mentali degli individui come condizione esplicativa dei loro comportamenti Lewontin R.C. (2000) The Ain’t Necessarily So: The Dream of the Human Genome and
dovrebbe fugare i dubbi di quanti credono che aderire a questo modello inter- Other Illusions, New York, NYREV, trad. it. Il sogno del genoma umano e altre illusio-
pretativo comporti l’adesione alla tesi (deterministica) della relazione “diretta” ne della scienza, Roma-Bari, Laterza, 2004.
tra geni e comportamento. Anche le critiche al meccanicismo della modularità Marcus G. (2004) The Birth of the Mind. How a Tiny Number of Genes Creates the
mancano il bersaglio: quando si lascia da parte una nozione ingenua di flessibi- Complexity of Human Thought, Basic Books, New York, trad. it. La nascita della men-
lità comportamentale (l’idea dell’assenza di vincoli nelle risposte) per affrontare te, Milano, Codice, 2004.
il tema della capacità di rispondere in modo appropriato alle sfide ambientali ci Pievani T. (2006) Creazione senza Dio, Torino, Einaudi.
si accorge che le menti devono essere ricche di determinazioni interne per esse- Pinker S. (1994) The Language Instinct, New York, William Morrow and Company,
re funzionali allo scopo. La teoria modulare della mente risponde esattamente a trad. it., L’istinto del linguaggio, Milano, Mondadori, 1997.
questo problema. Ci sono ottimi motivi, dunque, per considerare la svolta evo- Pinker S., Bloom P. (1990) Natural Language and Natural Selection, BBS, 13, pp.
luzionistica della scienza cognitiva carica di positive implicazioni teoriche per 707-784.
quanti abbiano a cuore il progetto di naturalizzare la mente umana. Sperber D. (2005) Modularity and Relevance. How Can a massively Modular Mind Be
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Edoardo Boncinelli Dennett quello che ha detto Fodor interessa solo i loro figli e i loro parenti.
Università Vita-salute Quello che dobbiamo portare a casa è la sedimentazione di ciò che loro hanno
San Raffaele di Milano pensato, degli esperimenti che sono stati fatti e dei risultati ottenuti e dello sta-
to dell’arte. Nella scienza conta solo lo stato dell’arte, il quale ricordatevi, vi
piaccia o meno, è figlio di tante persone, alcune intelligenti, alcune di mezza
tacca, altri veri “fessacchiotti” che, però, hanno dato il loro contributo ad una
grande mole di conoscenza. Questa è una notazione antropologica, mi piange
il cuore sentire un giovane di 20 anni giurare in verba magistri.
Evoluzione, genetica Parlerò adesso di evoluzione, chiarendo alcuni punti. Uno è già stato chiarito
e scienze cognitive abbondantemente che è quello che bisogna liberare l’idea di evoluzione da
quella di progresso: questa relazione si deve ad un accidente storico legato al
fatto che il termine stesso evoluzione è stato coniato in un periodo in cui si
parlava tanto di progresso civile. Quindi è rimasto questo connubio verbale,
Devo dire che non avrei mai pensato che qualcuno potesse porre il problema semantico; ma in questa occasione non mi addentrerò in tale questione.
della conciliabilità dell’evoluzione con le scienze cognitive. Si tratta di due fat- Il secondo punto è relativo ad un altro termine infelicissimo che è quello di
ti inoppugnabili. Da una parte esiste un sistema nervoso e un cervello. Noi li “adattamento”. Io ho fatto una battaglia personale contro questo termine.
vogliamo studiare e comprendere entrambi; e questo è il compito delle scien- Nella scienza si parla solo di cose misurabili e l’adattamento non è misurabi-
ze cognitive. Dall’altra c’è l’evoluzione, la cui teoria suppone che la vita non le. L’unica cosa che è misurabile è la fitness cioè la capacità complessiva che ha
è stata sempre la stessa, ma ci sono stati dei cambiamenti. Al momento la spie- un certo individuo di lasciare progenie. Questo dipenderà dall’adattamento
gazione migliore che abbiamo per comprendere questi cambiamenti è il neo- della sua zampa, del suo naso, l’adattamento del suo sistema digestivo. Ma l’a-
darwinismo. Dove sta il contrasto tra evoluzione e scienze cognitive? Non ve- dattamento di tutte queste cose non si può misurare; non solo, non si può
do assolutamente dove possa essere il contrasto se non per il fatto che ancora nemmeno comparare, non si può dire che questo è più adattato di questo.
non sappiamo spiegare alcune cose. Inoltre l’adattamento, come è noto a tutti, è riferito ad un ambiente specifico
Ma la scienza deve avere pazienza, sono le pseudoscienze che vogliono spiega- e quindi cambia da un ambiente ad un altro.
re tutto e subito. La scienza per tanti anni è stata all’oscuro di un sacco di spie- In realtà quello che è mancato in tutti i discorsi dei relatori che mi hanno pre-
gazioni. In particolare ciò che a noi piacerebbe di avere a disposizione oggi è ceduto, è una cosa che manca quasi sempre nei dibattiti sull’evoluzione: il ri-
l’evoluzione del linguaggio, ma il percorso evolutivo che ha condotto alla sua ferimento ai geni e ai genomi. Quando sento dire che gli esseri viventi sono
selezione ancora non è stato definito. Forse è meglio, perchè perdereste tutti sistemi dinamici, mi viene un brivido. Non c’è dubbio che gli esseri viventi
il mestiere se sapessimo come funziona l’evoluzione del linguaggio! E poi so- siano sistemi dinamici, ma non c’è dubbio si tratti di sistemi dinamici molto
no sicuro che questo aprirebbe altrettanti problemi quanti ne chiuderebbe e particolari che hanno un genoma: un bicchiere è un bicchiere, una bottiglia è
quindi ringraziando Dio esistono problemi aperti. L’evoluzione ci aiuta a ca- una bottiglia, un cane è un cane più il suo genoma, un gatto è un gatto più il
pire certe cose; le scienze cognitive ci aiutano a capire altre cose. suo genoma, un essere umano è un essere umano più il suo genoma e la fun-
Prima di parlare di evoluzione voglio aprire una parentesi, facendo un’osserva- zione essenziale e costitutiva di un essere vivente è quella di avere un genoma
zione: da ieri sento parlare per autori. Se c’è una cosa che poco produttiva nel- e di passarlo alle generazioni successive.
la scienza è quella di invocare il principio di autorità, “ha detto Chomsky, ha È vero, lo sappiamo tutti, ma, nonostante ciò, sento sempre dire: “un’ala che
detto Fodor”. Ma che importanza ha chi a detto cosa? Quello che conta è quel- evolve, una zampa che evolve, un occhio che evolve”! L’occhio muore con il
lo che è vero! Posso fare un’eccezione per Darwin o altri autori della sua por- suo possessore, la zampa muore con il suo possessore, quelli che evolvono so-
tata. Ma per la scienza quello che ha detto Churchland, quello che ha detto no i geni per fare l’ala, i geni per fare la zampa, i geni per fare l’occhio. Ecco
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perché è nata una nuova disciplina detta evo-devo che unisce evolution e deve- mutamento genico che li ha visti mutare in maniera concomitante, e dunque si
lopment: di fatto l’evoluzione è evoluzione degli sviluppi. presentano a “rimorchio” di un fenomeno (qualche anno fa si parlava di feno-
Spostare l’accento sui geni non è una pedanteria, ma aiuta a far capire tante meno di “autostoppismo”) di cui possiamo conoscere la valenza adattativa, ma
cose che altrimenti non si capiscono. Una di questa è il problema relativo al- che non spiega l’adattatività dei tratti che si è “portato appresso”.
l’evoluzione degli organi molto complessi e molto delicati, questione che Dar- Non dobbiamo darci alla disperazione, non dobbiamo pensare che è tutto
win si è posto e che ha continuato a porsi fino a pochi giorni prima della mor- sbagliato. Il nostro sforzo deve essere, allora, orientato verso la comprensione
te. Era indubbiamente difficile spiegarsi la comparsa improvvisa di grandi in- del perché questo tratto, che a noi pare non aver significato nulla, si è affer-
novazioni per l’azione di tanti piccoli cambiamenti continui, ma noi non sia- mato, perché è stato mantenuto. La spiegazione può essere rintracciata pro-
mo ai tempi di Darwin. Sono trascorsi 150 anni e sappiamo anche che ci so- prio nei motivi del mantenimento del tratto all’interno della popolazione: è
no geni di tipo diverso, ci sono geni che hanno un alto valore gerarchico; ci proprio questo il nocciolo dell’evoluzione. Un esempio può essere utile per
sono geni, per dirla in maniera meno politica, che quando mutano automati- comprendere la questione.
camente cambiano il funzionamento di altri 10, 20, 50, o di migliaia di geni. Io ho avuto a che fare con un gene, alcuni anni fa, che è presente in tutte le
Si tratta sempre di mutazioni che coinvolgono tipi di geni differrenti. Con specie superiori, intendendo tutte quelle a simmetria bilaterale, dove c’è una
una metafora potremmo dire che se tu muti un gene imbianchino avrai un ri- testa e una coda. Questo gene contemporaneamente controlla il numero del-
sultato, se tu muti un gene architetto avrai un risultato diverso perché la sua le cellule cerebrali, la forma della laringe, la funzionalità renale, i genitali ester-
mutazione si trascina dietro il cambiamento nella lettura di altri geni. La sco- ni e chissà quali altre cose. Immaginiamo allora di poter valutare di un gene
perta di geni di questo tipo è avvenuta da poco più di vent’anni e ci aiuta a di questo tipo, un gene regolatore, quanto sia mutato a quanti risultati ana-
comprendere le novità come cataclismi biologici. Accanto a questa tipologia tomici ha portato. Di sicuro ha condotto a una costellazione di variazioni
di cambiamenti imprevedibili, dettati dal caso, inoltre, bisogna valutare – per strutturali, non a un solo risultato: ha, probabilmente, prodotto una cortec-
avere un quadro completo dei vincoli e delle possibilità determinate dalla va- cia più grossa, ha prodotto una laringe con un’altra forma, ha prodotto un
riazione genetica – anche i cataclismi, cambiamenti esterni di natura geologi- modo di affrontare le inondazioni e le siccità in maniera diversa. Può darsi,
ca, meteorologica o astronomica. O anche genomica. Pensate, ad esempio, però, che ciò che ha determinato il successo di quel gene e dunque ciò che la
agli anfibi che sono diversi dai pesci perché hanno il doppio dei cromosomi natura ha selezionato di tutti questi tratti mutati sia stato solo uno, in rela-
di quelli: è successo qualcosa per cui due assetti cromosomici complessi sono zione ad una condizione ambientale che al momento in cui si è verificata la
rimasti intrappolati nella stessa cellula e sulla base di questa catastrofe poi gli mutazione stava variando rispetto alla precedente. Ad esempio, si potrebbe
anfibi hanno dovuto trovare la loro strada per riuscire a sopravvivere. Quindi supporre che il tratto sia stato selezionato perché in quel periodo l’uomo sta-
di queste grandi catastrofi, alcune sono esterne – come il famoso meteorite del va subendo una transizione climatica caratterizzata da inondazioni, stava vi-
Giurassico, le isole che compaiono e scompaiono, le specie che si spostano – vendo un cambiamento di habitat in cui era importante avere una funziona-
altre sono interne, genetiche: anche i geni, infatti, che sono una realtà mate- lità renale di un certo tipo. E siccome senza cervello si campa, ma senza reni
riale, possono avere degli accidenti. non si campa, si è verificato un “trascinamento” di tutti i tratti gestiti da que-
Per quel che riguarda, invece, l’adattazionismo, lo stesso Darwin aveva pratica- sto gene: tale trascinamento è stato prodotto solo in funzione dell’adattitività
mente fornito la soluzione al problema: non aveva mai detto che un tratto per determinata dal cambiamento strutturale della funzionalità dei reni. Il tratto
essere selezionato deve portare ad un effettivo vantaggio, è già sufficiente che selezionato è la variazione dei reni che ha “portato” per puro caso anche altre
non porti nessuno svantaggio. Data la relatività biologica ed ecologica dei mec- variazioni. Anche se questa è una visione semplificata dei processi di selezio-
canismi evolutivi, affinchè certi tipi d’individui sopravvavono e lascino eredi di ne ha una base reale. Può darsi, infatti, che la selezione di una maggiore fun-
una nuova specie, infatti, è sufficiente che il tratto non sia troppo dannoso non zionalità renale si sia “tirata” appresso di conseguenza l’aumento spaventoso
che porti necessariamente dei vantaggi. Può verificarsi, inoltre, che quel tratto delle cellule della nostra corteccia cerebrale e, chi lo sa, forse anche la forma
mutato vada di pari passo con un altro perché tutti e due derivano da grosso della laringe che ci ha permesso di articolare il linguaggio.
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È uno scenario possibile, non dico che sia così, ma è interamente concepibile mi ha sempre incuriosito da quando ero studente linguaggio, ma in questa se-
nel più ampio scenario sia della teoria evolutiva sia della genetica. Certo la no- de ne tratterò in maniera molto limitata. Mi piacerebbe sentire dire prima o
stra corteccia è un elemento strutturale di rilievo: da questo punto di vista, poi qualcosa di sensato sull’evoluzione del linguaggio. Se dovessi utilizzare
non c’è dubbio che noi deriviamo dalle scimmie, e non c’è neanche il dubbio una metafora, io personalmente scommetterei sul fatto che il linguaggio è na-
che i principi organizzativi presenti in noi e nelle scimmie o ai gatti non dif- to come Atena tutta intera e armata dal cervello di Zeus, perché sono un bio-
feriscono in alcun modo. Nelle relazioni precedenti abbiamo sentito addirit- logo e ho visto che le cose succedono tutte insieme e improvvisamente. C’è
tura la descrizione delle capacità dei pulcini, capacità presenti in molti ami- una differenza tra uomini e non uomini sulla quale non si può tacere. Il lin-
nali non umani. A questo punto ci si potrebbe chiedere: ma allora, se i prin- guaggio è, secondo me, un punto essenziale della differenza.
cipi organizzativi sono gli stessi, a cosa si devono le differenze tra il cervello Ma un altro punto risulta essenziale a tal proposito: l’evoluzione culturale,
delle varie specie animali? È necessario, per rispondere a questa domanda, fa- presente solo nell’uomo. Nessun animale si riunisce al chiuso a parlare, a fare
re riferimento alle differenze quantitative che in questo campo contano. C’e- scuola come in questa occasione (perché in un certo senso questa è una scuo-
ra un periodo un cui si citava sempre Marx e si citava una frase di Engels che la: la preparazione di un certo nucleo di persone che ascoltano un altro nu-
oggi è passata di moda, secondo la quale dopo un certo livello la quantità di- cleo di persone e alcune persone se ne andranno di qua sapendo qualcosa di
viene qualità. È un principio che vale già all’interno della fisica moderna, in più o, per lo meno, avendo appreso un riferimento bibliografico che permet-
base alla quale le cose piccole seguono la meccanica quantistica, le cose gran- terà loro di sapere qualcosa di più). Questa volontà e questa possibilità negli
di seguono la meccanica classica e la differenza nell’applicazione risiede solo animali non è presente. Si tratta di una differenza che possiamo considerare
nella quantità. In sostanza, c’è un momento in cui il numero di atomi, non una discontinuità. Ovviamente non si tratta di una discontinuità biologica: si
sappiamo bene se 10, 15, 20, 30, fa passare gli oggetti da una logica comple- tratta di una discontinuità sulla base del fatto che gli unici nel mondo a noi
tamente inconcepibile (e imprevedibile) ad una logica concepibile e prevedi- conosciuto a presentare, accanto al processo dell’evoluzione biologica, l’evo-
bile. È proprio a questo punto che la quantità diventa qualità. luzione culturale – che come tutti sanno segue leggi diverse – sono gli esseri
Non sappiamo qual è la vera differenza tra la nostra corteccia e la corteccia di umani. L’evoluzione culturale possiede innanzitutto una velocità diversa; è
certi animali che ci stanno vicino, certo il numero di neuroni che la compo- molto più veloce l’evoluzione culturale di quella biologica: ma di fatto siamo
ne – e delle possibili connessioni intercellulari – non può non impressionar- quello che siamo perché l’evoluzione biologica lo ha permesso, ma soprattut-
ci. Noi abbiamo qualcosa come cento miliardi di neuroni nella corteccia col- to perché l’evoluzione culturale ci ha consegnato i risultati culturali, sociali,
legati da una media di 10.000 contatti: qualcosa come milioni di miliardi di tecnologici che caratterizzano le società moderne.
contatti sinaptici. La tipologia organizzativa ci apparenta allo scimpanzè, al Ma a questo punto dobbiamo porci una domanda biologica: come mai abbia-
topolino, al gatto, ma la quantità ci distingue. Non c’è stato un salto, una dis- mo l’evoluzione culturale? A che cosa è dovuta? Quando è cominciata? E qui è
continuità: il nostro è un numero che fa tremare le vene e i polsi. necessario fare un discorso serio, anche se, per i tempi che abbiamo a disposi-
Ho avuto recentemente una discussione con un neurobiologo molto importan- zione, possiamo solo abbozzarlo. Al meglio delle nostre conoscenze, sappiamo
te, Elkhonon Goldberg, il quale era convinto che l’aumento di complessità fos- che l’ultima volta che è cambiato il nostro genoma è stato circa 150-200.000
se sufficiente a spiegare l’origine del linguaggio, una posizione diversa da quella anni fa. Dopo è successo qualcosa, ma non si sono verificati cambiamenti gros-
di Chomsky. Io ho detto che non ero d’accordo, ma tutto sommato non sono si. Come mai, allora, ci abbiamo messo un po’ di tempo, rispetto alla nostra
riuscito a trovare un vero motivo. Intimamente sono ancora convinto che non configurazione anatomica, per tirare fuori gli “artigli”, per mostrare una evolu-
è solo una questione di numeri, ma di qualche tipo di circuito, anche se anco- zione culturale? Abbiamo cominciato a seppellire i morti, 30-40.000 anni fa
ra non siamo in grado fi individuare quale circuito ci distingue dallo scimpan- abbiamo cominciato a istoriare le caverne, abbiamo addomesticato le piante e
zè: sappiamo solo che il numero delle cellule delle connessioni ci distingue. gli animali e, non tanto tempo fa, abbiamo mostrato le prime capacità di pre-
L’evoluzione del linguaggio, tema molto dibattuto in relazione sia alla sua ori- scrittura. Poche decine di migliaia di anni fa è arrivata la scrittura, ma non dap-
gine sia alla connessione con le altre capacità cognitive, è un argomento che pertutto: anche in questo Paese c’è gente che non scrive.
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Come mai questo ritardo? Certo potrei spiegare tutto dicendo che 40.000 an- re una zampa, per fare un’antennina, per fare un corno, per fare una sinapsi,
ni fa sono arrivati nuovi geni importanti che hanno cambiato la temperie bio- per fare un contatto.
logica dell’uomo e c’è stata l’evoluzione culturale. Non sembra però che sia Siamo noi che diciamo questa è una sinapsi, questa è una gamba, questo è un
andata così, anche se in biologia “mai dire mai” – può darsi che domani qual- corno, questo è il prodotto di un’azione coordinata di geni. Tutto quello che
cuno me dimostri in maniera inequivocabile che sia andata così. Dobbiamo noi studiamo, tutto quello di cui si è parlato in questi giorni e di cui imma-
porci il problema da un punto di vista biologico: io me lo sono posto, ma non gino si parlerà ancora domani non è che il risultato di questo lavorio incredi-
l’ho risolto. Sia ben chiaro: il problema che mi sono posto riguarda cosa sia bile di geni che producono un sacco di cose, alcune delle quali ci incuriosi-
successo da un certo punto in poi per cui un animale sufficientemente adat- scono particolarmente: ma i geni non lo sanno cosa stanno facendo. I geni che
to, sufficientemente complesso, sufficientemente intelligente – qualunque co- si sono associati, disassociati, mutati, selezionati, non sapendo assolutamente
sa voglia dire la parola intelligente – ha cominciato a tramandarsi qualcosa. Il se sono lì per far aggregare due spugne o sono lì per farci leggere il Don Chi-
bambino nasce animale come tutti gli animali, ma già dopo qualche ora non sciotte, sono un’argomento molto forte contro chi sostiene che la mente e il
è più un animale tra gli animali, è un essere che ha imparato, che ha visto, che pensiero non sono “riducibili”.
ha sentito. Un bambino a 5 anni chiaramente non è più un animale, mentre I geni stanno lì soltanto per fare i fatti loro. Noi poi dal nostro punto di vi-
appena nato è esattamente come gli uomini di 150.000 anni fa: in un mio ar- sta, decidiamo che leggere Don Chisciotte è un fattore importante, che l’ag-
ticolo, per chiarire questo concetto, ho parlato di “doppia nascita”, e in un li- gregarsi per le spugne, invece, è un fattore meno importante e siccome legge-
bro prossimo parlerò di una nascita plurima, ma certo almeno doppia. È pos- re Don Chisciotte lo consideriamo un fattore importante allora diciamo che
sibile, infatti, ritracciare una nascita biologica – che ci accomuna a tutti gli al- non può essere prodotto di una cosa banale. Ma sia ben chiaro che si tratta di
tri esseri viventi o, almeno a tutti gli altri mammiferi, e una nascita culturale un vizio logico: la natura, che seleziona le strutture che consento ad una spu-
– che è difficile da collocare da un punto di vista ontogenetico, ma certo il suo gna di aggragarsi o agli esseri umani di leggere il Don Chisciotte, non compie
maggiore sviluppo è 15 anni, guarda caso quando raggiungiamo la maturità nessuna valutazione di merito.
sessuale! Forse non è completamente un caso!
Voglio finire con una notizia che ho sentito ieri. Hanno trovato nelle spugne,
organismi piuttosto lontani da noi, unicellulari ma coloniali – nel senso che
stanno uno attaccato all’altro: ognuno è un individuo, ognuno ha un geno-
ma. Però vivono in colonie proteggendosi in questo modo e quando si acco-
stano si scelgono o non si scelgono in modo da non fare troppi match sba-
gliati. Già si sapeva che le spugne usavano per aggregarsi gli stessi geni che noi
usiamo per il trapianto, cioè i geni che gestisono il sistema maggiore di isto-
compatibilità che ci permette di accettare o non accettare, ad esempio, un re-
ne. Già le spugne, vedete un po’quanto tempo fa, usavano tale sistema gene-
tico per riconoscersi, per accettarsi o no.
L’ultima novità relativa alle spugne che ha, a quanto pare, destato clamore è il
ritrovamento nelle spugne di un gruppo di geni che costruiscono un alcuni
prodotti che si trovano nelle sinapsi cioè nei contatti nervosi del sistema ner-
voso centrale e in particolare del cervello. Questa è la notizia nuda e cruda che
naturalmente non mi ha stupito per nulla, mentre ha stupito alcuni studiosi.
Questa notizia, però, è molto interessante per quello che stiamo dicendo: i ge-
ni non hanno la più pallida idea di fanno, della loro azione, se sono lì per fa-
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pensare è simulare?

Franco Lo Piparo
Università degli studi di Palermo
Dottorato di ricerca in Filosofia del Linguaggio e della Mente
dell’Università di Palermo

Sulla natura iconica


del pensare
Se simulare x vuol dire formare un’immagine di x (ix) tale che un’indagine su
ix possa svelare aspetti nascosti di x, allora il pensare è indubbiamente una for-
ma di simulazione: pensare x equivale a farsi un’immagine, buona o cattiva, di
x. È, questa, l’idea che Wittgenstein argomenta chiaramente nel Tractatus lo-
gico-philosophicus e che, a mio parere, non abbandonerà nelle fasi successive
della sua riflessione1.
Cominciamo con la proposizione 2.1 del Tractatus: “Noi ci facciamo immagini
dei fatti”. Nel Prototractatus troviamo una formulazione ancora più significativa
e penetrante: “I fatti li comprendiamo {ma anche: li afferriamo o li catturiamo}
in immagini (Di Tatsachen begreifen wir in Bildern)”2. Naturalmente bisogna in-
tendersi sull’uso che si fa della nozione di immagine. Accenno qui ad alcune del-
le caratteristiche dell’immagine utili a una filosofia della mente umana.

L’immagine non è garanzia di verità: “L’immagine (das Bild) rappresenta (vor-


stellt) la situazione nello spazio logico, il sussistere e non sussistere di stati di
cose” (2.11); “l’immagine rappresenta (darstellt) il suo oggetto correttamente
o falsamente” (2.173); pertanto, “l’immagine rappresenta (darstellt) ciò che
rappresenta, indipendentemente dalla propria verità o falsità, mediante la for-
ma della raffigurazione (die Form der Abbildung)” (2.22). È un punto impor-

1
Per maggiori dettagli sullo status epistemico di immagine in Wittgenstein e sulla continuità
con le nozioni di regola e uso rimando a Lo Piparo 1998.
2
Qui e nel seguito cito da L. Wittgenstein 1998.

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tante: le immagini possono essere rappresentazioni vere o false del mondo. La Poniamoci una domanda: perché possiamo costruire piramidi, grattacieli e
loro funzione è di “rappresentare una possibile situazione nello spazio logico” ponti o andare sulla luna facendo dei calcoli matematici? Se i calcoli mate-
(2.202). “Ciò che l’immagine rappresenta (darstellt) è il proprio senso” e solo matici fossero giochi formali privi di contenuto o sistemi arbitrari il successo
“nella corrispondenza o non-corrispondenza del senso dell’immagine con la di un calcolo che si fa grattacielo o missile che colpisce il suo bersaglio sareb-
realtà consiste la verità o falsità dell’immagine” (2.221-2). be un mistero e/o un miracolo. Ma i calcoli matematici non sono formule
Le immagini, in questa accezione, non rappresentano fatti reali ma possibili fat- vuote da interpretare, nascono come immagini di stati possibili di mondo. Le
ti. È questo il motivo per cui svolgono un ruolo centrale nel funzionamento del- annotazioni di Peirce non hanno bisogno di commento:
la mente umana. Questa nozione di immagine consente di includere attività co-
sì lontane tra loro come lo sono i sogni e le equazioni matematiche. Tanto gli Così, una formula algebrica è un’icona, ed è resa tale dalle regole di commutazione, as-
uni che le altre, in quanto rappresentazioni di possibili stati di cose, ci informa- sociazione e distribuzione dei simboli. Chiamare un’espressione algebrica icona può
no sul mondo e sui nostri rapporti con esso. Ma vediamo nel dettaglio. sembrare a prima vista una classificazione arbitraria; perché potrebbe altrettanto bene o
ancora meglio essere considerata come un segno convenzionale composto. Ma non è
I sogni. Il sognare è il lavoro cognitivo svolto mediante immagini dall’anima- così: perché una proprietà altamente distintiva dell’icona è che attraverso osservazione
le che dorme. “Chiamiamo ‘sogno’ – aveva già fatto osservare Aristotele – diretta di essa si possono scoprire riguardo al suo oggetto verità nuove oltre a quelle che
l’immagine mentale [phántasma] <prodotta> durante il sonno” (DIns, 459a sono sufficienti a determinare la costruzione dell’icona stessa. Così, per mezzo di due
19-20). Non è diversa l’opinione di Freud: “(…) l’esperienza vissuta nel so- fotografie si può tracciare una mappa, ecc. Dato un segno convenzionale o comunque
gno è solo un modo diverso di immaginare (Vorstellen)” (1915-17, p. 143, generale di un oggetto, per dedurre qualsiasi nuova verità oltre a quanto esso significa
trad. it., p. 303). Le immagini oniriche sono cognitivamente complesse e ad esplicitamente, è necessario, in tutti i casi, sostituire a questo segno un’icona. Questa ca-
esse stranamente il cognitivismo contemporaneo non presta la dovuta atten- pacità di rivelare verità inaspettate è proprio quella in cui consiste l’utilità delle formu-
zione. Riporto un’annotazione di Wittgenstein: le algebriche, cosicché in esse il carattere iconico è quello prevalente (CP: 2.279).

Se la teoria freudiana dell’interpretazione dei sogni funziona in qualcosa, è nel mo- Si può costatare che il ragionamento dei matematici fa perno soprattutto sull’uso
strare come sia complicato il modo in cui lo spirito umano si fa immagini dei fatti (Bil- delle somiglianze, che sono i veri e propri cardini delle porte della loro scienza.
der der Tatsachen). Il modo della raffigurazione (Abbildung) è così complicato e irre- L’utilità delle somiglianze per i matematici consiste nel fatto che esse suggerisco-
golare che a stento lo si può chiamare una raffigurazione (Abbildung) (1944, p. 90). no in un modo molto preciso nuovi aspetti di stati di cose supposti (CP: 2.281).

Quindi, anche il sognare è un simulare, anche se non trasparente e non li- ogni equazione algebrica è un’icona in quanto esibisce le relazioni delle quantità
neare. L’immaginazione onirica è una simulazione contorta o obliqua, ma non in questione per mezzo dei segni algebrici (che non sono in se stessi, uno per uno,
per questo al di fuori di ogni regola grammaticale, dei problemi che il sogna- icone) (CP: 2.282).
tore affronta nella propria vita quotidiana. La complessità propria del pensa-
re-simulare del sogno nasconde molti segreti della cognitività umana: una teo- Spiego l’iconicità delle equazioni con un esempio. Poniamo di dovere risolve-
ria della mente che non se ne occupi rischia di perdere credibilità scientifica3. re questo problema: Fra due anni la metà dell’età di Gianni sarà uguale al dop-
pio di quella che aveva quattro anni fa. Qual è l’età di Gianni? Il problema è del
Le equazioni matematiche. Peirce e Wittgenstein su questo aspetto ci hanno la- tipo: scoprire un fatto nascosto tra gli elementi di una immagine di un possi-
sciato pagine fondamentali che richiedono attenta riflessione. bile stato di cose. Sono i normali problemi cognitivi che l’uomo affronta nel-
la vita quotidiana. Nel caso specifico, il problema è solubile alla condizione di
trovarne la giusta rappresentazione. L’immagine che orienta a trovare il fatto
3
Spunti per una riflessione ho svolto in Lo Piparo 2004. nascosto è una banale equazione di primo grado.
138 139
Cominciamo col costruire l’icona dello stato di cose individuandone gli ele- Il matematico infatti parla di raffigurazione (Abbildung) anche laddove il pittore
menti visibili. Chiamiamo x l’età di Gianni da trovare, ossia il fatto nascosto non userebbe tale espressione (WWK, p. 185)4.
da scoprire. L’età di Gianni fra due anni sarà x+2 e la sua metà sarà 1/2(x+2);
quattro anni fa l’età di Gianni era x-4 e il suo doppio 2(x-4). Questi sono gli In conclusione: pensare è simulare? La mia risposta è positiva e, per renderla
elementi dell’immagine. Il fatto nascosto (l’età di Gianni) è dato dal valore di più forte, ho accennato a due attività cognitive (il sogno e l’algebra) che nel-
x che rende vera l’uguaglianza: l’opinione comune, ma anche filosofica, tendono a essere considerate attività
non iconiche e non mimetiche. La mente umana sembra che sia popolata di ico-
(A) 1/2(x+2) = 2(x-4). ne piuttosto che di segni. O, per concludere con Wittgenstein, “pensare e par-
lare vuol dire formare immagini (Abbilden)” (WWK, p. 220) oppure, se pre-
L’uguaglianza è una equazione di primo grado che rappresenta iconicamente ferite, pensare (ma anche parlare) è simulare.
i dati della situazione. Essa, per assumere le sembianze di un’equazione nella
sua forma normale, andrebbe riformulata in questo modo:
Riferimenti e abbreviazioni bibliografiche
(B) [1/2(x+2)] – [2(x-4)] = 0. Aristotele, Dins: De insomniis, in Aristotele, Parva Naturalia, ed. critica a cura diW.
D. Ross, Clarendon Press, Oxford 1955.
Nota a margine. (B) si ottiene da (A) applicando la semplicissima regola che con- Freud S. (1915-17) Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse, S. Fischer Verlag,
sente di trasformare una qualsiasi uguaglianza in un’uguaglianza equivalente che Frankfurt am Main, trad. it. Introduzione alla psicoanalisi (1915-17), in Freud, Ope-
abbia il secondo membro uguale a zero: trasportare, col segno cambiato, il secondo re, vol. viii, Boringhieri, Torino 1976, pp. 191-612.
membro dell’uguaglianza nel primo. Esempio: (4+2)=(10-4) ha lo stesso valore di Lo Piparo F. (1998) The Image is the Rule. Remarks on Wittgenstein, “Lingua e Stile”,
(4+2)–(10–4)=0. XXXIII, 3, pp. 383-98.
Lo Piparo F. (2004) Sentire, immaginare, parlare, sognare, in (a cura di) R. Cavalieri, D.
Ritorniamo alla icona algebrica formata dall’equazione di primo grado. Lavo- Chiricò, P. Perconti “Sentire e Parlare”, pp. 9-18, Soneria Mannelli, Rubbettino, 2004.
rando su di essa si scopre il dato nascosto. Il valore di x che rende vera l’e- Peirce C. S., CP (1931-58) Collected Papers, Cambridge, Harvard University Press,
quazione è 6. Gianni ha quindi sei anni. parziale trad. it. C.S. Peirce, Opere (a cura di Massimo A. Bonfantini), Milano, Bom-
Non è importante qui riportare le procedure algebriche a cui l’equazione vie- piani, 2003.
ne sottoposta per individuare il valore di x. Il fatto saliente è che, lavorando Wittgenstein L. (1998) Logisch-philosophische Abahndlung – Tractatus logico-philoso-
solo e soltanto sulla immagine algebrica, “si possono scoprire – per usare le pa- phicus –, Kritische Edition, Herausgegeben von B. McGuinness und J. Schulte, Sur-
role di Peirce – riguardo al suo oggetto verità nuove oltre a quelle che sono kamp, Fankfurt am Main 1998.
sufficienti a determinare la costruzione dell’icona stessa”. L’immagine non è Wittgenstein L., WWK (1929-32) Ludwig Wittgenstein und der Wiener Kreis, a cura di
immagine volgarmente intesa ma un fascio di luce che illumina ciò di cui B. F. McGuinness, Oxford, Blackwell, 1967, trad. it. Firenze, La Nuova Italia, 1975.
l’immagine è immagine.
Dopo quel poco finora detto dovrebbe essere chiaro perché Wittgenstein non
si stanca di asserire (ma i suoi interpreti per molto tempo non lo hanno ascol-
tato) di usare la nozione di immagine nella sua accezione matematica:

Ho ereditato — spiega in un colloquio del dicembre 1931 con Waismann — que-


sto concetto ‘di immagine’ da due lati: in primo luogo dall’immagine disegnata e
4
in secondo luogo dall’immagine del matematico, che è già un concetto generale. Mi permetto di ricordare sulla nozione matematica di immagine Lo Piparo 1998.

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Rocco Pititto patrimonio esclusivo dell’essere dell’uomo, perché, in ogni caso, possono es-
Università degli studi “Federico II” di Napoli sere in parte simulate nell’ambito dei nuovi sviluppi cognitivi e delle presta-
Dottorato di ricerca in Scienze Filosofiche zioni assicurati dall’I.A.? Le operazioni delle “macchine intelligenti” non sa-
dell’Università di Napoli rebbero altro che una simulazione, più o meno perfetta, delle attività della
mente. Nelle teorie dell’I.A. il concetto di mente conosce necessariamente una
estensione significativa, più o meno ampia, che confligge con la concezione
tradizionale della preminenza dell’uomo nel mondo degli esseri viventi e del-
l’esclusività delle sue prestazioni mentali.
Dietro quest’interrogativo, sono evidenti i tratti caratteristici di una conce-
Pensare è simulare? zione più comprensiva dell’essere vivente in generale, estesa all’uomo, come
Perché simulare non è pensare: ad altri primati, e tale da allargare il campo stesso dell’intelligenza, ricono-
sciuta come attività comune all’uomo, ad alcuni primati superiori e alle
tracce per una discussione “macchine che pensano”. La simulazione riguarderebbe, allora, il campo
dell’I.A., che, di fatto, con le “macchine della mente” darebbe vita a proces-
si cognitivi e a prestazioni assai vicini a quelli mentali, anche se di grado di-
“Che cosa significa pensare? Parlare interiormente, cioè esprimere per sé i segni ac- verso, almeno fino ad oggi. Correlativamente è l’idea stessa di “coscienza” a
quisiti. Parlare significa pensare ad alta voce. Nel flusso di questi pensieri, molto subire le conseguenze più rilevanti, considerata “non così meravigliosa –
può essere per noi solo supposto e opinato; se però penso realmente un oggetto, non tanto meravigliosa da non poter essere spiegata usando gli stessi con-
ciò non accade mai senza un segno. Nel pensare, l’anima si crea continuamente cetti e punti di vista che sono stati utilizzati in altri settori della biologia”
un’unità del suo molteplice”. J. G. Herder, Metacritica (Dennett 2007, p. 5). Processi cognitivi e prestazioni di tipo mentale, an-
cora più sofisticati, potrebbero esseri ipotizzati in un futuro, più o meno im-
Come rispondere, e secondo quali criteri, ammesso che sia possibile, a quest’in- mediato, qualora fosse possibile costruire macchine più potenti e più velo-
terrogativo, secondo cui pensare è simulare? La formulazione della domanda è ci. La speranza di raggiungere risultati ancora più importanti mediante mac-
lecita, sia che si assuma di essa la sua versione debole, sia che si assuma quella chine più potenti non è infondata e sembra già, secondo molti, a portata di
più radicale. Lo scarto tra le due versioni sarebbe, in ogni caso, minimo, perché mano. Rinasce il sogno, ricorrente nella storia del pensiero, di una macchi-
la conclusione sarebbe in entrambi i casi molto simile. Pensare e simulare si col- na, creata dall’uomo, così perfetta da pensare.
locherebbero sullo stesso asse semantico e, soprattutto, verrebbe a mancare lo Il problema, però, non riguarda la possibilità di costruire, in un tempo più o
“spazio” per una definizione dell’uomo, ripensata sul versante dell’unicità del meno breve, macchine sempre più perfette e più potenti, cosa facilmente ipo-
suo posto nel mondo degli esseri viventi. La stessa affermazione herderiana su tizzabile e certamente possibile, ma la possibilità stessa di assimilare il piano
un pensare, che si esprime nel parlare verrebbe clamorosamente smentita della simulazione del pensiero, un prodotto dell’attività della macchina, al
La domanda, così com’è posta, è, forse, un’interrogazione di tipo retorico, die- piano del pensiero cosciente, un prodotto dell’attività dell’uomo, che non tro-
tro la quale c’è già una risposta netta e precisa con un’affermazione perento- va alcun riscontro negli stessi esseri animali non umani. Se la questione fosse
ria e incontrovertibile, anche se non scontata del tutto e, in ogni modo, soltanto questa, a fronte di quest’affermazioni, si sarebbe tentati immediata-
difficile da accertare e da verificare, un’affermazione, cioè, che investe, e risol- mente di negarne la legittimità stessa e di affermarne la non proponibilità,
ve nello stesso tempo, il piano della comprensione dell’identità specifica del- considerando che i modelli matematici e algoritmici funzionano per appros-
l’essere dell’uomo rispetto agli altri esseri viventi non umani e agli stessi pro- simazione riduttiva della mente umana e dell’universo biologico in generale.
dotti dell’Intelligenza Artificiale, altrimenti detta I.A.? O, forse, più verosi- Non è vero – così si potrebbe rispondere, adducendo una qualche buona ra-
milmente, si vuole insinuare l’idea che prestazioni di tipo mentale non sono gione, più o meno valida – che pensare è simulare, trattandosi di attività com-
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pletamente diverse. Una cosa è il pensare e un’altra il simulare. Le due attivi- Intelligent Design, presente nel mondo, riconosciuto da alcuni e negato da al-
tà sarebbero incomparabili, perché caratterizzerebbero, nel primo caso, l’atti- tri, che avrebbe introdotto un ordine finalistico nell’evoluzione?
vità dell’uomo, nel secondo caso, l’attività di un essere non umano. Le numerose, grandi o piccole differenze, che si riscontrano nel mondo degli
Nonostante queste limitazioni, si può tentare, ugualmente, di chiarire il sen- umani, risultato di lentissime trasformazioni nel mondo degli esseri viventi,
so della domanda e ricostruire un ambito di discorso, dove la domanda possa fanno una tale differenza nella scala biologica, da determinare un salto quali-
trovare una sua giustificazione e legittimazione, soprattutto dopo aver indivi- tativo notevole da parte dell’uomo rispetto agli altri esseri non umani. Dalle
duato la linea di confine tra l’essere dell’uomo, gli esseri viventi animali non trasformazioni avvenute prendono forma due paradigmi di esistenza, non ri-
umani e le “macchine intelligenti”. Sarebbe ingiusto, oltre che scorretto, rico- ducibili l’uno all’altro: l’uomo e l’essere vivente non umano, ciascuno dei qua-
noscere pari dignità e interscambiabilità a due tipi di operazioni, che non han- li occupa una particolare “nicchia” nel mondo dei viventi, segnata da una li-
no né pari dignità, né sono interscambiabili. Il pensare, come esperienza co- nea di discontinuità, che supera ogni linea di continuità, pur presente. Sono
sciente, vissuta dal soggetto, già maturo mentalmente, è irriducibile a qualsiasi due esseri, la cui differenza è segnata, più che dalla presenza del linguaggio,
altra cosa, che non sia legata all’esperienza cosciente dell’individuo. Il simula- dall’evoluzione culturale, che ha dato il via ad una trasformazione radicale nel
re sarebbe altra cosa rispetto al pensare e i suoi risultati, anche i più perfetti, mondo degli umani. Si potrebbe affermare, anzi, che a dare origine al lin-
non potrebbero in alcun modo essere assimilati a quelli del pensare. Nessuna guaggio sia stata proprio l’evoluzione culturale, dato che senza l’evoluzione
operazione di simulazione, prodotta dalla macchina, per quanto veloce e per- culturale il linguaggio non si sarebbe mai sviluppato nell’uomo.
fetta, potrà mai assurgere al piano del pensare. La distanza tra gli esseri viven- La filosofia non può eludere la questione posta in essere dai teorici dell’I.A.,
ti e gli altri esseri viventi non umani è destinata a rimanere tale. Come d’altra perché ne va dell’uomo stesso, del suo posto e del suo destino nel mondo.
parte, non può essere colmata la stessa distanza tra le operazioni mentali del- Piuttosto, non si può non considerare, afferma Searle, come
l’essere dell’uomo e le operazioni delle “macchine intelligenti”.
Su questa base, con riferimento soprattutto alle operazioni delle “macchine in- Il problema centrale della filosofia, all’inizio del XXI secolo, è spiegare il nostro es-
telligenti”, non c’è alcuna spiegazione e sistematizzazione computazionale che sere agenti evidentemente coscienti, attenti, liberi, razionali, parlanti, sociali e poli-
possa reggere il paragone con il vissuto soggettivo dell’uomo, esperito tramite tici in un mondo che la scienza ci dice essere costituita di particelle fisiche senza me-
le operazioni del pensare, a meno che non si voglia far propria una concezio- ta e senza significato. Chi siamo, e come ci inseriamo nel resto del mondo? Quale
ne della mente, più riduttiva, a livello tanto più basso, da includere ogni tipo rapporto ha la realtà umana con il resto della realtà? Una forma particolare di tale
di operazioni, che possono dirsi “mentali” solo per approssimazione. domanda è questa: che cosa significa essere un essere umano?” (Searle 2005, p. 10).

Può l’uomo, in altri termini, essere se stesso come essere umano e non perde-
1. La posizione iniziale della questione re la sua identità specifica, quando la realtà è compresa come espressione di
La domanda sottesa all’affermazione iniziale è, nel suo senso più generale, la un naturalismo meccanicistico? All’inizio della nascita dell’umanità, e del-
stessa domanda di Plotino, rassicurante e inquietante nello stesso tempo: “E l’uomo in particolare, c’è, dunque, l’evoluzione culturale, determinata dallo
noi chi siamo?” (Plotino 1949, p. 265) ed è tanto radicale da essere ancora ri- sviluppo del cervello nell’uomo, uno sviluppo che ha innescato processi di or-
proposta. Chi siamo veramente come esseri umani? Possiamo ancora dirci “es- dine mentale e di ordine linguistico, senza i quali l’essere dell’uomo non si sa-
seri speciali”, senza dover essere messi in discussione? Che cosa differenzia, se rebbe evoluto, come di fatto è avvenuto, verso forme di vita superiori, scono-
c’è una differenza, l’uomo dagli altri esseri viventi non umani? Come, quan- sciute in altri esseri viventi. Le forme di vita superiore, raggiunte dall’uomo,
do, dove nasce la differenza tra l’uomo e gli altri esseri viventi non umani? Si sono di ordine culturale, non di ordine naturale.
tratta solo di un ordine quantitativo, o, anche, qualitativo, a segnare la linea Una risposta preliminare alla domanda iniziale è necessaria per riperimetrare lo
di demarcazione tra gli esseri viventi del mondo animale e a determinare due “spazio dell’umano”, rimesso oggi in discussione sul piano biologico e anche, di
percorsi diversi nella scala biologica? Tutto questo ha a che fare, forse, con un conseguenza, sul piano etico. L’affermata, e sempre ricorrente, contiguità bio-
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logica dell’uomo rispetto ad altri primati è un falso problema, perché servireb- Proprietà del cervello, come fosse la sua espressione terminale più significati-
be solo ad alimentare l’idea che il confine tra l’uomo e gli altri primati è assai va, emergente su tutte le altre, è la mente, una realtà che “non è semplice-
più labile di quanto si è portati a credere. Le stesse difficoltà, che nascono sul mente un aspetto della nostra vita, ma è, in un certo senso, la nostra vita”
piano etico da una siffatta affermata contiguità biologica, non sono facilmente (Searle 2005, p. 10). Questa si costituisce come “una componente (come ac-
risolvibili, perché, se affermate con più radicalità e maggiore conseguenzialità, cada è ancora ignoto) per la quale l’immenso numero di circuiti neuronali ri-
darebbero una misura diversa della concezione tradizionale dell’uomo, come es- esce a comporre nell’uomo la coscienza superiore che si manifesta essenzial-
sere libero e autonomo, mettendola irrimediabilmente in crisi. D’altra parte, le mente nell’autocoscienza” (Levi Montalcini 1998, p. 58). La mente costitui-
nuove scoperte delle scienze della vita rimettono in discussione certezze, già da sce, per questo, il principio d’unità dell’essere dell’uomo e la sua memoria. Es-
tempo acquisite, e introducono nuove ipotesi sul mondo degli esseri viventi, sa funziona da centro di raccolta di tutte le informazioni interne ed esterne (le
che lasciano sconcertati e preoccupati. L’affermazione iniziale può diventare, sensazioni), organizza le domande e le risposte dell’organismo e le coordina
perciò, un argomento plausibile e meritevole di approfondimento, solo dopo tra di loro nella forma della rappresentazione, progetta l’azione in vista del
aver risposto a questa domanda preliminare. Eludere la domanda non porta raggiungimento di certe finalità, concepite liberamente o come risposta a mo-
lontano. Come non porta lontano chiudersi nelle proprie ragioni e isolarsi, a difiche esterne. Sensazione e rappresentazione costituiscono le terminazioni
difesa di pretese superiorità, ora contestate e non riconosciute più da tutti. Il della vita stessa della mente. È, soprattutto, nell’attività della mente, un pon-
confronto con gli altri, – paleontologi, antropologi, filosofi, linguisti, neurolo- te che collega l’individuo con il mondo esterno, che si ritrova la risposta
gi –, diventa ancora più necessario, perché i punti di vista in gioco sono tanto definitiva alla domanda su che cosa significa essere un essere umano.
numerosi e la verità è plurale, una ricerca che si costruisce sulla convergenza di Mettere in primo piano l’attività della mente, come costitutiva dell’essere del-
tutti gli attori in causa attorno alla questione sull’uomo. Sarà possibile delimi- l’uomo, comporta una serie di conseguenze. Soprattutto, non giova affatto ri-
tare, in tal modo, i confini entro i quali porre la questione sull’uomo. prendere la questione, sollevata dalle “macchine intelligenti”, quasi a delegitti-
Su un piano più filosofico, una prima risposta a questi interrogativi potrebbe mare il posto occupato dall’uomo nella scala biologica. Il disegno, non troppo
essere data, facendo riferimento al termine stesso di logos, nel senso inteso dai scoperto, sotteso alle “macchine intelligenti”, è di arrivare ad un’antropologia più
greci, come unità di pensiero e linguaggio, di discorso e ragione, di “parlare e lontana dalla realtà, nella quale ci si ritrova, per avvicinarla al mondo degli esse-
pensare” (Jaspers 1993, p. 113; Gadamer 1989, p. 19), una “dote” che è nel- ri viventi non umani. Lo scotto da pagare sarebbe quello di ricostruire un’idea
la esclusiva disponibilità dell’uomo, a seguito dell’evoluzione naturale, e che dell’uomo, più vicina, quasi in contiguità, con gli altri esseri viventi non umani.
diventa effettivamente disponibile per ciascuno degli individui come risultato Lungo questo percorso, non ci sarebbe alcun guadagno teoretico, soprattutto,
dell’apprendimento sociale. Passa, infatti, attraverso il fenomeno-evento del nel caso che si arrivasse a considerare il pensare nell’ambito del simulare.
logos, la linea discriminante tra gli esseri viventi umani e quelli non umani. La domanda iniziale, prolungandone la sua estensione e il suo senso e facen-
Solo rispondendo a questa domanda di senso e raggiungendo lo specifico del- do un’operazione di smontaggio della frase, potrebbe legittimamente essere
l’identità dell’uomo nel mondo degli esseri viventi, – la coscienza di sé e la trasformata in due sottodomande:
consapevolezza di sé –, è possibile considerare l’affermazione in un senso sod-
disfacente su un piano antropologico. Non si può ignorare che “ad un certo 1. Può una macchina pensare?
punto dell’evoluzione, una coscienza elementare ebbe inizio. Con essa arrivò 2. Simulare è pensare?
una mente, semplice; aumentando la complessità della mente, sopravvenne la
possibilità di pensare e, ancora più tardi, di usare il linguaggio per comunica- Le due domande sono correlate, come correlate sono le risposte. Rispondere,
re e organizzare meglio il pensiero” (Damasio 2003, p. 337). All’inizio del pertanto, affermativamente a questa domanda significa, in altri termini, risolve-
lungo processo dell’evoluzione, che ha portato, infine, alla comparsa dell’uo- re la questione a favore dell’idea che la macchina possa avere pensieri coscienti
mo, come noi lo conosciamo e in cui ci riconosciamo, c’è, dunque, il cervel- esattamente nello stesso senso in cui li abbiamo noi. Ne seguirebbe, in questo ca-
lo, dal cui sviluppo, per una serie di trasformazioni, è nato l’essere dell’uomo. so, che l’operazione di simulazione della macchina sarebbe un vero e proprio
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pensare. D’altra parte, se per “macchina” s’intende un sistema fisico capace di forma alle leggi generali della biologia, compresa quella evoluzionistica, ma
compiere certe funzioni, allora gli esseri umani sono particolari macchine di ti- occupa una posizione particolare nella storia e nella geografia dei viventi”
po biologico, i quali sono in grado di pensare. In questo caso anche le macchi- (Boncinelli 2000, p. 146), sarà opportuno premettere qui una serie di affer-
ne sono in grado di pensare. Sarebbe possibile costruire una macchina pensante mazioni relative alla questione che si pone, al fine di delineare un percorso in
servendosi di materiali del tutto diversi, per esempio chip di silicio o di valvole ordine al riconoscimento del ruolo della mente nello sviluppo dei processi co-
termoioniche. Il fatto che queste macchine non esistono ancora non significa, gnitivi e dei processi linguistici nel quadro dei processi relazionali. Sono que-
però, che non possano esistere in futuro. Negli ultimi decenni, tuttavia, il que- sti processi, soprattutto la loro qualità, a marcare la linea di discontinuità tra
sito ha assunto una caratterizzazione del tutto diversa, fino ad ipotizzare che una l’uomo e gli altri esseri viventi non umani.
macchina possa pensare semplicemente in virtù del fatto che esegue un pro- 1. L’uomo, come a noi oggi è dato constatare, é il risultato di determinati fatto-
gramma di calcolatore. Il programma, in questo caso, è di per sé una compo- ri, biologici e culturali, avvenuti nel tempo, che lo definiscono come uomo e lo
nente del pensiero, da considerare alla stessa stregua del pensiero cosciente? collocano al vertice della scala degli esseri viventi non umani. Nel corso dell’e-
Il pensiero cosciente è qualcosa di assolutamente “altro” rispetto a un pro- voluzione, egli ha acquisito una serie di trasformazioni che hanno inciso sulle
gramma di calcolatore. Rispetto ad esso, il programma di calcolatore è un pro- sue capacità mentali, specializzatesi nel tempo da un punto di vista funzionale.
gramma del tutto diverso, perché non riguarda le proprietà fisiche e causali di È attraverso l’uso di queste capacità che egli è riuscito a raggiungere quella iden-
sistemi fisici attuali o potenziali, ma riguarda invece le proprietà computazio- tità specificamente umana ed ha potuto trasformare il mondo in mondo uma-
nali astratte dei programmi formali di calcolatore, che possono essere eseguiti no, adattandosi ad esso e modificandolo di continuo secondo le sue esigenze.
in un qualunque supporto materiale, purché questo supporto sia in grado di 2. All’inizio di questa “rivoluzione” avvenuta nel mondo della vita, che ha re-
svolgere quel determinato programma, per cui è programmato. “La “macchi- so possibile la differenziazione dell’uomo dal resto dei primati, c’è l’evoluzio-
na” anche più sofisticata (computer, sistema aperto, ecc.) non fa che cogliere e ne del suo cervello, caratterizzato da una corteccia più vasta e più complessa
applicare determinate istruzioni o regole del programma ed eseguire le even- rispetto agli altri primati, che si materializza nella mente come organo cen-
tuali prestazioni corrispondenti senza capire nulla di quanto sta facendo; essa trale, cui afferisce ogni attività dell’individuo. La mente dell’uomo, come con-
dispone soltanto di una competenza sintattica nel combinare i simboli, non di dizione dell’agire dell’uomo stesso, tuttavia, è più del cervello, perché è l’or-
una competenza semantica, che consenta di attribuire significato a quei sim- ganismo umano nel suo insieme, non una singola parte di esso, fosse anche la
boli su cui opera, che è invece quanto può fare, e fa effettivamente, l’essere più importante, a determinare la specificità dell’essere dell’uomo. D’altra par-
umano, definito per questo un “essere semantico”” (Searle 1984, 48-9). te, “la lentezza della maturazione delle facoltà cerebrali favorisce lo sviluppo
di quel congegno che è il cervello dell’uomo. La protratta dipendenza dagli
adulti lascia un marchio indelebile sulle strutture nervose che presiedono al
2. L’evoluzione dell’intelligenza umana comportamento dell’individuo, quando, uscito dal periodo giovanile, entrerà
Dalla posizione di questi problemi e dalla ricerca di una risposta agli interro- a far parte della società umana” (Levi Montalcini 2001, p. 157).
gativi che ne emergono, nasce, perciò, la domanda legittima se “la fenome- 3. Dal mondo della natura (animalità) l’uomo è entrato a far parte del mon-
nologia della nostra esperienza cosciente, fino ad oggi accessibile unicamente do della cultura (umanità) mediante lo sviluppo dell’attività mentale e del-
nel suo senso (ovvero unicamente nel suo senso esprimibile) dall’approccio l’attività linguistica. L’attività mentale è determinata dai processi cognitivi, dai
riflessivo della filosofia – fenomenologica (o analitica) –, potrebbe essere ab- processi linguistici e dai processi relazionali, che insieme circoscrivono l’am-
bordata, parallelamente, sul piano dei processi biologici soggiacenti a tale li- bito della “coscienza nascente” e il perimetro dell’attività di ciascun individuo
vello del senso” (Petit 2004, 60). La vera sfida, che la centralità della coscien- umano. Processi cognitivi, processi linguistici e processi relazionali sono de-
za pone al pensiero contemporaneo, non può eludere questa domanda di sen- terminati, a loro volta, dall’attività mentale, che diventa il vero centro pro-
so, che richiede risposte precise. pulsore di tutto l’organismo umano.
Partendo dalla consapevolezza che “l’uomo è un animale e come tale si con- La mente umana, in definitiva, è il risultato di un fenotipo, “determinato da re-
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ti geniche complesse (ovvero da interazioni di più geni) che cooperano per co- nomeno della conoscenza in tutte le sue forme, s’interroga su ciò che “fa del-
struire il corpo e il cervello” (Damasio 2007, p. 64). D’altra parte, nella deter- l’uomo un uomo” e si estende ad una serie di problemi come il rapporto lin-
minazione della mente umana è decisivo, nello stesso tempo, il contesto socio- guaggio-pensiero nell’uomo, il ruolo del cervello nei processi cognitivi e la
culturale, nel quale è inserito l’essere dell’uomo, per il suo ruolo svolto sia nello funzione della mente, la ricerca della presenza di forme di pensiero meno evo-
sviluppo del singolo individuo, sia nell’evoluzione del genoma. La mente crea luto negli esseri viventi non umani. In realtà, che cosa succede quando perce-
l’uomo e lo colloca nel mondo come un essere speciale, che sopravvive grazie al- piamo delle forme o dei colori, o quando ascoltiamo dei suoni, o quando ri-
la sua lunga infanzia, alla cooperazione e allo scambio d’informazioni. È una re- spondiamo nella comunicazione, o quando sogniamo, o quando decidiamo di
lazione di scambio, a tutti i livelli, che crea un sistema di comunicazione. fare una qualsiasi scelta? Quali i presupposti? Sui processi cognitivi agiscono
L’uomo – afferma Steven Pinker – occupa una “nicchia cognitiva” nell’ecosiste- processi neurologici, e fino a che punto? E, poi, negli esseri viventi non uma-
ma, un ruolo che ne determina la sua posizione nell’ambito degli esseri viventi ni ci sono forme di attività mentale? Si danno in loro delle intenzioni nell’a-
e lo costituisce come parte a se stante, alla sommità della scala biologica. La ma- zione e delle forme di riconoscimento?
nipolazione dell’ambiente esterno attraverso il ragionamento astratto e la co- Il presupposto, spesso inconfessato, una volta che sia stato studiato il funzio-
operazione, e, insieme, un processo di astrazione metaforica, attraverso cui mec- namento di certi processi cognitivi nell’uomo, è di poter arrivare a riprodurli
canismi cognitivi, nati come adattamenti sensomotori, si adeguano a ragiona- artificialmente. Un obiettivo questo, che chiama in causa la possibilità del-
menti astratti, sono determinanti nell’assegnare all’uomo quella particolare nic- l’intelligenza artificiale, la cui realizzazione non è così pacifica da non suscita-
chia nell’ecosistema, detta appunto “nicchia cognitiva” (Pinker 2007, p. 72). Gli re aspre polemiche tra filosofi e scienziati. Forme di intelligenza artificiale so-
esseri umani sono unici perché “possiedono un linguaggio grammaticale, e cioè no possibili, anche se rimane l’obiezione di Searle circa i suoi limiti: un’intel-
un sistema combinato all’interno del quale una serie finita di simboli viene dis- ligenza artificiale non può essere assolutamente accostata all’intelligenza uma-
posta in un numero infinito di combinazioni, in modo tale che il significato del- na. La mancanza di un’intenzione interna nell’azione separa l’azione di una
la combinazione sia prevedibile in base al significato dei singoli simboli e in ba- macchina dall’azione dell’essere dell’uomo. Questi limiti, però, non pregiudi-
se al modo in cui vengono ordinati”. Con il dono del linguaggio, l’uomo con- cano la possibilità di raggiungere risultati di grande interesse, mi riferisco, per
divide con i suoi simili una grande quantità di informazioni. “Il linguaggio ar- esempio, al fenomeno di riconoscimento vocale, su cui sono stati costruiti
ticolato ci permette di condividere le competenze e negoziare il contratto socia- programmi affidabili di dettatura vocale per computer. D’altra parte, sapere
le” (Pinker 2007, p. 74). Nell’evoluzione dell’intelligenza degli esseri umani so- cosa vuol dire conoscere e saper riprodurre i processi, attraverso cui si svilup-
no fattori importanti l’essere carnivori, l’avere una lunga infanzia, il vivere in pa la conoscenza umana, può consentire la costruzione di modelli efficaci per
gruppo, l’avere un cervello di certe dimensioni. la riabilitazione delle funzioni compromesse.
La formazione della mente umana passa, dunque, attraverso il ruolo della cultu- Il “luogo” dell’identità dell’uomo è rappresentato dalla coscienza, definita da
ra e del linguaggio, senza trascurare il ruolo delle emozioni. Comprendere come Searle come “l’essenza stessa della nostra esistenza dotata di significato”. Que-
sia nata la mente umana esige uno studio del linguaggio. Non è più sufficiente, sto “fenomeno straordinario e misterioso” è il risultato di processi cerebrali di
però, affermare sulla falsariga heideggeriana che l’uomo è tale perché è dotato del livello microfisico (Searle 2005, pp. 142-3), una vera e propria “qualità” su-
linguaggio e ponendo la differenza tra l’uomo e l’animale sul versante del piano periore giunta nella disponibilità dell’essere dell’uomo. Essa si genera nell’in-
del linguaggio. La stessa definizione di Aristotele, secondo cui l’uomo è il viven- dividuo quando, per cause ancora sconosciute, emerge in lui la consapevolez-
te che ha il logos non può essere accettata sic et simpliciter, senza cioè andare al- za della presenza di un fattore identificativo di esperienze interne ed esterne,
la radice stessa del logos. La questione sull’uomo è ancora più originaria e chia- ciascuna delle quali riconducibili a un centro interno unificatore, altrimenti
ma in causa certezze tradizionalmente acquisite. Ridurre tutto al piano del lin- detto coscienza dell’io. E qui il ruolo della cultura è altrettanto decisivo, per-
guaggio non rende ragione della complessità dell’essere dell’uomo. ché il fattore biologico originario diventa fattore culturale.
Un contributo notevole alla chiarificazione della questione è dato dal dibatti- Come e quando, ci si chiede, avviene nel mondo umano la nascita di questo
to sulle scienze cognitive. Esso si sviluppa in direzione della descrizione del fe- fenomeno unico e quasi inafferrabile, eppure così determinante per l’essere
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dell’uomo, che chiamiamo coscienza? Non è, forse, d’altra parte, per sottoli- denza e tali da portare a non vedere la specificità dell’uno e dell’altra. Dove por-
nearne la centralità, la coscienza il luogo dell’io e, perciò, l’inizio di ogni iden- re la linea di discontinuità tra l’uomo e le “macchine intelligenti”, se le presta-
tità e, parallelamente, ciò che costituisce la differenziazione rispetto all’altro zioni cognitive fossero in ugual misura attribuibili all’uomo e alla macchina? Il
da sé? Esiste un rapporto tra la coscienza nascente dell’uomo e il cervello, un “pensare è qualcosa di più che una semplice questione di manipolazione dei
organo che nell’uomo durante il corso dell’evoluzione ha subito un processo simboli senza significato, e coinvolge contenuti semantici significativi” (Searle
di progressivo accrescimento, sconosciuto in altri primati? Come funziona la 1997, p. 181), mentre i significati sono contenuti cognitivi, ossia costruzioni ti-
nostra mente e l’attività, altrimenti detta attività mentale, che ad essa è legata picamente umane, che ci consentono tramite il linguaggio di “discorrere”, cioè
e si accompagna, nello stato di veglia, come nello stato di sonno? Che cosa – di comunicare e di produrre comprensione. La vita della coscienza è determi-
fenomeno, evento o altro – ha determinato nell’uomo la nascita del linguag- nata da una razionalità sempre in atto (Searle 2001).
gio, espressione verbale del pensiero, e come funziona il linguaggio stesso nei Riguardo al problema posto dalle “macchine intelligenti”, dopo i primi entu-
processi cognitivi? Da dove viene il pensiero astratto? Quale rapporto, o piut- siasmi, negli anni ’70 del Novecento cominciò ad affermarsi una posizione as-
tosto che tipo di connessione, intercorre tra linguaggio e pensiero? Forse, un solutamente negativa. Secondo molti critici, le simulazioni dell’attività cogni-
rapporto di causa-effetto o, non piuttosto, una relazione di reciprocità di tipo tiva della macchina erano insufficienti per essere avvicinate all’attività cogni-
dialettico, come fosse un tendersi reciprocamente dall’uno verso l’altro e vice- tiva vera e propria della mente umana. Il difetto maggiore della macchina era
versa? E, poi, sul piano temporale tra il pensiero e il linguaggio c’è un prima costituito dalla mancanza del cumulo di conoscenze di base inarticolate che
e un dopo? E, ancora, come comprendere gli stati mentali degli individui, i ogni individuo possiede, con la capacità, seguendo il buon senso, di sfruttare
loro sentimenti, le loro emozioni, i loro sogni? gli aspetti utili di tali conoscenze al mutare delle circostanze. La sola manipo-
Soprattutto, ed è la domanda decisiva, cosa fa di questo essere, che noi siamo, tan- lazione di simboli mediante regole applicabili ricorsivamente non è sufficien-
to vicino biologicamente ad altri esseri viventi non umani, eppure così distante, te per parlare di una attività cognitiva. Non era ipotizzabile che un sistema
un uomo e non un primate qualsiasi? Gli interrogativi, come anche le attese, so- fisico artificiale potesse pensare: era questo il senso delle severe obiezioni for-
no tanti, ma le risposte non sono risolutive e, forse, non lo saranno mai, tante so- mulate nel 1972 da Hubert L. Dreyfus (Dreyfus 1972).
no le incertezze su questa materia. Come afferma, al riguardo, Edoardo Bonci- La stessa critica di Searle, agli inizi degli anni ’80, non ammette discussioni di
nelli “Molte cose che ci premerebbe sapere non si sanno, altre hanno una conno- sorta. Secondo il filosofo anglo-americano, non è sostenibile l’idea che una
tazione emotiva tutt’affatto particolare, altre sono pure assunzioni speculative. Il manipolazione adeguata di simboli strutturali tramite l’applicazione ricorsiva
quadro è tutto fuor che chiaro” (Boncinelli 2000, p. 146), per cui sarebbe il caso di regole che tengano conto della struttura possa produrre un’intelligenza co-
in questo ambito di affidarsi a fatti assodati, o largamente assodati, limitandosi a sciente. La “stanza cinese”, nonostante tutte le critiche, esprime l’assioma 3
fare delle affermazioni generali, suscettibili di essere integrate e corrette. dell’argomento di Searle, secondo cui la sintassi, di per sé, non è condizione
essenziale, né sufficiente, per la determinazione della semantica.
La conclusione di Searle è che un sistema che si limiti a manipolare simboli
3. La macchina non può pensare fisici secondo regole che tengano conto della struttura sarà al massimo una
Date queste premesse, e secondo un’ottica antropologica, assunta come assolu- vuota parodia dell’autentica intelligenza cosciente, poiché è impossibile dar
tamente prioritaria, non è difficile giustificare l’affermazione circa l’impossibili- vita ad una “vera semantica” macinando semplicemente una “vuota sintassi”.
tà delle “macchine intelligenti” a pensare. Non meno evidente è, d’altra parte, Gli elementi dell’intelligenza cosciente possiedono, al contrario degli elemen-
constatare come assai più gravi sarebbero i problemi, che sorgerebbero, se si ar- ti dell’I.A., un contenuto semantico reale. Tuttavia, pur accettando le conclu-
rivasse a sostenere l’ipotesi contraria. A creare difficoltà non è solo la questione sioni di Searle, non si può escludere che la manipolazione di simboli secondo
terminologica, pure importante, quanto piuttosto la rinuncia sottesa a ricono- certe regole possa dar luogo a fenomeni semantici di un certo tipo.
scere la specificità dell’essere dell’uomo. Possibili punti di contatto tra l’uomo e Le prospettive di costruire una macchina pensante, a parte le difficoltà solleva-
la macchina, pure numerosi, non sarebbero, però, sufficienti a negare questa evi- te dalla “stanza cinese” di Searle, sono obiettivamente scarse. Intanto la macchi-
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na ipotizzata dal test di Türing non è stata costruita. Se mai se ne potesse co- 4. Pensare è simulare o pensare non è simulare?
struire una, sarebbe sempre possibile costruirne un’altra più perfetta in un pro- L’interrogativo iniziale “pensare è simulare?” è, sotto quest’aspetto, un inter-
cesso all’infinito. Soprattutto, l’I.A. ha fallito in compiti che il cervello svolge in rogativo che richiede una serie di ulteriori chiarificazioni, prima di dare una
modo rapido ed efficace. Una macchina, anche la più perfetta, non potrebbe risposta, quale essa sia. Non è affatto secondario delimitare lo spazio concet-
svolgere compiti altrettanto impegnativi, come quelli svolti dalla mente umana. tuale della questione.
È il funzionamento del cervello a fare la differenza. Non sappiamo come fa il Un primo chiarimento riguarda il campo semantico di riferimento dell’ope-
cervello a pensare, sappiamo che compie una serie di operazioni mentali su- razioni del “pensare” e del “simulare”. Che cosa si intende dire quando si sta-
periori. Non sappiamo, d’altra parte, come il cervello gestisca il significato. bilisce una simmetria tra questi due tipi di operazioni? Nella relazione, che ne
Manca una teoria del significato, per la quale sarebbe necessario saperne di più nasce, ci si chiede, prevale il pensare, così che il simulare sia, per così dire, una
sul modo in cui i neuroni codificano e trasformano i segnali sensoriali, sulla modalità del pensare; o, viceversa, a prevalere è il simulare, dove il pensare sa-
base nervosa della memoria, dell’apprendimento e delle emozioni e sulle inte- rebbe una modalità del simulare? I due punti di vista non sono affatto coin-
razioni tra queste facoltà e il sistema motorio. cidenti. Una filosofia umanistica non avrebbe difficoltà ad accettare il primo
Tre le principali caratteristiche anatomiche per cui il cervello si differenzia punto di vista, ma ne avrebbe di insormontabili ad accettare il secondo pun-
profondamente dall’architettura dei calcolatori elettronici tradizionali: to di vista. L’idea di uomo, propria della concezione giudaico-cristiana, ri-
1. Il sistema nervoso è una macchina parallela, nel senso che i segnali vengo- marrebbe priva dei suoi fondamenti, se dovesse prevalere la seconda ipotesi.
no elaborati simultaneamente in milioni di segnali diversi. La retina, per La questione non può essere posta sotto forma di affermazione, ma solo sot-
esempio, presenta al cervello il suo complicato ingresso non in blocchi di 8, to forma interrogativa, come richiesta di una messa in discussione tra opzio-
16 o 32 elementi, come in un calcolatore da tavolo, bensì sotto forma di qua- ni diverse e di una ricerca da portare avanti nel confronto costante con gli al-
si un milione di segnali distinti, che arrivano simultaneamente all’estremità tri. Se fosse posta, sotto forma di affermazione, la questione sarebbe del tutto
del nervo ottico, dove vengono elaborati collettivamente, simultaneamente e illegittima. Se un’affermazione di questo tipo “pensare è simulare” fosse vera,
in colpo solo. Un elevato grado di parallelismo comporta che il sistema resi- dovrebbe essere vera, e a maggior ragione, l’altra “simulare è pensare”, perché
sta ai danni mantenendo la propria funzionalità. se A=B, segue che anche B=A. Nell’ottica di Korzibsky, si tratterebbe di una
2. L’unità di elaborazione fondamentale del cervello, il neurone, è relativa- totalità illegittima: perché dicendo “pensare” sarebbe come dire “simulare”,
mente semplice. La risposta del neurone ai segnali in ingresso è analogica e come, correlativamente “simulare” sarebbe come dire “pensare”, una coinci-
non digitale, in quanto la frequenza degli impulsi in uscita varia con conti- denza assoluta tra “pensare” e “simulare”.
nuità in funzione dei segnali in ingresso. Rispetto a questi esiti, altra cosa potrebbe essere il considerare la mente e i
3. Nel cervello agli assoni che si proiettano da una popolazione di neuroni a processi cognitivi attraverso la loro simulazione al calcolatore, allo scopo di
un’altra sono spesso abbinati assoni che da quest’ultima vanno alla prima po- costruire forme di intelligenza superiore. L’affermazione sarebbe meno illegit-
polazione. Queste proiezioni discendenti o ricorrenti permettono al cervello tima, ma porrebbe nello stesso tempo la questione se la richiesta di costruire
di modulare il carattere della sua elaborazione sensoriale. L’esistenza di questi un’intelligenza artificiale, perché di questo si tratta, sia ancora proponibile,
assoni rende il cervello un vero e proprio sistema dinamico, il cui comporta- dopo la critica di Searle, che ne contesta la possibilità. D’altra parte, ridurre il
mento continuo è allo stesso tempo molto complesso e in una certa misura pensare al simulare comporterebbe una riduzione dello spazio del pensare,
indipendente dagli stimoli periferici. perché, di fatto, esso verrebbe assimilato ad operazioni di simulazione. La
Potrebbe la scienza costruire un’I.A. sfruttando ciò che si sa sul sistema ner- nuova mente sarebbe, in realtà, una mente commisurata alle operazioni di si-
voso e sul suo funzionamento? Non c’è alcuna ragione per rispondere di no. mulazione compiute, mentre il soprappiù rispetto ad esse e che costituisce l’e-
Anche Searle sarebbe d’accordo, subordinando tutto alla condizione che “qua- redità dell’uomo più significativa diventa una qualità accessoria, di cui para-
lunque altro sistema in grado di causare una mente dovrebbe possedere pote- dossalmente si potrebbe fare a meno. La caratteristica della mente, afferma
ri causali (almeno) equivalenti a quelli del cervello”. Searle, è la coscienza, un fenomeno “straordinario e misterioso” che sfugge ad
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ogni descrizione. Ogni tentativo di descrizione è destinato a fallire. Si può so- Searle J.R. (1997) Mente, cervello, intelligenza: un problema ontologico, in E. Carli
lo affermare che “Il carattere generale del problema mente-corpo, non è (ed.), “Cervelli che parlano. Il dibattito su mente, coscienza e intelligenza artificiale”,
difficile da formulare: la coscienza è causata da processi cerebrali di livello mi- Milano, Mondadori.
crofisico e realizzata nel cervello come proprietà di livello più alto, o sistemi- Searle J.R. (2001) Rationality in action, Cambridge, Mass., The Mit Press.
co. Ma la struttura nella sua complessità, e la natura esatta dei processi cere- Searle J. R. (2005) La mente, trad.it. di C. Nuzzo, Milano, Raffaello Cortina.
brali coinvolti, restano in attesa di analisi” (Searle 2005, 143).
Il rifiuto di Searle di considerare l’intelligenza artificiale come una seconda men-
te, più o meno perfetta rispetto alla prima, o un surrogato dell’attività mentale
dà la misura di una filosofia, che, nel confrontarsi con le istanze e con le aspet-
tative del tempo, anche quelle più seducenti indotte dalla ricerca scientifica, non
rinuncia a prendere posizione a favore della centralità dell’uomo nel mondo de-
gli esseri viventi, una centralità che nemmeno un’intelligenza artificiale, anche
la più sofisticata, può mai oscurare. Rimane al filosofo il compito di “spiegare
come esistiamo in quanto parte del mondo”, sapendo che “non c’è che un uni-
co mondo, (quello) in cui tutti viviamo” (Searle 2005, 267).

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Augusto Ponzio 2. Modellazione e simulazione
Università degli studi di Bari Un concetto fondamentale nella semiotica di Sebeok è quello di modello. Sebeok svi-
Dottorato di ricerca in Teoria del Linguaggio e Scienza dei Segni luppa il concetto di modellazione proposto dalla cosiddetta scuola di Mosca-Tartu,
dell’Università di Bari in cui viene usato per denotare la lingua naturale, considerata come “primario siste-
ma di modellazione”, e gli altri sistemi culturali, considerati come “sistemi di mo-
dellazione secondari”. In primo luogo, Sebeok estende questo concetto oltre il cam-
po dell’antroposemiotica. Lo collega con la ricerca del biologo Jakob von Uexküll e
al suo concetto di Umwelt, che, secondo l’interpretazione di Sebeok va tradotto con
“modello del mondo esterno” (outside world model). In base alle ricerche di biose-
Pensare è simulare. miotica, la capacità di modellazione è osservabile in tutte le forme della vita.
Linguaggio e modellazione Lo studio del comportamento modellizzante dentro e attraverso le diverse for-
me della vita richiede un supporto metodologico fornito dalla semiotica del-
la vita o semiotica globale o biosemiotica. Questo supporto è la teoria dei si-
1. Premessa stemi di modellazione (modeling systems theory) proposta da Sebeok nelle sue ri-
La primaria simulazione significante dell’essere umano è il linguaggio. Que- cerche sull’interfaccia tra semiotica e biologia. La teoria dei sistemi di model-
sta affermazione va intesa come del tutto priva di qualsiasi implicazione fo- lazione, recentemente rielaborata da Sebeok in collaborazione con Danesi
nocentrica. Infatti qui il linguaggio va distinto dal parlare. Il linguaggio è (2000), studia i fenomeni semiotici come processi di modellazione.
un congegno di modellazione. La sua caratteristica specifica è ciò che i lin- La simulazione è un processo di modellazione. Alla luce della semiotica con-
guisti, logici e semiotici chiamano “sintassi”, grazie alla quale la modella- siderata come una teoria dei sistemi di modellazione, la semiosi (processo se-
zione si serve di pezzi di costruzione che possono essere messi insieme se- gnico-interpretativo) — una capacità criteriale di tutte le forme di vita — può
condo un numero infinito di modi. In virtù della sintassi, la modellazione essere definita come la “capacità di una specie di produrre e di comprendere i
del linguaggio umano può dar luogo a un numero indeterminato di model- tipi specifici di modelli richiesti per organizzare e decodificare input percetti-
li che si possono smontare per costruire con gli stessi pezzi modelli diversi. vi nella sua propria maniera” (ivi: 5).
Possiamo così non solo produrre mondi come gli altri animali, ma anche un Lo studio applicato della teoria dei sistemi di modellazione viene denomina-
numero infinito di “mondi possibili”. to analisi dei sistemi (systems analysis). Si possono distinguere tre sistemi di mo-
Ciò permette quel complesso “gioco del fantasticare” ritrovabile non solo nel- dellazione: primario, secondario e terziario. Il sistema primario di modellazione
la simulazione “buona” della fiction e delle diverse forme della creazione arti- è la capacità innata di modellazione simulativa (simulative modeling), cioè è un
stica, come pure nell’immaginario dei miti, delle relazioni, delle credenze po- sistema che l’organismo impiega per simulare qualcosa in una maniera spe-
polari, nelle utopie sociali, e nella simulazione “cattiva” della menzogna, del- cifica. Sebeok adopera il termine “linguaggio” (language) per indicare il siste-
l’inganno, della malafede, dell’ideologia come falsa coscienza, ma anche in ma di modellazione primario specifico della specie Homo.
ogni forma di investigazione, da quella più immediata e inconsapevole pre- Il sistema di modellazione secondario è il sistema che sta alla base tanto dei pro-
sente nell’ordinaria percezione a quella orientata scientificamente. cessi di modellazione indicazionali quanto di quelli estensionali. Le forme non
Come congegno di modellazione, il linguaggio ha con l’universo che model- verbali di modellazione indicazionale sono state osservate in varie specie, mentre
la un rapporto iconico. Dicendo ciò, possiamo richiamarci alla riflessione di la modellazione estensionale è una capacità unicamente umana, poiché presup-
autori quali Peirce, Wittgenstein, Jakoboson, Sebeock. pone il linguaggio (sistema unamo primario di modellazione umana) che Sebeok
distingue dal parlare (speech, sistema umano secondario di modellazione).
Il sistema terziario di modellazione è il sistema che sta alla base di processi di
modellazione fortemente astratti, simbolicamente organizzati.
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Questi tre sistemi contribuiscono in maniera interconnessa e complementare alla comunicazione verbale, il linguaggio potenziò notevolmente le capacità comu-
creazione e alla comprensione (understanding nel senso di Loche) segnica umana. nicative non verbali di cui l’essere umano era già precedentemente dotato. Il
parlare a sua volta fu exattato per la modellazione, cioè per funzionare nelle va-
rie lingue come sistema secondario di modellazione. Oltre a incrementare le ca-
3. Linguaggio come modellazione umana specie-specifica. pacità di comunicazione, il parlare potenziò la capacità di innovazione e di “gio-
Un altro significato di “semiotica” co del fantasticare” dipendente dalla modellazione primaria del linguaggio.
Sebeok aggiunge un altro significato a “semiotica” oltre a quello di scienza ge- Circa la relazione tra linguaggio e parlare, Sebeok fa notare che tale relazione
nerale dei segni. Con “semiotica” egli caratterizza la specificità della semiosi uma- ha richiesto evidentemente un reciproco adattamento, che però non si è an-
na e afferma, la connessione tra la semiotica intesa come semiosi specificamente cora pienamente realizzato. La conseguenza è che continua a sussistere qual-
umana, e l’“human understanding” (Locke), o il “play of musement” (Peirce). che discrepanza tra modellazione primaria e comunicazione, tra linguaggio e
lingua, tra inventiva e capacità espressiva. Il perfezionamento del linguaggio
La semiotica è un tipo di indagine esclusivamente umana, che consiste nella rifles- verbale e delle capacità espressive attraverso di esso resta tuttora un compito
sione — sia essa informale o condotta in modo formalizzato — sulla semiosi (…). particolarmente importante che evidentemente va preso in seria considerazio-
In altre parole, la semiotica indica la tendenza universale della mente umana al ne nelle discipline che si occupano dei processi formativi.
fantasticare (…). John Locke indicò tale indagine come ricerca rivolta alla “uma-
na comprensione”, e Charles S. Peirce chiamò questa inclinazione “il gioco del
fantasticare” (Sebeok 2003, p. 181). 5. Linguaggio come modellazione primaria e linguaggo verbale
La semiosi dei linguaggi-non verbali, sia come comunicazione, sia come si-
La specifica semiosi umana, l’antroposemiosi, si caratterizza come semiotica gnificazione, pur presentando gli stessi tipi di segni (segnali, icone, indici, sim-
grazie alla modellazione propriamente umana, per lungo tempo muta, del lin- boli, nomi), differisce dal comportamento segnico degli animali, perché è “in-
guaggio. L’ominide, e ciò spiega la sua evoluzione, era già dotato di linguag- trisa” di segni verbali, i quali hanno contribuito all’innesto – hanno fatto da al-
gio, ma ancora come homo abilis ed erectus non era dotato di parola. bero di trasmissione – del linguaggio, come procedura modellizzante specie-spe-
Come Danesi (1998, p. 28) chiarisce, è un grosso errore credere che il linguag- cifica dell’uomo, sulle procedure di comunicazione e la significazione umana dei
gio si sia sviluppato originariamente per scopi di comunicazione. Dobbiamo di- segni non verbali avvengono, per la mediazione del linguaggio verbale, secondo
stinguere con Sebeok tra language e speech: il linguaggio è essenzialmente “mind il modello specie-specifico del linguaggio, e quindi sono qualitativamente diffe-
work”, mentre il parlare è “ear and mouth work”. Sebeok descrive il linguaggio renti da quelle animali, differenza che può essere evidenziata, usando, in con-
come modeling device caratterizzato dalla sintassi, o, come più precisamente po- trasto con il comportamento segnico animale, anche per essi, come per il ver-
tremmo dire con C. Morris, dalla “sintattica”, che, insieme alla semantivca e al- bale, il termine linguaggio: tutto il segnico umano è linguaggio.
la pragmatica, è una delle tre dimensioni della semiosi, del segno. Benché il linguaggio abbia trovato nella vocalizzazione, e in generale nel verbale,
se teniamo conto anche dell’importanza della scrittura, il suo maggiore mezzo di
esternazione e di incremento, non significa che tale esteriorizzazione e tale incre-
4. Adattamento e exattamento mento non siano possibili tramite linguaggi non verbali. Ne è un esempio vistoso
Il parlare, come il linguaggio, fece la sua apparizione per adattamento, ma, a dif- il linguaggio dei sordomuti, che non passa affatto, in chi lo apprende, attraverso
ferenza di quest’ultimo, avendo come scopo la comunicazione e facendo la sua la mediazione del verbale (per chi lo insegna ovviamente esso si fonda sull’artico-
comparsa molto tempo dopo rispetto al linguaggio, precisamente con il passag- lazione del reale relativa alla lingua che parla) e che dunque si presenta come di-
gio dall’Homo abilis all’Homo sapiens. Solo dopo l’evoluzione delle capacità fisi- rettamente impiantato sul linguaggio come procedura di modellazione e di rap-
che e neuronali del parlare nell’Homo Sapiens il linguaggio poté essere usato per presentazione specificamente umana. Un altro esempio è costituito dagli infanti
la comunicazione verbale subendo un processo di exattamento. Exattato per la (che come dice la loro denominazione non parlano), e tuttavia comunicano mol-
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to efficacemente tramite mezzi non verbali. Non solo, ma è anche attraverso l’au- Bisogna anzitutto rilevare la non riducibilità del linguaggio a mera comunicazione,
silio di questo tipo di comunicazione che essi pervengono all’apprendimento del altrimenti non potremmo collocare la capacità linguistica in un quadro coerente di
linguaggio verbale. È stato detto che il bambino nasce “linguista”. Più esatto sa- filogenesi delle strutture nervose e delle relative funzioni psichiche (ivi, p. 234).
rebbe dire che nasce “semioticista”, o, come diceva V. Welby, “significista”.
C’è anche un fondo di verità nella tesi di Chomsky secondo cui la comunica-
zione non è la funzione specifica del linguaggio, solo che Chomsky quando di- 6. Linguaggio e scrittura
ce “linguaggio” dice “linguaggio verbale”, anzi si riferisce particolarmente al par- Il verbale utilizza “la sintassi” del linguaggio. cioè la possibilità di significazioni
lare e alle lingue. Egli parla del linguaggio in termini di “facoltà” innata, piut- diverse che si avvalgono degli stessi interpretati-interpretati. Stessi interpretati
tosto che di sistema di modellazione, di congegno di raffigurazione del mondo assumono interpretanti diversi a seconda della loro posizione cronotopica. La
specie-specifico, e, anche quando usa il termine “grammatica” per riferirsi ad es- sequenza temporale della produzione verbale fonica è impiantata su questa pro-
so, termine che va bene per indicare il carattere modellizzante e la funzione tra- cedura, secondo la quale lo stesso oggetto ha significati diversi a seconda della
scendentale del linguaggio, pensa alla grammatica nel senso di quella che gene- posizione. L’articolazione del linguaggio verbale (la doppia articolazione di Mar-
ra le frasi delle diverse lingue e che, come quella, è dotata di un componente fo- tinet) è un aspetto della procedura modellizzante del linguaggio, che articola il
nologico, un componente sintattico e un componente semantico, con la sola mondo per differenziazione e differimento. L’articolazione è prima di tutto di-
differenza che si tratta di una grammatica universale. Di conseguenza la “G.U.” stanziamento, espacement, che il linguaggio in quanto procedura modellizzante
(grammatica universale) di Chomshy è intesa come Ursprache, un linguaggio opera in quanto scrittura, e l’articolazione del linguaggio verbale e tramite il lin-
verbale originario, una lingua universale, alle cui strutture innate sarebbe possi- guaggio verbale si realizza propriamente sulla base di questo tipo di significa-
bile ricondurre tutte le lingue malgrado la loro molteplicità e diversità, conce- zione per posizione. La scrittura, prima ancora di manifestarsi come trascrizio-
pita com’è nei termini dell’innatismo “cartesiano” aggiornato in senso biologi- ne, mnemotecnica,ì è inerente al linguaggio come procedura significante in
stico e sulla base della vecchia contrapposizione di razionalismo ed empirismo, quanto esso si caratterizza come sintassi. Il linguaggio è già scrittura, la quale
come se filosofi quali Kant, Cassirer, Husserl non fossero mai esistiti. Quando dunque sussiste prima della lettera, prima ancora che essa venga inventata come
Chomsky nega la funzione comunicativa al linguaggio, non si riferisce affatto a sistema di trascrizione del semiosi vocale, anzi prima del collegamento del lin-
ciò che Sebeok, che lo cita in appoggio alla sua tesi, intende con “linguaggio”, guaggio con la fonazione e della formazione delle lingue. I caratteri della scrit-
ma al “linguaggio verbale”, che per giunta da Chomsky è concepito in assoluta tura antecedente alla trascrizione si evidenziano nell’articolazione del linguaggio
autonomia dai linguaggi non verbali, come se fossero possibili percorsi inter- verbale, nel suo carattere iconico (significazione per posizione, per ampiezza, co-
pretativi fatti unicamente di segni verbali, di rinvii da interpretanti verbali a in- me nell’allungamento dell’aggettivo al superlativo, o del verbo nelle persone
terpretanti verbali (le sue strutture superficiali e profonde). plurali, ecc., come ha mostrato Jakobson 1966). Quando la scrittura, in un se-
Questa mancanza di distinzione fra “linguaggio” e “linguaggio verbale” dà condo tempo, è ritornata come involucro secondario per fissare il vocalismo, ha
luogo in chi, come Liebermann (1975), cerca di spiegare l’origine del lin- utilizzato lo spazio per preservare attraverso il tempo la parola orale dandole una
guaggio impiegando concetti della teoria chomskiana a forme “di riduzioni- configurazione spaziale (v. Kristeva 1992, p. 61).
smo psicologico”, secondo il quale “complessi processi antropogenici vengo-
no riassunti nello sviluppo lineare di certe capacità cognitive, descritte per
giunta nel linguaggio della sintattica tradizionale” (Rossi-Landi 2006, p. 229). 7. Simulazione e raffigurazione
Il “linguaggio verbale emerge non già da un generico bisogno di comunicare” Nel Tractatus, Wittgenstein individua due tipi di rapporto fra interpretante e in-
(ivi, p. 233), bensì dal bisogno di un certo livello di comunicazione sociale re- terpretato: quello fra i “nomi”, ovvero i segni semplici impiegati nella proposi-
lativo a procedure comunicative non ancora divenute linguaggi e al mondo si- zione (v. 3.202), e i loro oggetti o significati; e quello fra i segni proposizionali,
gnificato, interpretato, tramite la procedura modellizzante (e non comunica- cioè le intere proposizioni, e ciò che essi significano. Il primo rapporto è con-
tiva) del linguaggio, specie-specifica dell’uomo. venzionale, e se non conoscessimo la convenzione non potremmo riuscire a in-
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dovinarlo perché esso è arbitrario. Si tratta qui di ciò che Saussure indica come iconico la base del ragionamento abduttivo che lo distingue per capacità co-
“arbitrarietà del segno”. Come pure si tratta di quell’aspetto del segno verbale per noscitiva e innovativa da quello deduttivo e induttivo. Inoltre il rapporto di
il quale Peirce lo considera maggiormente caratterizzato dalla conjvenzionalità. raffigurazione linguaggio/mondo com’è posto nel Tractatus andrebbe riconsi-
Anche per Wittgenstein i nomi sono “simboli”, nel senso di Peirce, cioè nel sen- derato e valutato alla luce della distinzione che viene a stabilirsi, nell’ambito
so che ubbidiscono a convenzioni e possono essere adeguatamente impiegati so- della relazione di similarità, fra isomorfismo, analogia e omologia.
lo se si conoscono le regole del gioco. Invece il secondo rapporto, quello fra le A questa distinzione ha dedicato particolare attenzione Rossi-Landi. Collega-
proposizioni e ciò che esse significano è di similarità, di tipo iconico. E come per to con questa distinzione è la sua formulazione del metodo che indica come
Peirce, in Wittgenstien l’iconicità non si riduce a un rapporto di semplice copia, “omologico”. Come si sa la nozione di “analogia” e quella di “omologia” sono
di riproduzione passiva. Se certamente anche le proposizioni partecipano del ca- impiegati in biologia come concetti fondamentali nello studio anatomo-com-
rattere convenzionale, esse tuttavia si basano fondamentalmente sul rapporto di parativo delle forme e delle strutture di differenti tipi organizzativi (phila) col-
raffigurazione, o rapporto iconico; e questo rapporto è, come per i “diagrammi” locati in uno schema evolutivo.
di Peirce, di tipo proporzionale o strutturale. La proposizione per Wittgenstein
è perciò un’immagine logica. Per questo “il significato dei segni semplici (delle pa-
role) devono esserci spiegati affinché li comprendiamo. Con le proposizioni, tut- 8. Simulazione e metodo
tavia, ci intendiamo (Tractatus, 4.026). “La proposizione è un’immagine della Il problema del metodo della simulazione della conoscenza scientifica non
realtà: infatti io conosco la situazione da essa rappresentata se comprendo la pro- può essere eluso nell’ambito dell’epistemologia e in qualsiasi ragionamento
posizione. E la proposizione la comprendo senza che me ne sia spiegato il sen- che, riconoscendosi come filosofico e meno, avvii un minimo di riflessione
so” (4.02). “La proposizione mostra il suo senso. La proposizione mostra come sulla conoscenza scientifica. Il problema del metodo viene riconosciuto come
stan le cose, se essa è vera. E dice che le cose stanno così” (4.022). Si potrebbe decisivo anche quando si prende posizione “contro il metodo”. E non solo si
dire che la riflessione di Wittgenstein sulla proposizione come raffigurazione nel ripropone, in tal caso, la discussione sul problema del metodo ma anche si
senso di immagine logica si riferisce alla simulazione significante rivolgendo, nel- presenta una proposta di metodo, quella di non avere nessun metodo preco-
lo studio del linguaggio verbale, l’attenzione, al “linguaggio” più che al “parlare”, stituito, rigido perché “non esiste nessuna definizione di scienza che si esten-
a cui appartengono invece le convenzioni dei nomi. da a tutti gli sviluppi possibili e non c’è alcuna forma di vita che non possa as-
Nel Tractatus Wittgenstein avvia un lavoro sul processo di produzione del lin- sorbire radicalmente situazioni nuove” (Feyerabend 1991, p. 103).
guaggio-pensiero e sulle procedure semiotico-cognitive che l’attenzione al si- La presa di posizione metodologica “contro il metodo” è, in fin dei conti, pre-
gnificato come uso e alle convenzioni linguistiche rivolta nelle Ricerche fa suc- sa di posizione contro simulazioni unilaterali e totalizzanti, contro la riduzio-
cessivamente perdere di vista. Sono invece interessanti, da questo punto di vi- ne del diverso, del nuovo e dell’irripetibile all’identico.
sta, le considerazioni relative, alla somiglianza e al segno a proposito del “ca- L’istanza della rottura dell’identico e la critica della riduzione al medesimo so-
pire una proposizione” contenute in Wittgenstein, Grammatica filosofica. Op- no presenti anche in Bachtin. Impiegando fondamentalmente la nozione di
pure si pensi, per esempio, all’importanza che può avere la seguente osserva- exotopia, Bachtin perviene a una critica della simulazione qualora sia condot-
zione (si trova nelle Osservazioni filosofiche che sono collegate al Tractatus e al ta secondo il metodo della assimilazione.
tempo stesso anticipano per certi aspetti Le Ricerche), soprattutto se conside- Nell’interpretazione scientifica e nella connessa costruzione di modelli, pos-
rata rispetto allo studio di Peirce su iconismo e “grafi esistenziali” ovvero sul siamo dunque distinguere due tipi di simulazione: quella che consiste in una
sistema dei diagrammi logici che dovevano rappresentare lo svolgimento del simulazione significante incentrata sulle categorie, di identità, di medesimo,
pensiero: “Se consideriamo le proposizioni come istruzioni per costruire mo- di noto, di assimilazione, e quella che secondo un metodo omologico (Rossi-
delli, la loro figuratività diviene ancor più manifesta” (1930, p. 6). Landi) e dialogico (Bachtin), opera sulla base della categoria dell’alterità, si-
Un rapporto di raffigurazione può essere evidenziato anche fra le proposizio- mula un movimento di exotopia.
ni stesse nell’ambito dell’inferenza, come fa Peirce che individua nel rapporto
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necessità di una nuova prospettiva esplicativa
Letizia Nucara, Maturana e il linguaggio dell’autopoiesi
Antonella Russo, Linguaggio, processi cognitivi e capacità di utopia

Evoluzione
Domenica Bruni, Vivian M. De La Cruz, Maria Primo, Evoluzione
e linguaggio. L’origine della produzione vocale
Mariangela Campochiaro, Livelli di mentalizzazione e riconoscimento di sé
Erica Cosentino, Tempo e autoconsapevolezza.
Per una prospettiva evolutiva
Valentina Cuccio, Perché le patologie genetiche non sono una prova
della teoria modulare del linguaggio
Elena Mascalzoni, Strutturazione percettiva dello spazio visivo
in un modello animale
Orsola Rosa Salva, Il pulcino di pollo domestico come modello animale
per lo studio della cognizione sociale

Simulazione
Antonino Bucca, Folli o gelosi? Le forme cognitive e linguistiche
delle esperienze deliranti
Massimiliano Cappuccio, La costruzione cognitiva
dello spazio dell’azione. Dalla bio-robotica ai neuroni specchio
Sara De Carlo, Fenomeno di specchio. Per una ricognizione
neurofenomenologica nell’opera di Merleau-Ponty
Anna Fratantonio, L’influenza dell’informazione contestuale
in relazione alla complessità ortografica: un confronto tra dislessici
evolutivi e normolettori
Marco Seghini, Per un’analisi semiotica del Collaborative Tagging
Daniela Tagliafico, Neuroni specchio e simulazione radicale.
Alcune critiche alla proposta di Robert Gordon
cultura

Lorenzo Altieri
Università degli studi “Federico II” di Napoli
Dottorato di ricerca in Scienze Filosofiche
dell’Università di Napoli

Ornitorinchi, rinoceronti e unicorni.


Lo schematismo tra embodiment ed ecologia
La questione dello schematismo è al cuore delle ricerche contemporanee sulla co-
gnizione. Dovrebbe essere evidente – almeno in ambito continentale – che il rife-
rimento storico di tutto il dibatto attuale sugli schemi cognitivi è la filosofia kan-
tiana e in particolare la teoria della conoscenza sviluppata nella prima Critica.
Al fine di disambiguare la troppo inflazionata nozione di schema, ci pare uti-
le operare in sede introduttiva una distinzione fondamentale:
1) da un lato, si può intendere lo schema come un meccanismo legato diret-
tamente al processo percettivo;
2) dall’altro, invece, lo si può intendere come un meccanismo che agisce in se-
de prettamente mentale, o cognitiva.
Il primo caso, a sua volta, può essere inteso in due sensi diversi:
1a) schematismo hard (alla Kant): non si può avere né percezione né espe-
rienza senza gli schemi, i concetti e le categorie;
1b) schematismo “enciclopedico” (alla Eco): certi schemi culturali possono in-
tervenire nell’influenzare la percezione che rimane però un processo autono-
mo; lo schema agisce piuttosto come strumento di categorizzazione.
In queste pagine proveremo ad elaborare una teoria dello schematismo nei sensi 1b e
2. Detto altrimenti si vorrebbe, partendo dal testo di Eco (1997), Kant e l’ornitorin-
co, mostrare alcuni limiti dello schematismo classico ed avanzare una proposta alter-
nativa, ispirata ad un modello ecologico e ad alcuni studi di Linguistica Cognitiva1.

1
Una raccolta di saggi uscita di recente testimonia dell’interesse per la questione dello schematismo
nell’ambito delle scienze della mente e in particolare della linguistica cognitiva, Hampe (2005).

171
1. Kant o l’ornitorinco: uno dei due si sbaglia Ma la vera falla dello schematismo kantiano è denunciata in maniera impie-
Animale bizzarro e indefinibile, mistero degli esploratori, incubo degli zoolo- tosa da Eco, con l’ausilio di due convincenti esperimenti mentali. Il limite del-
gi, l’ornitorinco sembra una creatura fatta apposta per dimostrare non tanto la teoria di Kant concerne quello che potremmo definire il concetto di “concet-
l’esistenza di Dio quanto la Sua divertita ironia. Orfano di ogni possibile tas- to”: ossia quell’entità, kantianamente intesa, che si rapporterebbe al sensibile
sonomia, esso mette a dura prova tutti i tentativi di classificare in maniera or- via lo schema trascendentale. Ora, il concetto di “concetto” entra in crisi pro-
dinata il mondo naturale e costringe ad affinare non poco la lama con cui seg- prio nel momento in cui dobbiamo riferirci ad un oggetto sconosciuto (nel li-
mentare il continuum – o, inversamente, ad allargare di molto le maglie già bro di Eco, i cavalli di Montezuma e il povero ornitorinco): evidentemente,
slabbrate delle nostre categorie mentali. un tale “concetto” non esiste da nessuna parte (neanche uno sfrenato platoni-
È perciò un onore non da poco quello che Umberto Eco offre a Kant nel- co potrebbe trovarlo). Tuttavia gli esploratori hanno senz’altro percepito l’or-
l’affiancarlo ad una tale celebrità, anche se l’onore nasconde un tranello: in- nitorinco, così come gli Aztechi hanno percepito i cavalli. La conseguenza di
fatti, il lettore capisce ben presto che uno dei due ha torto – e non è l’ornito- questo ragionamento apparentemente semplice ma filosoficamente devastan-
rinco. Il campo si restringe paurosamente per il grande pensatore di König- te, è che i “concetti” in senso kantiano non esistono2.
sberg. Ma andiamo con ordine. Eco propone allora di chiamare Tipo Cognitivo (TC) la percezione e il rico-
noscimento di un oggetto determinato: il TC sostituisce anche la funzione
mediatrice dello schema, che diventa piuttosto un meccanismo creatore di oc-
1.1. Il concetto di “concetto” correnze, e non una pura funzione formale. Egli sembra inclinare per una idea
In verità Eco non manca di sottolineare come “una traccia dello schematismo iconica di TC, eventualmente secondo il modello in 3D elaborato da Marr
kantiano (legata a una idea costruttivistica della conoscenza) è presente in varie sulla visione, e questo è molto vicino alle teorie di Lakoff e Johnson. Peraltro
forme delle scienze cognitive contemporanee, anche se talora esse ignorano que- Eco ripete spesso che non intende scrutare nella “scatola nera”, poiché l’intel-
sta filiazione” (Eco 1997, p. 103). Tuttavia le differenze sono altrettanto impor- ligenza del funzionamento neuronale non aggiungerebbe nulla ad una com-
tanti: in effetti l’“inattualità” di Kant all’interno del dibattito odierno non è do- prensione semantica e, diremmo noi, fenomenologica del processo cognitivo.
vuta solamente ad un difetto di memoria o ad una deplorevole ignoranza stori- Il TC trova la sua conferma e la sua ragion d’essere nel fenomeno del “riferi-
ca. Come Eco non manca di ricordarlo, le scienze cognitive sono più interessa- mento felice”: poiché gli uomini concordano nel riferirsi ad un certo oggetto,
te alla struttura della conoscenza esperienziale che alla definizione delle leggi epi- allora bisogna supporre che essi possiedano tutti lo stesso TC di tale oggetto.
stemologiche. Detto altrimenti, Kant cercava la fondazione del sapere scientifico Il riferimento felice si concentra attorno ad una serie d’interpretanti (Peirce)
(con un occhio di riguardo alla scienza newtoniana della sua epoca), e non la co- che possono anche materializzarsi (sotto forma di segni) e che attestano la di-
noscenza (empirica e “cognitiva”). Sebbene credesse all’evidenza fenomenica, la mensione pubblica del TC (che è al contrario un evento privato). La messa in
sua preoccupazione era quella di garantire la conoscenza delle leggi di natura, comune materiale degli interpretanti permette anche di scongiurare casi estre-
senza curarsi di elaborare una qualunque teoria della percezione. Ora, al contra- mi di finzione sociale come quello dei vestiti nuovi dell’imperatore (ma è ov-
rio, il nocciolo delle ricerche attuali si concentra proprio sul circuito esperienza – vio che in quel caso il TC era comunque lo stesso – un Adamo assai tronfio).
percezione – cognizione (con delle variazioni secondo le correnti, ovviamente). Questa serie d’interpretanti si coagula in quello che Eco battezza Contenuto
Tornando a Kant, Eco mostra agevolmente che la tavola delle categorie non per- Nucleare (CN): mentre il TC è un fenomeno di percezione (personale), il CN
mette minimamente di capire come funzionino la percezione e le categorizzazio- è un fenomeno di comunicazione (pubblica). I due fenomeni poggiano l’uno
ni reali delle cose: i concetti dell’intelletto puro non sono che delle funzioni logi- sull’altro, e trovano reciprocamente ragion d’essere: in altri termini “postulia-
che, e non ci aiutano per niente a definire le cose. Com’è noto, la Critica della ra-
gion pura non dice una parola sui concetti empirici, e assegna allo schema tra- 2
Come si vede, siamo in presenza di uno di quei non rari casi in cui la filosofia va a sbattere
scendentale la funzione di collegare le astratte categorie dell’intelletto puro alle in- contro il mondo ed è costretta a ricalibrarsi, anche se troppo spesso ha provato a negare sde-
tuizioni sensibili. Lo schematismo è insomma un prodotto dell’immaginazione. gnosamente le minime evidenze del senso, troppo “comune” per le sue elitarie riflessioni.

172 173
mo un TC come disposizione a produrre CN e trattiamo i CN come prova diatezza, è la base di ogni processo di sorta (predicativo, performativo, gno-
che ci sia da qualche parte un TC” (117). Insomma Eco immagina e svilup- seologico, tassonomico, ecc.). Pertanto, il TC diventa una nozione ricca e
pa un meccanismo d’inferenza in seno al processo gnoseologico. Questo po- complessa, e soprattutto necessaria, alla quale si potrebbero affiancare altre
stulato, congiuntamente all’interesse per i concetti empirici e per la categoriz- suggestioni: i qualia, gli schemi d’immagine, le affordances di Gibson.
zazione della realtà sensibile, rivela a nostro avviso l’ispirazione più lockiana Allora, in conclusione, che tipo di schematismo ne viene fuori? Eco ci propone
che kantiana del suo lavoro (e d’altronde ci pare che ci siano più Locke e Hu- una lettura “attualizzata” di un Kant de-trascendentalizzato: lo schema divente-
me che Kant anche nella Linguistica Cognitiva). rebbe un meccanismo cognitivo che ci permette la comprensione e la categoriz-
Infine, vi è un terzo elemento che completa questa teoria cognitiva: il Conte- zazioni dell’esperienza percettiva. Tale meccanismo avrebbe un andamento pro-
nuto Molare (CM), che raggruppa le “conoscenze allargate” che possediamo di cedurale e modificabile nel corso del tempo sulla base delle conoscenze e delle
un certo oggetto. Per dirlo con le parole dello stesso Eco, il CM è una por- esperienze accumulate. Un costruttivismo di questo tipo ci conviene perfetta-
zione dell’enciclopedia (intesa sempre come insieme di conoscenze, noumeno mente; tuttavia, ci piacerebbe arricchire questa proposta con alcune acquisizio-
del bibliotecario, ottativo del savio). Di conseguenza, è anch’esso privato co- ni provenienti dalla linguistica cognitiva, e in particolare con l’idea di un grup-
me il TC – o forse anche di più, perché possiamo supporre che tutti gli uo- po di schemi d’immagine fondamentali che, emergendo dalla stessa esperienza
mini condividano più o meno le stesse facoltà percettive, ma siamo certi che fisico-percettiva, organizzerebbero la nostra conoscenza e permetterebbero l’ela-
non condividono le stesse competenze. borazione metaforica di un pensiero astratto. Questo schematismo sarebbe
quindi assai concreto, e direttamente legato alla nostra interazione corporea con
la realtà – dunque all’opposto dello schematismo kantiano.
1.2. Ornitorinchi, unicorni e ciabatte: Prima di congedarci dall’ornitorinco, tuttavia, vorremmo soffermarci su un
per uno schematismo non trascendentale punto controverso.
Tirando le somme, questa proposta teorica ci sembra offrire diversi vantaggi: Può accadere ad alcuni teorici contemporanei dello schematismo di afferma-
1) ci libera del concetto di “concetto” inteso come residuo dell’idea platonica re che senza gli schemi l’esperienza risulterebbe caotica ed incomprensibile.
e dell’essenza aristotelica; Contro questa “necessità” dello schema, com’è noto, Maurizio Ferraris ha
2) trasforma la troppo astratta nozione kantiana di schema per farne una condotto in anni recenti una personale battaglia dichiaratamente anti-kantia-
struttura percettiva e interpretativa (nell’accezione cognitiva, preverbale di in- na, al motto di “meno schemi più ontologia” (Ferraris 2000, 2005). In un cer-
terpretazione); to senso ci pare che Ferraris scorga nel revanscismo schematista contempora-
3) separa il momento percettivo (che si immagina comune) dal momento per- neo lo spauracchio aggiornato di un certo aborrito prospettivismo, la cui nuo-
formativo (che tende verso la comunità) e dal momento categoriale (privato va parola d’ordine potrebbe essere: non esistono fatti ma solo schemi concet-
ma integrato in un sapere comune). tuali. Su questo punto condividiamo pienamente la posizione dell’autore,
Così facendo, rendiamo un buon servizio: preoccupato giustamente di restituire all’essere ciò che è dell’essere, sia pure
1) alla percezione, scaricandola di una serie di competenze e di conoscenze che quell’essere dal volto umano (e non per forza declinato in tedesco) che è l’on-
– soprattutto in certi casi – intervengono in un momento immediatamente tologia ecologica, e il cui carattere essenziale è per Ferraris l’inemendabilità.
successivo; Come nell’ontologia negativa di Eco, anche qui il mondo oppone al soggetto
2) alla categorizzazione, lasciandola libera di variare – entro certi limiti – da dei vincoli ontologici (delle linee di resistenza inemendabili) affatto indipen-
individuo a individuo; denti rispetto ai nostri schemi concettuali – e, vorremmo aggiungere, ai nostri
3) alla comunicazione, in particolare nella sua accezione performativa, troppo desideri: un difetto ricorrente di certe teorie troppo ecologiche sta nel legare la
spesso trascurata nelle teorie della conoscenza tradizionali. percezione ai bisogni dell’animale percepente, il che forse può spiegare i mirag-
Eco riconosce dunque una dimensione pre-categoriale ed ante-predicativa gi, ma non potrà mai renderli reali. L’intenzionalità percettiva ci può aiutare a
della percezione e della cognizione: il momento percettivo, nella sua imme- capire perché nel deserto vediamo un’oasi, ma se l’oasi non c’è non può certo
174 175
farci anche abbeverare. Può essere vero che nell’ambiente circostante percepia- La nozione di schema che c’interessa e che qui discutiamo non riguarda tan-
mo meglio o soprattutto gli oggetti per noi rilevanti, più utili o più piacevoli: to la percezione, quanto piuttosto l’organizzazione cognitiva: lo schematismo
questo non ci esime, ahinoi, dal prendere vasi sulla testa o pugni in faccia anche cioè, non ingerisce con il nostro contatto primario col mondo – come per il
se ne faremmo spesso volentieri a meno3. Deflazionata da un certo “superomi- Kant da cui Ferraris si congeda – ma si articola in una fase immediatamente
smo ecologico”, la teoria ecologica della percezione ci pare comunque la mi- successiva, legata piuttosto alla comprensione e alla mappatura delle esperien-
gliore possibile, ed è a quella che ci riferiremo nelle prossime pagine. ze. A noi sembra che negli interstizi tra il percepire e il pensare un posto per
D’altronde che il problema non sia l’ornitorinco, bensì Kant, è in fondo ciò che gli schemi si possa trovare agevolmente. In particolare, è ipotizzabile un uso
abbiamo detto anche noi nella prima parte di questo articolo: dovrebbe essere di schemi concettuali nell’articolazione e nella comprensione del linguaggio,
chiaro che la nozione di schema che vorremmo conservare non è certo quella ovvero nella genesi del significato semantico.
kantiana. Come già aveva intuito Eco, il limite maggiore di Kant sta nell’aver D’altronde in questo rigurgito anti-kantiano non si deve, a nostro avviso,
“confuso la scienza con l’esperienza, e crede(re) di parlare di quest’ultima men- commettere l’errore opposto: nell’ansia – in parte condivisibile – di de-intel-
tre propone una visione scientifica del mondo” (Ferraris 2005, p. 28). In realtà, lettualizzare l’esperienza si rischia di farne un processo troppo passivo e auto-
possiamo ritenere errata l’asserzione secondo cui le intuizioni senza concetto so- matico. Una cosa è riconoscere delle strutture ontologiche comuni; altra cosa
no cieche, pertanto non abbiamo bisogno per forza di occhiali per vedere – gli è studiare il processo cognitivo umano, che è senz’altro diverso da quello di
occhi, almeno per un primo contatto col mondo, ci bastano. una ciabatta5. Ne consegue una versione molto più ecologica e minimale di
La strategia comune ad Eco e Ferraris, seppure con modi, intenti ed esiti di- schematismo, direttamente radicata nella struttura corporea dell’esperienza
versi, è quella di rivendicare una certa autonomia del contenuto (il percetto) incarnata, che cercheremo di sviluppare nella seconda parte di questo scritto
rispetto allo schema (il concetto), per cui gli schemi non sarebbero coestensi- ispirandoci ad alcuni autori della galassia cognitivista6.
vi al percepire, ma possono tuttalpiù sopraggiungervi – come nel caso di Mar- È evidente che per abbracciare compiutamente una tale visione della mente
co Polo che scambia rinoceronti per unicorni. dobbiamo disfarci di ogni residuo razionalistico e dualistico per ritrovare, con
Ma se prendiamo proprio Polo, ci accorgiamo che nel Milione egli tenta del- le parole di Mark Johnson, il corpo nella mente.
le descrizioni assai realiste e svagate, seppur filtrate dalla propria enciclopedia
(più popolare che colta, essendo lui un mercante, ma pur sempre enciclope-
dia). Quando crede di incontrare gli unicorni – che sono in realtà rinoceron- 2. Schematismo, ecologia, corporeità
ti – non può esimersi dal riportarne la bruttezza, che mal si accorda con il Le attuali ricerche nel campo della cognizione si dividono almeno in due
“concetto” fiabesco di cui quella “molto laida bestia” dovrebbe pur essere gruppi molto diversi fra loro: da un lato, ci sono i cognitivisti classici, hard,
un’occorrenza4. Come dire: è ovvio che lo schema non ha un’ingerenza sover- legati ad una visione modulare e computazionale della mente; e dall’altro i co-
chia con il momento puramente percettivo. Ciò non significa, però, che non gnitivisti ecologici, tra i quali possiamo annoverare gran parte dei linguisti co-
esistano schemi – cognitivi e culturali – che condizionano e financo assecon- gnitivi. Al cuore di questa seconda corrente stanno autori importanti quali
dano i nostri processi mentali e conoscitivi. È proprio questo punto che ci Gibson e Neisser i quali hanno elaborato una teoria tutta ecologica dello sche-
permette di chiarire meglio la nostra posizione. matismo, cui di fatto si ispirano le attuali teorie sull’embodiment.
Nel suo libro forse più famoso, Un approccio ecologico alla percezione visiva
3
“Di fatto, nella maggior parte del tempo, noi non ci protendiamo verso oggetti, bensì schivia-
(1979), Gibson si sofferma sul rapporto tra la percezione e il linguaggio: egli ri-
mo mosche, tram, individui molesti, né ci basta, per farlo, considerarli eide privi di esistenza o sen-
se data aggregati da un demone che ci vuole male” (Ferraris 2000, p. 93). Ricordiamo che per Eco
5
il vincolo ontologico prendeva una forma simile, quella dell’Essere che ci prende a calci. Fosse solo per il fatto, piuttosto inoppugnabile, che la ciabatta non ha processi cognitivi (af-
4
Eco aveva già indugiato su Polo in uno scritto del 1985 (Eco 1985) che riflette giustamente fermazione che speriamo non offenda nessuno, in un’epoca nella quale sostenere che l’uomo e
sul “descrivere l’ignoto”, e che curiosamente anticipa alcune pagine della più compiuta teoria il gibbone non sono esattamente la stessa cosa viene visto con profondo sospetto).
6
cognitiva elaborata nel libro sul Kant di oltre dieci anni dopo. Una versione a cui peraltro lo stesso Ferraris parrebbe condiscendere, v. Ferraris 2005, p. 128-129.

176 177
conosce un’influenza del linguaggio sulla percezione delle cose, ma tale influen- dalle aspettative ma non ne sia controllata, perché occorre la raccolta di informa-
za, come spiega Spinicci, “si traduce in un invito a rivolgere l’attenzione a certe zioni reali (Neisser 1993, pp. 60-61).
piuttosto che ad altre distinzioni di senso, che tuttavia preesistono alle scelte lin-
guistiche e le rendono possibili. Ancora una volta: percepire significa cogliere e Come detto poco fa, la Linguistica Cognitiva si riallaccia a queste teorie d’i-
non creare le strutture di senso dell’ambiente” (Spinicci 2000, p. 196). Com’è spirazione ecologica. All’interno di questa corrente eclettica e variegata, M.
noto, Gibson conia un termine nuovo per definire queste salienze percettive: af- Johnson è forse l’esponente più “continentale”. Co-autore con Lakoff di due
fordances, intese appunto come delle possibilità d’interazione tra soggetto e lavori importanti, egli è uno dei protagonisti di quello che è stato chiamato il
mondo derivanti dalle capacità sensori-motorie del soggetto, dalle caratteristi- corporeal turn del cognitivismo nordamericano. In The Body in the Mind
che plastiche degli oggetti e dalla natura stessa dell’ambiente. In ogni caso a noi (1987) egli ha abbozzato una teoria cognitiva dello schematismo che, non-
sembra che questa preesistenza delle strutture di senso dell’ambiente si accordi ostante alcuni limiti evidenti, si pare anche ricca di elementi interessanti, e
perfettamente con la teoria di Eco e con quel tipo di schematismo. La teoria gib- vorremmo pertanto affiancarla in questa sede alla proposta di Eco.
soniana lascia tuttavia aperto un interrogativo: che cosa ci permette di cogliere
nello stimolo proprio ciò che dobbiamo? U. Neisser ha cercato di rispondere a
questa domanda elaborando una nuova teoria dello schematismo che in un cer- 2.1. Gli schemi d’immagine: le strutture del mondo della vita
to senso ha anticipato e ispirato gli sviluppi delle ricerche successive. Johnson dichiara le sue intenzioni sin dall’introduzione: “Noi esseri umani ab-
Il concetto di schema, che Neisser riprende dallo studio di Bartlett sulla me- biamo dei corpi. Siamo ‘animali razionali’, ma siamo anche ‘animali razionali’,
moria7, si riferisce ad una struttura generale, interna al percettore e modifica- il che significa che la nostra razionalità è incorporata (embodied) (…). La nostra
bile con l’esperienza, che permette di organizzare e gestire l’esperienza. Men- realtà è plasmata dai modelli (patterns) del nostro movimento corporeo, dal con-
tre per Gibson la percezione è sempre diretta, e il percettore coglie automati- torno della nostra orientazione spaziale e temporale, e dalla forma della nostra
camente le informazioni, entrando come in risonanza con l’ambiente e le sue interazione con gli oggetti. Essa non è mai un semplice problema di concettua-
affordances, Neisser cerca di affinare questa visione attraverso una teoria eco- lizzazioni astratte e di giudizi proposizionali” (Johnson 1987, p. xix).
logica degli schemi, delle strutture preesistenti che dirigono l’attività percetti- Collocandosi a metà strada fra la dimensione preconcettuale e il livello cate-
va e ne sono a loro volta modificate. Si potrebbe obiettare che però non sem- goriale, Johnson si concentra sugli “schemi d’immagine” (image schemata),
pre la nostra esplorazione percettiva è attiva e anticipabile dagli schemi: ci ri- che sono al centro anche dell’opera coeva di Lakoff Women, Fire and Dange-
troviamo nel caso degli Aztechi o del povero ornitorinco. Neisser previene l’o- rous Things (1987): si tratta di strutture gestaltiche emergenti dall’esperienza
biezione insistendo sulla dialettica del suo schematismo: corporea che al tempo stesso permettono e ordinano le nostre interazioni con
la realtà. Per quanto questi schemi affiorino dalle interazioni corporee, essi
La percezione non serve semplicemente a confermare assunti preesistenti, ma a possono essere sviluppati analogicamente ed estesi a dei livelli cognitivi più
dotare l’organismo di nuove informazioni. Anche se questo è vero, è vero pure che astratti, diventando così delle strutture attorno alle quali si organizza il si-
senza una qualche struttura preesistente non si potrebbe acquisire alcuna infor- gnificato. Tale estensione figurativa, come postulato sin dal celebre Metaphors
mazione (…). Questo dilemma, che è fatale al modello di percezione dell’elabo- we live by (1980), avviene sulla base di una proiezione metaforica dal domi-
razione interna, può essere risolto se adottiamo il concetto di ciclo percettivo (…). nio fisico-percettivo delle interazioni corporee a quello dei processi cosiddetti
La conclusione del ragionamento implica pertanto che la percezione sia diretta razionali (astrazioni, concettualizzazioni, idealizzazioni).
Johnson insiste sui due aspetti “controversi” di questo schematismo: la sua na-
tura apparentemente non proposizionale, analogica, e il suo carattere figurati-
7
F. C. Bartlett, La memoria, Angeli, Milano 1974. Peraltro Neisser scrive: “Mi sembra non esi- vo e immaginativo.
sta parola migliore di quella coniata da Bartlett, e cioè schema, per definire la struttura cogniti-
va centrale nell’ambito della percezione (però Bartlett non ne era completamente soddisfatto e Questa descrizione di “fenomenologia empirica” (così la definisce l’autore) si si-
neppure io)” (Neisser 1993, p. 69). tua insomma alla giuntura di percezione e categorizzazione, dell’antepredicativo
178 179
e del predicativo, e aspira in fondo a colmare il gap che separa tradizionalmente In ogni caso un carattere per noi assolutamente ineliminabile di tali schemi è
queste due dimensioni. Il motto della Linguistica Cognitiva, e dell’autore stesso, quello corporeo – e, in senso più ampio, esperienziale: si tratta cioè di struttu-
è dunque “rimettere il corpo nella mente” (xxxvi), per sottolineare l’aspetto non- re fisico-percettive ricorrenti e immediatamente significative, in genere legate
proposizionale, esperienziale ed incarnato del senso e della razionalità. Questo direttamente ai movimenti corporei, che poi ci permettono di categorizzare e
punto è cruciale per Johnson, e gli permette di definire meglio la propria meto- comprendere esperienze e concetti astratti. Giungiamo così ad una definizio-
dologia: “Il mio metodo potrebbe essere definito una forma di fenomenologia ne positiva dello schema d’immagine:
descrittiva o empirica, nel senso che cerco di tracciare una sorta di ‘geografia del-
l’esperienza umana’. Una tale geografia mira a identificare i contorni principali Uno schema è un modello dinamico, una configurazione (pattern) che ritorna nel
(le strutture) e le connessioni della nostra esperienza e della nostra comprensio- corso dell’esperienza, una forma, una regolarità di – e all’interno di – queste attività
ne (…). Voglio ribadire che un’analisi fenomenologica (nel mio senso esteso del strutturanti e continue. Tali modelli emergono in quanto strutture significative emi-
termine) non si risolve in una mera descrizione delle strutture dell’esperienza e nentemente al livello dei nostri compimenti corporei nello spazio, della nostra mani-
della comprensione, ma che, al contrario, utilizza tale descrizione come base per polazione degli oggetti e delle nostre interazioni percettive (Johnson 1987, p. 29).
una spiegazione assai efficace dei processi implicati all’interno delle connessioni
semantiche attraverso significati correlati in maniera sistematica” (xxxvii-i)8. Come vediamo, siamo in presenza di uno schematismo tutto ecologico e ra-
Quanto all’aspetto iconico, l’autore spiega che tali schemi non sono delle mere dicato nella corporeità, molto più prossimo ad una fenomenologia anti-tra-
immagini mentali, delle istantanee concrete di cui si potrebbe ritrovare una trac- scendentalistica post-husserliana (Merleau-Ponty) che non al kantismo tradi-
cia neuronale, bensì delle strutture che organizzano la nostra comprensione ad zionale. Secondo questa prospettiva, come già per la fenomenologia, la spa-
un livello più fondamentale di ogni immagine particolare. D’altronde, sebbene zialità originaria del corpo proprio (il Leib contrapposto al Körper) sarebbe co-
Johnson attribuisca una certa priorità all’elemento visivo, a nostro avviso lo estensivi alla logica del vivente10.
schematismo non è legato ad una modalità percettiva unica, e sembra avvici- Dovrebbe essere chiaro a questo punto il carattere fortemente ecologico di ta-
narsi piuttosto alla sinestesia9. Peraltro lo stesso Eco sembra propendere per un li schemi, molto diversi dunque dello schematismo tradizionale, astratto e
supporto iconico per la comprensione di alcuni concetti essenziali: “Possiamo proposizionale; come ha sottolineato Gibbs, gli schemi d’immagine, al con-
davvero dire che di espressioni come ieri e domani abbiamo solo CN esprimi- trario, “sono strutture immaginative non proposizionali che organizzano l’e-
bili proposizionalmente e non anche una sorta di diagramma con puntatori vet- sperienza al livello della percezione e del movimento. Essi si pongono al cro-
toriali per cui (anche se la disposizione varia a seconda delle culture) nell’un ca- cevia di tutte le modalità percettive” (Gibbs 2005, p. 91). Pertanto la natura
so ci configuriamo una sorta di immagine mentale di ‘puntamento all’indietro’ emergente (enattiva nei termini di Varela) di tali schemi deve essere compre-
e nel secondo di ‘puntamento in avanti’?” (Eco 1997, p. 135). sa all’interno della dialettica mente/corpo/mondo: non si tratta dunque di
rappresentazioni localizzate da qualche parte nel cervello, bensì di configura-
8
zioni emergenti dall’attività sensori-motoria. Lo stesso Gibbs ha giustamente
Ci pare evidente la possibile analogia con quella “fenomenologia della fenomenologia” ricercata
e praticata da M. Merleau-Ponty. Peraltro poco prima l’autore prova a spiegare le ragioni del tra- evidenziato questo punto: “Gli schemi d’immagine non andrebbero ridotti al-
dizionale, annoso scisma tra gli analitici e i continentali: “Al di là di questa orientazione generale, l’attività sensori-motoria, ma è un errore vederli solo come delle rappresenta-
tuttavia, non intendo allinearmi a nessun programma particolare all’interno della tradizione fe- zioni mentali astratte dall’esperienza” (115).
nomenologica che si è sviluppata in Europa nell’ultimo secolo. Al tempo stesso, è ovvio che alcu-
ne delle mie assunzioni più importanti sono anticipate nei lavori di quei filosofi che si dichiarano
in piena legittimità affiliati alla fenomenologia nelle sue varianti post-husserliane. È un fatto de-
plorevole che molti tra filosofi, linguisti, psicologi e sociologi educati o influenzati dalla filosofia
analitica angloamericana, abbiano mostrato una così forte resistenza alla fenomenologia, che essi
vedono come qualcosa di oscuro, confuso e inaccessibile” (xxxvii).
9 10
È nota la lunga querelle sull’iconismo, molto in voga soprattutto nel corso degli anni Ottanta È la stessa prospettiva adottata da P. Violi (1997) in un lavoro di grande originalità che si
ma mai sopita, e che ha i suoi due alfieri in Kosslyn e Pylyshyn. Si veda N. Block (ed.) 1981. affianca autonomamente alle ricerche della Linguistica Cognitiva e dello stesso Eco.

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2.2. Un esempio: lo schema della “forza” Adesso siamo in grado di individuare alcuni elementi che, coordinati tra loro,
Per dare corpo a queste idee proviamo allora ad offrire alcuni esempi di sche- compongono lo schema della forza:
mi d’immagine. È importare ricordare una caratteristica fondamentale della 1) anzitutto, la forza è sempre esperita attraverso l’interazione: noi possiamo
teoria di Johnson (e di Lakoff ), ovvero che tutti gli schemi trovano un’appli- esercitare o subire la forza sul e dal mondo esterno;
cazione metaforica, che funziona come una mappatura cognitiva tra ambiti di 2) la forza ha una qualità vettoriale: essa implica sempre un certo movimento
esperienza diversi. In un certo senso lo schema d’immagine, in quanto pattern nello spazio;
basico dell’esperienza corporeo-percettiva potrebbe essere considerato il nu- 3) la forza può avere movimenti diversi: nel caso prototipico (quale quello del-
cleo cognitivo della metafora, così come essa è concepita dai due autori11. la forza gravitazionale, ad esempio), esso è lineare. Ma si possono avere casi
Un primo schema è quello di forza, che è anche una delle metafore più ricor- diversi (come in un’esplosione);
renti. Secondo Johnson, noi letteralmente “afferriamo” il significato di “forza” 4) le forze hanno anche delle sorgenti e gli agenti esercitanti la forza possono
sin dai primi giorni di vita: “Queste interazioni costituiscono il nostro primo in- mirare a dei bersagli: sarebbe questa la dimensione intenzionale della forza;
contro con le forze, e rivelano delle relazioni strutturate e sistematiche tra noi 5) le forze hanno altresì dei gradi di potenza e d’intensità (più o meno con-
stessi e il nostro ambiente. Tali modelli si sviluppano come strutture del si- trollabili). Questo elemento gioca un ruolo molto importante nella metafori-
gnificato attraverso le quali il nostro mondo comincia ad esibire una certa co- ca emozionale, allorché gli stati d’animo sono definiti e compresi in termini
erenza, regolarità, intelligibilità. Molto presto iniziamo a capire che anche noi di forze che sconvolgono il nostro animo;
possiamo essere a nostra volta delle sorgenti di forza sui nostri corpi e su altri 6) dall’esperienza della forza emerge sempre una sequenza di casualità: dall’e-
oggetti esterni. Impariamo a muovere i nostri corpi e a manipolare oggetti nel- sempio prototipico della palla da biliardo agli infiniti usi metaforici dello stes-
la misura in cui siamo dei centri di forza. Soprattutto, sviluppiamo dei patterns so concetto.
per interagire attivamente con il nostro ambiente (…). Questi patterns sono in- Dopo questa prima lista di proprietà, Johnson ne propone una seconda focaliz-
carnati (embodied) ed offrono delle strutture coerenti e significanti alla nostra zata su certi aspetti dell’esperienza della forza: compulsione, blocco, contro-for-
esperienza fisica ad un livello tutto preconcettuale (…). Certo, noi formuliamo za, opposizione, diversione, eliminazione degli ostacoli, attrazione. Otteniamo
un concetto di “forza” che possiamo spiegare in termini proposizionali. Ma il suo così un abbozzo della struttura gestaltica di uno schema d’immagine quale quel-
significato – il senso che esso identifica – affonda molto più in profondità della lo della forza. Notiamo che l’uso del termine Gestalt ci pare particolarmente ap-
nostra comprensione concettuale e proposizionale” (Johnson 1987, p. 13). propriato, poiché riesce a mettere in evidenza non solo il carattere olistico dello
Abbiamo voluto riportare questo brano nella sua interezza proprio perché ci schema, ma anche la sua struttura interna. Nel resto del libro Johnson dà altri
sembra indicativo del modo di procedere di Johnson e soprattutto del suo convincenti esempi di schemi d’immagine, che qui possiamo solo citare per ra-
modo d’intendere questi schemi d’immagine. È chiaro a questo punto che un gioni di brevità: equilibrio, percorso (o tracciato), legami, quantità, centro-perife-
concetto come quello di “forza” non si riduce ad una definizione dizionariale ria. Per ognuno di questi schemi vengono evidenziate le proprietà salienti, che
o ad un significato meramente proposizionale: esso emerge piuttosto dalla no- non sono altro che features ricorrenti della nostra esperienza corporea, e che nul-
stra esperienza corporea e si struttura attorno ad uno schema condiviso da tut- la hanno a che fare con le vecchie proprietà delle categorie trascendentali.
ti gli individui, e che diventa così un possibile modello culturale. Da questo
nucleo primario di forza possiamo poi giungere, per estensione metaforica,
fino ai concetti più astratti di “risposta” e anche di “responsabilità morale” (co- 2.3. Dal sensibile al Senso: il ruolo dello schematismo
me quando parliamo, per esempio, di forza morale). nei processi superiori
A distanza di venti anni esatti, Johnson ha pubblicato recentemente un altro li-
bro importante, nel quale riprende molti di questi temi alla luce degli sviluppi
11
Si veda, oltre al classico Lakoff-Johnson (1980) anche il più recente Lakoff-Johnson (1999). delle ricerche cognitive. Viene ribadita l’aderenza ecologica all’esperienza di que-
Per un approfondimento di questo problema, mi permetto di rimandare ad Altieri (2006). sto tipo di schematismo, per cui la genesi del significato viene fatta retrocedere
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dalla vita di coscienza all’incontro corporeo con l’ambiente: “Questa estensione to concreto implichi l’attivazione di gran parte degli stessi gruppi di neuroni
del significato è l’unico modo di preservare una certa continuità fra i processi co- sensori-motori che sarebbero attivati nel percepire effettivamente qualcosa,
siddetti inferiori e superiori (…). Si noti in effetti che i significati non possono nel manipolare un oggetto o nel muovere il proprio corpo.
apparire nell’esistenza (o sorgere nella nostra coscienza) dal nulla. Inversamen- La nozione chiave in questa ipotesi è quella di simulazione: in poche parole,
te, essi devono essere radicati nelle nostre connessioni corporee con le cose, e de- pensare il concetto “afferrare” mobilita grosso modo la stessa popolazione
vono rimanere continuamente in fieri attraverso le nostre azioni sensorimotorie” neuronale mobilitata dall’azione dell’afferrare. Questo stesso concetto, per-
(Johnson 2007, p. 25). Al tempo stesso, però, non dobbiamo pensare che que- tanto, può essere strutturato secondo uno schema che combina tutti i para-
sto incontro tra il nostro corpo e il mondo sia un fenomeno puramente sogget- metri rilevanti per quel tipo di azione:
tivo: al contrario, si tratta di qualità interazionali, proprie alla dialettica organi-
smo/ambiente, e che sono nel mondo tanto quanto in noi. La comprensione richiede simulazione. La comprensione dei concetti concreti –
Gli schemi d’immagine sono dunque un momento essenziale del nostro in- azione fisica, oggetti fisici, e così via – richiede una simulazione sensori-motoria
contro col mondo. Vorremmo sottolineare con forza la ratio essendi degli sche- (…). Ne consegue che il sensori-motorio è necessario per la comprensione almeno
ma d’immagine all’interno della teoria di Lakoff e Johnson: si tratta di postu- degli oggetti concreti. A noi pare questa una difficoltà insormontabile per tutte
lare delle strutture che permettano il link tra l’esperienza concreta e il pensie- quelle teorie tradizionali che sostengono che i concetti concreti sono di modalità
ro concettuale; delle strutture, cioè, che ci consentano di rispondere alla do- neutra, disincarnati e simbolici (Gallese e Lakoff 2005, p. 468).
manda: “come possono i concetti astratti emergere dall’esperienza incarnata
senza fare ricorso ad una mente disincarnata, a moduli del linguaggio auto- Ovviamente gli schemi d’immagine non sono le uniche strutture incorporate
nomi o alla ragion pura?” (141). del pensiero astratto, e queste teorie ancora esplorative non ambiscono ad esau-
Non si tratta dunque di schemi epistemologici necessari all’esperienza (come rire tutta la ricchezza e la complessità del pensare umano. Ci sembra però una
per Kant), bensì di schemi ecologici immanenti all’esperienza: strada convincente, che per la prima volta, con l’aiuto delle ricerche cognitive,
cerca di far luce sui misteri della mente senza ricorrere ad artifici filosofici d’i-
Gli schemi d’immagine costituiscono un livello di significato preverbale, emer- spirazione idealistica o dualistica. In particolare, uno schematismo di questo ti-
gente e prevalentemente inconscio. Si tratta di configurazioni istanziate (patterns po ci permette di elaborare una teoria del funzionamento della mente assai più
instantiated) nelle mappe topologiche neurali che abbiamo in comune anche con “economica”: anziché ipotizzare un set a parte di operazioni cognitive per il pen-
altri animali, sebbene noi in quanto umani possediamo degli schemi d’immagine siero astratto – un “doppione” delle strutture sensori-motorie – ci pare molto
che sono più o meno peculiari al nostro tipo di corpo e alle caratteristiche del- più efficace fare appello agli stessi programmi sensori-motori anche per spiega-
l’ambiente che abitiamo. Pur essendo preverbali, essi svolgono tuttavia un ruolo re quanto meno l’origine dei cosiddetti processi mentali superiori.
fondamentale nella sintassi, nella semantica e nella pragmatica delle lingue natu-
rali. Essi si trovano al cuore del significato, e sottendono il linguaggio, il ragiona-
mento astratto, e tutte le forme d’interazione simbolica (144-5). Riferimenti bibliografici
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Questa teoria degli schemi d’immagine si inserisce autonomamente in un am- linguistica cognitiva, in Cappuccio M. (a cura di) “Focus: Soggettività, esperienza, co-
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to che i concetti concreti (quali ad esempio “afferrare”) trovino una “realizza- guaggio. Teorie e pratiche dell’argomentazione e della persuasione”, pp. 361-373, Ro-
zione” neuronale nella forma di schemi sensori-motori che organizzano grup- ma, Aracne Editore.
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no, Bompiani. preoccupazione di ridurre al minimo ogni legittimità circa gli aspetti della co-
Lakoff G., Johnson M. (1999) Philosophy in the Flesh. The Embodied Mind and Its struzione delle forme linguistiche che hanno a che fare con l’oggetto cognizione:
Challenge to Western Thought, New York, Basic Books. formato delle rappresentazioni semantiche, l’ancoraggio referenziale, e non solo.
Lakoff G. (1987) Women, Fire and Dangerous Things. What Categories Reveal about the Appare non certo scorretto che buona parte degli indirizzi di linguistica cogni-
Mind, Chicago, Chicago University Press. tiva, e soprattutto la semantica cognitiva statunitense (cfr. Victorri 2004), buo-
Neisser U. (1976) (1993) Conoscenza e realtà (tr. M. Bagassi), Bologna, Il Mulino. na parte della riflessione strutturale in materia di linguaggio. Lo strutturalismo
Spinicci P. (2000) Sensazione, percezione, concetto, Bologna, Il Mulino. è stato archiviato tra i modelli del linguaggio che sostengono affermazioni bla-
Violi P. (1997) Significato ed esperienza, Milano, Bompiani. sfeme alle orecchie delle scienze e delle linguistiche cognitive: l’autonomia del
linguaggio quale sistema specifico, i processi di creazione lessicale come colle-
zione d’elementi pertinenti su due domini, quello del senso e quello del suono,
che costituirebbero un continuum amorfo ed indifferenziato.
Tra i molti esempi, risuona ormai paradigmatica la proposta di studio dello
spettro dei colori e delle differenze lessicali prodotte all’interno di paradig-
mi di lingue diverse. Leggendo alcuni passi dell’opera più conosciuta del ce-
lebre linguista danese, in modo però esclusivo ed isolato (Hjelmslev 1968,
Zinna 1997), si è considerato il pensiero hjelmsleviano come in consonan-
za con una versione radicale del determinismo linguistico. Secondo questa
teoria, il trattamento lessicale si arresterebbe ad una descrizione dei diffe-
renti “tagli” imposti dalla lingua al mondo circostante, senza riguardo alcu-
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no per le altre forme di strutturazione dell’esperienza. È lo stesso Hjelmslev Tradizionalmente si considera la proposta hjelmsleviana come una vetta del-
(1968) ad esporre questa posizione teorica: l’idea d’arbitrarietà linguistica. Questa si rivelerebbe incapace di pensare le
relazioni tra l’attività linguistica e il complesso d’operazioni cognitive che ne
si può dire che un paradigma in una lingua, e un paradigma corrispondente in sostengono la costruzione in forme enunciative. Un esame del laboratorio del
un’altra coprano una medesima zona di materia che, astratta da tali lingue, è un linguista, però, mette in guardia da questo genere di conclusioni: la confu-
continuo amorfo inanalizzato entro cui l’azione formatrice delle lingue pone del- sione teorica attorno al nodo dell’arbitrarietà, come dice Victorri, ha pro-
le suddivisioni. Dietro ai paradigmi offerti nelle varie lingue dalle designazioni dei dotto modelli di rappresentazione del significato lessicale che non riescono a
colori possiamo, sottraendo le differenze, scoprire tale continuo amorfo, lo spet- dare conto di molte delle sue proprietà generali1. Ciò non toglie che su alcu-
tro solare, a cui ogni lingua pone arbitrariamente le sue suddivisioni. Se le forma- ni regimi costitutivi del linguaggio vi sia una convergenza profonda che giu-
zioni in questa zona della materia sono per lo più approssimativamente le stesse stifica uno sguardo volto ad una collocazione della linguistica hjelmsleviana
nelle lingue europee più diffuse, non occorre andare molto lontano per trovare nei dibattiti attuali in linguistica. È questo il mio obiettivo. Secondo David
formazioni che ad esse non corrispondono (ib., p. 57). Piotrovski (1994), sono almeno tre gli ordini di strutturazione delle lingue
naturali che trovano la loro collocazione in quanto “fondamenti” della teoria
Emerge il legittimo sospetto che ci si riferisca ad un duplice ordine di cose: da una nei due indirizzi di ricerca che noi menzioniamo: a) la proprietà d’integra-
parte la natura arbitraria del rapporto tra il mondo extralinguistico e le lingue; dal- zione, ossia la natura olistica delle costruzioni linguistiche; b) la dualità del
l’altra l’indipendenza dell’ordine linguistico dagli altri sistemi di categorizzazione segno linguistico, in cui le due facce dell’espressione e del contenuto si co-
del mondo. Si tratta di postulati della linguistica erronei che non hanno neanche determinano in una unità sintetica; c) il differenziale di accettabilità, ossia il
bisogno di essere confutati nel dettaglio. La “zona di materia”, infatti, benché ri- fatto che esiste un impossibile in lingua (Piotrovski 1994, p. 175). Questi fon-
coperta da paradigmi differenti nelle differenti lingue, possiede una struttura in- damenti teorici suscitano numerosi problemi; nello slittamento da una teoria
dipendente dalle lingue. L’organizzazione dello spettro dei colori è costruita dal si- all’altra si assiste a tematizzazioni non prive d’ambiguità. Tra i due regimi in-
stema percettivo umano, che gli conferisce una struttura topologica autonoma, e dividuati dal ricercatore parigino, io mi occuperò del regime di dualità del
un insieme di proprietà di salienza specifiche in cui le lingue sembrano poter in- segno in Hjelmslev, e – è bene sottolinearlo – così come può essere riconsi-
tervenire solo posteriormente. Queste proprietà costituiscono dei vincoli cognitivi derato e ripreso a partire dalle sue suggestioni, senza arrestarsi ai limiti in cui
per le lingue: nessuna, ad esempio, potrebbe possedere un termine che, acchiap- il linguista danese collocò il proprio lavoro.
pando contemporaneamente il rosso ed il giallo, non descriva anche l’arancione. Mi propongo di mettere in risalto, come la nozione hjelmsleviana di “funzione
Come ha fatto osservare Bernard Victorri (2005), se lo spettro dei colori è do- semiotica”, colta attraverso la sua evoluzione in alcuni scritti del linguista, mostri
tato di una struttura relativamente ricca, extralinguistica e che s’impone al lin- non solo una rilevanza teorica nelle koiné semiotiche, ma anche può confrontar-
guaggio, ciò nondimeno l’abbandono d’ogni prospettiva circa la definizione dei si con le grammatiche cognitive e con il concetto di symbolization di Langacker.
sostrati fonici e semantici come dei continua indifferenziati, non deve condurre
ad altre omissioni, su cui linguisti come Saussure e soprattutto Hjelmslev han-
no lavorato. Ci riferiamo alla relazione tra lo statuto discreto delle unità lingui- 2. La funzione semiotica: una teoria delle operazioni langagières
stiche e la natura continua dell’esperienza. La nostra ipotesi, concorde con Vic- La struttura della funzione semiotica si propone di individuare il cuore del-
torri (2005), è che il rapporto tra il “continuum” e le unità di cui sono compo- l’attività simbolica nella prassi verbale e nei suoi modi d’organizzazione. Di-
ste le lingue storiconaturali deve procedere lungo un doppio binario: ciamo questo perché è lo stesso Hjelmslev ad individuare i criteri d’organiz-

l’arbitraire des frontières délimitant les régions occupées par les unités discrètes
n’est pas absolu: il est contraint par la structure du continuum de sens dans le quel 1
La più importante delle quali è la polisemia, motore delle lingue storiconaturali. Cfr. Victor-
sont traces ces frontières (Victorri 2005, p. 82). ri, B; Fuchs, C., 1996.

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zazione funzionale della cognitività semiotica, e quelli di natura prassiologica e Hjelmslev parla di un ordine morfogenetico nuovo, inedito prima dell’emer-
che sembrano agire come i “paletti” del milieu dove i parlanti agiscono. genza linguistica, in cui i rapporti tra i due insiemi sono descritti dalla fun-
Dietro l’apparenza di una “assiomatica” deduttiva si nasconde una teoria del- zione medesima. Questa a sua volta definisce la relazione, variabile ma rego-
le operazioni di costituzione delle forme linguistiche, ossia una teoria della tra- lata, tra argomenti e valori, di cui occorre capire la natura. Il limite di Hjelm-
ma cognitiva che rende possibile il riempimento semantico di un supporto slev, sta nella mancanza di coraggio nel cercare di comprendere appieno que-
sensibile. La natura costitutiva delle operazioni mette in risalto l’interesse sto punto su cui spesso tace.
hjelmsleviano, spesso occultato, per le problematiche fenomenologiche in teo- Le nozioni di Contenuto ed Espressione sono considerate da Hjelmslev stru-
ria della percezione; e il richiamo alla nozione husserliana di costituzione qua- menti metateorici dal valore puramente operativo: non bisognerebbe andare
le pratica di messa in scena del senso, si rivela pertinente2. alla ricerca dei piani di consistenza di questi due piani di descrizione dell’or-
La metodologia hjelmsleviana è la “scomposizione analitica” di una totalità or- ganismo semiotico. In realtà, la necessità d’introdurre la funzione semiotica
ganizzata, di cui però occorre inventariare componenti e dinamiche invarian- vuol dire che per Hjelmslev resta problematica la modellizzazione dell’emer-
ti. È in questa strategia che muoviamo seguendo il nostro autore per reperire genza di queste unità sintetiche che sono i segni linguistici, dotati di un’in-
le proprietà essenziali della funzione segnica. Scrive Hjelmslev (1968) terna duplicità, cioè di un côté sensibile e di uno intelligibile. Questo rompi-
capo hjelmsleviano, ossia la contemporaneità/simultaneità della coppia
C’è dunque anche solidarietà fra la funzione segnica e i suoi due funtivi, espres- ‘espressione/contenuto’ fa problema nella riflessione teorica sul linguaggio d’i-
sione e contenuto. Non si avrà mai una funzione segnica senza la presenza simul- nizio secolo, e le grammatiche cognitive continuano ad insistervi.
tanea di entrambi questi funtivi; e un’espressione e il suo contenuto, o un conte- Se si vuol dar credito all’accezione logico-matematica del concetto di funzio-
nuto e la sua espressione, non si presenteranno mai insieme senza che ci sia fra lo- ne, così come Hjelmlsev sembra voler fare intendere, bisogna comprendere la
ro anche la funzione segnica (ib., p. 53, corsivi miei). natura dei funtivi Espressione/Contenuto. Un’interpretazione semiotica ha
identificato la prima con l’insieme dei tratti fonologici, e il secondo con la no-
Il passo è noto, ma le interpretazioni date in linguistica non riescono a mettere zione di tratto semantico minimo.
in risalto l’interessante strutturazione funzionale dell’attività linguistica. Pur Quando affermiamo che dietro un’assiomatica della simultaneità si nasconde
presentando la funzione semiotica come una solidarietà, ossia, nei suoi termini, una teoria del riempimento semantico come funzione principale dell’attività se-
come una funzione fra due costanti o invarianti, Hjelmslev non si limita a pre- miotica, intendiamo riconoscere che quanto Hjelmslev sostiene nella citazione
sentare la simultaneità delle due coordinate della forma linguistica. Egli aggiun- riportata sopra è più complesso, orientabile in senso cognitivo. La funzione se-
ge che la funzione semiotica funge da istanza di mediazione di due domini ete- miotica è il punto di mediazione di due domini della cognitività umana che
rogenei su cui il linguaggio si innesta. Fin qui sembra di essere ancora in una esistono solo linguisticamente – e dunque privi di una qualunque forma d’au-
posizione determinista: ci sarebbero un piano del senso amorfo, ed un piano tonomia ontologica – ma che funzionano in modo relativamente indipendente,
non meno indeterminato del suono. Il segno si limita a segmentare in elemen- e le cui funzionalità possiedono dei propri spazi peculiari d’organizzazione.
ti discreti i flussi indeterminabili. Il punto è che Hjelmslev dice una cosa la cui L’espressione ed il contenuto costituiscono due spazi dell’agire semiolinguisti-
sfumatura è sottile ma non irrilevante; quando sostiene la possibilità di model- co e, nella metodologia glossematica, fungono da operatori di descrizione di
lizzare la relazione semiosica come una funzione tra due co-varianti, del tipo un punto peculiare di transizione da forme di cognizione prelinguistiche a
forme linguistiche. È in questo ordine di cose che va concepita la nozione
S‡ E: (f )C, (Brandt 2001) hjelmsleviana di figura: essa implica un livello che descrive i potenziali d’inte-
grazione dei pezzi di linguaggio o, in altri termini, il loro potenziale di com-
binabilità. Il segno è una totalità organizzata i cui piani dell’espressione e del
contenuto costituiscono gli spazi d’acquisizione graduale di valori possibili (fo-
2
Su glossematica e fenomenologia, Parret, 1995; Zinna, 1997. nosemantici, sintattici, narrativi, etc.). Con valore intendiamo un potenziale
190 191
di combinabilità, senza dimenticare che è l’emergenza della totalità semiolin- a priori, che la materia che è formata appartenesse a ciò che è comune a tutte le
guistica ciò che noi visualizziamo nel commercio linguistico. Dunque, se il lingue, e quindi alla somiglianza fra le lingue; ma si tratterebbe di un’illusione. La
concetto di segno è un concetto riduttivo e sbagliato, giacché presuppone del- materia è formata in maniera specifica in ogni singola lingua, e quindi non si ha
le entità minime stabili, occorre pensare il linguaggio, in ogni sua compo- una formazione universale ma solo un universale principio di formazione. In se
nente, come un sistema di integrazioni espressive e di contenuto, che agisco- stessa la materia è non formata, non soggetta a formazione, ma solo suscettibile di
no sulla base di un potenziale di attrazione tra elementi dei due spazi che si ri- formazione, di qualunque formazione; e se qui si trovano delle delimitazioni, es-
uniscono in quanto l’uno funzione dell’altro. Scrive Hjelmslev (1968): se appartengono alla formazione e non alla materia (Hjelmslev 1968, p. 82).

sia l’oggetto esaminato che le sue parti esistono solo in virtù di queste dipenden- È possibile, pertanto, ricostruendo la fonction sémiotique di cui si è parlato sin
ze; il complesso dell’oggetto esaminato si può definire solo grazie alla loro totali- ora, concepirla come un’operazione di costruzione di senso su tre livelli:
tà; e ognuna delle sue parti si può definire solo grazie alle dipendenze che la col-
legano ad altre parti coordinate, al tutto, alle parti di grado immediatamente in- i) il primo livello è quello che Piotrovski (1996) ha chiamato la primauté onto-
feriore, e grazie alla somma delle dipendenze che queste parti di ordine immedia- logique du signe. L’universo linguistico costituisce una forma emergente nel pa-
tamente inferiore contraggono fra di loro. Una volta che si sia riconosciuto que- norama delle forme della cognizione umana: quest’emergenza, autofondante3,
sto, gli “oggetti” del realismo ingenuo non sono, dal nostro punto di vista, che in- costringe a mettere in moto le considerazioni circa le relazioni che essa intrat-
tersezioni di fasci di tali dipendenze” (ib., p. 26). tiene con il mondo da una parte e con le altre forme cognitive dall’altra. Que-
sto ordine “primo” e “inedito” si fonda su un regime fenomenale di differenze
Le figure dell’espressione e le figure del contenuto coprono il ruolo di punti di distintive, ossia di processi che rendono distinguibili e delimitabili i segni, senza
stabilizzazione linguistica che consentono la formazione intersoggettiva dei fe- circoscriverne a priori l’estensione. “Se analizzando il testo trascurassimo di
nomeni di linguisticizzazione. Essi costituiscono un insieme d’operatori di mar- prendere in considerazione la funzione segnica ci troveremmo nell’impossibili-
ca che mettono in condizione le lingue di realizzare ciò a cui sembrano votate, tà di delimitare i segni uno rispetto all’altro” (Hjelmslev 1968, p. 54);
ossia un’instancabilità, che fa sì che siano capaci di dar forma a nuovi sensi. ii) degli altri due livelli, il primo è quello costituito dalle figure dell’espressione. Di
Figure dell’espressione e del contenuto diventano condizioni di differenziazio- cosa stiamo trattando? Sono definibili sotto due angolature, plausibili all’inter-
ne morfologica, perno della attività simbolica. Un altro passo del linguista evi- no del pensiero hjelmsleviano. In una prima accezione, le figure dell’espressio-
denzia che, benché forse non pienamente nelle intenzioni dell’autore, i pro- ne sono le operazioni d’integrazione che, a livello della sfera sensibile, legano tut-
blemi del danese sono non lontani dai contemporanei. L’individuazione della ti i livelli del linguaggio: intonazioni, accentazioni, sillabazioni, disposizioni fra-
funzione semiotica trova una sorta di giustificazione in quanto “invariante in- sali, modalizzazioni enunciative etc. In una seconda accezione, forse più inte-
terlingua”, per utilizzare un’espressione del linguista Gilbert Lazard (2007): in ressante dal punto di vista cognitivo, le figure costituiscono una sorta di “aper-
altre parole, tale struttura si mostra come uno dei meccanismi che, garanten- tura” del senso verso l’esterno, ossia l’insieme dei processi di messa in scena, con-
do la diversità linguistica nella sua pienezza fenomenologica, non abbandona cepiti come un “gesto” cognitivo, un insieme di azioni foniche che aprono alle
il progetto di comprendere i meccanismi in grado di comprendere l’operati- azioni del senso e su cui queste lavorano costantemente. Esse costituiscono, in
vità cognitiva di ciò che chiameremmo attività di linguaggio. un certo senso, l’insieme delle categorizzazioni differenziali della materia sonora
che diventa sostanza fonica, vale a dire categoria che veicola distintività.
sia la somiglianza che la differenza fra le lingue si trovano dunque nel linguaggio, iii) Le figure del contenuto sembrano le più problematiche. Anche qui l’ango-
e nelle lingue stesse, nella loro strutturazione interna, e non ci sono somiglianze e
differenze di lingue che dipendano da fattori esterni al linguaggio. Sia la somi-
glianza che la differenza fra le lingue dipendono da ciò che, con Saussure, abbia- 3
Una modellizzazione dell’arbitrarietà radicale saussuriana nei termini di un’autorganizzazione
mo chiamato la forma, non la sostanza che è formata. Si potrebbe forse supporre, dinamica, in Lo Piparo, 1991.

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latura è duplice. Da una parte, esse richiamano le operazioni d’integrazione e et va vers le lointain. Le proche est la zone environnante de tout ce qui déclenche
d’amalgama che le dipendenze rivelano nella trama linguistica, per ciò che ri- le mimétisme corporel; le lointain recouvre comme catégorie tout ce qui reste au-
guarda lo spazio delle azioni semantiche. Si muove da uno strato micro-se- dehors de cette zone. Le proche – expression – indique et vise le lointain – con-
mantico rappresentato dal senso grammaticale, passando per la schematizza- tenu – un “lointain” qui disparaît à l’horizon pour réapparaître (ib., p. 14).
zione cognitivo/referenziale che viene integrata dai lessemi, fino alle più com-
plesse forme del macro-semantico, come la modalità e l’aspetto, che emergo- La ricostruzione della funzione semiotica che propongo si lega al programma
no quali proprietà specifiche del senso nei tessuti enunciativi etc. (Questa ipo- noto come semiotica cognitiva e dinamica (programma di ricerca che si svi-
tesi in Brandt 2001). L’altra angolatura, suggerita da Per Aage Brandt (1993), luppa in Danimarca, al seguito di teorici di semantica catastrofista come
lega lo spazio del contenuto allo spazio non conforme dell’espressione da cui Brandt e la sua scuola.). Questo pone l’esigenza di riconsiderare problemati-
è attratto grazie funzione semiotica propriamente detta. Il contenuto è il cor- camente un pensiero archiviato dalla teoria contemporanea; a partire da ciò,
relato “mentale” del gesto fono-sintattico: la molteplicità delle categorizzazio- rimane la necessità di modellizzare quanto fin qui sostenuto. La struttura del-
ni in atto nel dominio del concettuale trova nel piano del contenuto una for- la simbolizzazione non presuppone una mutua corrispondenza, ma un dina-
ma d’articolazione. Le figure del contenuto sono le forme precarie in cui il mismo orientato che concepisce lo spazio del suono come lo spazio di control-
senso si addensa e di cui si serve per rimaneggiarsi di continuo. lo delle azioni semantiche, le quali, a loro volta, retroagiscono in modo im-
prevedibile sulle strutture e sull’estensione dello spazio fonico umano.
Come scrive Brandt (Brandt, 1993): Piotrovski ha fornito un’utile illustrazione grafica del modello del segno saus-
suriano e hjelmsleviano, così come noi lo abbiamo ricostruito.
les morphogénès – émergence et stabilisation d’une forme dans une substance – se
réalisent dans des conditions différentes dans les deux plans (…): une expression
perçue est une donnée qui appelle potentiellement une réponse mimétique chez le
récepteur, c’est-à-dire un écho moteur – gestuel, sonore, phonatoire – qui est une
esquisse de répétition, et par là même, un geste fixateur affectant la catégorisation
formelle. La réception se trouve pour ainsi dire contrôlée ou même déterminée
par cette mimésis corporelle. Dans le plan du contenu, il ne peut en être de mê-
me: soit il s’agit d’une idéation pure, et cette forme conceptuelle ne déclenche au-
cune réponse mimétique; si nous nous mettons à imiter nos propres pensées par
une auto-réception mimétique et corporelle, motrice, il s’agit déjà par définition
d’une expression, d’une “extériorisation” qui la traduit; mais le signifiant est déjà
là, dans le plan de l’expression; soit il s’agit d’une pensée oriente vers un référent
extérieur, et s’exprimant par un geste déictique; dans ce cas, le contenu de la pen-
sée, l’objet réfèrentiel, apparaît au bout du geste déictique – s’offrant donc à une
reconnaissance sans mimétisme, forme stabilisée uniquement par l’intervention Fonte: David Piotrovski, 2005.
filatrice de la mémoire du sujet. La fonction sémiotique s’expliquerait ainsi par
une superposition de deux processus de reconnaissance, dont l’un seulement acti-
ve le mimétisme, alors que l’autre active la mémoire. Le contenu est saisi sans mi- Il modello di Piotrovski rende esplicito quanto stiamo sostenendo: dietro il li-
métisme (il est intelligibilis), alors que la saisie de l’expression y fait appel (elle est vello delle “identità distintive”, ossia le forme del commercio linguistico, che
sensibilis). La fonction sémiotique est alors à comprendre par extension de la pro- si costruiscono in un’ininterrotta interazione tra i livelli paradigmatici e sin-
jection intentionnelle, orientation “centrifuge” de l’attention qui part du proche tagmatici, si assiste ad una molteplicità di processi cognitivi di categorizzazio-
194 195
ne multipla che, nella forma linguistica, trovano uno strumento di diffusione Piotrovski D. (1996) Dynamiques et structures en langue, Paris, éditions du CNRS.
e connessione intersoggettiva molto potente e su cui costruire e intessere le re- Victorri B., Fuchs C. (1996) La polysémie. Construction dynamique du sens, Paris, l’-
lazioni simboliche, sociali, umane etc. Hermes.
In questa prospettiva resta ancora molto da fare, ma si può concludere che ri- Victorri B. (2004) Les grammaires cognitives, in Fuchs C. (ed.) “La linguistique co-
considerare la nozione di simbolizzazione da questo punto di vista non solo mo- gnitive”, pp. 73-98), Paris, Editions de la Maison des sciences de l’homme Ophrys.
stra l’attualità dei modelli strutturali, ma anche il loro valore per comprendere Victorri B. (2005) Continu et discret en sémantique lexicale, Cahiers de Praxémati-
la peculiarità del linguaggio e la sua funzione di forma cognitiva, in cui s’inseri- que, 42, pp. 75-94.
sce un regime di molteplicità tra espressione e contenuto che nel concetto Zinna A. (ed.) (1997) Hjelmslev aujourd’hui, Turnhout, Brepols.
hjelmsleviano di non-conformità dei piani ha trovato una prima formulazione.

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196 197
Marco Cruciani no abbastanza potenti, sarà mostrato come dizionario, contesto d’uso e cono-
Università degli studi di Trento scenza di dominio, a volte, non sono sufficienti a determinare il significato
Dottorato di ricerca in Scienze della Cognizione e della Formazione di una clausola ambigua. In Caso di studio: una clausola ambigua, sarà pre-
dell’Università di Trento sentato un caso di controversia linguistica sorta da un contratto d’impiego
stipulato fra una compagnia di assicurazione e un neolaureato. In Interesse e
decisione, sarà precisata e motivata l’ipotesi di ricerca. In Interesse, preferenza
e scelta, sarà descritto il processo individuale di scelta del significato utiliz-
zando alcune nozioni base della teoria delle decisioni. In Come gli interessi so-
no socialmente connessi al significato, sarà delineato il processo di negoziazio-
Interessi e significato ne e la determinazione del significato dal punto di vista interazionale, sulla
base degli interessi degli agenti. Le descrizione dell’interazione seguirà le
principali intuizioni di Actor network theory. Lo sviluppo ulteriore della ri-
Il problema. In differenti situazioni di vita, sia comuni sia istituzionali, succe- cerca prenderà in considerazione la dimensione strategica dell’interazione, la
de che le persone negoziano il significato di termini ed enunciati. Questa ne- quale verrà delineata durante la presentazione.
goziazione avviene sia in situazioni dove è necessario dirimere una controver- Introduciamo una definizione di lavoro di “processo di negoziazione del si-
sia sia dove apparentemente non è presente una forte motivazione. Ma se il si- gnificato”. È il processo di interazione fra due o più agenti per stabilire il si-
gnificato fosse convenzionale, non basterebbe rifarsi alle convenzioni? gnificato di un termine o di un enunciato, quando le interpretazioni degli
Dominio di ricerca. La ricerca investiga i processi di negoziazione del si- agenti sono discordanti o conflittuali. Le principali caratteristiche del proces-
gnificato. In particolare i processi di negoziazione prodotti da agenti che ini- so sono: – le interpretazioni sostenute devono essere ritenute, dagli agenti
zialmente sono collaborativi (contratto) e poi diventano conflittuali (con- stessi, importanti per qualche attività, ovvero devono essere rappresentative
troversia). Il piano interdisciplinare della ricerca è costituito da: sociologia degli interessi degli agenti coinvolti; – le attività devono essere mutue, vale a
della conoscenza, filosofia del linguaggio e della conoscenza, logica, teoria dire devono coinvolgere gli agenti negoziali una volta stabilito un accordo se-
delle decisioni. Il caso di studio concerne contratti d’impiego, specificata- mantico. Nel processo di negoziazione il punto di equilibrio è raggiunto ce-
mente le clausole ambigue. dendo o acquisendo risorse alla o dalla controparte. Il processo di negoziazio-
Il tipo d’approccio. Il problema del significato, vale a dire il problema di deter- ne è sostanzialmente un processo sociale1.
minare il ‘corretto’ significato di un termine o di un enunciato, è un key topic
nello studio del linguaggio e dei processi linguistici. Il tipo d’approccio che
crediamo plausibile al problema del significato, nei processi di negoziazione, 1. Gli strumenti ordinari non sono abbastanza potenti
si basa sull’idea che per determinare qual è il significato di un enunciato si de- In questo paragrafo discuteremo di come in alcuni casi dizionario, contesto
ve ricorrere ad una decisione. Dal nostro punto di vista la decisione è fonda- d’uso di un enunciato e knowledge domain non sono abbastanza potenti per
ta su ciò che gli agenti credono essere i loro interessi nella situazione. determinare il significato di enunciato ambiguo in un contratto.
Ipotesi di ricerca. La ricerca è basata sull’ipotesi che gli interessi situazionali de-
gli agenti guidino il processo di negoziazione del significato di clausole ambi-
gue. Ovvero dato che gli strumenti ordinari di determinazione del significato 1
Questa definizione di lavoro di processo di negoziazione del significato è compatibile con la
in generale non sono sufficienti a caratterizzare una singola interpretazione, definizione di semantic negotiation proposta da Bouquet e Warglien: “semantic negotiation, na-
nei casi in cui l’interpretazione esatta sia rilevante le parti ricorrono a una de- mely the problem of reaching an agreement on the meaning of an expression when (i) an agree-
ment is valuable for all agents, but (ii) agents have conflicting preferences over which solution
cisione motivata da interessi situazionali. should be selected, so that every agreement implies that at least someone has to concede to so-
La relazione è strutturata nei seguenti punti. In Gli strumenti ordinari non so- me extent to other agent” (Bouquet e Warglien 2002, p. 2).

198 199
Consideriamo l’espressione (2) “cessazione dell’assenza”, la quale in italiano Un ulteriore livello d’interpretazione è possibile in quanto il linguaggio dei
può avere differenti interpretazioni che emergono dalla composizione delle contratti è regolato da specifiche regole e specifica conoscenza che determina
interpretazioni dei singoli termini2. Troviamo le interpretazioni dei singoli ter- quali interpretazioni siano accettabili in un contratto. Questa conoscenza ap-
mini nel dizionario. Il dizionario fornisce conoscenza lessicale e alcuni assio- partiene alla conoscenza di dominio e al background knowledge degli agenti. In
mi che regolano il significato di termini ed enunciati3. Nel dizionario De- sostanza dobbiamo aggiungere al linguaggio naturale alcuni assiomi specifici.
mauro per la parola “cessazione” sono riportate due interpretazioni: Questi assiomi possono riguardare differenti livelli di codifica del mondo dei
a) il porre fine, l’aver termine; contratti: il Codice Civile, il Diritto del Lavoro, linee di tendenza dei princi-
b) interruzione, sospensione. pali Tribunali (per esempio, Milano per argomenti finanziari), ecc.
Per esempio riportiamo i principali criteri di de-ambiguazione di clausole am-
Per la parola “assenza” sono riportate quattro interpretazioni: bigue nei contratti presenti nel Codice Civile e nelle pratiche dei tribunali:
c) l’essere assente, lontano: assenza dal lavoro; 1) significato letterale (art. 12 Preleggi Codice Civile);
d) mancanza: assenza d’aria, di luce, di gravità; 2) interpretazione complessiva delle clausole (art. 1363 Codice Civile)5;
c) situazione d’incertezza sull’esistenza in vita di una persona scomparsa da al- 3) esegesi della comune intenzione delle parti (art. 1362 Codice Civile);
meno due anni, sancita mediante sentenza del giudice: dichiarazione d’assenza 4) sentenze precedenti (prassi);
f ) perdita momentanea della coscienza, spec. dovuta ad epilessia, ad isterismo, a 5) esegesi dottrinale (Dottrina-Università).
forme d’intossicazione o ad eccessiva stanchezza. Anche se questo tipo di conoscenza di dominio fornisce un ulteriore livello di
In Italiano possiamo comporre espressioni complesse usando le interpretazio- codifica per le clausole ambigue nei contratti, può succedere che il significato
ni di “cessazione” e “assenza”, per esempio: (3) “la perdita momentanea di co- di una clausola rimanga indeterminato, come nel nostro caso. Si noti che, se
scienza sta avendo fine”, oppure (4) “interruzione della situazione d’incertez- gli strumenti per l’interpretazione di una clausola lasciano aperto uno spazio
za sull’esistenza in vita di una persona”, relativamente al caso (5) “interruzio- semantico, allora un agente può sostenere il significato connesso ai propri in-
ne dell’assenza dal lavoro”. Tutte queste espressioni hanno senso in italiano, teressi legittimamente.
ma non tutte sono adeguate nel contesto dei contratti d’impiego. In sintesi, gli agenti in una controversia linguistica rispetto ad una clausola in
Il contesto esclude alcune interpretazioni. Per esempio, (3) potrebbe essere un contratto per determinare il significato utilizzano: dizionario, contesto
adeguata in ospedale, ma non in tribunale. (4) potrebbe essere adeguata nella d’uso di un’espressione, conoscenza di dominio (nella quale in questo caso è
perizia di un Tribunale penale, ma non in un contratto d’impiego. D’altro compreso anche un criterio linguistico). Nel nostro caso gli agenti (o i loro av-
canto, l’interpretazione (5) potrebbe essere adeguata nel contesto di un con- vocati) non sono stati in grado di determinare il significato plausibile della
tratto d’impiego, ma nel nostro caso non risolve l’ambiguità della clausola4. clausola, per cui il caso è attualmente pendente in tribunale.

2
In accordo con il principio di composizionalità (Cfr. Marconi 1999, pp. 21-26, anche Bianchi
2003).
3
Si noti che una chiara distinzione fra enciclopedia e dizionario non c’è (Eco 1997, Marconi
1997). Intuitivamente consideriamo che un dizionario contiene solo “succinte proprietà di ter-
mini”, e d’altro canto un’enciclopedia “descrizioni complesse” (Eco 1997, p. 197). Si pensi ad
un dizionario illustrato: lavora come un’enciclopedia, ovvero mostra gli oggetti di cui parla e matico. Il contesto semantico determina alcune “variabili, in particolare fissa l’identità del par-
non solo i concetti, d’altro canto un’enciclopedia, ad esempio la “Garzantina” di filosofia: ri- lante e interlocutori, il tempo il luogo del proferimento e così via”. Il contesto pragmatico “cor-
porta sia gli oggetti (es. autori) sia la definizione di alcuni termini generali (es. “empirismo”), risponde alla rete di intenzioni, attività degli interlocutori, e contribuisce alla determinazione
quindi lavora anche come un dizionario. Incidentalmente si noti che fra dizionario ed enciclo- dello loro intenzioni comunicative” (Bianchi 2003, p. 24).
5
pedia, ed enciclopedia e knowledge domain esiste una contiguità non facilmente demarcabile. Art. 1363 c.c. “Interpretazione complessiva delle clausole. Le clausole del contratto si interpretano
4
Ci sono almeno due nozioni di contesto in filosofia analitica del linguaggio: semantico e prag- le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto”.

200 201
Cono della semantica (1) gnificato riesce a ‘dare il significato’ di un enunciato, perché non arriva a ren-
enunciati corretti dere tutto il contenuto della competenza di un parlante: i postulati di si-
via grammatica gnificato restringono sì le possibili interpretazioni ammissibili ma non riesco-
no a ridurle a una sola (…). Dunque la semantica modellistica non risponde
per davvero alla domanda “Che cosa significa l’enunciato S”, nemmeno se la
possibili interpretazioni si prende insieme a una collezione di postulati. In questo senso, essa non è una
via semantica formale teoria del significato per il linguaggio naturale” (ibid.).

possibili interpretazioni
linguisticamente supportate 2. Caso di studio: una clausola ambigua
via dizionario Il caso di studio concerne contratti d’impiego, specificatamente le clausole
ambigue ivi contenute. Qui riportiamo il caso di una controversia dove sono
plausibili interpretazioni coinvolti un neolaureato e una compagnia d’assicurazioni. La controversia na-
contestualmente ammissibili sce in relazione all’interpretazione di una clausola che contiene un’espressione
via enciclopedia e/o ambigua. La clausola in oggetto è come segue:
conoscenza di dominio
In particolare resta inteso che il rapporto di lavoro con lei instaurato si risolverà
alla cessazione dell’assenza della signora Maria Rossi e comunque non oltre il 23 di-
alcune interpretazioni legittime cembre 2005.

In figura è rappresenta la riduzione delle interpretazioni Questa clausola ha regolato il tempo d’impiego del neolaureato presso la com-
via strumenti ordinari6. pagnia rispetto al periodo di maternità di Maria Rossi. Durante il periodo di
sostituzione M.R. si dimette e il direttore del personale chiede al neolaureato
Si noti che il cono della semantica inizia con il livello delle interpretazioni for- la risoluzione del contratto in quanto l’assenza di M.R. è cessata. Il neolau-
malmente possibili via semantica formale7. In accordo con Diego Marconi: reato sostiene che il significato della clausola si riferisce al rientro anticipato di
“(…) una semantica modellistica senza postulati di significato non ‘dà il si- M.R. dal periodo di maternità e non riguarda invece la sua assenza dovuta a
gnificato’ di un enunciato, perchè i valori semantici delle costanti descrittive dimissioni. Il neolaureato argomenta che ci si deve riferire al termine 23 di-
sono lasciati indeterminati (salvo che per il tipo logico)” (Marconi 1999, p. cembre e non invece alla condizione espressa da “cessazione dell’assenza” che
128). I postulati di significato (‘carnapiani’) corrispondono a stipulazioni lin- secondo il neolaureato non si è verificata8.
guistiche, ad esempio: “gli scapoli non sono sposati” (i postulati di significato
risiedono sia nel dizionario sia nell’enciclopedia). Marconi continua: “ma ab-
8
biamo visto che nemmeno una semantica modellistica con postulati di si- La clausola riportata come esempio mostra un’ambiguità semantica. Nella ricerca vengono con-
siderate anche clausole in cui l’ambiguità risiede sul piano sintattico, per esempio la clausola se-
guente: “L’Azienda riconoscerà al personale dimissionario nel periodo di vigenza della CIGS (Cas-
sa Integrazione Guadagni Straordinaria) un importo forfetario una tantum determinato e corri-
6
Per completezza nella figura abbiamo aggiunto anche il livello grammaticale. Applicando le spondente al costo dell’istituto di cui agli artt. 25 e 19 rispettivamente della prima e terza parte
regole della grammatica italiana ai termini del vocabolario possiamo formare enunciati corret- del CCNL (Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro) di categoria 8.6.1999”. In questo caso l’am-
ti in italiano, in questo senso la grammatica fornisce la struttura nella quale dizionario, enci- biguità consiste nel fatto che non è determinato se l’Azienda riconoscerà nel periodo di vigenza
clopedia e knowledge domain possono lavorare. della CIGS, a tutto il personale eventualmente dimissionario, l’importo una tantum, oppure l’A-
7
Qui con semantica formale intendiamo la semantica modellistica di Tarski. zienda riconoscerà solo al personale in CIGS dimissionario l’importo una tantum. In sostanza,

202 203
Nonostante l’ausilio di strumenti come dizionario, enciclopedia, Codice Ci- ta dalla negoziazione delle parti, ma non è questo il caso dell’esempio. Gli inte-
vile, Leggi del Lavoro9, ecc., i due agenti non sono stati in grado di determi- ressi possono essere rappresentati con relazioni di preferenza, per cui il processo
nare il significato della clausola. Nel caso specifico gli avvocati dei rispettivi di scelta può essere descritto formalmente tramite la teoria delle decisioni, come
agenti non sono stati in grado di determinarla. Certamente possono mentire abbiamo fatto nel paragrafo seguente. In sintesi, il contributo della ricerca con-
per cercare di garantire in ogni caso gli interessi del loro cliente, ma è nondi- siste nel delineare le modalità di determinazione del significato di enunciati del
meno vero che il giudice userà gli stessi strumenti per cercare di determinare linguaggio naturale ponendo l’accento sulla loro formulazione, sulle possibili in-
il significato. Nella prospettiva di una teoria della conoscenza, avvocati e giu- terpretazioni, sugli interessi degli agenti e la loro scelta del significato. Nonché
dici condividono simili background knowledge e hanno capacità analoghe di sulla dimensione interazionale/sociale, come vedremo nel paragrafo successivo
usare gli strumenti necessari all’interpretazione. al prossimo il quale descrive il processo individuale di scelta.

3. Interesse e decisione 4. Interesse, preferenza e scelta


Com’è possibile discernere qual è il significato plausibile. O meglio come gli In questo paragrafo descriviamo il processo di scelta usando alcune nozioni
agenti determinano il significato in questa situazione? Non in tutti i casi è base della teoria delle decisioni, vale a dire relazione di preferenza, proprietà
possibile chiarire tutte le regole linguistiche ed extra-linguistiche pertinenti ad di completezza e una regola di scelta (cfr. Myerson 1991, Ove Hansson 1994,
un particolare contesto che ci permettono di individuare il significato plausi- Colombo 2003).
bile. Nella nostra prospettiva, in alcuni casi, per determinare il significato di Schematicamente: nella prima fase del processo di determinazione del significato
un enunciato gli agenti ricorrono ad una decisione. Specificatamente, un abbiamo un enunciato grammaticalmente corretto. Esso può avere alcune inter-
agente sceglie il significato che egli crede garantisca i suoi interessi in situa- pretazioni compatibili con la struttura dell’enunciato e non contraddittorie con
zione (economici, sociali, morali, ideologici, ecc.). la conoscenza contenuta nel dizionario (significati accettabili in italiano). Nella
La tesi principale della ricerca è che nei processi di negoziazione del significato seconda fase abbiamo un insieme più ristretto di significati selezionati dal con-
di enunciati ambigui esiste una relazione tra possibili modelli logici di un enun- teso d’uso (significati plausibili nel mondo dei contratti), che non sono con-
ciato e gli interessi (non semantici) degli agenti (o quello che gli agenti credono traddittori con la conoscenza di dominio (per es. Codice Civile). Nel nostro ca-
sia il loro interesse nella situazione)10. Considerando che un enunciato, che ha so, usando gli strumenti ordinari gli agenti non sono ancora riusciti a determi-
un’interpretazione sulla quale l’accordo è fondato, può essere interpretato in al- nare il significato della clausola, ed è a questo punto che si rende necessaria una
tri modi semanticamente validi, anche radicalmente differenti, pensiamo che la scelta del significato fra quelli plausibili. Prima di descrivere il processo di scelta
relazione tra formulazione linguistica del contratto e suoi possibili modelli logi- individuale del significato tracciamo le interpretazioni sostenute dai due agenti.
ci può dipendere da interessi extrasemantici delle parti coinvolte. Si noti che L’interpretazione A della clausola può essere espressa come segue: la lavoratrice
spesso anche la formulazione linguistica degli enunciati del contratto è prodot- durante il periodo di maternità appartiene all’organizzazione della compagnia.
Ma poiché de facto durante questo periodo si è dimessa dalla compagnia, non vi
appartiene più. Se lei attualmente non appartiene più alla compagnia, allora la
l’importo una tantum spetta solo al personale sottoposto a CIGS che si dimette, oppure a tutto il sua assenza non sarà assenza dalla compagnia (la condizione di assenza è corre-
personale che dimette in quel periodo? Nella seconda ipotesi con conseguente maggior esborso da
parte dell’azienda. In questo caso gli agenti sono un’azienda e un sindacato locale.
lata alla condizione di appartenenza, perciò se non c’è appartenenza non ci può
9
Le Leggi del Lavoro, a differenza del Codice Civile, sono una raccolta di leggi di cui il corpo essere assenza). Per cui la sua assenza è cessata, “(c) l’assenza dal lavoro (a) ha avu-
può variare in parte sulla base, ad esempio, delle scelte delle case editrici. to un termine” (interpretazioni c e b del dizionario Demauro). In breve, se il si-
10
Formalmente la definizione di modello è come segue: “sia v una valutazione e A una formu- gnificato della clausola è A, allora il contratto si risolve (vale a dire, ci si deve ri-
la ben formata fp. Se v(A) = V, si dice che v è modello di A e si scrive v|= A (se v(A) = F, cioè
v non e modello di A, si scrive v|/= A). Data una valutazione v e un insieme di fp X, se per ogni ferire alla condizione espressa in (2) “cessazione della assenza”).
A X, v(A) = V, si dice che v è modello di X, e si scrive v|= X” (Palladino 2002, p. 32). L’interpretazione B può essere espressa come segue: la lavoratrice durante il
204 205
periodo di maternità non può svolgere le proprie mansioni nella compagnia. prietà di completezza può essere espressa come segue: “The relation ≥ is com-
La compagnia assume un sostituto per assolverle, poiché l’assenza della lavo- plete if and only if for any elements A and B of its domain, either A≥B or
ratrice di fatto ne impedisce la realizzazione. L’accento è posto sulle mansioni B≥A” (Sven Ove Hansson 1994, p.18; cfr. Myerson 1991).
della lavoratrice e non sulla sua appartenenza all’organizzazione. Per cui se le In genere l’assunzione della completezza è problematica (cfr. Myerson 1991),
mansioni della lavoratrice devono essere ancora svolte nell’organizzazione del ma nel nostro caso, quando gli agenti scelgono un significato (che potremmo
lavoro, allora l’assenza della lavoratrice (delle sue funzioni) non è cessata. Per chiamare “preferito”) da un insieme di significati plausibili {A, B}, le opzioni
così dire rimane un vuoto operativo, una mancanza. Quindi non c’è stata “(b) di scelta sono sia esaustive del dominio sia ordinate (complete). Sono esausti-
la sospensione della (d) mancanza” delle mansioni da svolgere (interpretazio- ve in quanto gli strumenti ordinari hanno già ridotto le opzioni. Sono ordi-
ni b e d del dizionario Demauro). In breve, se il significato della clausola è B, nate in quanto sono relazionate secondo le preferenze degli agenti. Per cui
allora il contratto continua fino al termine 23 dicembre. sembra che la proprietà di completezza sia rispettata.
Gli interessi degli agenti possono essere riassunti come segue. Sappiamo che Nell’attuale situazione abbiamo due possibili corsi di azione in un insieme di
la compagnia punta ad una riduzione del personale, perché non versa in otti- opzioni chiuse e ordinate. Le opzioni sono esclusive, vale a dire non è possi-
me condizioni economiche, e invece assumiamo che la compagnia non abbia bile realizzarle entrambe. Abbiamo gli elementi essenziali per descrivere il pro-
interesse a portare il caso in tribunale. L’interesse situazionale della compagnia cesso di scelta. La regola di scelta è come segue: un’opzione è la migliore se e
(Ag1) può essere espresso come segue: “Ag1 vuole risparmiare denaro. Non ha solo se è meglio di tutte le altre. Se c’è un’unica migliore alternativa, allora sce-
bisogno di un lavoratore. Non vuole portare il caso in tribunale”. Nel caso del glila (cfr. Hansson 1994). Nel nostro caso Ag1 ha scelto A, ed Ag2 ha scelto
neolaureato (Ag2), che abbiamo intervistato, possiamo esprimere l’interesse B, entrambi in accordo con la regola di scelta. Gli agenti hanno scelto l’op-
come segue: “Ag2 vuole mantenere l’impiego. Vuole percepire il salario. Non zione che rispetta le loro preferenze (complete) e soddisfa i loro interessi si-
vuole portare il caso in tribunale”. Per rappresentare gli interessi nel processo tuazionali (rappresentati dalle relazioni di preferenza).
di scelta useremo il linguaggio delle preferenze. Il processo di scelta individuale non esaurisce il processo di determinazione
In teoria delle decisioni vengono comunemente usate tre nozioni comparati- del significato, la componente sociale risulta essenziale, come vedremo nel
ve per esprimere relazioni di preferenza: “meglio di” (“>”), “uguale in valore prossimo paragrafo.
a” (“_”) e “almeno buono come”
(“Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.”).
La relazione “>” rappresenta la preferenza forte. Nel nostro caso è sufficiente
per descrivere le preferenze degli agenti per i due significati. Le preferenze de-
gli agenti riguardo ai due significati possono essere espresse con il linguaggio
delle preferenze come segue:

Ag1: il significato A è meglio del significato B;


Ag1: il significato B è peggio del significato A;
Ag2: il significato B è meglio del significato A;
Ag2: il significato A è peggio del significato B.

Questo pattern mostra che Ag1 preferisce in senso stretto il significato A, d’al-
tro canto mostra che l’agente Ag2 preferisce in senso stretto il significato B.
Un’importante proprietà che deve essere soddisfatta, perché il processo di scel-
ta possa essere descritto correttamente, è la proprietà di completezza. La pro-
206 207
Cono della semantica (2) significato
enunciati corretti
via grammatica
interpretazione A interpretazione B

possibili interpretazioni interesse Ag1 negoziazione interesse Ag2


via semantica formale
La figura mostra il significato come un epifenomeno
possibili interpretazioni della negoziazione degli interessi.
linguisticamente supportate
via dizionario
Crediamo che per comprendere alcuni meccanismi che governano il processo
plausibili interpretazioni di negoziazione del significato sia utile osservare le sottostanti dinamiche so-
contestualmente ammissibili ciali. In questa direzione seguiremo le principali intuizioni di Actor network
via enciclopedia e/o theory (ANT). La nozione principale è quella di network.
conoscenza di dominio Cos’è un network? Con le parole di Michel Callon: un network è costituito di
intermediari ibridi: testi, oggetti tecnici, capacità, risorse finanziarie, ecc.
interpretazione (Callon 1991). Vale a dire, un network è costituito da relazioni di elementi di
preferita varia natura: umani e non umani. Nel nostro caso gli attori non umani sono
interesse il dizionario, il Codice Civile (per es. criteri di de-ambiguazione), Leggi del
Lavoro, repertori giurisprudenziali (precedenti sentenze), riferimenti (per es.
decisione linee guida dei principali tribunali), capacità di argomentazione, risorse finan-
ziarie, ecc. Gli attori umani sono i due agenti e/o i loro avvocati e il giudice.
interpretazione Nella prospettiva ANT il processo di produzione della conoscenza (anche scien-
tifica) è in parte visto come effetto del network composto di questi elementi
La figura mostra la riduzione delle interpretazioni. eterogenei. In particolare, il significato di un enunciato è plausibile se è con-
L’ultimo passo è la decisione. nesso a più elementi possibili nel network (Latour 1998).
Come sono connessi gli elementi? Un concetto chiave in ANT è l’arruolamento
(Latour 1998; 2005). Arruolamento significa che un attore usa alcuni ele-
5. Come gli interessi sono socialmente connessi al significato menti del network in suo favore, vale a dire lavorano per lui e diventano atto-
Riteniamo che l’accordo semantico su clausole ambigue di un contratto è pro- ri del network. Nonché, significa che un attore tenta di convincere altri attori
dotto nel processo di negoziazione degli interessi tra gli agenti. In questo sen- a condividere la sua posizione. Secondo Latour “l’appello ad alleati più forti e
so pensiamo al significato come ad un epifenomeno del sottostante processo numerosi viene spesso definito argomento d’autorità” (Latour 1998, p. 41).
di negoziazione degli interessi. In Tribunale importanti alleati sono il giudice, il Codice Civile, le sentenze
precedenti, opinioni legali di famosi avvocati, ma anche ideologie come il ‘po-
liticamente corretto’, ecc. La relazione di questi attori incrementa il grado di
irreversibilità del network, perciò non è più possibile tornare alla situazione
iniziale dove c’erano differenti traduzioni (translation) che stavano tutte sullo
208 209
stesso piano (Callon 1991)11. In ANT traduzione significa traduzione degli dice. Nel nostro caso, se il giudice accetta l’argomentazione, per contestare la
interessi di attori che si stanno alleando. plausibilità di una clausola di un contratto temporaneo l’agente Ag2 e il suo av-
Come lavora il network? Nel nostro caso, gli strumenti ordinari e la conoscenza vocato L2 dovrebbero “arrivare” (risalendo il network) a contestare il lavoro del
di dominio non sono stati efficaci. Gli agenti hanno scelto un significato e gli giudice del precedente, la prassi dei tribunali di seguire i precedenti, il lavoro
avvocati tentano di convincere il giudice. Essi possono argomentare in diffe- dei consulenti che hanno formulato il codice, le Università in cui questi ultimi
renti modi, per esempio l’avvocato L1 potrebbe mostrare una precedente sen- lavorano, e così via. Per smontare un network così esteso e con così forti alleati
tenza – prassi – di un caso differente e argomentare che sotto certi aspetti i due il costo, rispetto alla nostra situazione (contratto di impiego temporaneo), si
casi sono compatibili (per esempio un caso analogo, ma nel quale la lavoratri- potrebbe dire “infinito”. Ad ogni modo, se il giudice accetta l’argomentazione
ce sia morta e il giudice abbia risolto il contratto argomentando che era comu- di L1 anche lui viene arruolato e diventa un importante alleato di Ag1/A nel
ne intenzione delle parti – art. 1362 c.c. – vincolare il rapporto di lavoro alla network locale. Ora l’interpretazione A della clausola ha molti alleati: prece-
presenza fisica della lavoratrice). Oppure L1 potrebbe mostrare una bozza del dente sentenza, criterio del Codice e il giudice15.
contratto in cui la formulazione sia più chiara, oppure L1 potrebbe portare un Come lavora l’interesse del giudice? Il giudice accetta l’argomentazione dell’avvo-
testimone, ecc. Ancora, d’altro canto L2 potrebbe usare un’ideologia, per es. cato L1, perché essa è pertinente con il suo interesse nella Giustizia (o nell’ap-
politicamente corretto per modernizzare una vecchia sentenza (nei tribunali del plicazione corretta – con criterio – della Legge). Il giudice decide per l’inter-
lavoro è seguito l’orientamento che tutela il lavoratore in accordo al principio pretazione A, perché soddisfa i suoi propri interessi, ma contemporaneamente
del favor verso la parte più debole12). Queste strategie argomentative, che non garantisce anche l’interesse di una parte. In questo caso una traduzione di inte-
appartengono propriamente alla conoscenza di dominio (almeno di tipo istitu- ressi è avvenuta. Si noti che anche il processo individuale di scelta del giudice
zionale) sono pratiche di routine degli avvocati nei tribunali13. In una contro- può essere descritto con relazioni di preferenza rispetto ai suoi interessi16.
versia, secondo Latour (1998), se una tesi è connessa ad altre tesi già accettate Infine descriviamo la strategia di traduzione degli interessi nella nostra situazio-
nella comunità, allora questa diventerà una tesi più sicura14. In questo senso se ne. Secondo Latour “la via più semplice per trovare delle persone che crederan-
l’avvocato L1 è in grado di argomentare la compatibilità dei casi (dimissioni e no a prima vista al nostro enunciato (…) è definire l’oggetto in modo che sod-
morte della lavoratrice), allora il vecchio verdetto fornirà credibilità alla sua in- disfi i loro interessi espliciti” (Latour 1998, p. 145). Nel nostro caso L1 cerca di
terpretazione della clausola. La vecchia sentenza diventa un importante alleato, soddisfare l’interesse nella Giustizia del giudice, mostrando una sentenza che è
nonché attiva un altro più importante alleato: l’art. 1362 del Codice Civile. In compatibile al caso e che attiva un criterio del Codice. Continua Latour, per
questo caso il Codice funziona come una “black box”, qualcosa di simile ad un quale motivo le altre persone dovrebbero credere alla nostra soluzione? “la ra-
paradigma, accettato come un fatto. Latour sostiene che è possibile aprire le sca- gione è una sola: la loro strada abituale è ostruita” (ib., p. 148). Nel nostro caso,
tole nere, ma aprirle ha costi elevati. Nel nostro caso mettere in dubbio il si- la strada abituale è stata ostruita dal fatto che gli strumenti ordinari di de-am-
gnificato A della clausola proposto dall’avvocato L1 significherebbe mettere in biguazione non sono stati efficaci per determinare il significato della clausola.
dubbio la vecchia sentenza, ma questa ha un potente alleato, il criterio del Co- L’ultimo passo è proporre “una scorciatoia. È una strategia allettante, ma devo-
no essere soddisfatte tre condizioni: la strada principale è chiaramente ostruita;
il nuovo percorso è ben segnato, la deviazione appare breve” (ib., p. 149). Il nuo-
11
Per una lucida descrizione di ANT in italiano si veda Silvia Gherardi (2000). La quale tra- vo percorso è stato breve: è stata presentata una sentenza precedente di un caso
duce translation con traslazione (di interessi), invece che traduzione, e chiama ANT sociologia
della traslazione.
12 15
Un tipico esempio ne è la quasi sistematica assenza di condanna al pagamento delle spese La concezione di alleato non è contraddittoria con la nozione di risorsa proposta da Rosaria
processuali anche nel caso in cui il lavoratore esca sconfitto dalla lite giudiziale. Conte e Cristiano Castelfranchi, per cui una “risorsa è qualsiasi entità coinvolta nell’azione e
13
Alcune informazioni dell’ambito giuridico presenti nel testo sono state acquisite in colloqui ad essa utile, eccetto l’agente stesso” (1996, p. 244).
16
con alcuni avvocati del lavoro. La nozione di traduzione di interesse nel network è compatibile con la concezione di Conte e Ca-
14
Per una interessante analisi dell’uso della retorica nella letteratura scientifica si veda Latour stelfranchi sull’adozione di scopo di un altro agente: “Se un agente crede che l’adozione di uno sco-
(1998), pp. 27-78. po di un altro agente sia un mezzo per un proprio scopo, esso adotterà tale scopo” (1996, p. 244).

210 211
differente ma in qualche modo compatibile, e la deviazione (argomento di com- regolare svolgimento del periodo di maternità e del ritorno della lavoratrice a
patibilità) è stata molto chiara: ha puntato direttamente al Codice Civile. svolgere le proprie mansioni. La seconda rappresentata dall’interruzione del
In sostanza, possiamo ritenere che il significato di (2) “cessazione dell’assenza” rapporto di lavoro a causa di dimissioni. In un caso del genere siamo in pre-
è entrato nel linguaggio (dei contratti) e ciò è documentato da una decisione senza di una certa asimmetria epistemica fra i due agenti. Questa asimmetria
di un giudice. Nella prospettiva di Latour l’enunciato passa da artefatto a fat- epistemica permette ad Ag1 di usare l’ambiguità della clausola in modo stra-
to e il significato di (2) diventa un riferimento (un alleato) in altre situazioni. tegico. Egli può garantirsi un più ampio margine di manovra rispetto ad Ag2,
Incidentalmente, nella prospettiva di Wittgenstein potremmo dire che è stata e con ciò tentare di gestire eventuali situazioni in suo favore. Nel prossimo
fissata un’interpretazione/uso locale che costituisce un gioco linguistico all’in- passo della ricerca cercheremo di descrivere questa asimmetria epistemica far
terno di una forma di vita (attività regolate dal contratto di impiego)17. gli agenti dal punto di vista delle loro rappresentazioni.

network semantica
7. Sommario
In sintesi, il contributo della ricerca dovrebbe consistere nel delineare le mo-
dalità di determinazione del significato di enunciati del linguaggio naturale
interessi ponendo l’accento sulla loro formulazione, sulle possibili interpretazioni, su-
gli interessi degli agenti e la loro scelta del significato. Nonché sulla dimen-
In figura è rappresentata la circolarità fra interessi, network e significato. sione interazionale/sociale.
Abbiamo visto che la formulazione linguistica di una clausola ammette alcu-
ne interpretazioni, anche radicalmente differenti fra loro. Abbiamo visto che
6. Alcune brevi considerazioni sulla dimensione strategica il contesto d’uso di un’espressione seleziona alcune interpretazioni fra quelle
dell’interazione ammissibili in italiano, rispetto a una certa situazione. Abbiamo visto come
Supponiamo che l’agente Ag1 (direttore del personale della compagnia) abbia gli interessi degli agenti guidano la scelta di un significato in un set di inter-
esperienza in simili situazioni e supponiamo che l’agente Ag2 (neo-laureato) pretazioni plausibili nel contesto dei contratti di impiego. Infine, abbiamo vi-
non ne abbia, come spesso è il caso. Ad una differenza di background kno- sto come il significato di una clausola ambigua viene fissato nell’interazione
wledge può corrispondere una differenza di conoscenza rispetto a possibili si- sociale e come si rende disponibile ad una successiva interazione.
tuazioni che si possono venire a creare (ovvero possibili condizioni in cui un
enunciato può essere valutato vero). Quando Ag1 scrive il testo del contratto,
egli può considerare che una certa formulazione linguistica di una clausola Riferimenti bibliografici
possa essere modello in differenti situazioni. Supponiamo che quando Ag1 ha Bianchi C. (2003) Pragmatica del linguaggio, Roma-Bari, Laterza.
scritto il testo della clausola egli abbia prodotto una formulazione linguistica Berger P.L., Luckmann T. (1966) The social construction of reality, New York, Dou-
compatibile con almeno due differenti situazioni. La prima rappresentata dal bleday.
Bouquet P. (1998) Contesti e ragionamento contestuale. Il ruolo del contesto in una teo-
17 ria della rappresentazione della conoscenza, Genova, Pantograf.
Gli attori del network e le loro relazioni strutturate sugli interessi (dimensione sociale) sono
gli elementi su cui si basa la determinazione del significato e tramite cui si stabilizza un uso con- Bouquet P., Cruciani M. (2004) Il problema del ragionamento su azioni in intelligenza
diviso di un enunciato. Una parte del linguaggio viene reificata, e questa parte sia stabilizza l’at- artificiale, in Ferrari G. (a cura di) “Profili multidisciplinari delle teorie dell’azione”,
tuale network (in quanto è un alleato in più), sia è disponibile per la costruzione di un altro net- Milano, Franco Angeli.
work (e lavora o può lavorare come un fatto). Questa dialettica sembrerebbe muoversi in dire-
zione differente da quella descritta da Peter L. Berger and Thomas Luckmann (1966), in cui Bouquet P., Warglien M. (2002), Meaning negotiation: an invitation, in Bouquet P. (eds.).
l’uso del linguaggio naturale reifica la realtà sociale. “Meaning negotiation papers from the AAAI workshop”, Edmonton, AAAI Press.

212 213
Callon M. (1991) Techno-economic networks and irreversibility, in Law J. (ed.). “Socio- Tiziana Giudice
logy of monsters? Essays on power, technology and domination”, London, Routledge. Università degli studi di Bari
Conte R., Castelfranchi C. (1996) La società delle menti. Azione cognitiva e azione so- Dottorato di ricerca in Teoria del Linguaggio e Scienze dei Segni
ciale, Torino, UTET. dell’Università di Bari
Cruciani M. (2006) Interesse e significato, Atti del terzo convegno nazionale di Scien-
ze Cognitive, Genova, Erga.
De Mauro, dizionario, http://www.demauroparavia.it/.
Eco U. (1997) Kant e l’ornitorinco, Milano, Bompiani.
Gherardi S. (2000) Sociologia della traslazione, in Gherardi S., Lippi A. (a cura di)
“Trasformare le riforme in pratica”, Milano, Cortina. Metafora, corporeità
Latour B. (1987) Science in action. How to follow scientist and engineers through society,
Cambridge Massachusetts, Harvard University Press.
e processi immaginativi
Latour B. (1991) I microbi: trattato scientifico-politico, Roma, Editori Riuniti.
Latour B. (1998) La scienza in azione. Introduzione alla sociologia della scienza, Tori- 1. Introduzione
no, Comunità. In questo lavoro ci soffermeremo sul rapporto tra metafora e immaginazione.
Latour B. (2005) Reassembling the social: an introduction to Actor-network-theory, Ox- La metafora è una procedura di conoscenza che attiva nei processi di significa-
ford, Oxford University Press. zione e di comprensione “percorsi interpretativi che mettono in rapporto setto-
Marconi D. (1997) Lexical competence, Massachusetts, MIT. ri anche molto lontani tra loro nella rete segnica” (Ponzio 2004, p. 68). Di fron-
Marconi D. (1999a) La competenza lessicale, Roma-Bari, Laterza. te all’inadeguatezza del linguaggio letterale a trattare la complessità delle cogni-
Marconi, (1999b) La filosofia del linguaggio, Torino, UTET. zioni umane, la metafora consente, tra le sue diverse funzioni semiotiche e co-
Myerson R. B. (1991) Game Theory: Analysis of Conflict, Cambridge (MA), Harvard gnitive, di esprimere ciò che non è esprimibile letteralmente, come stati interni,
University Press. o quello di cui non si ha esperienza diretta, rapportandolo ad ambiti più fami-
Ove Hansson S.O. (1994) Decision theory. Brief introduction, Department of Philo- liari e conosciuti (Cacciari 1998, 1999; Glucksberg e Keysar 1990, Ortony
sophy and the History of Technology, Stockholm, Royal Institute of Technology 1980). Nella prospettiva della Linguistica Cognitiva (LC), di cui ci occupiamo
(KTH). in questa sede, la metafora è una “strategia” adottata dalla mente per concettua-
Palladino D. (2002), Corso di logica, Roma, Carocci. lizzare la realtà (Lakoff e Johnson 1980) e rispecchia, a livello linguistico, mo-
Wittgenstein L. (1953) Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi, 1995. dalità cognitive di elaborazione delle informazioni sul mondo.
Young R.A. (2002) Meaning negotiation and communicative rationality, in Bouquet P. (ed.). A partire dalla convinzione che il linguaggio sia una facoltà complessa e stra-
tificata in cui s’incontrano abilità cognitive diverse, la nostra ipotesi è che la
comprensione del linguaggio metaforico presuppone l’interazione di una se-
rie di componenti correlate, tra cui processi coinvolti nell’analisi percettiva e
meccanismi immaginativi. Nella nostra argomentazione porremo attenzione
alle metafore che hanno un radicamento nell’esperienza percettivo-corporea,
come mediatrici tra la dimensione fisica e quella linguistica. Questo tipo di
analisi ci permetterà di mostrare come l’immaginazione svolga la funzione di
trait d’union tra esperienza e uso cognitivo della metafora.

214 215
2. Corporeità e conoscenza concettuale glas 1973, Needham 1973) mostrano che culture diverse tra loro attribui-
Nella prospettiva della LC, il linguaggio ha le caratteristiche strutturali che scono centralità alle metafore corporee.
ha in quanto è implementato nelle menti degli esseri umani che hanno ca- La pervasività dei riferimenti alla dimensione corporea nelle produzioni lin-
ratteristiche fisiche e anatomiche di un certo tipo e vivono all’interno di un guistiche ha portato negli ultimi decenni a ripensare il rapporto tra linguag-
ambiente sociale e naturale ben preciso. Diversi studi (D’Arcy Thompson gio e percezione, tra linguaggio e corporeità (quindi anche propriocettività,
1961, McMahon e Bonner 1983, Went 1968) mostrano che la forma e le movimento, spazialità). L’analisi delle basi fisiche, cinestetiche e sensibili del-
dimensioni del corpo umano influenzano il nostro modo di parlare, di pen- le configurazioni del senso mostra che le componenti percettive, motorie e
sare e di rappresentarci linguisticamente il mondo: “solo un equilibrio evo- corporee strutturano prelinguisticamente la realtà e che il linguaggio verbale
lutivamente efficace e biologicamente plausibile tra questi assi (dimensioni fa costantemente appello a esse per costruire codici semantici diversi. I primi-
del corpo, capacità sensoriali e sviluppo cerebrale) può costituire la condi- tivi del sistema concettuale umano sono dunque gli aspetti percettivo-corpo-
zione di possibilità per il linguaggio” (Mazzeo 2001, p. 353). L’idea che la rei (Benelli et al. 1980, Mandler 1993). La percezione, il corpo e tutto ciò che
struttura del corpo umano e le componenti percettive siano determinanti al- si costituisce attraverso di esso, come la nozione di spazio, sono universali; le
la caratterizzazione del sistema concettuale umano e del linguaggio non è lingue variano sulla quantità, sul tipo e sulle modalità di informazione veico-
certamente nuova. Vico, riprendendo Aristotele, afferma che “la mente lata. Le differenze occorrono cioè a un livello superficiale delle strutture co-
umana non intende cosa della quale non abbia avuto alcun motivo da’ sen- gnitive incastrate in specifiche culture che pertinentizzano le informazioni
si” (La Scienza Nuova, II) e chiarisce “che ‘n tutte le lingue la maggior par- percettive in loro possesso in base ai propri scopi.
te dell’espressioni d’intorno a cose animate sono fatte con trasporti del cor- In questo sfondo teorico, il merito della LC è aver mostrato non solo in che
po umano e delle sue parti” (ivi, II, II, 2). Parafrando Vico potremmo dire modo alcune caratteristiche della categorizzazione e della percezione sono
che la cognizione umana prende l’avvio da una “corpolentissima fantasia” riflesse nel linguaggio a livello lessicale e grammaticale (Casonato e Cervi
nel senso che il corpo umano è il materiale primario di ogni attività segni- 1998), ma anche la sistematicità con cui processi di concretizzazione e spa-
ca e cognitiva. Piaget ipotizza la continuità tra la base senso-motoria delle zializzazione entrano in gioco nel pensiero e nel linguaggio figurato. Queste
rappresentazioni concettuali e le più complesse strutture cognitive del ra- argomentazioni hanno contribuito a sorpassare una volta per tutte il dualismo
gionamento e del linguaggio. La tradizione fenomenologica fa costante- mente/corpo: la svolta sta nell’aver individuato un ambito che congiunge il li-
mente appello a una convergenza tra senso linguistico e senso percettivo e vello motorio-percettivo, l’immaginazione, la memoria e le produzioni più
al rapporto tra corpo e mondo come base dei processi di significazione. Per- raffinate del linguaggio verbale. Questo ambito è la metafora.
ché diverse tradizioni filosofiche hanno dato tanta importanza a queste
componenti? Perché il corpo, il movimento, la percezione, il riferimento
spaziale costituiscono, in tutte le culture, schemi di riferimento fondamen- 3. Dagli Schemi di Immagine alle metafore
tali per concettualizzare aspetti diversi della realtà. Le effettive realizzazioni Secondo la LC, la connessione tra i contenuti dell’esperienza corporea e il si-
linguistiche lo dimostrano: espressioni come “mi va”, “non mi va”, “le cose stema concettuale è garantita da processi immaginativi come la metafora che è
mi vanno bene” mostrano come il movimento sia nelle lingue occidentali un meccanismo cognitivo in grado di ridurre, al concreto e al semplice, i do-
una componente importante per concettualizzare alcune esperienze non ti- mini difficili da rappresentare cognitivamente, per la loro astrattezza o per la
picamente motorie, così come è evidente il passaggio dal senso fisico del- contingente scarsità di informazioni, consentendo l’individuazione delle com-
l’afferrare a quello figurato del comprendere (“non ho afferrato quel con- ponenti fisico-percettive della cognizione (Johnson 1987, Lakoff 1993). La
cetto”). Studi relativi a lingue non solo occidentali (Claudi e Heine 1986, proiezione di coordinate spaziali ed elementi senso-motori riflette una propen-
Lyons 1967) mostrano che la formazione di parte del sistema grammaticale sione cognitiva alla concretizzazione ed è alla base della costruzione di concet-
di una lingua dipende da procedure che chiamano in causa costruzioni e pa- ti astratti, emotivi e di per sé privi di una dimensione fisica, spaziale, tangibi-
role che in partenza avevano un significato percettivo. Altre ricerche (Dou- le. Più precisamente la metafora è intesa come proiezione a livello linguistico e
216 217
concettuale di configurazioni corporee1 di varia natura, percettive, motorie, sufficienti al ragionamento astratto, per l’elaborazione del quale serve un se-
spaziali, che Johnson (1987) chiama “schemi di immagine”. È qui che entra in condo processo: la proiezione metaforica. Gli schemi di immagine, proiettati
gioco la nozione di immaginazione in rapporto alla metafora. metaforicamente, consentono di concettualizzare domini astratti; elaborati
Riflettendo sulla nozione di “immaginazione” emerge che intuitivamente es- proposizionalmente, costituiscono la nostra rete di significati. Soffermiamoci,
sa è considerata come attività essenzialmente creativa, inventiva, spesso come a scopo esemplificativo, sullo schema di immagine “sopra-sotto”, forgiato dal-
sinonimo di fantasia. Nel contesto cognitivista questa dimensione, in rappor- le nostre esperienze percettive connesse alla postura eretta dell’Homo sapiens, e
to alla metafora, viene trascurata per dare spazio a quelli che possiamo consi- sulle metafore da esso derivate. Lo stare eretti determina in modo universale le
derare sottocomponenti dell’immaginazione e cioè le immagini mentali e gli coordinate del nostro orientamento e ci porta a percepire e a concettualizzare
schemi di immagine. In questa sede non ci soffermeremo sul rapporto meta- lo spazio intorno a noi in un modo ben preciso. In base all’ipotesi che stiamo
fora-immagini mentali2, ma sulla proposta della LC di considerare l’immagi- analizzando, attraverso la metafora possiamo “lavorare” sugli schemi in modo
nazione come la capacità di attivare e coordinare schemi da cui scaturisce, at- da costruire modelli di corrispondenze potenziali tra domini concettuali diver-
traverso le proiezioni metaforiche, la stessa attività linguistica. In quest’ottica, si. Per esempio, nelle lingue occidentali, lo schema di immagine “sopra-sotto”
le metafore si basano su componenti cognitive di natura non logico-proposi- è proiettato metaforicamente su domini più astratti come la felicità e la salute
zionale ma immaginativa: sono gli “schemi di immagine”, strutture più com- in modo tale che tutto ciò che è correlato al benessere psichico, fisico e sociale
plesse delle immagini mentali, definiti da Johnson (1987, p. 2) viene compreso come se avesse una direzione verso l’alto mentre cattive condi-
zioni psichiche, fisiche e sociali hanno una direzione contraria (“Sono al top”,
Dynamic patterns that function somewhat like the abstract structure of an ima- “Sono depresso”). Lo stare eretto e dritto rappresenta la qualità morale della ri-
ge, and thereby connect up a vast range of different experiences that manifest the spettabilità, del potere. Il piegare il proprio corpo è associato a fallimento (“Ab-
same recurrent structure. bassare la testa dalla vergogna”). Alla luce di quanto esposto finora, possiamo
affermare che l’immaginazione intesa in senso ristretto, nei sottocomponenti
A partire dalla tesi che gran parte della cognizione umana nasce dall’intera- degli schemi di immagine, svolge la funzione di trait d’union tra esperienza e
zione dei nostri corpi con il mondo, la conoscenza concettuale e linguistica si uso cognitivo della metafora. Un valido banco di prova per le teorie linguisti-
fonda sugli schemi di immagine che sono “centri” di organizzazione di cono- che e cognitive appena descritte è rappresentato dalle neuroscienze cognitive i
scenze che strutturano in forma non proposizionale un insieme di informa- cui dati relativi al rapporto tra cervello e linguaggio possono chiarire il ruolo
zioni salienti che emergono dall’attività senso-motoria (come manipolare og- degli schemi di immagine3 nella processazione metaforica.
getti, orientarsi spazialmente, dirigere la propria attenzione percettiva a vari
scopi). Gli esseri umani organizzano e strutturano in modo significativo la
propria relazione con l’ambiente esterno attraverso gli schemi di immagine, 4. Plausibilità neurobiologica degli Schemi di Immagine
prima che concettualmente e linguisticamente, grazie al fatto che l’esperienza Il modello teorico che abbiamo presentato ha ricevuto interessanti conferme
fisico-percettiva non è caotica, ma intrinsecamente organizzata anche prima in ambito sperimentale dalle neuroscienze cognitive che propongono model-
che entrino in gioco i concetti. li di struttura e di elaborazione neurale che sembrano sostenere la tesi della
Alcuni esempi di tali schemi sono “sopra-sotto”, “avanti-dietro”, “parte-tutto”, mente incarnata.
“origine-percorso-destinazione”. Tuttavia i soli schemi di immagine non sono Alcune ricerche (Hauk et al. 2004, Rohrer 2005, Schwoebel e Coslett 2005)
hanno dimostrato la plausibilità neurobiologica degli schemi di immagine evi-
1
Rimandiamo a Lakoff e Johnson (1999) per un’analisi delle metafore in cui il dominio sor-
3
gente da cui parte la proiezione non è legato all’esperienza corporea in senso stretto, ma a mo- Per una discussione dei limiti della teoria di Lakoff e Johnson (1980) e dei problemi che ruo-
delli culturali. tano intorno alla nozione di schema di immagine rimandiamo a Casadei (1999), Glucksberg e
2
Per una rassegna delle diverse posizioni relative a questo rapporto, cfr. Giudice (2007). Keysar (1993), Ortony (1993).

218 219
denziando come sia il linguaggio letterale che quello metaforico, relativi al cor- te l’esperienza4 trasferendo immagini e associazioni, sviluppate ad un livello in
po e ad azioni corporee, attivano aree della corteccia senso-motoria. Gli studi sui cui prevale una dimensione sensoriale, a un livello in cui i pensieri sono ordi-
neuroni specchio (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006) hanno mostrato che, da un pun- nati secondo una logica di categorie verbali. In altre parole, le forme di ragio-
to di vista neurologico, osservare azioni compiute da altri attiva i circuiti corti- namento inferenziale, che utilizziamo abitualmente, non avrebbero luogo se
cali responsabili dell’esecuzione di quelle azioni. Tettamanti et al. (2005) ipotiz- non affondassero le proprie radici nei processi metaforici che operano da
zano che questo sistema giochi un ruolo importante nella comprensione di fra- “ponte cognitivo” (Beck 1987, Cacciari 1998, 1999) tra linguaggio ed espe-
si connesse ad azioni: ascoltare frasi che descrivono azioni attiva la rete sinistra rienza introducendo una “logica sensoriale” a livello concettuale. Ci sembra
fronto-parietale-temporale, che include la pars opercularis del giro frontale infe- allora che la chiave interpretativa della metafora stia in questa capacità di crea-
riore (area di Broca), settori della corteccia premotoria in cui le azioni descritte re legami, di essere “ponte” tra dimensioni diverse, dispositivo che permette
sono codificate dal punto di vista motorio, insieme al solco intraparietale, al gi- di fondare esperienzialmente concetti astratti. In questo senso ci interessa la
ro temporale medio posteriore e al lobo parietale inferiore. Questi dati fornisco- metafora come processo dinamico, altamente creativo, di spostamento da un
no la prima evidenza diretta che l’ascolto di frasi che descrivono azioni porta al- dominio a un altro, e non come risultato dello spostamento.
l’attivazione dei circuiti visuo-motori che servono all’osservazione e all’esecuzio- Questa nozione di “ponte” trova una chiave di lettura interessante in un par-
ne di quelle azioni. Gallese e Lakoff (2005), per mettere alla prova la connessio- ticolare tipo di metafora, la sinestesia, che si ha “quando per nominare un’e-
ne tra metafora e corporeità, propongono di studiare l’attivazione della corteccia sperienza percettiva tipica di un determinato organo di senso utilizziamo ter-
senso-motoria testando se, ad esempio, nel caso del concetto di “afferrare” l’atti- mini il cui referente è legato ad un diverso sistema sensoriale” (Cacciari 2005,
vazione dei circuiti parietali-premotori avvenga non solo quando effettivamente p. 323), come nel caso di “suono pungente”, “dolore acuto”, “decisione ama-
si compie l’azione di afferrare un oggetto, ma anche quando si comprendono fra- ra”. Riteniamo, sull’onda degli studi di Ramachandran e Hubbard (2001),
si metaforiche che contengono il concetto di afferrare. I due studiosi ipotizzano che la sinestesia, intesa in senso psicologico come modalità di associazione
una risposta positiva a questo test sulla base degli studi di Tettamanti et al. cross-sensoriale, sia un fenomeno cruciale nella comprensione della metafora,
(2005). Il fatto che aree del cervello tradizionalmente deputate a compiti mera- capace di rendere conto del modo in cui il cervello elabora le informazioni
mente senso-motori svolgano un ruolo determinante in processi cognitivi supe- sensoriali e le utilizza per creare collegamenti astratti fra input apparentemen-
riori come il linguaggio rivela l’interazione, nella comprensione metaforica, di te non correlati. La metafora sinestetica, mediatrice nel rapporto tra percezio-
diverse componenti correlate, quali i processi deputati all’elaborazione linguisti- ne e linguaggio, è paradigmatica della interconnessione tra i sensi,
ca, quelli coinvolti nell’analisi percettiva e quelli immaginativi. esemplificando la peculiarità dell’esperienza sensoriale di dipendere in modo
trasversale dalle diverse modalità. È comune fare esperienza di una miscela di
informazioni provenienti da varie fonti, ad esempio quando inferiamo la ru-
5. L’idea della metafora come “ponte” videzza di una superficie dalla sua tessitura. Possiamo allora ipotizzare che il
Nella teoria che abbiamo presentato, le metafore non fanno altro che proiet- processo di trasferimento, che caratterizza ogni tipologia di metafora, sfrutta
tare la mappa delle relazioni spaziali, corporee e delle loro strutture inferen- la crossmodalità tipica dell’esperienza e del funzionamento del cervello (Cac-
ziali su domini più astratti. In quest’ottica le metafore legate all’orientamento ciari 2005). Come attraverso la sinestesia si creano legami tra sensi diversi, co-
spaziale e alla dimensione motoria sono indicative del modo in cui la mente sì la metafora crea, tra i concetti, nessi prima inesistenti, facendo convergere
umana crea dei legami di ordine superiore tra diversi domini cognitivi e sen- diversi fenomeni. Scrive Mazzeo (2005, p. 284):
soriali. Potremmo pensare la mente come un organo capace di connessione
grazie alla metafora che crea legami cognitivi e neurali e permette di compie- La polisemia tipica del linguaggio verbale costituisce forse il correlato strutturale
re “salti” tra domini conoscitivi diversi, provocando un movimento dall’a-
stratto al concreto. Secondo l’antropologa Beck (1978), la metafora è in gra- 4
L’esperienza sensoriale è difficile da esprimere linguisticamente dal momento che è crossmo-
do di colmare le lacune provocate dalla difficoltà di categorizzare verbalmen- dale (Cacciari 1999).

220 221
della multisensorialità sinestetica: sulla plasticità delle modalità di senso si innesta Benelli B., D’Odorico L., Levorato M. C., Simion F. (1980) Forme di conoscenza pre-
la flessibilità di individuare significati. linguistica e linguistica, Firenze, Giunti Barbera.
Cacciari C. (1998) Why Do We Speak Metaphorically? Reflections on the Functions of
In questo senso si può ipotizzare che non solo molte metafore hanno un ra- Metaphor in Discourse and Reasoning, in Katz A., Cacciari C., Gibbs R.W. Jr., Turner
dicamento percettivo-corporeo, ma che la capacità di creare metafore si basa M. (eds.), Figurative language and thought, pp. 119-157, Oxford, Oxford University
sul carattere sinestetico della percezione. Le metafore si basano sulla capacità Press.
di interconnettività percettiva e cognitiva e non fanno altro che amplificare la Cacciari C. (1999) La metafora: un ponte fra il linguaggio e l’esperienza percettiva,
capacità di connessione, di “traduzione”, intesa come spostamento, insita nel- Lingua e Stile, XXXIV, 2, pp. 159-200.
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L’uso pervasivo di metafore motorie, sensoriali, corporee fa pensare che il lin- Casonato M., Cervi M. (a cura di) (1998) Elementi di Linguistica Cognitiva, Urbino,
guaggio non si basi su un sistema che manipola simboli; esperienza corporea Edizioni QuattroVenti.
e assetto percettivo sono costitutivi della struttura del linguaggio perché de- Claudi U., Heine B. (1986) On the Metaphorical Base of Grammar, Studies in Lan-
terminano i tipi di metafora che, attraverso gli “schemi di immagine”, danno guage, 10, pp. 297-335.
poi luogo alle diverse realizzazioni linguistiche. Questo spiega la necessità di D’Arcy Thompson W. (1961) On Growth and Form, An abridged Edition edited by
rendere conto della metafora andando oltre la sfera puramente linguistica, ri- J. T. Bonner. Cambridge, Cambridge University Press, trad. it. Crescita e forma, Edi-
volgendo l’attenzione alla dimensione percettivo-immaginativa e a sistemi di zione ridotta a cura di John Tyler Bonner, Torino, Boringhieri, 2001.
elaborazione non linguistici. La metafora è infatti rivelatrice della complessi- Douglas M. (1973) Natural symbols, New York, Vintage Books.
tà dei rapporti tra percezione e linguaggio, tra esperienza e pensiero, presen- Gallese V., Lakoff G. (2005) The brain’s concepts: the role of the sensory-motor
tandosi come manifestazione di una intricata rete intessuta di processi senso- system in conceptual knowledge, Cognitive Neuropsychology, 22, n. 3-4, pp. 455-479.
riali e cognitivi. Dal momento che le risorse del linguaggio letterale non sono Gibbs R.W. Jr. (1994) The poetics of mind, Figurative thought, language and under-
sufficienti ad esprimere la complessità delle cognizioni, soprattutto emotive, standing, Cambridge, Cambridge University Press.
degli esseri umani, abbiamo considerato la metafora adeguata a fungere da Gibbs R.W. Jr., Colston H.L. (1995) The cognitive psychological reality of image
ponte tra linguaggio, domini difficili da esprimere e sfera percettiva, in virtù schemas and their transformations, Cognitive Linguistics, 6, pp. 347-378.
della sua capacità di poggiarsi, per estendere le capacità espressive e conosciti- Giudice T. (2007) La metafora tra cognizione e corporeità, in Cosentino E., Vazzano S.
ve del linguaggio, sul mondo percettivo-corporeo-esperienziale e di ancorarsi (a cura di) “I segni del soggetto”, pp.60-74, Roma, Carocci.
“su una grande plasticità e interconnettività percettiva e cognitiva di cui an- Glucksberg S., Keysar B. (1990) Understanding metaphorical comparison: Beyond
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Rizzolatti G., Sinigaglia C. (2006) So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni spec- coli il problema della conoscenza, in riferimento a una filosofia del conoscere nei
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Perception to Meaning: Image Schemas in Cognitive Linguistics”, pp.165-196), Ber- La pedagogia ha intrapreso questo cammino di evoluzione e ripensamento del
lin, Mouton de Gruyter. proprio passato (Cambi 2005). Deriva il suo supporto dal riposizionamento dei
Schwoebel J., Coslett H.B. (2005) Evidence for multiple, distinct representations of concetti fondamentali della pedagogia fenomenologica, che offrono una rilettu-
the human body, Journal of Cognitive Neuroscience, 4, pp. 543-553. ra teorica: la possibilità, per esempio, “può essere considerata come prodotto di
Tettamanti M., Buccino G., Saccuman M.C., Gallese V., Danna M., Scifo P., et al. una sintesi – in senso fenomenologico – fra elementi contingenti e tensioni sog-
(2005), Listening to action-related sentences activates fronto-parietal motor circuits, gettive, fra le specificità del sé e le specificità del mondo in cui esso si situa” (Biffi
Journal of Cognitive Neuroscience, 17, pp. 273-281. 2006, p. 194). Si avvale anche dei temi del neokantismo rickertiano, che in Ita-
Vico G. B. La Scienza Nuova, Introduzione e note di P. Rossi, Milano, Biblioteca Uni- lia hanno riproposto una filosofia dei valori, ma soprattutto la questione delle
versale Rizzoli 2000. condizioni filosofiche per la sua realizzazione: cosa significa gnoseologicamente
Went F.W. (1968) The size of man, American Scientist, 56, pp. 400-418. valere o validità? Dove si colloca il significato della validità in un’apprensione co-
noscitiva? Come si riconfigura il trascendentalismo kantiano in base alla fun-
zione del senso? Nella consapevolezza delle ricadute formative dei problemi.
224 225
2. Fra decostruzione e ricostruzione plessità dei nessi che uniscono la ricerca dei vari ambiti delle scienze umane con
Una vera ricostruzione è ormai impossibile, sostiene Giovannetti: la società ita- la ricerca pedagogica, attraverso una riflessione sui rispettivi saperi.
liana, a partire dai suoi intellettuali, non sa più che cosa chiedere al mondo del-
l’educazione. Non lo capisce, ha perso il senso dei valori in gioco. Regresso e Alcuni interrogativi di partenza:
progresso, privilegi e democrazia, controriforme e riforme vere finiscono tutti • È possibile, nella complessa interdisciplinarietà, una scienza non riduzioni-
nello stesso mazzo. Forse, per comprendere meglio l’accaduto, bisogna chieder- sta dell’educazione, della formazione e della cognizione?
si che cosa sia diventata la cultura oggi: quali le forme della sua crisi, quali le le- • A quali condizioni?
gittimazioni che ha perduto; e quali le rovine che ci ha lasciato in eredità. Rovi- • Attraverso quali modellizzazioni riconfigurare i rapporti?
ne da cui, peraltro, è necessario ripartire (Giovannetti 2006, pp. 88 e segg.). In realtà tanto l’oggetto della pedagogia (l’educazione), quanto l’oggetto delle scien-
Davvero una vera ricostruzione è ormai impossibile? “Anche se so cosa sta acca- ze della cognizione appaiono in contemporanea evoluzione, e con ambiti piuttosto
dendo, anche se sto all’erta, il simulacro fa parte della cosa in sé, se così si può ampi e complessi, suscettibili di essere studiati da più discipline e punti di vista.
dire. Non c’è critica che possa scalfire o dissipare questa ‘illusionÈ strutturale. Alla base di questa evoluzione possiamo richiamare:
Continua ad essere in atto (…) una credenza ammaliata, la cui natura richiede • l’emergere di nuovi paradigmi scientifici in particolare per i temi dell’appren-
una nuova analisi fenomenologica” (Derrida 2006, p. 58). Perché “Il muta- dimento (cognitivismo, costruttivismo, …) e delle competenze (per agire nel-
mento fenomenologico non cambia niente del contenuto, che continua ad agi- la complessità),
re” (Derrida 2006, p. 59). Come superare, dunque, le barriere della marginali- • la diffusione delle pratiche formative, in senso temporale (lifelong learning), so-
tà, che configurano i nostri saperi minoritari come pedagogia della resistenza? I ciale (verso l’età adulta) e organizzativo (economia e società della conoscenza),
tentativi di ricostruzione, a questo punto devono operare congiuntamente una • lo sviluppo di nuove strategie istituzionali (per l’occupabilità e la competitività),
ricostruzione della dissoluzione del pensiero storico-filosofico e del pensiero sto- • l’emergere di nuove competenze e figure di operatori dell’istruzione, della for-
rico-scientifico, ma anche procedere ad una lettura critica della stessa dissolu- mazione e della cognizione.
zione. Ancora attualissime le parole di Bertin, secondo il quale razionale è “edu- Per questo, nell’ambito delle scienze cognitive e della formazione, la discus-
care il singolo ad accettare la problematicità della condizione umana non in un sione si sta verificando su più livelli, a partire da:
atteggiamento di passività ed inerzia, ma in un atteggiamento di attività e com- • un’istanza epistemologica (relativamente allo statuto scientifico delle scien-
battività, impegnato a risolvere tale problematicità, assunta secondo le differen- ze cognitive e al loro “discorso”);
ti e complesse situazioni in cui si presenta, in direzione e nel senso indicati dal • un’istanza pragmatica (relativamente al rapporto di tale sapere rispetto alle
principio della ragione.” (Bertin 1968, p. 15). Il testo, del 1968, non ha fatto il pratiche educative e ai vari attori dell’educazione);
suo tempo. Infatti, in un’epoca in cui la vita sociale, culturale ed economica, • un’istanza sociale (relativamente alla funzionalità del sapere cognitivo ri-
sempre ci rendono evidenti tutti i limiti di una razionalità esonerata da doman- spetto a determinati bisogni e/o finalità sociali).
de sui perché (Boschini & Masi 2004). Il discorso pedagogico va ancor più giu-
stificato alla luce di una riscoperta del senso dell’agire educativo, per non incor-
rere nel rischio di smarrire la dimensione della realizzazione umana, nella vasti- 3. Scienze dell’educazione: l’analisi fenomenologica
tà crescente della complessità (Dalle Fratte 2006). del recente passato
Attraverso la “scienza dei fenomeni”, che impiega la forza critica dell’idea di epi- 1969: In Francia viene pubblicato il primo volume del Trattato delle Scienze
stéme, si delineano i percorsi delle possibilità, intesi come percorsi della ragione dell’Educazione, di Debesse e Mialaret (Debesse e Mialaret 1969). Negli am-
e della phronesis. L’analisi delle criticità educativo-formative contemporanee bienti scientifici è accolto immediatamente con grande interesse. Il Trattato
chiede alle scienze dell’educazione di chiarire la loro rispettiva posizione attra- nasce con lo scopo dichiarato di:
verso una negoziazione di significati tesa a costruire un’identità e un senso in re- • Fare un bilancio preciso ed obiettivo delle ricerche intraprese e dei risultati otte-
lazione alla sfera educativa. Va perciò indicata con maggior puntualità la com- nuti nel settore delle scienze dell’educazione. (1,6)
226 227
• Essere a suo modo un programma per l’avvenire, poiché il ruolo del pedagogista è • Fino a che punto i termini scienze dell’educazione sono espressione di una vi-
quello di precedere il suo tempo per non essere superato dagli avvenimenti. (1,7) sione positivista e/o spiritualista, dunque totalizzante?
La scelta stessa del termine “Trattato” attribuita all’opera, riconduce alla volontà Interessante una rilettura di tali vincoli concettuali, in relazione al contesto pe-
dei curatori di sistematizzare, attraverso posizioni di sintesi chiare e distinte, i va- dagogico, formativo, culturale e sociale degli anni Sessanta, in cui il Trattato
ri fermenti culturali che, alla fine degli anni Sessanta, caratterizzavano l’ambito è stato concepito. Ricordiamone brevemente le caratteristiche:
educativo, rileggendone, di fatto, i fondamenti concettuali. Alla luce degli orien- • La scuola torna ad essere inserita nella vita della società (cfr. Grecia classica
tamenti scientifici attuali, numerosi passaggi del Trattato presentano elementi di e Medioevo), cioè riscopre la sua socialità di costruzione di metodi, di scopi,
problematicità e possono essere oggetto di riesame critico. Malgrado questo e for- uscendo dall’individualismo dell’età borghese. Infatti in rapida successione di-
se anche per questo, l’impostazione scelta è stata predominante per un quaran- venterà scuola di massa. (1,14)
tennio circa: tutte le successive elaborazioni teoriche delle scienze dell’educazione • L’individuo sente di avere un compito da svolgere e un ruolo chiaro nella co-
tenteranno di risolvere i problemi lasciati in sospeso o affrontati parzialmente. munità e lo esercita mediante la professione e la partecipazione alla vita pubblica.
In realtà, il potenziale del Trattato del ’69 va ben al di là degli scopi dichiara- • La società impone il naturalismo e il laicismo pedagogici, in nome di una
ti, introducendo importanti innovazioni: presunta libertà dell’educando (generando, spesso, anomia).
• Qualifica le scienze pedagogiche come scienze applicate, superando la vec- • Si afferma una concezione psicologistica della persona che risolve la perso-
chia tendenza che separava gli aspetti teorici e le applicazioni pratiche. nalità umana nell’io psichico: eventuali alterazioni sono malattie psicologiche.
• Inquadra i fondamenti scientifici della pratica pedagogica e formativa (in- • Il metodo è il maestro, dunque è concepito in stretta dipendenza dalla per-
troduce i concetti di educazione permanente e formazione dei formatori). sona che lo usa.
• Legittima il concetto di Scienze dell’Educazione (le scienze sorelle), differen- • L’insegnante europeo gode ancora di legittimazione sociale.
ziandole in • Siamo tuttavia alle soglie di grandi trasformazioni sociali: mentre analizza il
• Scienze dell’educazione (biologia, psicologia, sociologia, cibernetica…). Que- sistema scolastico francese e ne elenca le discipline, Mialaret, in nota, osserva
ste pongono l’accento sull’educazione in quanto processo. (1,7) che si tratta di dati non aggiornati: le attuali proteste studentesche hanno già
• Scienze Pedagogiche (storia della pedagogia, pedagogia comparata, filosofia prodotto alcuni cambiamenti. Sta parlando del Sessantotto francese (anno
dell’educazione…). Pongono l’accento sul lavoro formatore, sui metodi e mez- della stesura del testo), che innescherà la miccia delle rivolte giovanili e stu-
zi adatti ad assicurare l’educazione. (1,8) dentesche in Europa e nel mondo.
• Estende il campo e il metodo della ricerca scientifica non più alla sola pe- • Più in generale, si inizia ad avvertire il malessere del nostro tempo, diffuso
dagogia sperimentale (che resta comunque testa di ponte dell’indagine educa- nel costume, nella cultura, nel travaglio della coscienza politica.
tiva) ma a tutte le scienze dell’educazione. • Quindi si avverte pure l’esigenza di una radicale riorganizzazione etico-edu-
• Intende ridefinire i fini dell’educazione. cativa che saldi intimamente vita individuale e vita collettiva. Testimonianza
Rivedendo il Trattato del ’69 secondo una prospettiva contemporanea, è pos- esemplare di tali esigenze, il testo di Giovanni M. Bertin, Educazione alla ra-
sibile circoscrivere alcuni limiti di impostazione, derivanti soprattutto dal con- gione, che viene pubblicato per la prima volta nel 1968, dove l’autore presen-
testo culturale di riferimento. ta una pedagogia della ragione in cui i concetti di ragione – esperienza – cul-
• Riduttiva identificazione delle scienze pedagogiche intese come applicative. tura appaiono spogliati di ogni incrostazione metafisica, anche se intesi in un
Identificazione caduta nel decennio successivo, perché basata su una contrap- significato trascendentale che precisi la loro funzione operativa.
posizione ormai superata tra didattica e pedagogia.
• La nozione di pluralità di scienze, secondo alcuni studiosi, vanifica il con-
cetto stesso di pedagogia. 3. Scienze dell’educazione: l’analisi fenomenologica
• La definizione di Scienze dell’Educazione risulta insufficiente se si attesta a li- dei rinnovati contesti attuali
vello di unità enciclopedica di tipo pragmatico. Effettuare un’analisi dei cambiamenti intervenuti dagli anni Settanta ad oggi
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nel contesto scientifico, storico, sociale, antropologico delle scienza dell’edu- stesso che collega in modo previsto o imprevisto due o più esseri umani e che li
cazione e della formazione è cosa che esula dai tempi ristretti della nostra pre- mette in comunicazione, in situazione di scambio e di reciproche modificazio-
sentazione. E, tuttavia, basti ricordare che le teorie della scienza passano da un ni. Intesa così, l’educazione-processo è un fatto molto generale che si osserva a tut-
modello monoteorico dello sviluppo scientifico ad un modello pluralistico te le età e in tutte le circostanze della vita umana. È certamente meglio caratte-
composto di una teoria interpretativa (che fornisce i fatti) e di una teoria espli- rizzabile come “formazione”. Il fatto formativo è oggi definibile come un’azio-
cativa (che li spiega), non più incompatibili. (Lakatos 1968 Critica e crescita ne esercitata su un soggetto o un gruppo di soggetti, che è accettata o addirit-
della conoscenza). Nel contempo, si impone l’idea di relatività e instabilità dei tura ricercata dal soggetto o dal gruppo di soggetti ai fini di giungere ad una mo-
dati osservativi: la teoria come rete. (Hesse 1980 Modelli e analogie della scien- dificazione profonda, tale che nuove forze vive nascano nei soggetti e essi stessi
za). Le neuroscienze affermano l’idea di memoria come luogo simbolico del- divengano elementi attivi dell’azione esercitata su se medesimi.
la mente: non esiste una sola sede cerebrale, responsabile della memoria, ma Il nostro riferimento specifico va all’approccio di Margiotta che richiama, tra
diversi nuclei e aree che interagiscono tra loro. E dimostrano la centralità del- i riferimenti essenziali dell’analisi del discorso pedagogico, la dimensione in-
l’idea di continuità della coscienza fra processi di natura logico-intellettiva e tenzionale (teleologica) dell’educazione e dunque il tema delle finalità educa-
processi emotivi in molti aspetti dei fenomeni cognitivi. tive che condiziona l’evento educativo, la relazione educativa e la sua dinami-
Pare si possa identificare la cifra del cambiamento nel tentativo sistematico, che ca (Margiotta 2001). Questo approccio intende:
si attua in tutti i percorsi concettuali, di decostruzione culturale e valoriale, che • assumere come base l’omologia tra l’organizzazione e i processi di cono-
conduce all’instabilità, all’incertezza, al riduzionismo, alla crisi della ragione, al di scenza (saperi e discipline), con l’organizzazione e i processi di apprendimen-
là di qualche tenue tentativo di recupero delle potenzialità antropologiche. Va ri- to (ontogenesi individuale),
levato come le scienze dell’educazione, alla fine del XX secolo, ci lascino un’im- • ancorare l’azione didattica nella “società cognitiva” al valore formativo dei
pressione di estrema diversità, senza unità apparente che le orienti all’interdisci- saperi (da logica = psicologia a cultura = semantica).
plinarietà, piuttosto che alla pluridisciplinarietà, ad un’armonizzazione degli ap- Sul piano dell’agire educativo, Margiotta parte dalla critica a tre postulati fonda-
procci, piuttosto che ad una giustapposizione di teorie e di applicazioni. mentali che sono frutto di una progressiva decontestualizzazione dell’insegna-
mento contemporaneo, stretto tra funzione di selezione e di socializzazione:
1) quello della corrispondenza tra corpi oggettivi di conoscenze e conformazioni
4. Necessità di una nuova prospettiva esplicativa soggettive di chi apprende; a questo postulato possono essere ricondotte le apo-
Il contesto socio-culturale profondamente modificato ci consiglia non tanto di rie dell’insegnamento, quella “naturalistica” (il discente si deve adattare al con-
operare una rivisitazione del Trattato, quanto di produrre una nuova sintesi del- tenuto da apprendere) e quella “soggettivista” (basta aspettare la maturazione
le scienze educative e formative. A nostro avviso ciò richiede l’assunzione, come delle funzioni intellettuali del discente),
posizione di fondo, di un rifiuto della moda di decostruzione riduzionista post- 2) quello della oggettività delle conoscenze a partire dalla loro forma logica e sintat-
pedagogica che, oltrepassando qualsiasi presupposto, preferisce rifugiarsi nostal- tica, con la conseguente separazione tra le due culture (scientifica e umanistica),
gicamente nel pre-moderno. Per l’accoglimento di una posizione “costituente” 3) quello dell’efficacia dell’insegnamento, fondato sulla specializzazione currico-
dove il valore aggiunto è rappresentato dalla ricostruzione degli schemi di ana- lare e sulla subordinazione dei curricoli allo sviluppo della ricerca scientifica e al-
lisi, di categorie e di progetto. Tale impostazione ci aiuterà a superare le attuali la normalizzazione dei saperi.
prospettive ermeneutiche correnti, le quali si sono sviluppate in un clima cultu- Al contrario, il rapporto tra insegnare e apprendere non è lineare né sequen-
rale segnato dalla crisi della ragione, dal pensiero debole, dal decostruttivismo e ziale, ma complesso. Per questo esso deve avvalersi del contributo delle mo-
ci ricondurrà, nella prospettiva antropologica, a mantenere viva l’essenzialità dei derne scienze cognitive, senza dimenticare le dimensioni emotive e relaziona-
fini (il metascopo) del discorso formativo, intesi però come interni (problema- li dell’interazione educativa.
ticismo, fenomenologia, ermeneutica) e non esterni (personalismo).
Il linguaggio corrente utilizza il termine “educazione” in riferimento al processus
230 231
5. Nuova prospettiva esplicativa: alcune essenziali linee-guida Contesto di riferimento: Partendo dalle esigenze di cambiamento nel settore
Nel processo del farsi scienza pedagogica ed educazione formale nel curricolo del- della formazione, in rapporto agli attori istituzionali e alle politiche formati-
la scuola accademica, la scienza dell’educazione ha di fatto relegato ai suoi margi- ve e sociali, il progetto propone una nuova prospettiva di riflessività, che in-
ni e dunque conservando nell’informale pratiche, costumi e orientamenti, che co- terpreti e assecondi una riconfigurazione degli attuali fattori ed attori della
munque si rivolgevano alla formazione del carattere, allo sviluppo dei mestieri e formazione in un contesto europeo.
delle professioni, all’orientamento della condotta, alle politiche sociali. Ma nel frat- Tale riflessività trova il suo contesto di riferimento in un progetto, culturale
tempo, spesso al di fuori degli ambiti accademici, la mappa dei saperi si è via via ed editoriale, che propone la pubblicazione di un Trattato Europeo delle Scien-
articolata ed allargata, fino ad assumere volti molteplici che, da un lato, l’avvicina- ze della Formazione.
no alla pratica formativa, mentre, dall’altro, la orientano alla ricerca curricolare. Meta-scopo della sintesi esplicativa: 1) Qual è il progetto di uomo possibile nel
Allo stato attuale, potremmo dunque dire che il campo della formazione ricorda più XXI secolo? 2)Qual è il contributo che l’Europa può dare? 3) Come umaniz-
una “selva delle somiglianze”, che una ambiente ben organizzato. I nuovi bisogni zare la capacità umana, ovvero, come recuperare l’integrale antropologico?
formativi obbligano ad una risistemazione complessiva del mondo educativo e for- La sintesi esplicativa, si pone come analisi critica (in senso kantiano) del lin-
mativo, perché obbligano a ritematizzare in entrambi i campi il rapporto fecondo guaggio e del mondo: interpreta infatti il rapporto tra corpi di conoscenze in
tra saperi teorici e saperi d’azione. Solo così è possibile riaprire un nuovo dialogo tra senso non lineare né sequenziale, ma complesso. Così, l’indagine sulle struttu-
educazione e formazione, per attivare nuovi processi di co-generazione di valore. A re-chiave dell’esperienza: formare, educare, istruire, sostiene la necessità di ripo-
tutto ciò le scienze dell’educazione, in Europa, stentano a dare risposta, poiché so- sizionare i rapporti e ridefinire i termini della relazione fra le varie scienze.
no strette tra autoreferenzialità accademica e sistemi scolastici di impronta tecno-
cratica, che contribuiscono a mantenere alto il livello di crisi dello Stato sociale.
Per questo proponiamo la nuova prospettiva di riflessività, orientata princi- Riferimenti bibliografici
palmente alle scienze della formazione, che, attraverso la riflessione teorica, Berti, G.M. (1968) Educazione alla ragione: Lezioni di pedagogia generale, (6rded
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ne delle scienze della formazione, nonché dei fattori ed attori che ad esse si rife- nomenologica”, Trento, Centro Studi Erickson.
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e le forme di vita della società liquida. Tali nuovi rapporti vanno ridescritti. Debesse M., Mialaret G. (1969) Traité des Sciences pédagogiques, Paris, Universitaires
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e nell’organizzazione educativa. Margiotta U. (2001) Riforma del curricolo e formazione dei talenti, Roma, Armando.

232 233
Letizia Nucara Il linguaggio è però anche lo strumento che consente di creare significati co-
Università degli studi di Messina muni, mondi comuni da condividere nella relazione intersoggettiva. In altri
Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive termini, “ci realizziamo in un mutuo accoppiamento linguistico, non perché
dell’Università di Mesina il linguaggio ci permette di dire quello che siamo, ma perché siamo nel lin-
Dottorato di ricerca in Metodologie della Filosofia guaggio, in un continuo essere immersi nei mondi linguistici e semantici con
cui veniamo a contatto” (Ivi, p. 197).
Il linguaggio ha luogo quindi nello spazio relazionale, il nostro essere uomini ha
luogo nello spazio sociale, si forma cioè in quella infinita trama di relazioni che
contribuiamo a costruire con gli altri e col mondo. Tuttavia il linguaggio è an-
che lo strumento che utilizziamo per le nostre spiegazioni e per le descrizioni del-
Maturana e il linguaggio la nostra esperienza, cioè è il luogo in cui noi emergiamo come osservatori.
dell’autopoiesi Come si vede, una logica circolare e ricorsiva regge tutto il discorso di Matu-
rana. Gli esseri umani esistono in un dominio di oggetti realizzato attraverso
l’agire linguistico e, nello stesso tempo, esistendo come osservatori in quel do-
Nel delineare le linee essenziali di quella che va sotto il nome di Teoria di San- minio, sono in grado di spiegare le diverse circostanze della vita, facendo rife-
tiago, elaborata dal neurobiologo cileno Humberto Maturana intorno agli an- rimento al loro stesso agire entro un dominio di accoppiamento strutturale di-
ni ’60 del secolo scorso, mi propongo di focalizzare l’attenzione sul tema del namico. Questo significa che, “benché esistiamo come esseri umani nel lin-
“linguaggio dell’autopoiesi”, ovvero del “linguaggio dei sistemi viventi”. Pri- guaggio e dunque i nostri domini cognitivi (domini di azioni adeguate) han-
ma di entrare nel vivo del discorso, è però opportuna una precisazione che ri- no luogo nel dominio dell’agire linguistico, questo agire linguistico si attua at-
guarda il senso in cui intendo utilizzare il termine “linguaggio”, impiegando- traverso il nostro funzionamento come sistemi viventi” (Ivi, p. 81).
lo nella sua accezione più generica, come sinonimo di “discorso” o di “logica”. Il linguaggio rappresenta dunque la cifra principale del nostro modo di esse-
Questa premessa è necessaria per la peculiare valenza che il termine assume re e del nostro modo di autoformarci; rappresenta la nostra via dell’autopoie-
nel pensiero dell’autore, che ne fa anche oggetto specifico della propria rifles- si. Questo fa comprendere chiaramente perché Maturana dedichi ad esso
sione, analizzandolo come “fenomeno biologico”. un’attenzione specifica, che meriterebbe una trattazione a parte e più articola-
Non è mia intenzione soffermarmi in maniera puntuale su questo aspetto, an- ta. Come premesso, non è tuttavia mia intenzione soffermami ulteriormente
che se mi sembra utile accennarlo brevemente per delineare un quadro con- su questo argomento “in particolare”, intendo piuttosto concentrare la mia
cettuale più completo. riflessione sulla “logica” dell’autopoiesi come “linguaggio” degli esseri viventi.
Maturana definisce il linguaggio come dominio d’esistenza umano, affermando, “Autopoiesi” è un termine di derivazione greca che significa autoproduzione; è
ad esempio, che “noi, in quanto esseri umani esistiamo nel linguaggio” (Matura- un termine che Maturana ha coniato insieme a Francisco Varela, un suo allie-
na 1993, p. 11). Questo vuol dire che il linguaggio appartiene alla nostra espe- vo, dal quale successivamente ha preso le distanze, continuando a sviluppare
rienza, alla nostra pratica di vita, costituisce il nostro “luogo” dell’azione; il luo- autonomamente la propria riflessione. La teoria è nata dall’esigenza di fondo,
go in cui, e attraverso cui, realizziamo la nostra “natura autopoietica”, ci iden- biologica ed epistemologica, di trovare una risposta precisa e rigorosa alla do-
tifichiamo come esseri umani, immersi in un processo di continua auto-forma- manda sulla natura dell’organizzazione dei sistemi viventi. Nel tentativo di
zione e di incessante auto-sviluppo. La funzione primaria del linguaggio non è fornire un’adeguata e soddisfacente soluzione al problema, Maturana è giun-
dunque la trasmissione di messaggi, ma il reciproco e continuo orientamento dei to all’elaborazione di un pensiero che ha avuto importanti risvolti non solo in
conversanti nel dominio consensuale realizzato dalla loro interattività, in altri ter- ambito biologico, ma anche in quelli filosofico, epistemologico, antropologi-
mini, “c’è comunicazione ogni volta che c’è coordinazione comportamentale in co, pedagogico ed etico, che lo hanno iscritto all’interno di quello scenario
un dominio di accoppiamento strutturale” (Maturana e Varela 1992, p.169). dell’epistemologia contemporanea, che rinuncia ad ogni pretesa riduzionista,
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abbracciando una visione complessa del reale, facendo propria l’immagine di senso, attraverso il processo del vivere, un processo che è, al tempo stesso,
metaforica della rete e del circolo, in cui non ci sono parti più importanti di azione di ri-strutturazione della realtà e di auto-formazione del soggetto.
altre, ma dove tutto è interconnesso e interdipendente. Per Maturana, infatti,
La teoria dell’autopoiesi si fonda sul concetto imprescindibile di “auto-orga-
nizzazione”, un termine che ha acquistato tutta la sua potenza esplicativa con come sistemi autopoietici molecolari, i sistemi viventi esistono in una dinamica con-
la Cibernetica, con i cui teorici Maturana era presto entrato in contatto. Co- tinua di cambiamenti strutturali generata internamente, che è modulata soltanto per
me ha riconosciuto Edgar Morin, infatti, le “virtù cibernetiche” consistono es- mezzo dei cambiamenti strutturali che si scatenano in essi per mezzo delle loro in-
senzialmente nell’aver fatto nascere “la prima scienza generale (fisica) avente per terazioni nel medio in cui esistono come totalità (Maturana 1997, p. 43).
oggetto l’organizzazione” (Morin 2001, p. 287).
Questa scienza, sorta nei primi anni Cinquanta del Novecento, e battezzata Per chiarire meglio questi concetti, egli ha posto una netta distinzione tra or-
“arte del pilota o del timoniere” da Norbert Wiener che ne viene considerato ganizzazione e struttura: la prima riguarda le relazioni tra i componenti di un
il fondatore, edificava una nuova “causalità circolare”, la retroazione. L’assimi- sistema che ne definiscono l’appartenenza ad una specifica classe e che ne co-
lazione degli organismi alle macchine era stata suggerita ai cibernetici dalla stituiscono, quindi l’identità, a prescindere dai reali componenti di cui esso è
constatazione che entrambi si caratterizzano per la capacità di compiere azio- formato; la seconda, invece, rappresenta, per così dire, l’incarnazione dell’or-
ni sul mondo, per il fatto cioè di “funzionare” come entità capaci di organiz- ganizzazione, cioè il suo particolare modo di concretizzarsi, con riferimento ai
zazione. I cibernetici inizialmente credevano che fosse possibile assimilare to- specifici componenti che la costituiscono. Pertanto, l’organizzazione deve ri-
talmente il comportamento delle macchine a quello degli organismi, perché manere necessariamente immutata, pena la disintegrazione del sistema, men-
entrambi si fondano su processi di autoregolazione. tre la struttura è dinamica, può variare da un sistema all’altro e anzi, in uno
L’auto-organizzazione, come si è detto, è l’elemento basilare su cui poggia il stesso sistema, deve subire continui cambiamenti per garantire il manteni-
concetto di autopoiesi, che Maturana elabora a partire dalle sue indagini sul- mento dell’organizzazione di fronte agli stimoli ambientali.
la percezione del colore negli animali, attraverso le quali giunge ad una sco- I sistemi autopoietici sono sistemi chiusi, autonomi, perchè subordinano tut-
perta da lui stesso definita “straordinaria”: il sistema nervoso è costituito da ti i loro cambiamenti strutturali alla conservazione della propria organizzazio-
un’organizzazione circolare, funziona cioè come una rete chiusa di interazio- ne, ma sono anche sistemi aperti, perché il loro comportamento è influenza-
ni. Lo scienziato comprende che questo schema a intreccio, in cui ogni com- to dalle perturbazioni dell’ambiente. La nozione di chiusura si riferisce, dun-
ponente ha la funzione di aiutare a produrre e a trasformare gli altri compo- que, all’organizzazione, mentre la nozione di apertura si riferisce alla struttu-
nenti, mantenendo nel contempo la circolarità globale del sistema, costituisce ra. La capacità di adattamento, di auto-trasformazione, al fine di conservare la
la forma di organizzazione del vivente. Questo significa che “è la circolarità propria organizzazione, è il meccanismo attraverso cui i sistemi autopoietici
della sua organizzazione che rende un sistema vivente un’unità di interazioni, regolano la loro apertura al medium.
ed è questa circolarità che esso deve mantenere per rimanere un sistema vi- Valentina De Angelis ha rilevato opportunamente che “la chiusura garantisce la
vente e per conservare la sua identità attraverso differenti interazioni” (Matu- capacità di un sistema di integrare il cambiamento e di conservare la propria au-
rana e Varela 1985, p. 55). Gli esseri viventi funzionano come il sistema ner- tonomia, di trasformarsi senza distruggersi” (De Angelis 1996, pp. 50-51).
voso, come una rete autonoma capace di auto-prodursi, di auto-organizzarsi, I sistemi viventi possono dunque realizzarsi attraverso differenti strutture di-
di auto-formarsi finché sopravvivono in un processo che dura tutta la vita. Il namiche e in continua trasformazione, senza perdere la propria natura: lo sche-
loro linguaggio, dunque, è circolare. ma di organizzazione, infatti, determina la loro identità e le loro caratteristiche
Questa scoperta, da un lato, ha posto l’accento sulla caratteristica essenziale dei essenziali, la struttura ne determina invece il comportamento. Questo dà ra-
sistemi viventi, ovvero sulla loro natura auto-organizzativa e auto-produttrice, gione del modo in cui Maturana intende il rapporto tra organismo e ambien-
appunto auto-poietica; dall’altro, ha segnato una svolta radicale in ambito epi- te, i quali, a parer suo, si influenzano a vicenda, innescando, ma non determi-
stemologico, portando ad intendere la conoscenza come continua produzione nando, reciproci cambiamenti strutturali: “Un sistema vivente, finché vive, è in
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relazione di corrispondenza dinamica con il medium attraverso il suo funzio- autopoietica. Questo vuol dire, che “i sistemi viventi sono sistemi cognitivi, e il
namento nel dominio d’esistenza. Vivere è scivolare attraverso un dominio di vivere in quanto processo è un processo di cognizione” (ib.). La cognizione, allo-
perturbazioni in una deriva ontogenetica che si attua con la realizzazione di ra non è una rappresentazione di un mondo che esiste indipendentemente dal
una nicchia in perenne trasformazione” (Maturana 1993, pp. 61-62). soggetto, ma è piuttosto la continua generazione di un mondo tramite il pro-
In questa particolare prospettiva, si giustificano anche processi come la sele- cesso della vita” (Capra 1997, p. 295). Vivere è conoscere.
zione, l’adattamento e l’evoluzione: “I sistemi viventi, interagendo in manie- Maturana definisce i sistemi autopoietici “strutturalmente determinati”, ma il
ra ricorrente tra di loro ed anche con il medium non-biotico, formano neces- termine determinismo non è sinonimo di “oggettività”, di staticità immo-
sariamente sistemi co-ontogenetici e co-filogenetici di derive strutturali in- dificabile e non implica affatto una limitazione definitiva, significa semplice-
trecciate, che durano fino a quando essi conservano la loro autopoiesi attra- mente che noi “siamo così. Siamo sistemi determinati nella nostra struttura, e
verso i loro accoppiamenti strutturali reciproci. Questa è l’evoluzione biologi- ciò che ci accade nelle nostre interazioni è costitutivamente determinato in
ca” (ivi, pp. 63-64). noi” (Maturana 1995, p. 193).
Alla base di tutto questo, lo scienziato pone il fenomeno dell’accoppiamento Questo vuol dire che le nostre interazioni scatenano cambiamenti, determinati
strutturale (Maturana 1993, p. 34), in base al quale un’unità può entrare in dalla nostra struttura, da come essa è in quel momento, frutto di un processo sto-
interazione col proprio ambiente solo se tale interazione non è distruttiva, e rico particolare, perché è solo nostro e ci identifica; vuol dire che tutti i fenome-
solo se la struttura dell’ambiente e quella dell’unità interagiscono come reci- ni umani, tutte le nostre esperienze, devono essere spiegati a partire da questo.
proche sorgenti di perturbazioni. Pertanto, il determinismo strutturale non è affatto, come potrebbe sembrare, una
Da questo particolare punto di vista, l’adattamento è dunque una continua restrizione, ma, al contrario, “è la nostra condizione di possibilità” (ib.).
lotta per la sopravvivenza, pertanto, “organismo e ambiente scatenano reci- L’organizzazione circolare auto-referente di un sistema vivente specifica quel
proci cambiamenti strutturali all’interno dei quali restano reciprocamente particolare dominio di interazioni che costituisce il suo dominio cognitivo, e
congruenti, in modo che ognuno si sottrae allo scontro con l’altro, seguendo nessun’altra interazione è possibile per esso che non sia prescritta dalla sua or-
le dimensioni che conservano organizzazione e adattamento; in caso contra- ganizzazione.
rio l’organismo muore” (Maturana e Devila 2006, p. 72). Questo vuol dire ancora una volta che vivere è conoscere. Il sistema nervoso allora
L’organismo attraversa quindi una continua trasformazione e percorre “un non crea cognizione, ma estende, per così dire, il dominio cognitivo degli orga-
continuo processo di divenire che è specificato attraverso una sequenza senza nismi che ne sono dotati, perché aumenta la possibilità di interazione.
fine di interazioni con entità indipendenti che scelgono i suoi cambiamenti di Cambia anche il concetto di apprendimento che non è inteso come un processo
stato ma non li specificano” (Maturana 1993, p. 84). di accumulazione di rappresentazioni dell’ambiente, ma è “un continuo processo
Maturana ha definito i sistemi viventi “sistemi cognitivi”, identificando la co- di trasformazione del comportamento attraverso il continuo cambiamento nella
gnizione con il processo stesso del vivere e la conoscenza con il funzionamen- capacità del sistema nervoso di sintetizzarlo” (Maturana e Verala 1985, p. 96).
to del sistema vivente, nel suo dominio di accoppiamento strutturale, cioè nel Muta anche il concetto di realtà, che non viene dedotta come un dato, ma di-
suo dominio d’esistenza. La cognizione è dunque interpretata come un feno- pende dal percettore, “non perché il percettore la costruisce secondo la pro-
meno biologico che si attua in un sistema vivente mentre e fino a quando esso pria fantasia, ma perché ciò che viene considerato come mondo pertinente è
funziona nel suo dominio di perturbazioni, è un processo che coinvolge l’inte- inseparabile dalla struttura del percettore” (AA.VV. 1994, p. 151).
ro regno vivente, si estende cioè a tutti i livelli, dagli unicellulari all’uomo. Il processo di interazione col mondo, dunque, è un processo cognitivo, di
Ogni atto cognitivo, infatti, dipende dalla struttura dell’organismo che non si creazione incessante, in cui si verifica una continua modificazione, non solo
limita a reagire passivamente agli stimoli ambientali, ma risponde con un’a- sul mondo, ma anche sul soggetto che lo osserva e che lo conosce. “Quando
zione, con un comportamento, con “cambiamenti strutturali” che sono “in- ci troviamo in interazioni ricorrenti nella convivenza, cambiamo in maniera
telligenti”, perché specificano quali perturbazioni provenienti dall’esterno in- congruente con la nostra situazione, con l’ambiente, e in senso stretto niente
nescano in esso i mutamenti, senza che egli perda la propria organizzazione è aleatorio, perché tutto ci capita in un presente interconnesso che si va gene-
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rando continuamente come trasformazione del campo di congruenze cui ap- Se questo è vero, bisogna avere il coraggio di ammettere che non esistono ve-
parteniamo” (Maturana e Devila 2006, p. 76). rità oggettive e assolute, che possono essere semplicemente acquisite dal mon-
Da queste affermazioni si comprende come Maturana tenga a sottolineare il ca- do esterno, e che la particolare maniera in cui si percepiscono gli oggetti è vi-
rattere peculiare della cognizione, il suo essere fondata sull’attività concreta del- sceralmente legata all’osservatore vivente.
l’intero organismo. Inoltre, “ogni cosa detta è detta da qualcuno” (Maturana e Un discorso analogo, nell’ambito della cultura spagnola da cui Maturana pro-
Varela 1992, p. 45). Questo è uno degli aforismi chiave dell’epistemologia del- viene, lo aveva fatto anche Ortega y Gasset, affermando che “ogni vita è un
lo scienziato cileno, che ha contribuito a ridefinire alcuni dei concetti fonda- punto di vista sull’universo” (Ortega y Gasset 1994, p. 134), pertanto “ogni co-
mentali su cui si era fondato il pensiero classico: il rapporto causa-effetto, che noscenza è conoscenza da un punto di vista determinato” (ib.).
egli ha sostituito con una causalità di tipo circolare, ispirata al feedback dei ci- Anche Maturana ha sottolineato l’irriducibile molteplicità dei punti di vista,
bernetici e posta alla base delle reti autopoietiche; il ruolo dell’osservatore, cui evidenziando il fatto che “nessun sistema assoluto di valori è possibile e tutte
egli ha ridato vigore, rendendolo elemento costitutivo di ogni conoscenza e fon- le verità e le falsità nel dominio culturale sono necessariamente relative” (Ma-
dando quella che lui ha definito ontologia dell’osservatore, che sancisce il crollo turana e Varela 1985, pp. 108-109).
del paradigma dell’oggettività, ponendola definitivamente tra parentesi. L’autore cileno definisce la conoscenza “azione adeguata”, a tutti i livelli di real-
Maturana prospetta dunque il passaggio, da una visione universale della real- tà. Nel caso degli esseri umani, il discorso non cambia, cambia solo il dominio
tà, unica e uguale per tutti, ad un “multiversum”, nel quale ci sono tanti do- in cui si agisce; l’azione sul mondo costituisce un atto cognitivo che avviene nel
mini di realtà quanti sono i domini di coerenze esperenziali dell’osservatore. dominio linguistico, attraverso il quale si costruisce un mondo di significati in-
Il soggetto è costitutivamente partecipe di ciò che osserva, non è più l’osser- sieme agli altri uomini. Il linguaggio, come si è detto all’inizio, è infatti per Ma-
vatore imparziale, il fotografo distaccato e impassibile di fronte a ciò che lo turana un modo particolare di vivere uniti nella coordinazione del fare. Con il
circonda, come voleva la scienza classica. L’autore cileno si trova pertanto in sorgere del linguaggio compare l’osservatore, che, attraverso interazioni consen-
perfetta sintonia con i risvolti avvenuti in ambito scientifico ed epistemologi- suali con gli altri uomini, specifica un mondo di oggetti “comuni”.
co d’inizio secolo, i quali hanno chiaramente dimostrato che la realtà nella Il cerchio a questo punto si chiude e si comprende meglio il senso del pensie-
quale viviamo è co-dipendente al nostro modo di ordinarla e che la scienza ro “complesso” di un autore, in cui tutti i singoli tasselli trovano collocazione,
“non può parlare semplicemente della natura ‘in sé’, ma presuppone sempre incastonati in un’unica cornice di senso e armonicamente interconnessi, come
l’uomo e noi, come ha suggerito Niels Bohr, dobbiamo prendere coscienza del i nodi di una rete. L’autopoiesi è la chiave per comprendere ogni forma vi-
fatto che nello spettacolo della vita non siamo solo spettatori, ma anche co- vente, perché ne costituisce l’organizzazione. È un processo di autoformazio-
stantemente attori” (Heisenberg 1985, p. 42-43). ne “intelligente” che sta alla base del processo cognitivo e che coinvolge l’in-
Così, “per la prima volta nella storia l’uomo ha di fronte a sé solo se stesso” tera vita, traducendosi in “azione adeguata” sul mondo.
(ivi, p. 49), e “il sogetto-osservatore sorprende il suo stesso volto nell’ogget- Questo comporta, per l’uomo, importanti conseguenze sul piano etico, com-
to della sua osservazione” (Morin 2001, p. 440). Questo avviene proprio porta cioè una responsabilità che Maturana estremizza riconducendola ad
perchè si comprende sempre di più il fatto che “ciò che osserviamo non è la ogni singola azione quotidiana: “Ogni atto umano ha senso etico. Questo le-
natura in sé stessa, ma la natura esposta ai nostri metodi d’indagine” (Hei- game fra gli esseri umani è in ultima analisi il fondamento di ogni etica come
senberg 1998, p. 72). In sintonia con tutto questo, Maturana fa ruotare la riflessione sulla legittimità della presenza dell’altro” (Maturana e Varela 1992,
sua riflessione attorno al soggetto, infatti “ogni esperienza conoscitiva coin- pp. 204). Il processo cognitivo non è, quindi, una semplice teoria, ma si con-
volge colui che conosce in un modo personale, radicato nella sua struttura cretizza in azione concreta di cui siamo assolutamente responsabili, “giacché
biologica” (Maturana e Varela 1992, p. 38). L’oggettività perde così il suo tutte le nostre azioni, senza eccezione, contribuiscono a formare il mondo in
fondamento, come ha scritto Heinz von Foerster, “quando percepiamo il cui esistiamo e a cui diamo valore proprio tramite esse, in un processo che co-
nostro ambiente, siamo noi stessi ad inventarlo” (von Foerster1987, p. 215), stituisce il nostro divenire” (Ivi, p. 205).
perché “percepire è fare” (Ivi, p. 217). Bisogna dunque seguire il percorso esplicativo dell’oggettività tra parentesi
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dove non esiste la verità assoluta ma numerose verità differenti valide in am- Maturana H., Dávila X. (2006) Emozioni e linguaggio in educazione e politica, trad. di
biti distinti. Bisogna evitare di cristallizzarsi su posizioni definitive e aprirsi al L. Cortese, Milano, Elèuthera.
dialogo responsabile, bisogna impedire cioè, come ha scritto Ortega “che ciò Morin E. (2001) Il Metodo. I. La natura della natura, trad. di G. Bocchi e A. Serra,
che è un morbido e dilatabile orizzonte si paralizzi diventando un mondo” (Or- Milano, Cortina.
tega y Gasset 1994, p. 136). Ortega y Gasset J. (1994) Il tema del nostro tempo, trad. di C. Rocco e A. Lozano Ma-
La conclusione di Maturana, è inequivocabile: “La responsabilità umana nei neiro, Milano, Sugarco Edizioni.
multiversi è totale” (Maturana 1993, p.126). von Foerster H. (1987) Sistemi che osservano, a cura di M. Ceruti e U. Telfner, Roma,
In considerazione di ciò, bisogna riconoscere la legittimità dell’altro anche nel Astrolabio-Ubaldini.
disaccordo, nella consapevolezza che il mondo che ciascuno di noi vede è solo uno
dei mondi possibili con cui veniamo a contatto insieme agli altri uomini.
Quello di Maturana è dunque un invito al dialogo reale e concreto, è un invito al
confronto e all’apertura verso l’altro, al rispetto e alla scelta responsabile. In quan-
to esseri viventi, esseri molecolari, autopoietici, siamo esseri autonomi, “chiusi”, se
si vuole utilizzare questo termine, “ma nel vivere non lo siamo” (Ivi, p. 40). Di
conseguenza, “quello che resta da fare, allora, è la ricerca di una prospettiva più
ampia, di un dominio di esperienza in cui anche l’altro abbia un posto e nel qua-
le possiamo costruire un mondo con lui” (Maturana 1992, p. 203).
Il linguaggio cognitivo dell’autopoiesi assume dunque anche una dimensione
etica che apre nuovi orizzonti e che prefigura nuove forme di interazioni so-
ciali, conferendo al discorso di Maturana una concretezza e una autorevolez-
za degne di ulteriori riflessioni.

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242 243
Antonella Russo quella comunicativa e quella cognitiva. La prima si avvicina di più al senso co-
Università degli studi di Bari mune, cioè il fine del linguaggio non è altro che quello di esprimere pensieri
Dottorato di ricerca in Teoria del Linguaggio e Scienze dei Segni (per questo motivo si parla anche di “funzione espressiva”), la seconda defini-
dell’Università di Bari sce il linguaggio non semplice strumento di espressione del pensiero, bensì
strumento di costruzione del pensiero (cfr. Ferretti e Gambarara 2005). A tal
proposito, Ferretti sottolinea che

mentre i fautori della concezione cognitiva riconoscono che il linguaggio abbia


anche una funzione comunicativa, i sostenitori della concezione comunicativa
Linguaggio, processi cognitivi non sono disposti a riconoscere il ruolo costitutivo del linguaggio nel pensiero.
e capacità di utopia (…) Oggi si assiste però a un sensibile mutamento di prospettiva. (…) È tempo
di ricomporre la contrapposizione: il linguaggio ha allo stesso tempo una funzio-
ne comunicativa e una funzione cognitiva (ib., p. 4).
Lo scopo di questo lavoro è analizzare la capacità utopica, partendo dalla no-
zione di linguaggio come congegno di modellazione primaria, teorizzato da Al linguaggio è spesso legata l’idea di comunicazione con ‘mezzi verbali’, cioè
Thomas A. Sebeok e come capacità creativa, gioco del fantasticare. ‘per mezzo della parola’ o ‘per mezzo di un linguaggio dei segni’ (come quel-
lo dei sordomuti). Sebeok, uno dei maggiori esponenti della semiotica con-
temporanea, evidenzia come non tutti gli esseri umani siano in grado di par-
1. Pensiero e linguaggio lare: nei bambini, ad esempio, la capacità di parlare si sviluppa solo progres-
Quando si parla, non solo si manifesta la padronanza dell’articolazione dei sivamente; alcuni non acquisiscono mai la parola, altri possono perderla in se-
suoni più o meno complessi, ma anche la capacità di formulare pensieri, opi- guito ad un trauma o a causa dell’invecchiamento. Nonostante queste limita-
nioni circa ciò che si vive in prima persona in quanto essere capace di prova- zioni, gli esseri umani privi della capacità di parlare, continuano a comunica-
re sentimenti, emozioni. Da ciò si evince la convinzione che la parola sia ga- re con mezzi non verbali. Negli esseri umani il canale acustico è solo uno dei
ranzia di pensiero e sua unica espressione, il pensiero viene ad identificarsi con tanti utilizzati per la comunicazione.
ciò che è espresso con le parole, cosicché una difficoltà nel linguaggio rivela, Infatti, secondo i più autorevoli studiosi di comunicazione integrale, messag-
secondo questa logica, un ritardo cognitivo. gi che a noi giungono durante una conversazione interpersonale sono caratte-
Partendo dal presupposto che parlare e pensare siano interdipendenti, la con- rizzati da:
cezione che per molto tempo ha dominato il dibattito filosofico – linguistico, 7% verbale tramite parole e contenuti espressi;
ha sostenuto che i sordi prelinguistici, ritenuti “privi di linguaggio”, avessero 38% di paraverbale attraverso toni, timbri, pause, legate al canale uditivo;
un deficit cognitivo tale da limitare l’acquisizione delle capacità di ragionare, 55% da linguaggio del corpo: gesti, posture, sguardi, mimiche facciali, atti
di concettualizzare, di astrarre. La capacità di usare il linguaggio era quindi ri- prossemici e cinestetici.
tenuta misura d’intelligenza. Studi recenti contrastano questa affermazione,
ritenendo che assenza di linguaggio verbale non implica assenza di linguaggio,
inteso come processo mentale. È stato, infatti, sperimentato, che l’abilità lin- 2. Il linguaggio come modellazione e il parlare come comunicazione
guistica non produca alcun incremento delle capacità cognitive: il linguaggio, Il linguaggio, nel senso di Sebeok, precede ogni costruzione, è essenzialmente fa-
infatti, è sì strumento privilegiato del pensiero, ma il pensiero senza linguag- coltà di gestire contenuti mentali e prima ancora di essere mezzo per la comuni-
gio (o meglio linguaggio verbale, il parlare) è comunque possibile. cazione, è un’organizzazione che si attualizza per mezzo della parola. La lingua rap-
Tradizionalmente sono state attribuite al linguaggio due funzioni primarie: presenta l’estrema realizzazione di un percorso nato nella mente degli individui.
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Il pensiero di Sebeok trova la sua più completa espressione nella distinzione il principio che qualsiasi organizzazione percepisce il proprio mondo a propria
fra comunicazione, linguaggio e parlare. Saussure usava il termine linguaggio immagine invece di rispecchiare l’universo così com’è, percepisce segni e da
per riferirsi al segnico verbale. Secondo Sebeok, invece, il termine linguaggio questi segni ognuno costruisce, secondo il proprio Bauplan preesistente, mo-
è da riferirsi sia ai segni verbali, quanto a quelli non verbali del mondo uma- delli mentali del mondo.
no. Il linguaggio verbale, a sua volta, si distingue in orale o vocale, cioè il par- Uexküll mostra, ad esempio, come un albero di quercia possa essere interpretato
lare, e il linguaggio scritto. in modi diversi a seconda dei vari tipi di interprete: nel boscaiolo l’albero è un
Per quanto riguarda la questione dell’origine del linguaggio, egli sostiene che oggetto inanimato da misurare accuratamente, mentre nel magico mondo di una
l’ominide era già dotato di linguaggio, ma come homo habilis non aveva an- bambina, la cui foresta è ancora abitata da gnomi e folletti, è un oggetto temibi-
cora la parola. Nel libro A Sign is Just a Sign, spiega l’evoluzione dal linguag- le, perché vede il tronco come un demonio minaccioso. Per la volpe, l’albero rap-
gio al parlare: presenta una dimora, avendo costruito la sua tana fra le radici, per il gufo i rami
A partire da 300.000 anni fa circa, una forma arcaica di Homo sapiens si svi- dell’albero sono una protezione, così per lo scoiattolo, le formiche, il coleottero
luppò dalla specie erectus, con la crescita della scatola cranica fino a 1400 cc, e tanti altri, la quercia che è un oggetto solidamente strutturato, diventa un fa-
e con molte novità concorrenti. È ragionevole concludere che questo umano scio di segni che “non sono compresi e non possono mai essere percepiti da tut-
premoderno avesse già la capacità di codificare il linguaggio in parlare e l’abi- ti i costruttori di queste Umwelten” (Sebeok 1979, trad. it. p. 47-48).
lità concomitante di decodificarlo dall’altra parte del cerchio comunicativo. Tutto il mondo vivente è in grado di comunicare ma solo l’essere umano è do-
L’Homo sapiens sapiens apparve soltanto 40.000 anni fa, e con il nostro cer- tato di linguaggio. Il parlare, speech, presuppone il linguaggio ed è uno fra i
vello che in media era di 1500 cc. (…) Il linguaggio andò sviluppandosi co- tanti congegni di comunicazione disponibili. Il bambino o il sordomuto che
me un adattamento; laddove il parlare si sviluppò dal linguaggio come un non parlano comunicano con altri mezzi, ma ciò non significa che non han-
exattamento derivato per un periodo che durò approssimativamente due mi- no una conoscenza (un modello) del mondo che li circonda. Come sostiene
lioni di anni (Sebeok 1991, trad. it. p. 113). anche Charles Morris, se usassimo il termine linguaggio come sinonimo di co-
Il linguaggio è un dispositivo biologico e rappresenta il sistema di modella- municazione, non vi è dubbio che anche gli animali sarebbero dotati di lin-
zione primaria, o meglio è un congegno di modellazione (a modeling device) guaggio. Infatti, all’animale non umano, non manca solo la parola (come
specie-specifico dell’essere umano, della specie “Homo”. Esso ha fatto la sua spesso si dice di un cane intelligente), ma il linguaggio (Cfr. Ponzio 2005).
comparsa nel corso dell’evoluzione storica dell’umanità fino ad arrivare all’- Tutti gli esseri viventi sono capaci di semiosi ma solo l’essere umano è in gra-
homo sapiens sapiens, molto tempo prima del parlare. Il linguaggio è, dun- do di usare segni per riflettere sui segni:
que, un lavoro prevalentemente mentale, a mind work come dice Sebeok,
mentre il parlare è più legato al lavoro dell’ascolto e della vocalizzazione. la definizione dell’uomo come l’animale che parla è errata: l’essere umano è l’ani-
Per Sebeok la mente è un sistema di segni, ovvero un modello di rappresenta- male dotato di linguaggio o scrittura. (…) Ciò lo rende non solo capace di semiosi,
zione del mondo, Umwelt. Il concetto di modello è ripreso dalla scuola di Mo- come gli altri essere viventi, cioè di usare segni, ma di usare segni per operare sui
sca – Tartu, in cui veniva utilizzato per indicare la lingua naturale come il si- segni, cioè capace di metasemiosi, o di semiotica (qui intesa come capacità e non
stema di modellazione primaria, mentre gli altri sistemi culturali come siste- come disciplina). Da questo punto di vista l’uomo è (l’unico sul nostro pianeta)
mi di modellazione secondaria. Egli estende la portata del concetto dal cam- animale semiotico (ib., p. 16).
po dell’antroposemiotica al campo della biologia, collegandolo e dunque ri-
prendendo il concetto di Umwelt (modello del mondo esterno) del biologo Ja-
kob von Uexküll e sottolineando come la capacità di modellazione sia pre- 3. Linguaggio/ scrittura e capacità utopica
sente in tutte le forme di vita. L’essere umano, a differenza delle altre specie viventi, può produrre più mon-
L’Umwelt, o l’ambiente soggettivo, è dunque il modello del mondo specifico di possibili, grazie al processo di costruzione, decostruzione e ricostruzione
della specie a cui la semiosi in questione appartiene. Il termine stesso implica basato sulla sua capacità di sintattica o scrittura ante litteram.
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La sintassi, la decostruzione e ricostruzione, la produzione di più mondi pos- te del linguaggio, come dice Lévinas, “prima che lo stiletto o la penna imprima
sibili, la semiotica, la capacità di valutazione, responsabilizzazione, inventiva, lettere su tavolette o sulla pergamena o sulla carta” (Ponzio 2004, pp. 99).
progettazione, sono tutte prerogative del linguaggio come modellazione pri-
maria, indipendente dal parlare, dal segno verbale e infunzionale alla soddi- In quanto scrittura non come trascrizione, la modellazione del linguaggio si ser-
sfazioni dei bisogni comunicativi. Infatti: ve di pezzi che possono essere messi insieme in un numero infinito di modi:

il linguaggio-sintattica dice della capacità meta-operativa specifica dell’umano, os- senza la capacità di scrittura, l’uomo non sarebbe in grado di articolare i suoni e
sia della capacità di agire anche in assenza di oggetti e di scopi (infunzionalità), di di individuare un numero limitato di tratti distintivi, i fonemi, da riprodurre fo-
inventare, astrarre; dice della capacità di meta-semiosi che distingue l’umano dagli neticamente. Senza la capacità di scrittura l’uomo non saprebbe comporre i fone-
esseri viventi, capaci soltanto di semiosi. Il linguaggio è la condizione della se- mi in maniera diversa per formare molteplici parole (monemi) e non saprebbe
miotica o meta-semiosi, in quanto riflessione o ricognizione e descrizione della se- comporre quest’ultime in maniera diversa, in sempre nuove enunciazioni, per
miosi (Ponzio, Caputo e Petrilli 2006, pp. 23-24). esprimere significati diversi e sensi diversi (Ponzio 2003, p. 56).

La capacità sintattica è la possibilità di significazioni diverse che si avvalgono de- Comporre qui può essere inteso come produrre e assume il significato di proget-
gli stessi oggetti con funzioni di interpretanti – interpretati, è la possibilità di usa- tare, inventare, creare utopie, che è una prerogativa della mente umana. L’utopi-
re un numero infinito di segni per costruire mondi diversi e dar luogo a utopie. cità della mente umana è quella capacità di tendere sempre verso alterità possibi-
Questa capacità è ritrovabile tutte le volte che si instaura il movimento verso li, sempre intenta ad elaborarne. La capacità utopica di riflessione sul mondo at-
l’ alterità, con un atteggiamento di ospitalità e responsabilità senza limiti. Dal tuale unita alla progettazione di un mondo altro, migliore, come alternativa a
momento che quello esistente è propria del linguaggio come congegno di modellazione prima-
rio ed è solo attraverso questo che trova la sua possibilità di espressione.
l’uomo è dotato di linguaggio, in quanto animale semiotico, il comportamento Un ruolo importante è svolto dall’immaginario, dal fantastico, dal gioco e dal
umano non è circoscrivibile nella comunicazione, nell’ essere, nell’ ontologia. In piacere di giocare, di inventare, dal gioco del fantasticare. Il gioco del fantasti-
questo senso si manifesta capace di alterità. Al di là delle alternative previste nell’ care, espressione ripresa da Charles Peirce, che dà il titolo ad un libro di Se-
essere del mondo della comunicazione esso può presentarsi come altro e contrap- beok, e che Rossi-Landi ha identificato come “lavoro immateriale”, è la ten-
porre possibilità altre. (…) Questa capacità di animale semiotico di portarsi al di denza universale della mente umana al sognare, è la caratteristica specifica del-
là dell’essere e del mondo della comunicazione, lo rende assolutamente responsa- l’uomo di costruire modelli astratti per mezzo di ipotesi e abduzioni e per
bile non solo della riproduzione sociale, ma anche, inscindibilmente da essa, del- mezzo della sintassi, che con un numero limitato di elementi produce, per
la vita dell’intero pianeta. Essa gli toglie tutti gli alibi che avrebbe se le sue possi- montaggio e smontaggio, mondi diversi, fondati su ipotesi, utopie, invenzio-
bilità di interpretazione, di risposta, di azione fossero unicamente quelle previste ni narrative e ogni altra forma di creazione artistica.
dall’essere della comunicazione del mondo che ha costruito, se le sue scelte do- Vico parla di logica poetica, secondo cui la mente umana è predisposta a intui-
vessero restare confinate fra le alternative di questo mondo e non fossero invece re, a creare. La capacità di fantasia e ingegno non è solo una prerogativa di scrit-
capaci, come sono, di alterità (cfr. Ponzio 1999). tori o poeti, ma tutti la possiedono, in quanto capaci di associazioni metaforiche.
Il pensiero utopico tende a rappresentare una realtà alternativa al fine di dimo-
È nella scrittura come modalità costitutiva del linguaggio come modellazione strare che quella esistente è solo una delle tante possibili. Gli scrittori di utopie,
primaria, che la parola acquisisce la capacità di innovazione e inventiva. Scrit- grazie all’espediente della trasposizione di una società in un luogo inesplorato o
tura nel senso che esiste prima della lettera, ancora prima dell’invenzione della in un ipotetico futuro, attuano un vero e proprio esperimento mentale.
scrittura come sistema di trascrizione della phoné, prima del collegamento del La capacità di immaginazione, infunzionale, improduttiva, creativa permette
linguaggio con la fonazione e della formazione delle lingue. La scrittura fa par- la progettazione di nuovi mondi da punti di vista diversi: la distribuzione del-
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le risorse, la divisione del lavoro, l’organizzazione della società, della famiglia, Ponzio A., Caputo C., Petrilli S. (2006) Tesi per il futuro anteriore della semiotica. Il
degli affetti, della vita nella sua globalità. programma di ricerca della Scuola di Bari – Lecce, Milano, Mimesi.
Attraverso la creatività e la progettualità, l’uomo realista si basa su ciò – che – Sebeok T.A. (1979) The Sign & Its Masters, Lanham, University Press of America,
è, al fine di edificare ciò – che – sarà. Chi sa da dove viene, può ragionevol- trad. it. Il segno e i suoi maestri, Bari, Adriatica 1985.
mente pensare a dove gli è dato arrivare e dunque è in grado di agire in vista Sebeok T.A. (1991) A Sign is Just a Sign, Bloomington, Indiana University Press, trad.
del bene proprio e del bene comune. it. A Sign is Just a Sign. La semiotica globale, Milano, Spirali 1998.
L’intento dell’Utopia è spronare gli uomini a mutare, migliorare le condizio- Servier J. (2002) Storia dell’utopia. Il sogno dell’occidente da Platone ad Aldous Huxley,
ni esistenti, di indurre il lettore ad ispirare il proprio pensiero e la propria Roma, Edizioni Mediterranee.
azione ad un paradigma ideale risultato della riflessione umana, in grado di
modificare il corso della storia:

sono le nostre utopie che ci rendono il mondo tollerabile: sono le città e gli edifici
che la gente sogna, quelli in cui finalmente vivrà. Più gli uomini reagiscono alla
propria condizione e la trasformano secondo modelli umani, tanto più intensa-
mente vivono nell’utopia. L’uomo cammina con i piedi in terra e la testa in aria
(Mumford 1922, trad. it. p. 28).

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Adriani M. (1961) L’Utopia, Roma, Studium.
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evoluzione

Domenica Bruni, Vivian M. De La Cruz, Maria Primo


Università degli studi di Messina
Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive
dell’Università di Messina
Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive

Evoluzione e linguaggio.
L’origine della produzione vocale
1. Introduzione
Soltanto una specie possiede un sistema comunicativo così complesso come il
linguaggio umano. Nel tentativo di capire come esso sia emerso nella preistoria,
ci siamo serviti dello studio comparativo del linguaggio con altri sistemi comu-
nicativi animali. I progressi recenti nei campi della cognizione e del comporta-
mento sociale dei primati e dei bambini umani, dell’archeologia, delle neuro-
scienze, dell’intelligenza artificiale, ecc., ci forniscono evidenze indirette sulle
quali elaborare ipotesi sulle origini e l’evoluzione del linguaggio. Queste ipotesi
sono sempre più vincolate da “evidenze concrete” perché si sforzano di essere co-
erenti con i principi della biologia evoluzionistica. Il linguaggio umano, non-
ostante sia un sistema unico e singolare, è pur sempre un sistema biologico. Le
singole lingue umane, inoltre, sono anch’esse tramandate culturalmente, e sono
sistemi complessi a loro volta soggetti a mutamenti e ad evoluzione.
Secondo i linguisti che lavorano nel campo dell’evoluzione del linguaggio, in
particolare, la nostra ricerca delle origini del linguaggio umano deve comin-
ciare partendo dalla struttura del linguaggio stesso. Essi ritengono, infatti, che
le ipotesi che cercano di spiegare come il linguaggio sia comparso e si sia evo-
luto nella nostra specie dovrebbero essere coerenti con le proprietà osservate
nelle lingue moderne e con ciò che sappiamo dello sviluppo del linguaggio nei
bambini. Inoltre, secondo quelli che studiano il linguaggio in sé, è necessario
capire cos’è il linguaggio e spiegare come è diventato ciò che è.
Le ipotesi qui presentate si concentrano su modelli di funzione linguistica.
253
L’approccio utilizzato è “bottom-up”: si sostiene che la fonologia, nonostante zione come coproduzione (Fowler 1980). La teoria motoria assume come fon-
manchi di ricorsività, quella qualità tanto discussa e che alcuni sostengono sia damentale il legame tra produzione e percezione sostenendo che la produzio-
la proprietà centrale del linguaggio, abbia il suo proprio tipo di infinità dis- ne di un elevato numero di fonemi al secondo (circa 10-15) non sarebbe pos-
creta, l’uso infinito di elementi finiti (discreti), proprio come la sintassi. In al- sibile se ogni fono fosse prodotto in serie. È solo grazie al controllo separato
tre parole, nel linguaggio umano troviamo un set illimitato di parole dotate di degli articolatori – attraverso il quale un singolo “gesto” (una specifica
significato che sono formate tramite la combinazione di un set limitato di uni- configurazione dell’apparato fonatorio) porta informazioni in parallelo sui
tà discrete fonetiche, che a loro volta non sono dotate di significato. Queste segmenti successivi – che i movimenti vengono prodotti in parallelo permet-
unità discrete fonetiche nella loro essenza possono essere considerate le basi tendo: 1) di ottenere una performance ad alta velocità con un meccanismo a
sulle quali si poggia il linguaggio, i precursori necessari della sintassi. bassa velocità e 2) di abbassare la velocità di percezione. La teoria di C. Fo-
Una delle domande cruciali alle quali bisogna dare risposta è come la specie wler prevede che la coarticolazione (vale a dire l’influenza che un fono subisce
umana abbia raggiunto il controllo volontario della vocalizzazione. Le teorie dis- dai suoni adiacenti) risulti dalla coproduzione di gesti potenzialmente so-
cusse presentano un’ipotesi basata sull’imitazione vocale. Molte specie animali, vrapponentisi. In quest’ottica i gesti sono delle unità invarianti (indipendenti
ed in particolare alcune specie di uccelli, sono in grado di replicare suoni. Altre dal contesto), pianificate in parallelo e coprodotte col contesto, in questo sen-
specie molto più vicine a noi, come ad esempio i primati, non sembrano capa- so i gesti non vengono modificati nella realizzazione concreta.
ci di imitazione vocale, nonostante abbiano un apparato vocale molto più simi- I fautori della fonologia articolatoria sostengono che l’unità minima di pro-
le al nostro rispetto a quello degli uccelli. Lo studio comparato dei meccanismi duzione sia il gesto articolatorio. I gesti hanno tre caratteristiche: sono azioni,
che rendono possibile la replicazione del suono in alcune specie animali po- e quindi sono dinamici e non statici; non sono neutrali all’articolazione e al-
trebbe fornire un ulteriore tessera nel mosaico dell’evoluzione del linguaggio. l’acustica, ma hanno piuttosto una natura articolatoria; infine, sono unità ge-
Potremmo riassumere, quindi, che l’obiettivo di questa comunicazione è mo- stuali potenzialmente sovrapponentisi.
strare un’ipotesi circa le origini della fonologia, (1) partendo da una prospettiva
che tiene presente la natura articolatoria, dinamica, delle unità minime della pro-
duzione vocale, (2) ridimensionando il ruolo preminente dato all’anatomia del
tratto vocale umano, e (3) mettendo in rilievo il meccanismo dell’imitazione.

2. La natura articolatoria del suono


Secondo l’ipotesi della fonologia articolatoria (Browman e Goldstein
1986,1989,1992) i suoni del parlato sono azioni, unità che rappresentano la
“dinamicità” del suono e la sua natura strettamente articolatoria, i gesti artico-
latori. Il gesto articolatorio è il movimento che un articolatore compie per pro-
durre un suono. È chiaro che questa nozione non coincide con quella di fono, Figura 1. I gesti articolatori nella produzione di /pan/ (da Fowler 2003)
almeno per tre motivi: (1) primo, perché per la produzione di un fono possono
essere necessari più gesti, (2) perché il gesto può avere una durata maggiore o Questa nozione di gesto unifica la dicotomia esistente tra fonetica e fonolo-
minore di quella del fono, (3) perché il gesto ha una fase di preparazione della gia, tra piano dell’espressione e piano del contenuto, perché l’unità che viene
costrizione, una di tenuta e una di rilascio, mentre il fono è un’unità statica. pianificata non è diversa da quella prodotta. Inoltre, il gesto non è un’unità
La fonologia gestuale trae la sua origine da due importanti teorie, la teoria unicamente linguistica, come lo sono i foni, i fonemi o i tratti distintivi che
motoria della percezione del parlato (Liberman, Shankweiler, Cooper e Stud- li compongono; esso rappresenta un elemento di continuità sia in chiave filo-
dert-Kennedy 1967, Liberman e Mattingly 1985) e la teoria della coarticola- genetica che ontogenetica con le vocalizzazioni non linguistiche.
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3. Infinità discreta 4. L’evoluzione della differenziazione fonologica
Rendere conto dell’evoluzione della fonologia significa rendere conto anche Secondo Studdert-Kennedy le prime forme di comunicazione sarebbero state
dell’evoluzione della sua proprietà essenziale, vale a dire il meccanismo combi- delle vocalizzazioni semplici, non il prodotto di una combinazione di organi di-
natorio, la possibilità d’uso infinito di elementi discreti. Come ha notato Stud- stinti e a ognuna di esse sarebbe corrisposto un significato preciso. Potremmo
dert-Kennedy, tale meccanismo rappresenta per la fonologia ciò che la ricorsi- considerare queste espressioni non come forme arcaiche di fonemi, ma piutto-
vità rappresenta per la sintassi, l’infinità discreta. Ma se Chomsky, nella sua vi- sto come delle protosillabe, emerse dai gesti orofacciali, utilizzati in altre fun-
sione sintattocentrica, considera la ricorsività l’essenza del linguaggio, ciò che lo zioni. Questa è ad esempio l’ipotesi di P.F. MacNeilage secondo cui la sillaba è
rende effettivamente speciale ed unico, l’idea che qui si vuole sostenere è che il emersa dal ciclo mandibolare di apertura e chiusura tipico della masticazione.
meccanismo combinatorio ha una sua complessità – che va spiegata in termini La molla che ha fatto scattare la necessità di imparare a differenziare i suoni è
di evoluzione graduale – e che esso può fungere da base per lo sviluppo della stata la spinta lessicale, l’esigenza di allargare le possibilità di azioni discrete di
sintassi. Infatti, è possibile pensare che la sintassi si sia evoluta solo quando i se- parlato per soddisfare un aumentato bisogno comunicativo. In pratica, la
gnali olistici sono diventati stringhe formate da combinazioni di elementi dis- pressione a riutilizzare gli articolatori è conseguenza del fatto che gli articola-
creti. Ancora, contrariamente a quanto si è ritenuto nella fonetica tradizionale, tori sono pochi di numero, questo dovrebbe essere secondo Studdert-Ken-
la gerarchia combinatoria non è tipicamente linguistica, ma si presenta in na- nedy alla base dei meccanismi combinatori.
tura ogni volta che occorre generare una grande diversità di strutture, usando Il meccanismo che ha causato la differenziazione fonologica è l’imitazione vo-
un numero ristretto di elementi (Fisher 1930); anzi, è la condizione matemati- cale, l’ipotesi di Studdert-Kennedy è che il fattore cruciale nella differenzia-
camente necessaria di tutti i sistemi naturali che fanno uso infinito di mezzi zione dell’apparato umano facciale e vocale sia stata l’evoluzione dell’imita-
finiti, tra cui la fisica, la chimica, la genetica e il linguaggio. Tale concetto è no- zione facciale e vocale, comportamento presente unicamente negli esseri uma-
to come principio particolato dei sistemi auto-diversificantisi (Abler 1989). I si- ni fra i primati. L’essenza dell’imitazione facciale è la capacità di riconoscere
stemi di questo tipo hanno tre caratteristiche: primo, le unità discrete sono corrispondenze nelle relazioni degli organi tra se stessi e i conspecifici.
combinate ripetutamente per produrre unità più grandi poste al di sopra di es- L’idea di Studdert-Kennedy è che l’imitazione vocale si sia sviluppata dall’i-
se in una gerarchia di livelli di complessità crescente; secondo, ad ogni livello mitazione facciale, già presente come sistema di comunicazione nella cultura
della gerarchia, le unità più grandi hanno strutture e funzioni che vanno al di dell’Homo erectus (secondo l’ipotesi della mimesi di M. Donald) e che, quan-
là di quelle dei loro costituenti; infine, le unità che si combinano in unità più do il sistema di comunicazione vocale si è aggiunto a quello mimetico nella
grandi non perdono la loro integrità, ma riemergono attraverso dei meccanismi transizione dall’Homo erectus all’Homo sapiens, il sistema facciale di neuroni
di interazione fisica, chimica o genetica, o nel caso del linguaggio, attraverso la specchio si sia gradualmente esteso agli organi vocali. Ciò è plausibile perché
percezione del parlato e dalla comprensione del linguaggio. Nell’ambito degli i cambiamenti articolatori, ad esempio i movimenti delle labbra o della man-
studi sull’evoluzione del linguaggio, il principio particolato ha una duplice im- dibola modificano il tratto vocale e quindi la struttura spettrale delle vocaliz-
portanza: fa derivare la doppia articolazione da un principio extra-linguistico più zazioni. In questo modo, l’abilità nell’imitazione vocale si è evoluta oltre quel-
ampio, e poi pone il linguaggio come una gerarchia di crescente portata e com- la per l’imitazione facciale, conducendo alla differenziazione del tratto vocale.
plessità che evolve da stadi basilari di riferimento simbolico e fonetica combi- Il risultato finale di tale processo sembrerebbe essere un sistema di neuroni
natoria, attraverso la semplice combinazione tra le parole di un proto-linguag- specchio finemente differenziato per la produzione verbale per la nostra spe-
gio, alle strutture combinatorie elaborate della sintassi ricorsiva. In questo sen- cie. L’imitazione di una parola richiede la segmentazione implicita dell’atto
so ogni passo nell’evoluzione del linguaggio pone le condizioni per il passo suc- percepito nei suoi gesti componenti e il loro ri-assemblaggio nella corretta se-
cessivo, vale a dire che, per capire come è emersa la complessità bisogna anda- quenza spazio-temporale. Questo è evidente nelle prime parole dei bambini:
re a rintracciare gli elementi che l’hanno costruita. essi riescono a creare una corrispondenza tra i loro organi e quelli degli adul-
ti, ma falliscono nell’esecuzione della corretta ampiezza spaziale o temporale
dei gesti, inoltre essi considerano la parola intera come il target da raggiunge-
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re, e i gesti non sono differenziati in pieno dai contesti in cui compaiono. In torio anatomicamente diverso dall’apparato vocale umano, proprio in virtù di
seguito, è il riutilizzo dello stesso organo in diversi contesti che porta al con- questo meccanismo riescono a controllare i loro organi per replicare ciò che
trollo indipendente e libero dal contesto di un determinato organo. Se, quin- ascoltano. Nel nostro studio ci limiteremo ad osservare soltanto le vocalizza-
di, si stabilisce un parallelo tra lo sviluppo ontogenetico e filogenetico, si può zioni nei primati non umani e nei pappagalli. Gli scimpanzè hanno un appa-
ipotizzare che le sei componenti dell’apparato vocale (punta, corpo e radice rato fonatorio non molto diverso dal nostro, ma non possiedono la capacità
della lingua, labbra, velo e laringe) sono emerse come organi controllati indi- di imitazione vocale, mentre i pappagalli il cui tratto vocale è completamente
pendentemente, insieme all’evoluzione dell’imitazione vocale. Evolutivamen- diverso dal nostro possiedono la capacità di imitazione vocale (Hauser 1996).
te, quindi, secondo Studdert-Kennedy ciò che ha permesso l’emergere di uni- Le produzioni dei pappagalli ci mostrano che nonostante essi abbiano un ap-
tà fonetiche discrete, è stata la differenziazione degli organi discreti del tratto parato fonatorio completamento diverso dal nostro, attraverso il meccanismo
vocale. Sono poi i processi di accomodamento o sintonizzazione fonologica dell’imitazione vocale possono imparare ad utilizzare e a controllare i loro or-
tra parlanti-ascoltatori, nelle diverse comunità linguistiche, a dare vita a di- gani per replicare i suoni che ascoltano. È stato evidenziato anche come essi
verse categorie fonologiche, all’interno dei continua linguistici, sia attraverso imparino ad utilizzare organi diversi da quelli umani corrispondenti, ad esem-
la mutua mimica vocale sia, semplicemente, attraverso le interazioni senso- pio non avendo a disposizione le labbra per produrre l’occlusiva bilabiale, rea-
motorie di basso livello senza pressioni funzionali a comunicare. Questi studi lizzano la /p/ attraverso una sorta di parlato esofageo, utilizzando la siringe.
di sintonizzazione indicano come le categorie discrete possono svilupparsi P. Lieberman ha studiato gli aspetti articolatori e acustici delle possibilità di
lungo i continua gestuali che sono svuotati dei naturali limiti delle categorie. realizzazione vocale negli scimpanzè e nei gorilla. In particolare ha descritto
Le categorie possono emergere come conseguenze automatiche dell’auto-or- quali sono i modi e i luoghi di articolazione e ha mostrato attraverso un’ana-
ganizzazione della ricerca casuale nello spazio fonetico e delle interazioni ca- lisi elettroacustica le modulazioni del loro tratto vocale.
suali tra parlanti-ascoltatori sotto certe costrizioni percettivo-motorie (esempi
di quest’ultimo tipo possono essere tratti dalle simulazioni al computer di si- Tratti fonetici umani Sordità vs. sonorità
stemi vocalici auto-organizzantisi, Oudeyer 2006). Occlusiva
VOT
Abbassamento / innalzamento
5. Due esempi della frequenza fondamentale
La capacità di imitare suoni e parole rappresenta un aspetto cruciale per l’ap- Tratti fonetici non umani Orale vs. nasale
prendimento e la comprensione del linguaggio. La nozione di imitazione por- Variazioni del sacco laringeo
ta con sé numerose accezioni che possono essere raggruppate in due grandi fa-
miglie. Da un lato, quando parliamo di imitazione, ci riferiamo alla capacità Tabella 1. Basata su Lieberman 1977
di replicare un atto dopo averlo visto compiere da un altro soggetto, questo
implica che percepire e agire, osservare e fare possiedono, dunque, uno sche- L’idea è che al di là delle differenze morfologiche, o delle omologie cerebrali,
ma rappresentazionale comune. Dall’altro lato, invece, imitare vuol dire os- nei primati non umani manca un vero e proprio meccanismo di imitazione
servare un soggetto e conseguentemente apprendere e riprodurre un pattern vocale, manca cioè un dispositivo che permette di imparare a controllare gli
d’azione nuovo che non è custodito nel proprio patrimonio motorio. organi fonatori. Tale meccanismo è importante non solo nella ripetizione di
Imitare suoni mai sentiti prima rappresenta, com’ è noto, la base della comu- un suono ma, soprattutto nella formazione dei fonemi in una comunità lin-
nicazione umana, ma non è una capacità esclusivamente umana. Esistono spe- guistica, perché permette agli interlocutori di riaggiustare o sintonizzare i fo-
cie, all’interno del complesso e variegato regno animale, in grado di imitare e ni e di organizzarli in un sistema.
ripetere suoni e frasi di qualsiasi tipo. A questo gruppo appartengono alcune
specie di cetacei, mammiferi e uccelli che, pur possedendo un apparato fona-
258 259
6. Conclusioni Fowler C.A. (1980) Coarticulation and theories of extrinsic timing, Journal of Pho-
Le questioni fin qui esposte ci permettono di affermare che l’evoluzione del- netics, 8, pp. 113-133.
l’apparato fonatorio non è una condizione sufficiente per l’emergere delle lin- Hauser M.D. (1996) The evolution of Communication, Cambridge, (MA), MIT Press.
gue orali. Non basta che questo tratto sia stato selezionato, occorre imparare ad Hauser M.D. (2000) Wild Minds, Henry Holt & Co., New York., trad. it. Menti sel-
“usarlo” e, perciò, diventa fondamentale la capacità di imitare. Conseguenze vage, Roma, Newton & Compton, 2002.
immediate di questo meccanismo sono almeno due: (1) imparando a riprodur- Hauser M.D., Chomsky N., Fitch W.T. (2002) The faculty of language: what is it,
re dei suoni si impara anche a controllare separatamente gli organi del tratto vo- who has it, and how did it evolve?, Science 298, pp. 1569-1579.
cale; (2) la capacità di sintonizzazione o di accomodamento fa sì che le produ- Hauser M.D., Fitch W.T. (2003) What are the uniquely human components of the lan-
zioni siano facilmente comprese e distinte le une dalle altre dai conspecifici. Da guage faculty?, in Christiansen M.H., Kirby S. (eds.).
quest’ultimo punto deriva direttamente la possibilità di creare un inventario fo- Liberman A.M., Cooper F.S., Shankweiler D.P., Studdert-Kennedy M. (1967) Per-
nologico, un insieme di suoni privi in sé di significato ma, combinabili in strut- ception of the Speech Code, Psychological review, vol. 74, 6, pp. 431-461.
ture più complesse, come i morfemi e le parole. In conclusione, il processo imi- Liberman A.M., Mattingly I. (1985) The Motor Theory of Speech Perception revi-
tativo funge da base iniziale per lo sviluppo di un processo di complessità cre- sed, Cognition 21, pp. 1-36.
scente, che può spiegare come le capacità cognitive e l’interazione con i con- Lieberman P. (1975) On the Origins of Language: An Introduction to the Evolution of
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e riconoscimento di sé
Osservare il comportamento altrui e fornirne delle previsioni possibili fa par-
te di un processo attributivo che riguarda una capacità nota, tra le diverse
espressioni usate in letteratura, come capacità di mentalizzazione.
Questa abilità ci permette di percepire e predire le intenzioni delle altre per-
sone orientandoci all’osservazione delle loro condotte, pur in assenza di reso-
conti linguistici; siamo inoltre in grado di creare coesioni sociali riconoscen-
do e attribuendo ai nostri simili una mente. La circostanza di poter percepire
“segnali sociali” come le emozioni, le azioni, l’attenzione o le decisioni altrui
rivela un considerevole vantaggio di reciprocità pubblica.
In accordo con l’approccio simulazionista, il meccanismo che mettiamo in at-
to mettendoci nei panni mentali altrui si esercita con un complesso processo
di attribuzione assumendo prospettive differenti. Attribuiamo agli altri indi-
vidui stati mentali allo scopo di predirne il comportamento, agiamo metten-
doci nei loro panni e immaginando cosa penseremmo e proveremmo noi se
fossimo nelle loro condizioni.
Intratteniamo con i nostri simili relazioni basate su una particolare modalità
di interazione, mediata dall’attribuzione di stati mentali, ovvero la previsione
comportamentale. Prevedere il comportamento di un altro individuo, imma-
ginando gli stati mentali intrattenuti in determinate circostanze, consente di
stabilire legami basati su un’aspettativa sulle relazioni interpersonali. Consi-
derare la mente altrui una risorsa collettiva è un dato decisivo negli studi sul-
la cognizione sociale (Adolphs 2006).
Attribuire una mente agli altri individui è la manifestazione di una capaci-
tà essenziale nella strutturazione della propria identità individuale e sociale.
262 263
Nell’ambito di tali riflessioni, una questione fondamentale riguarda la cir- bitudine a considerare come sinonime le due espressioni appena menzionate
costanza che gli esseri umani sono individui che nel corso dello sviluppo ac- può essere però fonte di confusione. Benché alcuni studiosi (Castelli, Happé,
quisiscono la capacità di distinguere creature che possiedono una vita men- Frith e Frith 1999, Vogeley et al. 2000, Ruby e Decety 2001) facciano riferi-
tale dalle creature inanimate. Quello che manca agli oggetti e che siamo dis- mento al PT considerandola una capacità mediata dai processi di mentalizza-
posti solo in parte a riconoscere negli altri animali è l’esistenza di una men- zione, in realtà ci sono ragioni per credere che le cose stiano diversamente.
te che permette di creare una prospettiva sulle cose. La capacità di assume- All’interno della distinzione tra processi di mentalizzazione di basso e alto livel-
re prospettive differenti può realizzarsi in diverse condizioni: quando siamo lo cercherò di mostrare come il PT e il MPT siano processi cognitivi distinti e
interessati ad immaginare una certa scena sperimentando punti di vista di- come quindi convenga usare le due espressioni tenendo conto del fatto che nel-
versi da quello reale oppure tentando di assumere il punto di vista degli al- l’esecuzione dei due compiti sono coinvolti processi di attribuzione differenti.
tri individui simulandone la vita mentale. Questi due meccanismi regolano La capacità di assumere un punto di vista differente dal proprio immaginan-
processi di simulazione differenti. do cosa si potrebbe percepire trovandosi in un luogo diverso da quello reale si
L’attribuzione psicologica infatti non svolge il suo compito solo quando sia- realizza elaborando le informazioni presenti nell’ambiente. Assumendo le in-
mo impegnati a figurarci cosa passa per la testa delle altre persone ma anche dicazioni percettive disponibili possiamo rappresentarci la scena fingendo di
quando si tratta di immaginare cosa si vedrebbe da un punto percettivo di- occupare lo spazio da angolazioni diverse.
verso dal nostro. La circostanza di assumere prospettive differenti può realiz- In letteratura, il PT viene considerata una competenza mediata dall’attribu-
zarsi in occasioni mediate da meccanismi distinti. Può accadere, ad esempio, zione di stati mentali (Castelli, Happé, Frith e Frith 1999, Vogeley et al. 2000,
di avere l’intenzione di immaginare una scena che potrebbe presentarsi se oc- Ruby e Decety, 2001). Tuttavia, assumere la prospettiva percettiva occupata
cupassimo un altro luogo oppure potremmo essere interessati ad assumere i da un altro individuo non comporta processi di mentalizzazione di alto livel-
panni mentali degli altri individui. In questa occasione, assumere un punto di lo piuttosto il riconoscimento di esperienze percettive.
vista differente considerando gli altri individui creature (o agenti) mentali è Questa competenze è mediata sia dalla possibilità di cogliere informazioni
l’aspetto che permette di differenziare i due meccanismi. ambientali (Gibson 1999, Lee 1999) sia da capacità di percezione di sé ma-
Nonostante l’attribuzione psicologica sia una capacità pervasiva dell’esperienza turate nel corso dello sviluppo (Neisser 1999, Mitchell 1997).
umana l’attitudine all’attribuzione di stati mentali non può considerarsi un at- L’idea di kinesthetic visual matching (corrispondenza visiva e cinestetica) elabo-
to immediato dell’esperienza né una capacità che si presenta in modo unitario. rata dallo psicologo Robert Mitchell fa riferimento alla capacità di percezione
Competenze differenti mediate da livelli diversi di mentalizzazione rendono cinestetica e proriocettiva e alla percezione somatosensoriale. Un ruolo rilevan-
questa capacità un fenomeno che è possibile indagare per mezzo dei mecca- te viene svolto dalla propriocezione, la percezione di sé che dà luogo a quella
nismi che entrano in gioco in diverse fasi della lettura della mente. particolare esperienza che Neisser definisce “Sé ecologico” (Neisser 1993).
L’indagine sui momenti in cui emerge la comprensione della mente negli al- Che il PT sia una capacità genuina è testimoniato da alcune evidenze speri-
tri individui può essere analizzata osservando una capacità da tempo conside- mentali che suggeriscono che la sua elaborazione è selettivamente localizzata
rata come prova della strutturazione della coscienza di sé (Gallup 1970, Zaz- nel cervello.
zo 1977). Il riconoscimento di se stessi segue infatti un percorso affatto uni- La capacità di first-person-perspective, secondo alcuni studiosi (Vogeley e
tario mediato in un primo momento da capacità di organizzazione spaziale e Fink 2003), sarebbe correlata ad aree diverse da quelle coinvolte nei sofistica-
di percezione del proprio corpo (Neisser 1993, Mitchell 1997) e in un secon- ti processi mediati dalla Theory of Mind (ToM).
do momento da competenze che rendono il riconoscimento di sé un fenome- In uno studio pubblicato dalla rivista NeuroImage alcuni ricercatori (Aich-
no mediato dall’attribuzione psicologica. horn, Perner, Kronbichler, Staffen e Ladurner 2006) hanno rilevato che l’area
In letteratura, l’abilità di immaginarsi coinvolti in una scena sperimentando coinvolta nei processi più alti di lettura della mente non è attiva nei compiti
punti di vista diversi da quello reale è indicata con l’espressione Perspective Ta- che richiedono l’assunzione della prospettiva visiva di un altro individuo. Co-
king (PT) o, talvolta, con l’espressione Mental Perspective Taking (MPT). L’a- involgendo alcuni volontari in compiti che richiedevano di considerare la pro-
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spettiva visiva di un’altra persona i ricercatori hanno osservato che durante abbiamo la stessa prospettiva visiva di un altro posto di fronte. È quindi co-
compiti di visual perspective taking non è implicata un’area considerata de- me se assumessimo i panni dell’immagine simulandone l’esperienza visiva.
terminante nei processi di mentalizzazione, la corteccia mediale prefrontale, Una prova di tale meccanismo viene esibita in un particolare momento duran-
(MPFC), ma una regione, la giunzione temporo-parietale (TPJ), che appare te l’auto-osservazione allo specchio. In un periodo che precede l’esito positivo
esclusiva nell’elaborazione delle prospettive visive altrui. della prova della macchia il bambino è in grado di comprendere il meccanismo
La MPFC è un’area attiva dei compiti di predizione comportamentale e della speculare. Infatti, alla comparsa di un oggetto riflesso davanti a sé volge il suo
capacità di cogliere le conseguenze emotive di certi stati mentali (Frith e Frith sguardo andando ad ispezionare lo spazio reale (Campanelli e Pennetta 2004).
2003). L’attivazione di un’area differente mostra come il PT, che nell’esperi- Il comportamento del “voltarsi” è particolarmente interessante perchè implica la
mento citato media la simulazione di una esperienza visiva, sia un meccanismo capacità di assunzione di una prospettiva diversa dalla propria. Compiendo
coinvolto in circostanze che non richiedono attribuzione di stati mentali. un’inferenza percettiva che consente di indovinare la posizione reale degli og-
Le osservazioni che riguardano il meccanismo del PT possono essere rilevate getti riflessi il bambino mostra di aver compreso la prospettiva da assumere.
anche dagli studi sperimentali sul riconoscimento di sé. Questa condotta può essere considerata un precursore di una capacità di simu-
Riconoscere la propria immagine riflessa in uno specchio è un’esperienza con- lazione mediata da un processo più sofisticato di mentalizzazione, il MPT. Que-
siderata prova costitutiva della coscienza di sé (Gallup 1970, Keenan 2003). st’ultima capacità è dipendente da un livello di simulazione che comporta l’as-
Gli studiosi che si sono impegnati nell’indagine di questo fenomeno (Am- sunzione di prospettive altrui sulla base dell’attribuzione di una vita mentale.
sterdam 1972, Zazzo 1977) convergono sul fatto che il riconoscimento di sé Il processo di mentalizzazione non è un fenomeno che emerge in modo uni-
allo specchio non è un atto immediato. I bambini esibiscono reazioni di tipo tario e l’articolazione in livelli del processo attributivo mostra la complessità
differente che dipendono dal periodo dello sviluppo in cui vengono esposti al- del fenomeno.
la propria immagine riflessa (Boulanger-Belleyguer 1967, Zazzo 1993). Non- La distinzione in due livelli di lettura della mente è presente in un saggio scritto
ostante i bambini riescano a superare intorno ai due anni la prova della mac- da Coricelli (2005) nel quale viene presa in considerazione l’ipotesi che la lettu-
chia, un test sperimentale basato sull’osservazione di comportamenti autodi- ra della mente sia distinta in un livello mediato da processi automatici e precon-
retti allo specchio in assenza di resoconti linguistici, pare che non sia implica- cettuali e in un secondo livello determinato da abilità più sofisticate di ragiona-
ta la capacità di riflettere su uno stato mentale del tipo “come sono io” di so- mento, da capacità empatiche e da processi di simulazione. Recentemente, in let-
lito, oppure, come sostengono gli studiosi Simon Baron-Cohen (1988) e Ka- teratura tale articolazione è presente nel lavoro elaborato da Goldman (2006) il
therine Loveland (1999), di avere la consapevolezza che il sé può essere og- quale distingue il processo di simulazione in basso livello ed alto livello.
getto della considerazione di un altro. In entrambe le distinzioni, i processi che riguardano il grado più automatico,
Il riconoscimento di sé, in questo primo livello, si presenta manifestando capaci- primitivo secondo Goldman, si manifesterebbero nella capacità di riconosci-
tà che non implicano abilità di attribuzione mentale ma che riguardano compe- mento delle espressioni facciali. In questo livello, che viene sperimentato abba-
tenze automatiche, di organizzazione spaziale, e di percezione del proprio corpo. stanza precocemente nell’ontogenesi, sarebbero inoltre in gioco meccanismi au-
Su questa tesi si basano le osservazioni di Mitchell (1997) il quale, nel riconosci- tomatici che si realizzano nella capacità di imitazione di alcune azioni, soprat-
mento allo specchio, esamina la relazione tra la capacità propriocettiva, cineste- tutto quelle che riguardano le espressioni facciali (Melzoff e Moore 1977). Que-
tica e sensoriale rispetto alla percezione della posizione del proprio corpo e alla sta competenza sarebbe fondamentale nel processo di riconoscimento dell’altro
immagine visiva. La sua teoria è basata sull’idea di kinesthetic-visual matching e come agente intenzionale e nel riconoscimento del proprio volto riflesso.
riguarda la connessione tra l’abilità di imitare e di superare il mark test. Le competenze prese in esame, il PT, il superamento della prova della macchia
Questa corrispondenza sarebbe fondamentale perché gli individui riescano ad e le capacità di mentalizzazione di primo livello appena citate, non sono me-
avere una percezione del proprio corpo come differente da un altro, consen- diate dall’attribuzione di stati mentali tuttavia costituiscono il livello su cui si
tirebbe inoltre di manifestare quelle condotte dipendenti dal processo attri- basano capacità attributive volontarie.
butivo del PT. In effetti, quando siamo di fronte ad uno specchio nel riflesso A differenza del primo meccanismo di simulazione il MPT è invece mediato
266 267
da quelle capacità di mentalizzazione che permettono di simulare il compor- Riferimenti bibliografici
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Zazzo R. (1997) Riflessi, Torino, Bollati Boringhieri. zione tra specie dotate di ragione e specie completamente dipendenti dagli
istinti non sembra essere sostenibile ormai da tempo; non lo è soprattutto
la tentazione di collocare l’uomo in una posizione in qualche modo privile-
giata. Perché, dunque, il comportamento del migratore non può essere con-
siderato riprovevole, laddove quello di un umano che si comporti allo stes-
so modo certamente lo sarebbe? Il problema posto da Darwin nell’Origine
dell’uomo è quello assai delicato dell’origine della morale. La sua spiegazio-
ne, tuttavia, non ha nulla di metafisico; l’uomo è un essere morale perché
non può fare a meno di riandare spesso con la mente alle azioni, le impres-
sioni e le immagini passate, approvandone alcune e disapprovandone altre.
Sembrerebbe legittimo chiedersi, dunque, quale vantaggio può comportare
una tale capacità: senso di colpa, vergogna e dispiacere non sembrano esat-
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tamente delle belle ricompense evolutive! Lo stesso Darwin forniva un’indi-
cazione per rispondere alla questione: “la coscienza guarda all’indietro per
servire da guida per il futuro” (ivi, p. 145).
L’obiettivo di questo intervento può essere sintetizzato come quello di dare
corpo, attraverso l’indagine empirica, all’intuizione di Darwin. Il tempo –
non solo passato, ma anche futuro – è intrecciato alla coscienza, nello spe-
cifico a quella consapevolezza di sé come essere morale, che richiede la com-
prensione della propria dimensione temporale; questa forma di coscienza è
definita “autonoetica” (Wheeler, Stuss e Tulving 1997). Il punto di partenza
della nostra indagine sono gli studi sulla memoria; mostreremo, infatti, che la
coscienza autonoetica dipende dallo specifico sistema neurocognitivo della
memoria episodica; tuttavia, da una prospettiva evolutiva, l’autonoesi svolge
un ruolo adattativo che non è correlato alla possibilità di accedere al passato Figura 1. Schema delle relazioni tra i sistemi di memoria. Modello SPI,
di per sé, quanto a quella di anticipare il futuro. Discuteremo, dunque, una serial–parallel–indipendent (Fonte, Tulving 2001)
tassonomia di sistemi per l’anticipazione del futuro in relazione alla tassono-
mia dei sistemi di memoria e mostreremo che un ruolo fondamentale in que- L’idea centrale è che le relazioni tra i sistemi di memoria siano specifiche per
sto processo è svolto dalle emozioni. processo: la codifica è seriale, l’immagazzinamento è parallelo e il recupero è
indipendente. Il prodotto della codifica ad ogni livello della gerarchia può es-
sere trasmesso al livello superiore o immagazzinato a quel livello o entrambe le
1. Coscienza autonoetica e memoria episodica cose; dal fatto che l’immagazzinamento è parallelo segue direttamente che il re-
Nonostante il senso comune sia portato a pensare alla memoria come ad una cupero dell’informazione può avvenire in modo indipendente. Il modello por-
facoltà unitaria è ormai un fatto comprovato che essa sia costituita da mol- ta a diverse predizioni ed è, dunque, falsificabile. Contrariamente a quanto tra-
teplici sistemi. Innanzi tutto dobbiamo distinguere tra memoria non di- dizionalmente pensato, un singolo evento non lascia una singola traccia in me-
chiarativa – un cui componente centrale è il sistema procedurale – e me- moria, piuttosto le sue caratteristiche sono ampiamente, ma sistematicamente
moria dichiarativa, all’interno della quale distinguiamo una memoria se- distribuite tra i diversi sistemi. Il livello più basilare, quello del sistema rappre-
mantica ed una episodica. Questa tassonomia si caratterizza in relazione al- sentazionale percettivo riceve, immagazzina e rende disponibili per gli altri si-
le strutture e ai processi attraverso i quali l’informazione è codificata, im- stemi le informazioni relative all’ambiente percettivo; il sistema della memoria
magazzinata o ritrovata. Tuttavia, Tulving (1985) ha suggerito che per dar semantica aggiunge le informazioni relative agli aspetti concettuali e semantici
conto adeguatamente della distinzione occorre considerare anche il tipo di di oggetti, eventi, relazioni, stati del mondo; infine, la memoria episodica pro-
consapevolezza associato a ciascun sistema; egli ha sostenuto che la memo- cessa l’informazione relativa al coinvolgimento di sé nell’evento e alla sua col-
ria procedurale è a-noetica (senza consapevolezza), quella semantica è noe- locazione temporale. La memoria semantica produce, dunque, una rappresen-
tica (consapevole) e quella episodica è autonoetica (autoconsapevole). Mol- tazione astratta e impersonale di certi “fatti” che costituiscono la base di cono-
ti aspetti interessanti della distinzione possono essere colti considerando il scenze del soggetto; la memoria episodica rappresenta, invece, “eventi” unici e
modello SPI, serial–parallel–indipendent (Fig. 1), che esemplifica le relazio- peculiari, contestualmente ben definiti, relativi al passato dell’individuo. Una
ni tra i diversi sistemi (Tulving 2001). memoria episodica è caratterizzata da un intrinseco riferimento a sé come pro-
tagonista dell’evento e dalla sensazione che William James (1890) definiva di
“calore e intimità”, cioè la sensazione di vissuto che accompagna la rappresen-
tazione dell’evento. Tuttavia, il senso dell’evento come appartenente al passato
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personale non risiede nelle tracce come tali, piuttosto emerge come prodotto 2. Rappresentazioni autonoetiche
fenomenicamente percepito, nella fase di recupero dell’informazione, cioè Cosa abbiamo mangiato a colazione stamattina? Che differenza c’è tra saperlo e
quando l’evento è ricostruito. L’accesso al passato può assumere due forme. ricordarlo? Se la colazione consiste sempre nel solito caffè, una rappresentazio-
Molte volte accade di incontrare qualcuno per strada e di avere la sensazione ne semantica del fatto sarà sufficiente a permetterci di rispondere alla prima do-
che quel volto non ci sia nuovo, tuttavia non sempre siamo abili ad indivi- manda. Il ricordo dell’evento richiede, invece, una rappresentazione aggiuntiva
duare il momento preciso o il contesto specifico in cui abbiamo incontrato del fatto che abbiamo assaporato il caffè o che ne abbiamo sentito l’odore; in
quella persona. Alcuni esperimenti hanno attestato che, di fronte ad elemen- breve, una memoria episodica della nostra colazione richiede di rappresentare
ti incontrati in precedenza, anche in laboratorio si manifesta una reazione si- anche l’atto di esperire l’evento. Queste rappresentazioni aggiuntive sono estre-
mile. La definizione di coscienza autonoetica è stata operazionalizzata distin- mamente rilevanti; quando siamo in grado di elaborarle aggiungiamo alla pos-
guendo questi due modi di accedere al passato, che gli psicologi hanno defini- sibilità di “sapere” qualcosa, quella di “sapere perché sappiamo” qualcosa. Il pas-
to sapere e ricordare (Gardiner 2001). Il paradigma sperimentale utilizzato per saggio centrale è la possibilità di focalizzare l’attenzione sulla propria esperien-
fare tale distinzione sfrutta un approccio in prima persona, cioè basato sulla za: la questione è stabilire quando e come ciò accade. Una prima osservazione è
capacità degli individui di produrre resoconti introspettivi della propria espe- che per focalizzare l’attenzione sulla propria esperienza è necessario un certo gra-
rienza soggettiva; in breve, i soggetti dovevano stabilire se “ricordavano” una do di distacco dalla realtà esterna. In termini significativi, sia dal punto di vista
parola di una lista precedentemente studiata, cioè se erano capaci di recupe- cognitivo che neurobiologico, questo distacco può essere vagliato dalla prospet-
rare l’evento di aver visto la parola sulla lista, oppure se “sapevano” di averla tiva del contrasto tra cognizione on-line e off-line.
vista prima, semplicemente perché appariva loro familiare. Questi resoconti Quando rappresentiamo consapevolmente esperienze passate (ma anche
mostravano delle consistenti regolarità tra gli individui e potevano essere pre- quando immaginiamo esperienze future) l’apparato cognitivo è fatto funzio-
detti e manipolati. Inoltre, gli studi di imaging e il modello della dissociazio- nare off-line, cioè in modo indipendente dalla stimolazione esterna. Questo
ne tra i due processi che si osserva in certe patologie ne hanno rivelato i cor- permette di elaborare modelli ipotetici della realtà e, per esempio, di mettere
relati neurali (per una rassegna, Tulving 2001). alla prova mentalmente il comportamento, in modo da non dover mettere in
Queste considerazioni sono importanti perché quando si afferma che la fun- atto prove reali e non dover patire le eventuali conseguenze: per citare un’os-
zione specifica della memoria episodica è ricordare, si fa riferimento al si- servazione di Popper, ciò “consente alle nostre ipotesi di morire al nostro po-
gnificato del termine implicato dal paradigma sapere-ricordare. La coscienza sto” (Dennett 1995, p. 475). Il meccanismo che sorregge questa dissociazio-
autonoetica designa, dunque, specificamente questa modalità di accesso al- ne dallo stato attuale è un livello basilare di metarappresentazione che è stato
l’informazione, per la quale si è consapevoli che l’evento rappresentato è sta- definito rappresentazione secondaria (Perner 1991); una questione interessante
to personalmente esperito; tale consapevolezza si manifesta come l’esperienza per una prospettiva evolutiva è stabilire se anche altri animali condividono
rievocativa di riviverlo. Si deve notare che solo il processo di ricordare è effet- questo requisito di base. È bene notare che la richiesta è più specifica rispetto
tivamente rivolto al passato; la modalità noetica che caratterizza la memoria a quella di non essere vincolati dallo stimolo esterno; il modo in cui molti ani-
semantica consente di accedere e di fare uso di informazione che è stata ac- mali rappresentano il proprio ambiente non lascia dubbi circa questa loro ca-
quisita nel passato, tuttavia non intrattiene una relazione rappresentazionale pacità, essi infatti non si limitano a riprodurre internamente una copia del-
specifica con il tempo. Ai fini di un’indagine esplicativamente valida sulla l’ambiente esterno, piuttosto costruiscono modelli dell’ambiente integrando
mente autonoetica, la questione interessante è stabilire come questa esperien- informazioni attraverso varie modalità percettive.
za sia possibile: da cosa dipende l’esperienza del ricordo? Proviamo ad entrare Tali modelli permettono di gestire in tempo reale le richieste e le stimolazio-
nel merito degli specifici processi mentali coinvolti. ni esterne, in quanto vengono costantemente aggiornati, integrando la nuova
informazione disponibile o sostituendo e cancellando quella precedente. Ciò
che stiamo chiedendo è, invece, se gli animali possono distaccarsi da questi
modelli della realtà più direttamente collegati al sistema percettivo e concepi-
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re modelli ipotetici o alternativi. La risposta sembra essere affermativa, alme- dizi per inferirlo; tuttavia, solo i bambini più grandi sono capaci di dire da qua-
no per le scimmie antropomorfe. Tramite rappresentazioni secondarie (Sud- le di queste tre fonti proviene la loro conoscenza.
dendorf e Whiten 2001) esse possono elaborare mentalmente scenari o im- Il punto che ci interessa sottolineare è che la comprensione della fonte espe-
magini multiple della realtà e confrontarli con la situazione corrente; lo atte- rienziale della conoscenza attesta uno sviluppo mentale più generale che consi-
stano diverse loro abilità, come il ragionamento mezzi-fini, l’insight, il supe- ste nel passaggio dal livello delle rappresentazioni secondarie a quello delle me-
ramento dei test di permanenza dell’oggetto: in tutti questi casi, si deve con- tarappresentazioni vere e proprie. La capacità di elaborare metarappresentazio-
siderare una situazione ipotetica (una desiderata, per esempio) e, su questa ba- ni è ciò che permette di aggiungere alla conoscenza delle cose, la conoscenza del
se, agire per trasformare quella reale. Le rappresentazioni secondarie consen- motivo per cui conosciamo le cose. Solo questa conoscenza aggiuntiva, veicola-
tono di accedere ad un livello basilare di mentalizzazione: anche nei casi di at- ta da quelle che potremmo definire “rappresentazioni autonoetiche”, produce
tribuzione di (certi) stati mentali si tratta, infatti, di ragionare da una situa- l’esperienza tipica del ricordo: solo se è possibile rappresentare l’evento come vis-
zione percepibile ad una che, essendo relativa a stati interni, può essere solo suto personalmente, è possibile provare l’esperienza di riviverlo. Dal punto di
inferita; le antropomorfe manifestano questa capacità nella gestione di intera- vista comparativo, attualmente nessun altro primate ha dato prove convincenti
zioni fondate sull’inganno, l’empatia, l’imitazione. Poiché ciò che stiamo in- di poter raggiungere questo livello più sofisticato di pensiero metarappresenta-
dagando è la possibilità di riflettere su se stesso e sulla propria esperienza, par- zionale. In sintesi, le antropomorfe condividono il livello di rappresentazioni se-
ticolarmente significativo è che in questo spazio si costituisce anche un primo condarie, dal quale emerge e sul quale poggia il funzionamento della mente au-
fondamentale livello di auto-consapevolezza. Nell’ontogenesi umana questo tonoetica, ma da tale spazio condiviso hanno origine capacità che aprono una
insieme di capacità compare intorno ai due anni; dobbiamo notare che la dimensione specificamente umana di esperienza.
comparazione tra primati umani e non umani è fondamentale per la questio- Resta ancora da affrontare, tuttavia, il nodo centrale della questione; stabilito
ne del continuismo evolutivo, per mostrare, cioè, che certi tratti sono omolo- che autonoetica è la mente che rappresenta esperienze soggettive e che di con-
ghi e, dunque, frutto di un’evoluzione la cui radice è comune. seguenza può esperire la propria dimensione temporale e stabilito che i requi-
Il funzionamento della mente autonoetica dipende in modo cruciale dalla pos- siti per una tale mente sono in parte condivisi con altri primati, in parte pos-
sibilità di distaccarsi dalla realtà e oltrepassare la situazione corrente per costi- seduti solo dagli umani, dobbiamo chiarire in cosa consistono propriamente
tuire quello spazio mentale entro cui è possibile rappresentare eventi ed oggetti i vantaggi che una tale capacità conferisce ai suoi beneficiari. In altre parole, a
passati o futuri. Questo è il punto fondamentale: le rappresentazioni secondarie cosa serve la coscienza autonoetica?
sono la condizione necessaria e imprescindibile per l’evoluzione, lo sviluppo e il
funzionamento effettivo della mente autonoetica. Lo sono, in quanto costitui-
scono la chiave del passaggio dal funzionamento on-line a quello off-line. Tut- 3. Il ruolo adattativo della mente autonoetica
tavia, come abbiamo già affermato, il senso specifico di ricordare è quello di rap- Secondo Darwin, la coscienza del passato serve ad anticipare il futuro; tutta-
presentare qualcosa come esperito; un individuo ricorda effettivamente qualco- via, non tutte le forme di anticipazione richiedono il tipo di coscienza del
sa se è capace di rappresentare la relazione tra ciò che egli attualmente conosce tempo che abbiamo indagato in queste pagine. Innanzi tutto dobbiamo di-
(“la parola pera era sulla lista”) e l’origine percettiva di quella conoscenza (“so stinguere tra comportamenti orientati al futuro e cognizione del futuro; l’i-
che la parola pera era sulla lista perché ho visto la parola pera sulla lista”). Perner stinto di migrazione, per esempio, è una forma di anticipazione del primo ge-
e Ruffman (1995) hanno dimostrano che la capacità di rappresentare la relazio- nere e che, com’è evidente, ha poco a che fare con la capacità autonoetica. La
ne tra percezione e conoscenza è necessaria per superare i test di memoria epi- questione inizia a richiedere distinzioni più sottili quando compariamo certe
sodica e i bambini acquisiscono questa abilità solo intorno ai quattro anni. Al- forme di anticipazione con la gerarchia dei sistemi di memoria (si consideri
lo stesso modo Gopnik e Graf (1988) hanno rilevato che bambini di 3 e 5 an- ancora il modello SPI); la nostra idea è che ciascun sistema sorregga forme
ni dichiarano facilmente cosa è contenuto in un cassetto dopo che lo sperimen- specifiche di orientamento al futuro e che queste forme possano essere intese
tatore 1. dice loro di che oggetto si tratta, 2. glielo mostra o 3. fornisce loro in- dalla prospettiva di una crescente flessibilità. Il sistema percettivo rappresen-
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tazionale permette, per esempio, forme di anticipazione dipendenti dall’ap- Il lavoro di Damasio (1994) è un punto di riferimento importante; egli ha mo-
prendimento associativo (come quello stimolo-risposta) e dal priming percet- strato che il ragionamento astratto governato da regole di inferenza è una base
tivo; si tratta, però, di comportamenti rigidi, in quanto dipendenti dalla pre- insufficiente per dar conto di come si prendono decisioni; ciò che conta in que-
senza di uno stimolo. Con la memoria semantica le risorse anticipatorie del- sti processi sono gli stati affettivi associati ai ragionamenti. Attraverso processi
l’organismo aumentano considerevolmente, infatti a questo livello la cono- di apprendimento, certi significati emotivi vengono associati a degli stimoli; in
scenza è accessibile ed esprimibile flessibilmente e, quindi, può essere trasferi- tal modo, lo stimolo innesca automaticamente una reazione emotiva che gui-
ta volontariamente da un contesto all’altro; grazie a tali caratteristiche, la me- da la risposta dell’organismo. L’aspetto per noi più interessante è che questo
moria semantica fornisce la base per il ragionamento analogico ed inferenzia- processo non funziona solo quando lo stimolo attivante è percepibile; il fatto
le e, dunque, per pensare stati di cose non direttamente percepibili. Più nello più importante è che attraverso l’anello “come se” le stesse reazioni emotive
specifico, poiché la memoria semantica riguarda la conoscenza generale di un possono essere innescate nella cognizione off-line, semplicemente pensando al-
individuo, essa consente di fare certe predizioni basate sul riconoscimento di lo stimolo attivante. Così, se stiamo pensando di fare qualcosa che potrebbe ar-
aspetti costanti e regolari dell’ambiente e delle situazioni; questa informazio- recarci vantaggio, ma essere dannoso per un rapporto di amicizia, il pensiero di
ne può essere utilizzata in forme di pianificazione intelligente, nella quale si come potrebbero evolvere i fatti è accompagnato da certe emozioni che mar-
richiede, cioè, di elaborare mentalmente certe possibili opzioni comporta- cano alcune conclusioni in modo negativo ed altre in modo positivo e, di con-
mentali per rispondere alle contingenze esterne. seguenza, orientano la scelta verso una certa direzione piuttosto che un’altra. Il
Quali vantaggi aggiuntivi potrebbe comportare la memoria episodica rispetto ruolo delle emozioni è davvero centrale per spiegare com’è possibile che scena-
a questa importante conquista? La risposta è che la ricostruzione autonoetica ri di eventi lontani nel tempo possano influire sul comportamento attuale del-
del passato consente di accedere anche alle informazioni che caratterizzano l’individuo; esse spiegano, per esempio, perché si può sacrificare il benessere
singolarmente l’episodio. L’accesso all’informazione che codifica la fonte del- presente per quello futuro e inibire la tendenza al soddisfacimento immediato
la propria conoscenza permette, infatti, di ricostruire l’evento stesso di ap- dei propri bisogni a vantaggio del soddisfacimento di bisogni solo previsti ma
prendimento e, allora, anche le particolarità che caratterizzano un evento. non ancora esperiti. Il punto chiave è che quando vengono attivate nella co-
Grazie a tali conoscenze aggiuntive diventiamo più abili a valutare e a con- gnizione off-line, le emozioni comportano un mutamento nello stato motiva-
frontare la probabilità di certi eventi futuri e a delineare maggiori dettagli cir- zionale dell’individuo e allora bisogni lontani possono determinare il compor-
ca quegli eventi; le opzioni comportamentali a disposizione aumentano e, di tamento presente perché sono avvertiti come più motivanti. Che esse svolgano
conseguenza, aumenta la flessibilità delle scelte. una funzione così centrale è testimoniato dal fatto che quando non interven-
Tuttavia, le simulazioni o le costruzioni di scenari, nel passato e nel futuro, ri- gono nella presa di decisione, le conseguenze possono essere catastrofiche; gli
chiedono, come abbiamo visto, che l’apparato cognitivo sia fatto funzionare off- individui che a causa di danni cerebrali prefrontali perdono la capacità di “ra-
line; la cognizione off-line è associata con il concetto di cognizione “fredda”, per gionare emotivamente” ne sono la conferma. In questi casi, l’inerzia motiva-
sottolineare il distacco dagli stimoli percettivi. A questo punto si apre, allora, un zionale si traduce in una sorta di “miopia al futuro”: non potendo valutare le
problema; quando il soggetto elabora processi off-line non risponde diretta- conclusioni delle proprie azioni diventa impossibile utilizzare l’esperienza pre-
mente alle stimolazioni esterne: da dove trae, allora, la motivazione ad agire? Ta- cedente per evitare errori o conseguenze dannose. Questo ci riconduce alla
le spinta deve provenire da stati motivazionali, quindi, per definizione, “caldi”. questione di partenza e ci spinge verso una conclusione.
Se i processi “freddi” non vengono associati con quelli “caldi” costituiti dagli sta- Pare che Darwin avesse ragione: il ricordo del passato ha senso perché ci per-
ti affettivi, le nostre simulazioni sono destinate a rimanere motivazionalmente mette di creare delle simulazioni flessibili di ciò che potrebbe accadere in fu-
inerti. Come fa, dunque, il pensiero del passato o l’immaginazione del futuro turo; tali scenari mentali ci proiettano nel tempo e, integrati con meccanismi
ad influire effettivamente sul comportamento presente? Abbiamo bisogno di un basilari di motivazione del comportamento, hanno la peculiare proprietà di
meccanismo interno che possa spiegare come trasformiamo questi pensieri in creare un essere capace di imparare dagli errori e di provare rimorso. L’indagi-
azioni; l’idea è che questo meccanismo siano le nostre emozioni. ne sulla mente autonoetica è la chiave di accesso ad una storia naturale della
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morale che salvaguardi la nostra specificità di umani senza porre cesure nette Valentina Cuccio
tra la nostra e le altre specie. Università degli studi di Palermo
Dottorato di ricerca in Filosofia del Linguaggio e della Mente
dell’Università di Palermo
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tualmente contrapposti a quelli presentati da Chomsky. L’idea della sola ri-
corsività come costituente della facoltà del linguaggio in senso stretto è stata
messa in discussione da prove sperimentali che sembrano avvallare l’idea che
molto di più sia specifico ed unico per il linguaggio. Si ritrovano caratteristi-
che specifiche nel sistema concettuale-intenzionale, nella percezione e nella
produzione linguistica, nella fonologia e nell’acquisizione del lessico.
Cosa debba intendersi per modulo del linguaggio ed in che senso questo mo-
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dulo debba considerarsi autonomo da abilità cognitive non prettamente lin- un particolare disturbo linguistico in una famiglia, per convenzione la fami-
guistiche è, dunque, una questione tutta da definire. Di certo c’è che oggi glia KE. La metà dei membri di questa famiglia ha un deficit di articolazione
molti di coloro che si interessano a tali questioni non disdegnano il ricorso ai linguistica che Myrna Gopnik descrive come una specifica difficoltà gramma-
dati sperimentali. Se in passato si rispondeva a queste domande con argo- ticale. Questo problema grammaticale si esprime soprattutto nell’uso dei dis-
mentazioni di tipo filosofico oggi, invece, si presta molta più attenzione a positivi linguistici che marcano numero, genere e tempo.
quanto accade nei laboratori di psicologi, biologi e genetisti. Tutti i membri affetti da disturbo linguistico presentano la concomitante muta-
Negli ultimi anni soprattutto in ambito linguistico, è diventato frequente il ri- zione del gene FOXP2 nel cromosoma 7; non si riscontrano anomalie genetiche
corso allo studio delle patologie genetiche. Queste sembrano attestare, in più di nei membri immuni da difficoltà linguistiche. I membri con mutazione genetica
un caso, deficit selettivi proprio della facoltà del linguaggio. Quale migliore pro- non hanno, però, solo un disturbo specificamente linguistico a fronte di abilità per
va della modularità delle abilità linguistiche se non quella di un deficit che col- il resto integralmente preservate. In questi individui si riscontrano deficit nel si-
pisca selettivamente il linguaggio lasciando integro tutto il resto? Se poi questo stema oro-facciale, ovvero quello che consente di coordinare i movimenti dei mu-
deficit è anche di natura genetica è possibile non solo affermare che il linguag- scoli del viso e della bocca, nel controllo dei movimenti ritmici in azioni sequen-
gio sia un modulo autonomo ma addirittura individuarne il gene responsabile. ziali e nella percezione e produzione dei ritmi sonori. Tutte queste abilità che, pur
Siamo davvero all’alba della genetica cognitiva, come vorrebbe Steven Pinker? non rientrando nell’idea di modulo del linguaggio in senso stretto, tuttavia, inter-
Per rispondere a questa domanda vediamo di capire perché le patologie gene- feriscono con un corretto uso della lingua rendendo difficile, ad esempio, artico-
tiche sono ritenute una buona prova della modularità delle funzioni cogniti- lare e separare le parole tanto nella produzione quanto nella comprensione.
ve e perché noi riteniamo, invece, che non possano costituire un valido argo- Oggi si sa che il gene FOXP2 regola l’attività di altri geni ed ha, dunque, un
mento a sostegno dell’ipotesi della modularità del linguaggio. effetto sullo sviluppo di diversi organi e che regola lo sviluppo di alcune siste-
I disturbi dello sviluppo di origine genetica mostrano la dissociazione delle abi- mi cerebrali importanti per l’acquisizione del linguaggio. Ad esempio, FOXP2
lità cognitive e, dunque, il loro funzionamento per moduli autonomi. Si regi- presiede alla produzione di una proteina (forkhead protein) il cui ruolo è im-
strano in pazienti con sindromi genetiche tre diversi tipi di associazione o disso- portante, tra l’altro, per il corretto sviluppo di abilità motorie fini e per la co-
ciazione di deficit. Si può riscontrare la presenza concomitante di deficit in due ordinazione e la produzione di sequenze ritmiche (verbali e non-verbali). È
aree cognitive diverse. Poniamo che un paziente presenti costantemente la con- bene sottolineare che nello sviluppo il rapporto tra i singoli geni e le funzioni
comitanza dei deficit X e Y dove X è un compito di tipo linguistico e Y è un cognitive di livello alto non è mai lineare, del tipo uno a uno. Le patologie ge-
compito non verbale. In questo caso i due deficit sono detti essere associati. Si netiche sembrano testimoniare che una mutazione o la delezione totale o par-
può, poi, riscontrare la presenza di un disturbo, X, che è specifico di un domi- ziale di un gene si ripercuotono in disturbi ad aree diverse che non sembrano,
nio. In questo caso si dirà che X è dissociato rispetto alle altre abilità cognitive. quindi, essere del tutto svincolate ed autonome l’una dall’altra.
Il caso più interessante agli occhi dei modularisti è, però, quello della doppia Da una parte, non sembra possibile pensare ad un rapporto uno ad uno tra ge-
dissociazione. In quest’ultimo caso, dati i compiti X ed Y afferenti ad abilità ni e funzioni cognitive perché il modo in cui i geni operano sembra trasversale
cognitive diverse, si può riscontare che popolazioni cliniche differenti presen- più che lineare. In secondo luogo, pur volendo ammettere un elemento di for-
tino una dissociazione esattamente speculare con X perfettamente funzionan- te specificità tra gene e funzione cognitiva di livello alto, tuttavia, pare che nel-
te ed Y deficitario in una popolazione e l’esatto opposto nell’altra. lo sviluppo le funzioni cognitive interagiscano vicendevolmente. Un deficit in
D’altro canto, questo tipo di disturbi consente di individuare il problema ge- un’area cognitiva può comportare ricadute in altri domini e, dunque, l’idea del
netico all’origine della dissociazione e, quindi, consentirebbbe addirittura di modulo autonomo sembra comunque venir meno. Sono proprio le patologie a
determinare il particolare gene o i geni responsabili dello sviluppo e del fun- darci ragione di credere che la nostra mente non funzioni per moduli. E, dun-
zionamento dei singoli moduli. Già da parecchi anni, ad esempio, si parla del que, è allo studio delle patologie che ci rivolgiamo adesso.
gene FOXP2. Questo gene è coinvolto nello sviluppo e nel funzionamento La sindrome di Williams (SW) e ai Disturbi Specifici del Linguaggio (DSL)
delle abilità linguistiche. L’individuazione di FOXP2 è legata alla scoperta di hanno costituito per molto tempo un cavallo di battaglia per i sostenitori della
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modularità del linguaggio alla Pinker. L’ipotesi antimodularista non ci sembra, liams dispongono di una buona memoria fonologica. Questa componente per-
ad ogni modo, mettere in dubbio, primo, il fatto che ci siano delle aree di spe- mette ai soggetti Williams di apprendere suoni, parole o anche, spesso, frasi
cializzazione cerebrale che si formano durante lo sviluppo, e questo vale anche stereotipate. Il risultato è la parvenza di una grande abilità linguistica che poi,
per il linguaggio; secondo, che sia necessario ammettere, ad un certo livello, una ad un esame più attento, si rivela non corrispondere al vero. Il primo studio sui
qualche forma di modularità. Ci riferiamo ai livelli bassi della percezione ed al- Williams ad attirare l’interesse dei linguisti è stato quello di Bellugi et al. del
la considerazione che input sensoriali di un certo tipo possono essere processati 1988. In questo studio si riferiva di sorprendenti abilità linguistiche dei Wil-
solo dal sistema ad essi appositamente preposto. La SW e i DSL sono stati per liams: linguaggio fluido, uso di termini ricercati e buone competenze gram-
molto tempo additati come esempio di dissociazione doppia. Si riteneva che i maticali. Nello studio in questione ed in quelli che lo hanno seguito negli an-
Williams avessero intatto il modulo del linguaggio a fronte di gravi deficit so- ni successivi i Williams sono, però, sempre stati messi a confronto con indivi-
prattutto di tipo visuo-spaziale e di calcolo. Dall’altro lato, i pazienti con DSL dui con sindrome di Down. Che il loro linguaggio fosse, dunque, superiore ri-
presentavano un profilo cognitivo opposto. Abilità linguistiche deficitarie e li- spetto a quello di soggetti appartenenti ad un’altra popolazione clinica non era
vello cognitivo generale paragonabile a quello di soggetti con sviluppo tipico. prova dell’integrità delle loro abilità linguistiche. Elemento, quest’ultimo, che
L’analisi delle due patologie, messe a confronto, sembrava confermare l’idea che è venuto fuori non appena si sono messe a confronto le abilità linguistiche dei
il linguaggio fosse autonomo rispetto al resto delle abilità cognitive. Williams con quelle di individui di pari età cronologica e di pari età mentale
Da qualche tempo a questa parte il quadro è cambiato. Si è visto, da una parte, ma con sviluppo tipico. In entrambi i casi le prestazioni dei Williams sono in-
che il linguaggio dei Williams non è per niente integro e, dall’altra, che gli indi- feriori rispetto alla norma. Inoltre, i primi studi erano tutti condotti su Wil-
vidui con DSL hanno deficit cognitivi più generali. Questi nuovi dati mettono liams di lingua inglese e questa lingua ha una sintassi più semplice rispetto a
in discussione l’ipotesi della doppia dissociazione. Ma cosa sono la SW e i DSL? quella di molte altre lingue. I primi dati su Williams italiani o ungheresi, ad
La SW è una patologia genetica molto rara. L’incidenza della malattia è di un esempio, hanno disconfermato l’ipotesi delle abilità grammaticali integre.
individuo ogni 20.000. L’origine, genetica, è dovuta alla microdelezione del I Williams conoscono molte parole, a volte inusuali e ricercate ma non ne han-
gene dell’elastina nel cromosoma 7. Il quadro clinico dei soggetti Williams è no piena competenza semantica e spesso i loro deficit sono anche pragmatici.
caratterizzato dalla disfunzione, più o meno grave, di diversi apparati ed or- Inoltre, come già detto, ampie difficoltà grammaticali sono ormai attestate. Gli
gani. Si registrano anomalie del sistema cardiovascolare, problemi renali o studi sul linguaggio nei soggetti Williams sono oggi numerosi e preferiamo ci-
anomalie dell’udito quali l’iperacusia. tarne uno solo che sembra ben prestarsi ai fini argomentativi di questo lavoro. Lo
Un’altra caratteristica pressoché costante è quella del dismorfismo facciale che, studio, di Philips et al. (2004), è stato realizzato per testare un’ipotesi ben preci-
associato alla bassa statura che contraddistingue i pazienti Williams, rende il sa: quella secondo cui il linguaggio non è un modulo autonomo ma, al contra-
loro aspetto simile a quello di folletti. Ma è il profilo cognitivo atipico ciò che rio, il suo sviluppo richiede delle competenze di natura pre-linguistica. Laddove
ha suscitato l’interesse degli studiosi di area linguistica queste competenze non ci sono allora deficitaria dovrebbe risultare anche l’abili-
I Williams hanno, infatti, grosse difficoltà visuo-motorie e abilità linguistiche che tà linguistica. Tradotta questa ipotesi nel quadro clinico dei Williams ci si aspet-
sembrano, a prima vista, molto ben preservate. In ambito visuo-motorio, grave- tava che questi presentassero un deficit linguistico proprio nel dominio dello spa-
mente deficitario risulta lo svolgimento di compiti di tipo visuo-costruttivo. I Wil- zio. I dati raccolti hanno confermato l’ipotesi iniziale. Effettivamente i Williams
liams non riesco, cioè, a manipolare singole informazioni spaziali e a inserirle in un hanno dei problemi nell’esprimere linguisticamente la spazialità.
contesto di riferimento unitario perché deficitaria è proprio la rappresentazione del- Dunque, in generale il linguaggio nei Williams non è intatto e nello specifico
lo spazio e la capacità di localizzare in esso posizioni e relazioni. Ciò comporta si osservano deficit che si possono ricondurre ai disturbi di tipo visuo-spazia-
difficoltà nel disegno, sia a matita sia con i cubi, ed in compiti della vita quotidia- le. Niente di tutto ciò va nella direzione di una teoria modulare del linguag-
na quali, per esempio, l’allacciarsi le scarpe. D’altro canto, la prima impressione che gio. È, inoltre, importante sottolineare che nel caso dei Williams, come anche
si ha nell’interagire con persone affette da SW è che esse siano grandi conversatrici. in altri disturbi genetici tra cui i DSL, il profilo cognitivo varia con il progre-
Oggi sappiamo che questa impressione è dettata, in parte, dal fatto che i Wil- dire dello sviluppo. Non si dà il caso che una funzione cognitiva sia deficita-
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ria sin dalla nascita per una causa genetica e che tale deficit permanga costan- esempio quelli sui gemelli, che mostrano come sia la condivisione del patrimo-
te lungo tutto lo sviluppo. Molto spesso avviene che i rapporti tra le aree pre- nio genetico a determinare l’incidenza della malattia più che i fattori ambienta-
servate e quelle deficitarie si capovolgono o modificano parzialmente durante li. Infatti, gemelli omo ed eterozigoti, pur condividendo sempre lo stesso am-
la crescita. Dunque dal profilo cognitivo adulto non è legittimo inferire il biente, hanno statistiche diverse nella diagnosi della malattia. Gli eterozigoti, pur
profilo cognitivo dell’infanzia e viceversa. Anche questo dato non autorizza a condividendo lo stesso ambiente, possono non essere entrambi affetti da DSL,
parlare di moduli autonomi geneticamente determinati. Se così fosse come uno può esserne affetto e l’altro no, mentre questa possibilità non si verifica mai
potrebbe spiegarsi lo sviluppo non lineare delle funzioni cognitive? nel caso degli omozigoti, che condividono il 100% del patrimonio genetico.
Passiamo adesso allo studio dei DSL. La definizione che solitamente si da dei L’individuazione del gene FOXP2 sembrava aver aperto la strada alla circo-
DSL è quella di un deficit nell’acquisizione del linguaggio, sia sul versante del- scrizione del deficit genetico specifico all’origine di questo disturbo.
la comprensione che su quello della produzione. L’incidenza del disturbo è al- In realtà, non tutte le persone con una storia di DSL hanno una mutazione del
ta. Ne sono affetti 7 bambini su 100 e non sempre tale patologia si risolve du- gene FOXP2 dunque, sembra più verosimile pensare ad un’interazione di più ge-
rante l’infanzia. Disturbi, infatti, possono permanere durante l’età adulta. ni piuttosto che ad una patologia causata da un singolo gene. Gli aspetti del lin-
In genere, per incontrare i criteri diagnostici dei DSL un soggetto non dovreb- guaggio deficitari nei DSL sono molto eterogenei al punto che è possibile indi-
be avere deficit in aree cognitive non verbali. Dovrebbe avere un quoziente di viduare diversi sottogruppi della patologia. Comunemente, però, nei dibattiti sul
intelligenza non verbale che si attesta su livelli normali e valori al di sotto della modularismo si fa riferimento a disturbi che vertono essenzialmente sull’area
norma per le abilità verbali. Criteri di esclusione nella diagnosi di DSL sono i morfo-sintattica e che gli inglesi chiamano Grammatical SLI (Specific Language
problemi di udito, i disturbi motori (oro-facciali) o forme di ritardo mentale. Impairment). Per fare qualche esempio, i bambini con DSL hanno difficoltà con
In realtà, nonostante questi criteri, la definizione di DSL risulta problemati- le inflessioni grammaticali o con la reggenza e la struttura dei verbi. In linee ge-
ca. Se è vero che questa patologia comporta un certo dislivello tra abilità ver- nerali, problemi si notano anche a livello fonologico: i soggetti con DSL trovano
bali e non-verbali (con l’ago della bilancia che tende decisamente verso le abi- difficile pronunziare correttamente i suoni delle parole e incorrono spesso in er-
lità non verbali), tuttavia, è l’aggettivo specifico a suscitare difficoltà. Numero- rori di tipo fonologico. Meno intaccata è, invece, l’area del vocabolario.
se ricerche hanno di recente messo in evidenza che i DSL sono spesso ac- I bambini con DSL hanno problemi per ciò che concerne la memoria di lavo-
compagnati da altri problemi nell’area delle abilità non verbali. ro verbale così come sembra che abbiano difficoltà nell’elaborare rapidamente i
Inoltre, studi longitudinali hanno permesso di vedere che i parametri relativi, ad cambiamenti di suoni. Ci sono alcuni gruppi consonantici (i fonemi inglesi /ba/
esempio, al valore del QI verbale e non verbale non si mantengono costanti ma e /da/ per fare un esempio) che sono costituiti da onde sonore che cambiano
sono soggetti a variazione con il progredire dello sviluppo. La fluidità con cui le con intervalli brevissimi. Questi fonemi risultano problematici per i soggetti con
abilità cognitive si sviluppano, e che risulta più evidente proprio nel caso di dis- DSL e la difficoltà dipende dall’abilità di elaborare questo tipo di suoni.
turbi evolutivi, sembra costituire un problema serio qualora si voglia utilizzare un Per quanto concerne le abilità non verbali, si è già detto che per definizione il QI
modello descrittivo della mente quale quello modulare. Come spiegare, ad esem- di soggetti con DSL deve rientrare nella norma. C’è un valore del QI non ver-
pio, il fatto che un soggetto in una certa fase del suo sviluppo sposa i criteri dia- bale al di sotto del quale non si può scendere nella diagnosi di DSL. Molto spes-
gnostici dei DSL e che dopo un pò non rientra più nei parametri di questa pa- so, però, i bambini affetti da DSL si posizionano su livelli di QI non verbale che
tologia se è vero che questo disturbo colpisce selettivamente un solo modulo? sono proprio sulla soglia che segna convenzionalmente il confine tra abilità nor-
L’origine della malattia sembra essere di natura genetica. Molti studi hanno por- mali e ritardo. Studi recenti attestano in soggetti con DSL anche problemi mo-
tato prove a favore dell’ipotesi dell’ereditarietà dei DSL. Naturalmente, l’eredi- tori e di attenzione; è stata inoltre avanzata l’ipotesi che a determinare questo ti-
tarietà potrebbe anche essere spiegato attraverso il ricorso a fattori ambientali. po di disturbo linguistico possa essere un deficit nella capacità del cervello di ela-
Tendono ad avere DSL i soggetti che sono esposti ad un ambiente familiare con borare velocemente le informazioni. Quest’ultimo dato si desume dai tempi di
un linguaggio impoverito. Questa spiegazione ha una sua plausibilità, effettiva- risposta e reazione più lunghi che i bambini con DSL hanno rispetto alla media
mente l’ambiente gioca un suo ruolo. Tuttavia, sono stati condotti studi, ad per ciò che concerne gli stimoli verbali e per quelli non verbali.
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Molti studi sui DSL oggi si concludono con la considerazione che sarebbe ne- In secondo luogo, le patologie genetiche dello sviluppo mettono in risalto
cessaria una revisione sia terminologica sia di criteri diagnostici. A fare proble- proprio la fluidità con cui i sistemi cognitivi si evolvono in una interazione
ma è proprio l’aggettivo “specifico” perché, nonostante l’area maggiormente col- costante. Dunque, non è sicuramente nello studio di questo tipo di patologia
pita sia quella del linguaggio, tuttavia è frequente la compromissione di altre che si possono trovare prove a supporto dell’idea di modularità nè, tanto me-
abilità della cognitività non-verbale. Dunque, ciò che si constata nella pratica no, nello specifico, della modularità del linguaggio.
clinica non è quella specificità del deficit che dovrebbe darsi secondo le previ-
sioni delle teorie modulari. Non solo il deficit non è specifico ma, soprattutto,
lo sviluppo delle diverse competenze sembra realizzarsi attraverso una interazio- Riferimenti bibliografici
ne costante. Quest’ultimo punto va sottolineato perché la sola “non specificità” Bellugi U., Sabo H., Vaid J. (1988) Dissociations between language and cognitive func-
del deficit non è ancora una prova contro la modularità del linguaggio. tions in Williams syndrome, in Bishop D., Mogford K. (eds), Language development in
C’è molta fluidità nel modo in cui le abilità cognitive si sviluppano. Lo si era ac- exceptional circumstances, pp. 177-189, London, Churchill-Livingstone.
cennato a proposito della SW e sembra verificarsi in tutte le patologie genetiche Botting N. (2005) Non-verbal cognitive development and language impairment,
che comportano deficit dello sviluppo. Tra queste anche i DSL, come è stato Journal of Child Psychology and Psychiatry, 46, 3, pp. 317-326.
messo in evidenza in uno studio (Botting 2005). I soggetti sono stati testati lon- Giannotti A. Vicari S.(2004) La sindrome di Williams. Clinica, genetica e riabilitazio-
gitudinalmente ovvero per un periodo di tempo prolungato. Le prime prove so- ne, Milano, Franco Angeli.
no state condotte quando i bambini avevano 7 anni e rientravano nei parametri Karmiloff-Smith A. (2006) Ontogeny, Genetics, and Evolution: A Perspective from
diagnostici dei DSL. I soggetti sono stati testati successivamente a 8, 11 e 14 an- Developmental Cognitive Neuroscience, Biological Theory, 1,1, pp. 44-51.
ni e ciò che si è riscontrato è proprio un andamento non lineare dello sviluppo Marcus G.E. Fisher S.E. (2003) FOXP2 in focus: what can genes tell us about speech
cognitivo. Le abilità non verbali, che per definizione dovrebbero essere intatte in and language?, Trends in Cognitive Sciences, 7, 6, pp. 257-262.
soggetti con DSL, subivano una fase di declino attestandosi, con il procedere Mervis C.B. (2003) Williams Syndrome: 15 Years of Psychological Research, Deve-
dello sviluppo, su livelli che erano al di sotto della soglia definitoria per la dia- lopmental Neuropsychology, 23 (1-2), pp. 1-12.
gnosi di DSL. Inoltre, i risultati dell’area verbale sembravano essere in connes- Paterson S.J., Brown J.H., Gsodl M.K., Johnson H., Karmiloff-Smith A. (1999) Co-
sione con quelli di tipo non verbale in quanto mostravano risultati linguistici gnitive Modularity and Genetic Disorders, Science, 286, pp. 2355 – 2358.
migliori proprio i soggetti in cui le abilità non verbali, durante lo sviluppo, si era- Philips C.E., Jarrold C., Baddeley A. D., Grant J. & Karmiloff-Smith A. (2004)
no meglio preservate. In altri termini, ad un peggioramento delle abilità cogni- Comprehension of spatial language terms in Williams syndrome: Evidence for an in-
tive non verbali corrispondevano prestazioni linguistiche peggiori e viceversa. teraction between domains of strenght and weakness, Cortex, 40, pp. 85-101.
L’autore concludeva dicendo che, qualsiasi ne fosse stata la causa, comunque Scerif G., Karmiloff-Smith A. (2006) The dawn of cognitive genetics? Crucial deve-
le abilità non verbali non erano integre in soggetti con DSL. L’ipotesi inter- lopmental caveats, Trends in Cognitive Sciences, 9, 3, pp. 126-135.
pretativa avanzata era che i disturbi all’area linguistica dipendessero da sotto- Stojanovik V., Perkins M.E., Howard S. (2004) Williams syndrome and specific lan-
stanti problemi cognitivi non verbali. Cosa ci dicono, dunque, gli studi su SW guage impairment do not support claims for developmental double dissociations and
e DSL a proposito dell’idea della modularità del linguaggio? innate modularity, Journal of Neurolinguistics, 17, pp. 403-424.
Le due patologie non possono essere considerate un caso di doppia dissocia- Volterra V., Capirci O., Pezzini G., Sabbadini L., Vicari S. (1996) Linguistic abilities
zione perché in nessuna delle due si osserva un deficit selettivo a fronte di abi- in Italian children with Williams syndrome, Cortex, 32, pp. 663-677.
lità per il resto intatte. Volterra V., Caselli C., Capirci O., Tonucci F., Vicari S.(2003) Early linguistic Abili-
Né la SW né, tanto meno, i DSL danno prova dell’autonomia della facoltà del ties of Italian Children With Williams Syndrome, Developmental Neuropsychology, 23,
linguaggio. Il dato che invece sembra emergere è proprio l’intreccio stretto tra 1-2, pp. 33-58.
verbale e non verbale. Laddove le abilità cognitive non verbali risultano com- Webster R.I., Shevell M. (2004) Neurobiology of Specific Language Impairment,
promesse è molto probabile che si riscontri una ricaduta sulle abilità verbali. Journal of Child Neurology, 19, 7, pp. 471-481.

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Elena Mascalzoni memoria per la quale i pulcini appena nati sviluppano un forte attacca-
Università degli studi di Padova mento sociale nei confronti del primo oggetto saliente che si presenta nel lo-
Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive ro campo visivo (in natura, la chioccia), legame che li porterà a stare vicino
dell’Università di Padova a quell’oggetto e, in caso di separazione, a ricongiungervisi (Lorenz 1935).
Inoltre, recenti ricerche hanno dimostrato la presenza in questa specie di
sofisticate abilità cognitive e percettive, abilità che la rendono un ottimo
modello per tutti quegli studi che si propongono di indagare la struttura-
zione dello spazio visivo (Vallortigara 2004).
Da tempo è noto come ciò che viene esperito tramite i sensi non sia una co-
Strutturazione percettiva dello spazio visivo pia fedele della realtà circostante quanto piuttosto un’integrazione ed una ela-
in un modello animale borazione di tale realtà a scopi adattivi, elaborazione che porta quindi ad una
strutturazione complessa dello spazio visivo stesso.
Un esempio di come il sistema visivo umano sia in grado di integrare l’infor-
Non c’è dubbio che le diverse specie animali si siano differenziate nel corso mazione in ingresso lo si ha nel fenomeno del Completamento Amodale, quel
dell’evoluzione per adattarsi appieno a specifiche nicchie ecologiche. Tuttavia, processo per il quale oggetti parzialmente occlusi da altri sono percepiti nella
limitando il campo di indagine ad una sola modalità percettiva (ad es. la vi- loro interezza. Si tratta di un processo adattivo atto a garantire un livello mi-
sta) il cui veicolo fisico di informazione (la luce) rimane il medesimo per tut- nimo di costanza al mondo percepito, costanza che ci permette di muoverci
te le specie, sono emerse numerose analogie nelle abilità di base di specie ani- con maggior coerenza all’interno di questo mondo. Fino a non molti anni or
mali anche molto lontane tra loro. sono vi era la tendenza a spiegare questo fenomeno come il prodotto di un
Superata l’idea di Scala Naturae intesa come progressione evolutiva lineare di processo di apprendimento dovuto all’esperienza.
cui l’essere umano era la massima espressione, si è ormai consolidato il con- Negli ultimi anni, tuttavia, ne è stata dimostrata la presenza anche in specie
cetto di Albero Filogenetico, per il quale le specie attualmente esistenti si col- diverse dalla nostra, quali scimmie e topi. Regolin e Vallortigara si sono servi-
locherebbero tutte ai vertici della scala, essendosi sviluppate per speciazione a ti della procedura dell’imprinting filiale per indagare questo fenomeno in pul-
partire da un progenitore comune. È in quest’ottica che lo studio comparato cini di pollo domestico appena nati. I pulcini, allevati nelle prime 48 ore di
della percezione e della cognizione animale diviene interessante. vita in presenza di un triangolo parzialmente occluso da una barra nera, posti
Nell’ambito dello studio della percezione visiva, in particolare, gli uccelli si di fronte alla scelta tra un triangolo intero e i due frammenti di un triangolo
sono rivelati essere un modello ancor più cruciale dei mammiferi. Questo amputato (Fig. 1) hanno mostrato di preferire significativamente il triangolo
per tre ragioni: perché la visione è senza dubbio rilevante nella classe aviaria intero, comportandosi come se percepissero il completamento del triangolo di
ancor più che in altre classi, compresa quella dei mammiferi; perché questa imprinting dietro alla barra occludente (Regolin e Vallortigara 1995).
classe ha evoluto indipendentemente alcuni comportamenti complessi simi-
li a quelli già riscontrati nei mammiferi; per l’elevato grado di omologia tra
le strutture cerebrali di queste due classi. Il pulcino di pollo domestico, in
particolare, è ritenuto un modello ideale per le ricerche di cognizione e per-
cezione. In primo luogo è stato dimostrato come le vie visive di questa spe-
cie siano omologhe alle vie visive dei mammiferi, permettendo quindi un’a-
nalisi comparata dei substrati neurali di tali abilità (Rogers e Andrew 2002).
In secondo luogo, essendo una specie nidifuga con prole atta, ha permesso Figura 1
di sfruttare il paradigma dell’Imprinting Filiale, una particolare forma di
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Questi risultati ed una serie di controlli sperimentali (Lea, Slater & Ryan dire loro qualsiasi altra stimolazione visiva. Il terzo giorno di vita ciascun ani-
1996) hanno dimostrato come la capacità di completare amodalmente un male era prelevato dalla schiuditrice e posto di fronte alla scelta tra due soli-
margine e quindi di percepire l’unità dell’oggetto in contesti ambigui, sia con- di, uno corrispondente all’illusione stereocinetica di imprinting (cono), l’altro
divisa da varie specie animali. di uguale volume e mai visto prima (cilindro). I pulcini hanno mostrato di
In anni recenti si è cercato di indagare in un’ottica comparata anche il pro- preferire in modo significativo il cono, dimostrando di riconoscere in esso lo
blema della percezione della tridimensionalità a partire da semplici indizi bi- stimolo di imprinting e di essere quindi sensibili alle illusioni stereocinetiche
dimensionali, una questione già ampiamente dibattuta in ambito artistico alla stessa stregua dell’essere umano.
(basti pensare, ad esempio, agli indizi pittorici utilizzati dagli artisti per ren-
dere sulla tela le diverse consistenze volumetriche di spazi e oggetti). Da stu-
di comparati è stato dimostrato come la suscettibilità a tali indizi non derivi
dall’esperienza ma sia piuttosto frutto di un adattamento evolutivo comune a
varie specie animali. A questo proposito Forkman ha addestrato galline adul-
te a beccare su di una griglia pittorica di profondità lo stimolo più in alto tra
due (stimolo che ad un essere umano appariva come il più lontano). Una vol-
ta che l’animale aveva appreso il compito, alle presentazioni usuali venivano Figura 2
intervallate presentazioni in cui entrambi gli stimoli erano collocati alla stes-
sa altezza, parzialmente sovrapposti tra loro. Le galline hanno mostrato di es- Date queste premesse, abbiamo voluto indagare l’abilità del pulcino di pollo do-
sere sensibili agli indizi pittorici di profondità, beccando lo stimolo parzial- mestico nel riconoscere un solido familiare a partire da un pattern di stimola-
mente occluso, che appariva come il più lontano, coerentemente con quanto zione impoverito, ponendo particolare attenzione al ruolo svolto dai fattori ci-
appreso nella prima fase di addestramento (Forkman 1998). nematici in questo processo (Mascalzoni e Regolin 2006). A questo scopo, in
Tuttavia l’essere umano è in grado di svolgere compiti assai più complessi, po- un primo esperimento pulcini appena nati sono stati allevati per 48 ore in pre-
tendo estrarre informazioni di tridimensionalità anche da semplici stimoli bidi- senza di uno stimolo solido, che in virtù del fenomeno dell’imprinting trattava-
mensionali in movimento. È il caso dei fenomeni stereocinetici, definiti da Mu- no alla stregua di un compagno sociale. Il terzo giorno ciascun pulcino era sot-
satti come “tutte quelle situazioni nelle quali figure oggettivamente piane, poste toposto ad un test di libera scelta tra l’ombra proiettata su di uno schermo dal-
su un disco in lenta rotazione di fronte ad un osservatore, sono percepite nella l’oggetto familiare e l’ombra di un oggetto mai visto prima. Gli stimoli sono sta-
terza dimensione” (Musatti 1924). Come già altre illusioni, anche quelle ste- ti scelti in modo tale che differissero esclusivamente per la posizione di un sin-
reocinetiche si sono rivelate un ottimo strumento per esplorare la strutturazio- golo elemento, proiettando quindi ombre molto simili tra loro. Al fine di inda-
ne dello spazio visivo in un contesto critico. Schmuckler e Proffitt (1994), ser- gare il ruolo svolto dagli indizi cinetici nel processo di riconoscimento, un grup-
vendosi di tre tipi di stimoli (KDE, Kinetic Depth Effect; SKE, Stereokinetic Ef- po di soggetti è stato sottoposto a test con ombre proiettate da stimoli statici,
fect; EE, Elastic Effect) e utilizzando la tecnica dell’abituazione, hanno dimo- un secondo gruppo con ombre proiettate da stimoli posti in lenta rotazione at-
strato che anche i bimbi di cinque mesi sono sensibili alle informazioni di tri- torno al proprio asse verticale, ed un terzo e ultimo gruppo con ombre proiet-
dimensionalità presenti in stimoli bidimensionali in movimento. tate da stimoli posti in movimento in modo tale da mantenersi frontali rispetto
Clara e collaboratori si sono serviti dell’imprinting filiale per indagare l’abili- allo schermo (Fig. 3), affinché non fosse possibile integrarne diverse prospetti-
tà di pulcini di pollo domestico nel percepire i fenomeni stereocinetici (Cla- ve. I dati hanno mostrato una scelta significativa per lo stimolo familiare esclu-
ra, Regolin, Vallortigara e Zanforlin 2006). A questo scopo i pulcini appena, sivamente nella condizione test con ombre proiettate da stimoli in rotazione at-
nati privi di esperienze visive, erano esposti per 4 ore ad uno degli stimoli bi- torno al proprio asse verticale (t-Student a campione unico: t(112)= 3.609,
dimensionali che in lenta rotazione danno luogo nell’essere umano all’illusio- p=0.000). Questo risultato mette in luce come i pulcini siano in grado di rico-
ne del cono stereocinetico (Fig. 2) e successivamente posti al buio, per impe- noscere uno stimolo familiare dall’ombra da esso proiettata esclusivamente in
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presenza di indizi cinetici che permettano l’integrazione molo, dimostrandosi in grado di compiere estrazione di structure-from-motion
di diverse prospettive dello stimolo stesso (rotazione). Al- in assenza di qualsivoglia indizio statico relativo alla forma dell’oggetto.
lo scopo di indagare se il semplice movimento fosse Un’ulteriore dato a favore della presenza di una strutturazione dello spazio
sufficiente per il riconoscimento, in assenza quindi di percettivo similare in specie animali diverse.
qualsiasi altro indizio di forma, in un secondo esperi-
mento sono state utilizzate come stimoli test due anima-
zioni video che riproducevano il solido di imprinting ed Riferimenti bibliografici
uno mai visto prima attraverso un pattern di punti lumi- Clara E., Regolin L., Vallortigara G., Zanforlin, M. (2006) Domestic chicks perceive
nosi in movimento coerente (random-dot display). Non stereokinetic illusions, Perception, 35(7), pp. 900-910.
essendo emersa da questi dati alcuna preferenza da parte Forkman B. (1998) Hens use occlusion to judge depth in a two-dimensional picture,
dei pulcini, presumibilmente a causa di un problema le- Perception, 27, pp. 861-867.
gato alla generalizzazione richiesta da stimoli test che ave- Lea S.E.G., Slater A.M., Ryan, C.M.E. (1996) Perception of object unit in chicks: a
vano perso ogni caratteristica propria dell’oggetto di im- comparison with the human infant, Infant Behaviour and Development, 19, pp. 501-504.
Figura 3 printing, in un terzo esperimento ci siamo serviti di pat- Lorenz K. (1935) Der Kumpan in der Umwelt des Vogels, Journal für Ornithologie,
tern di punti luminosi sia come stimoli di imprinting sia 83(2-3), pp. 137-215.
come stimoli test. I due tipi di stimoli differivano esclusivamente per la maggior Mascalzoni E., Regolin, L. (2006) Cast shadows allow for solid objects discrimination
consistenza percettiva delle animazioni di imprinting, nelle quali i solidi (per in newly hatched visually naive chicks (Gallus gallus), Perception, 35, ECVP Abstract
metà soggetti un cubo, per metà una sfera) erano visibili anche in un singolo Supplement.
frame (Fig. 4). I risultati hanno mostrato come i pulcini siano in grado di dis- Musatti C.L. (1924) Sui fenomeni stereocinetici, Archivio Italiano di Psicologia, 3, pp.
criminare le due animazioni test, preferendo la sfera negli ultimi due minuti di 105-120.
test (t-Student a campione unico: t(124)=2.053, p=0.042), sfera che si sa esse- Regolin L., Vallortigara G. (1995) Perception of partly occluded objects by young
re uno stimolo particolarmente attraente per questa specie. chicks, Perception & Psychophysics, 57(7), pp. 971-976.
Rogers L.J., Andrew R.J. (2002) Comparative vertebrate lateralization, Cambridge
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mental explorations of animal intelligence”, Oxford UK, Oxford University Press.

Figura 4

Sembra quindi che il pulcino di pollo domestico, già ad uno stadio precoce
del proprio sviluppo ontogenetico, sia in grado di riconoscere un oggetto fa-
miliare a partire da uno stimolo bidimensionale fortemente impoverito, gra-
zie alla possibilità di integrare temporalmente diverse prospettive di tale sti-
294 295
Orsola Rosa Salva nascita, dell’aspetto di un individuo della propria specie. L’IMHV di destra con-
Università degli studi di Padova sentirebbe invece il riconoscimento individuale del proprio conspecifico ogget-
Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive to di imprinting rispetto ad altri (Vallortigara and Andrew 1994).
dell’Università di Padova Proprio tramite lo studio dei processi di imprinting è stato dimostrato che i pul-
cini possiedono una rappresentazione innata dell’aspetto di un potenziale part-
ner sociale: essi hanno una predisposizione ad imprintarsi e ad approcciare un
oggetto che abbia l’aspetto di una chioccia (Boakes and Panter 1985, Johnson,
Bolhuis and Horn 1985, Kent 1987). Le basi neurali di questo meccanismo
non coincidono con quelle dell’imprinting: infatti tali preferenze permangono
Il pulcino di pollo domestico anche in soggetti con lesioni bilaterali dell’IMHV, che non sono più in grado di
come modello animale per lo studio riconoscere il proprio specifico oggetto di imprinting (Horn 1985). L’immagine
innata di un partner sociale che i pulcini avrebbero sembra tuttavia piuttosto ge-
della cognizione sociale nerica: è sufficiente che gli elementi più salienti che compongono la regione del-
la testa e del collo della chioccia siano presenti e mantengano le reciproche re-
lazioni spaziali per determinare un approccio preferenziale verso lo stimolo. Ad-
Il pulcino di pollo domestico si è rivelato un eccellente modello per lo studio del- dirittura i pulcini non sembrano preferire la testa di una gallina a quella di altri
le basi neurali e dei meccanismi sottostanti all’imprinting, un fenomeno preci- animali, anche se potenziali predatori (Johnson and Horn 1988). Sulla base di
puo di talune specie di uccelli, cui è stata data grande rilevanza per lo studio del- queste evidenze sono stati ipotizzati due meccanismi sottostanti all’imprinting.
le basi della cognizione sociale. È stato possibile porre gli studi che sfruttano il Il primo, CONSPEC, contiene appunto una schematica rappresentazione in-
fenomeno dell’imprinting nel pulcino in una prospettiva comparata rispetto alla nata dell’aspetto di un conspecifico. Esso orienta l’attenzione dell’animale verso
specie umana, indagando problemi teorici aperti attinenti alla psicologia dello stimoli che rispettino tale schema. Il secondo meccanismo, CONLERN, ap-
sviluppo infantile e alla natura innata di alcune rappresentazioni socialmente ri- prende le caratteristiche individuali del particolare conspecifico verso cui è sta-
levanti. L’utilizzo di questa specie ha permesso infatti di studiare la presenza di ta attratta l’attenzione del pulcino, dando luogo ad una memoria di riconosci-
“modelli mentali” per il riconoscimento del volto, dello sguardo, o del pattern di mento per una determinata chioccia (Johnson 1992).
movimento di un altro essere vivente in soggetti che incontrino per la prima vol- Partendo dallo studio di questo comportamento peculiare del pulcino, Mark
ta tali stimoli, senza cioè che sia necessario apprenderne le caratteristiche con l’e- Johnson e John Morton hanno generalizzato la teoria così sviluppata alla specie
sperienza. In una serie di lavori di Gabriel Horn e collaboratori è stato identifica- umana, con una serie di studi sul riconoscimento di volti negli infanti. Infatti,
to nell’IMHV (Intermediate Medial Hyperstriatum Ventrale) l’area cerebrale mag- neonati di un’ora di vita mostrano già una preferenza per prestare attenzione ad
giormente coinvolta nei processi di apprendimento alla base dell’imprinting un volto schematico rispetto ad altri stimoli simili. Anche nei bambini, la rap-
(Horn 1985, McCabe, Cipolla-Neto, Horn and Bateson 1982). È stato anche presentazione innata della madre (CONSPEC) sarebbe piuttosto rozza e pro-
possibile, studiando gli effetti di lesioni dei due IMHV di destra e di sinistra babilmente non specie specifica: è sufficiente la presenza di un una superficie
temporizzate prima o dopo l’esposizione all’oggetto di imprinting, dimostrare chiara, circondata da un margine e contenete degli elementi scuri nella corretta
che i due emisferi cerebrali svolgono ruoli diversi in tempi diversi durante il pro- posizione per occhi e bocca, a determinare un’attenzione preferenziale (Goren,
cesso di apprendimento (Cipolla-Neto, Horn and McCabe 1982). Sembra inol- Sarty and Wu 1975; Johnson, Dziurawiec, Ellis and Morton 1991).
tre probabile che i due IMHV partecipino all’apprendimento di aspetti diversi La presenza, alla base della preferenza per i volti negli infanti, di un secondo mec-
dell’oggetto di imprinting. L’IMHV di sinistra codificherebbe le caratteristiche canismo (ovvero CONLERN) indipendente dal primo (sempre in analogia con
invarianti dei partner sociali, comuni a tutti i conspecifici, in modo da arricchi- quanto riscontrato nel pollo domestico) è stata ipotizzata innanzi tutto per spie-
re una schematica rappresentazione innata, che l’animale già possederebbe alla gare l’andamento temporale di questa abilità che appare, scompare e poi ricom-
296 297
pare in momenti diversi dello sviluppo a seconda della tecnica sperimentale im- l’attenzione del soggetto verso il non volto, spiegando l’assenza di preferenza
piegata per indagarla. Neonati di poche ore di vita preferiscono, infatti, inseguire significativa per uno dei due stimoli riscontrata dagli autori.
con lo sguardo stimoli rappresentanti volti, rispetto a stimoli contenenti le stesse
componenti disposte in posizioni innaturali. Questa preferenza per i volti è rin- Nella seconda condizione (Fig. 2), invece, il non volto ha
tracciabile per tutto il primo mese di vita soltanto utilizzando stimoli in movi- un maggior numero di elementi nella parte superiore del-
mento che cadano nel campo visivo periferico del soggetto. Dal secondo mese di l’immagine, mentre il volto ha un maggior numero di ele-
vita è invece possibile dimostrare una preferenza per le facce tramite stimoli stati- Figura 2 menti nella parte inferiore. In questo caso viene rilevata una
ci presentati frontalmente, mentre la prima tecnica non risulta più efficace. Giun- preferenza per il non volto. Le caratteristiche interne del se-
ti al quinto mese per attrarre preferenzialmente l’attenzione del neonato verso un condo stimolo sono però posizionate rispetto all’outline della figura in manie-
volto sono necessari stimoli le cui componenti interne siano in movimento. ra poco somigliante ad un volto naturalistico e lo stimolo volto potrebbe non
L’interpretazione di Johnson e Morton di questi dati è che nel corso dello svi- essere riconoscibile come tale.
luppo il comportamento del neonato sia determinato sempre meno dal fun-
zionamento di CONSPEC e sempre più dalle informazioni apprese tramite Abbiamo quindi cercato di ideare degli stimoli che indagassero la
CONLERN. Il passaggio da una predominanza di CONSPEC ad una di preferenza per le facce, dove, sia lo stimolo rappresentante il vol-
CONLERN sarebbe determinato dallo sviluppo delle strutture corticali che to che quello rappresentante un non volto, avessero più elementi
sottendono al secondo e che inibiscono le strutture sottocorticali che costi- Figura 3 nella metà superiore dell’immagine, ma non presentassero diffe-
tuirebbero la base neurale di CONSPEC, tra cui probabilmente il collicolo renze nella simmetria della configurazione (Fig. 3). Come sogget-
superiore (Morton and Johnson 1991; Umiltà, Simion and Valenza 1996). ti sperimentali abbiamo utilizzato pulcini di due giorni di vita (N=34) com-
Diverse obiezioni sono state sollevate rispetto alle teorie esposte qui sopra, tra pletamente privi di esperienza visiva circa l’aspetto delle features interne del
le quali una in particolare spiegherebbe la preferenza per i volti riscontrata nei volto di un qualsivoglia essere biologico.
neonati come un effetto secondario determinato da una tendenza a prestare
attenzione a stimoli che presentino un maggior numero di elementi nella me- Durante il test gli animali erano posti all’interno di un corridoio di scelta, alle
tà superiore dell’immagine (Simion, Valenza, Macchi Cassia, Turati, and estremità del quale si trovavano i due stimoli sperimentali già descritti. Il corri-
Umiltà 2002; Turati, Simion, Milani and Umiltà 2002). doio di scelta era virtualmente diviso in tre settori, uno centrale (equidistante dai
Partendo proprio da queste obiezioni, abbiamo voluto riportare la discussio- due stimoli), e due laterali (uno adiacente allo stimolo volto ed uno al non vol-
ne alle origini con un lavoro sperimentale che tornasse ad impiegare il pulci- to). La permanenza del pulcino in uno dei settori laterali era considerata come
no di pollo domestico come modello per l’indagine di questa tematica, facen- un indice di preferenza per l’oggetto situato a quella estremità del corridoio. La
do però fronte anche ad alcune perplessità relative agli stimoli utilizzati nello posizione destra sinistra dei due stimoli e l’orientamento iniziale dell’animale al-
studio di Turati et al. (2002). l’interno del settore centrale dell’apparato erano randomizzati tra i soggetti.
In tale lavoro, infatti, sono presenti due condizioni sperimentali che mettono in Il test aveva una durata di sei minuti, durante i quali veniva misurato il tem-
conflitto l’ipotesi di una preferenza per oggetti con un maggior numero elemen- po speso dal soggetto in ciascuno dei tre settori. Era inoltre registrato il pri-
ti nella metà superiore dell’immagine e l’ipotesi di una preferenza per i volti. mo stimolo approcciato dall’animale, ovvero il primo dei due settori laterali
nel quale il pulcino entrava lasciando il settore centrale (dove veniva posizio-
In un caso (Fig. 1) si presentano al soggetto due stimoli, nato all’inizio del test). Per verificare se i pulcini preferivano stazionare presso
uno solo dei quali può rappresentare un volto, entrambi la figura rappresentante un volto, veniva calcolato un indice relativo al tempo
aventi più elementi nella metà superiore dell’immagine. speso nel settore laterale adiacente al volto rispetto al tempo totale speso nei
Figura 1 Tuttavia, mentre il volto è simmetrico lungo l’asse vertica- due settori laterali. Il valore di tale indice (che poteva andare da 0 a 1) era
le, il non volto risulta asimmetrico: il che potrebbe attrarre paragonato tramite t-test rispetto al valore assunto in caso di assenza di prefe-
298 299
renza per uno dei due stimoli (ovvero 0.5). Per verificare, invece, se i pulcini orientarsi secondo la direzione di un movimento biologico, ma solo se questo
preferissero approcciare per primo uno dei due stimoli, è stato paragonato, movimento è coerente con la forza di gravità (Vallortigara and Regolin 2006).
tramite X2, il numero di pulcini che hanno approcciato per primo lo stimolo Pulcini privi di esperienza visiva venivano esposti ad un point-light display rap-
volto e il numero di pulcini che hanno approcciato il non volto. presentante il movimento di deambulazione di una chioccia oppure ad uno
Dai risultati è emerso che soggetti preferivano approcciare per primo lo sti- stimolo identico ma rovesciato, ovvero rappresentante la chioccia “a testa in
molo rappresentante un volto (X2(1)=5.765, p=0.016) e spendevano più tem- giù”: l’allineamento con la direzione di movimento avveniva solo nel primo
po vicino a quello stesso stimolo (t(33)= 3.525, p=0.001). caso. Questi dati suggeriscono la presenza di un sistema evolutivamente anti-
È stato così possibile dimostrare che nel pulcino di pollo domestico è presente co per la detezione di altri organismi biologici in movimento. In accordo con
una preferenza per approcciare stimoli corrispondenti alla rappresentazione in- questa ipotesi vi sono anche alcune evidenze che sembrano indicare la pre-
nata di volto ipotizzata da Morton e Johnson nei neonati e che tale preferenza senza nella specie umana di un sistema neurale specifico dedicato al processa-
non sembrerebbe determinata, almeno in questa specie, da una asimmetria nel mento del movimento biologico (Peelen, Wigget and Downing 2006).
numero di elementi presenti nelle metà superiore e inferiore dello stimolo. Un altro ambito nel quale il pulcino di pollo domestico si è rivelato un mo-
Generalizzando i risultati esposti finora, si potrebbero ipotizzare un meccani- dello proficuo per l’indagine delle competenze sociali innate è lo studio della
smo o più meccanismi innati ed evolutivamente antichi (comuni a più specie capacità di reagire alla direzione dello sguardo di un altro soggetto e delle ba-
animali filogeneticamente lontane), analoghi a CONSPEC, deputati ad si neurali di questa capacità. È evidente che la possibilità di analizzare la dire-
orientare l’attenzione verso gli stimoli biologici generalmente intesi e non sol- zione dello sguardo di un altro soggetto, di reagire conseguentemente ad essa
tanto verso i volti. ed eventualmente di trarne inferenze rispetto allo stato mentale dell’altro in-
Un parziale test di questa ipotesi può essere trovato in una serie di studi che dividuo, ha un grande valore adattivo.
hanno indagato la presenza di una predisposizione a riconoscere e ad orien- La sensibilità allo sguardo è stata estesamente studiata nei neonati, che mo-
tarsi verso un pattern di movimento biologico. La specie umana, infatti, mo- strano già nei primi mesi di vita alcune delle capacità di cui sopra (Scaife and
stra una sorprendente abilità nel riconoscere la direzione di movimento di un Bruner 1975, Vecerra and Johnson 1995). Sulla base di queste abilità precoci
essere biologico da un informazione impoverita o alterata, il che ha portato a è possibile ipotizzare la presenza di un modulo cognitivo innato deputato a
suggerire un meccanismo di filtraggio visivo con funzione di “life detector” processare lo sguardo di altri conspecifici. Questa ipotesi implica che un tale
(Troje and Westhoff 2006). modulo debba avere una storia ed una plausibilità evolutiva, che possono es-
Studi condotti sugli infanti tuttavia, non hanno indagato preferenze per pat- sere indagate sperimentalmente in una prospettiva comparata.
tern di movimento biologico costituiti da point-light display come quelli im- È stato infatti possibile dimostrare che pulcini privi di esperienza visiva dello
piegati nei soggetti adulti (Johansson 1973) prima dei 3 mesi di vita (John- sguardo di qualsiavolgia essere vivente hanno la capacità di discriminare tra
son 2006). L’utilizzo del pulcino di pollo domestico come modello animale diverse direzioni dello sguardo in base al solo orientamento degli occhi di una
permette di indagare l’eventuale presenza di meccanismi innati per la dete- maschera e che essi hanno anche una tendenza innata a reagire in modo ap-
zione del movimento biologico, testando soggetti completamente privi di propriato ad uno sguardo diretto verso di loro da parte di un potenziale pre-
esperienza visiva, ma con una maturazione cerebrale molto avanzata. datore (Rosa Salva, Regolin and Vallortigara 2006). I pulcini testati in questo
In uno studio di Vallortigara e collaboratori (Vallortigara, Regolin and Mar- studio esibivano una risposta di paura più intensa nel caso in cui dovessero di-
conato 2005) è stata riscontrata in pulcini privi di esperienza visiva (allevati al rigersi in un area dell’apparato che si trovasse sotto lo sguardo del potenziale
buio) una preferenza per approcciare point-light display rappresentanti il mo- predatore. Grazie alle peculiari proprietà di cui gode il sistema visivo del pul-
vimento di un essere vivente. In analogia con gli studi sull’imprinting questa cino, è stato inoltre possibile dimostrare un differente coinvolgimento dei due
preferenza non è selettiva per la specie di appartenenza e si estende anche a emisferi cerebrali in questo compito. Coerentemente con quanto atteso dalla
display ottenuti dal movimento di potenziali predatori. letteratura (Dharmaretnam and Rogers 2005; Evans, Evans and Marler 1993;
È stato inoltre dimostrato che esiste nei pulcini una predisposizione innata ad Vallortigara and Andrew 1991) è stato riscontrato un ruolo dominante dell’e-
300 301
misfero destro nel monitoraggio del potenziale predatore. Tuttavia, in modo Johnson M.H., Bolhuis J.J., Horn G. (1985) Interaction between acquired preferences
ancora più interessante, questo effetto appare selettivamente nella condizione and developing predispositions during imprinting, Animal Behaviour, 33, pp. 1000-1006.
a maggiore rischio di predazione (ovvero quando lo sguardo della maschera è Johnson M.H., Dziurawiec S., Ellis H.D., Morton J. (1991) Newborns preferential
rivolto verso il soggetto rispetto a quando è rivolto in direzione opposta). tracking of face-like stimuli and its subsequent decline, Cognition, 40, pp. 1-21.
Nell’insieme, gli studi discussi fino ad ora testimoniano la necessità di affronta- Johnson M.H., Horn G. (1988) Development of filial preferences in dark reared
re lo studio delle basi biologiche e dei meccanismi sottostanti a molti aspetti del- chicks, Animal Behaviour, 36, pp. 675-683.
la cognizione sociale da una prospettiva comparata. In particolare, il pulcino di Kent J.P. (1987) Experiments on the relationship between the hen and chick (Gallus
pollo domestico si è rivelato un modello estremamente versatile in questo cam- gallus): the role of the auditory model in recognition and the effects of maternal se-
po, nonostante la sua distanza evolutiva dalla specie umana. I dati ottenuti con paration, Behaviour, 102, pp. 1-14.
questa specie, in accordo con alcune evidenze provenienti dalla psicologia dello McCabe B.J., Cipolla-Neto J., Hor, G., Bateson P.P.G. (1982) Amnesic effects of bi-
sviluppo, sembrano indicare prevalentemente la presenza, a diversi livelli di lateral lesions in the hyperstriatum ventrale of the chick after imprinting, Experimen-
complessità, di meccanismi innati deputati al processamento degli stimoli so- tal Brain Research, 48, pp. 13-21.
cialmente rilevanti. Studi futuri potrebbero utilmente indagare in modo più ap- Morton J., Johnson M.H. (1991) CONSPEC and CONLERN: a two process theory
profondito la natura della preferenza mostrata dai pulcini per stimoli rappre- of infant face recognition, Psychological Review, 98, pp. 164-181.
sentanti volti schematici, rivisitando in modo più esaustivo i lavori già condot- Peelen M.V., Wigget A.J., Downing P.E. (2006) Patterns of fRMI activity dissociate over-
ti sui neonati per testare il ruolo del numero di elementi contrastati presenti in lapping functional brain areas that respond to biological motion, Neuron, 49, pp. 554-563.
diverse porzioni dello stimolo o dell’area complessiva occupata da tali elementi. Rosa Salva O., Regolin L., Vallortigara G. (2006) Chicks discriminate human gaze
with their right hemisphere, Behavioural Brain Research, 117, pp. 15-21.
Scaife M., Bruner J.S. (1975, January 24) The capacity for joint visual attention in
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302 303
Simulazione

Antonino Bucca
Università degli studi di Messina
Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive
dell’Università di Messina
Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive

Folli o gelosi?
Le forme cognitive e linguistiche
delle esperienze deliranti
1. Interpretazione e condivisione del delirio di gelosia
È noto che ogni storia di follia è la storia di un vissuto particolare e personale,
quindi anche di un delirio peculiare, sebbene scandito secondo le forme di un cli-
ché cognitivo invariabile. Ma, le convinzioni deliranti sono davvero assoluta-
mente personali? Meglio, la credenza delirante può essere, in un certo senso, con-
divisibile? Possiamo rispondere facilmente a questi quesiti se pensiamo, ad esem-
pio, ai casi di folie à deux o a quelli descritti in letteratura come folie simultanée
(Lasègue Falret 1877, Fornari 1997, DSM-IV 1999). Non intendiamo, tuttavia,
riferirci a queste forme di partecipazione o di condivisione dell’ideazione deli-
rante. Il nostro scopo è, invece, quello di verificare la possibilità di condivisione
dei temi deliranti personali (pensiamo alla persecuzione o alla gelosia) da parte di
soggetti che hanno vissuto singolarmente e in tempi diversi tali esperienze.
Allora, i temi deliranti lucidi vengono condivisi dai paranoici? In altri termi-
ni, qual è la natura ontologica delle credenze deliranti e il limite della loro
condivisione? Si tratta, in fondo, di stabilire fino a che punto sono disposti a
spingersi i deliranti lucidi (paranoici) nel condividere con altri malati le loro
interpretazioni, le loro convinzioni e più in generale le loro esperienze e i lo-
ro vissuti. Questo studio esamina quindi la possibilità ed, eventualmente, il
grado di accettabilità o di condivisione dell’ideazione morbosa su un tema ab-
bastanza diffuso com’è quello della gelosia. Esso indaga inoltre le rappresen-
305
tazioni culturali e sociali dell’emozione di gelosia e la distanza che le separa 3. La gelosia nelle storie dei deliranti: il delirio condiviso
dalle interpretazioni deliranti lucide. A parte i rari casi di folie à deux o quelli di folie simultanée, le manifestazioni
L’indagine in un primo momento prende in considerazione quei soggetti le deliranti sono considerate idee o credenze personali. Infatti,
cui storie personali sono state drammaticamente segnate dai vissuti deliranti
di gelosia. I paranoici omicidi ristretti presso l’Ospedale Psichiatrico Giudi- l’esperienza vissuta, nella quale si verifica il delirio, è l’esperienza concreta (Erfah-
ziario di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) ci offrono l’occasione di osser- rung) ed il pensiero della realtà. (…) Solo là dove si opera con il pensiero e si espri-
vare e di analizzare le specifiche modalità d’ideazione e di significazione del- me un giudizio può insorgere un delirio. In tal senso si chiamano idee deliranti i
l’esperienza delirante. Il secondo momento della ricerca (di cui diremo più giudizi patologicamente falsati (Jaspers 2000, pp. 101-3).
diffusamente in altro luogo) riguarda l’esame delle rappresentazioni e dei vis-
suti di gelosia in soggetti come gli studenti universitari. Ci chiediamo tuttavia se le credenze deliranti siano davvero assolutamente
soggettive, se ciò vale per tutti i temi, in special modo per quelli lucidi. Per far
emergere i motivi, i giudizi, l’espressione e la possibile condivisione del deli-
2. Metodi dell’indagine: cineforum e questionario rio di gelosia abbiamo “agganciato” il gruppo costituito dagli otto pazienti de-
Considerando i due momenti dell’indagine, il metodo utilizzato è quello del- liranti internati. Essi sono lucidi e naturalmente non sono affatto consapevo-
l’osservazione diretta delle emozioni suscitate dalla fruizione del materiale sim- li della natura psicopatologica della loro ideazione. L’ideazione morbosa di ge-
bolico predisposto allo scopo. La metodologia utilizzata è essenzialmente de- losia in sette di questi si manifesta con evidente riferimento al nucleo delirante
scrittiva e risponde alle modalità tipiche della ricerca di base. Essa è attuata me- principale di persecuzione (Fig. 1).
diante strumenti quantificativi generali come il dibattito strutturato e il questio-
nario con risposte multiple chiuse, somministrati senza informare preventivamen-
te della ricerca e delle sue finalità i due gruppi di soggetti (esperimento cieco).
Il dibattito e il questionario, con i relativi metodi d’analisi, sono stati adatta-
ti in funzione delle differenti caratteristiche dei due gruppi di soggetti e dei
contesti in esame. In entrambi i casi però il materiale simbolico utilizzato sul
tema della gelosia era uguale. A tale scopo abbiamo immaginato e realizzato
con i pazienti paranoici dell’Istituto un cineforum (dibattito strutturato) suc-
cessivo alla proiezione del film drammatico di Claude Chabrol, L’inferno
(Francia, 1994). I materiali scritti prodotti durante il cineforum (i colloqui Figura 1. Nuclei deliranti lucidi
psichiatrici e le trascrizioni integrali del dibattito) sono si trovano da tempo
pubblicati in un altro nostro lavoro (Bucca 2001, pp. 354-81). Tutti i soggetti sono detenuti perché rei di omicidio (in alcuni casi anche plu-
Con i soggetti del secondo gruppo, gli studenti universitari, si è invece optato (an- rimo), di tentato omicidio e di lesioni personali. Le loro terribili storie di fol-
che in rapporto al numero dei partecipanti) per la somministrazione del questio- lia, oltre al dramma della gelosia, hanno forse significati comuni in cui ognu-
nario con risposte multiple chiuse sui personaggi e sulle vicende del film. Il que- na delle “vittime” può, probabilmente, riconoscersi.
stionario è costituito da 40 items complessivi: nella prima parte, 20 items vogliono Dagli interventi al dibattito emergono giudizi diversi. Su otto partecipanti,
scandagliare i tratti di personalità (specie quelli aggressivi e possessivi), la cultura, il tuttavia, solo un soggetto non intende assolutamente esprimere la sua opinio-
gruppo sociale di appartenenza e la tendenza a vivere sentimenti di gelosia. I rima- ne (delirante di persecuzione, di gelosia e di querulomania). Non è possibile,
nenti 20 items sono ispirati dal dibattito del cineforum con i paranoici gelosi, e va- in questa sede, un resoconto dettagliato delle loro testimonianze. Possiamo
lutano il giudizio sui personaggi e sui vissuti di gelosia rappresentati dalle scene del però affermare che la maggioranza di essi (ben cinque dei rimanenti sette ri-
film. Per ogni item sono previste 5 risposte chiuse, è ammessa una singola risposta. coverati – il 71,42%), seppure con opinioni e posizioni diverse, ritiene indu-
306 307
bitabile il tradimento della donna, la protagonista femminile del film. Solo se era un poco, che debbo dire, nervoso, non è che finiva così (…) finiva diversa-
due di questi (il 28,58%) sono invece disposti a riconosce nel protagonista mente, perché l’uomo non ammette mai che una donna lo trascina ad una fac-
maschile il delirante di gelosia (Fig. 2). cenda del genere (ib., p. 372).

Anche un secondo ricoverato che partecipa al dibattito trova che la gelosia di Paul
sia stata provocata dal comportamento della moglie. Naturalmente, anch’egli
non dubita affatto del tradimento della signora, al punto che non può fare a me-
no di riconoscere: “io l’avrei ammazzata! Perché il mio carattere è questo, perché
io ho il rispetto, io rispetto però voglio essere rispettato” (ib.). Conclude soste-
nendo che i sentimenti di gelosia “rappresentati” dal film sono comprensibili, e
molto simili a quelli che in passato ha vissuto personalmente. Persino la violenta
reazione del marito gli sembra giustificabile e, dunque, ammissibile.
Il paranoico geloso riconduce immediatamente la storia rappresentata dal film
alla sua storia personale. La realtà del protagonista geloso diventa la sua real-
tà, quella che ha drammaticamente vissuto e che continua a rivivere rivendi-
cando ancora giustizia in nome di quella verità che è stata a lungo travisata,
Figura 2. Condivisione-immedesimazione ma che ora come allora non aspetta che di essere finalmente riconsiderata. La
storia rappresentata, per quanto frutto della fantasia del regista, è giudicata dai
Già dalle prime battute si può notare che nel momento in cui il delirante con- paranoici assolutamente verosimile, anzi testimonia di fatti di cronaca real-
divide la “lettura” della realtà col geloso (il protagonista del film), non può fare mente accaduti e di penose vicende in cui non si è potuta evitare la reazione
a meno di riferire la vicenda rappresentata alla sua storia e ai suoi vissuti di ge- difensiva ad un’offesa ormai intollerabile.
losia. Vedremo che proprio questa sovrapposizione, questa sorta di empatia, di- Ad un certo punto del cineforum, uno dei pazienti comincia a scagliarsi con-
venterà il tratto dominante del significato e della condivisione del tema della ge- tro la donna (la protagonista femminile del film) e in un crescendo ricco di
losia. Non appena prende la parola, il primo dei paranoici (partecipanti al cine- spunti suggestivi e di figure metaforiche, afferma:
forum) osserva che i comportamenti della donna erano inequivocabili, e il ma-
rito ha incominciato a sospettare. Alcuni indizi poi ne davano la certezza: “una abbiamo di fronte una ragazza libertina, che era libera come una macchina che
sigaretta accesa (…) è andato a rovistare nella borsa e ha trovato qualche cosa di correva sull’autostrada, senza sterzo, senza freni, e pigghiava tutto quello che capi-
anormale” (Bucca 2001, p. 371). Da qui il pedinamento della moglie e la “sco- tava. (…) ha trascinato quell’uomo (ib., p. 360).
perta” del tradimento, “dopo allora il marito ha cominciato a usare toni…” (ib.).
Questa convinta quanto fallace interpretazione della realtà costituisce un classi- È già chiaro dove bisogna guardare, qual è la molla che ha fatto saltare il mec-
co dell’ideazione delirante. L’aspetto interessante, però, consiste nella persona- canismo. L’affascinante signora che calamita le attenzioni, che se ne compia-
lizzazione di una vicenda cinematografica che dovrebbe restare lontana dalle ce, e che certo provoca negli uomini sensazioni e sentimenti. È proprio lei il
concrete esperienze soggettive. Egli ribadisce ancora, e con forza, la sua convin- fuoco, l’origine della scintilla, “in effetti è una situazione che s’è creata con l’u-
zione, “dai sospetti è risultata la verità” (ib.). Anche questo continuo riferimen- nione di quelle due persone (…) ogni donna, ogni persona provoca sensazio-
to alla verità, alla propria verità, costituisce un carattere intangibile della cre- ni ineluttabili” (ib.). Prende corpo la trasfigurazione della protagonista fem-
denza delirante. Inoltre, è costernato dall’affronto che ha subito il marito, una minile del film, assieme alla ridefinizione della percezione e del significato che
persona che non esita a definire buona e soprattutto calma: essa finisce con l’assumere. In altri termini, il delirante non riesce a sottrarsi a
quel tipico processo cognitivo di rifrazione della realtà. Lo stesso che alimen-
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ta le sue sconcertanti interpretazioni e che gli permette di dare forma e si- le reazioni che si hanno non c’entra la pazzia, sono istinti. Cioè se io, arrivato ad
gnificato alle sue convinzioni. Ormai la vicenda e il soggetto della gelosia (la un certo punto prendo una pietra, la butto su (…) quel faretto, e quel faretto farà
protagonista femminile) hanno un posto preciso nella sua ideazione: “è una un volo. Ma noi non possiamo colpevolizzare il faretto (…). Lei deve colpevoliz-
magia non è una fissazione (…) dietro un essere umano si può nascondere il zare me che ho buttato la pietra, quindi la reazione che viene, che scaturisce da un
bene ma anche il male” (ib.). In questa sua costruzione, oltre i “fatti”, natu- uomo, ad esempio, u maritu tonna a casa e trova a mugghieri chi ci fa i conna. Ma
ralmente anche le espressioni (persino quella che riguarda il titolo del film) as- picchì è pazzu, l’ha uccisa, ha quell’attimo di collera. Ma lei è sicuro che non fa-
sumono rilievo e un peso schiacciante. L’empatia col caso rappresentato viene rebbe la stessa cosa, o il comandante dei carabinieri, che cosa farebbe? (ib., p. 362).
espressa dal paranoico con una coloritura linguistica (connotativa) che carat-
terizza nettamente la sua modalità ideativa morbosa: Così come avviene nella modalità cognitiva paranoica, in cui man mano che
il malato viene assorbito dagli indizi (veri o presunti) finisce per cedere com-
la parola iniziale del film, L’inferno, cioè una donna, quella stessa donna può esse- pletamente all’ideazione delirante, alla stessa maniera, il delirante geloso ha
re il demone di per sé stesso, che può portarti forzatamente a vivere quelle situa- ormai perso di vista lo scopo originario della sua riflessione. Il commento del-
zioni (…) quella donna metteva il marito di fronte a dei cortocircuiti (ib.). la storia e dei personaggi del film a cui ha assistito assieme agli altri ricovera-
ti ha lasciato completamente il posto alla sua storia e ai suoi protagonisti:
Egli, adesso, condivide evidentemente la tematica delirante del protagonista
del film. Anzi, non può fare a meno di riferire la vicenda del film alla propria io non ho mai legato mia moglie (…) ho reagito all’improvviso perché mia moglie
vicenda personale. Ne parla usando nomi, luoghi, fatti e figure retoriche che mi ha fatto una trappola. L’ho detto che è stata fatta sballare dalla famiglia (…) ci
rievocano il suo triste passato: sono testimonianze e mi meraviglio come una magistratura (…) si sia comportata
così indegnamente, facendomi passare questi guai. È stata un’esperienza durissima
a questo punto l’intromissione altrui, esterna, perché se una persona fa quel gesto che lascia il segno nella, nel proprio cuore, e nella propria mente (ib., p. 363).
o arriva a portare, a fare certi gesti, chi l’ha detto che è sbagliato. Cioè un uomo
esce fuori strada, ma perché, perché la macchina, perché lui si è addormentato, Il fulcro della storia di gelosia resta imperniato sul ruolo della giovane ed affasci-
perché si era ubriacato, perché ha avuto un malore, perché la macchina è stata ma- nante signora. È lei la causa necessaria del sentimento, della gelosia e del dramma:
nomessa, oppure c’è stato un guasto? Quindi, così è nella vita! (ib., p. 361).
l’amore, era l’unione coniugale, in questo caso era come rappresentato da una can-
Ormai che c’è “nuovamente” dentro, preso nel vortice dei ricordi, stenta a fermarsi: dela che ardeva, dove la moglie era la fiamma accesa e il marito era la cera che si,
cioè che… non poteva sfuggire da questo destino. (…) da quella realtà che si è
cioè, l’intromissione della polizia, in questo caso, si c’è stato un omicidio, certo non trovato, da quella donna che era quella donna che gli portava, purtroppo l’acqua
gli possiamo dare un premio una coppa (…). Però non possiamo aggiungere noi sa- bagna, l’acqua bagna. E non c’è niente da fare! (ib., p. 380).
le su una ferita, perché non facciamo altro che fare ancora, o benzina sul fuoco (ib.).
Per ciò che riguarda il tema della gelosia, quindi, i deliranti lucidi partecipano al-
Dalle testimonianze in prima persona dei malati si può notare, relativamente l’ideazione morbosa di altri paranoici. Essi lo fanno, come dicevamo, attraverso un
al tema della gelosia, l’atteggiamento di condivisione o di partecipazione per sottile processo di assimilazione alla propria esperienza, e di immedesimazione
un’altra idea delirante di gelosia. Nel senso che essi mettono in atto un sotti- (più che nel personaggio) nell’idea di gelosia e nella storia rappresentata o vissuta.
le processo di assimilazione e di immedesimazione nella storia rappresentata. Un altro paziente (l’ultimo caso che riportiamo in questa breve rassegna) cerca
Il nostro paziente discute del “film”, ma è totalmente assorbito dal racconto inizialmente di non farsi coinvolgere nei fatti di gelosia raccontanti. Egli, prefe-
della sua storia traslata nella rappresentazione cinematografica: risce piuttosto soffermarsi sulla tecnica cinematografica usata dal regista. Ritie-
ne, intanto, che si tratta di un film esoterico che non può essere proposto per la
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proiezione in istituto. A suo parere il regista trae ispirazione dalla comédie fran- Egli comincia a chiarire il suo reale pensiero sui motivi di quella terribile vi-
çaise, tuttavia, nonostante si tratti sicuramente di un fatto di cronaca, non ver- cenda familiare. La causa necessaria della gelosia è senza dubbio la signora, che
rebbe rispettata l’unità di tempo e il film ne risentirebbe diventando, appunto, qui diventa anche l’archetipo dell’universo femminile:
noioso. Tergiversa parecchio indugiando su scene marginali, sulla condizione
della famiglia e dell’emancipazione delle donne e persino sul produttore e sul lei praticamente mette in atto un’astuzia che (…) è uno spirito di conservazione della
distributore italiano della pellicola. Fa un breve riferimento anche al titolo del donna in genere (…) perché la donna si difende per natura, ecco, congenita (ib., p. 377).
film per dire che è indicativo, cioè non è utile per rilassarsi. Il moderatore del
dibattito cerca allora di scuoterlo, gli chiede di commentare il rapporto di cop- Finalmente emerge in tutta la sua sconvolgente durezza la “verità”: “il marito in-
pia dei protagonisti, e se non trova che era venuta meno la fiducia tra i due. È tanto scopre che la moglie è bugiarda (…) lui ha avuto proprio la certezza che la
il passe-partout che lo fa vacillare, ma solo per un attimo: moglie poi lo tradiva veramente” (ib.). Assieme ad essa, alla verità, si svela in tut-
ta la sua durezza (e netta “evidenza”) la realtà, e non resta quindi che prenderne
le premesse essenziali del vivere comune, in una famiglia, sono improntate esclu- atto: la realtà della malattia della donna e, in virtù di ciò, del suo palese tradi-
sivamente sulla fiducia reciproca, coi genitori, coi fratelli… con i cugini, e poi in mento. Il delirante adesso è totalmente in balia della sua spiegazione, non tollera
ultimo arriva una persona estranea alla famiglia, che la facciamo entrare nel con- intrusioni o, peggio, di essere interrotto. Osserva con dovizia di particolari che la
testo… con lo stesso affetto che noi abbiamo (ib., p. 367). causa della gelosia, la malattia della signora, non è certo di natura mentale:

Continua a glissare e a sforzarsi per non entrare nel merito della storia cinemato- la moglie agli effetti poi era diventata una ninfomane (…) in quelle condizioni in
grafica e del tema della gelosia. Nel corso del cineforum però, finirà per parlarne cui c’era questo squilibrio, tra il sistema endocrino e il sistema nervoso, gli aveva
a valanga senza più riuscire a trattenersi, prendendo più volte la parola. Sembra prodotto praticamente attraverso il flusso sanguigno con gli ormoni che partono
comunque che non sia ancora il momento, e al moderatore che lo incalza chie- dall’ipofisi (…) aveva trasmesso alla cervice uterina il bisogno del sesso (ib., p. 378).
dendogli se si possa accordare fiducia alla protagonista femminile risponde:
La soluzione, allora, non può che essere semplice e appare in tutta la sua sconcer-
io non voglio commentare adesso il discorso! Voglio fermarmi invece sul dato, di- tante evidenza: “in queste situazioni la moglie va sbattuta fuori di casa!” (ib.).
ciamo, semantico (…) noi abbiamo visto nel film (…) l’aleteia (…) la verità es- I deliranti di gelosia partecipano dunque all’ideazione morbosa attraverso un
senziale, nel significato semantico della parola, che si esprime in uno stimolo di processo di giustapposizione della vicenda cinematografica rappresentata con
svelatura velata, no? (ib.). quella realmente vissuta, con la propria storia “passata”. Nel fare ciò tendono
ad assimilare i tratti salienti e perfino gli indizi caratteristici di altre vicende ai
Ma, nello stesso momento in cui Luca dice palesemente di non volerne parlare, propri vissuti. Il cerchio si chiude, infine, con la completa immedesimazione
eccolo invece impegnato a spiegare il significato della parola verità. Il nostro pa- (quasi prendendo il posto del personaggio geloso) nelle circostanze che han-
ziente infatti, prima di entrare nel vivo delle sue impressioni, sente il bisogno di no determinato la gelosia.
rimarcare il significato del rapporto tra “verità” e “realtà”, per finire col piegare Ma nel momento in cui il delirante entra personalmente in gioco, la figura del
con esso il senso della vicenda del film sulla propria realtà personale: personaggio che di fatto “sostituisce” passa in secondo piano. Questo finisce
così per assumere un ruolo marginale, tutt’al più da guardare con compassio-
l’argomento che mi ha colpito moltissimo, che il regista ha centrato, praticamen- ne. La donna e soprattutto il suo comportamento emergono in primo piano
te, come rapporto intimo di sesso (…) lo stimolo del desiderio della carne prati- e polarizzano l’attenzione del malato. È su di lei, infatti, che ricadono indub-
camente… è stato illustrato dal regista, che ne è conseguenza (…) di una verità biamente tutte le colpe di queste terribili storie familiari. È la sua figura e il
celata (…) parossistica (…) quella della moglie quando racconta al marito di ave- suo ruolo (anche sociale) che il paranoico utilizza per ribaltare completamen-
re avuto rapporti (…) con questo con quell’altro, eccetera, eccetera (ib., p. 376). te i termini dei fatti. È lei, cioè, che permette di svelare la “verità”. Modalità
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cognitiva delirante e linguaggio si intrecciano così in una costante ricerca del-
la “verità”, che passo passo viene costruita, anche semanticamente, piegando
il significato degli enunciati alle interpretazioni morbose.
Il paranoico, anche nel caso della partecipazione all’ideazione morbosa di gelosia,
rispetta le classiche forme cognitive del cliché delirante soggettivo. L’idea condivi-
sa è, cioè, filtrata attraverso le maglie della sua rigida modalità di interpretazione
della realtà. E dalla rigidità dei suoi tratti di personalità passa anche un evento ca-
suale com’è quello che abbiamo proposto, ovvero la fruizione di un film. Ciò, evi-
dentemente, basta a stimolare la sua peculiare e distorta visione della realtà. Il de-
lirante geloso, infatti, “vede” attraverso i suoi “occhi”, proietta in una storia altra
la sua storia, rivive e racconta di sé e delle sue tragiche esperienze.

Figura 3. Come vivi l’idea della gelosia


4. Gli studenti: gelosi, a volte
Il questionario viene somministrato a 89 studenti delle Università di Messina cata prevalenza del profilo c, solo un pizzico (per il 50,5%) che basta comunque
e di Enna (15 maschi e 74 femmine). In questo caso, il campione (a differen- a stabilire il legame tra i due sentimenti. Sommando, anche in questo caso, i
za dei paranoici ricoverati) è costituito prevalentemente da donne (l’83%) e profili a, b e c, si ottengono però risultati ancor più evidenti, ci sarebbe cioè un
da soggetti d’età inferiore ai 25 anni (circa il 63%). L’esame dei risultati con- nesso amore-gelosia per il 70,1% delle femmine e per il 59,9% dei maschi.
sidera i due gruppi di studenti in modo unitario, discriminando semplice-
mente le categorie costituite dal genere maschile o femminile.
L’emozione di gelosia, per le sue implicazioni affettive, cognitive e sociali, ha in-
contrato l’interesse di numerose ricerche. Un dato ci sembra rilevante: per l’e-
mozione di gelosia non sembra che siano state dimostrate sostanziali differenze
sessuali tra uomini e donne; entrambi i sessi vivono in maniera analoga questa
emozione (Harris 2004). Inoltre, una serie di indagini sull’emozione di gelosia
ha coinvolto (in vari periodi) alcuni gruppi di studenti universitari americani.
Anche ad essi è stato somministrato un questionario a risposta chiusa per spie-
gare eventuali differenze sessuali dell’emozione di gelosia (Buss 2000).
Più che ai dettagli dei risultati alle risposte (in totale 3.560) del nostro que-
stionario, in questa sede abbiamo scelto di dare evidenza ai quesiti e alle ri-
sposte più esemplari. Un quesito chiedeva: come vivi l’idea della gelosia? (Fig.
3). Per gli studenti di entrambi i sessi le risposte a, b e c, che affermano (seb- Figura 4. La gelosia è segno d’amore
bene con diversa intensità) la presenza dell’idea di gelosia, sono quelle di gran
lunga più contrassegnate (complessivamente l’83%). Più di un terzo di essi (il Ma, i sentimenti di fiducia per la persona amata sono poi così scontati? (Fig.
35,1% delle femmine e il 33,3% dei maschi) dichiara di pensarci solo in cer- 5). Le risposte sembrano ambivalenti. Ha “fiducia” restando tuttavia all’erta il
te situazioni (risposta b). 26,6% dei maschi e il 35,1% delle femmine (risposta b). Si fida incondizio-
Per specificare i rapporti tra l’emozione di gelosia e i sentimenti affettivi, si do- natamente, invece, solo il 16,8% del campione – il 13,3% dei maschi e il
mandava: la gelosia è un segno d’amore? (Fig. 4). Le risposte mostrano una mar- 17,5% delle femmine (risposta d).
314 315
Si pone poi la questione se la vicenda cinematografica rappresentata sia solo il frutto
dell’immaginazione del marito geloso (Fig. 7). Le risposte degli studenti in questo ca-
so sono chiarissime: il 97,7% (risposte d ed e) trova che la gelosia di Paul sia infon-
data, anzi che sia il prodotto della sua follia (risposta e) – per il 71,6% delle femmine.

Figura 5. Della persona che amo

I dati dimostrano la diffusione tra gli studenti universitari dei sentimenti e del-
l’emozione di gelosia. I loro giudizi sui quesiti ispirati al dibattito con i paranoici
ricoverati, riguardanti le rappresentazioni sul delirio di gelosia, sono invece di- Figura 7. La gelosia era il prodotto dell’immaginazione
versi. La tendenza delle risposte ora cambia bruscamente spostandosi verso i
profili che attestano la distanza dall’ideazione morbosa. Cominciamo con un Nonostante la diffusione dell’emozione e dei vissuti di gelosia tra gli studen-
quesito al “limite”: la gelosia è un sentimento comprensibile? (Fig. 6). Essa resta ti, non c’è per loro alcun dubbio che la storia rappresentata abbia tutte le ca-
un’emozione comprensibile, ma se si arriva a tanto diventa una malattia, per il ratteristiche di qualcosa di diverso: un’idea morbosa o, meglio, un delirio di
74,3% delle femmine (risposta d). Però solo il 24,7% degli studenti rifiuta qual- gelosia (Fig. 8). Non ne ha alcun dubbio il 94,3% di essi e soprattutto il
siasi atteggiamento o comportamento costrittivo (risposta e). 95,8% delle femmine (risposte d ed e).

Figura 6. La gelosia è un sentimento comprensibile Figura 8. Quello dei film è gelosia o delirio
316 317
5. Conclusioni Harris C. R. (2004) The Evolution of Jealousy. Did men and women, facing different
I risultati sin qui riportati sembrano quindi dimostrare che le rappresentazio- selective pressures, evolve different “brands” of jealuosy? Recent evidence suggests
ni dell’emozione di gelosia sono abbastanza “comprensibili” e diffuse nell’im- not, American Scientist, 92, pp. 62-71.
maginario comune degli studenti universitari. In quanto tratto culturale (o Jaspers K. (1959) Allgemeine Psychopathologie, Berlin, Springer-Verlag, tr. it. Psicopa-
bio-culturale come sostiene Sommers 1988) esse sembrano trovare significato tologia generale, Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, 2000.
nei sentimenti d’“amore” e vengono perciò giustificate dal reciproco senti- Lasègue Ch., Falret J. (1877) La folie à deux ou folie communiquée, Annales Médico-
mento di “rispetto” personale. Lo stesso, ovviamente, non si può dire per l’i- Psychologiques, 17, pp. 320-355.
dea morbosa di gelosia da cui i partecipanti al questionario prendono decisa- van Sommers P. (1988), Jealousy, tr. it. La gelosia, Roma-Bari, Editori Laterza, 1993.
mente le distanze, giudicandola senz’altro folle.
Tuttavia il dato di maggiore rilievo ci sembra (come dicevamo diffusamente
sopra, al § 3.) quello emerso dal dibattito con i paranoici gelosi. Essi chiara-
mente mostrano di condividere l’ideazione delirante e di partecipare alla sto-
ria di gelosia rappresentata. Nel momento in cui il folle condivide la “lettura”
della realtà col geloso (il protagonista del film), non può fare a meno di rife-
rire la vicenda rappresentata alla sua storia e ai suoi vissuti di gelosia. Questa
sovrapposizione, questa sorta di empatia, sembra il tratto dominante del si-
gnificato e della condivisione del tema delirante di gelosia. La personale e con-
vinta – quanto fallace – interpretazione della realtà costituisce un classico del-
l’ideazione morbosa. Anche questo continuo riferimento alla verità, alla pro-
pria verità, costituisce un carattere intangibile della credenza delirante.
L’aspetto più interessante che emerge dalla nostra indagine consiste allora nel-
la personalizzazione (immedesimazione) della vicenda cinematografica, che
dovrebbe restare lontana dalle concrete esperienze cognitive e psicopatologi-
che del paranoico. Così, le storie di gelosia vissute dai folli in prima persona
ci consentono di ritenere che alcuni temi deliranti (lucidi) possono senz’altro
essere condivisi.

Riferimenti bibliografici
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Manual of Mental Disordes, Fourth Edition, Washington dc and London, tr. it. DSM-
IV Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano-Parigi-Barcellona, Mas-
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EDAS Edizioni.
Buss D. M. (2000) The Dangerous Passion: Why Jealousy Is as Necessary as Love and Sex,
New York, The Free Press.
Fornari U. (1997) Trattato di Psichiatria Forense, Torino, Utet.

318 319
Massimiliano Cappuccio Nella cornice formalistica del computazionalismo classico, lo spazio elabora-
Università degli studi di Pavia to come rappresentazione metrica oggettiva è un luogo virtuale, uno spazio-
Scuola di Dottorato di ricerca in Computer Science, senza-corpo non coincidente con lo spazio vissuto dell’esistenza incarnata, ma
Mathematical Logic and Cognitive Science soltanto con una sua descrizione formale.
dell’Università di Siena

1.2. Modo B: costituzione enattiva


dello spazio corporeo peripersonale
Utilizzando il lessico introdotto da Francisco Varela, diciamo che, a questo livel-
lo, lo spazio viene “enazionato” attraverso operazioni cinestetiche, cioè atti per-
La costruzione cognitiva dello spazio cettivi dotati di una valenza attiva e costitutiva. Esso potrebbe essere frequenta-
dell’azione. Dalla bio-robotica to da robot dotati di un controllo senso-motorio di tipo enattivo: le informa-
zioni percettive e i programmi motori sono sedimentati nelle circuiterie neuro-
ai neuroni specchio nali come complessi polivalenti di competenze incarnate; percezione e azione
non esistono come due capi opposti di un formalismo razionalistico o di una
funzione computazionale monodirezionale, ma emergono di volta in volta come
1. Introduzione momenti di un medesimo processo distribuito. Le neuroscienze cognitive sug-
L’odierna bio-robotica, attraverso i suoi limiti, ci suggerisce come affrontare il geriscono che esse costituiscono funzioni polivalenti complesse emergenti dal-
problema dell’embodiment del corpo vivo almeno sotto il profilo tematico del- l’attività di un unico sistema integrato o di un singolo modulo cognitivo. Gli
la costituzione dello spazio. La proposta di questo lavoro consiste nel distingue- studi di Alain Berthoz e della sua scuola hanno mostrato ad esempio il ruolo at-
re tre modi idealtipici di articolazione della nostra esperienza spaziale. Scopo di tivo e intelligentemente predittivo delle saccadi oculari nei processi di stabilizza-
questa distinzione è chiarire che la complessità dell’esperienza spaziale non si ri- zione della visione. Alcuni meccanismi neuronali del sistema vestibolare, basati
duce, more geometrico, alla quantificazione delle sue relazioni metriche. sull’elaborazione di copie efferenti delle informazioni visive, consentono la ri-
configurazione automatica della posizione del corpo, senza l’intervento di alcun
dispositivo di rappresentazione centralizzata dello spazio oggettivo: in questo ca-
1.1. Modo A: rappresentazione metrica so “un segnale motorio di comando della direzione dell’occhio modifica il neu-
dello spazio naturale-oggettivo rone sensoriale. L’azione influenza la percezione alla sua sorgente!” Constatando
Lo spazio rappresentato dalle intelligenze artificiali più semplici viene il rapporto di stretta co-implicazione sussistente tra movimento e visione, Ber-
codificato attraverso operazioni logico-simboliche di tipo inferenziale. Questo thoz afferma che “bisogna sopprimere la dissociazione tra percezione e azione”
tipo di spazialità è un parametro neutro e omogeneo, perché si offre come rap- (p. 15), considerandole come due eventi congiunti e tra di loro inestricabili, sca-
presentazione meramente quantitativa di relazioni metriche esatte, come nel- turiti dalla loro comune profonda natura multimodale e incarnata.
la geometria euclidea. Durante l’esecuzione dell’azione, i dati percettivi (in- Lo spazio si offre di fronte al corpo come scenario enattivo fruibile per l’ese-
put) e le istruzioni motorie (output) rappresentano i due capi opposti di un cuzione di operazioni senso-motorie: la posizione dei corpi in questo spazio
procedimento gerarchizzato di elaborazione algoritmica. Azione e percezione, non si caratterizza unicamente in termini di coordinate oggettive o di rapporti
dunque, sono correlati tra di loro, nel senso che aggiornano vicendevolmente metrici tra gli oggetti, ma si definisce anche nella relazione di maggiore o mi-
la base dei propri dati, ma rimangono due realtà sostanzialmente separate e nore preminenza prospettica che gli oggetti assumono nei confronti del cor-
non sovrapponibili, nel senso che la loro funzione e la loro collocazione al- po situato del soggetto enattivo. È un spazio dotato di una gradazione ego-
l’interno del processo computazionale è nettamente distinta. centrata del senso della distanza che ne caratterizza il “qui” e il “lì”; esso che
320 321
può essere contemporaneamente ricostruito attraverso riferimenti allocentra-
ti multipli, reciprocamente reversibili e tendenti verso una sintesi concordan-
te, come hanno mostrato gli studi di Alain Berthoz sul senso del movimento
(Berthoz 1997), e la loro successiva sistemazione fenomenologica (Berthoz e
Petit 2006). Non si tratta più, quindi, di uno spazio omogeneo e neutro, ma
di uno qualitativamente connotato rispetto alla presenza del suo soggetto-pro-
tagonista e dei suoi molteplici alter-ego potenziali.
Ciò che circoscrive questo secondo livello di descrizione dell’esperienza spa-
ziale è il fatto che, al suo interno, l’unico atto performativo possibile è anco-
ra soltanto un atto di tipo cinestetico, cioè una variazione sensomotoria che
ridefinisce la correlazione tra variabili geometriche.

1.3. Modo C: com-prensione operativa


dello spazio pragmatico dell’azione
Occorre investigare un ulteriore strato dell’esperienza del corpo-vivo, non con-
trapposto ma complementare alla funzione costitutiva delle cinestesi. A que-
sto livello lo spazio viene frequentato come dimensione operativa degli atti
eseguibili da un corpo vivo, come funzione del loro significato pragmatico e
finalisticamente orientato.
Se ci ponessimo dal punto di vista della fenomenologia di Heidegger potrem-
mo affermare che questo terzo modo dell’esperienza spaziale si dispiega come Tabella 1
orizzonte aperto della “cura”, la condizione che caratterizza l’essere situato dei
viventi: essa connota il significato degli oggetti spaziali come poli virtuali di semplice sintassi spaziale dell’azione. Piuttosto è vero che l’attivazione dei
atti possibili, ossia come enti-alla-mano disponibili per un numero impreci- neuroni specchio corrisponde specificamente all’accesso al “significato inten-
sato di usi pratici. Lo scopo dell’azione si dischiude come primitiva relazione zionale” del gesto, ossia il valore pragmatico dell’azione capace di caratteriz-
di appartenenza sensata e di immediata famigliarità con il mondo, e non co- zare quest’ultima sin dalle fasi iniziali come un atto finalizzato e dotato di sen-
me valutazione pianificata di una strategia d’intervento. so, come un progetto di intervento sul mondo.
Gli esperimenti condotti dal gruppo parmense di Giacomo Rizzolatti mo- Anche i cosiddetti neuroni canonici sono dotati di proprietà visive oltre che
strano il ruolo della corteccia premotoria per l’elaborazione di questo tipo di motorie: come i neuroni specchio, essi sono implicati nei processi di elabora-
competenze pragmatiche: i neuroni specchio, ad esempio, si attivano selettiva- zione attiva di specifiche tipologie di azioni. Essi si attivano anche di fronte
mente all’occorrenza di specifiche tipologie di azioni finalizzate. L’attivazione alla vista di un oggetto provvisto di caratteristiche salienti per la realizzazione
dei neuroni specchio non dipende né dal soggetto che compie l’azione, né dal di quella specifica azione; a differenza dei neuroni specchio, i neuroni cano-
presentarsi dell’oggetto specifico dell’azione, né dal tipo di effettore utilizzato, nici scaricano di fronte al correlato oggettuale di un’azione possibile, e non di
né dal manifestarsi della volontà cosciente o della pulsione di compiere un’a- fronte alla vista dell’azione medesima. I neuroni canonici attestano dunque la
zione, e neanche dalla configurazione di un certo schema motorio (la topolo- presenza di processi pre-coscienti che incorporano una pre-comprensione de-
gia degli spostamenti del braccio, della mano ecc.). Sarebbe dunque impreci- gli oggetti spaziali nei termini della loro utilizzabilità pratica.
so affermare che i neuroni specchio codificano l’informazione relativa alla Gli esperimenti confermano il ruolo pragmatico di queste popolazioni neurona-
322 323
li anche per via sottrattiva. Gallese e altri (1994), e poi di nuovo Fogassi e altri struttura causale che definisce le regole dell’agire nello spazio. Il robot viene
(2001), hanno mostrato che se – attraverso microiniezione di muscimolo – viene spinto ad acquisire quattro livelli consecutivi di competenze motorie. Si trat-
inibito temporaneamente il funzionamento di alcuni gruppi di neuroni canonici ta di facoltà inerenti diversi gradi della costituzione dell’esperienza pratica:
implicati nell’elaborazione della presa di precisione, nella zona F5 della scimmia,
si può osservare che l’esecuzione di tale atto risulta gravemente scoordinata, come
se la scimmia fosse stata deprivata della comprensione complessiva del senso ope-
rativo di ciò che intende fare. La scimmia non riesce più a prefigurare attraverso
la semplice osservazione dell’oggetto il movimento necessario per eseguire su di
esso l’azione finalizzata, che viene ora eseguita in maniera laboriosa; la scimmia ha
bisogno di ripetuti gesti di esplorazione tattile per ricostruire uno schema moto-
rio adatto per concludere l’esecuzione della presa di precisione.
L’intervento chimico non ha compromesso la capacità di ricostruire cinestetica-
mente la morfologia del gesto, ha soltanto impedito di prefigurarlo olisticamen-
te, di progettarlo intenzionalmente e di eseguirlo armoniosamente come azione
dotata di senso pratico; il muscimolo non ha inibito il calcolo delle coordinate
motorie relative alla programmazione posturale del gesto e il calcolo della sua
traiettoria nello spazio oggettivo, visto che essi verosimilmente proseguono
efficientemente in altre aree corticali. La scimmia ha ancora a disposizione la rap-
presentazione geometrica dello spazio e l’orizzonte degli infiniti profili virtuali
degli oggetti; ciò che non riesce più a controllare è la comprensione dello spazio
in termini di affordance possibili (Gibson), che consentirebbero di modellare sul-
la base di uno scopo concreto la direzione intenzionale dell’azione.
Alcune caratteristiche dei neuroni canonici e dei neuroni-specchio possono
essere implementate a grandi linee su di una macchina. Tentativi di approssi- Tabella 2
mazione sono stati perseguiti grazie agli esperimenti di bio-robotica che ave-
vamo precedentemente annunciato. Facciamo riferimento ad un recente stu- Primo livello. Il robot apprende le leggi fondamentali della cinematica e del-
dio di Giorgio Metta e colleghi, dove vengono documentati l’operatività di un l’ontologia del mondo fisico, principi guida che gli consentiranno di control-
robot antropomorfo e i modi del suo progressivo apprendimento dell’espe- lare le proprie membra, muoversi nella direzione degli oggetti, raggiungerli e
rienza visuo-motoria e tattile. interagire con essi: si tratta di regolarità elementari nel processo di costituzio-
Questo modello è stato implementato in un sistema di reti bayesiane predi- ne operativa della spazialità.
sposto per la simulazione dell’action recognition in un contesto artificiale. Secondo livello. Il robot apprende alcune tra quelle affordance che nei primati
Questo sistema informatizzato è stato utilizzato come cuore computazionale sono codificate da canonical neurons. Siccome non è dotato di una vera e pro-
di un dispositivo cibernetico antropomorfo, chiamato Cog, che implementa pria mano, il robot può apprendere solo quattro operazioni elementari possi-
un sistema di arti tanto sofisticato da poter effettuare molti gesti tra quelli bili sugli oggetti: toccare, colpire, spingere in profondità, spazzare lateralmen-
compiuti da un uomo mentre manipola un oggetto. te. Cog raccoglie i dati inerenti la topologia dei movimenti del suo corpo che
Lo scopo dell’esperimento è quello di fornire al robot l’attrezzatura cognitiva gli consentono queste operazioni: il robot viene lasciato per giorni a tastare i
essenziale per riuscire ad affinare autonomamente la propria esperienza visuo- più disparati oggetti, utilizzando i quattro tipi di approcci motorii possibili.
motoria, apprendendo progressivamente – con un metodo prova-errore – la La raccolta dei dati provenienti dalle risposte tattili fornisce informazioni ine-
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renti il tipo di risposta spaziale che viene offerta passivamente dalla struttura Una volta acquisita questa capacità, il robot può essere facilmente program-
degli oggetti, e inoltre fornisce una correlazione sempre più complessa tra le mato per imitare – facendo riferimento appunto al suo “scopo” – l’ultima
forme geometriche di solidi differenti e le tipologie di azioni che corrispon- azione che un essere umano ha compiuto di fronte a lui. Ciò che Cog ripro-
dono alla loro esplorazione aptica nello spazio. I dati visivi raccolti ed elabo- duce, quindi, non sono tanto i singoli movimenti, quanto il tipo di effetto ci-
rati dall’apparato ottico del robot forniscono un feed-back per la correzione nematico dell’azione. Pur non potendo catturare nella sua interezza la com-
delle operazioni esplorative e per la registrazione dei cambiamenti della geo- plessità del finalismo intenzionale implicito nella più semplice delle azioni
metria della figura dell’oggetto al momento di una variazione del punto di os- animali, lo studio delle capacità imitative di Cog risulta straordinariamente
servazione. Il procedimento conoscitivo seguito dal robot si configura quindi chiarificatore, perché mostra: 1. che la capacità di imitazione di un’azione è
in termini cinestetici, perché avanza accoppiando dati somatosensoriali e pro- fortemente dipendente dalla comprensione del suo valore olistico e del suo
priocettivi a informazioni visive aggiornate dinamicamente. senso finalistico; 2. che la comprensione del senso finalistico di un’azione è
L’acquisizione di questo secondo tipo di competenza viene determinata attra- fortemente agevolata dall’esperienza performativa pregressa maturata dall’a-
verso un test che guida il processo di apprendimento per prova-errore: a par- gente cognitivo; 3. che questa esperienza performativa è gestita da un unico
tire da una serie di atti motori esplorativi Cog deve riuscire a comprendere la modulo che svolge ad un tempo funzioni di tipo percettivo e motorio; 4. che
posizione degli oggetti e la loro forma. Il dato visivo può funzionare da crite- la strategia cognitiva di tipo enattivo basata sulla simulazione incarnata del-
rio di verifica e correzione. A questo secondo livello, dunque, le caratteristi- l’azione pratica è più economica ed efficiente rispetto ad una rappresentazio-
che degli oggetti devono essere ricavate dal tipo di azioni eseguibili su di essi. ne centralizzata delle componenti geometriche gestuali, in perfetto accordo
Terzo livello. Il terzo livello di competenze motorie apprese da Cog cerca di con quanto dimostrato dagli studi sui sistemi viventi.
emulare la funzione visuo-motoria dei neuroni specchio seguendo un percor- Quarto livello. All’ultimo livello si colloca la facoltà dell’object recognition (ri-
so inverso rispetto al secondo livello, appena descritto: il tipo di azione vista conoscimento di classi di oggetti sulla base delle operazioni effettuabili con es-
deve essere riconosciuta derivandola dalle caratteristiche topologiche degli og- si). Non viene descritto diffusamente dall’articolo in questione, nell’attesa di
getti, le quali erano state apprese insieme alla famigliarità manipolativa ac- risultati più chiari.
quisita durante la fase precedente.
Questo terzo livello di competenze è quello che cerca di approssimare più da vi- Dovrebbe essere evidente che gli esperimenti di robotica di Metta e colleghi,
cino le funzioni cognitive di action recognition e di imitazione consentite dai neu- di per sé, non sono sufficienti per produrre una compiuta formalizzazione del-
roni specchio. Il robot viene predisposto per analizzare i dati visivi provenienti le peculiarità pragmatiche dello spazio in cui noi esseri viventi eseguiamo le
dall’osservazione di un agente umano che compie un determinato tipo di azio- nostri azioni; ciò nondimeno, essi rappresentano un primo, importantissimo
ne su un oggetto. L’azione compiuta dall’umano rientra nel repertorio degli atti passo, per comprenderne gli elementi strutturali fondamentali attraverso un
con cui Cog aveva precedentemente familiarizzato; il robot viene programmato modello funzionale. La dimensione pragmatica del significato dell’azione vie-
per discriminare tra diversi tipi di azioni affidandosi alle proprie esperienze di ne così approssimata dalla funzione regolativa svolta da un dispositivo enatti-
esplorazione motoria. Nelle intenzioni degli autori, questo esperimento dovreb- vo che utilizza olisticamente il complesso delle competenze operative del cor-
be condurre il robot a riconoscere il tipo di pattern visuo-motorio dell’azione a po vivo per produrre un controllo fine ed economico dell’azione incarnata.
partire dallo “scopo” pratico di quest’ultima. Per scopo pratico, in questo conte- Gli esperimenti di Gallese e Fogassi e altri, precedentemente citati, mostrano
sto artificiale, si intende il complesso delle conseguenze cinematiche che l’azio- come il pre-shaping dell’azione si svolga a un livello differente rispetto all’e-
ne ha ottenuto sul suo oggetto e sugli effettori coinvolti (esempio: lo “scopo” di splorazione tattile: emerge una distinzione tra il sistema cognitivo artificiale e
colpire un oggetto in un certo modo è quello di farlo ruotare in un certo modo quello biologico, perché quest’ultimo conduce la sua attività avendo già a dis-
portando il braccio in una certa posizione). Risultato di questi esperimenti: il ro- posizione un ricco campionario di schemi di azioni possibili e di principi te-
bot sembra riuscire a riconoscere la classe alla quale appartiene una determinata leonomici che pilotano la prefigurazione complessiva e organica dell’azione. Il
azione facendo riferimento unicamente ai dati inerenti il suo “scopo”. complesso di motivazioni pratiche che guida l’azione dell’animale è già da
326 327
sempre circoscritto entro l’orizzonte finalistico che caratterizza la vita biologi- Descartes R. (1998) Meditazioni metafisiche. L. Urbani Ulivi (a cura di) Milano, Rusconi.
ca (sopravvivenza, pulsione alla riproduzione, all’alimentazione, ecc.) e che Clark A. (1997) Being There. Putting Brain, Body, and World Together Again, MIT
definisce i pattern delle azioni necessarie per la sua conservazione. Cog, non Press, trad. it. Dare corpo alla mente, Milano, McGraw-Hill, 1998.
potendo avvalersi di questo raffinato patrimonio evolutivo, consegnato ai vi- Fogassi L., Gallese V., Fadiga L., Rizzolatti G. (1998) Neurons responding to the sight
venti dall’evoluzione o dall’esperienza individuale, deve sforzarsi di ricostrui- of goal directed hand/arm actions in the parietal area PF (7b) of the macaque mon-
re il senso progettuale delle proprie azioni attraverso l’accumulazione di espe- key, Society of Neuroscience Abstracts, 24, pp. 257-265.
rienze cinestetiche; pur rimanendo all’interno della cornice geometrizzante Gallese V. (2006) Corpo vivo, simulazione incarnata e intersoggettività. Una prospettiva
del secondo modo di elaborazione dell’esperienza spaziale, quindi, Cog deve neuro-fenomenologica, in Cappuccio (2006).
elaborare quella che, per il momento, in assenza di definizioni più precise, po- Gallese V., Metzinger T. (2003) Motor ontology: the representational reality of goals,
tremmo chiamare una proto-comprensione finalistica dell’azione, inferita em- actions and selves, Philosophical Psychology, 16(3), pp. 365 – 388.
piricamente e codificata in termini formali e geometrici. Heidegger M. (1953) Essere e tempo, trad. it. di Pietro Chiodi, Milano-Roma, Fratel-
Gli studi di Metta e colleghi offrono i primi strumenti operativi per tematiz- li Bocca Editori.
zare in modo nuovo la dimensione pragmatica dell’azione e per riprodurre il Husserl E. (1973) Ding und Raum. Vorlesungen 1907, U. Claesges (ed.) Husserliana,
funzionamento incarnato delle strutture mirror, ma non sciolgono il proble- vol. XVI, L’aia.
ma concettuale relativo al ruolo della teleologia dell’azione pratica per la co- Merleau-Ponty M. (2003) Fenomenologia della percezione, Milano, Bompiani.
struzione cognitiva della spazio. D’altra parte, come gli stessi autori del saggio Metta G., Sandini G., Natale L., Craighero L., Fadiga L. (2006) Understanding mir-
hanno consapevolmente riconosciuto, la robotica non può offrire risposte ror neurons. A bio-robotic approach, Interaction Studies 7(2), John Benjamins Pu-
filosofiche agli interrogativi della biologia teorica, ma può fornire strumenti blishing Company, pp. 197–231.
di progressiva approssimazione per la simulazione e per l’analisi delle funzio- Maturana H., Varela F. (1985) Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Ro-
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Sara De Carlo mondo percepito comporta delle relazioni” (Merleau-Ponty 1996, p. 21). Se
Università degli studi “Federico II” di Napoli è vero quest’assunto, allora la verità – intesa dal pensatore mai in senso stati-
Dottorato di ricerca in Scienze Filosofiche co ma sempre dialettico – non riguarderà dei meri costrutti geometrici, ma
dell’Università di Napoli andrà cercata in quel mondo condiviso in cui tutti nasciamo indissolubil-
mente accomunati da una fede percettiva. La percezione non è apprensione di
apparenze, né tantomeno la proiezione di schemi soggettivi sul reale, non è un
semplice pro-spicere, ma è giuntura; essa implica un momento patico che lega
me all’altro in un doppio cappio. È proprio questo doppio legame che oggi la
neurofenomenologia cerca di indagare, attraverso gli studi sull’empatia, sul-
Fenomeno di specchio. l’embodiment, sui mirror neurons.
Per una ricognizione neurofenomenologica Per approdare alla sua idea di percezione, il filosofo francese passa innanzitut-
to per un’analisi puntuale del corpo vivente, di quel Leib che Husserl insegna
nell’opera di Merleau-Ponty a distinguere dal Körper, rompendo così con la tradizione occidentale che con
Cartesio e Leibniz aveva parlato di corpo-macchina o automaton materiale. In
Merleau-Ponty non c’è alcuna scissione tra corpo fisico e mentale, piuttosto il
“La miglior luce che abbiamo in questo mondo altro non è che tenebra visibile” corpo oscilla tra la sua dimensione di corpo attuale e quella di corpo abituale, es-
Pessoa so “esprime la circolarità dinamica tra due poli reciprocamente co-costituenti-
si, che sono il corpo come organo di cui si fa un uso attuale e l’esperienza che
Gli attuali studi neurofenomenologici, nel loro tentativo di rispondere al tra- se ne ha come orizzonte di possibilità pratiche sempre disponibili” (Petit 2006,
dizionale cognitivismo e alla filosofia della mente di marca naturalistica, chia- p. 163). La disamina delle anomalie diventa centrale ai fini della comprensio-
mano in causa, oltre ad Edmund Husserl, Maurice Merleau-Ponty come pre- ne delle dinamiche corporee: doveva esserne convinto lo stesso Cartesio, che
cursore teoretico delle proprie analisi. Il debito che gli si riconosce sta nell’a- per primo si interrogò sul problema dell’arto fantasma, con cui appunto torna
ver ribadito a più riprese la dimensione patica dell’esperienza percettiva, di- a confrontarsi Merleau-Ponty. In uno snodo fondamentale dell’opera del ’45,
mensione che va reintegrata nell’alveo dei saperi scientifici. Tutta la riflessio- confutando gli approcci della fisiologia meccanicistica, il filosofo si interroga
ne merleaupontiana rivendica l’appartenenza ad una filosofia spuria ed ibrida, appunto sulla sindrome dell’arto fantasma: capita che talvolta persone ampu-
aperta a una parentela con la scienza, cui vuole ricordare che l’universo è mol- tate continuino a provare dolori, localizzandoli nell’arto assente; ora non è pos-
to più che l’universo dei constructa e che dunque la relazione con esso non può sibile dare di ciò né una spiegazione prettamente fisiologica, né tantomeno una
essere di fronteggiamento – come spesso si è preteso di fare – bensì di con- spiegazione univocamente psicologica, bisogna piuttosto comprendere come
naissaince. La nostra analisi, lungi dall’essere esaustiva, vuol fornire solo degli entrambe le componenti si implichino vicendevolmente. Se questa sindrome
spunti di riflessione sul fatto che, nell’arco dell’intera produzione di Merleau- dipendesse da condizioni fisiologiche non potremmo capire l’intervento, in
Ponty, il dialogo con le scienze non è mai venuto meno; è certamente vero – questo discorso, della storia personale del malato, le incursioni dei ricordi, del-
come molti sostengono – che una naturalizzazione della fenomenologia è lon- le emozioni. Se invece si accettasse una spiegazione psicologica tout court allo-
tana dagli intenti del filosofo, ma è altrettanto vero che in lui si rintraccia ra non si capirebbe come mai, una volta asportati i conduttori sensitivi che
un’indicazione precisa: la filosofia deve scardinare i propri margini, deve conducono all’encefalo, il problema scompare. La chiave di lettura che invece
infittire il confronto con l’altro da sé. potrebbe sciogliere la questione è quella che tiene presente il fatto che esiste
È con una frase apparentemente banale che Merleau-Ponty inaugura una con- una certa energia della pulsazione di esistenza che avviene a livello di un’inten-
ferenza discussa il 23 novembre 1946 davanti alla Societé française de Philoso- zionalità fungente: l’amputato non ha elaborato il lutto della perdita dell’arto
sophie, poco dopo la pubblicazione della Phénoménologie de la perception: “il e continua a conservarlo come presente, nell’ “orizzonte della propria vita”
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(Merleau-Ponty 1945, p. 129), egli patisce una sorta di melanconia prolunga- Ponty avanza l’idea che, al di là dell’utile, possano esserci altre dinamiche a muo-
ta. Esiste, per Merleau-Ponty, una veduta preoggettiva, una specie di diaframma vere la vita. Ci sarebbe un circuito esterno sul quale sarebbero sintonizzati i
interno che orienta il nostro essere al mondo. comportamenti organici, circuito che si applicherebbe attraverso il mimetismo.
Questo si presenta ad esempio attraverso l’omocromia fissa (la fauna di molti luo-
Quello che in noi rifiuta la mutilazione e la deficienza è un Io impegnato in un ghi si accorda col colore predominante della flora circostante), o di omocromia
certo mondo fisico e inter-umano, che continua a protendersi verso il suo mondo mutevole, o di omotipia (forma di mimetismo che investe tanto il colore quanto
nonostante le deficienze o le amputazioni, e che, in questa misura, non le ricono- la struttura), oppure attraverso disparati comportamenti mimetici rintracciabili
sce de iure. Il rifiuto della deficienza è il solo rovescio della nostra inerenza a un nei mammiferi superiori. Ciò proverebbe un’immediata apertura del vivente al-
mondo, la negazione implicita di quanto si oppone al movimento naturale che ci l’esser visto e quindi al farsi vedere: in tale prospettiva, la percezione incarna la
getta nei nostri compiti, nelle nostre preoccupazioni, nella nostra situazione, nei possibilità di manifestazione che di continuo si attualizza; la vita è “potenza d’in-
nostri orizzonti familiari (ivi, p. 130). ventare del visibile; essa è in potenza di se stessa dal momento che ha fatto del
visibile il proprio tema” (Bimbenet 2004, p. 259).
Ciò perché prima di avere un corpo siamo un corpo, inscritto in un ambiente Uno studioso come Bouvet, che a lungo si è occupato di casi di mimetismo,
circostante attraverso l’adesione a progetti, desideri: è così che “il malato conosce scrive: “perchè l’apparenza fosse, ci sono voluti gli oggetti, e naturalmente
la sua menomazione proprio perché la ignora, e la ignora proprio perché la co- qualcuno che li guardasse” (Bouvet 2001, p. XIII). Le dinamiche legate al-
nosce” (ivi, pp. 130-131). Egli continua a relazionarsi con l’esterno così come lo l’apparenza sembrano affermare una donazione gratuita delle forme del vi-
ha fatto un tempo, prima della menomazione, non ha riscritto l’abitudine del vente, che sfuggono a canoni quali quello di economia o adattamento.
proprio corpo sulle modifiche del suo corpo attuale. I casi di anomalia presi in Non è possibile spiegare in termini di caso i camuffamenti, le parate sessuali: il
esame dal filosofo non si limitano a questo, ma sono svariati, si pensi ad esempio lusso, lo sfarzo, l’eccedenza che questi fenomeni portano con sé non sono com-
al celebre “caso Schneider” di Goldstein: ciò fornisce la misura del come Mer- prensibili riferendosi a una logica di economia sottesa alle dinamiche naturali.
leau-Ponty intenda, fin dall’inizio, collocare la filosofia all’interno del dibattito All’interno del discorso sulle forme viventi bisogna far rientrare l’idea di auto-
coi saperi scientifici. Non che si voglia sovrapporre gli ambiti, né che si voglia in- rappresentazione. Se infatti la vita, negli animali, mirasse unicamente all’utile,
cuneare il discorso filosofico nelle pareti di un laboratorio; alla filosofia spetta il non avrebbe bisogno di mimesi, ricami, complicazioni, sofisticazioni, potrebbe
compito di un sempre rinnovato tentativo: ricucire lo iato tra soggettivo ed og- far capo a procedimenti molto più semplici. Il punto è che la vita gioca con da-
gettivo, grazie ad un ago che sempre porta con sé un filo preciso, quello della do- di in più, essa non è, secondo la definizione di Bichat, “l’insieme delle funzioni
manda di senso. Questa collocazione diventa esplicita nelle ultime testimonian- che resistono alla morte”, ma è potenza d’inventarsi del visibile” (Merleau-Ponty
ze merleaupontiane, quelle ormai scevre tra l’altro degli obblighi accademici. 1996, p. 278). Bisogna quindi operare una differenziazione tra il campo dei fe-
Negli ultimi corsi, tenuti al Collége de France dal 1952 al 1961 – anno della sua nomeni fisico-chimici e quello percettivo dell’apparenza animale.
improvvisa morte-, il filosofo francese infittisce il proprio ragionamento sulla
percezione, radicalizzando il discorso sul corpo proprio in quello della carne, e La questione del mimetismo non è ancora risolta, nella misura in cui nei casi ri-
nel far ciò egli chiama in causa alcune predicazioni avanzate dalla scienza a lui portati c’è una buona parte di leggenda. Ma che simili leggende abbiano potuto
contemporanea. Ai fini della nostra ricognizione, ci pare interessante soffermar- essere create e abbiano una lunga vita, è proprio ciò che rende interessanti questi
ci sull’analisi del mimetismo da lui proposta: quest’analisi ben esemplifica ap- casi. Se essi attirano tanto l’attenzione degli scienziati, significa che l’osservazione
punto il modo in cui Merleau-Ponty intende il suo dialogo con le scienze, modo ha un motivo, vuol dire che i fatti sembrano realizzare una magia naturale. Am-
recepito e fatto proprio dal metodo –o forse dai metodi – neurofenomelogici. mettere un’azione magica è ammettere che la somiglianza è di per sé un fattore
Certa biologia contemporanea crea uno strappo all’interno del principio di eco- fisico, che il simile agisce sul simile (ivi, p. 272).
nomia naturale, ipotizzando una morfogenesi dal preciso intento espressivo. Ri-
ferendosi agli studi dell’entomologo e biologo francese Hardouin, Merleau- Con Portmann, il filosofo francese, distingue tra un piano d’analisi microscopi-
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co che offre l’impressione di un animale-macchina ed un piano macroscopico ci fosse, ad unire e mettere in comunione me e l’altro, un alone di visibilità. Co-
volto a considerare l’animale come unità morfologica e che invece dà l’impres- me potremmo ad esempio dare una spiegazione al rossore che investe molti visi
sione di una produzione artistica. Se si affronta il secondo tipo di discorso, al- se non presupponendo una memoria anteriore dello sguardo d’altri?
lora occorre vedere nella forma un epicentro di senso e nell’apparenza animale
il dono di un linguaggio, un intento comunicativo, non un mero ornamento. La percezione che gli altri hanno del mondo mi lascia sempre l’impressione di una
Portmann nota che quanto più si opacizza l’esterno, quanto più si descrive un palpazione cieca, e noi siamo molto sospesi quando essi ne dicono qualcosa che si
limite tra fuori e dentro, tanto più si accresce la dinamica di tutto il tipo vitale: accorda con la nostra percezione, nello stesso modo in cui ci meravigliamo quan-
si pensi al passaggio agli animali superiori a partire dagli invertebrati inferiori, do un fanciullo comincia a comprendere (Merleau-Ponty 1964, p. 270).
in cui domina la trasparenza, in cui l’interno è tutto visibile all’esterno. Si po-
trebbe parlare dell’infittirsi di un mascheramento che procede dall’animale in- Il diritto che ci arroghiamo di pensare per tutti ci deriva dal sentito di un ac-
feriore verso quello superiore, “la ricchezza della forma esterna dell’uno è “in cordo armonizzato e disposto alla manifestazione di sé: lo sguardo altrui è il
estensione”, mentre quella dell’altro è intensiva” (Portmann 1989, p. 24). Se è suggello di questa dinamica intrinseca al mondo, prova del fatto che “l’altro
vero ciò, allora la complessità della vita è coglibile unicamente guardando all’a- nasce dalla mia parte, grazie ad una sorta di talea o di sdoppiamento, come il
spetto morfologico dell’animale, punto d’arrivo di tutte le stratificazioni filoge- primo altro, dice la Genesi, è stato fatto da una parte del corpo di Adamo”
netiche ed ontogenetiche. L’opacità quindi sarebbe funzionale a coscienza e in- (ivi, p. 83). Siamo conficcati gli uni negli altri, scaturigine di uno sguardo che
conscio, quanto più si complica tanto più si infittisce la rete relazionale. vive di rimandi e intersezioni, di sempre nuovi altrove. In Le philosophe et son
ombre così scriveva il filosofo:
L’ornamentazione della superficie esterna fa parte del modo di manifestarsi dell’a-
nimale. Ma questo nuovo elemento formale costituito dal disegno, elemento che Io mi attingo all’altro, lo costituisco con i miei propri pensieri: questo non è uno
si riscontra già in ambiti vitali in cui l’occhio è ancora un fattore senza importan- scacco della percezione dell’altro, bensì la percezione dell’altro. Noi non lo grave-
za, contiene in sé la possibilità di esser guardato, attraverso la quale un certo dise- remmo dei nostri commenti importuni, non lo ridurremmo avaramente a ciò che
gno caratteristico condurrà a un arricchimento della vita relazionale. La superficie di lui è attestato oggettivamente, se anzitutto egli non fosse là per noi, non già con
opaca permette di fondare rapporti (ib.). l’evidenza frontale di una cosa, ma insediato trasversalmente nel nostro pensiero,
occupando in noi, come un altro noi stessi, una regione che appartiene a lui solo
Merleau-Ponty cita Portmann anche in una nota di lavoro di Le visible et l’invi- (Merleau-Ponty 1960, p. 211).
sible datata aprile 1960, titolata “Telepatia – Essere per altri – Corporeità”, in cui
tenta di accostare osservazioni del biologo svizzero alla propria idea di corpo Molte emozioni tendono a farsi conoscere, attraverso rossori, gesti, posture, gra-
umano. Se è vero che ogni vivente debba essere considerato come organo indi- ne della voce: questo sarebbe del tutto inutile se non aspettassimo qualcuno, al di
rizzato al proprio essere visto, allora “percepire una parte del mio corpo è anche là del nostro corpo, pronto a leggere questi segni. La dimensione ad esempio del-
percepirla come visibile, i.e. per altri” (Merleau-Ponty 1964, p. 274). Ed è così la vergogna è attestata del fatto che ogni percezione del mondo si avverte come
perchè c’è sempre qualcuno a guardarmi, vedere è operare un gioco continuo di esteriorità, “alla superficie del mio essere visibile io sento che la mia volubilità si
rimandi. “L’atto del vedere – diceva Portmann – consegue da tutt’intera l’orga- smorza, che divengo carne e che in fondo a quell’inerzia che era me c’è qualco-
nizzazione del plasma; la vista è un rapporto preordinato con il mondo” (Port- s’altro, o meglio, un altro che non è una cosa” (Merleau-Ponty 1964, p. 85). Un
mann 1989, p. 59). Lo stesso Portmann, del resto, aveva osservato che quanto sostrato di ubiquità e sincronia getta ponti tra un marasma di soggetti e determi-
più la struttura si opacizza tanto più acquista un ruolo centrale la parte ottica: na il nostro rapporto dissimmetrico con l’alterità; quest’alterità non va intesa co-
ciò è indicativo del fatto che il vivente vede più profondamente, quanto più si me un altro posto come non-io generale, quanto piuttosto come una costellazio-
arricchisce la sua espressività poggiata sulla propria superficie opaca. Se l’altro ni di altri. Io la esperisco compresenza con altri in una relazione paradossale di as-
non fosse presente a guardarmi, non avrebbe alcun senso la mia visibilità, se non senza che implica una differenza tutta interna ad una immediata comunanza.
334 335
È necessario e sufficiente che il corpo dell’altro che io vedo, la sua parola, che io il compito di comprendere se, e in che senso, ciò che non è natura forma un “mon-
odo, che mi sono dati, dal canto loro, come immediatamente presenti nel mio do”, di comprendere anzitutto che cos’è un “mondo” e infine, se c’è un mondo, qua-
campo, mi presentino a modo loro ciò a cui io non sarò mai presente, che mi sarà li possano essere i rapporti del mondo visibile e del mondo invisibile (ivi, p. 52).
sempre invisibile, di cui non sarò mai direttamente testimonio (ivi, p. 104).

Così nello strutturarsi di ciò che comunemente si chiama telepatia si dipana Riferimenti bibliografici
proprio quest’idea: io non sono presente all’altro e tuttavia il fantasma di una Aa.Vv. (2006) Neurofenomenologia. Le scienze della mente e la sfida dell’esperienza co-
presenza mi avvicina a lui. Quando una donna, dice a mo’di esempio il filo- sciente, a cura di M. Cappuccio, Milano, Bruno Mondadori.
sofo, si sente desiderata e spiata, sia pur senza vedere colui che la sta guar- Bimbenet É. (2004) Nature et humanité, Paris, Vrin.
dando, questo avviene perché è possibile provare in noi, come una sorta di mi- Bouvet J.-F. (2001) La strategia del camaleonte. La simulazione nel mondo vivente, Mi-
naccia, un’anticipazione da parte dell’altro, un presentimento di memoria. lano, Cortina.
Hardouin R. (1946) Le mimetisme animal, Paris, PUF.
Ci si sente guardati (bruciore alla nuca) non perché qualcosa passi dallo sguardo Merleau-Ponty M. (1996) Le primat de la perception et ses consèquences philosophiques,
al nostro corpo e venga a bruciarlo al punto visto, ma perché sentire il proprio cor- Lagrasse, Verdier, tr. it. Il primato della percezione e le sue conseguenze filosofiche, Mila-
po è anche sentire il suo aspetto per l’altro. Si dovrebbe qui cercare in che senso no, Medusa, 2004.
la sensorialità altrui è implicata nella mia: sentire i miei occhi è sentire che essi so- Merleau-Ponty M. (1945) Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris, trad. di
no minacciati di essere visti (ivi, p. 257). A. Bonomi, Fenomenologia della percezione, Milano, Il Saggiatore, 1965.
Merleau-Ponty M. (1960) Signes, Gallimard, Paris, trad. di G. Alfieri, Segni, Milano,
E questa correlazione, questa reciprocità, questa quasi riflessione (Einfühlung), Il Saggiatore, 1967.
quest’Ineinander vanno ampliate a tutte le sfere percettive, non solo quelle che Merleau-Ponty M. (1964) Le visible et l’invisible, texte établi par C. Lefort, Gallimard,
riguardano la vista, giacché se il corpo è interamente un modo d’esprimere, al- Paris, trad. di A. Bonomi, Il visibile e l’invisibile, Milano, Bompiani, 1969.
lora interamente esso vuole essere ascoltato. C’è una disposizione immediata al- Merleau-Ponty M. (1995) La Nature. Notes. Cours du Collège de France, établi et an-
la comunicazione, un’espressività originaria: questa si evolve perché ogni essere noté par D. Séglard, Seuil, Paris, trad. di M. Mazzocut-Mis, F. Sossi, La natura, Mi-
è immediatamente un vettore orientato all’esterno, già nelle sue dinamiche bio- lano, Cortina, 1996
logiche. La telepatia, come il mimetismo, attestano il rapporto chiasmatico tra Portmann A. (1989) Le forme viventi. Nuove prospettive della biologia, Milano, Adelphi.
corpo e mondo; entrambi ci portano ad ammettere una indivisione originaria, Rizzolatti G., Sinigaglia C. (2006) So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni spec-
una relazione interna di somiglianza tra vivente ed ambiente. Potremmo parla- chio, Milano, Cortina.
re di una metaforicità originaria, innervata immediatamente nei nodi della vita
e dello spazio in cui essa si trova a vivere. Così come, nei casi di telepatia, il cor-
po converge col suo aspetto per l’altro, così, nel mimetismo animale, si attua
una misteriosa convergenza che testimonia uno spettacolarismo, non è spiega-
bile in termini meramente utilitaristici. Ci troviamo di fronte a una sorta di rap-
porto intimo tra vivente ed ambiente che apre ad un’inspiegabile,

Poiché la percezione ci dà fede in un mondo, in un sistema di fatti naturali rigorosa-


mente collegato e continuo, abbiamo creduto che questo sistema avrebbe potuto in-
corporare ogni cosa, perfino la percezione che ci ha iniziato ad esso. Oggi non cre-
diamo più che la natura sia un sistema continuo di questo genere. (…) Ci si impone

336 337
Anna Fratantonio 2. Metodo
Università degli studi di Messina Hanno partecipato alla ricerca 46 soggetti, equamente suddivisi in dislessici
Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive evolutivi e normolettori, frequentanti il secondo ciclo elementare (età media
dell’Università di Messina 9 anni). Per l’individuazione del campione, si è proceduto somministrando i
Dottorato di ricerca in Psicobiologia dei processi cognitivi seguenti strumenti: una scheda sociologica; il TINV – Test di Intelligenza
Non Verbale (Hammil e coll., 1998); le Prove Oggettive MT di lettura per la
scuola elementare (Cornoldi e Colpo, 1998); e la Batteria per la valutazione
della dislessia e della disortografia evolutiva (Sartori e coll., 1995). Lo studio
è stato condotto attraverso la costruzione e la somministrazione di frasi in
ognuna delle quali è stata inserita, secondo specifici criteri relativi alla posi-
L’influenza dell’informazione contestuale zione (dislocazione a destra) una parola target definita pseudo-omografa non
in relazione alla complessità ortografica: omofona poichè, pur essendo costituita dalle stesse lettere di un altro costrut-
to morfemico, non era né omofona, né omografa a questo e, in aggiunta,
un confronto tra dislessici evolutivi esprimeva un significato completamente diverso (dìspari e di spàri).
e normolettori
3. Risultati
1. Introduzione Da una ANOVA effettuata, sono emerse differenze statisticamente significa-
Diversi studi mettono in evidenza come, nell’ambito della lettura, le difficoltà tive tra il gruppo dei dislessici evolutivi e quello dei normolettori, per quan-
attinenti agli aspetti decifrativi del testo scritto fanno sì che il dislessico evoluti- to riguarda la velocità (F(1,44)=48,228; p=.000), l’accuratezza
vo combini le informazioni semantiche, offerte dal contesto linguistico, con i ri- (F(1,44)=35,411; p=.000) e la capacità di identificazione dell’ambiguità or-
sultati di una decodifica innaccurata. Dal momento che l’ambiguità ortografica tografica (F(1,44)=40,729; p=.000). In particolare l’errore di “pronuncia” e
può creare frequentemente dei falsi accessi lessicali, soprattutto nei soggetti con la relativa difficoltà ad identificare l’ambiguità, si sono rivelati indici im-
disturbo specifico di decodifica, si intende dimostrare come, quest’ultimi, ri- portanti del peso che può avere, per i soggetti con disturbo specifico di let-
spetto ai normolettori, possano dare priorità agli indizi semantici piuttosto che tura, l’informazione proveniente dal contesto. Essi, infatti, a differenza dei
ad alcune caratteristiche ortografiche della parola scegliendo, nella maggior par- normolettori, hanno scelto frequentemente la pronuncia che maggiormen-
te dai casi, non la pronuncia corretta, ma quella maggiormente coerente con il te si adattava al contenuto semantico della frase e, di conseguenza, hanno
contenuto informativo del costrutto frasale (Stanovich, West, Feeman, 1981; avuto più difficoltà nell’identificazione dell’errore. In questo studio, quindi,
Frith, Snowling 1983; Pring, Snowling 1986; Neely, 1991; Hulme, Snowling, la sensibilità al contesto linguistico è stata messa in evidenza attraverso il
1992; Nation, Snowling, 1998; Cunningham, Perry, Stanovich, 2001; Barca, modo in cui i dislessici evolutivi possono farsi “ingannare” dalle informa-
Burani, Di Filippo, Zoccolotti, 2007; Barca, Ellis, Burani, 2007). In particolare zioni contestuali, dando priorità alla coerenza e al senso logico, piuttosto
si prevede che il dislessico evolutivo, nella lettura di frasi contenenti una parola che alle effettive caratteristiche ortografiche della parola.
target ambigua (in relazione al significato del costrutto frasale), possa avere mag-
giori difficoltà, rispetto ad un normolettore, non solo nella velocità (tempo di
lettura dell’intera frase), ma anche nell’accuratezza (errore di “pronuncia” della Riferimenti bibliografici
parola target) e nella capacità di identificazione dell’errore (relativo all’ambigui- Barca L. Ellis A., W L., Burani C. (2007) Context-sensitive rules and word naming
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340 341
Marco Seghini La funzione centrale di tali applicazioni va sotto il nome di collaborative tagging
Università degli studi di Bologna e consiste nel fatto che gli utenti associano liberamente agli oggetti catalogati
Dottorato di ricerca in Filosofia del linguaggio, etichette (tag) che costituiscono lo strumento fondamentale di navigazione, per
Linguistica e Scienze Cognitive due motivi: da un lato le etichette forniscono una descrizione dell’oggetto; dal-
dell’Università di Bologna l’altro rappresentano lo strumento di base per l’organizzazione categoriale delle
informazioni. Nel presente intervento ci proponiamo di illustrare alcuni degli
aspetti e dei problemi che, dal punto di vista semiotico, tale fenomeno solleva.

2. Definizioni e approcci teorici


Per un’analisi semiotica Le definizioni di collaborative tagging, per l’esattezza, recitano:
del Collaborative Tagging ‘Collaborative tagging’ describes a practice whereby users assign uncontrolled key-
words to information resources. Such tags are used to enable the organization of
1. Introduzione information within a personal information space, but are also shared, thus allo-
Da alcuni anni a questa parte1, alcuni siti web specializzati nella gestione di wing the browsing and searching of tags attached to information resources by
contenuti – indirizzi di altri siti web, blog, immagini, foto, notizie, filmati ecc. other users” (MacGregor e McCulloch 2006).
– si sono dotati di strumenti per mezzo dei quali l’organizzazione di tali con-
tenuti viene affidata agli utenti stessi. La tendenza si è andata via via consoli- La seguente definizione si sofferma invece sul rapporto tra la pratica del tag-
dando, diventando in molti casi un attributo standard delle applicazioni web ging e il concetto più generale di metadata:
2.02. Con tali sistemi si tenta di sviluppare modalità di ricerca e di gestione di
database che superino, nei contesti dove è possibile e dove risulta più vantag- Collaborative tagging describes the process by which many users add metadata in
gioso, le strutture e le pratiche più tradizionali di archiviazione. In particola- the form of keywords to shared content (Golder e Huberman 2005).
re si ipotizza che tale approccio sia particolarmente efficace nei casi in cui, co-
me in Internet, si danno le seguenti condizioni (Shirky 2005): Si può dunque estendere anche ai tag la seguente definizione:

Domain Participants Metadata aids the identification, description, management and location of infor-
a large corpus uncoordinated users mation resources in both digital and non digital environments. (…) Metadata can
no formal categories amateur users enhance the process of resource discovery by disclosing sufficient information
unstable entities naive catalogers about a resource to enable users or intelligent agents to discriminate between what
unrestricted entities no authority is relevant and what is irrelevant (MacGregor e McCulloch 2006).
no clear edges
Il collaborative tagging in quanto produzione di metadata, rappresenta una
pratica di sensemaking, attività definibile nel modo seguente:
1
Il primo sito a lanciare questa applicazione nel 2003 è stato il sito per la gestione di indirizzi
di siti web Delicious. (D’Ottavi, 2006) Sensemaking is a process in which information is categorized and labeled and, cri-
2
Il termine è stato introdotto da Tom O’reilly 2005 (vedi anche Koblas, 2006). Il termine fa
riferimento ad una nuova tendenza in Internet caratterizzata dal coinvolgimento sempre più at- tically, through which meaning emerges (Golder e Huberman 2005).
tivo degli utenti nella produzione e nella gestione dei contenuti.

342 343
I concetti messi in campo da tali definizioni sono dunque molteplici e le con- di commercio elettronico), pur non essendo assimilabili completamente a ta-
nessioni con problematiche tradizionalmente presenti nel campo semiotico le categoria, presentano strumenti di navigazione ad essa vicini.
emergono in modo abbastanza chiaro. Prima di discutere dettagliatamente ta-
li relazioni, può però essere utile una breve rassegna degli approcci interessati
al fenomeno (Library and Information Science, Semiotic Dynamics, ecc.) 3. Ipotesi di ricerca
che, in particolare, si sono soffermati sui seguenti aspetti: Per inquadrare semioticamente alcuni dei problemi posti da simili sistemi in-
dividuiamo le seguenti aree tematiche:
• organizzazione categoriale: questo punto rappresenta uno degli attributi più • Interpretazione: In primo luogo appare centrale, evidentemente, il concetto
caratteristici dei sistemi di collaborative tagging, tanto da meritare la creazio- di interpretazione, dal momento che l’etichettamento può essere visto come
ne del neologismo folksonomy3 (Mathes 2004, Quintarelli 2005), unione dei un atto interpretativo che seleziona qualcosa dell’elemento etichettato e ne di-
termini folk e tassonomy. Il tratto fondamentale della struttura che caratte- venta, per quanto parziale, una sua descrizione. I metadata, cioè, possono es-
rizza tali apparati è il fatto di essere del tutto priva di gerarchia o di un qual- sere considerati interpretanti del dato.
che ordine tassonomico e per questo sono generalmente opposti alle struttu- • Classificazione: All’interno di tali sistemi, l’atto interpretativo di etichetta-
re ad albero e a rappresentazione di domini di conoscenze come le ontologie. mento si qualifica in modo particolare, oltre che per l’individuazione di un
Una simile struttura categoriale è considerata come conseguenza necessaria determinato rispetto sotto cui viene colto l’oggetto, anche per la dimensione
della natura informale e a posteriori della catalogazione. classificatoria implicata dal suo inquadramento entro una procedura di archi-
• analisi linguistica dei tag: l’importanza di tale aspetto deriva dalla differenza viazione: in questo senso chiama in causa soprattutto la dimensione catego-
che comporta l’utilizzo di etichette scelte liberamente rispetto all’adozione di riale dei fenomeni semiosici e semantici. Ricordiamo che la struttura catego-
quelli che vengono definiti controlled vocabularies (Macgregor e McCulloch riale dei sistemi di collaborative tagging ne costituisce uno degli elementi
2006). In particolare gli studi si soffermano sui problemi legati ai fenomeni maggiormente qualificanti.
di sinonimia e polisemia delle etichette o, più in generale, a tutti i problemi • Dimensione sociale: Il sistema di etichettamento in uso nei siti che adotta-
di vaghezza semantica. no il collaborative tagging, deve essere – per definizione – condiviso e questo
• fenomeni di circolazione, adozione e diffusione dei tag: questo problema è comporta una stretta parentela con i sistemi semiotici in genere. La peculiari-
stato affrontato soprattutto dal punto di vista statistico-quantitativo (Steels tà del caso in esame deriva dal fatto che tali sistemi operano sommando sche-
2006, Cattuto, Loreto e Pietronero 2006) per mezzo di analisi sui fenomeni mi di classificazione individuali: uno dei temi fondamentali riguarda perciò la
di diffusione e di convergenza tra gli utenti rispetto all’utilizzo delle etichette. possibilità di descrivere i processi che conducono all’emersione di un vocabo-
• effetti sulla ricerca: date le caratteristiche esposte alcuni autori individuano lario comune per l’etichettamento degli oggetti.
come peculiarità del sistema il fatto che questo consenta, oltre al recupero di • Dimensione testuale: Un ultimo elemento di rilievo è che i sistemi di clas-
dati di cui già si conosce l’esistenza, anche la scoperta di nuova informazione sificazione in oggetto costituiscono apparati testuali complessi che operano su
(Mathes 2004), sulla base delle relazioni di similarità che vengono realizzate testi (ci sembra utile mettere in evidenza questo aspetto perché potrebbe rap-
tra gli oggetti catalogati. presentare uno scarto non trascurabile rispetto ai problemi categoriali e clas-
Oltre al già citato Delicious, tra i casi più celebri di tali applicazioni ricordia- sificatori presenti nel caso di altri sistemi semiotici – in particolare le lingue
mo CiteULike e Connotea per le pubblicazioni scientifiche, Flikr per lo scam- naturali). Specifichiamo inoltre che la nozione di testo adottabile in questi
bio di immagini e Digg per lo scambio di notizie. Alcuni siti come Internet contesti copre oggetti intenzionalmente prodotti per significare (vedi, ad
Movie Database (database on line relativo a testi audiovisivi) o Amazon (sito esempio, Lorusso 2006, p. 14). In secondo luogo cogliere la dimensione te-
stuale di questi sistemi mette in evidenza il fatto che le etichette sono atti in-
terpretativi testualizzati che fanno parte del sistema di archiviazione in modo
3
Il termine è attribuito a Thomas Van Der Val, vedi Quintarelli 2005. qualitativamente equivalente gli oggetti catalogati.
344 345
Poste simili coordinate è possibile allora soffermarsi più dettagliatamente su Traditionally metadata is created by dedicated professionals (…). This often re-
alcuni dei punti ora accennati. Per motivi di spazio non discuteremo gli aspet- quires serious educating and training. The library and information sciences field
ti legati all’organizzazione categoriale; in questa sede ci occuperemo invece, in has developed elaborated rules and schemes for cataloging, categorization and
particolare, di due problemi: come si associano i tag e come si può descrivere classification” (Mathes 2004).
la dimensione collaborativa propria di tali applicazioni. Preliminarmente, tut-
tavia, andranno fatti alcuni chiarimenti sulla natura dell’atto interpretativo di Il secondo fa invece riferimento alla produzione di metadata da parte dell’au-
etichettamento. tore: “Original crators of the intellectual material provide metadata along
with their creation” (ib.). L’ultimo caso, quello in cui i metadata sono prodotti
dagli utenti stessi è appunto il caso del collaborative tagging.
4. L’autore dell’interpretazione Prima di confrontare tale tipologia con le tre intentiones proposte da Eco va fat-
Il primo nodo centrale posto all’attenzione da simili organizzazioni riguarda ta, preliminarmente, una specificazione teorica in questo senso: mentre le in-
infatti la possibilità di inquadrare gli atti interpretativi che in essi si realizza- tentiones sono opzioni che influenzano l’approccio interpretativo ad un testo, i
no all’interno di una cornice semioticamente orientata; per impostare il pro- metadata sono atti interpretativi realizzati. La distinzione echiana, cioè, fa rife-
blema si farà riferimento alla tipologia proposta da Eco ne I limiti dell’inter- rimento alle possibilità interpretative più che alle effettive interpretazioni cui un
pretazione (Eco, 1990) che discrimina tra: testo è sottoposto, individuando tre poli di attrazione che ne orientano la lettu-
• interpretazione come ricerca dell’intentio auctoris; ra. Per questo le tre intentiones non possono essere sovrapposte uno a uno con
• interpretazione come ricerca dell’intentio operis; la tipologia relativa alla produzione di metadata che, al contrario, discrimina at-
• interpretazione come imposizione dell’intentio lectoris. ti interpretativi sulla base dei lettori empirici che li realizzano.
Tale articolazione fissa le posizioni di un dibattito volto alla definizione dei Detto questo, si può comunque tentare una comparazione applicando un cri-
criteri interpretativi all’opera nella lettura di un testo; la prima posizione so- terio probabilistico. Infatti sembra più ragionevole pensare che una lettura
stiene che “si deve cercare nel testo ciò che l’autore voleva dire” (intentio auc- “esperta” come quella prevista nel caso della professional creation of metada-
toris) e si oppone a quella per cui “si deve cercare nel testo ciò che esso dice, ta garantisca sull’individuazione del senso dell’opera indipendentemente dal-
indipendentemente dalle intenzioni del suo autore”. Quest’ultima opzione le altre intetiones, così come è maggiormente probabile che l’author creation
prevede un’ulteriore distinzione per cui interpretare significa o “cercare nel te- costituisca un’esplicitazione dell’intentio auctoris che si aggiunge in modo
sto ciò che esso dice in riferimento alla propria coerenza contestuale e alla si- manifesto e dichiarato al testo; analogamente, nel caso della user creation è
tuazione dei sistemi di significazione cui si rifà” (intentio operis) o “cercare nel più probabile aspettarsi che emergano interpretazioni che, in modo più o me-
testo ciò che il destinatario vi trova in riferimento ai propri sistemi di si- no significativo, tradiscano l’intentio dei lettori che le realizzano. Un con-
gnificazione e/o in riferimento ai propri desideri, pulsioni, arbitrii” (intentio fronto in senso probabilistico, chiaramente, individua tali accostamenti uni-
lectoris) (Eco 1990, p. 22). camente come tendenze. È evidente però che, anche con questa limitazione,
Una simile schematizzazione sembra avere una qualche affinità con una clas- un simile parallelo appare problematico, dal momento che comunque opera
sificazione delle pratiche di produzione di metadata proposta da Mathes uno schiacciamento tra chiavi interpretative di ordine potenziale e atti inter-
(2004), in cui si distingue tra: pretativi realizzati. Ma, per quanto riguarda la user creation of metadata (og-
• Professional creation of metadata; getto centrale del presente discorso), si può aggiungere che forse è effettiva-
• Author creation of metadata; mente accostabile all’intentio lectoris dal momento che le caratteristiche stes-
• User creation of metadata. se dei siti che adottano il collaborative tagging favoriscono una maggiore aper-
Il primo tipo fa riferimento a tutti i casi in cui esiste una qualche forma pro- tura e indeterminazione del processo interpretativo: corpus esteso, assenza di
fessionalizzata o esperta di classificazione, associata ad una codifica rigida alla categorie formali, statuto instabile degli oggetti, assenza di confini chiari tra le
base della procedura: categorie, assenza di coordinamento tra utenti e di un’autorità che fissi i prin-
346 347
cipi dell’interpretazione. Questo consentirebbe così l’emersione degli elemen- In effetti la pertinenza di un sistema di classificazione, cioè il fatto che le carat-
ti maggiormente implicati nell’intentio lectoris, ovvero, secondo Eco, “i codi- teristiche che definiscono le classi componenti questo sistema e solo queste ca-
ci individuali e le proprie intenzioni, pulsioni e arbitrii”. ratteristiche contano per l’identità che si riconosce agli oggetti che esso riguar-
Potremmo così dire che se la schematizzazione in figura 1 non è accettabile, da, non può essere spiegata da queste caratteristiche stesse e ma soltanto dal
la combinatoria presentata in figura 2 sembra fornire una rappresentazione punto di vista da cui si considerano gli oggetti in questione (Prieto 1975, trad.
più soddisfacente della corrispondenza proposta. it. 1976, p. 86).

Author Professional User Pisanty e Pellerey (2004) ripropongono il seguente esempio, tratto dallo stes-
creation creation creation so Prieto, per l’illustrazione del principio di pertinenza:
Intentio Author Intentio
+ – –
auctoris creation auctoris Prendiamo un insieme qualunque di oggetti come può essere l’insieme compo-
Intentio Professional Intentio sto da un portacenere di cristallo, un bicchiere di carta e un martello. Questo
– + –
Operis creation Operis insieme potrà essere suddiviso internamente in modi diversi a seconda che il
Intentio User Intentio principio di classificazione interna sia costituito dall’insieme degli oggetti in
– – +
lectoris creation lectoris grado di raccogliere liquidi (…) oppure dall’insieme degli oggetti contundenti
Figura 1 Figura 2 che possiamo impiegare a scopi di difesa personale (…). (…) La decisione di
sussumere un dato oggetto sotto un certo abito interpretativo piuttosto che un
L’inquadramento discusso ci consente così di circoscrivere il fenomeno: in ba- altro dipende dall’universo di discorso nel quale ci si muove in quel determina-
se ad esso è possibile posizionare la user creation of metadata e determinare to momento (ib., p. 94).
alcune coordinate semiotiche del collaborative tagging come sistema poten-
zialmente aperto e indeterminato. Essendo il collaborative tagging un sistema di classificazione, questo com-
porta necessariamente che si diano fenomeni di pertinentizzazione nel sen-
so ora illustrato. Ripercorrendo le fasi del procedimento notiamo però che,
5. La dimensione collaborativa in un primo momento, l’associazione di un’etichetta ad un oggetto (film, fo-
Come si associano i tag? Come si è detto, i sistemi che adottano il collaborative to, sito) si limita a selezionarne un aspetto e lo qualifica come rilevante in
tagging assegnano a tale modalità di organizzazione dei dati un ruolo fondamen- rapporto al complesso dei suoi attributi; questo primo passaggio sarebbe,
tale nello sviluppo di modalità di ricerca che, accanto ad altri obbiettivi (vedi § come abbiamo visto, un atto semiotico che consiste nel cogliere qualcosa
2), quantomeno faciliti il reperimento dell’informazione: ciò presuppone, come sotto qualche rispetto.
requisito forte, un qualche grado di efficacia dell’etichettamento. Tale problema- Rispetto a questo passaggio potrebbero emergere, semmai, discussioni sul fat-
tica richiama alcuni dei temi che in semiotica vengono coperti dalla nozione di to che di per sé il dato è muto e che serve qualcosa che lo metta in moto e lo
pertinenza, concetto che in senso molto generale “si riferisce a tutto ciò che è in renda utilizzabile. I sistemi di collaborative tagging risolverebbero tale proble-
grado di stabilire distinzioni” (Simone 1990, p. 46). Nonostante tale termine ven- ma affidandosi proprio alla lettura che dei dati danno gli utenti.
ga utilizzato per descrivere problemi di diversa natura, è tuttavia possibile indivi- A prescindere da tale questione, tuttavia, un fenomeno di pertinentizzazione vero
duare due tendenze d’uso prevalenti: la prima in senso classificatorio (Prieto e proprio appare in realtà effettivamente all’opera solo ad un secondo passaggio,
1976); la seconda in senso pragmatico e comunicativo (Sperber e Wilson 1986). nel momento in cui una stessa etichetta è associata a più di un oggetto e stabilisce
Nel caso in esame, come vedremo, sono in gioco entrambi i sensi del concetto. la ricorrenza del medesimo attributo. Si veda l’esempio tratto da Flikr:
In primo luogo consideriamo la prima accezione ricordando la proposta di
Prieto, che definisce il concetto di pertinenza nel modo seguente:
348 349
their individual choices of tags to describe documents for themselves” (Ma-
thes, ibidem). Questo passaggio rappresenterebbe cioè l’occasione per un con-
fronto e una negoziazione tra gli utenti.
Per l’analisi di un simile meccanismo si può fare riferimento alla teoria della
pertinenza elaborata da Sperber e Wilson (1986). I due autori individuano
con tale termine il valore informativo di un atto comunicativo, calcolabile sul-
morning new Letoonia Boats art outdoor la base degli effetti contestuali che produce sull’ambiente cognitivo del rice-
sky jerseycity Harbour Movement kunst schweiz vente. L’ambiente cognitivo rappresenta lo sfondo dell’interazione ed è costi-
nj LANDSCAPE Fethiye Still landart sculpture tuito dalle informazioni contestuali, dalle ipotesi che su di esso posseggono i
viewlarge city Night Water LANDSCAPE workshop partecipanti e dalle assunzioni relative alle intenzioni e conoscenze che reci-
usa building Cloud Canon natur procamente si attribuiscono. Gli effetti contestuali sull’ambiente cognitivo so-
urban minolta Mountain EOS no determinati dalla relazione che l’informazione stabilisce con le ipotesi che
sunrise color LANDSCAPE 350D lo costituiscono e, conseguentemente, la pertinenza di un’informazione di-
newjersey clouds Seascape Scoopt pende sia dalla portata di tali effetti che dallo sforzo cognitivo necessario ad
includere la nuova informazione nell’insieme di ipotesi di partenza4.
Come nel caso sopra descritto del portacenere, del martello e del bicchiere, an- Ricordiamo che, nel caso di siti come Delicious, per giungere ad un sistema di
che la procedura di interpretazione realizzata tramite l’applicazione di una stes- catalogazione generale e condiviso vengono sommate le classificazioni fatte dai
sa etichetta (in questo caso landscape) a più oggetti si configura come un pro- singoli utenti; tali sistemi, cioè, “are used by individuals to organize materials
cedura di classificazione basata sull’evidenziazione di una pertinenza; questa, di with their own vocabulary of terms” (Mathes 2004). Il processo di negoziazione
rimbalzo, aumenta l’intelligibilità degli oggetti e fissa un preciso percorso inter- che dovrebbe portare alla costruzione di un vocabolario condiviso, dunque, po-
pretativo, proprio in virtù della catalogazione che realizza e della loro costitu- trebbe essere descritto nel modo seguente: l’utente del sito, una volta assegnata
zione in una classe. Come specifica Prieto, però, la pertinentizzazione funziona l’etichetta, per verificare la bontà della propria associazione, la confronta con le
solo alla luce dell’universo di discorso in cui si realizza: il problema è dunque associazioni già realizzate. L’esposizione di associazioni precedenti rappresenta, in
stabilire quali universi di discorso favoriscono certe pertinentizzazioni. termini più precisi, un caso di comunicazione ostensiva (Sperber e Wilson 1986,
L’individuazione di questo passaggio ci porta a discutere della pertinenza intesa trad. it. 1993, p. 241), ed è da tali associazioni che l’utente deve inferire il si-
in senso pragmatico dell’etichetta, dal momento che i tag, pur avendo una fun- gnificato dell’etichetta e il valore dell’associazione già in uso nel sistema.
zione prevalentemente classificatoria, presentano anche valenze comunicative L’ambiente cognitivo che fa da sfondo all’interazione include la presupposizio-
parimenti significative: alcuni autori individuano infatti l’esistenza di processi di ne che gli altri utenti abbiano etichettato nel modo migliore, in vista del suc-
comunicazione che si sviluppano, tra gli utenti, proprio per mezzo dei metada- cessivo ritrovamento, gli altri oggetti già associati al tag e che questo ne miglio-
ta. Il meccanismo alla base di tale processo consiste nel fatto che nei siti in esa- ri la comprensibilità. Questo non dipende dall’effettivo atteggiamento degli
me l’assegnazione di un etichetta riceve come feedback – immediato – l’esposi- utenti, ma dalla struttura comunicativo-collaborativa del sito. Ovvero: il siste-
zione degli altri oggetti già catalogati (dagli altri utenti) con la stessa etichetta ma di assunzioni non impone che gli utenti seguano davvero tali principi quan-
(Udell 2004). In questo modo esisterebbe la possibilità di stabilire l’eventuale do etichettano (e, come vedremo, a volte ciò non avviene) ma lo si può assu-
scarto che si verifica tra l’interpretazione adottata dai diversi utenti e di deter-
minare se il rispetto già scelto da altri corrisponde a quello ipotizzato:
4
“This tight feedback loop leads to a form of asymmetrical communication Specifichiamo che, essendo la comunicazione per mezzo di metadata asimmetrica, l’applicazione
della teoria della pertinenza di Sperber e Wilson non può essere effettuata in toto, dal momento
between users through metadata. The users of a system are negotiating the che questa è soprattutto una teoria della conversazione. Il suo utilizzo permette però può rappre-
meaning of the terms in the folksonomy, wether purposefully or not, through sentare una possibile via per descrivere l’aspetto pragmatico dei sistemi di collaborative tagging.

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mere dal momento che l’ambiente si autopresenta come collaborativo. Tale ca- Nel primo caso, conoscere quali film vengono associati all’etichetta spoon non
ratterizzazione non appare molto diversa dalla qualificazione cooperativa che si permette di individuare facilmente la pertinenza all’opera dal momento che non
dà della conversazione, indipendentemente dalle intenzioni dei parlanti. è del tutto chiaro a cosa essa si riferisca per ciascun film (nel senso che la sem-
Fissati tali elementi, tra tutte le interpretazioni relative al significato dell’etichet- plice presenza di un cucchiaio non appare come un elemento realmente perti-
ta e al valore dell’associazione, secondo la teoria della pertinenza, l’utente indivi- nente). Nel secondo caso, invece, sembra più immediatamente leggibile il senso
duerà quella che ha maggiori conseguenze sul proprio sistema di ipotesi (sia co- dell’etichetta spaghetti western come etichetta di genere, dal momento che que-
me conferma che come smentita) e che, contemporaneamente, richiede minor sta si configura come categoria metatestuale e sovraordinata agli oggetti catalo-
sforzo cognitivo per essere accettata. Per giungere a questo risultato realizzerà gati. Il successo della negoziazione è, dunque, strettamente correlato al tipo di
dunque una serie di inferenze sul significato dell’etichetta da un lato e dall’altro etichetta e al tipo di oggetto. La possibilità di derivare la pertinenza classificato-
sul rapporto tra questa e gli oggetti, tenendo conto che l’ambiente cognitivo pre- ria per mezzo di una comunicazione ostensiva (che dovrebbe chiarire il punto di
vede in partenza certe esclusioni (per esempio, associazioni ironiche o casuali). vista con cui questa viene adottata) può così dare luogo tanto a casi di negozia-
A parte questi dati di partenza, però, la fondazione del processo inferenziale su zione felice – spaghetti western – quanto a casi segnati da insuccesso – spoon.
un sistema di reciproche attribuzioni comporta che la scelta definitiva, ovvero la Dato un simile assetto, l’efficacia del tag come strumento di catalogazione e
selezione dell’interpretazione più pertinente, non dia, in ogni circostanza, le stes- di recupero dell’informazione è, dunque, duplicemente determinata; dipende
se garanzie di individuare un’interpretazione univocamente intesa5. infatti dalla pertinenza classificatoria che seleziona e dal consenso che intorno
Per osservare tale dinamica si vedano i due esempi riportati di seguito; si trat- ad essa si riesce a stabilire tra gli utenti del sito.
ta degli elenchi di film che, nel sito IMDb, sono associati all’etichetta spoon Una simile applicazione combinata del concetto di pertinenza potrebbe esse-
e all’etichetta spaghetti western: re dunque un modo per descrivere la dimensione collaborativa che tiene in-
sieme i sistemi di collaborative tagging; dovrebbe mettere in evidenza come
Spoon alla loro base si dia una serie di assunzioni legate da un generalissimo princi-
The Matrix (1999) Exils (2004) pio di carità che sostiene la comunanza interpretativa che li fa funzionare, con
Rejected (2000) The Flintstones (1994) maggiore o minore successo.
Black (2005) Une vraie jeune fille (1976) Come si combinano le classificazioni fatte da diversi utenti?
Bruce Almighty (2003) Believe It or Not (1931/I) Quanto descritto in precedenza non risolve del tutto il problema relativo al pro-
Escape from Alcatraz (1979) An American Haunting (2005) cesso che dovrebbe portare ad una condivisione del sistema di classificazione per
Our Relations (1936) Un condamné à mort s’est échappé ou mezzo della somma delle classificazioni individuali e idiolettali realizzate dai sin-
Top Secret! (1984) Le vent souffle où il veut (1956) goli utenti, poiché descrive solo la comunicazione che si realizza tra di essi.
Un caso che sfugge da tale inquadramento si realizza, ad esempio, quando
Spaghetti western l’etichettamento si realizza in modo manifestamente non collaborativo. Esi-
Giorni dell’ira, I (1967) Faccia a faccia (1967) stono infatti casi di etichette del tutto idiolettali, come nel caso dei tag to
C’era una volta il West (1968) Vamos a matar, compañeros (1970) read o me, che aggirano il problema della comprensione e della negoziazio-
Per qualche dollaro in più (1965) Giù la testa (1971) ne del significato, dal momento che individuano un interesse assolutamente
Cangaçeiro, O’ (1970) Resa dei conti, La (1966) personale come criterio di pertinentizzazione degli oggetti (ovvero indicano
Grande silenzio, Il (1968) Mio nome è Nessuno, Il (1973) che il dato in questione è “da leggere” o riferito in qualche modo all’autore
Per un pugno di dollari (1964) Buono, il brutto, il cattivo, Il (1966) dell’etichetta – “me”). In questo caso dunque non si pone nemmeno il pro-
blema della cooperazione, perché è espunta di fatto dalla natura dell’etichet-
5
Altri quadri interpretativi, non incompatibili, per descrivere il meccanismo all’opera potrebbero ta: simili esempi rappresentano casi in cui, pur assumendo una dimensione
essere quelli della traduzione radicale di Quine, (Quine 1960) e la posizione di Davidson 1984. collaborativa generale, questa viene elusa e, quindi, perde consistenza anche
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la discussione intorno ai processi in virtù dei quali vengono sommate le clas- efficacemente espresso in termini di competenza e che i casi di negoziazione fe-
sificazioni realizzate dai singoli utenti. lice possano essere descritti come casi in cui si realizza una sovrapposizione tra
A parte questi casi (per altro non irrilevanti), il problema della fusione dei sin- CM. Il problema della competenza emerge dunque come nodo centrale e come
goli sistemi di classificazione potrebbe essere ricondotto a quanto Eco afferma ultimo aspetto da cui dipende l’efficacia della dimensione collaborativa.
in relazione alla distinzione che esiste tra contenuto nucleare e contenuto mo- Questi sistemi, infatti, si reggono sulla possibilità che, in un certo momento,
lare come contenuti del tipo cognitivo in Kant e l’Ornitorinco (Eco 1997). si crei quella competenza media che ne permetta il funzionamento. Questo
Non riportiamo qui tutta la riflessione che conduce alla formulazione di tale non vale solo come asserzione di principio ma può essere riconosciuto proprio
architettura teorica. Ricordiamo soltanto che i due concetti sono utilizzati per grazie alle etichette. I tag, infatti, sono interpretanti pubblici (essendo testua-
distinguere due dimensioni della competenza enciclopedica: il Contenuto lizzati) ma, in partenza, non necessariamente condivisi. È solo quando ven-
Nucleare (Eco 1997, p. 116) individua gli interpretanti pubblici e condivisi, gono riconosciuti, riutilizzati dalla comunità, ovvero quando cominciano a
relativi ad una data unità culturale, che consentono la gestione intersoggetti- circolare e ad essere adottati felicemente che finiscono per descrivere un’area
va dei fenomeni di semiosi percettiva6; il Contenuto Molare (ib., p. 119), in- di competenza comune e a far funzionare il sistema. Quest’ultimo aspetto è
vece, comprende quelli che costituiscono una “conoscenza allargata” relativa quello che generalmente viene sottoposto ad analisi quantitative, volte a de-
al medesimo oggetto, ma che, per definizione, va considerata come settoriale terminare proprio le dinamiche che sostengono l’emergenza di un vocabola-
e non condivisa. Il Contenuto Molare, nella definizione che ne dà Eco, collo- rio condiviso che manifesti un’area di competenza comune e che rappresenta
candosi al livello a cui avviene la “divisione del lavoro culturale” (ib., 119), l’esito finale della negoziazione.
“può assumere formati diversi a seconda dei soggetti e rappresenta porzioni di In questo senso possiamo concludere notando che la dimensione sociale e col-
competenza settoriale” in modo tale che “la somma dei CM si identifica con laborativa che caratterizza questi sistemi conosce diverse sfumature:
l’enciclopedia come idea regolativa e postulato semiotico” (ib., p. 120). In
questo senso si può ricordare il seguente esempio: • In primo luogo quello della rilevanza più o meno individuale dell’etichetta,
che fa da sfondo alla possibilità di avviare il principio di negazione (e questo
Io ho certamente alcune nozioni circa un topo e sono in grado di riconoscere un potrebbe rappresentare un collegamento con la problematica dell’intentio lec-
topo nell’animaletto che attraversa improvvisamente il soggiorno della mia casa di toris discussa più sopra).
campagna. Uno zoologo conosce sul topo molte cose io non so (…). Ma se lo zoo- • Superato tale prerequisito, ovvero nei casi in cui il processo di negoziazione
logo è con me in quel soggiorno di campagna (…), in condizioni normali do- è possibile, questo è però inquadrato all’interno di un sistema di assunzioni
vrebbe consentire con me c’è un topo nell’angolo laggiù. È come se, dato il siste- generali che costituisce lo sfondo comunicativo in cui agiscono gli utenti e che
ma di nozioni che io ho circa il topo (CM1, tra cui probabilmente anche inter- delimita, in partenza, le possibilità del suo funzionamento.
pretazioni personali, dovute a precedenti esperienze, o molte nozioni sui topi nel- • Infine, come ultimo elemento, gioca un ruolo fondamentale il problema
la letteratura e nelle arti, che non fanno parte della competenza dello zoologo) e della competenza, nella misura in cui gli scarti individuali rendono più o me-
dato il sistema di nozioni o CM2 dello zoologo, entrambi concordiamo su un’a- no facile l’affermazione di una competenza media.
rea di conoscenze che abbiamo in comune (ib., p. 150).

Riprendendo l’esempio descritto più sopra delle etichette spoon e spaghetti we- Riferimenti bibliografici
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ovvero la leggibilità del principio di pertinentizzazione all’opera, possa essere interpretation”, trad. it. Verità e interpretazione, Bologna, Il Mulino.
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Shirky C. (2005) Ontology is overrated: Categories, links, and tags, mento, proprio o altrui, sulla base dell’attribuzione di stati mentali quali cre-
http://www.shirky.com/ writings/ontology overrated.html. denze, desideri, emozioni e intenzioni – ha visto contrapporsi, a partire dalla
O’Reilly T. (2005) What is Web 2.0. Design patterns and business models for the seconda metà degli anni ’80, due opposte fazioni.
next generation of software, disponibile su http://oreillynet.com/1pt/a/6228. Da un lato, i cosiddetti “teorici della teoria” (Gopnik e Meltzoff 1997, Baron-
Simone R. (1990) Fondamenti di linguistica, Roma-Bari, Laterza. Cohen 1994) ritengono che questa capacità dipenda dal possesso di un cor-
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Udell J. (2004) Collaborative Knowledge Gardening, in Infoworld. pretano invece la psicologia ingenua come un’euristica simulativa, ossia come
la capacità di mettersi nei panni altrui e di riprodurre in se stessi gli stati men-
tali e i processi di ragionamento di altre persone.
Il confronto tra teorici della teoria e teorici della simulazione prosegue da ol-
tre un ventennio. Fino alla metà degli anni ’90 la partita si è giocata – alme-
no dal punto di vista sperimentale – soprattutto sul campo della psicologia
dello sviluppo e della neuropsicologia clinica. La scoperta dei neuroni mirror,
avvenuta ormai più di dieci anni fa, ha segnato una tappa fondamentale nel-
l’evoluzione di questo dibattito. L’identificazione, nel cervello di alcuni pri-

* Desidero ringraziare Diego Marconi e Cristina Meini per aver letto e commentato una ver-
sione preliminare di questo testo.

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mati, di gruppi di neuroni che rispondono non soltanto quando la scimmia su un ragionamento di tipo inferenziale – e dunque su una qualche forma, sep-
esegue certi movimenti, ma anche quando, completamente immobile, osser- pur minima, di teoria della mente – bensì su “meccanismi che forzano ad inter-
va un’altra persona compiere gli stessi movimenti è stata infatti considerata pretare il comportamento degli altri come se fosse il proprio”. Questi meccanismi,
come una prova del fatto che la comprensione dei comportamenti altrui av- secondo Gordon, devono essere identificati, appunto, con i fenomeni di mir-
verrebbe proprio attraverso la loro riproduzione, e dunque che l’attribuzione roring, dove per mirroring si deve intendere “una risposta provocata dalla per-
di stati mentali sarebbe subordinata a un’euristica di tipo simulativo. cezione di un soggetto A da parte di un altro soggetto B, in seguito alla quale
In questo articolo prenderemo in considerazione, in particolar modo, l’in- B viene a possedere la proprietà P perché A possiede la proprietà P”.
terpretazione che Robert Gordon (2005), il più famoso sostenitore della co- Occorre distinguere, osserva tuttavia Gordon, un tipo di mirroring che po-
siddetta simulazione radicale, ha recentemente offerto a proposito dei feno- tremmo definire costitutivo da una più diffusa concezione del mirroring, os-
meni di mirroring. Quello che ci proponiamo di dimostrare è che la spiega- sia il mirroring imitativo. Quest’ultimo consiste nell’imitazione deliberata
zione di questi fenomeni, lungi dal costituire un’evidenza decisiva a favore del comportamento altrui, in seguito alla quale l’imitatore viene a trovarsi
della teoria della simulazione, è tuttora problematica tanto per la sua posi- nello stesso stato interno del soggetto imitato: in altre parole, la riproduzio-
zione quanto per quella sostenuta dai teorici della teoria. In particolare, cer- ne del comportamento osservato determina l’insorgere nell’imitatore di
cheremo di mostrare come Gordon, attraverso l’interpretazione dei fenome- quegli stati – motori, viscerali, emotivi – legati all’esecuzione di certi spe-
ni di mirroring, tenti di ovviare a un problema caratteristico della sua teoria cifici movimenti. Al contrario, osserva Gordon, il tipo di mirroring indivi-
della simulazione radicale e, più in generale, di ogni teoria della reduplica- duato da Rizzolatti e colleghi è la conseguenza diretta della percezione del
zione sintattica (cfr. Nichols e Stich 2003), vale a dire il problema del rico- comportamento altrui, non della sua imitazione: la semplice percezione vi-
noscimento degli stati mentali simulati. siva dell’azione provoca nell’osservatore la riproduzione degli stati interiori
del soggetto osservato. Dunque, mentre nel primo caso, nel tentativo di
imitare il comportamento altrui, io richiamo il piano motorio caratteristico
2. La proposta di Gordon per quell’azione, nel secondo caso, la percezione visiva del comportamento
Dopo la scoperta dei neuroni mirror1 e l’interpretazione avanzata dal teorico altrui induce automaticamente la riproduzione del piano motorio che ha
della simulazione Alvin Goldman (cfr. Gallese e Goldman 1998, Goldman sotteso l’esecuzione dell’azione osservata. In questo secondo caso Gordon
2006), anche Robert Gordon (2005), recentemente, ha rivolto la propria at- parla di mirroring costitutivo, in quanto esso è appunto una parte costituti-
tenzione ai fenomeni di mirroring, fornendo una propria spiegazione. va della rappresentazione delle azioni altrui.
Gordon ritiene sostanzialmente che i sistemi mirror costituiscano la base neu- Ora, secondo Gordon, sono proprio i fenomeni di mirroring costitutivo a
rale di una specifica capacità, la cui esistenza era già stata ipotizzata dallo psi- “forzare” un’interpretazione intenzionale del comportamento altrui, ossia a
cologo Andrew Meltzoff (cfr. ad es. Meltzoff e Gopnik 1993, Meltzoff 2002), far sì che noi comprendiamo il comportamento di altri individui sotto lo
ossia la capacità implicita, posseduta da tutti gli esseri umani, di riconoscere stesso schema che rende il nostro comportamento – insieme con le inten-
gli altri come agenti intenzionali come me, ossia come soggetti il cui compor- zioni, i piani motori e le sensazioni viscerali da esso sottese – intelligibile per
tamento è guidato da ragioni, scopi e propositi. noi, cioè sotto lo schema “intenzionale” delle ragioni, dei propositi e dell’es-
Diversamente da Meltzoff, Gordon ritiene però che tale capacità non si fondi sere diretti-verso-un-oggetto.
Consideriamo innanzitutto un esempio di applicazione dello schema in-
tenzionale a un’entità inanimata. Quando io guardo il Grand Canyon, di-
1
Per ragioni di spazio non possiamo soffermarci sulla descrizione dei risultati relativi ai neuro- ce Gordon, gran parte delle sue qualità emotive proviene evidentemente
ni mirror e ad altri fenomeni di mirroring. Ci limitiamo perciò a rimandare il lettore ai testi di dalla percezione di ciò che sta accadendo nel mio corpo, tuttavia il cer-
Gallese (1996) e Rizzolatti (1996) e per una discussione del significato di questi dati, in parti-
colare per la loro rilevanza rispetto alla teoria della simulazione, a Gallese e Goldman (1998) e vello incorpora le sensazioni viscerali prodotte dalla vista del Grand Can-
Gallese (2001, 2003). yon nella colorazione emotiva dell’oggetto che le ha elicitate: in questo
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modo le mie sensazioni diventano automaticamente proprietà dell’ogget- preso la decisione di agire, ma semplicemente perché percepiamo il gesto
to che ne è stato la causa. altrui, oppure una certa emozione – un’emozione di disgusto, ad esempio
Questa spiegazione non è però affatto chiara: che cosa significa, infatti, per – può insorgere non perché abbiamo percepito qualcosa di disgustoso, ma
il cervello trasformare le sensazioni viscerali nelle proprietà dell’oggetto che perché abbiamo osservato un’espressione disgustata: in questi casi parlia-
le ha suscitate? Come viene individuato tale oggetto? Gordon risponde in mo di stati mentali esogeni.
modo piuttosto criptico, dicendo soltanto che esso viene individuato con- Ora, sostiene Gordon, il cervello tratta le repliche esogene dei piani moto-
sultando il sistema di formazione delle emozioni che ha prodotto la risposta ri e delle risposte viscerali di un’altra persona nello stesso modo in cui trat-
viscerale. Dunque sembrerebbe che la rappresentazione del Grand Canyon ta le loro controparti endogene: esso cerca cioè di renderle non sorpren-
come un oggetto dotato di certe proprietà sia il frutto di una specifica ela- denti, di dare loro un senso, interpretandole sotto lo stesso schema inten-
borazione cognitiva, più precisamente, sembrerebbe che il nostro sistema zionale che viene applicato agli stati endogeni. Naturalmente, nel caso del-
cognitivo sia in grado di consultare se stesso – in questo caso, in particola- le risposte esogene, il cervello non può fare questo in modo diretto, dal
re, il sistema di formazione delle emozioni – e di individuare l’input che ha momento che non ha accesso al sistema cognitivo che le ha originaria-
dato inizio a una certa elaborazione, ossia la causa cognitiva della nostra rea- mente motivate (vale a dire al sistema cognitivo altrui) e dunque non può
zione emotiva. Essa diventerebbe – al livello personale, della nostra descri- consultarlo. Esso tenta allora di produrre in se stesso una risposta endoge-
zione intenzionale del comportamento – l’oggetto su cui l’output del pro- na che corrisponda quanto più possibile alla risposta esogena che sta cer-
cesso – dunque l’emozione suscitata – viene proiettato, trasformandosi ap- cando di interpretare. Poiché nel caso della risposta endogena il cervello ha
punto in una proprietà dell’oggetto stesso. accesso al sistema che l’ha prodotta, può dunque consultarlo e produrre
Allo stesso modo, nel caso delle intenzioni e dei piani motori, dice Gordon, un’interpretazione intenzionale, assegnandola infine al soggetto di cui ha
il cervello attua delle strategie per rendere non sorprendenti tanto le loro con- osservato il comportamento.
seguenze (servendosi di copie efferenti e modelli forward) quanto gli stati co- L’esempio proposto da Gordon per illustrare come il cervello possa dare
gnitivi stessi. Più precisamente, il cervello cerca di incorporare tali stati all’in- senso di un piano motorio esogeno, inserendolo in uno schema intenzio-
terno di una struttura di ragioni e propositi: “Sto correndo perché sta pio- nale, è il seguente. Io vedo il mio collega tendersi verso un telefono che
vendo e sto correndo in modo da evitare di inzupparmi”. Come nel caso del- squilla e afferrare la cornetta. Ciò che osservo attiva i miei neuroni spec-
le sensazioni viscerali, anche queste spiegazioni sarebbero prodotte consultan- chio: in questo modo, la mia percezione visiva deposita nella corteccia pre-
do il sistema di presa delle decisioni (decision-making system), a partire dagli in- motoria un piano motorio per raggiungere e afferrare quello stesso ogget-
put (la credenza che stia piovendo e il conseguente desiderio di non bagnarsi) to. Tuttavia, a differenza dei piani motori prodotti attraverso il mio siste-
fino ad arrivare all’output (la decisione di correre). ma di presa delle decisioni, quest’ultimo si è originato in modo immoti-
Sin qui abbiamo parlato degli stati endogeni, vale a dire degli stati mentali pro- vato, senza una ragione o un proposito. A questo punto interviene il mec-
dottisi secondo, potremmo dire, una “catena causale tipica”. Ad esempio, ab- canismo di consultazione del sistema di presa delle decisioni, il quale va al-
biamo considerato il sistema di formazione delle emozioni, che prenderebbe la ricerca di un possibile motivo che giustifichi l’attivazione di tale piano
in input la percezione visiva del Grand Canyon e darebbe in output certe sen- motorio. Ad esempio, è ovvio che non tenterei di rispondere al telefono se
sazioni viscerali, oppure il sistema di presa delle decisioni che, a partire dalla il telefono non stesse squillando e che il mio unico proposito può essere
credenza che stia piovendo e dal desiderio di non bagnarsi, dà come output la quello di rispondere, dal momento che non intendevo iniziare una chia-
decisione di correre al riparo. mata. In questo modo io posso avere una risposta pronta per chiunque mi
Tuttavia, osserva Gordon, come mostra il fenomeno del mirroring costi- chieda perché il mio collega ha teso la mano e risposto al telefono, ossia
tutivo, questi stessi stati mentali possono sorgere in noi in modo diverso, posso dar ragione del suo comportamento.
più precisamente in conseguenza della percezione del comportamento al- Un meccanismo del tutto analogo interviene nell’interpretazione delle
trui. Così, un certo piano motorio può attivarsi senza che noi abbiamo espressioni facciali. Supponiamo che io stia guardando qualcuno la cui
360 361
espressione suscita in me una certa risposta emotiva. Il mio cervello innan- terebbe il riconoscimento dell’altro come agente intenzionale simile a sé. Stan-
zitutto mappa tale risposta (esogena) sul viso di quella persona, distin- do a quanto dice Gordon, nel momento in cui, ad esempio, io osservo il mio
guendola così, almeno fino a un certo punto, dalle mie risposte viscerali en- collega afferrare la cornetta, in me avvengono i seguenti processi:
dogene: la sensazione che provo, in altre parole, viene attribuita diretta- (a) innanzitutto, grazie all’attivazione dei neuroni mirror, viene generato lo
mente all’altro, non a me; è la sua, non la mia. Inoltre, esattamente come stesso piano motorio che è stato attivato dal mio collega per eseguire l’azione
per le risposte viscerali endogene, per le quali il mio cervello cerca qualco- di afferramento;
sa nel mondo a cui tali risposte possano riferirsi (abbiamo visto l’esempio (b) il mio cervello trova questa attivazione problematica, nel senso che tale pia-
del Grand Canyon), così fa per le risposte viscerali di origine esogena. Ad no motorio non è motivato, come invece accade normalmente, all’interno del
esempio, dice Gordon, io tendo spontaneamente a seguire la direzione del- mio sistema di presa delle decisioni;
lo sguardo altrui, fermandomi su ciò a cui l’altra persona ha rivolto la sua (c) esso viene mappato immediatamente sul corpo altrui, in modo da evitare
attenzione. Se la scena è complessa, il mio sguardo si ferma là dove incon- conflitti con gli stati di tipo endogeno;
tra qualcosa che endogenamente produce quella stessa risposta viscerale che (d) dal momento che il piano motorio viene avvertito come problematico, in-
l’espressione altrui ha prodotto in modo esogeno. Ad esempio, se il viso al- terviene il meccanismo di consultazione, che cerca di rendere ragione di tale
trui mostra paura, il mio sguardo si fermerà su qualcosa di pauroso, cioè su piano motorio. Esso utilizza il sistema di presa delle decisioni in modalità off-
qualcosa che produce in me, in maniera più o meno forte, la sensazione vi- line, ossia prova a generare un piano motorio che corrisponda a quello pro-
scerale caratteristica della paura. dottosi in modo esogeno e lo introduce in input nel sistema di presa delle de-
Ciò che tutti gli esempi fino ad ora citati hanno in comune, dunque, è il fat- cisioni, per verificare che determini la stessa risposta comportamentale;
to di iniziare con qualcosa – una risposta viscerale, un piano motorio, un’in- (e) raggiunto il matching tra il piano motorio endogeno suscitato attraverso la
tenzione – che il cervello trova problematico, ossia qualcosa che è sorto nel- simulazione off-line, e quello esogeno, il cervello è in grado di ricostruire la
l’organismo in modo immotivato, “come se il cervello fosse posseduto da spi- catena causale in cui tale piano motorio era originariamente inserito, dunque
riti alieni” dice Gordon. Per evitare conflitti con le sue produzioni endogene, può applicare a tale stato lo stesso schema intenzionale che applica per la spie-
il cervello mappa la risposta esogena su un corpo appropriato, ossia sul corpo gazione del proprio comportamento e dei propri stati endogeni;
altrui e non sul proprio: in questo modo i piani e i sentimenti esogeni sono (f ) a questo punto può fornire una spiegazione intenzionale del comporta-
attribuiti ad altri esseri, benché siano interpretati poi sotto lo stesso schema mento del soggetto che ha suscitato lo stato esogeno e su cui tale stato è stato
intenzionale sotto cui sono interpretate le loro controparti endogene, consen- mappato.
tendo così il riconoscimento degli altri come esseri intenzionali simili a sé. Uno degli aspetti cruciali – e allo stesso tempo più discutibili – nella spiega-
In definitiva, l’attività dei sistemi di mirroring viene interpretata da Gordon zione offerta da Gordon è rappresentato senza dubbio dal cosiddetto mecca-
come un’attività alla base di una specifica capacità umana, ossia la capacità nismo di consultazione, la cui esistenza viene supposta per spiegare il passaggio
di distinguere tra esseri inanimati ed esseri animati, riconoscendo questi ul- dal mirroring costitutivo alla spiegazione intenzionale del comportamento.
timi come agenti intenzionali simili a se stessi: l’embodiment, l’incarnazione Come abbiamo visto, il meccanismo di consultazione interviene nel mo-
degli stati mentali altrui nella propria persona, sarebbe dunque alla base del- mento in cui il cervello incontra uno stato problematico, ossia uno stato che
la strategia intenzionale. sorge, dice Gordon, in modo del tutto immotivato. Ora, un primo problema
riguarda proprio l’uso della parola problematico. Aggettivi come “problema-
tico” e “immotivato”, infatti, sono impiegati di solito per il livello di descri-
3. Problemi zione personale, ossia per il livello cosciente, caratteristico del discorso ordi-
Prima di procedere alla discussione della teoria avanzata da Gordon, riassu- nario, e non per quello subpersonale, cioè per i livelli di descrizione neurolo-
miamo innanzitutto brevemente la serie di processi mentali che, secondo Gor- gico e cognitivo. Tuttavia è abbastanza chiaro che con questi termini Gordon
don, viene innescata da un fenomeno di mirroring costitutivo e che suppor- voglia riferirsi proprio al secondo livello e non al primo quando afferma, ad
362 363
esempio, che: “l’originale, di cui esso (lo stato esogeno) è una copia, era mo- anziché dalla percezione attuale – per vedere quale esito avrà il processo, dun-
tivato all’interno di un sistema di presa delle decisioni o di formazione delle que quale output si otterrà a partire dall’input fornito al meccanismo.
emozioni diverso dal proprio, come se il cervello fosse posseduto da ‘spiriti L’idea di Gordon è che la simulazione off-line potrebbe essere usata per pro-
alieni’”. È evidente infatti che se lo stato è motivato all’interno di un sistema durre in modo endogeno uno stato corrispondente a quello esogeno e per
di presa delle decisioni, allora la sua motivazione dovrà essere individuata a ricostruire così, di conseguenza, il processo cognitivo (ad es. il processo de-
livello cognitivo, dal momento che, appunto, il sistema di presa delle deci- cisionale) che ha causato tale stato. In altre parole, riproducendo, per mez-
sioni è un meccanismo cognitivo, e quindi subpersonale. zo della simulazione, lo stato sorto inizialmente in modo esogeno, si ripro-
In realtà, quando Gordon dice che uno stato esogeno è immotivato, verosi- durrebbe anche, di conseguenza, il processo cognitivo che ha dato luogo a
milmente egli non intende dire che sia completamente privo di causa, ma che tale stato e che verosimilmente – se il nostro esperimento di simulazione è
sorge per motivi diversi rispetto a quelli che normalmente provocano l’in- corretto – ha prodotto tale stato nel soggetto di cui si è osservato il com-
sorgenza di tale stato. Così, ad esempio, un piano motorio esogeno è causa- portamento. Soltanto a questo punto, avendo a disposizione l’intero pro-
to dalla percezione visiva (o uditiva) dei movimenti altrui, anziché essere – cesso cognitivo che ha determinato l’insorgenza di tale stato, l’attributore
come di solito accade – l’output del meccanismo di presa delle decisioni; al- sarebbe in grado di fornire, secondo Gordon, una spiegazione intenzionale
lo stesso modo, le sensazioni viscerali di origine esogena sono il frutto della del suo comportamento.
percezione visiva di un’espressione facciale e non l’esito dell’elaborazione in- Ma come avviene il passaggio dal processo cognitivo simulato alla descrizione
terna di un certo evento o situazione. Potremmo anche dire che gli stati eso- intenzionale del comportamento? È proprio su questo punto che la spiega-
geni sono problematici perché si inseriscono in “catene causali cognitive” di- zione offerta da Gordon risulta troppo lacunosa. Consideriamo innanzitutto
verse rispetto a quelle che normalmente li identificano. quello che Gordon dice riguardo all’applicazione dello schema intenzionale
A tutto ciò si deve aggiungere che Gordon, contrariamente a Goldman, nel caso degli stati endogeni: “Sto correndo perché sta piovendo e lo sto fa-
esclude che il meccanismo di consultazione possa consistere in una qualche cendo per evitare di inzupparmi. Sembra un’ipotesi plausibile che anche que-
forma di introspezione. Il riconoscimento della problematicità degli stati ste determinazioni siano fatte consultando gli stessi sistemi che hanno dato
esogeni non ha dunque nulla a che fare con un qualche speciale sentimen- inizialmente origine alla decisione di correre”. Dunque, secondo Gordon,
to che affiora al livello cosciente, ma dovrà essere interpretato piuttosto nel spiegazioni intenzionali come quella appena considerata si baserebbero sulla
senso dell’attivazione di uno speciale meccanismo cognitivo – il meccani- possibilità di consultare direttamente i propri meccanismi cognitivi e di rico-
smo di consultazione – come conseguenza dell’attivazione di un pattern struire la catena di eventi mentali che li ha prodotti.
neurologico insolito, diverso da quello che solitamente caratterizza un cer- Ma che cosa può significare, per esempio, per il meccanismo di consultazio-
to tipo di stato mentale. ne, consultare il sistema di formazione delle emozioni? In che cosa consiste-
Ora, il meccanismo di consultazione, dice Gordon, potrebbe essere iden- rebbe esattamente questa consultazione? Forse il meccanismo di consultazio-
tificato: (1) o con una capacità di tipo neurale di tenere traccia dei pro- ne potrebbe essere pensato come un meccanismo che prende in input le in-
cessi che hanno condotto a un particolare esito comportamentale (2) o, formazioni relative alla sequenza di eventi mentali che si sono succeduti nella
più probabilmente, con una capacità propria di alcuni nostri sistemi co- mente del soggetto e dà in output una rappresentazione di tipo intenzionale,
gnitivi, come ad esempio il sistema di presa delle decisioni o quello di for- in termini di ragioni e propositi. Così, nel momento in cui io osservo il Grand
mazione delle emozioni, di condurre degli esperimenti “cosa accadrebbe Canyon e vado incontro ad una certa esperienza emotiva, potrebbe accadere
se” (what if) su se stessi. che le informazioni relative alla successione degli eventi mentali, che dalla per-
Si tratta in questo caso dell’idea che sta alla base della teoria della simulazio- cezione visiva dello spettacolo naturale ha portato alla formazione di una cer-
ne stessa, ossia l’idea secondo cui alcuni nostri meccanismi cognitivi possono ta risposta emotiva, diano origine alla rappresentazione di un oggetto, il
essere usati in modalità off-line, dunque attivati fornendo ad essi input diver- Grand Canyon, come dotato di certe proprietà.
si da quelli soliti – ad esempio rappresentazioni prodotte dall’immaginazione Non è chiaro neppure se Gordon abbia in mente qualcosa di analogo al siste-
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ma di monitoraggio ipotizzato da Nichols e Stich (2002, 2003); la sua ipote- In secondo luogo, una soluzione di questo genere sembra essere piuttosto ri-
si rimane ancora a un livello puramente congetturale, tuttavia è evidente la schiosa per un teorico della simulazione come Gordon, dal momento che si
necessità di una risposta a questo proposito, data l’importanza che questo dovrebbe chiarire in che modo viene scelto l’input da fornire al sistema, os-
meccanismo riveste all’interno della sua teoria psicologica. sia lo stato endogeno che darebbe avvio al processo di simulazione off-line.
Tutto quello che sappiamo è che questo meccanismo è comune tanto alla Il rischio, com’è noto, é quello di dover ammettere l’intervento di un qual-
comprensione degli stati esogeni quanto a quella degli stati endogeni, cioè es- che tipo di conoscenza nella selezione dell’input e quindi di ottenere una si-
so interviene tanto nel momento in cui produciamo rappresentazioni del tipo mulazione carica di teoria, o meglio, una simulazione guidata, almeno nel-
“Sto correndo perché sta piovendo” quanto nel momento in cui descriviamo la sua fase di avvio, dalla teoria.
il comportamento altrui dicendo “Sta correndo perché sta piovendo”.
A questo proposito, non è chiaro neppure in che modo il nostro organismo
possa distinguere gli stati endogeni da quelli prodottisi esogenamente: in altre 4. Conclusioni: una nuova soluzione ad antichi problemi?
parole, se il mezzo per comprendere il comportamento di altre persone è quel- Come abbiamo cercato di mostrare sin qui, la ricomprensione dei fenomeni
lo di attivare off-line i propri meccanismi cognitivi, riproducendo dentro di di mirroring all’interno di una teoria della simulazione come quella sostenu-
sé la stessa catena di eventi mentali che hanno condotto al comportamento os- ta da Robert Gordon sembra essere tutt’altro che scontata e priva di problemi
servato, come si distingue però quella catena dalle catene di stati endogeni? Si e, in questo senso, è difficile affermare che i sistemi mirror costituiscano una
dirà: la distinzione è possibile perché, secondo quanto dice Gordon, lo stato prova decisiva a favore della teoria della simulazione.
prodottosi esogenamente è stato mappato sul corpo altrui. Ma com’è possibi- Lo stesso Gordon è estremamente cauto a questo proposito: i sistemi mir-
le che lo stato insorto in modo esogeno sia mappato immediatamente sul cor- ror non comportano il possesso di una psicologia ingenua completamente
po altrui se il meccanismo di consultazione non è ancora intervenuto e dun- sviluppata, ma supportano una funzione di più basso livello, ossia, appun-
que non lo ha ancora riconosciuto e distinto dagli altri? Di questo problema to, la capacità di riconoscere gli altri come agenti intenzionali simili a noi.
Gordon sembra essere inconsapevole. Anzi, a voler essere più precisi, i neuroni mirror non costituiscono, essi so-
Ancora, l’idea secondo cui il cervello, per assegnare un’interpretazione inten- li, la base neurale di questa capacità, bensì sono parte di un meccanismo co-
zionale alle proprie risposte esogene, deve condurre degli esperimenti what if gnitivo più complesso, che comprende la simulazione intesa nel senso tra-
sembra essere problematica sotto altri aspetti. Un’ipotesi di questo genere, in- dizionale e il meccanismo di consultazione, il quale è da ultimo responsabi-
fatti, appare poco plausibile sotto il profilo psicologico, dal momento che mal le dell’interpretazione intenzionale del comportamento altrui. In questo
si accorda con l’immediatezza con cui noi abbiamo l’impressione di com- senso, i sistemi mirror potrebbero essere descritti come una sorta di inter-
prendere le emozioni o le intenzioni altrui quando percepiamo le loro espres- ruttore che, una volta attivato dalla percezione dei movimenti o delle espres-
sioni e i loro movimenti. Pur ammettendo che gli esperimenti what if siano sioni altrui, determina l’intervento di una vera e propria euristica simulati-
condotti in modo del tutto automatico, dovremmo supporre che l’attribuzio- va e successivamente del meccanismo di consultazione, il quale, a sua volta,
ne di stati mentali agli altri sia sensibilmente più lenta rispetto all’autoattri- produce, al livello personale, un’interpretazione del comportamento in ter-
buzione degli stessi stati, dal momento che, come abbiamo visto, occorrereb- mini di motivazioni e scopi, dunque un’interpretazione in termini – si no-
be produrre endogenamente un piano motorio che corrisponda a quello sor- ti, ancora soltanto implicitamente – mentalistici.
to in noi in modo esogeno e ciò richiederebbe, verosimilmente, un tempo Come abbiamo accennato già nell’introduzione, tuttavia, l’aspetto più in-
maggiore rispetto a quello impiegato per comprendere i proprio stati endoge- teressante della discussione condotta da Gordon a proposito dei fenomeni
ni. Ma che le cose stiano così, che dunque sia necessario più tempo per l’at- di mirroring non è tanto da rintracciare nella sua proposta interpretativa –
tribuzione di emozioni e intenzioni motorie agli altri rispetto piuttosto che a decisamente problematica, come abbiamo cercato di mostrare – quanto
se stessi, è tutt’altro che scontato, anzi, in molti casi non sembra si riescano a piuttosto nei cambiamenti teorici che tale discussione ha, più o meno con-
rilevare, almeno dal punto di vista sperimentale, differenze significative. sapevolmente, stimolato. La nostra opinione, infatti, è che Gordon, nel
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fornire la propria interpretazione dei fenomeni di mirroring, abbia, forse marmi in Alessio (ossia io = Alessio nel contesto della simulazione), dopodi-
inconsapevolmente, sviluppato un’interpretazione capace di ovviare al pro- ché posso pormi la domanda: “Torino è in Piemonte?”. La mia risposta, in-
blema che aveva da sempre afflitto la sua concezione radicale della simula- cassata nella formula “Io (non) credo che___”, può essere poi attribuita ad
zione, vale a dire il problema dell’attribuzione di stati mentali non episte- Alessio; dal momento che io = Alessio nel contesto della simulazione, avremo
mici. In questo senso ci sembra di poter affermare che l’interpretazione dei che quindi che “Alessio (non) crede che Torino sia in Piemonte”.
fenomeni di mirroring offerta da Gordon costituisca una spiegazione ad Ora, sebbene il processo descritto da Gordon sembri estremamente plausi-
hoc, costruita per ovviare a un problema caratteristico delle teorie come bile – si pensi soprattutto ai bambini che, pur non padroneggiando il si-
quella di Gordon, ossia il problema dell’identificazione del tipo di stato gnificato di verbi intenzionali come “credere”, “desiderare” ecc., sono in gra-
mentale che viene simulato. do di rispondere a domande relative alle loro credenze e ai loro desideri –
Consideriamo brevemente l’aspetto più caratteristico della sua teoria della si- esso presenta però una grossa difficoltà non appena si voglia spiegare l’attri-
mulazione. buzione di stati mentali diversi dalle credenze. Ad esempio, nel caso di un
La teoria della simulazione proposta da Gordon (1986) è stata definita co- desiderio (“Maria desidera che domani ci sia il sole?”) è ovvio che non mi
me “radicale” per il fatto che essa esclude categoricamente, durante una serve a nulla rispondere a una domanda di livello inferiore (“Domani ci sa-
qualsiasi delle fasi del processo di simulazione – dall’assunzione della pro- rà il sole?”) per determinare quale sia il desiderio di Maria, e così per le sue
spettiva altrui all’identificazione dello stato mentale simulato – l’intervento intenzioni, le sue emozioni ecc. Nei casi diversi dalla credenza, insomma,
di concetti mentalistici. Concedere che ci sia un tale intervento significa in- sembra inevitabile che io debba ragionare sullo stato psicologico del sogget-
fatti, nell’opinione di Gordon, lasciare inevitabilmente aperta una porta al- to e quindi che debba fare ricorso a concetti mentalistici.
la teoria e dunque privare la simulazione del suo potenziale esplicativo. Ma La teoria della simulazione radicale mostra dunque, sotto questo aspetto, una
come spiegare, allora, in che modo noi possiamo attribuire ad un individuo grossa limitazione del proprio potere esplicativo e questa è stata, verosimil-
una certa credenza se non possiamo ricorrere al concetto di credenza? La mente, la ragione del successo molto più vasto che ha ottenuto, invece, il mo-
spiegazione offerta da Gordon è nota come strategia ascendente (ascent rou- dello di simulazione “moderata” proposto da Goldman (1989, 2006), il qua-
tine, cfr. Gordon 1986). le ammette, appunto, l’intervento di concetti mentalistici nell’identificazione
L’idea alla base della strategia ascendente è che, ogniqualvolta io voglia ri- dello stato mentale simulato.
spondere a una domanda riguardo agli stati mentali miei o di un’altra perso- Ora, quello che vorremmo mettere in evidenza è che l’interpretazione che
na (ad es. “Credi che Torino sia in Piemonte?” oppure “Lucia crede che Tori- Gordon offre a proposito dei fenomeni di mirroring, e in particolare l’in-
no sia in Piemonte?”), io in realtà non faccio altro che “scendere di livello” e troduzione del meccanismo di consultazione, sembra proprio essere un ten-
rispondere a una domanda che verte non su uno stato mentale, ma su uno sta- tativo di risolvere l’antico problema da cui era affetta la sua teoria. Che co-
to del mondo (“Torino è in Piemonte?”), dopodiché la risposta che io do a s’è, infatti, il meccanismo di consultazione se non un meccanismo che, es-
questa domanda viene incassata nuovamente in uno schema sintattico del ti- sendo sensibile alla catena causale in cui è inserito un certo stato, è capace
po: “Sì (No), (non) credo che___” (di qui appunto il nome di “strategia di identificare quello stato come un certo tipo di stato mentale? Che cos’è
ascendente”), tornando quindi al livello superiore. In questo modo noi ri- infatti, tale catena causale se non il ruolo funzionale che definisce il type sot-
usciamo a rispondere a una domanda che verte su un nostro stato mentale to cui può essere compreso un certo token mentale? In questo senso, dun-
senza dover identificare tale stato, bensì semplicemente rispondendo a una que, l’interpretazione dei fenomeni di mirroring offerta da Gordon, intro-
domanda di livello epistemico inferiore. ducendo un sistema specifico per l’identificazione degli stati mentali, sem-
La stessa strategia viene messa in atto nel caso di attribuzioni alla terza perso- bra costituire proprio una soluzione ad hoc, che tira fuori Gordon dall’im-
na, con qualche complicazione in più dovuta all’assunzione della prospettiva passe caratteristica della sua simulazione radicale.
altrui. Così, per decidere se l’enunciato “Alessio crede che Torino sia in Pie- Per concludere, i dati relativi ai fenomeni di mirroring provano certamente
monte?” è vero o falso, io devo innanzitutto cambiare prospettiva e trasfor- l’esistenza di fenomeni di imitazione mentale, ma tali fenomeni non costi-
368 369
tuiscono ancora una conferma definitiva a favore della teoria della simula- Nichols S., Stich S. (2002) Reading onÈs own mind: A cognitive theory of self-aware-
zione; anzi, la loro integrazione all’interno di questo paradigma teorico – al- ness, in Smith Q., Jokic A. (eds.), “Consciousness: New Philosophical Essays”, Ox-
meno per quanto concerne la simulazione radicale – sembra essere, come ford, Oxford University Press.
abbiamo cercato di dimostrare, alquanto problematica. Nichols S., Stich S. (2003) Mindreading: An Integrated Account of Pretence, Self-Awa-
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370 371
poster
Seidita G., Mirisola M., D’Anna R.P., Gallo A., Jensen R.T.,
Mantey S.A., Gonzalez N., Falco M., Zingale M., Elia M.,
Cucina L., Chiavetta V., Romano V., Cali F., Analisi molecolare
del gene recettore “gastrin-releasing peptide receptor” (GRPR)
in pazienti italiani con disturbi dello spettro autistico
Mario Graziano, Il ruolo del linguaggio nella cognizione matematica
Stefania La Foresta, Maria C. Quattropani, La neuropsicoanalisi:
un approccio tra metapsicologia e neurobiologia. Un contributo
Assunta Penna, Valentina Cardella, Manuela Bruno, Etologia
e paleoneurologia: un contributo allo studio dell’evoluzione
della cognizione umana
Cristina Puleo, Annalisa Sindoni, Cognizione sociale
e intenzione condivisa
Caterina Scianna, L’ipotesi Grodzinsky: area di Broca
e teoria della traccia
Miano S., Bruni O., Elia M., Trovato A., Smerieri A., Verrillo E.,
Roccella M., Terzano M.G., Ferri R., Il sonno in bambini con disturbo
dello spettro autistico: un questionario ed uno studio polisonnografico
Seidita G.1, Mirisola M.1, D’Anna R.P.1,
Gallo A. , Jensen R.T.2, Mantey S.A.2, Gonzalez N.2,
1

Falco M.3, Zingale M.3, Elia M.3, Cucina L.5,


Chiavetta V.3, Romano V.4, Cali F.3
Università degli studi di Messina
Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive
dell’Università di Messina
Dottorato di ricerca in Psicobiologia dei processi cognitivi

Analisi molecolare del gene recettore


“gastrin-releasing peptide receptor” (GRPR)
in pazienti italiani con disturbi
dello spettro autistico
1
Dipartimento di Biopatologia e Metodologie Biomediche, Università degli
Studi di Palermo, Italia; 2Digestive Diseases Branch, National Institutes of
Health, Bethesda, MD, USA; 3Associazione OASI Maria SS (I.R.C.C.S.),
Troina (EN); 3Dipartimento di Oncologia Sperimentale e Applicazioni Clini-
che, Università degli Studi di Palermo, Italia; 5 Dottorato di Ricerca dell’ Uni-
versità degli Studi di Messina, Italia.

Abstract
Il gene “gastrin-releasing peptide receptor” (GRPR) è stato implicato per la
prima volta nella patogenesi del Disturbo dello Spettro dell’Autismo (ASD)
da Ishikawa-Brush et al (1997). Sin da questa osservazione solamente uno stu-
dio di associazione (Marui et al., 2004) ha investigato ulteriormente ma sen-
za successo, il coinvolgimento del gene di GRPR nel disturbo autistico.
Scopo del presente progetto è quello di fornire ulteriori dati sul coinvolgi-
mento del gene GRPR nel Disturbo dello Spettro Autistico.
Noi abbiamo sequenziato l’intera regione codificante del gene GRPR in 149
pazienti autistici italiani. I risultati di questo studio ci hanno permesso di
375
identificare 6 mutazioni, due delle quali (C6S e L181F), implicate nel cam- neurotransmitters, and other agonists linked to G proteins, Annu Rev Pharmacol To-
bio di aminoacidi e identificati in due pazienti che maninifestano rispettiva- xicol., 36, pp. 481-509.
mente l’ASD e la Sindrome di Rett. Fan R.S., Jacamo R.O., Jiang X., Sinnett-Smith J., Rozengurt E. (2005) G protein-
L’analisi filogenetica ha suggerito che questi due cambi aminoacidici risultano coupled receptor activation rapidly stimulates focal adhesion kinase phosphorylation
potenzialmente importanti per il funzionamento corretto del gene GRPR. Di at Ser-843. Mediation by Ca2+, calmodulin, and Ca2+/calmodulin-dependent kina-
contro, le proteine con le mutazioni C6S e L181F, espresse in COS-7 e nelle se II, J Biol Chem., 24, 280(25), pp. 24212-20, Epub 2005 Apr 21.
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287, pp. 366-380. moda e naturale. Questo in un certo senso sorprende, dato che i numeri so-
Schopler E., Rechler R.J., Bashford A., Lansing M.D., Marcus L.M. (1990) Indivi- no, come disse già Adam Smith “fra le idee più astratte che la mente umana è
dualized assessment and treatment for autistic and developmental disabled children. Vol.I in grado di formare”. Servirsi dei numeri, quindi, dovrebbe richiedere una
PsychoEducational Profile Revised (PEP-R), Austin, Texas, Pro-ed. grande preparazione; eppure chiunque è in grado di contare e di eseguire sem-
Schumann M., Nakagawa T., Mantey S.A., Tokita K., Venzon D.J., Hocart S.J., Benya plici operazioni aritmetiche.
R.V., Jensen R.T. (2003) Importance of amino acids of the central portion of the second Viene allora da chiedersi: cos’è un numero? Come sono rappresentati nella
intracellular loop of the gastrin-releasing peptide receptor for phospholipase C activation, nostra mente, come facciamo ad eseguire calcoli mentali più o meno com-
internalization, and chronic down-regulation, J Pharmacol Exp Ther, 307, pp. 597-607. plessi? Possediamo già dalla nascita un senso del numero o lo acquisiamo solo
Shumyatsky G.P., Tsvetkov E., Malleret G., Vronskaya S., Hatton M., Hampton L., in seguito allo sviluppo del linguaggio?
Battey J.F., Dulac C., Kandel E.R., Bolshakov V.Y. (2002) Identification of a signa- Una delle prime teorie cognitive sulla genesi del concetto di numero è opera
ling network in lateral nucleus of amygdala important for inhibiting memory spe- di Piaget (1941), secondo cui esiste un rapporto inscindibile tra strutture di
cifically related to learned fear, Cell., 111(6), pp. 905-18. intelligenza generale ed evoluzione della competenza numerica.
Sparrow S.S., Balla D., and Cicchetti D. (1984) Vineland Adaptive Behavior Scales Di contro a quanto sostenuto dai costruttivisti, Stanislas Dehaene (2001)
(Survey Form), Circle Pines, MN, Americam Guidance Service. sostiene che già al momento della nascita i bambini possiedono eccellenti
Tokita K., Hocart S.J., Coy D.H., Jensen R.T. (2002) Molecular basis of the selecti- capacità di distinzione numerica. Il neonato è capace di distinguere insiemi
vity of gastrin-releasing peptide receptor for gastrin-releasing peptide, Mol Pharma- contenenti due oggetti da insiemi che ne contengono tre, ed inoltre pare che
col., 61(6), pp. 1435-43. le sue capacità intuitive siano così raffinate da riconoscere la differenza tra
Tokita K., Katsuno T., Hocart S.J., Coy D.H., Llinares M., Martinez J., Jensen R.T. due e tre suoni. Secondo Dehaene ciò è possibile in quanto nel nostro cer-
(2001) Molecular basis for selectivity of high affinity peptide antagonists for the gastrin- vello vi è un organo preposto alla percezione e alla rappresentazione delle
releasing peptide receptor, J. Biol. Chem., 276 (39), pp. 36652-63, Epub 2001 Aug 02. quantità numeriche (codificate geneticamente), le cui caratteristiche lo col-
Wechsler D. (1974) Wechsler Intelligence Scale for Children-Revised, New York, The legano indubbiamente alle facoltà proto-aritmetiche presenti negli animali
Pyschological Corporation. e nei bambini molto piccoli.
L’ipotesi di Dehaene è che gli esseri umani siano provvisti di un senso matematico,
che essi condividono con altre specie animali e che questo istinto sia l’espressione
378 379
del funzionamento di un organo mentale, un insieme di circuiti cerebrali capaci diverse, approssimare grandi quantità, eseguire calcoli complicati, il nostro
di trattare l’informazione presente nell’ambiente in termini di quantità. cervello non può evitare di rappresentarsi i numeri come quantità continue e
Un esperimento di McComb (1994) sembra confermare questa teoria. In provviste di proprietà spaziali, così come farebbe un topo o uno scimpanzé.
questo studio, l’autore mostra che dei leoni, a cui erano stati fatti sentire dei La nostra percezione dei numeri grandi segue le stesse leggi che regolano il
ruggiti, si dirigevano bellicosamente verso il luogo dove si trovava il cibo, so- comportamento animale; per esempio anche per noi è più facile distinguere
lo quando essi pensavano di essere più numerosi dei nemici di cui si erano due numeri lontani tra di loro come 70 e 100, piuttosto che due numeri vi-
sentiti i ruggiti, mentre evitavano di avvicinarsi nel caso contrario. Lo stesso cini come 85 e 86.
fenomeno è stato riscontrato anche negli scimpanzé da Wilson (2001). Anche la nostra valutazione delle quantità obbedisce ad un effetto distanza.
In un esperimento recente, Marc Hauser (2003) ha cercato di dimostrare la La teoria del neuroscienziato francese Stanislas Dehaene trova grande appro-
capacità di alcune scimmie di distinguere degli stimoli sulla base del numero vazione negli studi dello psicologo britannico Brian Butterworth.
di sillabe che questi contenevano, usando una tecnica derivata dalle ricerche Butterwoth (1999) sostiene che il “genoma umano contiene le istruzioni per
sui bambini: l’orientamento verso la sorgente sonora. costruire circuiti celebrali specializzati, chiamati nel loro complesso Modulo
In pratica le scimmie venivano rinchiuse in una gabbia dove era stato prece- Numerico, la cui funzione è quella di classificare il mondo in termini di quan-
dentemente installato un altoparlante. Dopo un periodo iniziale di addestra- tità numerica (o numerosità), mettendoci nella condizione di percepire il nu-
mento, in cui la scimmia sentiva degli stimoli contenenti tutti lo stesso nu- mero di elementi di un insieme”.
mero di sillabe, l’animale veniva sottoposto a due tipi di stimolo test: alcuni Le capacità numeriche umane vengono rese uniche attraverso lo sviluppo e la
stimoli contenevano lo stesso numero di sillabe della fase iniziale, altri conte- trasmissione di strumenti culturali (che ampliano le attitudini del modulo nu-
nevano invece un numero differente di sillabe. merico) che facilitano l’operazione del conteggio. Il nostro cervello matema-
Hauser (notando che le scimmie orientavano maggiormente la loro attenzio- tico, quindi, contiene questi due elementi: un Modulo Numerico e la capaci-
ne verso l’altoparlante quando questo diffondeva degli stimoli che non aveva- tà di utilizzare gli strumenti matematici forniti dalla nostra cultura.
no lo stesso numero di sillabe dello stimolo d’addestramento) dimostrò che le Tuttavia, è sbagliato pensare che tutte le culture abbiano potuto sviluppare un
prestazioni degli animali seguivano “la legge di proporzionalità” (o legge di We- lessico numerico ricco quanto il nostro.
ber) che dice che due numerosità sono facilmente distinguibili quando il quo- Come avviene per i nomi dei colori, esiste un lessico minimo che comprende
ziente fra le due numerosità in questione è maggiore (quindi si distingue me- soltanto le parole per indicare “uno”, “due”, “molto”. In certe tribù che vivo-
glio, ad esempio, 6 e 4 oppure 12 e 8 dove il quoziente è 1,5 piuttosto che 5 no nell’Australia del nord, i termini “uno” e “due” forniscono le combinazio-
e 4 o 10 e 8 dove il quoziente è uguale a 1,25). ni che permettono di denominare degli insiemi fino a 4 elementi. Infatti, que-
Ma qual è il rapporto tra questa rudimentale intuizione delle quantità e l’e- ste popolazioni usano le parole urapun e okosa per denominare “uno” e “due”,
voluzione delle conoscenze matematiche nella storia umana? Quali risorse co- utilizzano poi le espressioni okosa-urapun (cioè 2+1) e okosa-okosa (2+2) per
gnitive ci consentono di oltrepassare l’approssimazione incarnata nel nostro tre e quattro. Per denominare, infine, i numeri oltre il quattro utilizzano il ter-
cervello ed apprendere il rigore degli algoritmi aritmetici? mine ras che significa appunto “molto” (Ifrah 1994).
Dehaene presenta una serie di esperimenti, molto convincenti, volti a mo-
strare come la nostra capacità di calcolo usi risorse differenti per la rappresen-
tazione dei primi tre numeri interi positivi: uno, due e tre. In questi casi ele- Conclusioni
mentari, infatti, la nostra percezione delle quantità è istantanea. A partire dal Contrariamente alle teorie degli anni ’50 che suggerivano l’idea di una com-
numero 4, le risorse cognitive per operare sulle quantità sono differenti: esse parsa tardiva delle capacità numeriche nei bambini, alcuni esperimenti hanno
dipendono dalle nostre capacità di manipolare simboli. mostrato che i bambini, già all’età di sei mesi, dispongono di capacità inso-
Ciononostante, il nostro istinto numerico più primitivo interviene anche nel- spettate nel distinguere delle piccole quantità, nell’addizionarle e sottrarle.
la manipolazione delle cifre simboliche: per confrontare grandezze numeriche Inoltre, parecchi studi hanno rilevato che numerosi animali, come le scim-
380 381
mie, i delfini, i cavalli, i topi, hanno un senso elementare dei numeri, simi- Stefania La Foresta, Maria C. Quattropani
le a quello dei bambini. Università degli studi di Messina
Gli studi sulla percezione numerica degli animali, così come quella degli esseri Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive
umani, suggeriscono, quindi, che la rappresentazione mentale dei numeri segue, dell’Università di Messina
nel corso dell’evoluzione, un principio elementare che si applica alla percezione Dottorato di ricerca in Psicobiologia dei processi cognitivi
visiva ed uditiva: la legge di Weber. Secondo questa legge, la soglia di discrimi-
nazione di due stimoli aumenta in proporzione della loro intensità.
Questa estrema similitudine nelle prestazioni, tra noi e gli animali, appoggia
l’ipotesi che le nostre capacità aritmetiche sono il risultato di una lunga storia
evolutiva. Queste competenze, presenti assai precocemente, si arricchiscono
successivamente con la pratica del conteggio che può avvenire grazie all’uti- La neuropsicoanalisi: un approccio
lizzo del linguaggio. Il sistema decimale, essenziale nella nostra lingua, eti-
chetta le quantità in maniera esatta, non più dipendente dal formato.
tra metapsicologia e neurobiologia.
Un contributo clinico
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Piaget J., Szeminska A. (1941) La genesi del numero nel bambino, Firenze, La Nuova cologia diventa, dunque, la fisiologia della corteccia cerebrale, una sorta, cioè,
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gnition. prio dalla neuropsicologia che studia, sotto il profilo clinico e psicologico, le
correlazioni tra i fenomeni mentali, le strutture e le funzioni del cervello
(Solms e Kaplan Solms 2000).
Mark Solms (2000) ripropone e valorizza il metodo di correlazione clinico-ana-
tomico già elaborato da A. R. Lurija, metodo della localizzazione dinamica. Tale
metodo segna il passaggio concettuale della psicanalisi alle neuroscienze di base.
Obiettivo: Scopo principale di questo lavoro è quello di porre in rilievo la con-
382 383
nessione tra l’architettura funzionale dell’apparato mentale (metapsicologia) e tal State Examination (MMSE) e un punteggio di 17/36 alle Matrici Progressive
la neurobiologia dei meccanismi cerebrali in un paziente di 34 anni con afa- Colorate ’47 di Raven (CPM’47), non presenta un quadro di deterioramento de-
sia transcorticale motoria, a seguito di emorragia cerebrale sinistra. menziale, ma la mediocrità dei risultati raggiunti è da imputare piuttosto ai dis-
Soggetti: (Caso clinico a soggetto singolo) Il paziente è un uomo di 34 anni, de- turbi di attenzione e alla parziale compromissione della capacità conservativa
strimane, con una scolarità complessiva di 9 anni, coniugato, di professione della memoria di lavoro, evidenze confermate, peraltro, dalla prestazione realiz-
pasticciere. In seguito ad un’emorragia cerebrale in regione fronto-parieto- zata al Token test (in particolar modo nella parte VI). Il paziente totalizza pun-
temporale sinistra, di origine ipertensiva, come documentato clinicamente da teggi considerevolmente bassi, anche al test di Fluenza Verbale Semantica (FAS),
esame neuroradiologico per mezzo di Tomografia Assiale Computerizzata rispettivamente, 1 alla fluenza fonologica e 6,5 alla fluenza semantica. Ciò pone
(TAC), accusa una moderata emiplegia destra e una disabilità verbale, di mo- chiaramente in luce notevoli difficoltà nel reperire, in maniera rapida e sponta-
derata gravità, diagnosticata, inizialmente, come afasia motoria generica. nea, le parole nel lessico interno. Alla Western Aphasia Battery Italiana (WAB-IT)
(vedi Tabelle n.2) il soggetto ottiene un Quoziente di Afasia (QA) di 53 e un Quo-
ziente Corticale (QC) di 60,28 che ci informano della presenza di una sindrome
2. Metodologia di afasia transcorticale motoria non fluente, ancora in atto, accompagnata da
Strumenti: La valutazione neuropsicologica è stata compiuta quattro mesi do- paralisi dell’arto superiore e di quello inferiore destro.
po l’evento traumatico. La Batteria di test somministrata includeva: Mini Inoltre, dall’esame qualitativo risulta che il linguaggio spontaneo è caratterizza-
Mental State Examination (Folstein e McHugh 1975); Coloured Progressive to come esitante e telegrafico. Si esprime a volte con frammenti sillabici isolati
Matrices (Raven 1947); Test dei gettoni (De Renzi e Faglioni riv. 1975); o con frasi automatiche. Sono presenti parafasie fonemiche associate ad anomia,
F.A.S. (Spinnler e Tognioni 1987), Western Aphasia Battery Italiana (Villar- e taluni agrammatismi. In generale la comprensione del linguaggio è ben con-
dita, Quattropani et al. 1994); ed infine, l’Eysenck Personality Inventory (Ey- servata, seppur presenti deficit isolati di comprensione verbale (confermati an-
senck 1975). L’inclusione nella batteria neuropsicologica di quest’ultimo test che dal punteggio al Token test). Il paziente, di fatto, palesa difficoltà a ragio-
muove dalla intenzione di voler evidenziare la singolarità del parenchima ce- nare per via ipotetico–astrattiva. Sufficiente è la comprensione della lettura,
rebrale, ovvero la costante e diretta evoluzione volta a ristabilire o a conserva- mentre mostra evidenti alterazioni della scrittura, caratterizzata da elisioni o so-
re la propria identità. A supporto di tale valutazione, dunque, abbiamo rite- stituzioni di uno o più fonemi di una parola e una lieve acalculia. La capacità di
nuto opportuno esplorare anche la dimensione affettiva del paziente, valutan- ripetizione e la denominazione degli oggetti è decisamente migliore rispetto al-
done gli aspetti personologici che dovrebbero essere sempre tenuti in debita l’espressione verbale spontanea. Più che sufficienti, risultano le abilità costrutti-
considerazione quando ci si accinge ad indagare il funzionamento neuropsi- ve visuo–spaziali per i disegni delle figure più semplici, mentre mostra maggio-
cologico della persona con cerebrolesione. ri difficoltà a realizzare figure più complesse che richiedono maggiori particola-
Procedura: Si è proceduto con una attenta osservazione del paziente in stato di ri. Discreta risulta, anche, la coordinazione visuo – motoria riproduttiva. Tutto
degenza. La preliminare raccolta dati è stata realizzata attraverso la consulta- ciò ci consente di avanzare una prognosi più favorevole, e di escludere un’Afa-
zione della cartella clinica e colloqui con il medico e il personale addetto alla sia di Conduzione o un’Afasia Corticale come la sindrome afasica di Broca, no-
riabilitazione. Abbiamo approfondito la storia personale del paziente median- toriamente più grave di quella riscontrata nel nostro paziente.
te colloqui con i familiari (la madre e la moglie). Quindi abbiamo effettuato Dall’indagine effettuata mediante Eysenck Personality Inventory (EPI) emerge
una valutazione complessiva delle funzioni cognitive del soggetto. che il paziente risulta sufficientemente orientato nel tempo e nello spazio con
mimica adeguata e un buon contatto oculare. La sua reazione evidenzia un pro-
cesso di adattamento funzionale alla nuova condizione impostagli dalla perdita
3. Risultati di alcune capacità neurocognitive. Non sembra mostrare sostanziali alterazioni
Dalla valutazione quantitativa dei punteggi raggiunti ai test (vedi Tabella n° 1) è di personalità e non manifesta anosognosia. Le funzioni egoiche risultano ben
emerso che il paziente, nonostante ottenga un punteggio di 19/21 al Mini Men- integre e l’intelligenza sottostante nella norma. Tuttavia, il paziente presenta
384 385
difficoltà a gestire in maniera costante l’intera gamma delle sue emozioni: egli SUBTEST Punt. Punt. Parziali Parziali
appare come una persona fondamentalmente emotiva, lunatica e a volte per- Max paziente di QA di QC
malosa; si irrita con facilità, soprattutto dopo il trauma e tende a riflettere mol- COMPRENSIONE
to sulle cose prima di attuarle; possiede una certa sensibilità d’animo e mostra Domande Si / No 60 54 7,6 15,2
diffidenza verso l’ambiente che lo circonda. Il suo umore depresso e altalenante Riconoscimento uditivo di parole 60 55
gli provoca sovraccarichi di energia e altre volte una eccessiva fiacchezza. Sul la- Comandi sequenziali 80 43
voro è molto attento e preciso. Dal punto di vista affettivo denota fragilità: si TOTALE 10 7,6
sente spesso ferito nei suoi sentimenti e turbato da sentimenti di colpa. Inoltre, (Calcolo di QA: dividere per 20) 20 15,2
dedica una eccessiva cura al suo aspetto fisico, per quanto in uno stato di de- (Calcolo di QC: dividere per 10)
genza. Dopo l’evento traumatico, dichiara di preoccuparsi seriamente, anche, RIPETIZIONE
della sua salute. Il paziente rivela i suoi timori, peraltro giustificati e comprensi- TOTALE 100 46 4,6 4,6
bili, in relazione al suo stato di salute attuale, come quello di non riuscire più a (Dividere per 10) 10 4,6
svolgere la sua attività lavorativa o di non essere più in grado di guidare la mac- DENOMINAZIONE
china. La sua è un’evidente reazione emotiva, già descritta da Gainotti (1972a) Denominazione di oggetti 60 45 6,3 6,3
come “reazione catastrofica”, che si riscontra, di sovente, in pazienti afasici, le- Fluidità verbale 20 0
gata alla consapevolezza della perdita di capacità subita. Completamento di frasi 10 8
Nell’ultimo colloquio, avvenuto circa due mesi dopo il primo, svoltosi questa Domande / Risposte 10 10
volta in sede ambulatoriale, il soggetto mostra evidenti miglioramenti: dal TOTALE 10 6,3
punto di vista linguistico, denota una notevole riduzione dei fenomeni para- (Dividere per 10)
fasici e disartrici; anche a livello motorio, seppure necessita ancora del basto- QUOZIENTE DI AFASIA
ne, presenta una migliore padronanza della posizione eretta. (Sommare i totali QA TOT 53
e moltiplicare per 2)
LETTURA E SCRITTURA
Lettura 100 71 11,45
Scrittura 100 43,5
TOTALE 20 11,45
(Dividere per 10)
Tabella 1 PRASSIA
TOTALE 60 53 8,833
(Dividere per 6) 10 8,833
SUBTEST Punt. Punt. Parziali Parziali COSTRUZIONE
Max paziente di QA di QC Disegno 30 20 5,9
LINGUAGGIO SPONTANEO Block design 9 6
Contenuto informativo 10 5 9 9 Calcolo 24 16
Fluenza 10 4 Raven 37 17
TOTALE 20 9 TOTALE 10 5,9
(Dividere per 10)

386 387
SUBTEST Punt. Punt. Parziali Parziali Freud disegnò il suo modello finale della mente nel 1933 (a destra; i colori so-
Max paziente di QA di QC no stati aggiunti in seguito). Le linee tratteggiate rappresentano la soglia tra l’e-
QUOZIENTE CORTICALE laborazione inconscia e quella cosciente. Il Super Io reprime le pulsioni istin-
Sommare i totali 100 QC TOT 60,28 tuali (l’Es), impedendo che queste compromettano il pensiero razionale. An-
TOKEN TEST 36 19,5 che la maggior parte dei processi razionali (l’Io) è automatica e inconscia, e
dunque solo una piccola parte dell’Io (la forma a bulbo in alto) è libera di ge-
Tabella 2 stire l’esperienza cosciente, strettamente legata alla percezione. Il Super Io me-
dia la lotta incessante per il predominio tra Io ed Es. Recenti mappature del
cervello (a sinistra) sono in linea di massima correlate alle idee di Freud. La
4. Il futuro della psicoanalisi nelle neuroscienze parte centrale del tronco cerebrale e il sistema limbico – le aree che presiedo-
L’apparato mentale può essere studiato servendosi di due differenti approcci, no agli istinti e alle pulsioni – corrispondono grosso modo all’Es di Freud. La
a seconda di quale parte dell’antico binomio mente–corpo, o della filosofica regione ventro-frontale, che controlla l’inibizione selettiva, la regione dorso-
distinzione tra idealismo e materialismo assuma più rilevanza. Secondo l’emi- frontale, che controlla il pensiero auto-cosciente, e la corteccia posteriore, che
nente filosofo inglese B. Russell (1921) esiste una insondabilità della materia rappresenta il mondo esterno, corrispondono all’Io e al Super Io.
che non permette di ridurre il mentale al fisico, asserendo che “il mentale e il
fisico sono due vie differenti di studiare la stessa cosa, il primo attraverso la
coscienza e il secondo attraverso i sensi. La coscienza assume così il ruolo di 5. Discussione
un sesto senso”. (Russell, Analisi della mente, 1921). In accordo con le teorie sulla concezione globale della mente umana, nel pre-
Al riguardo Solms (2004) sottolinea che l’introspezione ci fornisce una visione sente lavoro abbiamo voluto evidenziare la singolarità del parenchima cerebra-
dall’interno e ci permette di imprimere soggettivamente le esperienze nella le, ovvero la costante e diretta evoluzione volta a ristabilire o a conservare la pro-
mente. Ma non bisogna tralasciare che il cervello è, a tutti gli effetti, un or- pria identità. Alla luce di questa avvincente concezione tutti i difetti, i disturbi,
gano fisico di percezione, che va, dunque, analizzato anche da una “prospet- le malattie non rappresentano più “semplici perdite” o “eccessi”, quanto piutto-
tiva oggettiva, secondo un’indagine svolta dall’esterno”. sto, “squarci di luce, improvvisa trasparenza di processi che si tessono nel telaio
Freud (1892-95), attraverso lo studio clinico delle nevrosi, aveva compreso incantato del cervello” (Sacks 1986). Attraverso compensazioni e riadattamen-
che il trattamento analitico fondato sulla cura parlata serve, sotto l’aspetto te- ti, l’Io lotta per emergere dal completo caos verso “un mondo perduto e ritro-
rapeutico, come mezzo per rafforzare l’Io, consentendo a tale istanza un mag- vato”, quello, appunto, della propria identità (Lurija 1971, tr. it. 1973). Con-
gior dominio sulle due unità tra cui risulta interposta: Es e realtà esterna. cordiamo con il “medico–naturalista” Sacks (1986) quando sostiene che, a tal
proposito si necessita di una “neurologia dell’identità” come nuova disciplina
indagante i fondamenti neurofisiologici dell’Io. L’esplorazione dell’intima natu-
ra del paziente rappresenta, infatti, il contesto di indagine più elevato della neu-
rologia e della psicologia, poiché lo studio della malattia non può essere dis-
giunto da quello della personalità del paziente.
Ciò può dare un’idea della grande plasticità del cervello, quale organo capace
di adattarsi persino in condizioni di gravi handicap neurali o sensoriali. Per
comprendere, però, come questi fenomeni accadano, è necessario ribadire
che, in neuropsicologia non risulta più sufficiente la sola anamnesi della me-
dicina classica, utile, soltanto, per tracciare il quadro della storia della malat-
Fonte: “Mente&Cervello n°10 Luglio 2004 tia, ma che nulla ci rivela del paziente, della sua storia e della sua personalità.
388 389
La mente umana è un sistema assai complesso e sofisticato, alla stessa stregua Lurija A.R. (1979) Il farsi della mente. Autobiografia, tr. it. Roma, Armando, 1987.
di una macchina o di un elaboratore. Tale considerazione sarebbe, però, asso- Musatti C. (1971) “Introduzione” Opere vol. 2, Torino, Boringhieri, 1967-1980.
lutamente riduttiva se non rammentassimo che i processi mentali non posso- Raven J.C. (1947) Progressive Matrices, 1947, Sets A, Ab, B, D and E, Lewis H. K.
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soprattutto, personali e affettivi. Essi non possono, e non devono essere sot- Russell B. (1921) Analisi della mente, Milano.
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390 391
Assunta Penna, Valentina Cardella, Manuela Bruno* dalla concomitante conseguenza di progressive liberazioni (1977). L’antropo-
Università degli studi di Messina morfismo (ib., p. 46-72), una delle sei tappe evolutive individuate dallo stu-
Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive dioso, include caratteri distintivi come la posizione eretta, la liberazione inte-
dell’Università di Messina grale delle mani, e il distacco della volta cranica. Nello specifico la mano com-
Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive pletamente libera e l’abilità manipolativa di utensili movibili (ib., p. 26) per
Leroi-Gourhan, sono da considerare strettamente connessi al linguaggio: “l’u-
no e l’altro, linguaggio e utensile non sono dissociabili nella struttura sociale
dell’umanità. Il progresso tecnico è collegato al progresso dei simboli tecnici
del linguaggio” (1977, p. 136). La dimostrazione dello stretto rapporto tra
linguaggio e produzione di utensili viene, per Leroi-Gourhan, da una scelta
Etologia e paleoneurologia: fondamentale fatta dagli animali mobili; l’uomo è l’unica specie nella quale il
un contributo allo studio dell’evoluzione collegamento tra i due poli, facciale e manuale, avvenga, senza che l’arto an-
teriore abbia il benché minimo rapporto con la locomozione (ib., p. 43).
della cognizione umana Il linguaggio è dunque tipico dell’uomo tanto quanto l’utensile, “sono collegati
neurologicamente e perché l’uno non è dissociabile dall’altro nella struttura so-
ciale dell’umanità” (ib., p. 136). La “liberazione del cervello”, invece, è deter-
1. Una tradizione di ricerca, che ha tra i suoi esponenti più illustri A. Leroi- minata mediante quella che Leroi-Gourhan chiama “l’ampia apertura del ven-
Gourhan, ha individuato come condizione necessaria per lo sviluppo della taglio corticale”: l’evoluzione del cranio è contrassegnata dall’acquisizione della
cultura umana la costruzione e l’utilizzo sistematico di “strumenti”. Attraver- postura eretta con le consequenziali modifiche della parte posteriore cranica,
so l’analisi degli utensili adoperati per svolgere un determinato compito è pos- dalla liberazione meccanica della fronte attraverso la riduzione delle radici dei
sibile “cogliere i primi atti propriamente umani e seguirli di millennio in mil- denti, dalla graduale invasione delle aree frontali cerebrali. La notevole espan-
lennio fino al loro affacciarsi alla soglia dei tempi moderni” (Leroi-Gourhan sione prefrontale “permane molto incompleta fino all’Homo sapiens, ma si può
1993, p. 11). Se per tecnica si intende la capacità di adoperare e realizzare “at- benissimo supporre la presenza delle aree di associazione verbale e gestuale a par-
trezzi”, tale prospettiva risulta di grande interesse, poiché mette in luce il rap- tire dall’australantropo”(ib., pp. 106-07). L’evoluzione tecnica dell’uomo secon-
porto tra tecnica e funzioni cognitive superiori. A tal proposito rimandiamo do questa ipotesi, va dunque correlata funzionalmente alla stretta relazione tra
ad una considerazione di tipo anatomico-evoluzionista. L’ominide nel proces- arti superiori e cervello, tra capacità manipolatorie e rappresentazioni cerebrali
so di ominazione ha sostenuto molteplici mutamenti, alcuni dei quali nel cor- connesse a rappresentazioni di usi di utensili sempre più complessi.
so dell’evoluzione hanno definito le caratteristiche qualificate comunemente La coincidenza diretta tra l’origine del linguaggio e le forme primitive di pro-
specie-specifiche: dall’assunzione della postura eretta alla consequenziale libe- duzione di utensili, secondo Leroi-Gourhan, colloca ad una preistoria più re-
razione degli arti superiori, dall’apertura del ventaglio corticale allo sviluppo mota (dal Paleozoico al Neozoico) la nascita del linguaggio; l’autore diverge
del cavo orale. In particolare l’evoluzione cranica e l’evoluzione della mano quindi da alcune correnti di pensiero, come la nota ipotesi guidata da Ph. Lie-
riflettono una stretta relazione. Le aree del cervello specializzate al controllo berman (1975, 1991), sulla ricostruzione evolutiva del linguaggio. Secondo
senso-motorio del corpo evidenziano un ampio sviluppo di volume a favore quest’ultima ipotesi la capacità dell’articolazione fonatoria dell’uomo, databi-
della mano. Tale progresso evolutivo secondo Leroi-Gourhan è caratterizzato le circa 100 mila anni fa, è segnata dalla formazione del “tratto ricurvo a due
canne”, elemento distintivo che costituisce solo nell’uomo moderno uno dei
tratti specie-specifici, differenziandolo ad esempio dallo scimpanzé e dall’Ho-
* Si premette che, nonostante il presente contributo sia stato concepito in stretta collaborazio-
ne, il paragrafo 1 è da attribuirsi ad Assunta Penna, il paragrafo 2 a Manuela Bruno, ed il para- mo neanderthalensis, che ne sono privi.
grafo 3 a Valentina Cardella.

392 393
2. Lieberman, in realtà, affronta anche la questione del rapporto tra cognizione che presentano, in natura o in cattività, un utilizzo più o meno complesso o
e uso degli attrezzi, sostenendo che lo sviluppo del linguaggio umano compor- innovativo di utensili, al fine di comprendere in dettaglio se ed in che termi-
ti la presenza di capacità cognitive elevate che possano supportarlo. Si è spesso ni tale uso può “plasmare” il cervello. In questo senso risultano interessanti gli
ritenuto che il binomio linguaggio-pensiero fosse una condizione inscindibile e esperimenti condotti da Maravita e Iriki su esemplari di macachi giapponesi,
che la mancanza del primo comportasse l’assenza del secondo. Grazie agli studi i quali hanno dimostrato che gli oggetti usati intenzionalmente e ripetuta-
etologici siamo venuti a conoscenza di caratteristiche cognitive (logiche) pre- mente per raggiungere uno scopo vengono incorporati nello schema corpo-
senti in animali di specie diversa. La creazione e l’uso di utensili da parte dei pri- reo. Questa “interiorizzazione” degli strumenti sembra avere degli effetti in-
mati non umani ha dimostrato come esistano dei risvolti cognitivi connessi con negabili sulla cognizione in generale, e rende ad esempio possibile, secondo gli
la fabbricazione di strumenti. Lo stesso Lieberman sostiene che autori, considerare le proprie parti del corpo anch’esse come strumenti, e po-
terle osservare, per così dire, dall’esterno. Nell’uomo, questo meccanismo per-
è evidente che il comportamento di uso e di preparazione di strumenti manife- metterebbe di imitare in maniera molto più fedele le azioni altrui, sgancian-
stato da numerosi animali viventi è ragionevolmente vicino allo stadio iniziale sul dole dal contesto, differentemente dalle scimmie, che invece non sembrano ri-
quale deve aver operato la selezione naturale nel corso della graduale evoluzione uscire ad imitare le azioni slegandole dal loro scopo.
del comportamento degli ominidi (…) ad ogni modo non è implausibile che su
un piano cognitivo la diversità (tra primati umani e non) non sia qualitativa ma 3. Tuttavia, il dibattito relativo alle capacità di imitazione dei primati non
piuttosto quantitativa (Lieberman 1980, pp. 36-37). umani si è fatto recentemente più acceso. È un dato ormai accertato che il
meccanismo dei neuroni specchio sia “cieco” ai dettagli dell’azione osservata,
In effetti è come se considerassimo la costruzione di due calcolatori, una cal- e che legga invece lo scopo dell’azione stessa; per questo motivo, i neuroni
colatrice da tavolo e un calcolatore digitale universale, impiegando memorie specchio si attivano differentemente se le azioni osservate sono identiche ma
magnetiche e meccanismi logici del tutto simili. Naturalmente la seconda hanno scopi diversi, mentre la stessa attività neuronale si ha quando due azio-
macchina presenterà circuiti logici notevolmente superiori che determineran- ni sono differenti ma hanno in comune lo scopo. Gli uomini hanno però un
no differenze strutturali più quantitative che qualitative, ma con esiti “com- altro sistema che rende possibile immaginare le azioni come slegate dal loro
portamentali” di natura qualitativa (ib., p. 35), nel senso che la possibilità di contesto immediato, e grazie al quale è realizzabile una “vera” imitazione, cen-
svolgere maggiori operazioni migliorerà la resa del calcolatore potenziando ul- trata sui dettagli di un’azione e indipendentemente dal suo scopo (Iriki 2006).
teriormente le ricadute qualitative del prodotto finale. Negli animali la fab- Gli etologi hanno perciò cominciato a distinguere nettamente l’emulazione, in
bricazione degli utensili, la caccia, sottendono uno sviluppo di schemi com- cui ad essere riprodotto è il risultato dell’azione osservata, e l’imitazione vera
plessi di comportamento che determinano un potenziamento delle capacità e propria, specifica degli umani (Tomasello 1998). Tuttavia, come molte altre
cognitive anche in assenza di linguaggio. Allo stesso tempo, le medesime atti- caratteristiche ritenute dapprima specificamente umane e poi rivelatesi comu-
vità hanno determinato negli ominidi da un lato uno sviluppo della cogni- ni ad altre specie, anche la capacità di un’imitazione fedele sembra essere rin-
zione e dall’altro un vantaggio selettivo legato alla formazione di organizza- tracciabile in alcuni primati non umani, come gli scimpanzé. In un articolo
zioni sociali che hanno permesso l’apprendimento e la trasmissione delle sud- recente, infatti, Horner e Whiten (2005) hanno descritto la capacità di tali
dette pratiche. La traduzione delle capacità cognitive in schemi di comporta- primati di passare da un comportamento emulativo ad uno imitativo sulla ba-
mento complessi ha portato alla formazione di un’organizzazione culturale se delle informazioni accessibili di tipo causale. In altre parole, posti di fron-
con vantaggi di carattere qualitativo e funzionale sull’evoluzione della specie. te ad una dimostrazione in cui l’uso di un attrezzo all’interno di una scatola
L’uso di strumenti rappresenta dunque una pratica largamente diffusa anche scura può essere rilevante (permette di raggiungere il cibo) o irrilevante (apre
tra gli animali, i quali riescono a volte a mettere in atto comportamenti alta- solo una botola che non dà però accesso al cibo), gli scimpanzé, che per l’o-
mente complessi e specializzati. Grazie alle recenti tecniche di neurofisiologia pacità della scatola non riescono a vedere il rapporto causale “strumento-ci-
è stato possibile mettere a confronto il cervello umano e quello di altri primati bo”, attuano un comportamento imitativo, copiando sia le azioni rilevanti che
394 395
quelle irrilevanti. Nel momento in cui invece la scatola viene sostituita con fatto che la complessità sociale e tecnologica dell’Homo sapiens non abbia
un’altra trasparente, gli scimpanzé emulano, cioè copiano solo quel comporta- uguali nel mondo animale. Eppure, in un’ottica continuista come la nostra, è
mento che permette di raggiungere lo scopo (l’accesso al cibo), ed ignorano le necessario comprendere le radici comuni della nostra cognitività se vogliamo
azioni irrilevanti. Lo stesso esperimento, svolto su bambini di quattro anni, cogliere ciò che invece la rende unica. Perchè allora i primati non umani, non-
produce differenti risultati. I bambini infatti imitano in tutti e due i casi, cioè ostante possano essere addestrati all’uso di attrezzi e mostrino anche significa-
copiano fedelmente le azioni rilevanti e quelle irrilevanti anche quando la sca- tivi effetti di tale uso a livello cerebrale, non sono riusciti a creare una tecno-
tola è trasparente e sono dunque accessibili le informazioni di tipo causale. logia paragonabile a quella umana?
É importante a questo punto sottolineare che un’imitazione accurata non Una possibile risposta dovrebbe a nostro parere dar conto degli effetti dell’ac-
sempre risulta essere la strategia migliore. Il caso appena citato ne è un esem- quisizione del linguaggio sull’uso degli strumenti. Innanzitutto il linguaggio
pio lampante; dal punto di vista del rapporto mezzi-fini e dell’ottimizzazione sembra essere una delle variabili che ha permesso quel salto che 40.000 anni
dello sforzo cognitivo, il comportamento degli scimpanzé sembra essere più fa ha originato i primi usi simbolici, e ha dato il via all’improvvisa ed esplosi-
“intelligente” di quello dei bambini. I primi, una volta riconosciuta la se- va variazione dei manufatti prodotti dall’uomo. Si è recentemente ipotizzata
quenza di azioni che porta al raggiungimento del cibo, la attuano ignorando l’esistenza di variazioni culturali nell’uso degli attrezzi anche tra i primati non
gli atti irrilevanti, mentre i secondi continuano ad imitare anche le azioni che umani (Van Schaik et al. 2003). Con l’espressione “variazione culturale” si in-
appaiono palesemente inutili. Eppure le informazioni relative alla catena cau- tende una differenza nell’uso degli attrezzi tra comunità di primati che non
sale che collega l’uso dello strumento con il raggiungimento del cibo sono ac- può essere ricondotta a semplici diversità di ambiente e di materiali accessibi-
cessibili ad entrambi. Quale può essere allora la spiegazione per questa diffe- li. Un esempio ormai diventato classico è quello della popolazione di scim-
renza di comportamento? Le ipotesi degli studiosi che hanno ideato il test so- panzé del Gabon che, al contrario di quella della Costa d’Avorio, non usa
no diverse, ma a nostro parere la più convincente è quella che fa riferimento strumenti di pietra o di legno per aprire le noci. Gli scimpanzé del Gabon
al differente focus attentivo di scimpanzé e bambini. Il meccanismo dei neu- hanno a disposizione gli stessi materiali dei loro simili ivorensi, e sono bravi
roni specchio, com’è noto, si basa sul riconoscimento dello scopo; a scopi ad utilizzare degli strumenti per estrarre ad esempio le termiti dalle cavità de-
uguali, corrispondono uguali attivazioni neuronali. L’esperimento sopra cita- gli alberi, eppure non hanno mai adottato delle tecniche per aprire le noci.
to mostra, d’altra parte, come gli scimpanzé siano concentrati sul fine ultimo L’opinione degli autori che si sono soffermati su questo caso è che “nut-crac-
della catena di azioni; lo strumento viene utilizzato allo scopo di raggiungere king is a custom or habit or tradition that is absent from their culture” (McGrew
il cibo, e se tale scopo non può venire raggiunto tramite una determinata azio- et al. 1996, p. 371). A nostro parere, però, più che di differenze culturali oc-
ne, allora tale azione non sarà imitata. I bambini si concentrano invece su correrebbe parlare in questi casi di discontinuità nella diffusione di una tec-
qualcosa di diverso dal semplice scopo dell’azione. A quattro anni possiedono nica. Nessun individuo nel Gabon ha scoperto ancora che la parte interna del-
già una teoria della mente abbastanza sviluppata: hanno acquisito sia l’inten- la noce è commestibile, e per questo motivo non si è mai sviluppata e diffusa
tionality detector che lo shared attention mechanism, attuano giochi di finzione, la tecnologia adatta a rompere le noci; del resto è poco probabile che tale tec-
possiedono un vocabolario mentalistico e superano il test della falsa credenza. nologia venga “importata” dall’esterno perché la popolazione di scimpanzé
In altre parole, riconoscono gli altri come agenti intenzionali (Dennett, della Costa d’Avorio è lontana 2500 km. Si tratta allora semplicemente di una
1993). Il comportamento altrui viene di conseguenza sempre letto come pratica che nessuno scimpanzé del Gabon ha mai avviato, e sembra quindi
avente un senso, e questo è a nostro parere ciò che differenzia in maniera so- quantomeno azzardato parlare di variazioni di tipo culturale.
stanziale l’uomo dai primati non umani. I bambini, invece di concentrarsi, É necessaria secondo noi un po’ di prudenza in più quando si affronta un te-
come gli scimpanzè, sullo scopo di un’azione, si concentrano sull’azione stes- ma così importante come quello della cultura. La paleoantropologia, che stu-
sa, e, per quanto strana possa sembrare, la leggono come intenzionale. dia, tra la altre cose, la produzione di strumenti nelle varie specie di ominidi,
Ovviamente, occorre sempre essere molto cauti quando si cerca di indagare su può aiutarci a restringere il campo; l’utilizzo degli strumenti è ovviamente una
ciò che rende la specie umana differente da tutte le altre. È certo un dato di precondizione della nascita della cultura, ma il vero punto di partenza è da
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molti considerato la costruzione di attrezzi, non il loro semplice uso. In un ar- l’uomo da capacità cognitive complesse, ha radicalmente cambiato natura col
ticolo sulla tecnologia litica umana, Foley e Lahr (2003) passano in rassegna sorgere del linguaggio. E questo non solo nel senso banale che il linguaggio ha
le diverse tecniche di produzione di strumenti di pietra, riepilogando in altri “aiutato” a trasmettere le tradizioni rendendo tale trasmissione più veloce. Il
termini la nascita e lo sviluppo della cultura materiale umana. La tecnica più semplice fatto che, tramite il linguaggio, è possibile imparare una tecnica o l’u-
semplice ed antica sembra dipendere da delle capacità che la specie homo con- so di uno strumento in assenza dello strumento stesso, ha aperto la strada ad
divide con gli scimpanzé, i quali appunto non solo fanno uso degli attrezzi ma un modo di trasmettere il sapere completamente nuovo. Inoltre, una tecnolo-
in qualche caso li costruiscono. Tuttavia, a partire dalle tecniche successive, si gia vera e propria può esistere solo se si è in grado di progettare e pianificare
assiste ad un rapido complessificarsi e diversificarsi degli strumenti, e ciò rap- combinazioni sempre più complesse di attrezzi, ed a sviluppare e potenziare ta-
presenta una svolta vera e propria che non permette più paragoni con i pri- le capacità interviene in maniera rilevante ancora il linguaggio.
mati non umani. Tale svolta è caratterizzata da due abilità essenziali e com-
plementari. La prima consiste nella capacità di imitare in maniera fedele il
contenuto e la forma delle azioni, ed è ciò che permette l’instaurarsi delle tra- Riferimenti bibliografici
dizioni. Dall’altro lato, l’incredibile varietà di tali tradizioni è possibile solo al- Byrne R.W. et al. (2004) Understanding culture across species, Trends of Cognitive
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tuiscono le radici della cultura con altri primati. Abbiamo già sottolineato, ad Gerhard R., Dicke U. (2005) Evolution of the brain and intelligence, Cognitive Scien-
esempio, come gli scimpanzé possiedano non solo la capacità emulativa, ma an- ces, 9, 5.
che quella imitativa che rende possibile il sorgere delle tradizioni. Horner ed al- Horner, Whiten (2005) Casual knowledge and imitation/emulation switching in
tri studiosi hanno per primi dimostrato sperimentalmente che questi primati chimpanzees and children, Animal Cognition 8, pp.164-181.
sono capaci di trasmettere in maniera lineare delle tecniche apprese (Horner et Horner et al. (2006) Faithful replication of foraging techniques along cultural tra-
al. 2006). Il paradigma utilizzato è un modello “a catena”: ad uno scimpanzé smission chains by chimpanzees and children, Proceedings of the National Academy of
viene mostrata una tecnica per procacciarsi il cibo; una volta imparata la tecni- Sciences, 103, 37.
ca, l’esemplare diventa il modello per un altro scimpanzé, e così via, in una ca- Iriki A. (2006) The neural origins and implications of imitation, mirror neurons and
tena di cinque soggetti. L’esperimento in questione ha dimostrato che gli scim- tool use, Current Opinion in Neurobiology, 16, pp. 660-667.
panzé sono capaci di mantenere delle tradizioni locali attraverso le generazioni Johnson-Frey S.H. (2004) The neural bases of complex tools use in humans, Cogni-
(simulate), e ciò implica che questa spinta alla trasmissione fedele non è carat- tive Sciences, 8, 2.
teristica distintiva della specie umana. Ma tra trasmissione lineare e trasmissio- Leroi-Gourhan A. (1964) Le geste et la parole, Paris, Albin Michel, tr. it. Il gesto e la
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1. Evoluzione culturale. Dati etologici
La specie-specificità dell’intelligenza sociale umana è un campo privilegiato di
analisi delle scienze cognitive, anche se non è affatto scontato in quali termini e
misura la socialità abbia “modellato” i complessi meccanismi di evoluzione del-
la nostra specie. Le particolari caratteristiche delle dinamiche dei gruppi umani
hanno spinto molti teorici ad elaborare un’efficace definizione di cultura.
Secondo la visione comportamentista di Watson (1924) l’uomo è passivamente
condizionato e plasmato dalla cultura, mentre una concezione sicuramente più
affidabile di questo fenomeno ci proviene da Sinha (2004): può essere definita
cultura la presenza di differenze fra gruppi della medesima specie nei pattern e
repertori comportamentali che non sono causate da fattori ecologici (per esem-
pio la presenza o assenza di una risorsa ambientale utile nel compiere una certa
azione) e che sono apprese e trasmesse fra conspecifici. Tali variazioni nei com-
portamenti e negli stati mentali sono determinate dalle informazioni acquisite
dai membri della stessa specie, attraverso i meccanismi di imitazione, emulazio-
ne e altre forme di apprendimento sociale (Boyd e Richerson 2005). In questo
senso la cultura non è un fenomeno che si estende esclusivamente agli esseri
umani: numerosi dati etologici ne confermano la presenza nell’ambito di nu-
merose specie. Lavare le patate dolci, azione compiuta da alcuni esemplari di
400 401
macachi giapponesi (Macaca fuscata) e osservata in una comunità stanziata nel- esperimento che consiste nell’osservare e successivamente riprodurre l’azione
l’isola di Koshima (Chauvin e Muckensturm Chauvin 1977), può essere consi- di avvicinare a sé del cibo attraverso l’utilizzo di un rastrello.
derato un esempio di questo fenomeno nel regno animale. Risulta intuitiva la necessità di analizzare i meccanismi di sociogenesi per
La specie in cui la variazione culturale è stata più studiata è lo scimpanzè. comprendere la configurazione dell’intelletto umano e il ruolo che la nostra
Whiten e collaboratori (1999) hanno effettuato una complessa elaborazione specie occupa nel caleidoscopio della natura. Parallelamente occorre essere
dei dati osservativi che hanno raccolto i ricercatori negli ultimi decenni. In ba- consapevoli dell’esistenza di modelli cognitivi piuttosto complessi, evoluti in
se a questi risultati sono state registrate nell’ambito di 7 comunità geografica- modo totalmente separato dal nostro, che non presuppongono una vita so-
mente distanti di scimpanzè allo stato selvaggio 65 categorie di pattern com- ciale altamente sofisticata. I cefalopodi hanno pochi contatti con i conspecifici
portamentali differenti (una lista di possibili variabili culturali), di cui 39 pos- nel corso della loro esistenza, eppure le ultime ricerche mostrano come la lo-
sono essere definite variabili culturali, perché sono presenti in alcune comu- ro intelligenza, insolita per un invertebrato, si esplichi nei domini dell’utiliz-
nità, ma assenti in altre, senza ragioni di tipo ecologico o genetico. zo flessibile di strumenti, nel problem solving (aprire vasi, esplorare labirinti),
nel gioco, nella variabilità comportamentale interindividuale, nell’elaborazio-
ne di mappe cognitive necessarie all’orientamento (Anderson e Mather 2000,
1.1. Socialità specie-specifica umana Sinn e Moltschaniwskyj 2005). Anche dal punto di vista neurologico è possi-
Esistono numerose evidenze, corroborate dagli studi più recenti, a favore del- bile capire come il loro sistema intellettivo sia sviluppato, infatti diversi neu-
l’ipotesi che la cultura non sia una prerogativa umana, ma, malgrado questo, rotrasmettitori trovati nei vertebrati sono stati individuati nel sistema nervo-
è indispensabile tracciare i caratteri specie-specifici che assume il fenomeno so dei cefalopodi (Bellanger et al. 2003). Tale struttura cognitiva permette a
culturale nell’Homo sapiens. Nel nostro pianeta, popolato da centinaia di mi- questo gruppo di gestire una grande quantità di ambienti diversi (dai fondali
gliaia di forme di vita differenti, la specie umana sembra essere l’unica a pos- sabbiosi e rocciosi, alla barriera corallina) e la loro capacità di apprendimento
sedere un’evoluzione culturale cumulativa (Boyd e Richerson 2005); ovvero è (environmental intelligence) è proprio utilizzata per acquisire informazioni da
dotata di strumenti cognitivi che permettono di trasmettere attraverso innu- un ambiente piuttosto mutevole, piuttosto che acquisire informazioni da un
merevoli generazioni un potenziale molto alto di idee, strumenti e comporta- conspecifico, come avviene nelle specie sociali (Anderson e Mather 1998).
menti complessi, ciascuno dei quali risulta essere il compromesso fra innova-
zione individuale e trasmissione sociale. Una freccia costruita decine di secoli
fa, per indicare l’esempio di un utensile piuttosto semplice, è il risultato di un 2. Il fenomeno della condivisione
elenco numeroso di idee e contributi individuali avvenuti in periodi diversi e Ciò che renderebbe caratteristica la cognizione sociale umana è il fatto che “gli
processi di trasmissione da una generazione all’altra. Tomasello (1999) indica esseri umani si “identificano” con i conspecifici più profondamente di quan-
l’imitazione e l’attenzione condivisa come processi cognitivi specie-specifici to non facciano gli altri primati” (Tomasello 2005, p. 32). Questo, in altri ter-
responsabili della trasmissione culturale cumulativa. Esperimenti condotti mini, significa che, attraverso un complesso sistema di attribuzioni, siamo
parallelamente su scimmie antropomorfe e bambini (“visione binoculare”, non solo in grado di percepire e capire gli altri ma anche di istituire con loro
Anolli 2005) mostrano che questi ultimi in particolare presentano abilità imi- relazioni che ci permettono navigare nel mondo sociale (Adolphs 2006). Ciò
tative, cioè capacità di riprodurre fedelmente le sequenze algoritmiche dei che è caratteristico dell’essere umano è che egli, per riprendere un’idea di Lo-
procedimenti comportamentali e strumentali osservati compiute da un con- renz, è meno individuale e più sociale rispetto alle altre forme di vita perché è
specifico (riprodurre azioni). Nei primati non umani si parla di emulazione, “un animale affamato e assetato di riconoscimento simbolico” (Gambarara
ovvero attitudine a copiare in modo più approssimativo un comportamento 2003, p. 227). L’essere umano, infatti, non si limita solo a identificare il pro-
appreso socialmente, raggiungendo lo scopo finale ottenuto dal compimento prio conspecifico (individuare in lui un “appartenente al gruppo”), ma va ben
di tale comportamento, ma senza seguirne gli step e le configurazioni precise oltre: egli, infatti, considera i suoi simili come esseri intenzionali con cui con-
che hanno osservato (riprodurre risultati). In questo caso è stato effettuato un dividere parti rilevanti di conoscenza. La “condivisione”, quindi, potrebbe es-
402 403
sere intesa come quell’insieme di risposte (sociali) su cui concordiamo e che desideri, non hanno credenze e desideri riguardo a credenze e desideri altrui,
costituiscono la nostra “forma di vita” (Wittgenstein 1953). non possiedono, cioè, “intenzionalità di secondo ordine” (Dennett 1996).
Il raggiungimento di quella che Searle (1992) definisce “we intentionality”, I bambini umani, invece, sebbene molto piccoli, sono in grado di attuare forme
cioè quel genere di interazione collaborativa in cui i partecipanti condividono pre-linguistiche di comunicazione cooperativa attraverso cui si tenta di influenza-
stati psicologici con un altro, implica la presenza di alcuni elementi e capaci- re gli stati informazionali e gli scopi altrui. In termini ontogenetici è ipotizzabile
tà che ne costituiscono il presupposto evolutivo: il seguire lo sguardo, la com- che le abilità e le motivazioni fondamentali per l’interazione emergano tipica-
prensione/produzione di gesti comunicativi, la condivisione di interessi e sta- mente intorno ai 12 mesi di vita nel bambino umano sulla base di due traiettorie
ti attentivi con i propri simili. di sviluppo che rappresentano rispettivamente due forme di adattamento evoluti-
Prendiamo il caso della condivisone di una scena attentiva. Da un punto di vo che hanno avuto luogo in due momenti differenti: a) la prima traiettoria è le-
vista funzionale, “sintonizzare” il proprio sguardo con quello dei conspecifici gata ad una più generale linea di sviluppo dei primati che chiama in causa la com-
è significativo dal punto di vista dell’interazione sociale: non solo si possono prensione delle azioni intenzionali; b) la seconda traiettoria è unicamente umana
evitare eventuali predatori, individuare fonti di cibo, ma soprattutto si met- e riguarda lo sviluppo della capacità di condividere stati psicologici con altri indi-
tono in atto attività collaborative di condivisione di esperienze. Diversi studi vidui. L’intersezione di queste due linee di sviluppo creano, intorno al primo an-
hanno messo in evidenza come gli scimpanzé siano in grado di seguire la di- no di età, le condizioni perché natura e cultura nell’essere umano si leghino in ma-
rezione dello sguardo sia dei loro conspecifici che degli esseri umani. In effet- niera forte: comprendere l’intenzionalità, condividere stati psicologici con gli altri
ti quello che sembra rilevante è che, sebbene gli scimpanzé siano animali for- durante le interazioni sociali, interiorizzare vari generi di norme sociali e credenze
temente sociali, che formano gruppi dalle relazioni molto forti, che s’impe- collettive diventano, in quest’ottica, dirette espressioni dell’adattamento biologico
gnano in attività cooperative (sia ludiche che di caccia), che riescono a mani- che consente ai bambini di partecipare alle pratiche culturali che li circondano.
polare efficacemente gli altri per giungere ai loro scopi (attraverso l’uso, ad
esempio, dell’inganno tattico), ecc., non riescono a venir fuori da una pro-
spettiva “individualistica” che limitano il concetto stesso di cooperazione: nel 3. Conclusioni
caso dei primati, infatti, il livello di collaborazione/cooperazione fra i membri La cognizione sociale dei primati si basa, in generale, su una comprensione rap-
del gruppo non implicherebbe scopi e piani condivisi. Lo studio di Warneken, presentazionale del comportamento altrui, senza che questa abilità implichi ne-
Chene e Tomasello (2006) sembra dimostarlo: gli autori hanno presentato cessariamente capacità meta-rappresentazionali. I primati, infatti, appaiono
una serie di compiti “collaborative tasks” a 3 giovani scimpanzé culturalizzati, maggiormente interessati al raggiungimento dei loro fini individuali, laddove
comparando le loro prestazioni con quelle di bambini di età compresa tra i 18 già i bambini di 1 anno dimostrano di essere predisposti alla condivisione di sta-
e i 24 mesi. Sia gli scimpanzé che i bambini venivano lasciati liberi di agire in ti psicologici con gli altri per avere da questi ultimi informazioni e/o, semplice-
modo da verificare in che modo mettessero in atto strategie di cooperazione. mente, per formare interazione e suscitare attenzione. La comparsa dell’inten-
I bambini stimolavano attivamente gli adulti, coinvolgendoli nelle loro attivi- zionalità condivisa, sebbene a prima vista può apparire come una piccola diffe-
tà ludiche attraverso l’utilizzo di diverse strategie (e anche l’uso di diverse for- renza psicologica, potrebbe invece rivelarsi determinante nell’evoluzione uma-
me di comunicazione) per richiamare l’attenzione dello sperimentatore. Gli na. Essa potrebbe aver contribuito alla creazione di uno spazio congiunto di una
scimpanzé sembrava che non fossero in grado di fare questo, ma piuttosto si comune base psicologica che permette agli appartenenti ad un gruppo di effet-
sforzavano di risolvere il compito loro assegnato in modo individualistico. L’i- tuare quel genere di attività collaborative con scopi condivisi che, per un verso,
dea di fondo è che gli scimpanzé, attraverso l’esperienza individuale, riescono implicano la condivisione dell’intersoggetività (Trevarthen 1998) e, per altro
sì a catturare importanti informazioni circa la relazione tra ciò che gli altri in- verso, costituiscono lo human-style della comunicazione cooperativa.
dividui vedono e il relativo comportamento (Call e Tomasello 2005): gli scim- La cognizione sociale umana può essere creata solo da creature che mostrano
panzé, in sostanza, non comprendono gli altri in base a stati mentali e/o in- intenzionalità condivisa e credenze collettive, le quali sono determinanti nel
tenzionali, ma sono creature che (probabilmente) pur possedendo credenze e mantenere i valori condivisi della cultura di un gruppo umano.
404 405
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406 407
Caterina Scianna
Università degli studi di Messina
Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive
dell’Università di Messina
Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive

L’ipotesi Grodzinsky: area di Broca


e teoria della traccia Aree di Broca e di Wernicke, il giro angolare e i loro collegamenti.
(fonte: Conti, 2005)

1. Introduzione Ultimamente questo modello è stato però messo in discussione. Negli ultimi
Da oltre un secolo, l’area di Broca è tra le regioni del cervello umano più stu- decenni gli psicolinguisti hanno cercato di fornire una nuova prospettiva, ri-
diate e sottoposte a discussioni. L’attenzione suscitata da questa piccola parte definendo i centri del linguaggio e le loro rispettive funzioni. La letteratura
del nostro cervello è strettamente collegata al profondo interesse che vi è per corrente rileva una certa multifunzionalità dell’area di Broca, sottolineata di
la caratteristica specifica dell’uomo: il linguaggio. La facoltà di linguaggio su- volta in volta dall’emergere di diversi aspetti: per alcuni questa si attiva du-
scita da sempre una grande curiosità: questa è uno dei tratti umani più di- rante l’immaginazione del movimento, l’osservazione e l’imitazione del movi-
stintivi. I meccanismi che la supportano sono molto complessi e negli ultimi mento altrui; per altri essa è cruciale per le analisi sintattiche ed è implicata
anni, anche grazie ai passi avanti fatti nelle tecniche di indagine, l’area di Bro- nella fonologia e nel modo in cui le parole sono trattate; per altri ancora con-
ca e le altre aree del linguaggio sono state esaminate da ogni angolazione. Si tiene risorse utili per i compiti di memoria ed è collegata anche con le imma-
cerca di comprendere non soltanto come parole, frasi, regole grammaticali sia- gini mentali. Secondo diversi studi quindi, molte cose sembrano accadere in
no stanziate nel tessuto neurale, ma anche come le funzioni del cervello siano questa piccola porzione dell’emisfero cerebrale sinistro.
collegate ai nostri comportamenti. Negli ultimi anni lo studio dell’area di Broca è stato effettuato principalmen-
Secondo l’insegnamento tradizionale, tre sono le aree principali del linguag- te attraverso test condotti su pazienti con afasia di Broca, pazienti che hanno
gio, tutte situate nell’emisfero cerebrale sinistro. Queste aree corticali si divi- subito lesioni in questa regione del cervello. Gli afasici di Broca presentano
dono in motorie e sensoriali. una diminuzione dell’eloquio spontaneo, che risulta telegrafico o agrammati-
I centri sensoriali sono: co, mancano cioè di gran parte del tessuto grammaticale che tiene insieme un
a) il centro verbo-acustico, situato nella circonvoluzione temporale superiore discorso normale: articoli, verbi, ausiliari, tempi verbali, ecc..
o area di Wernicke (area 22 Brodmann), che presiede alla comprensione del- Per molti anni si è pensato che nella produzione di parlato agrammatico il dan-
l’esatto significato delle parole ascoltate; neggiamento fosse molto ampio. Molti ricercatori hanno affermato che una le-
b) il centro verbo-visivo, situato nella piega curva (area 39 Brodmann), che sione all’area di Broca causa agli individui la perdita della capacità di produrre
permette di comprendere l’esatto significato delle parole scritte. frasi ben formate sintatticamente: negli individui afasici l’abilità sintattica sa-
L’ area motoria del linguaggio (centro di Broca) è invece localizzata nella par- rebbe completamente persa e questi si avvarrebbero di strategie non linguistiche
te opercolare della circonvoluzione frontale (aree 44-45 Brodmann) ed è co- per concatenare parole all’interno delle frasi. Le evidenze empiriche accumulate
munemente nota come centro di produzione del linguaggio articolato. negli ultimi anni, riguardanti l’afasia di Broca, hanno però suggerito come il
408 409
deficit sia più circoscritto e come non tutti gli elementi funzionali siano dan-
neggiati. Alcune abilità sintattiche sono state trovate intatte e altre strutture so-
no state trovate danneggiate in modo diverso nelle varie lingue.
Questi risultati hanno portato al bisogno di una esplorazione sistematica del-
le abilità sintattiche danneggiate e non, per spiegare perché alcune funzioni
vengono danneggiate e cosa le separa dalle funzioni non danneggiate.
Delle numerose tecniche correntemente in uso, due sembrano aver maggior-
mente contribuito alla comprensione delle relazioni cervello-linguaggio:
1) lo studio del comportamento linguistico in pazienti afasici, che hanno le- Il verbo kick assegna due ruoli tematici sia in 1 che in 2, il ruolo di agente alla
sioni all’area di Broca; sua sinistra e il ruolo di paziente alla sua destra. In 2 gli elementi kick e rider so-
2) l’uso di tecniche di visualizzazione cerebrale (FMRI – PET), che nei pa- no non adiacenti e il loro ordine sequenziale è capovolto. Il verbo kick comun-
zienti afasici permettono di individuare in modo accurato localizzazione e di- que non cambia il modo in cui assegna il ruolo tematico, 01 rimane fissato alla
mensione della lesione e, applicate a soggetti normali, hanno portato a un sua sinistra e il 02 alla sua destra. Rider rimane il paziente dell’azione. Per man-
enorme sviluppo delle conoscenze sull’organizzazione nervosa del linguaggio, tenere la costanza del ruolo tematico a dispetto del cambiamento sequenziale,
(Grodzinsky 2000). the rider diventa which rider ed è posto all’inizio della frase, viene cioè cancella-
to dalla sua posizione precedente e rimpiazzato dal simbolo t che sta per traccia
del movimento. Kick assegna il ruolo di paziente verso destra alla posizione mar-
2. Ipotesi di Grodzinsky: il deficit riguarda esclusivamente cata da t, ciò significa che foneticamente which rider è all’inizio della frase, ma
il movimento sintattico il suo ruolo tematico è alla fine, in t. Le due posizioni sono collegate in modo
Comunemente l’area di Broca è pensata come centro di produzione del linguag- che il ruolo tematico è trasmesso da t a which rider.
gio e, in quanto tale, si crede racchiuda tutti i meccanismi sintattici. Grodzinsky La trasformazione grammaticale consiste quindi nel copiare un costituente in
propone una visione del tutto nuova nella quale l’area di Broca svolge una fun- un’altra posizione della frase e porre nella sua posizione originale una traccia,
zione molto più ristretta. Secondo Grodzinsky l’area di Broca ha un ruolo alta- una categoria foneticamente vuota ma sintatticamente attiva, che gioca diver-
mente specifico: non racchiude tutta la sintassi, ma soltanto alcune regole sintat- se importanti funzioni.
tiche. Secondo Grodzinsky la componente sintattica non è esclusivamente collo- Il movimento di un elemento in una frase implica che questo ha una doppia
cata nell’area di Broca, ma parti importanti della sintassi sono in altre zone del esistenza:
cervello. L’area di Broca regolerebbe soltanto la componente trasformazionale – come entità fonetica, è posto nella frase nel landing site, la posizione dove si
delle strutture sintattiche profonde coinvolte nella costruzione delle parti più al- viene a trovare dopo il movimento;
te degli alberi sintattici (Grodzinsky 1995). Grodzinsky basa la sua teoria su di- – come interpretazione semantica, si trova in un altro punto, la posizione origi-
versi test condotti su pazienti afasici, dai quali appare chiaro che questi conser- nale, che dopo il movimento è foneticamente vuota ma tematicamente attiva.
vano la maggior parte delle loro capacità sintattiche. Il deficit si presenta molto È grazie al collegamento tra il costituente e la sua traccia che viene trasmesso
ristretto, sembra racchiudere tutte e soltanto le frasi che contengono movimento il ruolo tematico (Grodzinsky 2006).
sintattico, è cioè limitato alle strutture che contengono operazioni trasformazio- Secondo la teoria della traccia di Grodzinsky il deficit nell’afasia di Broca sta
nali tra costituenti frasali mossi e i loro siti d’estrazione, esso riguarda la com- nell’inabilità di rappresentare le tracce del movimento nelle rappresentazioni
prensione di costruzioni derivate da movimento trasformazionale. sintattiche. Come conseguenza la trasmissione del ruolo tematico al costi-
Il movimento sintattico è un’operazione che cambia il relativo ordine sequen- tuente mosso, normalmente mediato dal legame tra la traccia e il suo antece-
ziale degli elementi in una frase, è una relazione astratta tra due posizioni: la po- dente, non può avere luogo. Nella rappresentazione sintattica degli individui
sizione originale dell’elemento mosso e la posizione dove l’elemento si sposta. afasici, un qualsiasi sintagma mosso manca dunque del suo ruolo tematico.
410 411
La conclusione cui arriva Grodzinsky è che le operazioni di movimento sin- getto e verbo), e un deficit all’agrP implica un deficit sia al TP che al CP.
tattico sono il cuore del deficit: esse costituiscono la funzione sintattica cen- Quando un nodo è intatto invece lo sono anche tutti i nodi sottostanti. Quin-
trale dell’area di Broca. Il ruolo centrale dell’area di Broca nella percezione di se il TP è intatto, di conseguenza sarà intatto anche l’agrP.
delle frasi è di supportare il movimento sintattico. Ogni altro aspetto della
sintassi è intatto dopo una lesione nell’area di Broca e nelle sue vicinanze.

3. Costruzione di alberi sintattici


Grodzinsky spiega la sua teoria della traccia basandosi sulla rappresentazione
dell’albero sintattico di Pollock.

(fonte: Friedmann e Grodzinsky 1997)

4. Differenza nella flessione verbale tra tempo e accordo


Nella flessione verbale tempo e accordo formano distinte categorie funziona-
li. Nei test condotti su pazienti afasici il tempo risulta severamente danneg-
giato, mentre l’accordo è relativamente intatto, almeno in ebraico, arabo, spa-
(fonte: Friedmann e Grodzinsky 1997) gnolo, inglese, francese e tedesco.

Il deficit nella produzione agrammatica sta nell’incapacità di progettare albe-


ri sintattici che arrivino sino ai nodi più alti. Secondo la teoria della traccia
non tutte le categorie funzionali sono danneggiate nella produzione agram-
matica. L’albero sintattico degli afasici agrammatici è sfoltito, ma soltanto i
nodi più alti sono inaccessibili. L’agrammatismo non è né una totale perdita
di sintassi né una totale perdita di morfemi grammaticali o categorie funzio-
nali. I nodi dell’albero sintattico sono ordinati gerarchicamente. Un deficit ad La differenza tra tempo e accordo è spiegata guardando l’albero sintattico. Il
un certo livello implica un deficit a tutti i livelli superiori. Dunque un deficit nodo dell’accordo è posto in basso, dunque vi si accede correttamente e l’ac-
al TP (nodo responsabile della flessione temporale del verbo) implica un cordo soggetto-verbo è quasi sempre intatto. Il nodo del tempo è invece più
deficit al CP (nodo responsabile di frasi con that, for, di domande con il mor- alto e quindi meno accessibile. L’accordo risulta sempre migliore della flessio-
fema wh come who e what e di domande che richiedono l’ausiliare do) ma non ne temporale e mai viceversa (Friedmann, 2001).
all’agrP (nodo responsabile dell’accordo di persona genere e numero tra sog-
412 413
5. Produzione di domande: differenza tra domande bo, la produzione di domande si/no mostra uno schema completamente di-
con wh e domande si/no verso da quello delle domande con il wh. La produzione delle prime è mi-
I pazienti agrammatici trovano difficoltà nel produrre certi tipi di domande, gliore rispetto alle seconde: una percentuale molto più alta di domande si/no
mantengono però la nozione di cosa è una domanda e il bisogno di porre do- è prodotta correttamente.
mande, così producono domande mal formate o rimpiazzano certi tipi di do- Uno schema completamente diverso si ha quindi in lingue dove domande
mande con altre. si/no richiedono i nodi più alti dell’albero sintattico. Mentre in ebraico nessun
Le domande con il wh mostrano sempre un severo danneggiamento, esse pre- costituente si muove all’inizio della frase, in inglese, abbiamo detto, doman-
sentano solitamente tre tipi di errori. de si/no richiedono il supporto del do o presentano l’inversione soggetto-ausi-
1. Produzione di domande si/no quando viene richiesto di produrre domande liare. Il do e l’ausiliare risiedono nel nodo alto C. Se questo nodo è danneg-
con il wh giato allora anche le domande si/no saranno danneggiate. In inglese gli afasici
producono domande si/no senza il do iniziale es. You like pasta?, usando sol-
Es. Il sole oggi sorge ad un certo orario. Si richiede al paziente di domandare tanto la diversa intonazione della voce per indicare che si sta ponendo una do-
a che ora. manda. Gli inglesi falliscono sia nel produrre domande con il wh che do-
Paziente: at six… the-sun rose… the-sun today… (I) don’t know. The-sun ro- mande si/no. Producono domande che non includono alcun tipo di movi-
se today? mento, né il movimento del wh né l’inversione soggetto-ausiliare.
È dunque cruciale se una struttura coinvolge i nodi più alti dell’albero sintattico.
2. Produzione del solo wh in sequenza senza il resto della frase nel parlato Domande con il wh in ebraico, arabo e inglese richiedono i nodi più alti e sono
spontaneo danneggiate, ma domande si/no in ebraico e arabo non richiedono i nodi più al-
Es. What… Why? …What, why? ti e sono risparmiate. La differenza tra domande con il Wh e domande si/no in
ebraico e arabo segue dalla differente struttura di queste domande. Le domande
3. Varie domande agrammaticali, e wh in situ con il Wh richiedono movimento e il CP intatto mentre domande si/no possono
Es. Viene chiesto di ripetere la domanda: Where Dani put acc the key? essere prodotte indipendentemente dal CP (Friedmann 2002, 2006).
Paziente: Dani put acc the key where?

Il deficit non può essere descritto come un problema generale con l’atto di por- 6. Conclusioni
re domande ma piuttosto come un deficit strutturale. Non c’è un problema con Lo studio della produzione di parole in afasia agrammatica di Broca ha mo-
il wh ma è il movimento del wh all’inizio della frase che non riesce ad avere luo- strato come non tutti gli elementi funzionali siano danneggiati, come il deficit
go. Nei test condotti su pazienti afasici Friedmann trova una differenza tra do- sia altamente selettivo e possa essere classificato in termini di un deficit nel-
mande con il wh, che richiedono il nodo più alto dell’albero e sono dunque l’albero sintattico. La teoria della traccia suggerisce infatti che i soggetti con
sempre danneggiate, e domande si/no. Queste presentano una differenza tra l’in- agrammatismo sono incapaci di progettare alberi sintattici che arrivino sino ai
glese e l’ebraico. Mentre in ebraico e arabo non sono danneggiate perché non punti più alti. Questo comporta una differenza tra la produzione di strutture
richiedono i nodi più alti, dato che nessun costituente si muove all’inizio della che dipendono dalla parte più alta dell’albero, che sono danneggiate, e le
frase, in inglese invece, poiché vi sono il supporto del do e l’inversione sogget- strutture più basse che non lo sono.
to-ausiliare che richiedono il nodo più alto intatto, esse appaiono danneggiate. Le lesioni all’area di Broca non intaccherebbero né abilità semantiche né abi-
Le domande si/no in ebraico e arabo non richiedono i nodi più alti, cioè non lità sintattiche di base: combinazione di significati lessicali in proposizioni,
richiedono un morfema in CP (all’inizio della frase). In ebraico, ad esempio, creazione e analisi di frasi con strutture abbastanza complesse e capacità di
al contrario dell’inglese, una domanda si/no come Do you like pizza? può esse- analizzare parole morfo-fonologicamente negli afasici di Broca si manterreb-
re chiesta senza morfema all’inizio della frase: You like pizza? In ebraico e ara- bero intatte. Lo stesso deficit inoltre si manifesta in maniera diversa in diffe-
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renti lingue. Da ciò, secondo Grodzinsky, segue che molte abilità linguistiche Miano S., Bruni O., Elia M., Trovato A.,
umane, inclusa la maggior parte della sintassi, non sono localizzate nell’area Smerieri A., Verrillo E., Roccella M.,
di Broca. Secondo Grodzinsky, gli afasici di Broca soffrono comunque di im- Terzano M.G., Ferri R.
portanti, anche se limitati, deficit sintattici. Ciò che però avverrebbe in que- Università degli studi di Messina
sti individui è esclusivamente la cancellazione della traccia nella rappresenta- Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive
zione delle strutture sintattiche. dell’Università di Messina
Dottorato di ricerca in Psicobiologia dei processi cognitivi

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Grodzinsky Y. (2006) A blueprint for a brain map of syntax, in Grodzinsky Y, Amunts disturbi caratterizza i bambini con disturbo autistico (ASD) (Quine 1991,
(eds.) “Broca’s region”, pp. 83-107, Oxford, Oxford University Press. Stores 1992, Wiggs e Stores 1996, Wiggs e Stores 2004). Questi disturbi si
Grodzinsky Y., Friedmann N. (1997) Tense and agreement in agrammatic produc- manifestano con difficoltà nell’addormentamento, da frequenti risvegli not-
tion: pruning the syntactic tree, Brain and language, 56, pp. 397-425. turni ed una da una ridotta quantità di sonno nel corso della notte.
Molti studiosi hanno sostenuto come tali disturbi possano incidere nel compor-
tamento del bambino con autismo nel corso della giornata (Schreck et al. 2004).
In altre parole, studi polisonnografici mostrano una riduzione del tempo to-
tale di sonno, come la principale caratteristica dell’architettura del sonno nel-
l’autismo (Elia et al. 2000, Valdizan-Uson et al. 2002).
Lo scopo della ricerca è stato quello di valutare più accuratamente l’architettu-
ra del sonno, tramite: l’uso di un questionario (Bruni et al. 1996, Bruni et al.
1997) e lo studio EEG della struttura del sonno tramite Cyclyc Alterneting
Pattern (CAP), per ottenere informazioni dettagliate sulla microstruttura del
sonno non REM (Terzano et al. 1985, Terzano et al. 1988).
La metodologia: Sono stati selezionati 31 pazienti con ASD (28 maschi, 3 fem-
mine con un’età con un’età media di 9,53 anni), diagnosticati secondo i cri-
teri del DSM-IV (APA 1994). Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un que-
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stionario del sonno composto da 45 item con una valutazione da 1 (mai) a 5 La fase A corrisponde, quindi, ad un risveglio parziale ed incompleto, mentre
(sempre), che consente di valutare le differenze individuali e i disturbi del son- la fase B, ad una disattivazione del ciclo CAP, che rappresenta il riemergere del
no nelle varie aree (disturbi nell’iniziare e mantenere il sonno, difficoltà nella tracciato di fondo del sonno NREM.
transizione sonno-veglia, risvegli notturni, movimenti nel sonno, eccessiva È possibile, quindi, individuare nel sonno NREM, tre differenti livelli di vi-
sonnolenza durante la giornata). gilanza: uno stato di attivazione, uno di disattivazione, ed uno stabile (non
Inoltre, i pazienti con ASD sono stai sottoposti ad una registrazione polison- CAP). Il non CAP è una condizione tonica del sonno NREM che esprime sta-
nografica (PSG) presso un laboratorio del sonno, dopo una prima notte di bilità e profondità del sonno.
adattamento. I parametri del CAP misurati sono stati:
In tutti i soggetti, gli stadi del sonno sono stati scorati secondo i criteri di CAP rate (percentuale totale di sonno NREM occupata da sequenze CAP);
Rechtschaffen and Kales (Rechtschaffen e Kales 1968): Indice A1 (numbero di fasi A1, per ora, di sonno NREM,);
I parametri presi in considerazione, per la macrostruttura del sonno, sono sta- Indice A2 (numbero di fasi A2 per ora, di sonno NREM,);
ti i seguenti: Indice A3 (numbero di fasi A3 per ora, di sonno NREM,);
TIB: tempo a letto Durata di fasi B;
SPT: tempo di sonno, dall’addormentamento al risveglio finale, in minuti; Numero e durata delle sequenze CAP.
TST: tempo totale di sonno;
SL: latenza del sonno, dall’inizio della registrazione all’addormentamento, in
minuti; 2. Risultati
RL: latenza REM, dall’addormentamento all’inizio del primo episodio REM, Dai risultati del questionario emerge un’elevata presenza di disturbi del sonno
in minuti; nei bambini con ASD, in particolare:
SS/h: numero di cambiamenti di stadio dopo l’addormentamento, per ora; Durata del sonno e latenza del sonno: I pazienti con ASD mostrano una dura-
AWN/h: numero di risvegli, dopo l’addormentamento, per ora; ta del sonno inferiore alle otto ore nel 22.58% dei casi vs. il 9.63% del grup-
SE%: efficienza del sonno la percentuale tra il tempo totale di sonno e il tem- po di controllo.
po a letto (TST/TIB*100); Problemi a letto: I pazienti con ASD mostrano un’elevata prevalenza di pro-
WASO%: veglia dopo l’addormentamento, in minuti e in percentuale di SPT; blemi a letto, caratterizzate dalla difficoltà nell’addormentarsi (25.81% vs.
S1%, S2%, SWS%, REM%: stadi del sonno 1, 2 e REM dopo l’addormen- 8.86%), inoltre il19.35% dei pazienti con ASD necessita di farmaci;
tamento, in minuti e in percentuale di SPT; Disturbi nella transizione dal sonno alla veglia.
Relativamente alla microstruttura del sonno è stato studiato il CAP (Terzano Risvegli notturni: I pazienti con ASD mostrano frequenti risvegli
et al. 2001). Parasonnie.
II CAP è un’attività EEG del sonno non REM, caratterizzata dalla ripetizione Sintomi mattutini e stanchezza durante il giorno: sonnolenza diurna nel
spontanea di eventi attivatori (A) ed eventi inibitori (B), che coinvolgono con- 12.90% dei bambini con ASD (vs. 4.48% dei controlli).
temporaneamente la profondità del sonno. La fase A del sonno ha una durata I risultati della polisonnografia evidenziano delle differenze significative tra i
media di 10-15 secondi e costituisce il 35% del ciclo CAP; in base alle caratteri- bambini con ASD e il gruppo di controllo.
stiche morfologiche, le fasi A si suddividono in tre diversi sottotipi (A1, A2 e A3). I pazienti con ASD mostrano una riduzione del tempo trascorso a letto, asso-
Il sottotipo A1 è caratterizzato da una sincronizzazione del tracciato EEG; ciato ad una riduzione del tempo totale di sonno e durata di sonno; inoltre si
Il sottotipo A2 è caratterizzato da una desincronizzazione del tracciato EEG, rileva una diminuzione della latenza REM in questi pazienti, se confrontato
con onde lente, accompagnate da un moderato aumento del tono muscolare; con i controlli.
Il sottotipo A3 è caratterizzato da una desincronizzazione del tracciato EEG, Relativamente al CAP, si evidenzia una riduzione del CAP rate, una bassa per-
accompagnata da un notevole aumento del tono muscolare. centuale di A1, con un’elevata percentuale di A2 e A3, rispetto ai controlli.
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3. Discussione
Questo studio rappresenta un importante contributo nell’ambito della neu-
rofisiologia clinica dell’autismo, fornendo dati originali sul pattern del CAP
in questa importante condizione neurocomportamentale dell’infanzia e con-
sentendo anche la differenziazione con quanto rilevato in altre patologie del
sistema nervoso centrale. In sintesi, il risultato più rilevante del nostro studio
è costituito dal riscontro di una significativa riduzione del numero totale di
CAP ed una riduzione del CAP rate nei soggetti con disturbo autistico ri-
spetto ai controlli normali. In conclusione, i risultati di questo studio confer-
mano che il sonno nell’autismo è alterato non solo nella macrostruttura, ma
anche nella microstruttura. Tuttavia, ulteriori studi sono necessari per stabili-
re in maniera precisa le correlazioni esistenti tra il CAP, disturbo autistico e
modificazioni indotte dallo sviluppo.

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Finito di stampare nel mese di aprile 2008 per Squilibri

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