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COLLANA EBOOKECM
EBOOK PER L’EDUCAZIONE CONTINUA IN MEDICINA © 2022
SOMMARIO

CAPITOLO 1
RIFLESSIONI SULLA MEDICINA NARRATIVA 5
La parola come elemento della cura 6
Curare una malattia o curare una persona 8
Il “mondo” del paziente e la sua voce 10

CAPITOLO 2
PROFESSIONISTI E PAZIENTI: DUE MONDI INCOMUNICABILI? 13
Quando la medicina era “semplice” 14
Medicina e complessità 15
Invarianza e cambiamento 18
Il linguaggio nella cura 21
Incontro o scontro fra due mondi? 24
Comunicazione e narrazione in medicina 26

CAPITOLO 3
QUANDO DUE NARRAZIONI SI INCONTRANO:
ATTRIBUZIONI, PREGIUDIZI, FILTRI 30
Ipotesi, giudizi, pregiudizi 30
Pregiudizi, emozioni, giusta distanza 33
I rischi di una relazione non-solo-professionale 36
Come va la salute? Le narrazioni quotidiane su salute e malattia 40
Le parole del paziente e la “verità” di una lastra 42
Quando il “prima” condiziona il “dopo” 45

CAPITOLO 4
L’ASCOLTO ATTIVO, OVVERO: DALLE SEQUENZE
MONOLOGICHE AL COLLOQUIO DIALOGICO 47
Tempi, ritmi, direzioni 48
Rassicurare o mettere a tacere? 52
Individuare gli ostacoli 54
Capire, far capire, convincere 58
Un ostacolo immaginario: il tempo 61
Ascoltare di più, vedere di più 63
Da “sentire” ad “ascoltare”: il contatto con il mondo dell’altro e l’empatia 67
CAPITOLO 5
NARRARE, DESCRIVERE INTERPRETARE:
L’IMPOSSIBILE RICERCA DELLA VERITÀ 69
Il potere di descrivere, il potere di interpretare 70
Quando il paziente “non ha niente di niente” 73
L’ascolto narrativo: come dare senso a ciò che il paziente racconta 76
Sintomi “normali” e sintomi preoccupanti 80

CAPITOLO 6
DALL’INFORMAZIONE ALLA CONDIVISIONE
DEI PERCORSI DI CURA 86
La relazione di cura e la cooperazione possibile 87
Dal capire al mettere in pratica: quando il paziente non vuole fare 93
Quando il paziente “non può” 96
Comunicazione persuasiva e arti marziali 100

CAPITOLO 7
PROPOSTE DEL MEDICO, RISPOSTE DEL PAZIENTE: DALLA
CONTRAPPOSIZIONE ALLA RICERCA DI STRADE COMUNI 104
Avere e non avere (una malattia) 105
Il medico “paziente” e l’intervento educativo 111
Negoziazione e uscita creativa dai conflitti 114

CAPITOLO 8
QUANDO LA MALATTIA ENTRA NELLA STORIA DEL PAZIENTE 117
Fra temere e voler sapere 117
Quando l’ascolto si interrompe 121
Parlare al paziente della sua malattia: quando, come, quanto 122
Alla ricerca della giusta dose di verità 125
La malattia e l’immagine del futuro 127
Di quale futuro si parla? 129

CAPITOLO 9
L’INTERVENTO SISTEMICO NARRATIVO
COME METODO E COME RISORSA 134
La narrazione È cura 140
Cura e inquietudine 142
INDICE

CAPITOLO 1
RIFLESSIONI SULLA MEDICINA NARRATIVA

Nel giro di una decina d’anni la medicina narrativa è diventata un tema


alla moda, e come avviene in questi casi il termine ha assunto via via significati
molto diversi. Una definizione “giusta”, definitiva di ciò che significa usare la
narrazione in medicina non esiste.
Nel 2013 un Seminario organizzato dalla Queen Mary University di Lon-
dra, accolse una ventina tra i maggiori studiosi dell’argomento; non si trattava
di una “consensus conference” con lo scopo di darne una definizione condivi-
sa ma di un’occasione di confronto e di discussione. Risultò chiaro che esisteva
una notevole, ricca produzione di idee diverse, talora anche divergenti1.
Un tentativo di dare delle “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina
Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-dege-
nerative” fu fatto nel 2014 dall’Istituto Superiore di Sanità, coinvolgendo i
principali studiosi italiani2. Si concordò sulla seguente definizione:
“Con il termine di Medicina Narrativa (mutuato dall’inglese Narrative
Medicine) si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale che
considera la narrazione come uno strumento fondamentale di acquisizione
e comprensione della pluralità di prospettive che intervengono nell’evento-
malattia, finalizzata a un’adeguata rilevazione della storia della malattia
che, mediante la costruzione condivisa di una possibile trama alternativa,
consenta la definizione e la realizzazione di un percorso di cura efficace,
appropriato e condiviso”.

1
The development of narrative practices in medicine, 2015, Queen Mary, University of London
2
http://www.iss.it/binary/cnmr4/cont/Quaderno_n._7_02.pdf

5
INDICE

NARRAZIONE E CURA
RIFLESSIONI SULLA MEDICINA NARRATIVA

In questo libro ci riferiamo al significato un po’ più ampio che diamo oggi
a questo termine nell’ottica del counselling sistemico-narrativo utilizzato dall’I-
stituto Change (www.istitutochange.it)3.
La medicina narrativa come noi la intendiamo, è contemporaneamente un
atteggiamento mentale, un metodo, una proposta relazionale: non è quindi
né una materia di studio né una disciplina che mescola elementi tratti da teo-
rie psicologiche, sociologiche, antropologiche, narratologiche, filosofiche ecc.
senza che ne risulti chiara l’utilità nella pratica quotidiana della cura, e senza
che sia evidente in quale modo quegli aspetti teorici possono essere applicati
nell’intervento del professionista sanitario.
Le competenze comunicative e narrative e, più ampiamente, le cosiddette
medical humanities sono praticamente assenti dalla formazione dei professioni-
sti sanitari in Italia, ma questo non significa che non ne venga avvertita la man-
canza: la loro fondamentale importanza nella relazione con il malato emerge
da domande e da riflessioni che tutti i professionisti pongono innanzi tutto a
se stessi nel percorso di cura e che circolano nei momenti di confronto e di
aggiornamento, sempre più spesso dedicati agli aspetti relazionali e narrativi
della medicina.
È attraverso la riflessione, e di conseguenza attraverso lo studio, la ricerca,
il confronto, le domande, i dubbi, che si costruisce un atteggiamento mentale.

LA PAROLA COME ELEMENTO DELLA CURA

In un articolo pubblicato nel 2007 sulla rivista La Parola e la Cura uno dei
pionieri della Medicina narrativa, Trisha Greenhalgh, scrive:
“Nella rivista della Royal Opera House di Londra, un otorinolaringoiatra
racconta una storia personale. Nel 1985 lui e sua moglie erano andati al
Covent Garden ad ascoltare l’allora giovane tenore Placido Domingo. Verso
la fine del primo atto. Domingo fu colto da una improvviso abbassamento
di voce ed abbandonò la scena. Venne diffuso un annuncio dall’altoparlan-
te: “C’è un medico in sala?”.

Il chirurgo esitò. Non aveva con sé né lo specchietto né altri strumenti dia-

3
G. Bert, Medicina narrativa, 2007, “Il Pensiero Scientifico”, Roma.

6
INDICE

NARRAZIONE E CURA
RIFLESSIONI SULLA MEDICINA NARRATIVA

gnostici; inoltre, benché fosse uno specialista della gola, le corde vocali non
erano il suo ambito di competenza specifico: se ne occupava infatti prevalen-
temente un collega. Per di più l’illuminazione non era adatta a permettergli
una diagnosi competente. Decise perciò di non offrire il suo aiuto.

Mezz’ora dopo lo specialista ebbe occasione di incontrare il medico che ave-


va trattato Domingo, un medico di medicina generale, e gli chiese che cosa
fosse successo. “Oh, una cosa da nulla. Mi è sembrato che fosse piuttosto
teso così gli ho dato un bicchiere di scotch e l’ho rassicurato dicendo che era
uno dei migliori tenori del mondo”.
Domingo tornò in scena per il secondo atto e la sua interpretazione fu
perfetta.
La storia mette in evidenza diversi aspetti della struttura narrativa. C’è un
inizio; c’è uno svolgimento: una serie di eventi durante i quali si presenta qual-
che “problema”; c’è una fine. C’è una dimensione morale: lo specialista avreb-
be dovuto offrire la propria assistenza professionale allo sfortunato cantante?
C’è dell’ambiguità: quanto contano realmente la mancanza di strumenti o la
scarsa competenza dello specialista in tema di corde vocali? Ci sono dei tropi
letterari come l’ironia: mentre l’otorinolaringoiatra non si fida della sua pro-
pria competenza nel trattare una patologia della gola, il medico di medicina
generale propone un trattamento non evidence based (whisky e rassicurazione)
che si rivela terapeutico all’istante!
L’aspetto umoristico della storia consiste nel mostrare quanto possa essere
ingannevole l’ipotesi che diagnosi e trattamento siano sempre interamente ra-
zionali, e come il narratore – un appassionato dell’opera – si sia persa l’occa-
sione di “curare” un celebre cantante.
La storia mette inoltre in evidenza un altro e più sottile aspetto. Si tratta
infatti di una narrazione su di una narrazione, nel senso che la chiave del
successo del medico di medicina generale nel trattare il celebre “paziente” sta
nella sua capacità di entrare nel mondo del cantante e di giudicare i sintomi a
partire da esso. Come ogni medico di medicina generale sa, la maggior parte
dei malesseri che riferisce il paziente non necessitano del “miglior trattamento
possibile” prescritto da un “grande medico” in un centro di eccellenza, ma

7
INDICE

NARRAZIONE E CURA
RIFLESSIONI SULLA MEDICINA NARRATIVA

di un “trattamento buono abbastanza” offerto nel contesto di una relazione


terapeutica di fiducia”4.
Appare evidente che il sintomo, e a maggior ragione la malattia, non si limi-
tano per il paziente al fenomeno biologico descritto dalla diagnosi clinica, ma
costituiscono un problema infinitamente più complesso, che coinvolge aspetti
cognitivi, emotivi, relazionali, progettuali. Può perfino capitare, come nel caso
della disfonia del tenore, che al sintomo non corrisponda alcun evidente feno-
meno biologico.
Se identifichiamo la malattia con l’obiettività clinica, come lo specialista
fa, la malattia in quanto processo biologico sta dentro di lui e ne fa appunto un
malato; la malattia intesa come problema complesso sta invece anche fuori di lui
e coinvolge a macchia d’olio tutto il suo mondo, tutta la sua realtà.
È importante che il paziente venga aiutato a situare e a mantenere la malat-
tia al di fuori di lui, e non sia invece spinto a diventare tutt’uno con il processo
patologico che è dentro di lui: è quella che è stata definita “esternalizzazione
del problema”.

CURARE UNA MALATTIA O CURARE UNA PERSONA

Scrivono White e Epstein:


“La “esternalizzazione” è un approccio alla terapia che incoraggia le per-
sone a oggettivare e a personificare i problemi che sperimentano come op-
pressivi. In questo processo il problema diviene una entità separata e quindi
esterna alla persona o alle relazioni a cui il problema viene attribuito. Que-
sti problemi, che sono considerati inerenti alle persone e alle relazioni come
se fossero caratteristiche fisse, diventano così meno rigidi e meno restrittivi.
Aiutando (il paziente e i familiari) a separare se stessi e le proprie relazioni
dal problema, l’esternalizzazione apre ad essi la possibilità di descriversi
l’un l’altro e di descrivere la loro relazione da una nuova prospettiva non
saturata dal problema stesso (…) Il problema non è il malato: il problema
è il problema”.5

4
T. Greenhalgh, Medicina narrativa: uso e abuso del termine, “La Parola e la Cura”, primavera 2007
5
H. White, D. Epstein, Narrative means to therapeutic ends, 1990 WW Norton & Company, New York

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INDICE

NARRAZIONE E CURA
RIFLESSIONI SULLA MEDICINA NARRATIVA

In altre parole, la malattia nella sua complessità può essere affrontata del
tutto o in parte dal malato stesso insieme al medico, agli altri professionisti
coinvolti nella cura e ai familiari, alleati tutti quanti nella ricerca di soluzioni
possibili.
La narrazione è lo strumento che permette di esternalizzare la malattia, scrive un
pioniere degli studi sociologici applicati alla medicina, Arthur Frank:
“Spero di riuscire a spostare la concezione culturale dominante della malat-
tia dalla passività – la persona malata come “vittima della” malattia – alla
attività. La persona malata che trasforma la malattia in storia trasforma il
fato in esperienza; la malattia che pone il corpo in una posizione distante
dagli altri diviene, attraverso la storia, il comune legame del soffrire che
riunisce i corpi nella loro condivisa vulnerabilità”6.
La cura ha due aspetti: il primo, quello più noto al medico, è l’aspetto os-
servazionale, descrittivo, che vede il paziente come oggetto di studio e definisce
il percorso diagnostico e terapeutico. Nel caso di Domingo, l’oggetto dell’os-
servazione erano le corde vocali del tenore e la possibile lesione o disfunzione
di esse; l’osservazione, la descrizione erano rese però quasi impossibili dalla
mancanza di strumenti idonei e di setting adeguato. Risultato: non si può far
niente.
Il secondo aspetto è l’aspetto narrativo, il cui oggetto sono le relazioni: del
paziente con se stesso, con il contesto, con i sintomi, con la malattia, con il
medico, con gli altri curanti, con la famiglia…; e le relazioni del medico con
se medesimo, con il suo ruolo professionale, con le sue caratteristiche umane,
con quella determinata persona in quel determinato momento, con altri ope-
ratori. Nel caso in questione, ad esempio, la relazione non risolta tra lo specia-
lista e il suo proprio ruolo ha impedito un sia pur fugace rapporto di fiducia
con il paziente: quello che ha invece instaurato empaticamente (“Mi è sembrato
che fosse piuttosto teso”) il medico di medicina generale.

Ogni intervento di cura ci pone davanti a una rete di relazioni e di emozio-


ni, cioè a un sistema complesso, che come tale non può essere compiutamente
descritto ma solo narrato; i sistemi viventi infatti non sono “cose”, strutture
stabili ma una interazione continua tra elementi tra loro diversi ma legati dalla

6
A.W. Frank, The wounded storyteller, 1995 The University of Chicago Press

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NARRAZIONE E CURA
RIFLESSIONI SULLA MEDICINA NARRATIVA

relazione che hanno costruito. Sarebbe ad esempio riduttivo e ingenuo cercare


di descrivere obiettivamente una relazione intensa come l’amore in termini
di frequenza cardiaca o respiratoria o di disturbi del comportamento; l’amore
però si può narrare eccome, in modo emozionante e coinvolgente, con una po-
esia, un racconto, un’opera teatrale, un film, una canzone. Analogamente non
basta dare un ruolo e un nome ai componenti di un sistema familiare per far
capire come esso è e come funziona: il sistema esiste infatti solo come interazio-
ne costante tra i diversi elementi, e le interazioni non possono essere descritte
da un osservatore neutrale e distaccato, ma si mostrano nella narrazione.

IL “MONDO” DEL PAZIENTE E LA SUA VOCE

Sia il paziente che chi lo cura devono inoltre fare i conti con gli aspetti
emotivi, che ogni relazione importante comporta.
Il professionista può difendersene accentuando al massimo gli elementi de-
scrittivi osservazionali: aumentando cioè la distanza rispetto al paziente, cosa
che, trasformando il paziente in oggetto di studio, rende però difficile quando
non impossibile la relazione di cura: tra un soggetto e un oggetto non c’è scam-
bio, non c’è reciprocità.
L’espressione delle emozioni non è descrittiva (non basta dare ad esse un
nome per conferire senso) ma narrativa: ad esempio mediante metafore o
espressioni “poetiche” e non verbali.
Negando l’espressione delle emozioni si nega di fatto la relazione.
La narrazione coinvolge anche il professionista, che diventa un personaggio
della storia, non un narratore onnisciente: anziché neutrale distacco, “scientifi-
ca” distanza, si ha partecipazione.
Se narrazione è partecipazione, se la relazione di cura, come ogni relazione,
non è semplicemente descrittiva ma è uno scambio di narrazioni, si aprono
nuovi scenari.
Nel suo libro postumo Intoxicated by my illness, il critico letterario Anatole
Broyard nel raccontare il percorso fatale della sua malattia, fa un’osservazione
illuminante:
“Mentre lui si sente inevitabilmente superiore a me, perché lui è il medico e
io il paziente, mi piacerebbe che lui sapesse che io a mia volta mi sento superio-
re a lui, che anche lui è il mio paziente e anche io ho una mia diagnosi per lui.

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NARRAZIONE E CURA
RIFLESSIONI SULLA MEDICINA NARRATIVA

Dovrebbe esserci uno spazio in cui le nostre rispettive superiorità si incontrano


e si divertono insieme.”7
Già: quando si parla di medicina narrativa si pensa in genere alla raccolta
di storie di pazienti utilizzate come una mappa perché il medico possa meglio
esplorare l’ignoto “mondo del malato”. Il medico naturalmente è l’esploratore,
lo studioso, l’osservatore, il “cartografo” che di quel mondo definisce una sia
pur incompleta e provvisoria geografia.
In effetti nei trattati e nei testi di medicina su cui si formano gli studenti
ben di rado i malati sono “storie”: di solito sono “casi”, proprio come quelli
che un tempo i professori portavano in aula, tutti puliti e ben vestiti, come
oggetto della lezione. Talora rispondevano a domande precise (preordinate,
ben s’intende), più spesso stavano zitti.
“Casi”, non “storie”; men che meno “voci”.
E ancora oggi, quando la medicina narrativa è di moda, le storie dei pa-
zienti, di solito con un sapiente editing del medico, sono spesso storie di “casi”
con eventuale ampliamento all’ambiente, alla famiglia, al contesto sociale… Si
accetta insomma che alla “voce della medicina” si associ la “voce della vita”,
soprattutto se è interessante; e tocca al malato il compito di rendersi “interes-
sante”, degno di storytelling.
Quando critici letterari, medici, giornalisti, celebrità narrano le loro malat-
tie i lettori si commuovono, si coinvolgono, si sentono tanto empatici… Le voci
dei signori “Nessuno” (quasi tutti, cioè) vengono definite invece “lamentele”,
“giudizi ingenerosi”, “aggressività”, e non interessano; al più disturbano.
Osserva ancora Arthur Frank: “Mi colpiva che la sociologia medica non
avesse categorie sulla reale esperienza di essere malato. C’erano studi sull’e-
pidemiologia, sulla professionalizzazione della medicina, sull’organizzazione
degli ospedali, ma quello che secondo me era il nucleo di tutto, cosa è essere
malati, non era nell’agenda accademica”.8
Quanto alla storia del medico, si ha un bel parlare di “scambio di narrazio-
ni”, essa nella relazione col paziente proprio non esiste. Il medico coincide col
suo ruolo clinico, proprio come il malato coincideva (e spesso tuttora coincide)
con la sua malattia.

7
A. Broyard, Intoxicated by my illness, 1992 Fawcctt Columbine, New York.
8
A.W Frank (ibidem).

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INDICE

NARRAZIONE E CURA
RIFLESSIONI SULLA MEDICINA NARRATIVA

Solo che, come osserva Broyard, per il malato anche il medico è un “caso”
da diagnosticare; e resta comunque oscuro cosa è essere medico. La narrazione
è dimezzata.
Il confronto, la ricerca di uno “spazio condiviso” in cui possa nascere un
“narrare insieme” diventa così impossibile: da una parte c’è la voce flebile del
singolo malato, dall’altra quella batteria di cannoni che è “la voce della scien-
za” dietro alla quale il medico si cela.

Alcuni degli esempi di questo libro sono frutto di una esperienza formativa
condotta con un gruppo di medici di medicina generale. A loro è stato chiesto
di scrivere la storia di un paziente, così come la ricordavano, e di chiedere al
paziente di scrivere a sua volta la storia della sua malattia.
Il confronto fra queste due narrazioni è servito da spunto per una riflessio-
ne più generale su storie, narrazioni, emozioni, e sulla possibilità che il metodo
narrativo nella conduzione dei colloqui in ambito sanitario possa diventare
davvero uno strumento di cura.
Altri esempi sono tratti da incontri di formazione in tema di comunica-
zione e narrazione svolti dagli autori in reparti ospedalieri o con gruppi di
professionisti sanitari.
Ci riferiremo spesso al professionista indicandolo come “medico”, ma il
nostro obiettivo è di delineare una modalità di uso del colloquio narrativo
utilizzabile da tutti i professionisti della cura.

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INDICE

CAPITOLO 2
PROFESSIONISTI E PAZIENTI: DUE MONDI
INCOMUNICABILI?

L’espressione “il mondo del paziente” ha sostituito opportunamente il ter-


mine di derivazione anglosassone “agenda del paziente”, poco chiaro e poco
accattivante. Si parla di “mondo del paziente” per significare tutto ciò che fa
parte della sua soggettività, della sua storia, della sua cultura, e che nel momen-
to in cui incontra un professionista sanitario è profondamente attraversato e
perturbato dalla malattia, reale o anche solo sospettata.
In genere si parla di “mondo del paziente” per indicare la modalità con
la quale una persona vive la sua malattia e il tipo di bisogni di cui è portato-
re nel momento in cui incontra l’operatore sanitario. Nella interpretazione
sistemico-narrativa su cui si basa questo libro vengono messi in evidenza gli
effetti sistemici che un sintomo, una malattia, una disabilità producono nei
sistemi di riferimento del paziente (famiglia, lavoro ecc.). Anche la modalità
di narrazione del sintomo o della malattia non può essere vista semplicemente
come espressione del “vissuto” soggettivo del paziente, ma piuttosto come il
risultato di un insieme di narrazioni che si intrecciano all’interno di quei siste-
mi. Le comunicazioni che vengono dal “mondo” dei professionisti entrano in
quell’intreccio con risultati spesso imprevedibili.
Per questo l’uso di tecniche narrative richiede un costante allargamento del
campo di esplorazione dal paziente ai suoi sistemi di riferimento, di cui oggi
sono parte sempre più significativa anche i sistemi virtuali, la rete, i social ecc.

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INDICE

NARRAZIONE E CURA
PROFESSIONISTI E PAZIENTI: DUE MONDI INCOMUNICABILI?

QUANDO LA MEDICINA ERA “SEMPLICE”

C’è stato un tempo, non molti decenni fa, in cui la medicina era tutto
sommato una cosa abbastanza semplice. La diagnosi si basava principalmente
sull’esperienza del medico, sulla anamnesi
e sulla abilità manuale nelle manovre dell’esame obiettivo; i test di labora-
torio erano scarsi e per la maggior parte risalivano all’Ottocento; si presumeva
inoltre che ogni malattia avesse una causa specifica secondo il modello delle
malattie infettive, pur ammettendo che talora la causa fosse ancora ignota, e
che la comparsa e il decorso della malattia potessero venire influenzate da si-
tuazioni meno specifiche e spesso vaghe come il “terreno” o la “diatesi”.
Un buon medico era in grado di risolvere la maggior parte delle situazioni;
un clinico medico, con il supporto di qualche specialista, era in grado di far
fronte a tutte le rimanenti. Far fronte in termini di diagnosi, soprattutto, in
quanto gli strumenti terapeutici erano scarsi e spesso poco efficaci.
Il modello scientifico di base era comunque quello meccanicistico, new-
toniano o cartesiano: una lunga catena di cause e di effetti, ordinatamente
collegati. Ogni problema, per quanto grande, poteva quindi venire frammen-
tato in problemi minori che potevano a loro volta venire analizzati e risolti
razionalmente uno alla volta. Non esistevano insomma problemi insolubili ma
solo problemi di grandi dimensioni da scomporre nei singoli elementi. Ogni
elemento poteva venire analizzato a fondo da uno specifico specialista, e la
somma dei risultati di questi studi costituiva la soluzione del problema iniziale.

Un modello di questo tipo rendeva possibile fare previsioni accettabilmen-


te sicure in termini di prognosi, una volta che fossero noti gli elementi diagno-
stici di base.
Col tempo il concetto stesso di malattia è cambiato. In un’epoca pre tec-
nologica (diciamo fino agli anni ’50) era portatore di malattia il paziente che
avvertiva dei disturbi soggettivi e per quel motivo andava dal medico; oggi l’epi-
demiologia, la medicina preventiva, la diffusione delle tecnologia diagnostiche
hanno introdotto l’idea che si possa essere malati senza avvertire disturbi sog-
gettivi, o che si possa essere per così dire “futuri malati” se si appartiene a un
gruppo a rischio; in tal caso spesso non siamo noi ad andare dal medico, ma è
il medico, o più semplicemente un computer a convocarci per uno screening.

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NARRAZIONE E CURA
PROFESSIONISTI E PAZIENTI: DUE MONDI INCOMUNICABILI?

Sappiamo inoltre che per la maggior parte delle patologie non esistono
cause singole ben definite ma somme di fattori di rischio, spesso legati al con-
testo sociale e familiare o all’ambiente. Poiché la società e l’ambiente vengono
continuamente modificati, i fattori di rischio e le patologie cambiano con il
tempo e con gli stili di vita.
Malattie di questo tipo, definite multifattoriali, possono essere studiate e
talvolta trattate solo da équipes multispecialistiche, che comprendono non più
solo medici ma statistici, economisti, sociologi, psicologi, antropologi…
Diversamente da quanto prevedeva il modello meccanicistico di un tempo,
la somma dei risultati degli studi di questi diversi specialisti non coincide con
la soluzione dei problemi e con la comprensione piena della patologia: al con-
trario, essi aprono continuamente nuovi e imprevisti problemi che richiedono
nuovi studi e nuovi specialisti, all’infinito.
Il medico di un tempo, che sapeva tutto o quasi della anatomia, della fi-
siologia, della patologia del corpo umano ha perduto la sua funzione; al suo
posto troviamo un team di tecnici e di studiosi delle più diverse branche spe-
cialistiche; gli interventi di cura avvengono oggi all’interno di sistemi umani
complessi: l’organizzazione sanitaria, l’ospedale, le rete dei servizi socio sanita-
ri. Di questa complessità è indispensabile tenere conto nella medicina di oggi.

MEDICINA E COMPLESSITÀ

I sistemi complessi non possono venire indagati a partire dalle classiche


metafore meccanicistiche lineari, e cioè come catene sia pur molto lunghe e
ramificate di cause e di effetti. Un sistema può essere infatti definito come
un insieme di elementi liberi di agire in modo tale da non risultare prevedibile, ma
strettamente interconnessi, così che ogni azione da parte di uno di essi modifica il
sistema e di conseguenza le azioni di tutti gli altri.
La dinamica di strutture di questo tipo non è quindi ordinatamente lineare
ma circolare e multidirezionale, talora ai limiti del caos: essa risulta di conse-
guenza largamente imprevedibile. Esempi di sistemi complessi biologici sono
le colonie di termiti o di api o il sistema immunitario; in ambito umano sono
sistemi la famiglia, una équipe di lavoro, un reparto ospedaliero, una azienda.
I sistemi umani sono aperti verso l’esterno: ogni elemento del sistema rice-
ve input (messaggi) da altri individui o da altri sistemi, che producono modi-

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NARRAZIONE E CURA
PROFESSIONISTI E PAZIENTI: DUE MONDI INCOMUNICABILI?

ficazioni sia in quell’elemento che nell’intero sistema. Questo rende il sistema


costantemente perturbato nel suo equilibrio, ma al tempo stesso ne garantisce
la sopravvivenza: un sistema che non preveda scambi con l’esterno è in effetti
destinato ad estinguersi.
Se vogliamo utilizzare una metafora che esprima questo continuo fluttuare
e modificarsi proprio dei sistemi umani, possiamo parlare di una danza, ma
di una danza i cui ritmi, i cui passi e le cui figure possono ad ogni momento
variare in modo del tutto imprevedibile: è vero che un sistema per esistere deve
avere delle regole, ma queste regole possono in ogni momento cambiare per
cause interne o esterne; e in effetti le regole dei sistemi cambiano.
Il medico di oggi – così come ogni altro professionista sanitario – non
è immerso nella complessità più di quanto lo fosse il medico di cinquanta
anni fa: semplicemente oggi gli elementi in gioco sono molto più numerosi,
si muovono più rapidamente e, soprattutto, sono inseriti in un contesto ad
alta densità informativa. Per questo una maggiore competenza comunicativa
diventa indispensabile in ogni momento dell’intervento di cura

Restiamo, a titolo di esempio, nell’ambito di una comunicazione medico-


paziente (ma la stessa cosa vale per qualsiasi incontro fa un professionista sani-
tario e un paziente)
Se analizziamo gli elementi presenti in un incontro nel corso di una norma-
le visita ambulatoriale, possiamo individuare immediatamente
Gli attori: Il medico, il paziente
Lo scenario (o contesto): lo studio del medico
La richiesta: Il paziente va dal medico per...

Ecco il primo incontro con la complessità del mondo del paziente: la sua
comunicazione con il medico non si riduce infatti a quello che dice entrando
in ambulatorio, ma comprende elementi che non compaiono esplicitamente
ma sui quali si gioca il senso della sua comunicazione e della sua richiesta;
elementi che appartengono a quello che da ora in poi definiremo il mondo del
paziente.
Se ad esempio partiamo da una richiesta del tutto banale, espressa da una
frase del tipo
“Dottore, ho un terribile mal di gola da più di una settimana…”

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NARRAZIONE E CURA
PROFESSIONISTI E PAZIENTI: DUE MONDI INCOMUNICABILI?

e prendiamo in esame i sistemi significativi in cui il paziente è coinvolto, ci


troviamo di fronte a infinite varianti di significato della richiesta.
Se immaginiamo per esempio il paziente nella sua veste di dipendente di
una azienda, in conflitto con i superiori o in una situazione di mobbing, il
senso della richiesta potrebbe essere l’individuazione di un malanno sufficien-
temente grave da consentirgli qualche giorno di mutua.
Se lo immaginiamo come padre di un bambino di poche settimane, la sua
richiesta potrebbe essere collegata al timore che il suo malanno possa essere
pericoloso per il piccolo.
Se lo immaginiamo come l’atleta di punta di una squadra di calcio alla
vigilia di una partita decisiva, la richiesta potrebbe avere un significato ancora
diverso.
Per non dire poi se si tratta di un tenore alla vigilia di una prima alla Scala…
Tenere conto di questo significa – per cominciare – ammettere che di quel
paziente (e di ciò che ci chiede) non sappiamo quasi nulla; e che per costruire un
dialogo efficace con lui dovremo avere qualche elemento in più sul suo mondo:
qualche elemento che consenta di dare un senso condiviso alla sua richiesta.
La medicina narrativa, nella pratica dell’intervento quotidiano di ogni pro-
fessionista sanitario, è lo strumento per avviare questa esplorazione del mondo
del paziente in modo non casuale, e per mantenerla nell’ambito e negli obiet-
tivi dell’intervento di cura.

Uno dei cambiamenti fondamentali che l’acquisizione di competenze nar-


rative introduce nella comunicazione fra professionista sanitario e paziente è il
passaggio da una comunicazione di tipo esplicativo-affermativo a una comuni-
cazione di tipo interrogativo-esplorativo.
Le domande, come vedremo in tutto il percorso di questo testo, sono lo
strumento più ricco e più dinamico di cui possa disporre un professionista.
Per imparare ad utilizzarlo bene, bisogna partire da una posizione paradossale:
ammettere che di ogni paziente e del suo mondo non sappiamo quasi nulla,
ed essere al tempo stesso consapevoli che per quante domande facciamo non
riusciremo a conoscere veramente quel mondo. Solo questo paradosso mantie-
ne aperta la curiosità del professionista, e vivi i suoi dubbi. Dubbi e curiosità
consentono di muoversi con minor goffaggine e con minori danni all’interno
dei sistemi complessi di cui il paziente fa parte.

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INDICE

NARRAZIONE E CURA
PROFESSIONISTI E PAZIENTI: DUE MONDI INCOMUNICABILI?

INVARIANZA E CAMBIAMENTO

Un sistema, per quanto mobile e fluttuante, costruisce inevitabilmente


delle regole: non sono i singoli elementi del sistema a costruirle, ma la logica
stessa del sistema, che cerca nelle regole una stabilità e un equilibrio.
Potremmo dire che il bisogno di equilibrio del sistema, e il bisogno di ogni
persona che ne fa parte di adeguarsi al suo funzionamento per non esserne
espulso, creano una tendenza all’invarianza: in altre parole, scambi di messag-
gi, di comportamenti, di risposte ai messaggi e ai comportamenti (feed back) che
si ripetono per un certo numero di volte con risultati positivi, o non negativi,
si organizzano rapidamente in regole, che hanno la funzione di limitare i cam-
biamenti e mantenere lo status quo del sistema. Le possibilità di un singolo
elemento di un sistema di modificare le regole siano scarsissime, e non esenti
da rischi.
Se è vero che ogni paziente appartiene ad un sistema principale, la sua fami-
glia, e ad altri sistemi per lui significativi (la sua famiglia di origine, il gruppo
in cui lavora, i gruppi sociali in cui è inserito ecc.), le regole alle quali è legato
ci appaiono come una ragnatela fitta e difficilmente modificabile.
Se il medico decide di ignorare tutto questo, e si muove come se esistesse
un’unica realtà semplice, costituita da lui stesso e dal suo paziente, in cui tutto
è possibile pur di volerlo, rischia di dare indicazioni, prescrizioni e orientamen-
ti di cura irrealizzabili o troppo onerosi, in termini emotivi e relazionali, per il
paziente o per la sua famiglia.
Tipici, in questo senso, sono gli interventi del tipo “basterebbe che…”,
quelli che Watzlawick9 definisce semplificazioni terribili.

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Watzlawik P, Weakland JH, Fish R: Change, Astrolabio, Roma 1990

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