Sei sulla pagina 1di 49

Corso Maestro Nazionale

Tesi

LA MOTIVAZIONE NEL TENNIS

Maestro Nazionale
! Fabio Tonello

Tutor
Antonio Daino

Anno Accademico 2017-18

1
ABSTRACT

Nel mio elaborato ho analizzato l’importanza della motivazione per


raggiungere obiettivi prefissati del tennista, parlando inizialmente della
psicologia nello sport, soffermandomi sulle tecniche di mental training e
sull'importanza della figura del preparatore mentale.
Successivamente ho parlato della motivazione, del modello SMART per
la creazione di obiettivi e dell’esperienza ottimale per il raggiungimento di
uno stato psicologico tale da focalizzare l’obiettivo, trovare motivazione
intrinseca, positività e gratificazione nello svolgimento di un particolare
compito.
Mi sono soffermato sull’importanza della resilienza: capacità di
fronteggiare in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi che si
incontreranno sul cammino.
Infine ho inserito l’analisi del test “motivazione” consegnato ad un gruppo
di allievi e ai corrispettivi maestri.

2
RINGRAZIAMENTI

In queste poche righe vorrei ringraziare tutte le persone che mi hanno


sostenuto rendendo possibile la stesura di questo mio elaborato, in
particolare il mio tutor Antonio Daino.
Un ringraziamento agli allievi e ai loro maestri che si sono resi disponibili
alla compilazione del test.
In ultimo, ma non per importanza, desidero ringraziare tutti i docenti
dell’Istituto Superiore di Formazione Roberto Lombardi della Federazione
Italiana Tennis.

3
INDICE

Capitolo 1. INTRODUZIONE
1.1: Psicologia e sport
1.2: Preparazione mentale
1.2.1: Le tecniche di Mental Training nello sport
1.3: Psicologo sportivo: preparatore mentale

Capitolo 2. LA MOTIVAZIONE
2.1: Definizione
2.2: Vari tipi di motivazione
2.2.1: Approccio del maestro
2.3: Goal setting: scegliere i propri obiettivi
2.4: La relazione allievo/insegnante
2.5: Soddisfazioni e rinunce nel tennis
2.6: Radici del Flow
2.6.1: Esperienza ottimale
2.6.2: Il flow in nove punti
2.7: Resilienza
2.7.1: L’importanza della resilienza del tennista
2.7.2: Resilienza del tennista: esempi

Capitolo 3. RICERCA SPERIMENTALE: METODI


3.1: Metodologia
3.2: Strumenti
3.3: Analisi dei dati
3.4: Analisi dei dati “Test motivazione”
3.5: ConclusionI “Test motivazione”

4
PSICOLOGIA E SPORT

La psicologia deve diventare uno degli elementi costitutivi


dell’allenamento sportivo; ogni atleta si dovrà allenare a riconoscere
sempre meglio la propria attività mentale e ad utilizzarla nei modi
desiderati. Si tratta quindi, di formulare un programma articolato di
allenamento psicologico da affiancare al tradizionale allenamento.
Da sempre gli allenatori si servono del proprio carisma e del proprio ruolo
di leader per influenzare il modo di essere e di pensare dei propri atleti.
Talvolta hanno anche insegnato diverse tecniche di rilassamento, senza
però riuscire sempre a restituire la calma o a far concentrare meglio i
propri atleti. L’uso approssimativo della psicologia fa male o, nel migliore
dei casi, non serve a nulla. Ogni allenatore sa bene che non si sviluppa la
forza facendo sollevare bilancieri sempre più pesanti, così come non si
incrementa la velocità facendo correre sempre più veloce. Allo stesso

5
modo non s’insegna a concentrarsi dicendo “concentrati!!” così come non
si vince la paura dicendo “stai calmo!!”.
C’è un mito da sfatare: la psicologia dello sport non deve essere
considerata come una forma di terapia. A volte atleti e allenatori rifiutano
la psicologia perché dicono: “noi non abbiamo problemi”.
La psicologia dell’età evolutiva, la psicologia del lavoro, la psicologia
interpersonale non sono terapie, studiano l’individuo in differenti momenti
della sua vita, in diverse situazioni, fornendo, oltre che una conoscenza
teorica della persona, dei modi per svilupparne le potenzialità. La
psicologia dello sport svolge la stessa funzione: studia l’uomo nelle varie
situazioni sportive ed elabora delle tecniche che permettono di
ottimizzare:
1) Lo sviluppo e la crescita personale dell’atleta.
2) La prestazione dell’atleta.
Naturalmente esiste una stretta relazione fra queste due aree. Al giorno
d’oggi, lo stress che gli atleti devono affrontare è spesso molto intenso e
gli atleti che forniscono buone prestazioni sono quelli che hanno “la testa
sulle spalle”, cioè sono psicologicamente maturi, hanno personalità stabili
e complesse, si adattano alle differenti situazioni, sono sicuri e
perseguono razionalmente i propri pensieri.

PREPARAZIONE MENTALE

Nello sport agonistico l'ottimizzazione della preparazione tecnica e fisica


ha raggiunto livelli tali da far sì che sempre più frequentemente l'elemento
mentale rappresenti quella marcia in più che permette a un atleta di avere
la meglio sull'avversario. La fiducia in sé e l'approccio positivo alla
competizione rappresentano sicuramente due aspetti che contribuiscono

6
in modo determinante alla buona riuscita della prestazione. In termini di
ricadute operative diventa quindi importante che ogni atleta, con l'aiuto
dello staff, stimi il suo senso di auto efficacia e di certezza nelle proprie
capacità con la consapevolezza che tali elementi possono essere
migliorati grazie a una serie di accorgimenti, esercizi e programmi di
lavoro che implicano un'analisi accurata del vissuto relativo alle
performance passate e future. Per poter sviluppare un pensiero positivo
l'atleta deve riformulare le affermazioni negative focalizzandosi
esclusivamente su ciò che è necessario fare per ottenere una buona
prestazione, attraverso la programmazione di un percorso che trasformi
le barriere in sfide (es. prestazione sognata, prestazione possibile, e goal
setting per raggiungerla). La stima di efficacia dell'atleta determina la
modalità di approccio al compito e tale valutazione è influenzata da
quanto l'atleta crede in sé. Ruoli dello psicologo e dell'allenatore sono
anche quelli di elevare questa stima in modo tale che il giocatore affronti
con fiducia la prestazione (Bandura, Teoria dell’auto-efficacia). In questi
termini ottimizzare una prestazione significa quindi incrementare il livello
di auto-efficacia grazie all'utilizzo di strategie mirate al rafforzamento del
senso di realizzazione (analisi dei risultati ottenuti). L'intervento
psicologico tende allo sviluppo e alla valorizzazione delle potenzialità dei
singoli e della squadra in modo da raggiungere lo stato psicofisico ideale
prima di un appuntamento importante.
Al di là degli aspetti tecnici, la filosofia di fondo che dovrebbe ispirare
l'intervento dello psicologo dello sport, ed anche dell'allenatore, considera
l'atleta come persona indipendente capace di stabilire relazioni
significative, effettuare un'analisi autonoma della prestazione e far fronte
alle difficoltà anche attraverso soluzioni creative.
Le strategie di preparazione mentale, per essere efficaci, vanno
concordate con l'atleta e con l'allenatore, quindi applicate regolarmente in

7
allenamento ed in gara. Debbono anche essere adattate e perfezionate al
procedere degli apprendimenti ed in funzione dei cambiamenti individuali.
Un programma di preparazione mentale deve prendere in considerazione
le caratteristiche della disciplina sportiva, i bisogni dell'atleta e le
procedure individuali di preparazione per l'allenamento e per la gara.
Il programma va integrato coerentemente nell'allenamento tecnico
attraverso una gamma di esercitazioni finalizzate al miglioramento delle
abilità mentali. Gli psicologi dello sport, negli ultimi decenni, hanno
sviluppato un gran numero di strategie di intervento finalizzate ad aiutare
l'atleta a migliorare la sua prestazione e ad affrontare lo stress della gara.
L'elevata quantità di studi e risultati empirici in questo settore ha dato
impulso all'applicazione di procedure di preparazione mentale
individualizzate, per rispondere alle esigenze dell'atleta anche in
relazione alle caratteristiche specifiche della disciplina sportiva praticata.
Le modalità di intervento psicologico più frequentemente utilizzate
comprendono la formulazione degli obiettivi, la pratica mentale, la
gestione delle emozioni, la modulazione del livello psicofisico di
attivazione, il controllo dell'attenzione e dei pensieri. Lo studio della
disciplina sportiva va fatto prendendo in esame le principali richieste
fisiche, tecniche, tattiche, organizzative e mentali. Informazioni
approfondite sull'atleta si possono ottenere attraverso il colloquio,
l'osservazione diretta, i test psicologici ed altre procedure idiografiche di
valutazione. L'analisi deve considerare comportamenti, pensieri ed
emozioni in allenamento e gara per identificare i punti di forza ed i lati
deboli, il livello di motivazione, le modalità di reazione alle difficoltà ed allo
stress degli allenamenti e delle gare, le abilità mentali sviluppate
spontaneamente ed utilizzate più di frequente, la qualità della relazione
con l'allenatore e gli altri atleti.

8
Le tecniche di mental training nello sport

L’allenamento mentale o Mental Training rappresenta un’opportunità in


più per tutti gli atleti che vogliono migliorare le loro prestazioni sportive.
In senso esteso, per allenamento mentale si può intendere un
atteggiamento di maggior attenzione rivolto ai processi psicologici
coinvolti nell’attività sportiva e, in particolare, la consapevolezza di come
essi influenzano la prestazione in senso positivo o negativo.
Attraverso l’allenamento mentale e l’utilizzo delle tecniche ad esso
collegate, l’atleta può accrescere la conoscenza di se stesso, divenire
maggiormente consapevole delle proprie risorse, migliorare il proprio
livello di autostima, comprendere come corpo e mente possano interagire
permettendo la realizzazione delle proprie potenzialità.
Le principali tecniche a cui tradizionalmente ci si riferisce nel Mental
Training sono:
la formulazione degli obiettivi (il goal setting), il controllo delle
immagini (imagery), il controllo dei pensieri (self-talk), il biofeedback
(modulazione dell’arousal), la gestione delle emozioni e il controllo
dell’attenzione.

Formulazione degli obiettivi (Goal Setting)


La formulazione degli obiettivi (goal setting), è uno dei punti chiave della
preparazione mentale in ambito sportivo. È stato dimostrato che
comprendere bene che cosa si vuole ottenere, in quanto tempo e con
quale strategia, incrementa la prestazione più che non avere obiettivi o
stabilire semplicemente l'obiettivo di dare il meglio di sé.
Se realizzato nella dovuta maniera, il Goal Setting consente di evitare
alcuni errori tipici, come, ad esempio, porsi degli obiettivi troppo ambiziosi
o troppo poco stimolanti.

9
L’atleta che si pone degli obiettivi realizzabili, ossia né troppo al di sopra
né troppo al di sotto delle proprie possibilità percepite, influisce sulla
prestazione guidando l’attenzione, mobilizzando l’impegno, aumentando
la persistenza e motivando alla ricerca di strategie appropriate al compito.
Gli obiettivi devono essere mirati al miglioramento graduale della
prestazione più che al risultato, che rimane molto spesso una variabile
imprevedibile.

Controllo delle immagini (Imagery)


Immaginare significa rappresentare qualche cosa senza viverla nella
realtà, ma "vivendola" mentalmente.
L’allenamento alla visualizzazione mentale aiuta nello sport a raggiungere
molteplici scopi: la diminuzione dell’ansia prima e durante la gara (ogni
immagine mentale contiene infatti delle emozioni); l’aumento di
attenzione e concentrazione; il miglioramento del gesto atletico

10
(allenamento ideomotorio); la maggiore padronanza del proprio schema
corporeo psichico; la maggiore fiducia e autostima nelle proprie capacità;
il controllo del dolore cronico.
L’utilizzo delle tecniche di imagery può essere un importante valore
aggiunto per l’atleta, sia nel periodo di allenamento sia nel momento della
gara vera e propria.

Controllo dei pensieri (Self-Talk)


Il Self-Talk è quel meccanismo mentale che ci porta a parlare
silenziosamente con noi stessi, per cui viene definito anche "dialogo
interno".
I pensieri che fanno spesso capolino nella mente dell’atleta, in modo
automatico, sono in grado di incidere sia positivamente che
negativamente sulla prestazione. Un tipico dialogo interno di un atleta
può essere fatto di frasi del tipo: "Posso farcela! Resisti ancora qualche
minuto! Capita a tutti di fare un errore, e quindi può capitare anche a
me… Io valgo come atleta!" VS "Farò una brutta figura anche stavolta! È
inutile tentare! Non riuscirò a recuperare! Lo sapevo che andava a finire
così!". Se da un lato pensieri positivi favoriscono sentimenti di
adeguatezza al compito e facilitano di conseguenza una buona
prestazione, dall’altro pensieri inappropriati e negativi suscitano
percezioni di inadeguatezza e apprensione che influenzano
sfavorevolmente l’esito della prestazione.
Attraverso le tecniche di Self Talk è possibile agire sulla concentrazione,
suscitare emozioni positive e incrementare la fiducia in sé.

Biofeedback (Modulazione dell’arousal)


Il biofeedback (tradotto dall'inglese: retroazione biologica) è conosciuto
nell’ambito del mental training come biofeedback training.

11
Nel campo della psicologia applicata allo sport, il biofeedback è una delle
tecniche più efficaci per favorire l'apprendimento dell'autoregolazione del
livello di attivazione psicofisiologica (arousal).
Con questa tecnica lo sportivo impara a intervenire sui propri parametri
fisiologici (tensione muscolare, frequenza cardiaca, temperatura corporea
ecc.) in modo da raggiungere una condizione di maggiore rilassamento,
concentrazione ed autocontrollo.
Il biofeedback è indicato per l'induzione del rilassamento anche in quei
soggetti che hanno difficoltà con altre tecniche quali il training autogeno,
l'ipnosi, il rilassamento immaginativo ecc.., in quanto, grazie al feedback
immediato relativo agli stati fisiologici, permette di percepire e modulare
con più facilità il proprio livello di attivazione.

12
Gestione delle emozioni
Il mental training sulla gestione delle emozioni, dell’ansia e delle
condizioni stressanti si basa sull’individuazione degli stimoli esterni ed
interni (pensieri, immagini, dialogo interno, sensazioni) a partire dai quali
si attivano emozioni poco utili alla prestazione atletica e il benessere.
Successivamente, si sviluppano nuove strategie di risposta a questi
stimoli per generare stati d’animo più funzionali alla performance. In
questo senso, le tecniche di Programmazione Neuro-Linguistica (PNL), di
rilassamento e di respirazione risultano essere molto utili per eliminare
sensazioni come ansia e paura, gestire le emozioni prima e durante la
gara per essere lucido e non commettere errori (spesso anche banali)
che possono compromettere un’intera gara e a volte un’intera stagione.

Controllo dell’attenzione
Il focus o attenzione selettiva, comunemente chiamata concentrazione
(frutto di un’attenzione focalizzata), consiste nella tua dedizione al
compito che stai svolgendo e che ti porta ad escludere tutto il resto. Nello
sport, il focus richiede di rilevare le informazioni inutili per concentrarsi
sul proprio obiettivo. Attraverso un adeguato training puoi imparare a
cosa prestare attenzione, quando essere più attento e come mantenere
l’attenzione a lungo, imparando ad ampliare o a restringere
volontariamente il focus dell’attenzione e a dirigere quest’ultima
all’esterno o all’interno, secondo le richieste della situazione sportiva in
cui ti trovi.

13
LO PSICOLOGO SPORTIVO: PREPARATORE MENTALE

Una delle prime precisazioni da fare è la seguente: lo psicologo dello


sport non CURA le persone ma ALLENA LA MENTE degli atleti che
affianca. Infatti, proprio perché specializzato nell'area sportiva, l'esperto
non svolge la consulenza come se si trattasse di un trattamento
terapeutico. Nella maggior parte dei paesi industrializzati lo psicologo
dello sport è un professionista che ha effettuato una serie di studi
accademici e che ha, pertanto, conseguito delle competenze ed un titolo
riconosciuti. Abitualmente lo psicologo dello sport è un laureato in
psicologia che ha seguito un percorso formativo specifico in psicologia
dello sport e ulteriori training nell'ambito della psicologia clinica o delle
organizzazioni. Lo psicologo dello sport è un dottore in psicologia (più
spesso ad indirizzo clinico o del lavoro) che mette a disposizione le sue
conoscenze e si dedica alla formazione tramite interventi individuali o di
gruppo; i ruoli professionali che può assumere dipendono, pertanto, dalla
sua formazione e dai suoi interessi. Può lavorare in ambito accademico
qualora il suo interesse fosse essenzialmente quello del ricercatore, può
essere rivolto allo sviluppo di interventi con allenatori, atleti e gruppi,
spaziando dallo sport di alto livello allo sport per tutti, dai bambini, agli
adulti e agli anziani.
Lo psicologo non è un tecnico, quindi non eroga servizi concernenti
consigli o strategie tecniche e tattiche, ma riveste un ruolo ben definito,
quello di esperto di tematiche psicologiche e psico-pedagogiche nei
confronti di tutti i membri della società sportiva. I suoi obiettivi sono:
offrire informazioni sui fattori psicologici dello sport;
migliorare l'apprendimento dello sport;
aiutare i giovani a maturare con lo sport;
preparare un programma di preparazione mentale personalizzato;

14
effettuare consulenza;
conoscere ed utilizzare le dinamiche di gruppo;
eseguire una valutazione psicodiagnostica;
mirare al benessere psicofisico per ogni fascia di età.
Il preparatore mentale o lo psicologo dello sport non infrange l’etica della
sua professione, ovvero non deve portare l’atleta in uno stato di
dipendenza e non deve cercare la prestazione ad ogni costo.

15
DEFINIZIONE DI MOTIVAZIONE

Diversi studi hanno affrontato la tematica delle abilità legate al tennis, e


sembrerebbe esserci consenso fra gli allenatori circa la motivazione
come fondamentale per incrementare la performance nel tennis.
Interessante è il fatto che quando viene chiesto quale abilità fosse più
difficile “insegnare”, la motivazione risulta essere fra le più menzionate.
Ma cosa si intende per motivazione?
La motivazione può essere considerata come una spinta a svolgere una
certa attività, una certa azione. E’ un processo che attiva l’organismo
finalizzato alla realizzazione di un dato scopo in relazione alle condizioni
ambientali. Non è un tratto di personalità o un aspetto geneticamente
predeterminato ma è uno stato che si costruisce nel rapporto tra individuo
e ambiente. La motivazione è strettamente legata ed influenzata da altri
aspetti tipici dell’uomo, come le emozioni e la cultura di appartenenza.
La conoscenza dei propri punti di forza e di miglioramento e un percorso
per trasformare la motivazione da estrinseca in intrinseca.
Un corretto lavoro sulla motivazione, oltre a dare all’atleta la possibilità di
utilizzare tutte le proprie risorse in gara, aiuta anche a
prevenire l’abbandono precoce nei giovani tennisti.
(E’ l’intensità e la tenacia con la quale il giocatore esprime la sua
dedizione al tennis.)
Il motore della motivazione è l’emozione. Tutte le teorie sulla motivazione
partono dalle emozioni, dalla capacità di coglierle e provare a riprodurle e
riviverle in vista di un obiettivo. E’ fondamentale saperle captare però. In
questo senso non aiutano un alto livello di ansia generale e l’eccessiva
smania di risultati. Sono invece a favore della spinta motivazionale un
rilassamento preventivo (training autogeno, rebirthing e ciò che più si
adatta alla personalità dell’individuo) e un adeguato livello di ansia – la

16
giusta tensione, diciamo – oltre a un’attenzione rivolta ad obiettivi di
prestazione e non di risultato. Insomma, si tratta di provare a porre la
propria mente al servizio delle proprie emozioni, e viceversa.

VARI TIPI DI MOTIVAZIONE

Ma da dove deriva la motivazione? E’ dovuta a caratteristiche interne e di


personalità dei soggetti (essere più o meno individui “motivati”,
predisposti a orientarsi verso degli obiettivi, ad impegnarsi, ad eccellere),
o ad influenze e situazioni dell’ambiente esterno (necessità di uno stimolo
motivante, di un elemento che scateni il comportamento)?
Ogni tecnico, allenatore, insegnante, tende ad avere la sua opinione e
pregiudizio sulla motivazione. Di fronte ad una scarsa resa, alcuni sono
guidati direttamente dal pensiero “questo sportivo non ha voglia, non ha
motivazione, non si impegna”, senza tener conto di condizioni esterne
che possono influire sulla sua motivazione. Altri tenderanno a ragionare in
termini di “forse questo allenamento non è strutturato bene, dovrei
migliorare il modo di interagire, l’attrezzatura deve essere rimodernata..”,
non considerando il livello interno di motivazione dell’atleta, che potrebbe
non dipendere dai cambi di “scena”.
Quella che viene quindi preferibilmente proposta è una visione integrata,
in cui fattori personali interni ed influenze situazionali esterne
interagiscono nella creazione della motivazione.

17
!

La motivazione può essere suddivisa in diverse tipologie:


1) Essa si definisce intrinseca quando la spinta ad agire deriva da stimoli
interni, dal piacere, dal divertimento personale, dalla voglia di mettersi in
gioco, di migliorare, e così via. Le attività motivate intrinsecamente sono
autonome e autodeterminate, ed ogni intervento esterno che riduca tale
percezione di autonomia, incide negativamente.
2) La motivazione diviene estrinseca quando si è spinti da incentivi
esterni, come ad esempio ricevere lodi, riconoscimenti, denaro, o evitare
situazioni spiacevoli, come una brutta figura ecc. Fattori, dunque, esterni
all’attività stessa.
Nel primo caso ci si troverà di fronte ad un atleta piuttosto esigente con
se stesso, che non ha bisogno di troppi stimoli da parte dell’allenatore. La
seconda tipologia caratterizza sportivi piuttosto dipendenti dal giudizio
altrui, maggiormente fragili e bisognosi di ottenere conferme del proprio
valore dall’esterno, In questo caso, avremo a che fare con un’atleta poco
costante sia nell’impegno che nei risultati.

18
Approccio del maestro

Per i ragazzi orientati “al compito” l'insegnante dovrà enfatizzare


l’impegno, lo sforzo, la cooperazione. Così tutti gli allievi del gruppo si
sentiranno importanti e gli eventuali errori saranno interpretati come
naturali tappe dell’apprendimento.
Per i ragazzi orientanti “al risultato” l'insegnante dovrà invece enfatizzare
il riconoscimento dei più forti (o del più forte) del gruppo, dovrà
organizzare sfide per vedere chi è il miglior giocatore del giorno, trovare
modi per “penalizzare” chi commette più errori.
In considerazione della fase evolutiva che attraversano i ragazzi tra i 10 e
i 12 anni, è opportuno creare il giusto mix tra situazioni che favoriscono lo
sviluppo della motivazione orientata al compito, che dovrebbe essere
prioritaria data la limitata capacità tecnica, e quella orientata al risultato
che comunque è opportuno stimolare in questa fase dell’apprendimento
in cui ci si cimenta nelle prime competizioni.

GOAL SETTING: SCEGLIERE I PROPRI OBIETTIVI

Il giocatore di tennis, ragazzo o adulto, deve sapere che la motivazione è


la condizione indispensabile per raggiungere alti livelli di prestazione, ma
soprattutto che è sua la responsabilità del livello di risultato conseguito. Il
miglior risultato si consegue se e solo se esiste una profonda motivazione
intrinseca che spinge all’attività sportiva a prescindere dai riconoscimenti
economici (quanto prize money si è conquistato) piuttosto che il
riconoscimento popolare acquisito sulla stampa o sui social network. Il
ruolo del maestro o del coach sarà pertanto quello di supportare il

19
giocatore nella scelta dei propri obiettivi e dei metodi più opportuni per
conseguirli.
Nella definizione degli obiettivi, esiste un modello efficace da seguire: il
modello SMART.
Con SMART si intende un modello per la creazione di obiettivi che, per
essere efficaci, devono avere queste caratteristiche:
• Specific (Specifici): Gli obiettivi non devono essere generali
ma il più specifico possibile. Per capire se abbiamo raggiunto o meno un
obiettivo, infatti, è importante che esso sia chiaro (es: “superare il mio
record di 3 secondi”) e che non sia troppo generale (es: “l’obiettivo è
migliorare la mia prestazione”).
• Measurable (Misurabili): Legato al concetto di prima, più un
obiettivo è misurabile (numerico), più è facile poter capire se, dopo una
competizione o una stagione, si è raggiunto o meno l’obiettivo prefissato.
• Attainable (Accessibili): Per essere efficace è fondamentale
che un obiettivo sia accessibile, cioè che, pur quanto sia sfidante, l’atleta
o il gruppo possa riuscire a raggiungere. Fissarsi un obiettivo impossibile
da realizzare, infatti, può portare malumore, perdita di auto-efficacia e
frustrazione nell’individuo.
• Relevant (Rilevante): Come visto prima, l’obiettivo deve
essere importante e sfidante per l’atleta; con un obiettivo troppo facile da
raggiungere o non fondamentale per l’atleta o per il gruppo infatti, è facile
che ci sia una perdita di motivazione e un abbassamento del livello di
attenzione e concentrazione.
• Time-Bounded (Legati al tempo): Una caratteristica
fondamentale per obiettivi efficaci è la variabile tempo; è importante,
infatti, chiarire molto bene le tempistiche in cui si intende raggiungere
questi obiettivi. Se l’obiettivo ha una scadenza a lungo termine (per
esempio le Olimpiadi sono ogni 4 anni), è importante definire anche gli

20
obiettivi a medio e breve termine, cioè obiettivi con tempistiche più vicine
che sono da considerare come tappe per poter raggiungere l’obiettivo più
importante.

La cosa più importante da ricordarsi però è che gli obiettivi devono


sempre essere rinegoziabili. Può succedere, infatti che ad un certo punto
una persona si accorga di non essere in grado di raggiungere l’obiettivo
per fattori esterni o interni (un infortunio per esempio). Per non perdere
una stagione sportiva, la strategia migliore è allora quella di ridefinire gli
obiettivi prefissati per poter essere sempre motivati e dare il 100% nel
cercare di raggiungerli.

LA RELAZIONE TRA MAESTRO E ALLIEVO

Chi è un maestro? Chi è un allievo?


Una definizione realistica e calzante potrebbe essere quella che viene
proposta dalle filosofie orientali.

21
Il termine giapponese che indica il maestro è “sensei” che significa “nato
prima” ed esprime al meglio il concetto secondo cui il maestro è colui che
si è incamminato prima degli altri, una guida che essendosi avventurata
in un percorso di crescita umana, tecnica, morale e spirituale da più
tempo, possiede l’esperienza necessaria per poter indirizzare e condurre
altri, i suoi allievi, verso il cammino in precedenza da lui intrapreso.
Tutte queste affermazioni forniscono la cifra secondo cui, da tempi remoti
ad oggi, si basa la metodologia dell’insegnamento nella cultura, nell’arte e
nello sport.
Esse appaiono però piuttosto superficiali ed anche poco realistiche: non
sempre, infatti, colui che fu un grande atleta, è stato poi un grande
maestro. Si trascura in queste definizioni proprio uno degli aspetti più
importanti della relazione tra maestro ed allievo, ossia l’aspetto
comunicativo tra queste due figure, che dovrebbe invece essere parte
integrante del loro rapporto.
Un maestro non è una semplice “macchina” che trasmette delle
conoscenze ma deve essere una persona in grado di rapportarsi con gli
allievi mostrando i pensieri, le emozioni e sentimenti propri e degli allievi.
Il maestro più che convincere deve guidare l’allievo, deve esortarlo
affinché raggiunga degli obiettivi, non può limitarsi a dare “nozioni” poiché
gli allievi hanno bisogno di qualcuno che li coinvolga, che parli con una
certa espressività e che susciti in loro emozioni.
E’ proprio la forza esortativa, la capacità di trasmettere non solo le proprie
emozioni, suscitandone così negli allievi di nuove e di diverse, che fa sì
che un maestro riesca a far brillare quella luce che rende un semplice
sportivo un atleta.
E’ importante che gli allievi sentano che voi ci crediate, che vi impegnate
e che vogliate lavorare insieme, inventare insieme e realizzare un’opera
comune, un’opera collettiva. E che siate esigenti con voi stessi prima che

22
con loro, perché tutto sia perfetto. Devono sentire che voi sappiate dove
andare, ma che loro siano liberi di scegliere ogni volta di seguirvi, e che
voi li ascoltiate, prendete sul serio quello che dicono. Solo allora
diventerete un maestro: quando traccerete tutti insieme la strada da
percorrere. L’allievo non è quindi un recipiente vuoto da riempire con il
sapere altrui ma un essere umano con i suoi pensieri, le sue emozioni, il
suo bagaglio di esperienze, che chiede di essere giustamente stimolato
affinché possa sprigionare, in libertà, tutte le proprie potenzialità a volte
inespresse.
Un allievo, e in particolar modo un allievo bambino, impara più attraverso
il piacere che attraverso la sofferenza, più grazie ai suggerimenti e alle
spiegazioni che agli ordini. Impara tramite l’affetto, l’attenzione, l’amore,
la pazienza, la comprensione, il senso di appartenenza, il fare e l’essere,
ma sopratutto impara con l’esempio che noi maestri diamo. In virtù di
questo, dovremmo cercare di focalizzare la nostra attenzione, le nostre
energie ed anche la nostra quotidiana attività d’insegnamento, sulle
relazioni che regolano il rapporto tra l’entità maestro e l’entità allievo.
Sono queste relazioni, ed il modo con cui esse si costruiscono nel tempo,
le fondamenta su cui deve basarsi un progetto d’insegnamento che abbia
come traguardo la crescita e l’arricchimento non solo dell’allievo ma
anche del maestro.
Il ruolo del maestro è molto difficile perché egli non si limita a trasmettere
delle informazioni, come potrebbe superficialmente apparire, ma deve
essere capace di trasmettere emozioni e capire quelle dei suoi allievi,
deve intuire quali sono le difficoltà di ognuno, che spesso vanno al di là
delle difficoltà di apprendimento. Il maestro risulterà più efficace, quando
riuscirà a stabilire un rapporto positivo con gli allievi.
Un bravo maestro non è colui che ha una vasta conoscenza e dall’alto dei
suoi successi si pone a modello di riferimento, ma colui che riesce a

23
stimolare l’allievo ad esternare al massimo le sue potenzialità, il suo
modo di essere, il suo modo di vivere, indipendentemente dal grado di
abilità o doti naturali che esso ha innate.

SODDISFAZIONI E RINUNCE

La ricerca psicologica non è ancora riuscita a spiegare quali siano i fattori


della personalità che determinano la scelta di una specifica disciplina
sportiva e quale sia l’influenza dell’ambiente nell’indirizzare un giovane
atleta. Non sono però queste le domande che vengono poste più di
frequente agli atleti dai loro allenatori che sono interessati, invece, a
sapere come impegnarsi di più e meglio.
Certamente la prestazione può essere limitata dell’ansia, dalla mancanza
di concentrazione, dalla paura di vincere e da molti fattori ancora, ma
quegli ostacoli si manifestano solo dopo che l’atleta ha deciso di
impegnarsi in quell’attività sportiva.
Cosa lo spinge ad impegnarsi in quell’attività? Cosa lo spinge a
mantenere nel tempo questo impegno? Cosa lo spinge a fare delle
rinunce difficili per dedicarsi ad uno sport?
E’ la motivazione che determina la persistenza, la direzione, l’intensità del
comportamento individuale e quindi del comportamento agonistico.
Il livello di motivazione di un atleta è determinato dall’interazione fra fattori
individuali, quali la personalità, i bisogni, gli interessi, le proprie
caratteristiche fisiche e capacità tecniche, e fattori situazionali, quali le
caratteristiche dell’allenatore, del proprio ambiente familiare e sportivo.
Questo spiega parzialmente perché, quando viene chiesto a dieci atleti
che cosa li ha motivati a praticare quella particolare disciplina sportiva, si
ottengono dieci risposte differenti.

24
L’atleta s’impegna in un allenamento faticoso per affermare se stesso
attraverso lo sviluppo di specifiche competenze sportive; così facendo,
sente che è “sempre più padrone di se stesso”, che migliora il controllo
delle proprie abilità fisiche e mentali, ampliandone sempre di più i limiti.
Dalle ricerche di questi ultimi anni emerge che gli atleti con alto livello di
motivazione:
1) Dimostrano un’elevata persistenza al compito
2) Forniscono prestazioni di alto livello
3) Sono rapidi nell’esecuzione degli esercizi
4) Sono orientati maggiormente sul compito e meno sulle persone
5) Assumono una certa dose di rischio
6) Assumono con soddisfazione le responsabilità delle proprie azioni
7) Desiderano conoscere i risultati dell’attività che svolgono.
Di conseguenza, è importante che ogni atleta definisca in che modo si
motiva ad avere successo.

25
LE RADICI DEL FLOW

Migali Csìkszentmihàlyi è nato il 29 settembre del 1934 a Fiume, in quel


periodo annessa al territorio italiano, adesso parte dell’attuale Croazia.
Di origine ungherese, figlio di un diplomatico, passa l’adolescenza in
Italia, prima a Fiume, poi a Venezia, infine a Roma, dove frequenta il liceo
classico. Emigra a ventidue anni in America, dove continua ancora le sue
ricerche, gli studi, le pubblicazioni.
Ha vissuto la sua fanciullezza a ridosso della seconda guerra mondiale,
periodo che sembra averlo formato in modo inequivocabile e averne
segnato la futura direzione.
Infatti, fin da ragazzo, ha iniziato a chiedersi, osservando e riflettendo
sugli orrori della guerra, quali risorse impiegassero le persone per essere
felici, nonostante tutto.
Questa attitudine e la personale indole lo hanno orientato verso la
psicologia, soprattutto la psicologia positiva, e stimolato ad approfondire i
suoi studi sugli stati di coscienza superiore, culminati nelle sue scoperte
del flow, l’argomento principale di questa trattazione.
Csìkszentmihàlyi, già a partire dagli anni 70’, aveva sviluppato una serie
di studi e di ricerche empiriche sul campo, analizzando centinaia di casi
diversi sul flusso di coscienza come fenomeno riscontrabile nelle attività
quotidiane, professionali, nell’arte e nello sport.
Csìkszentmihàlyi utilizzò il termine inglese flow, flusso, per definire uno
stato mentale descritto da molte persone da lui intervistate come una
corrente d’acqua che li trascinava. Da quando, nel 1975, l’autore utilizzò il
concetto di flow, la sua teoria si è poi gradualmente diffusa in diversi
settori e si è andata applicando non solo nella psicologia, ma anche in
campo sportivo, nel mondo degli affari, nell’arte, nell’istruzione e persino
in ambito spirituale. Nel suo libro pubblicato nel 1990 con il titolo “Flow:

26
The Psychology of Optimal Experience”, egli descrive l’esperienza che si
prova durante il flow, indicandola come un’esperienza ottimale in cui la
prestazione è al culmine dell’efficacia e provoca nell’individuo una
sensazione di totale coinvolgimento e piacevolezza, di goia, positività e
benessere. E’ il momento di incursione in un livello di coscienza
superiore, un’esperienza di picco, una “peak experience” per utilizzare
un’espressione di Abraham Ma, il padre della Psicologia Umanistica.
Il presupposto di base, ma non è l’unico, è che quando le sfide e le
capacità sono contemporaneamente sopra la media, e soprattutto
adeguate al contesto, mai troppo sbilanciate, l’esperienza ottimale può
essere realizzata.
Occorre quindi stare ben attenti a dosare e ad equilibrare sapientemente
questi due fattori essenziali in modo da non sprofondare in pericolosi stati
di stress o, all’apposto, nella noia più banale e infruttuosa.
Mihàly Csìkszentmihàlyi è autore di libri, conferenze e professore
universitario di Psicologia e Management in California.
Ha anche insegnato psicologia e sociologia all’Università dell’Illinois e
successivamente al Department of Psychology dell’università di Chicago.
E’ inoltre conferenziere, saggista, autore di molti testi e articoli che hanno
come tema principale la felicità, il benessere, la creatività, la prestazione
ottimale, gli stati di coscienza superiori e, naturalmente, il flow.
Aspetti per lui del tutto coincidenti.

Esperienza ottimale

L’esperienza ottimale conosciuta come flow, la cui traduzione letterale in


italiano è flusso, corrente, spesso indicata come trance agonistica nel
linguaggio sportivo, o anche “zona”, è uno stato di coscienza in cui la

27
persona è completamente immersa in un’attività e ne è coinvolta
interamente, tanto da non avvertire più alcun senso di separazione e
frammentazione interiore, ma anzi di completezza, integrità, benessere,
piacere, gioia e felicità.
L’esperienza del flow, pertanto, consente il conseguimento di uno stato
psicologico superiore, ottimale, in cui è possibile sperimentare, al suo
apice, la grazia e l’estasi.
Questa condizione è in generale caratterizzata da: focalizzazione
sull’obiettivo, motivazione intrinseca, positività e gratificazione piacevole
nello svolgimento di un particolare compito.
Le condizioni di esperienza ottimale identificate nel flusso coincidono con
i presupposti di massima motivazione e prestazione riscontrate a
proposito degli studi fatti parallelamente sugli obiettivi. Se le persone si
percepiscono efficaci, i compiti con obiettivi impegnativi non
rappresentano un peso, ma diventano obiettivi sfidanti e prove gratificanti:
sfide impegnative ma piacevoli e degne di essere onorate,di cui servirsi
per accedere ad un’esperienza ottimale.
A livello scientifico è stato scoperto che la mente può gestire soltanto un
numero esiguo di informazioni alla volta. Giusto per renderci conto, una
semplice conversazione pare assorba circa un terzo o anche più della
nostra capacità complessiva. Ci riesce molto difficile quindi, se non
impossibile, fare bene contemporaneamente due cose ugualmente
impegnative.
Si tratta quindi di essere selettivi, dirigendo sapientemente la nostra
attenzione.
Nel flow ciò accade naturalmente.
Quando si è impegnati nell’esperienza ottimale (flow experience) dello
stato di flusso si è del tutto assorbiti, e in modo del tutto spontaneo,
nell’azione e si perde la consapevolezza di tutte le altre cose, anche

28
senza volerlo: tempo, persone, distrazioni e persino bisogni primari ed
esigenza fisiologiche passano in secondo piano.
Ciò si verifica perché tutta l’attenzione è occupata da quella particolare
azione e non resta consapevolezza per le altre attività, pur necessarie, a
meno che non si scelga altrimenti, spostando il proprio focus a causa,
magari, di una necessità.
In altre parole, l’esperienza ottimale è totalizzante, pienamente
coinvolgente: è un onda che ci travolge e da cui accettiamo di lasciarci
piacevolmente trasportare.

Il flow in nove punti

Quando compaiono insieme rendono l’esperienza completa ed intensa


alla massima potenza. Essi costituiscono la cosiddetta esperienza
ottimale, il flusso perfetto, la corrente inarrestabile. In una sola parola,
flow.
1) EQUILIBRIO TRA SFIDA E ABILITA’: INCONTRO.
Il flow nasce in situazione di estremo equilibrio, un perfetto bilanciamento
tra le difficoltà occasionali poste sul nostro cammino e le abilità individuali
necessarie a sopravanzarle.
La situazione ideale si verifica quando si crea l’equilibrio ottimale:
l’incontro con le avversità risulta impegnativo e, per quanto messi a dura
prova, si ha la consapevolezza di poter far fronte all’impegno, tenendogli
testa.
La persona sarà dunque stimolata adeguatamente, indotta a ripetere la
prestazione e a rivivere nuovamente questa esperienza positiva e
appagante.

29
In termini di flow tennis il suggerimento da metabolizzare correttamente è:
incontro me stesso! Scelta la sfida, me ne dimentico e offro ad ogni
palla il mio meglio senza altro obiettivo.
2) UNIONE TRA AZIONE E COSCIENZA: INTEGRITA’.
L’individuo, dopo aver percepito di possedere le abilità necessarie a
interpretare al meglio la sfida, ad essersi convinto della propria
autoefficacia, è completamente focalizzato, assorbito nel suo compito. E’
immerso nelle situazioni e nell’attività che sta vivendo, del tutto presente
alle necessità e alle richieste del momento, tanto da far diventare la
propria azione naturale, spontanea, quasi automatica, ma al tempo
stesso aggraziata ed elegante, frutto della completa integrazione della
coscienza con l’azione e della sinergia empatica del soggetto con
l’oggetto della propria azione.
Può così realizzare un’azione senza sforzo, spontanea, naturale, efficace,
che nasce in modo diretto e naturale dal sentire e poi dal fare, ma non dal
pensare, e si trasferisce semplicemente nell’azione.
Nel flow tennis si traduce così: percepisco l’unità! Metto tutto me
stesso in ciò che sto facendo, in ogni singolo gesto, senza
dispersioni.
3) OBIETTIVI CHIARI: FOCUS.
Siamo capaci di esprimere al meglio noi stessi soprattutto quando
riusciamo a definire ciò che vogliamo ottenere. Questo ci consegna una
parziale sensazione di controllo sugli eventi.
L’autore della performance ha ben chiaro, in questi momenti di flow, come
dirigere l’azione e dove focalizzare l’attenzione, annullando ogni
infruttuosa distrazione. Visualizzando in anticipo i momenti salienti della
performance, sa perfettamente dov’è, cosa sta facendo e dove sta
andando. Nel frattempo, è totalmente concentrato sul come, ovvero sui
micro gesti che compie.

30
Nei termini concreti e specifici del flow tennis significa: occhio alla palla!
Ogni palla che colpisco nel modo migliore mi porterà più vicino alla
meta.
4) FEEDBACK IMMEDIATI E INEQUIVOCABILI: SENSAZIONI
POSITIVE.
La necessità a questo livello di esperienza per ottimizzare la prestazione,
man mano che si procede, è quello di continue informazioni di ritorno che
guidino la persona nella sua performance con ripetuti feedback ad ogni
livello, immediati e positivi, relativi all’obiettivo e alla prestazione. I
feedback sono dei messaggi retroattivi, dei segnali importanti che
evidenziano in quale misura stiamo perseguendo il nostro obiettivo.
Possono essere di natura interna, relativi per esempio al proprio corpo e
alle emozioni sentite ed espresse, oppure provenire dall’ambiente
esterno, ma in ogni caso risultano delle valide restituzioni utilissime
all’atleta per informarlo sulla qualità della stessa.
Affinché si possa raggiungere l’esperienza ottimale del flow è necessario
che i feedback siano continui, immediati, e inequivocabili, con frequenti
riscontri in tempi reali che accompagnino lo svolgimento dell’azione.
Nel flow tennis si traduce con: uso al meglio ciò che ho! Filtro tutto
quel che mi arriva e utilizzo solo ciò che serve.
5) CONCENTRAZIONE FOCALIZZATA SUL COMPITO: ATTENZIONE
RILASSATA.
Lo stato di flow richiede una completa concentrazione sul compito, in
modo da evitare ogni possibile interferenza e distrazione, e mantenere un
focus circoscritto.
Immergersi totalmente nel presente, nel cosiddetto “qui ed ora”
dell’azione, e avere un unico focus rivolto alla prestazione, diventa
essenziale in questa fase del processo di flow.

31
Tradotto nel linguaggio del flow tennis diventa: respiro e colpisco
rilassato! Applico l’attenzione che ha la giusta tensione e resto
rilassato a dispetto delle intemperie.
6) SENSO DI CONTROLLO DELLE AZIONI: CONTROLLO RESILIENTE.
La sensazione di possedere le abilità necessarie alla situazione in corso
fa in modo che l’atleta si senta nel pieno controllo di sé, dei propri gesti e
dell’ambiente, con conseguenti e piacevoli sensazioni di calma, fiducia,
confidenza con il proprio operato, totale padronanza, anche in situazioni
estremamente difficili. Ciò che veramente contraddistingue questo
momento è l’assenza di preoccupazione generale, e in modo particolare
proprio quella inerente all’eventuale perdita del controllo.
Nel linguaggio del flow tennis si potrebbe anche dire: mantengo il mio
centro! Lascio che la palla mi indichi i movimenti e le traiettorie da
seguire.
7) PERDITA DELLA COSCIENZA DI SE’ E ASSENZA DI GIUDIZIO:
LIBERTA’.
Una delle caratteristiche principali del flow è relativa alla percezione di sé:
l’io cambia ruolo passando da agente giudicante a parte dell’azione.
Essendo tutta l’attenzione focalizzata sull’attività, si è talmente calati
nell’azione che la funzione pensiero rallenta notevolmente la sua attività,
sino a dare l’impressione di scomparire e di perdere coscienza e
consapevolezza di se stessi.
In questo senso, il flow è un’esperienza ottimale che provoca uno stato di
massima espansione della coscienza. Una coscienza non ordinaria.
Questo nel flow tennis si traduce con: sono libero da ogni freno! Libero
la mente da ogni costrizione, giudizio e interferenza.
8) DESTRUTTURAZIONE DEL TEMPO: QUI E ORA.
Nell’esperienza ottimale si ha una diversa percezione del tempo: può
sembrare scorrere con più rapidità, ma occasionalmente anche più

32
lentamente. In entrambi i casi si ha una percezione temporale distorta, in
cui la sensazione è che il tempo giochi sempre a nostro vantaggio,
rallentando o velocizzandosi in perfetta sintonia interiore con ciò che
l’esperienza di flow sta suggerendo.
Nel linguaggio del tennista vuol dire: gioco punto su punto! Non esiste
un luogo e un posto migliore di questo in cui mi trovo ora per
giocare il mio tennis.
9) ESPERIENZA AUTOTELICA: PIACERE DI GIOCARE.
Il termine autotelico deriva dal greco, autos (di se stesso) e telos (meta).
Il flow, e il flusso di coscienza che ne consegue, è un’esperienza
autotelica, ovvero fine a se stessa: contiene un proprio piacere,
un’eccitazione e un divertimento intrinsechi.
Nell’esperienza autotelica il soggetto segue le proprie motivazioni
interiori, sceglie di immergersi nella situazione perché lo desidera e si
attiva perché vuole e non perché deve, e questo solitamente fa la
differenza. La soddisfazione che ne deriva non dipende dall’eventuale
premio ottenuto, ma dal piacere che si prova nell’essere parte attiva
dell’esperienza ottimale. Il flow tennis si traduce così: amo giocare! Mi
piace veramente ciò che sto facendo, mi diverte e mi appaga,
gioisco nel farla.

RESILIENZA

“Le difficoltà rafforzano la mente, così come il lavoro irrobustisce il


corpo.” (Seneca).
Oggi, tra le tante promesse, c’è posto anche per chi parla di “eliminare lo
stress”. Non solo ciò è impossibile, ma sarebbe anche inutile: noi siamo
costruiti per convivere quotidianamente con lo stress. A questo scopo

33
possediamo dentro di noi, come un dono, un insieme di risorse che
abbiamo ereditato dal passato. Questo insieme di risorse si chiama
“resilienza” o resistenza psicologica.
Chi, di fronte a eventi stressanti, chiede un aiuto terapeutico o manifesta
gravi forme di disagio rappresenta l’anomalia, non la regola. La regola,
per gli esseri umani, è rappresentata dalla resilienza.
Il termine “resilienza” proviene dalla metallurgia: indica, nella tecnologia
metallurgica, la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi
vengono applicate. Per un metallo la resilienza rappresenta il contrario
della fragilità.
Così anche in campo psicologico: la persona resiliente è l’opposto di una
facilmente vulnerabile. La resilienza in campo psicologico indica
l’atteggiamento di andare avanti senza arrendersi, nonostante le difficoltà.
La resilienza psicologica è la capacità di persistere nel perseguire
obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri
eventi negativi che si incontreranno sul cammino. Il verbo “persistere”
indica l’idea di una motivazione che rimane salda. Di fatto l’individuo
resiliente presenta una serie di caratteristiche psicologiche inconfondibili:
è un ottimista e tende a “leggere” gli eventi negativi come momentanei e
circoscritti; ritiene di possedere un ampio margine di controllo sulla
propria vita e sull’ambiente che lo circonda; è fortemente motivato a
raggiungere gli obiettivi che si è prefissato; tende a vedere i cambiamenti
come una sfida e come un’opportunità, piuttosto che come una minaccia;
di fronte a sconfitte e frustrazioni è capace di non perdere comunque la
speranza.
Non è un caso, dunque, che uno studio uscito nel 2002, che esaminava
le caratteristiche psicologiche di 32 atlete statunitensi vincitrici di
medaglie olimpiche, indichi nella resilienza uno dei requisiti irrinunciabili
per l’atleta di alto livello. Addirittura, una ricerca realizzata nel 1995 in

34
Germania da W. Hauser ha dimostrato che i risultati degli atleti nella gare
Ironman si correlano in modo più significativo con le loro caratteristiche
psicologiche rispetto a quelle fisiologiche come il “massimo consumo
d’ossigeno”: in altre parole, per andare forte in queste gare, è più
importante essere resilienti piuttosto che solo resistenti fisicamente!
La resilienza può essere potenziata, possiamo imparare a migliorarla e
ad accrescerla. Diventare psicologicamente più resilienti è possibile. Si
può imparare a gestire lo stress. Generalmente non c’è molta
consapevolezza di queste possibilità.

L’importanza della resilienza del tennista

Praticare uno sport, a qualsiasi livello, a maggior ragione se con un fine


agonistico, implica notevoli difficoltà di diverso ordine. È una sfida
continua.
Occorre allenarsi costantemente, far fronte a inconvenienti innumerevoli,
come piccoli e grandi traumi fisici, ostacoli emozionali, insistenti
interferenze mentali, sforzi prolungati, prove impegnative. E poi, non
ultimi, gli infortuni.
Alcuni dei quali da cui è difficile riprendersi rapidamente, ma anche
necessario se non si vuole restare troppo indietro. Spesso si cerca
dunque di affrettare i tempi di recupero, violentando un po’ se stessi.
Il tennis è uno sport individuale, e questo accresce le già cospicue
difficoltà descritte prima, in quanto devi essere sempre al meglio dato che
non si ha il supporto di alcun compagno di squadra, se si esclude la
specialità del doppio e dei campionati a squadre.
Eccetto queste situazioni, difficilmente trovi qualcuno dei tuoi compagni di
squadra fuori dal campo a sostenerti con sincerità, poiché l’antagonismo
non incoraggia certo questi slanci.

35
Insomma, la solitudine del tennista è nota, tant’è che persino un pugile o
un ciclista si sentono in campo meno soli del tennista, ricevendo dal loro
team un contatto più diretto e una maggiore vicinanza e supporto.
Occorre quindi tirare fuori il meglio di sé autonomamente, a dispetto delle
difficoltà energetiche, fisiche, emozionali e mentali che si incontrano in
gara, senza lasciarsi abbattere.
Ecco che ci viene in soccorso la resilienza del tennista .
La resilienza consente al nostro sistema complessivo un continuo
adattamento e ci dona la capacità di reagire efficacemente riadattandosi
quando e quanto occorre ad ogni cambiamento di scenario e situazione.
Per uno sportivo, e per un tennista nella fattispecie, non penso possa
esserci nulla di tanto prezioso e importante quanto la capacità di risultare
resiliente nei confronti delle situazioni esterne e dei continui cambiamenti
umorali interni, che è necessario conciliare ed armonizzare.
Nel campo di gioco, incarnare la resilienza del tennista significa utilizzare
la capacità di adattarsi rapidamente alle diverse e cangianti condizioni
climatiche, come afa, umidità, sole, vento, freddo, alle condizioni
ambientali, come la superficie di gioco e la consistenza delle palline, alle
difficoltà temporanee a livello fisico, come irrigidimenti muscolari, dolori,
stanchezza, facendo fronte anche all’ansia prestazionale, all’autostima,
messa continuamente alla prova dall’autocritica e dal timore del giudizio
altrui.
Per non parlare della paura di perdere e persino di vincere, della rabbia,
la frustrazione e il senso di impotenza che talvolta affiorano in campo, a
cui si deve immediatamente cercare un rimedio per non andare
anzitempo sotto la doccia.
E poi, non dimentichiamolo, c’è l’aspetto più importante dal punto di vista
agonistico: un avversario da affrontare, ogni volta diverso, a cui applicare

36
una corretta strategia se desideriamo depotenziarlo disinnescando i suoi
puniti di forza, cercando all’opposto di esaltare i nostri.
Insomma, come tennisti non potremmo far fronte efficacemente a tutto ciò
senza dimostrarci resilienti, poiché è la natura insita nel tennis a
richiederlo: un momento di incontro e di scontro, con la propria forza
interiore e con quella dell’avversario, con cui bisogna venire a patti.
Uno spazio ed un momento, il qui e ora, in cui soltanto dimostrandoti
forte, flessibile e resistente come una canna di bambù, puoi riuscire a far
fronte alle innumerevoli richieste della competizione sportiva, tanto dal
punto di vista fisico ed energetico che in prospettiva psichica ed
emozionale, passando peraltro attraverso la tecnica richiesta, da
praticare in modo impeccabile.
Quando il confronto diventa estremamente arduo e impegnativo, solo
riuscendo a rispondere e controbattere colpo su colpo alle sollecitazioni
dell’avversario e della prova in sé possiamo sperare di uscirne vittoriosi.
Questo è quello che accade nel tennis, ad ogni livello in cui viene giocato.
Potremmo dunque dire che, non solo la resilienza è una qualità
necessaria a tutti gli sportivi, ma che la stessa aumenta e migliora dal
punto di vista quantitativo e qualitativo ogni volta che adeguatamente
sollecitata, come per esempio in un incontro di tennis equilibrato, in cui
occorre offrire un quindici in più per portare a casa il match.
Quel quindici in più, in campo e fuori, è rappresentato dalla resilienza del
tennista.

37
Resilienza del tennista: esempi

Rafael Nadal è stato finora capace di vincere 16 tornei del Grande Slam e
oltre 70 titoli ATP.
Eppure non sempre è stato facile: infortuni alle ginocchia, ai polsi, alla
spalla, alla caviglia, al piede sinistro sono stati i suoi compagni di vita,
eppure sempre il campione è magicamente risorto dalle sue stesse
ceneri, proprio come la mitica Fenice, anche più forte di prima.
Nadal è ciò che è proprio in funzione del suo carattere, ed è
esclusivamente grazie ad esso, che ha costruito la propria carriera e
ottenuto tutti i meritati successi che, come tifosi e amanti di questo sport,
abbiamo insieme applaudito.
Senza quella fame di successo e la continua motivazione e un
atteggiamento fortemente resiliente, si sarebbe probabilmente già
fermato da tempo, oppure si sarebbe lentamente ma gradualmente
spento.
Ma la sua capacità di rinnovare di continuo gli obiettivi rendendoli
altamente sfidanti è da sempre la sua vera forza e il prezioso carburante
del suo inarrestabile veicolo, che lo ha portato tanto lontano e in alto. E

38
non è ancora finita, conoscendo Rafa.
Senz’altro la storia di Rafael Nadal si presta più di tante altre a questa
lettura.
Fresco vincitore degli US Open, è ritornato numero 1 al mondo,
lasciandosi dietro un periodo duro e difficile in cui molti degli addetti ai
lavori l’avevano dato per finito.
Ma Rafa è tornato prontamente a riprendersi lo scettro e la corona da
leader della classifica mondiale. Non ha accettato che queste voci si
rivelassero vere.
Non erano sue!
Con la resilienza del tennista doc, le ha lasciate scivolare e rimbalzare, e
ci si è fatto attraversare, ma nessuna di esse ha trovato terreno fertile in
cui attecchire.
Dopotutto, non erano le voci che gli appartenevano, figlie di altrettante
credenze mentali. Le sue credenze erano diverse, attivate dalla memoria
di essere già stato a lungo numero 1 e di poterci ritornare. Così è stato!
Proprio come Nadal, siamo tutti figli delle nostre credenze, che diventano
realtà.
La motivazione, la volontà, il talento sportivo, il duro sacrificio e la
resilienza fanno il resto, ma sulla base di ciò che riteniamo possibile.
Quindi, occhio ai pensieri! Questo è per me l’insegnamento più
importante dal punto di vista mentale che possiamo astrarre dalla
resilienza di Nadal: i limiti sono dentro di noi, più che fuori.
Anche le innumerevoli possibilità, e la forza con cui coglierne e
realizzarne alcune.
Ma questa non è soltanto la storia di Nadal, bensì quella di tanti altri
tennisti famosi, ad esempio Federer, infatti la resilienza del tennista è una
caratteristica a mio parere rilevante nel circuito professionistico. Non
potrebbe essere altrimenti.

39
Senza la resilienza e una grande motivazione, con fame e sete di
successo, è impossibile entrare nella storia dello sport. Una motivazione
che potremmo definire intrinseca, interna: a nulla infatti valgono le
sollecitazioni esterne se, in quanto giocatori, non troviamo da noi i motivi,
le ragioni, i perché per cui siamo disposti a fare tutto ciò che facciamo, in
campo e fuori, con gli innumerevoli sacrifici annessi, e tutti quei passi
necessari che un giorno ci porteranno ad alzare il trofeo al cielo.
E a provarci e riprovarci, a dispetto di infortuni e insuccessi, delusioni e
frustrazioni, finché ciò non accade. Infatti, quando si ha ben chiaro il
perché si trova anche il come: la motivazione supporta gli obiettivi e i
relativi piani d’azione.
Questa è la vita di ogni sportivo e tennista di rango. E dietro c’è la
resilienza. Senza, non vi è possibilità! Quella stessa resilienza del
tennista dimostrata recentemente da una giovane giocatrice americana,
Sloane Stephens.
Quanto fatto dalla Stephens a Flushing Meadows può essere compreso
soltanto utilizzando la chiave di lettura della resilienza.
Riguadagnare in pochi tornei 900 posizioni della classifica WTA e mettere
in bacheca un Grande Slam non era certo impresa facile, soprattutto se
consideriamo la prolungata assenza dai campi da parte della Stephens e
il fatto che sia andata migliorando partita dopo partita, esprimendo
nell’ultima settimana degli US Open un livello incredibile di gioco,
superiore persino al precedente, prima dello stop.
Come se fosse maturata proprio in funzione di questa lunga pausa
forzata, in cui ha dovuto superare innumerevoli difficoltà, fisiche e
psicologiche, per poter poi ritornare in campo a giocare a quei livelli.
Infatti, era fuori dai giochi dall’agosto 2016 a causa di un infortunio alla
gamba che in seguito l’ha costretta a una difficile operazione chirurgica,
per sua fortuna riuscita alla perfezione.

40
Talvolta, alcuni campioni, quando rientrano da un infortunio o dopo uno
stop a causa di qualche problema di diversa natura, si rivelano più forti di
prima, come nel caso della Stephens e di Nadal.
Come è possibile?
Lo è in funzione del fatto che la qualità della resilienza ha permesso loro
di individuare nuove scintille di motivazione, diversi sentimenti ed
emozioni su cui fare leva, scoprendo in sé una forza interiore magari
sconosciuta e dirompente a cui attingere.
Hanno fatto buon viso a cattiva sorte.
Significativo anche l’esempio di Thomas Muster, un grande tennista degli
anni ‘90.
Il campione austriaco nel marzo 1989 è stato investito da un ubriaco a
Miami, la sera prima della sua finale con Ivan Lendl. Il suo ginocchio fu
talmente compromesso che alcuni medici gli dissero che non avrebbe più
potuto continuare a giocare.
Non appagato di questo responso, in cui non credeva, Muster incaricò un
falegname austriaco di costruirgli una speciale sedia che gli permettesse
di giocare da seduto, in modo da non perdere la tonicità del busto e delle
braccia e continuare ad allenare i fondamentali.
Cinque mesi più tardi era di nuovo in campo, no anzi nel circuito.
Dopo poco più di un anno dall’infortunio era più forte di prima, e il nuovo
re di Roma. Sulla terra divenne negli anni successivi quasi imbattibile,
tant’è che venne soprannominato “il re della terra” e nel 1996 raggiunse
la vetta della classifica ATP.
Sette anni prima, i medici lo aveva dato per finito.
Una bella storia di tennis e resilienza, con il lieto fine, come quella di
Nadal e della Stephens.
Naturalmente, anche tra i tennisti italiani abbiamo degli ottimi esempi di
resilienza; tennisti come Simone Bolelli, Stefano Travaglia, Luca Vanni ed

41
altri ancora tornati in campo più competitivi di prima dopo gli infortuni e le
relative operazioni subite.
Questo dimostra senza dubbio che la resilienza del tennista è un valido
esempio per ogni sportivo e per chiunque desideri superare in modo
costruttivo le difficoltà lungo il cammino.

METODOLOGIA

La metodologia prende in considerazione le modalità di rilevazione dei


dati, le caratteristiche del campione e la tipologia degli strumenti utilizzati.
La rilevazione si è svolta nel mese di Giugno/Luglio presso il circolo
Tennis Club Milano Alberto Bonacossa.
Il campione della ricerca è costituito da 13 allievi (età compresa tra i 19 e
11 anni) e dai loro corrispettivi maestri.

STRUMENTI

Il Livello di motivazione dei due gruppi, allievi e relativi maestri, è stato


misurato utilizzando:

-Test motivazione (A. Daino 2014)

42
□ TEST MOTIVAZIONE =
(A. Daino 2014)
!
cognome nome classifica età data
!
!
Segna!con!una!crocetta!nell’apposita!colonna!la!risposta!che!indica!come!vedi!il!tuo!tennis.!
!
!

TALVOLTA

SEMPRE
SPESSO
MAI
1! Lavoro!duro!in!allenamento!anche!se!devo!soffrire! ! ! ! !
2! Conosco!cosa!devo!fare!per!migliorare!il!mio!tennis! ! ! ! !
!
3! Diventare!un!tennista!!importante!è!più!!una!questione!di!fortuna!che!di! ! ! ! !
intenso!lavoro!
4! Sono!soddisfatto!!quando!dimostro!la!mia!abilità!sul!campo! ! ! ! !
5! Mi!impegno!al!cento!per!cento!sia!quando!!l'allenamento!va!bene!!sia! ! ! ! !
quando!va!male!
6! Mi!sento!realizzato!anche!se!non!vinco!nelle!competizioni!!tennistiche!!!! ! ! !
7! Sono!convinto!!di!imparare!!cose!utili!da!ogni!seduta!!di!allenamento!! ! ! ! !
!
8! Mi!impegno!a!valutare!costruttivamente!le!mie!prestazioni!!! ! ! !
9! Trovo!noioso!imparare!cose!nuove!quando!ci!si!allena!! ! ! ! !
!
10! Mi!impegno!al!100%!!anche!se!sono!sotto!5!a!2!nel!set!decisivo! ! ! ! !
!
11! Considero!gli!errori!una!opportunità!per!migliorare!il!mio!livello!!tecnico! ! ! ! !
12! ! ! ! !
! Mi!faccio!abbattere!dalle!sconfitte!
13! Mi!sento!più!stimolato!quando!devo!giocare!contro!un!giocatore!forte! ! ! ! !
14! Sono!pronto!a!sacrificare!molte!!cose!!per!eccellere!nel!tennis! ! ! ! !
!
15! In!gara!preferisco!giocare!bene!che!vincere! ! ! ! !
16! Mi!piacciono!di!più!le!partite!lottate!di!quelle!vinte!facilmente!!! ! ! !
!
17! Ho! un! obiettivo! di! miglioramento! chiaro! da! raggiungere! per! ogni! ! ! ! !
allenamento!!
18! Quando!commetto!un!errore!penso!che!sia!colpa!della!sfortuna!!!! ! ! !
19! Il!miglioramento!dello!sviluppo!della!mia!carriera!è!una!mia! ! ! ! !
responsabilità!
20! So!valutare!il!livello!di!motivazione!manifestata!alla!fine!di!una!partita!di! ! ! ! !
torneo.!
!
Controlla!di!aver!risposto!a!tutte!le!domande!e!Grazie!per!la!tua!!collaborazione! 43

!TEST!MOTIVAz!2014!
1!
ANALISI DEI DATI “TEST MOTIVAZIONE”

Si calcola la media aritmetica, cioè il valore ottenuto dalla somma di tutti i


valori diviso il numero degli allievi, sia per il gruppo “allievi” che per quello
dei “maestri”. I risultati ottenuti sono stati analizzati statisticamente.

Numero Mai Talvolta Spesso Sempre Media


domanda ALLIEVI
1 0 1 5 7 3,5

2 0 1 7 5 3,3

3 11 2 0 0 3,8
4 0 0 2 11 3,8
5 0 3 8 2 2,9

6 2 7 3 1 2,8

7 0 1 4 8 3,5

8 0 1 4 8 3,5

9 11 2 0 0 3,8

10 0 1 3 9 3,6

11 0 5 5 3 2,8

12 6 6 1 0 3,4

13 1 0 3 9 3,5

14 0 1 6 6 3,4

15 6 5 0 1 3,0

16 2 3 4 4 2,8

17 0 2 7 4 3,1

18 6 6 1 0 3,4

19 0 0 4 9 3,7

20 0 1 5 7 3,5

44
Numero Mai Talvolta Spesso Sempre Media
domanda MAESTRI
1 0 2 7 4 3,1

2 0 2 9 2 3,0

3 10 2 1 0 4,1
4 0 1 4 8 3,5
5 0 8 4 1 2,5

6 3 9 1 0 3,2

7 0 1 10 2 3,1

8 0 3 7 3 3,0

9 8 3 0 2 3,3

10 0 4 6 3 2,9

11 0 5 8 0 2,6

12 1 7 5 0 2,7

13 0 2 5 6 3,3

14 0 6 5 2 2,7

15 5 8 0 0 3,4

16 1 5 6 1 2,5

17 0 3 8 2 2,9

18 8 3 2 0 3,6

19 0 1 4 8 3,5

20 0 2 8 3 3,1

45
CONCLUSIONI

Dal “test motivazione” si possono trarre alcune considerazioni


interessanti: gli allievi hanno una percezione molto positiva del proprio
impegno e del proprio modo di porsi nei confronti del tennis;
probabilmente alcuni hanno risposto in base a quello che dovrebbe
essere il proprio atteggiamento mentre in realtà, come si evince dalle
risposte dei propri maestri, l’atteggiamento non corrisponde alla risposta
data.
Molti allievi sono convinti di impegnarsi al 100% anche quando
l’allenamento non va bene, mentre i maestri sostengono che questo
avviene solo alcune volte.
Quasi tutti gli allievi pensano di imparare sempre cose utile in ogni seduta
di allenamento.
Nel set decisivo essendo sotto 5-2 gli allievi si sentono quasi tutti motivati
al massimo impegno senza mai arrendersi, mentre i maestri riscontrano
solo in 3 allievi l’impegno al 100% e per la maggioranza ciò avviene non
spesso.
La metà dei ragazzi sostengono di non abbattersi mai dopo una sconfitta
a differenza dei maestri che sostengono che alcuni di loro spesso si
abbattono.
Molti di loro ritengono di fare sacrifici per eccellere nel tennis,
atteggiamento riscontrato solo in alcuni di essi.
Una personale considerazione importante: quando maestri e allievi
lavorano in sintonia riescono a raggiungere gli obiettivi prefissati più
facilmente, velocemente e con maggior soddisfazione per entrambi. E’
fondamentale che gli allievi si fidino e si affidino all’esperienza e alla

46
competenza dei propri maestri anche quando si fa fatica ad accettare una
visione diversa dalla propria.

47
BIBLIOGRAFIA

Cei A., (1987), MENTAL TRAINING - Guida pratica all’allenamento


psicologico dell’atleta, Ed. Luigi Pozzi

Longoni U., (2016), IL TENNIS E L’ARTE DI ALLENARE LA MENTE - Per


vincere in campo e nella vita, Ed. Franco Angeli

Muzio M., (2004), SPORT: FLOW E PRESTAZIONE ECCELLENTE - Dai


modelli teorici all’applicazione sul campo, Ed. Franco Angeli

Santiglia G., (2016), FLOW TENNIS - La prestazione vincente nel tennis


e nella vita, Ed. Gianfranco Santiglia

Serena C., IL MENTAL TRAINING PER LO SPORT, Ed. Bruno Editore

Trabucchi P., (2007), RESISTO DUNQUE SONO, Ed. Corbaccio

SITOGRAFIA

http://www.supertennis.tv/archivio-news/1100-le-emozioni-da-gestire-in-
campo-e-fuori.html
http://www.supertennis.tv/archivio-news/507-voglia-di-vincere,-allena-
anche-quella.html
http://www.supertennis.tv/archivio-news/401-volere-è-vincere-pensa-
volitivo-in-3-mosse.html

48
49

Potrebbero piacerti anche