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NEUROPSICHIATRIA

Prof. A. Parmeggiani

PROGRAMMA
(bastano appunti e materiale didattico,
in aggiunta è consigliato il libro, scritto dalla prof stessa,
ma non è necessario):

 Sviluppo psicomotorio: p. 1

 Paralisi cerebrali infantili: p. 13

 Patologie neuromuscolari: p. 25

 Disturbi del comportamento alimentare: p. 38

 Disabilità intellettiva: p. 62

 Disturbi dello spettro autistico: p. 74

 Epilessie: p. 87

 [Encefaliti (fuori programma, ma le hanno chieste)]: p.121

Alla fine, sono aggiunti argomenti, presenti nel libro della prof, ma NON in programma (TIC, disturbo da
deficit di attenzione e iperattività, cefalee, disturbi dell’umore).

Fonti utilizzate: SBOBINE 2019-20 + SLIDE + LIBRO PROF + materiale di psichiatria (per DCA) + materiale di
neurologia per epilessie
SVILUPPO PSICOMOTORIO
La NPI si occupa delle patologie neurologiche e psichiatriche del bambino e dell’adolescente (per meglio dire
dell’età evolutiva, 0-18 anni).

Per comprendere la patologia, abbiamo bisogno di conoscere quali sono le tappe di sviluppo normale del
bambino. Il bambino attraversa subito una fase di grandi variazioni, a partire dalla nascita e fino ai 3-4 anni
di vita: in questo periodo, infatti, attraverso un’armonica strutturazione gerarchica degli apprendimenti e
delle acquisizioni motorie, sensoriali, comunicativo-relazionali, il bambino acquisisce diverse competenze.
Quando ci approcciamo a questo tema è ovviamente importante partire considerando l’epoca neonatale
(che si struttura entro il primo mese di vita). Durante la valutazione del bambino nel primo mese di vita, lo
specialista (pediatra, neonatologo, neuropsichiatra infantile) deve tenere presente che lo sviluppo del
sistema nervoso non è ancora completato, soprattutto a livello a livello delle strutture più complesse
(emisferi cerebrali, organizzazione della sostanza bianca…) per cui nel neonato non possiamo aspettarci
competenze sovrapponibili a quelle del bambino più grande. In particolare, le circonvoluzioni cerebrali del
neonato non hanno la stessa complessità di quelle del bambino in età successive e le strutturetelencefaliche
emisferiche non sono sviluppate allo stesso modo. Lo sviluppo non è ancora completo né a livello
dell’organizzazione della sostanza grigia né a livello della sostanza bianca (mielinizzazione, connessioni,
ecc. non ancora completate).
Questo aspetto è molto importante perché, se da un lato ci indirizza verso una serie di caratteristiche che
vedremo di seguito e che possiamo acquisire durante la valutazione neurologica del bambino, dall’altro ci
permette già di affrontare un discorso molto importante, che vedremo poi, riguardante la plasticità cerebrale.
Durante l’età neonatale il bambino apprende tanto e, nel caso in cui si presentino problematiche
neurologiche non esageratamente gravi, la non completa maturazione del sistema nervoso e la sua stessa
plasticità possono permettere al bimbo di vicariare la condizione patologica attraverso l’acquisizione di nuove
competenze. Serve ovviamente un programma di riabilitazione mirato.
Quando si valuta un neonato bisogna considerare alcuni aspetti generali riguardanti lo stato del bambino
che hanno unagrande rilevanza:
- la maturità del bambino e le sue condizioni fisiche (è un bambino prematuro? È nato a termine?)
- lo stato di vigilanza
- la fame/sazietà: il bambino affamato tende ad essere irritabile e a piangere, quello che ha
appena mangiato ed è saziotende ad addormentarsi.

N.B: la visita neurologica di un bambino prematuro può essere complicata dal fatto che magari il bambino è
collegato a varistrumenti, vari presidi che non permettono un’osservazione così semplice. Spesso il bambino
ha ausili per la respirazione, per il monitoraggio della pressione, ecc. che rendono complicata la valutazione.

Si ha una progressione dalla generalizzazione alla specificità dal punto di vista sia anatomico sia funzionale:
- anatomica: integrazione progressiva dei centri che si completa con la mielinizzazione;
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- funzionale: selezione e affinamento dei processi neurofisiologici (sinapsi, soglia di eccitamento, ecc.).
Questa specificità dipende molto dall’esperienza ambientale del bambino. È caratterizzata da una riduzione
della cellularità neuronale del bambino seguita da una maggiore specificità sinaptica. Tutto questo è molto
importante nello sviluppo delle risposte riflesse (ndr. non sono da ricordare tutte, l’importante è capire il
significato di queste risposte). Le reazioni riflesse del neonato sono globali ed interessano più settori
muscolari, sono evocate da stimoli specifici e condizionate dalla maturazione del sistema nervoso, dallo stato
di vigilanza, dalla fame o dalla sazietà e dalle condizioni fisiche del bambino. In epoca neonatale (2-3w dopo
la nascita) si hanno soprattutto a livello motorio risposte globali interessanti più settori muscolari, dunque,
evocate da stimoli specifici:
- Reazioni Esterocettive
- Reazioni Propriocettive
- Reazioni Labirintiche (deboli ed incerte nel neonato)
- Reazioni Complesse
Oltre alle reazioni riflesse, è importante valutare i cosiddetti general movements, cioè la motilità
spontanea del bambino. Sia le reazioni riflesse che i general movements devono essere bilaterali e
simmetrici.

Reazioni esterocettive (reazioni di difesa)


Sono reazioni che lo specialista evoca attraverso la stimolazione di recettori di vario genere.
 Riflesso di suzione e punti cardinali: se si stimola le labbra del bambino (anche con un dito) il
bambino inizia a succhiarlo. Questo riflesso è importante, perché il neonato non ha capacità visive
che gli permettano di riconoscere il capezzolo, e grazie a questo riflesso riesce ad alimentarsi.
 Riflesso pupillare alla luce: quando si stimola l’occhio con la luce si ha una miosi per proteggere la
retina dall’eccessiva luce (reazione di difesa).
 Riflesso di incurvamento del tronco (di Galant): stimolando con una punta smussa il tronco da un
lato il bambino ha un incurvamento del tronco dalla parte del lato stimolato per stimolazione degli
esterocettori cutanei.

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 Riflesso di flessione triplice dell’arto inferiore: stimolando la pianta del piede del bambino con una
punta smussa il bambino flette l’arto inferiore omolateralmente e poi anche controlateralmente.

 Flessione plantare o palmare (prensione): se si stimola la pianta del piede o il palmo della mano
si ha una risposta di prensione.

Reazioni propriocettive
Queste sono le reazioni che interessano i propriocettori (si trovano a livello di tendini, fusi muscolari, capsule
articolari…) e sono:
 Comuni riflessi allo stiramento (masseterino, bicipitale, tricipitale, stiloradiale, radio-pronatore,
adduttori, rotuleo, achilleo)
 Riflesso propriocettivo di flessione dell’arto inferiore controlaterale
 Reazione “di sostegno” propriocettiva degli arti inferiori
 Reazioni propriocettive del collo
 Fenomeno di Klippel-Weil
In questa classe rientrano anche le reazioni labirintiche:
 Reazione di raddrizzamento del tronco sul capo
 Reazione “dell’ascensore”

Immagini (sottostanti)
Reazioni tonico simmetriche (figura A) e tonico asimmetriche (figura B) del collo: questi sono molto
importanti perché in alcune patologie con disfunzioni delle vie piramidali non scompaiono, ma permangono
con limitazione del movimento.
- Nei riflessi tonico simmetrici se noi estendiamo il capo del neonato abbiamo una estensione degli
arti superiori e una flessione degli arti inferiori; se invece flettiamo il capo verso il petto abbiamo una

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flessione degli altri superiori e una estensione degli arti inferiori (figura A).
- Nei riflessi tonico asimmetrici invece se noi giriamo il capo lateralmente abbiamo una estensione
omolaterale dell’arto superiore e inferiore e una flessione dell’arto superiore e inferiore contro
laterale.

Questi riflessi devono essere simmetrici e bilaterali. In condizioni di disabilità come paralisi cerebrali e
spasticità, girare il capo porta una comparsa di un riflesso che limita molto il movimento dell’individuo. Il
riflesso della figura B è anche definito riflesso dello schermidore. È particolarmente importante perché nelle
patologie motorie da interessamento del primo motoneurone molto spesso questi riflessi arcaici persistono
nel tempo se il paziente presenta lesioni cerebrali (mentre con la maturazione cerebrale nel soggetto sano
dovrebbero normalmente scomparire, dal momento che le vie piramidali e la corteccia motoria primaria
raggiungono il loro sviluppo). Ovviamente, questi riflessi limitano moltissimo il bambino, ad esempio durante
l’atto di afferramento: di norma quando siamo interessati ad un oggetto e vogliamo afferrarlo, giriamo il capo
ma i nostri arti non sono necessariamente coordinati con una deviazione del capo con un riflesso di
iperestensione; noi giriamo la testa e afferriamo armonicamente quello che ci interessa. Nel bambino con
una paralisi cerebrale infantile di tipo spastico la deviazione del capo può invece determinare la comparsa di
questo riflesso, limitando in maniera importante la capacità di movimento armonico)

Reazioni complesse
Sono delle reazioni miste, possono essere reazioni esterocettive e propriocettive insieme.
 Reazione del passaggio del braccio: si pone il neonato prono. Il neonato non ha controllo del capo,
perciò il capo sarà girato di lato; il neonato porta al viso l’arto omolaterale al lato in cui è girato il
capo. È bilaterale.
 Reazione di Branco-Lefèvre: si pone il neonato in posizione prona e si spingono le gambe
tipo rana; il bambino si darà una spinta in avanti.

 Riflesso di Moro: sollevando il bambino dal dorso avremo una estensione del capo all’indietro e una
estensione degli arti superiori con divaricazione delle dita.
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 Riflesso dell’automatismo ambulatorio primario
 Prova di raddrizzamento in sospensione verticale
 Prova di attitudine statica degli arti inferiori
 Riflesso di marcia: sostenendo il bambino per le ascelle e appoggiando i piedi del neonato sul piano
inizia a marciare automaticamente. Questa non è la marcia vera e propria ma una risposta riflessa

 Riflesso del gradino (placing reaction): mantenendo il neonato verticale e avvicinando i suoi piedi al
bordo di un tavolo, il bambino solleva il piede e lo mette sopra al tavolo. Deve essere presente
bilateralmente.

Tutte le reazioni viste finora sono reazioni già presenti alla nascita e che scompaiono nei mesi successivi in
relazione allo sviluppo del sistema nervoso. Altre reazioni complesse non presenti alla nascita che si
completano nel primo anno di vita:
 Reazione di Landau: sospensione ventrale del bambino, estensione degli arti superiori e inferiori.
Se si flette il capo, si ha flessione degli arti inferiori e superiori.

 reazione “paracadute”
 reazione “alla trazione”
 reazione di Vojta
 reazione di Collis, orizzontale e verticale

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Questa tabella (sotto) mostra a quali età scompaiono o appaiono i vari riflessi.

Questo avviene perché abbiamo una maturazione delle zone corticali e sopramesencefaliche. Per esempio
l’incurvamento del tronco scompare ai 3 mesi, il riflesso di Moro (complessa) è presente dalla nascita ma
scompare ai 6 mesi; la triplice flessione va avanti fino al 10 mese; il riflesso del gradino scompare attorno ai
9 mesi (il bambino inizia a gattonare a 8-9 mesi); la marcia automatica scompare attorno ai 7 mesi; la reazione
a trazione comincia a comparire attorno ai 3 mesi; la reazione di Landau attorno ai 4 mesi; i riflessi tonico
cervicali appaiono e scompaiono attorno ai 6 mesi di vita. La mancanza o la persistenza oltre il tempo previsto
Non è importante sapere quando appaiono e compaiono questi riflessi, ma è importante sapere che ci sono
delle risposte tipiche del bambino che poi scompaiono e compaiono nel tempo.

General movements
- Sono attività motorie spontanee (non in risposta a stimoli esterni) del neonato.
- Sono movimenti globali e complessi, che interessano tutto il corpo (tronco, capo e arti senza una
sequenza specifica).
- Questi iniziano in epoca prenatale, attorno all’8° settimana di vita fetale (movimenti che vengono
percepiti dalla madre).
- Hanno un inizio e una fine graduale (effetto eleganza e fluenza), con durata variabile (da pochi
secondi ad alcuni minuti), si manifestano soprattutto durante la veglia e vengono valutati per
diagnosi precoce di problematiche di tipo motorio legate a lesioni encefaliche, per esempio, date da

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situazioni di ipossia. Naturalmente devono essere valutati per un periodo abbastanza lungo
(videoregistrazione di almeno un’ora).

Vengono classificati a seconda delle loro caratteristiche in:


 Neonato a termine sano: caratteristiche di “writhing” (lenti, limitati per attività tonica di fondo)
 8-12 settimane: caratteristiche di “fidgety” (più rapidi e irregolari)
 Dopo l’8 settimana:
o “Swiping movements” (movimenti rapidi verso l’alto e indietro arti superiori)
o “swattings movements” (movimenti rapidi verso il basso e in avantiarti superiori)
Quando i movimenti non sono armonici, fluidi ma poveri, scattanti, rigidi, crampiformi, monotoni, con
inizio e fine brusca dobbiamo pensare a una condizione patologico. Se ne riconoscono due pattern principali:
 Cramped Synchronized → evoluzione sfavorevole
 Poor repertoire → sequenza di movimenti povera e monotona, meno patologica della precedente

Si passa ora allo sviluppo motorio, sensoriale, comunicativo e relazionale nei primi 4 anni di vita, che sono i
più importanti dal punto di vista della maturazione di questi aspetti. Questi argomenti verranno trattati
separatamente, ma chiaramente avvengono contemporaneamente e vanno immaginati l’uno strettamente
legato all’altro (esempio: l’autonomia motoria del bambino va di pari passo con il suo sviluppo visivo).

Sviluppo motorio

0-6 settimane
Epoca neonatale. I movimenti degli arti e del tronco sono dominati da riflessi primari (es. marcia autonoma,
riflesso di Moro, riflesso del gradino, riflessi tonico simmetrici e asimmetrici…) e sono presenti i general
movements. Il bambino non ha controllo del capo, quindi
 Prono: il capo è posto di lato per liberare le narici e il braccio omolaterale vicino al viso (segno del
passaggiodel braccio), le anche sono flesse, le ginocchia sono sotto l’addome, braccia vicine al torace,
mani chiuse a pugno.
 Supino: riflesso tonico asimmetrico del collo (detto anche riflesso dello schermidore) con capo da un
lato e arti estesi dallo stesso lato e flessi dal lato controlaterale.
 Portato a sedere: caduta del capo all’indietro.
 Colonna vertebrale con ampia e unica curva.
 Riflessi di piazzamento e marcia automatica.

Reazione di trazione (figura centrale): se solleviamo le braccia del bambino non ha capacità di sostenere il
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capo. Nonc’è controllo del capo e del tronco. In questa fase questa reazione non è presente, inizia a comparire
al terzo mese. In posizione seduta si ha un incurvamento del bambino, che non ha controllo di capo e di
tronco (figura a destra) con un’ampia e unica curva.

6 settimane-3 mesi
Dalle 6 settimane di vita ai 3 mesi c’è una tappa di acquisizione del controllo del capo. Il capo non sarà più
girato di lato ma avrà un orientamento in linea col tronco. Inoltre, inizierà a guardare e giocare con le mani
(migliora la capacità visiva). Ne consegue che:
 Prono: solleva il mento dal piano del tavolo, anche e ginocchia estese, solleva il capo appoggiandosi
sugli avambracci.
 Supino: il capo è sulla linea mediana, gli arti si muovono simmetricamente, mani aperte e gioca con
le dita.
 Portato a sedere: capo non cade all’indietro, curvatura della colonna solo a livello lombare.
 In posizione eretta tende a flettere le ginocchia.
 Se tenuto in braccio terrà il capo eretto.

Reazione di trazione debolmente presente, anche se non c’è controllo del tronco ma solo del capo che segue
in ritardo il movimento del tronco. (immagine 2 e 3).

3-6 mesi
Il bambino acquisisce il controllo del tronco. Inizia a muovere e giocare coi piedi (figura 1). Reazione di
trazione presente, riesce a sollevare il capo e a contrarre i muscoli del dorso (figura 2). Ne consegue che:
 Prono: solleva il capo e il tronco sul palmo delle mani (figura 4) fino ad arrivare (a 6 mesi) ad
appoggiarsi sulle palme delle mani e sulle braccia estese.
 Supino: alza la testa dal cuscino, stende la mano per prendere i giocattoli, alza le gambe in verticale
e afferra i piedi. Tende le braccia per essere sollevato.
 Portato a sedere: aiuta la manovra contraendo i muscoli delle spalle. Il tronco e diritto con controllo
del capo. Siede con appoggio (5 mesi e mezzo).
 In piedi: sostiene il peso con le gambe estese e saltella.

Compare una prima reazione del paracadute: quando il bambino viene spostato rapidamente dal basso
verso l’alto, il bambino apre braccia e gambe (figura 6). Questo è la prima reazione di paracadute,
successivamente ce ne saranno altre.

6-9 mesi
A quest’età il bambino comincia a spostarsi e il primo movimento autonomo è rappresentato dal
rotolamento, ovvero spostamento dalla posizione prona alla posizione supina e viceversa. Questo
spostamento deve essere fisiologicamente presente bilateralmente perché se lo spostamento è solo da una
parte vuol dire che l’altra è incapace di creare la spinta: potrebbe già essere un primo segnale di una
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problematica motoria come l’emiparesi (discorso che verrà ripreso più avanti).
 Prono: cerca di andare a carponi (7-8 mesi), si rotola.
 Supino: gioca con le mani e con i piedi.
 Seduto: il bambino comincia a stare seduto da solo (8 mesi), prima impara a stare seduto con
sostegno e poi riesce a stare seduto da solo e ad afferrare i giocattoli sul piano.

Il bambino può inoltre iniziare una marcia quadrupedica cioè ad andare a carponi, incomincia ad alzarsi dal
piano e mostra la manovra del paracadute in avanti (a 7 mesi): se teniamo seduto un bambino, lo
prendiamo per il tronco e diamo una piccola spinta in avanti il bambino estende gli arti superiori per pararsi
dall’eventuale caduta. Questo riflesso è una reazione complessa che compare in questo momento dello
sviluppo e non prima perché è proprio da questo momento che il bambino è in grado di stare seduto da solo
e quindi deve essere in grado di pararsi; si distinguono il paracadute in avanti, il paracadute laterale, il
paracadute posteriore.

9-12 mesi
Il bimbo è molto più autonomo: è in grado di girare su sé stesso, di sporgersi di lato. Una cosa molto
importante è che è interessato agli oggetti e se l’osservatore nasconde i giocattoli il bambino è in grado di
spostarsi per cercarli e prenderli. Si mette a sedere da supino (12 mesi), compie una marcia quadrupedica e
comincia a mettesi in piedi e a camminare per mano. La marcia viene appresa fisiologicamente in
quest’epoca della vita, dai 9 ai 15 mesi, se l’acquisizione è più tardiva succede bisogna pensare che ci possa
essere un ritardo motorio.

12 mesi-3 anni
 12–15 mesi: Il bambino inizia a camminare da solo a base allargata a braccia alzate prettamente per
un problema di equilibrio; la marcia non è la marcia del bambino più grande con l’oscillazione
pendolare degli arti superiori ma è una marcia a guardia medio-alta, come se fosse un funambolo che
cammina sulla corda e ha sulle spalle l’asta per mantenere l’equilibrio. Incomincia a salire le scale a
carponi ma non le scende.
 15–18 mesi: Il bimbo cammina bene, corre, riesce a camminare su per le scale se tenuto per mano
(18 mesi), si alza da solo. Tira su i giocattoli dal pavimento senza cadere, si alza da solo, sale da solo
le scale appoggiandosi al muro.
 3 anni: è in grado di scendere le scale poggiando entrambi i piedi sullo stesso gradino mentre le sale
alternando i piedi con e senza appoggio.

Sviluppo della competenza visiva


La competenza visiva è la ricezione da parte dell’occhio dei modelli mobili e statici della luce, dell’ombra, del
colore e trasmissione dei modelli al lobo occipitale.
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Neonato:
- riprendendo quanto detto per le risposte esterocettive presenti in epoca neonatale, il neonato ha le
pupille reagenti, infatti la miosi è una risposta esterocettiva di difesa alla stimolazione luminosa e
anche le palpebre si chiudono quando la luce è molto intensa.
- Per esplorare la competenza visiva del neonato durante una valutazione neurologica, ammettendo
che il neonato abbia la percezione della luce e dell’ombra e non abbia una percezione degli oggetti
se non per brevissimo tempo o molto vicino, si valuta la capacità di volgere lo sguardo (non di
girare il capo perché non ne ha ancora il controllo) verso una sorgente luminosa. Si parla a questo
proposito di riflesso dell’occhio di bambola, in analogia con le bambole di porcellana che girando la
testa da una parte hanno gli occhi che vanno in senso contrario e poi tornano sulla linea mediana;
per valutarlo basta con una pila, con cui si può valutare anche la miosi, passare la luce davanti agli
occhi del bambino, il quale segue la luce perché ha la competenza solamente di poter percepire le
variazioni di chiaro/scuro  il bambino segue con gli occhi una luce diffusa
- Inoltre, segue per breve tempo una pallina pendula fino a 15-25 cm di distanza.
- Intorno al mese di vita (3w) o poco dopo il bambino inizia a guardare il volto materno, il volto del caregiver,
il volto di chiunque, chiaramente a delle distanze molto ravvicinate, perché è interessato al volto in generale,
non è in grado di differenziare di chi è. Questa è una risposta relazionale molto importante, la seconda
risposta relazionale dopo la prima che è rappresentata dal pianto con cui manifesta un disagio. Guarda il
volto e sorride al volto, non sorride al volto necessariamente solo della madre ma sorride a qualunque volto
riesca a vedere. Se un bambino non guardasse il volto potrebbe avere un problema visivo, un problema di
ritardo importante, un problema relazionale precoce, quindi questa è una risposta molto importante rispetto
all’evoluzione.

1-3 mesi:
- Il bimbo guarda il volto umano e inizia a seguire meglio piccoli oggetti che vede [muoversi] di fronte
(segue per più tempo, ad esempio, la pallina pendula).
- Se sostenuto inizia a girare la testa, avendo acquisito a 3 mesi il controllo del capo, a guardare
l’ambiente circostante.
- Compare l’ammiccamento di difesa alla quarta-sesta settimana quando l’adulto parla e mette
rapidamente la mano di fronte al volto del bambino
- incomincia (dai 3 mesi) ad avere la convergenza dei globi oculari per giocare con le dita.

4-6 mesi
- Ha una competenza visiva migliore, infatti comincia a seguire in tutte le direzioni la pallina che gli si
muove davanti e dato che a 6 mesi riesce a stare seduto, se non da solo almeno con appoggio, guarda
oggetti che sono sul piano dove è seduto e cerca di afferrarli, li raggiunge, li guarda (guarda le piccole
pastiglie sul tavolo e si avvicina ad esse con la mano. Cerca di raggiungere i giocattoli, li afferra e li
guarda).
- Scompare lo strabismo fisiologico e compare una visione binoculare.

7-12 mesi:
È in grado di afferrare anche i piccoli oggetti (afferra pastiglie tra indice e pollice) si interessa agli oggetti
nascosti e si può spostare per cercarli.

1-2 anni:
Acutezza visiva piena, proprio in quest’epoca di vita in cui il bimbo riesce a spostarsi con la deambulazione.
Afferra piccoli oggetti e fili.

Sviluppo delle capacità uditive


Facilmente si possono esplorare le capacità uditive con un campanellino o con un mazzo di chiavi fatto
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oscillare vicino all’orecchio del bambino: girerà gli occhi verso la sorgente sonora. La capacità uditiva è ancora
più rapida della capacità visiva:
 0-3 mesi: occhi deviati in corrispondenza della sorgente sonora.
 4-6 settimane di vita incomincia a volgere lo sguardo verso l’adulto che gli parla da vicino;
 8-10 settimane quindi intorno ai due mesi/due mesi e mezzo incomincia a riconoscere i suoni
familiari ambientali (cucchiaio nella tazza)
 4-7 mesi incomincia ad avere una buona localizzazione uditiva (rispetto alla voce attenuata); questo
è in corrispondenza, dal punto di vista comunicazione-verbale, con la vocalizzazione spontanea
intorno ai 3-4 mesi e con l’inizio della lallazione o babbling ovvero sillabbare “pa-pa-pa ma-ma-ma”
intorno ai 6-7 mesi. È importante sottolineare che la lallazione non corrisponde alla prima parola, è
una fase precedente.
 8-12 mesi: localizza i suoni a distanza, incominciano ad esserci le prime parole per strutturare
successivamente il linguaggio. Le prime parole dette a 12 mesi sono infatti generiche, il bimbo inizia
a dire “mamma” ma non è ancora una parola richiestiva
 14-15 mesi: il bambino comincia a desiderare qualcosa e lo richiama con una parola vocalizzata
“pappa” “acqua” che sta ad indicare appunto che vuole la pappa, è una parola richiestiva. Parole
riconoscibili in contesto corretto.
 20-22 mesi: è in grado di pronunciare semplici frasi unendo le parole tra di loro. “mamma pappa”
vuol dire “mamma voglio la pappa”
 3-4 anni: si arriva a completare la frase e il bimbo parla correttamente. Si raggiunge una
strutturazione con articolo, soggetto, verbo, complemento oggetto.

La capacità uditiva procede molto rapidamente mentre la capacità comunicativa verbale procede più
lentamente, essendo probabilmente una delle funzioni più complesse rispetto a quelle che sono le nostre
capacità psico- intellettive o cognitive, ed è strettamente legata a quella che è l’acquisizione sensoriale
uditiva.

Sviluppo della comunicazione


A livello di comunicazione non vi è solo una componente verbale ma vi è anche una componente relazionale,
in parte intravista quando si è parlato del pianto, l’unico modo di comunicare precocemente già in epoca
neonatale, successivamente lo sguardo al volto e il sorriso al volto che inizia a comparire verso 1 mese/1.5
mesi. Il sorriso al volto è molto importante e indifferenziato nel senso che il bambino non è in grado di
riconoscere madre, padre, zio, amico ma riconosce il volto.
 Quindi: 0-3 mesi: piange, sorride (4-6w) con vocalizzazione di risposta (dalle 6w)
 Da 3 a 6 mesi il bambino ha tutta una sua modalità comunicativa più strutturata [rispetto al periodo
precedente] dalla vocalizzazione, dal riconoscimento delle persone, dal piangere se si sente a disagio,
dal gridare per richiamare l’attenzione, ridacchia.
- Risponde allegramente a chi gli si presenta.
- Vocalizza.
- Piange se è a disagio.
- Grida per attirare l’attenzione.
- Ridacchia.
 Dai 6–12 mesi
- si verifica la reazione d’angoscia dell’estraneo (8 mesi) ovvero il bambino inizia a piangere
quando vede persone che non conosce mentre è molto contento e sorride affettuoso con
i familiari.
- Risponde se sente chiamare il suo nome
- inizia la lallazione da solo o con gli altri
- riconosce gli oggetti che lo riguardano,
- richiama l’attenzione per situazioni che lo interessano.

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 12–18 mesi inizia a comprendere piccole istruzioni, a borbottare e dire le singole parole (14 mesi),
poi via via aumentala strutturazione avvicinando due parole,
 1.5-2.5 anni. Uso di parole-frase, chiacchiera. Comincia a porre domande.
 2.5-4.5 anni: usa correttamente i pronomi (grammatica corretta a 4 anni), pone domande,
vocabolario più ampio, si impegna in giochi di finzione.

Col tempo si struttura la frase fino ad avere intorno ai 2 anni di vita la comparsa del gioco simbolico detto
anche gioco di finzione o imitazione. A questa età il bambino ha un vocabolario più ampio. Ha iniziato anche
a puntare il dito e ad indicare. Il pointing viene acquisito prima dell’anno di vita ed è distinto in due fasi:
- una prima fase in cui è presente un proto-imperativo che vuol dire “voglio quello”
- una seconda fase un proto-dichiarativo dove il bambino condivide l’oggetto con l’adulto nel senso
“guarda quello, lo condivido con te”.
Un altro aspetto importante della condivisione è lo sguardo triangolare che compare prima dell’anno in cui il
bambino guarda un oggetto e guarda il genitore o un caregiver per condividere l’oggetto in questa
“triangolarità”. Tutte queste sono reazioni molto importanti che compaiono fisiologicamente in quest’epoca
della vita e se non dovessero comparire preluderebbero una possibile patologia come una disabilità
intellettiva grave o un disturbo relazionale grave. È importante conoscerle perché sono situazioni che è bene
che già i pediatri cerchino di individuare nelle prime visite per eventualmente segnalarle al neuropsichiatra
infantile nel caso che il bambino abbia problematiche di questo tipo.

N.B. nel caso di neonato con cecità o problemi uditivi subiscono delle ripercussioni i vari sviluppi? Certo, un
neonato con cecità o problemi uditivi può avere un problema di ritardo nelle acquisizioni motorie e un
bambino con problemi uditivi potrebbe avere un ritardo nell’acquisizione del linguaggio, un problema
relazionale.

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PARALISI CEREBRALI INFANTILI (PCI)

Le paralisi cerebrali infantili (PCI) sono definite anche encefalopatie infantili non evolutive.
- La nuova definizione è stata introdotta per evidenziare che in queste patologie non sempre si ha
mancanza del movimento (paralisi = mancanza totale del movimento, paresi = mancanza parziale
del movimento). Interessano il 1° motoneurone delle vie motorie principali: la via piramidale, la
via extrapiramidale e la via cerebellare.
- La seconda definizione è stata coniata quindi per utilizzare un termine diverso da “paralisi”, ma la
terminologia più utilizzata rimane ancora PCI.
Ribadendo il concetto: questi disturbi possono presentare mancanza del movimento oppure presenza di
movimenti abnormi che parassitano il movimento normale oppure presenza di un problema che riguarda
l’equilibrio, la coordinazione del movimento come succede nelle forme che interessano prevalentemente il
cervelletto o sistema olivo-cerebellare.

Cenni Storici e definizione


Definizione più utilizzata: Turba persistente ma non immutabile della postura e del movimento dovuta ad
alterazione della funzione cerebrale insorta per cause pre-peri-postnatali, prima che si completi la crescita e
lo sviluppo del SNC del bambino (Bax, 1964)
Si analizzano di seguito gli elementi centrali di questa definizione:
- Persistente perché i neuroni del sistema nervoso centrale una volta che vengono lesionati non si
rigenerano, per cui la lesione persiste e determina un quadro che non si rigenera. La lesione cerebrale
si manifesta come perdita di tessuto cerebrale.
- Non immutabile: questo aspetto è legato a due variabili, da un lato la vicariazione del tessuto
cerebrale circostante alla lesione o delle aree cerebrali controlaterali grazie al fenomeno della
plasticità cerebrale. In epoca precoce il tessuto cerebrale è plastico proprio perché non è
completamente maturato e definito e quindi questa plasticità permette il vicarimento delle funzioni
perse nelle aree dove vi è stata perdita di materiale cerebrale. Dall’altro lato l’aspetto di non
immutabilità è legato alla crescita dell’individuo poiché parlando di PCI ci si riferisce in particolare
alla postura e al movimento e [trattandosi di bambini] il corpo cambia nel corso del tempo, le
capacità motorie si sviluppano, il peso corporeo aumenta, c’è un grande cambiamento legato anche
alla crescita del corpo.
- Alterazione della funzione cerebrale, quindi condizioni che alterano il SNC, che si verificano per noxe

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patogene in epoca pre- (durante la gravidanza), peri- (in prossimità del parto) e post-
(immediatamente dopo il parto) natali.
- tutto questo si manifesta prima che il SNC abbia raggiunto il suo completo sviluppo: questo è molto
importante perché se ci sono possibilità di recupero sono legate alla plasticità cerebrale e alla
diagnosi precoce. Per fare una diagnosi precoce per un problema come questo posturale-motorio (si
vedrà successivamente che non è solamente un problema posturale motorio), è fondamentale
conoscere quali sono le tappe dello sviluppo psicomotorio del bambino che indicano cosa l’individuo
dovrebbe acquisire fisiologicamente nei primi 3-4 anni di vita.

Ricapitolando, la lesione cerebrale porta alla perdita della funzione del tessuto cerebrale lesionato ma vi è
la possibilità di vicariazione dalle aree limitrofe o dalle regioni controlaterali che permettono di vicariare
quelle che sono le funzioni. Si definiscono turbe persistenti ma non immutabili proprio perché una diagnosi
precoce permette un intervento riabilitativo precoce, senza dimenticare però che le capacità sono legate
anche alla crescita del corpo, anche per la progressiva caratterizzazione di alcune deformità del corpo che si
possono vedere in queste condizioni. Queste condizioni sono dovute a noxe patogene pre-/peri-/post-natali
che non necessariamente sono solo pre- o peri-o post-, spesso possono essere anche associate tutte e tre le
condizioni soprattutto nelle forme più gravi. Di questa problematica si occupano i neuropsichiatri infantili, i
fisiatri, gli ortopedici, e nell’ambito delle professioni sanitarie altre competenze importanti sono quelle del
fisioterapista, logoterapista, logopedista, l’ortottista ed anche l’educatore professionale.

Altre definizioni:
- “On the influence of abnormal parturition, difficult labor, premature birth and asphyxia neonatorum,
in the mental and physical condition of the child expecially in relation to deformities” (1843-1861
William JLittle)
- “Cerebral palsy of children” (Osler, 1889)
- “A disorder of movement and posture due to a defect or lesion of the immature brain” (Bax, 1964)

Questa problematica era già conosciuta nel 1800, quando William J Little descrisse l’influenza dei parti
complicati, dei travagli difficili, della nascita prematura, dell’asfissia dei neonati sulla presenza di patologie
mentali e fisiche e deformità. A quel tempo le gravidanze venivano seguite senza tutte le metodiche di oggi e
il parto avveniva a casa, per cui c’erano delle complicanze di parto molto più importanti. Nel 1889 Osler
coniugò il termine di cerebral palsy of children, utilizzato ancora adesso, e Bax nel 1964 parlò di undisturbo
del movimento e della postura dovuto a difetti o lesioni del cervello immaturo. Per postura si intende la
posizione del corpo nello spazio.

Epidemiologia

Vi è una ricorrenza nella popolazione generale dello 0.2-0.7%; un’incidenza di 1.8-2.5 bambini ogni 1000 nati
vivi, secondo il paper di Blair del 2010. Confrontando questi dati con quelli di Nelson e Grether del 1999 che
descrivevano una frequenza di 1.0-2,5/1000 nati vivi, si vede come dal 1999 al 2010 si è rimasti all’incirca
nella stessa condizione; inoltre, Patelli e collaboratori nel 2019 parlano di 2-3/1000 nati vivi rimanendo
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sempre nello stesso arco di frequenza.
Ci sono chiaramente delle diversità a seconda di chi studia e delle aree geografiche (laddove l’assistenza alla
gravidanza e al parto non sono ben strutturate come adesso). Bottons che condusse un lavoro nel 1999 nelle
province di Padova e Rovigo dal 1965 al 1989 trovò una prevalenza dello 0.2% quindi la stessa che trovava
Blair nel 2010. Concludendo, questa patologia si mantiene abbastanza stazionaria nel corso del tempo,
manifestando un lieve aumento negli ultimi anni nonostante oggi si intervenga con un parto cesareo laddove
vi siano delle condizioni di mal posizione del feto e nonostante vi sia un monitoraggio della gravidanza molto
più sensibile; tale incremento è dovuto alla possibilità di maggiore sopravvivenza di gravi prematuri o di
bambini con basso peso grazie a capacità maggiori e manovre rianimatorie molto strutturate, mentre in
passato probabilmente questi bambini, esposti a maggiore rischio di sviluppare queste patologie, morivano.

Eziologia
Cause prenatali
Tra le cause prenatali vi sono alcuni fattori eziologici ereditari genetici, meno frequenti, e i fattori acquisiti
che invece sono molto più frequenti. I fattori acquisiti in epoca prenatale sono:
esposizione a radiazioni;
- infezioni virali e non nel complesso TORCH ovvero Rosolia, Herpes Simplex, Citomegalovirus,
Toxoplasmosi;
- carenze alimentari gravi durante la gravidanza;
- l’utilizzo di farmaci in gravidanza che per alcune donne sono necessari come antiepilettici o
antipsicotici e l’abuso di farmaci o droghe;
- anossia fetale dovuta ad esempio ad alterazioni della placenta, infarti, scollamento della placenta,
mal posizione della placenta;
- condizioni gravi emorragiche materne che chiaramente portano una condizione di anossia
prolungata nel tempo;
- incompatibilità di gruppo materno-fetale;
- diabete;
- gestosi gravidica.
Molto spesso si è visto anche quanto non sia tanto la prematurità, quanto il mantenere un feto in un contesto
ambientale uterino poco soddisfacente che può portare ad una problematica di questo genere. Quindi, a
parità di rischio, è meglio a questo punto far nascere il bambino e “renderlo prematuro” piuttosto che lasciare
il piccolo in un ambiente poco idoneo; questa situazione viene normalmente monitorata durante la
gravidanza con le ecografie periodiche e con la valutazione della crescita del feto.

Cause perinatali
- prematurità [che può portare a] distacco placentare quindi emorragia/anossia;
- post-maturità: non riuscire a concludere la gravidanza nei tempi congrui porta il bambino a
mantenersi in ambiente uterino in una condizione di insufficienza placentare;
- fattori meccanici ovvero traumi dovuti a travagli prolungati, parti complessi e traumatici, condizioni
che oggigiorno possono essere by-passate dall’utilizzo del taglio cesareo in maniera immediata;
- condizioni di anossia o asfissia al momento della nascita per incapacità polmonare di respirare,
dovuta ad esempio all’aspirazione di liquido amniotico, oppure per la presenza di ostruzioni
respiratorie a causa, per esempio, del funicolo ombelicale avvolto attorno al collo, o ancora per la
presenza di depressione dei centri respiratori per anestesia materna o per patologia delle membrane
ialine. Queste condizioni a livello cerebrale possono portare a quadri anatomomo-patologici
caratteristici:
 leucomalacia periventricolare caratterizzata da necrosi della sostanza bianca (di vario grado
e localizzazione) che porta ad un quadro severo con formazione di cisti periventricolari
 necrosi focale o multifocale con formazioni poroencefaliche
 emorragia intraventricolare (matrice germinale sub-ependimale) con possibile evoluzione
in idrocefalo
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Tutte condizioni che non permettono un’ossigenazione polmonare che permetta un’ossigenazione encefalica
corretta possono essere responsabili di PCI.

Cause postnatali
- problematiche encefalico-infiammatorie meningee
- traumi
- lesioni vascolari
- intossicazioni

Si è visto che, tra tutte le condizioni citate, quelle più frequenti agiscono dopo il 5° mese di gravidanza o in
epoca perinatale. A volte i fattori lesionali prenatali rimangono sconosciuti
Non è detto che ci sia solo una causa prenatale o perinatale o postnatale, molto spesso infatti possiamo
trovare tuttee tre le cause insieme o due su tre. Questo per dire come la ricorrenza della patologia tende ad
essere inversamente proporzionale all’età gestazionale: più l’età gestazionale è precoce più vi è rischio
elevato di ricorrenza di PCI, con un’incidenza di 63/1000 nati vivi prima delle 28 settimane di gestazione, e di
0.9/1000 nati vivi se nasce dopo le 37 settimane di gestazione, quindi quando si arriva ad un numero di
settimane gestazionali normali (la prematurità è il fattore più importante).
Un altro aspetto importante da sottolineare è il fatto che, nonostante la prematurità sia sicuramente un
fattore predisponente la comparsa della patologia, soprattutto se si tratta di gravi prematuri o di bambini
molto sottopeso, anche il rimanere in un ambiente uterino inadatto di un bambino che non nascerebbe
prematuramente potrebbe comunque essere un fattore predisponente per la patologia. Proprio per questo
motivo, quando si controlla il feto e si vede che si mantiene con scarsa crescita, poiché potrebbe essere un
feto sofferente per qualche problema vascolare o altre malformazioni, si predilige una nascita precoce per
allontanare il feto da un ambiente uterino inadatto.

Sintomatologia
Nelle paralisi cerebrali infantili la sintomatologia è per lo più motoria, legata ad una disfunzione del SNC;
esistono altre patologie neuromuscolari, di cui si farà accenno nel prossimo capitoloi, che interessano altri
sistemi più periferici come il secondo motoneurone o il nervo o la giunzione neuromuscolare o il muscolo.
Nelle paralisi cerebrali infantili spesso vi sono altri sintomi associati:
 turbe sensitive o sensoriali, quindi problematiche uditive e visive;
 difetto intellettivo o altre problematiche di tipo neuropsicologico;
 disturbi del linguaggio;
 crisi epilettiche o epilessia;
 disturbi emozionali, spesso secondari al difetto motorio perché alcuni soggetti che non sono o sono
solo lievemente compromessi dal punto di vista intellettivo si possono rendere conto della disabilità
e della mancanza di autonomia che gli impediscono di giocare o fare sport come gli altri bambini.

Classificazione
Classificazione in base al disturbo motorio (anatomo-funzionale)
La prof invita a rivedere l’aspetto anatomico e fisiologico di questi sistemi di moto: il sistema piramidale,
il sistema extrapiramidale e il sistema cerebellare, perché sono quelli maggiormente interessati da queste
disfunzioni.
 forme spastiche, dove prevalgono i disturbi del sistema di moto piramidale
 disturbi di tipo discinetico-atetosico in cui è principalmente coinvolto il sistema di moto del sistema
extrapiramidale. Sono proprio queste le vie dove definire paralisi o paresi è disfunzionale, perché in
questo insieme di disturbi sono comprese sia forme dove si verifica una variazione di tono, distinte
in ipotoniche o ipertoniche, sia forme in cui c’è una paralisi, ad esempio quando si tratta di una forma
distonica (nella distonia c’è una infatti una co-contrazione dei muscoli agonisti e antagonisti che porta
a mancanza del movimento), ma anche tutte le altre forme in cui potrebbe esserci un tremore, un
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mioclono, una corea, un ballismo, quindi non c’è paralisi ma piuttosto una discinesia, la comparsa di
un disturbo del movimento. Si classificano quindi in:
- ipertoniche
- non ipertoniche
- distoniche
- con tremore
In queste forme extrapiramidali spesso vi è un ipotono o un ipertono a seconda della patologia, ad
esempio nella corea vi è ipotonia, in una forma disfunzionale parkinsoniana c’è più una forma di
rigidità con ipertono. Spesso succede inoltre che vengano coinvolti entrambi i sistemi di moto dando
origine a forme miste piramido-extrapiramidali (paralisi rigide: disturbi extrapiramidali ipertonici o
ipertonie miste piramido- extrapiramidali)
 Nelle forme atassiche invece c’è prevalentemente un problema di equilibrio, di non coordinazione
del movimento, quindi una condizione prevalentemente cerebellare.
 Forme atoniche: l’ipotonia può essere un segno di esordio di diversi tipi di PCI.
 Forme non classificabili

Classificazione in base alla distribuzione topografica


Altra modalità di classificazione in base alle zone, agli arti coinvolti:
 monoplegia o monoparesi se è coinvolto un unico arto, molto rara;
 paraplegia (diplegia) o paraparesi se sono coinvolti solamente gli arti inferiori bilaterale e
simmetrica spesso coinvolgimento lieve anche degli arti superiori. Un esempio è rappresentato dal
morbo di Little, dal nome di colui che lo descrisse per la prima volta. Potrebbero essere interessati
solo gli arti inferiori ma potrebbe esserci anche un minimo interessamento degli arti superiori, come
ad esempio una condizione di iperreflessia senza che ci sia una problematica evidente agli arti
superiori. La postura della diparesi o paraparesi in un soggetto che ha un interessamento solo degli
arti inferiori è caratterizzata da ipertono flessorio, a parte l’iperestensione distale a livello tibio-
tarsico;
 emiplegia o emiparesi quando è interessato un emilato corporeo, di solito di tipo spastico, ma anche
atetosico e atassico. Nell’emiparesi la postura è caratterizzata da un ipertono flessorio emicorpale;
 triplegia (paraplegica + emiplegica) quando sono coinvolti i due arti inferiori e un arto superiore.
Non possono essere coinvolti due arti superiori e uno inferiore per una questione topografica: nella
disposizione dell’homunculus motorio, nell’area motoria encefalica, i piedi sono vicini e poi via via si
trova la rappresentazione somatomotoria del volto e della mano.
 Tetraplegia o tetraparesi si verifica quando sono interessati tutti e quattro gli arti, teoricamente
dovrebbero essere interessati tutti allo stesso modo ma spesso non è così. La postura classica del
soggetto affetto da tetraparesi è un ipertono flessorio ed estensorio distale con equinismo dei piedi.
 Doppia emiparesi o emiplegia quando sono coinvolti entrambi gli emilati corporei ma in condizioni
di gravità differente. (2 lati/ emiplegia bilaterale, disturbo piramidale)

Reazioni toniche cervicali asimmetriche dette “dello schermidore”

Nell’immagine sovrastante è rappresentato il riflesso tonico asimmetrico del collo che viene mantenuto
nell’individuo affetto da una tetraparesi o una tetraplegia, quindi la motilità spontanea è molto molto
inficiata e il bambino non riesce ad afferrare gli oggetti girando il capo.

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Classificazione sulla base dei sintomi clinici
Le forme spastiche sono caratterizzate da almeno 2 delle seguenti caratteristiche:
- Pattern posture e/o movimento anormale
- Aumento del tono (non necessariamente costante): un ipertono spastico quindi un aumento del
tono che non è rigido come nelle forme extrapiramdali e che pertanto cede (reazione del coltello
a serramanico);
- riflessi patologici: segni piramidali (cioè una iperreflessia dei riflessi osteotendinei profondi), il segno
di Babinski; una limitazione del movimento; un’ipotrofia muscolare e una riduzione della forza,

È una condizione che si manifesta o a tutti e quattro gli arti o unilateralmente. Le PCI spastiche sono
caratterizzate almeno due tra:

Le forme cerebellari - atassiche sono caratterizzate dalla presenza di:


- Problematiche di equilibrio: pattern postura e/o movimento anormale
- Mancanza di coordinazione muscolare (movimenti non armonici per la forza, ritmo e accuratezza):

Le forme discinetiche-atetosiche extrapiramidali sono caratterizzate:


- Pattern postura e/o movimento anormale
- movimenti stereotipati, involontari, incontrollati, ricorrenti, occasionali (come ad esempio corea,
tremore, mioclonia)
- ipocinesia o mancanza del movimento se abbiamo una forma distonica con una co-contrazione dei
muscoli agonisti e antagonisti (ipertonia)
- ipercinesia o ipotonia come nella coreo-atetosi
I riflessi in questo caso sono normali, il riflesso profondo di Babinski è negativo.

(altra possibile domanda d’esame è spiegare il segno di Babinski) [NdR: Tinuper boccia chi parla di “Babinski
positivo”: la dicitura corretta sarebbe “Stimolo Cutaneo Plantare positivo per Babisnki” – i.e. “positivo in
flessione”. Pertanto, l’assenza di un segno di Babinski corrisponde ad uno SCP positivo ma normale]
[Da Muccioli: nei riflessi superficiali invece uno stimolo cutaneo/mucoso stimola ancora una volta fibre una
Ia, ma il circuito attivato utilizza una via multisinaptica, con il risultato che non si hanno movimenti rapidi e
bruschi come quelli del riflesso osteotendineo. Uno dei più valutati è il riflesso cutaneo-plantare, in cui si
strofina la pianta del piede con una punta smussa, e ciò normalmente determina una flessione di alluce e
dita. Supponendo invece ci sia una lesione periferica, con deficit sensitivo importante o paralisi completa dei
muscoli del piede, allora non riusciremo ad evocare il riflesso. Se invece la paralisi è centrale il riflesso è
invertito (segno di Babinski), nel senso che non si attivano più i muscoli flessori ma i muscoli estensori: ciò è
determinato da uno squilibrio tra α-motoneuroni attivati ed inibiti, che a sua volta deriva da uno squilibrio
basato sulla compromissione dei meccanismi di inibizione centrale (perdita del controllo sopraspinale). Il
risultato è in questo caso un’estensione dell’alluce ed un’apertura a ventaglio delle dita.
N.B. il riflesso è lo stimolo cutaneo-plantare; il Babinski è un segno patologico dello stimolo cutaneo-
plantare]. (prima dell'anno di età Babinski è fisiologico)

Frequenza e semeiologia del disturbo motorio:


- emiplegie 30%
- tetraplegie 30%
- paraplegie 20%
- forme distoniche-atetosiche 10-15%

Classificazione sulla base della modalità organizzativa delle funzioni di base


Dopo aver visto l’assetto neurologico, si affronta la classificazione probabilmente più utile dal punto di vista
riabilitativo, perché alla fine il “goal” della presa in carico di questi pazienti, soprattutto quando sono minori,
è la diagnosi precoce del problema, successivamente la presa in carico riabilitativa. Significa cercare di
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sviluppare le funzioni residue, cioè lavorare per facilitare in qualche modo il recupero funzionale anche
operando su aree limitrofe, residue e su zone cerebrali controlaterali.
- In buona sostanza, in una forma tetraplegica o tetraparetica, che ha un interesse diffuso dei quattro
arti e quindi prevede che ci sia una lesione cerebrale piuttosto ampia, il tipo di funzionalità che si
cerca di facilitare come recupero potrebbe essere la funzionalità anti-gravitaria: vale a dire il
controllo del capo e del tronco. Difficile pensare ad un’organizzazione più importante dal punto di
vista motorio dei quattro arti, però si può cercare di avere un assetto antigravitario;
- Nel diplegico, (paraplegico, paraparetico, diparetico che dir si voglia) la cosa importante da fare è
aiutare il soggetto a strutturare una marcia;
- nell’emiparetico e nell’emiplegico la funzionalità più complessa da recuperare (si può immaginare
che, essendoci un emilato corporeo compromesso, il soggetto bene o male possa riuscire a
deambulare) è la manualità: a livello di area motoria della corteccia cerebrale, una grossa
rappresentazione è a carico del voltoe della mano, per cui si ha grande controllo di tutti i muscoli, e
sicuramente la riabilitazione della mano è molto importante in questo tipo di patologia.

Video 1: bambina emiparetica


Questa bambina di due anni ha una buona relazione, un lieve ritardo del linguaggio, e come vedete una
dominanza dell’emilato sinistro: riesce a calciare la palla meglio con il piede sinistro, tiene l’afferramento
migliore con la mano sinistra; si nota la postura del piede destro, che tende a puntare, mantenendo il braccio
destro tendenzialmente sollevato e flesso. Questa bambina ha una emiparesi a destra, senza problemi
particolari dal punto di vista generale. Il fatto che avesse un lieve ritardo del linguaggio poteva in qualche
modo far pensare che anche l’area del linguaggio potesse essere compromessa. Questa ragazzina ormai è
diventata adulta, ha una buona compliance, non ha mai avuto necessità di interventi, né di ortesi, ha fatto
fisioterapia precocemente. Aveva una lesione cerebrale caratterizzata da una iperintensità a carico della
sostanza bianca dell’emisfero sinistro, da sofferenza, e c’era anche qualche sfumato segno controlaterale;
come prognosi motoria è stata buona, l’unico problema di questa paziente, ora che è adulta, è di essere un
po’ complessata per il suo problema motorio, ma è autonoma. Quindi, è un quadro diagnosticato
precocemente, lieve, con buona evoluzione.

Video 2: ragazzino con forma discinetico-atetosica


Questo è un ragazzino pakistano di 10 anni, si notano delle protesi auricolari bilaterali. Il paziente è stato
conosciuto dalla Professoressa in tale occasione. Nato in Pakistan, con parto casalingo e un’incompatibilità
di gruppo sanguigno materno-fetale per cui ha sviluppato ittero patologico e i perbilirubinemia tossica: questo
ha condizionato il quadro clinico che si vede nel video. In questa situazione c’è una forma discinetico-
atetosica, quindi una forma extrapiramidale da deposito della bilirubina a carico dei nuclei della base, con
ipoacusia neurosensoriale associata (cosa frequente in questi bambini). Il quadro discinetico-atetosico che
si osserva nel video è piuttosto importante, perché ci sono movimenti che parassitano l’assetto posturale,
movimenti prossimali, distali, facciali (smorfie: grimace); sono movimenti abbastanza lenti per quello che è
il loro svolgimento e questa sintomatologia si può definire corea. Si vede questa grimace, questo movimento
delle sopracciglia, e si vede la protesi auricolare. Era un bambino con un linguaggio assolutamente non
strutturato. Si notano le discinesie distali delle mani: le definiamo coreo-atetosi; quindi non vi è una
condizione di paresi-paralisi ma una difficoltà, un eccesso di movimento.

L’altra cosa importante è la postura del ragazzino: essa è legata ad un assetto patologico del tono,
un’ipotonia. La riga per terra serve a far vedere che il ragazzino camminando non aveva assolutamente
problematiche di equilibrio, riusciva a seguire la traccia. L’aspetto più importante è questo movimento a
scatto degli arti e questa manifestazione posturale corrispondente ad ipotonia.

Video 3: bambino con quadro misto


Questo paziente è piuttosto complesso perché ha una postura emiparetica a destra, ha una base allargata a
livello di marcia, ha delle discinesie frequenti. Si vedono le difficoltà che ha salendo le scale, si vedono questi
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tremori (la prof le chiama discinesie) che parassitano il movimento spontaneo, e poi si nota come la prova
indice-naso, che è una prova di organizzazione per valutare la funzionalità cerebellare, lo mette in difficoltà
nel raggiungere la meta. Il bambino aveva una buona capacità di linguaggio e di relazione; inoltre, si nota la
presenza di strabismo. Quindi in questo caso c’è una sintomatologia mista: un problema piramidale,
extrapiramidale, cerebellare insieme; questo perché molto spesso le situazioni sono anche molto complicate
dal punto di visto motorio.

Video 4: video EEG


Questa è una registrazione elettroencefalografica in continuo in una bambina che aveva doppia emiparesi e
dei movimenti oculari, dei blink, revulsioni oculari, che andavano registrate per essere sicuri che non fossero
crisi epilettiche (la bambina era anche epilettica). Sono situazioni di compromissione extrapiramidale che si
evidenziano in una paziente con una problematica prevalentemente spastica.

Diagnosi precoce fondamentale per la riabilitazione


Talora i sintomi neurologici che caratterizzano un quadro compaiono prograssivamente soltanto intorno
al primo anno di vita, spesso è presente inizialmente una ipotonia

Criteri essenziali per la diagnosi precoce


 ritardo acquisizione della postura (capo dopo il 3° mese, tronco dopo il 7° mese, stazione eretta
autonoma dopo il 15° mese)
 mancanza interesse, capacità di scambio e comunicazione
 carenza motilità spontanea
 anomalie del tono di base (ipotonia/ipertonia)
 persistenza riflessi arcaici (forma spastica)

Ciò che è importante è che è fondamentale fare una diagnosi precoce per la riabilitazione. Abbiamo la
plasticità cerebrale; abbiamo la possibilità di valutare un bambino dal punto di vista neurologico in qualunque
momento del suo sviluppo, e non possiamo permetterci di fare una diagnosi di emiparesi solo quando
comincia a camminare. Non possiamo permetterci di aspettare tanto, dobbiamo fare una diagnosi precoce
per la plasticità cerebrale, che ci permette di ottenere dei buoni risultati attraverso una riabilitazione precoce
grazie alla sua presenza. Bisogna essere vigili: la storia clinica del paziente, l’andamento della gravidanza, la
presenza o meno di una prematurità, l’osservazione del paziente con i riflessi arcaici che abbiamo valutato la
volta scorsa, con i general movements, ed una buona valutazione neurologica, ci aiutano. Anche la presenza
precoce di una variazione del tono può essere importante, sia un ipotono che un ipertono;
- un’ipotonia potrebbe essere già un primo segnale di qualche problematica che può determinare
un’alterazione del funzionamento motorio, anche extrapiramidale. Quindi può essere un segno
precoce.

Tornando a ciò che si è detto relativamente allo sviluppo psicomotorio del bambino la volta scorsa, si
devono tenere in considerazione le tappe principali: il controllo del capo entro il terzo mese di vita, del
tronco entro il settimo mese di vita, gli spostamenti, il rotolamento, la marcia quadrupedica, la posizione
eretta, la deambulazione, un ritardo delle acquisizioni motorie potrebbe essere un segnale di qualche
problema. Ad esempio, era già stato citato la volta scorsa quanto fosse importante il rotolamento, lo
spostamento nella posizione supina e nella posizione prona: è vero, poiché un bambino che rotola
bilateralmente non ha problemi; un bambino che rotola solo da un lato e non dall’altro probabilmente non
ha la spinta sufficiente per poter fare il movimento nel lato in cui non riesce a rotolare, e potremmo essere
di fronte ad una iniziale emiparesi. Anche un gattonamento asimmetrico, che non si riesce a strutturare,
l’osservazione della motilità spontanea del bambino a partire dai general movements ma anche
successivamente (afferramento degli oggetti) sono tutti condizioni importanti che ci permettono di fare una
diagnosi precoce.
Oppure, la persistenza dei riflessi arcaici: come visto prima i riflessi tonici del collo possono persistere in
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maniera patologica, e questo può essere responsabile, in un soggetto quadriplegico-quadriparetico,
dell’incapacità del movimento e dell’afferramento.
Siccome l’aspetto posturale-motorio non è sufficiente, si potrebbe avere anche un bambino che ha una
ipoacusia (secondo video), e questo potrebbe essere un bambino che ha difficoltà di comunicazione, infatti
quello che abbiamo visto aveva un linguaggio non strutturato perché aveva una grave ipoacusia sensoriale
dalla nascita. Ci potrebbe essere anche una ipovisione, problematiche a carico degli occhi (nel terzo video:
strabismo), quindi tante condizioni che vanno tenute in considerazione per la diagnosi ed, eventualmente,
riabilitate quando possibile.

Diagnosi PCI
- emiplegia semplice o doppia si evidenzia intorno ai 3-8 mesi
- paraplegia si evidenzia intorno agli 8-12 mesi
- forme distoniche con atetosi si evidenziano intorno ai 5-7 mesi e sono precedute da ipotonia
- forme atassiche si evidenziano intorno agli 8-12 mesi precedute da ipotonia
Questa è una proiezione che fornisce un orientamento temporale su quando cercare di fare diagnosi precoce:
per esempio nella emiplegia semplice o doppia intorno ai 3-8 mesi di vita, nella paraplegia intorno agli 8-12,
nelle forme distoniche anche prima.
Prendendo un esempio: il riflesso del paracadute (dall’alto al basso, anteriore, laterale): in un bambino con
una emiparesi potrebbe mancare il segno del paracadute omolaterale al lato emiparetico, quindi si vede a 3-
8 mesi perchéa questa età abbiamo un bimbo che inizia a stare seduto da solo (potrebbe avere anche delle
difficoltà nel controllo del tronco), potrebbe avere delle difficoltà nel rotolamento.
L’EON precoce, a partire dalla nascita fino ai primi mesi di vita, è importante per la diagnosi.

Ci sono altri sintomi associati:


- eventuale deficit intellettivo associato, disabilità intellettiva-ritardo mentale;
- turbe dell’articolazione del linguaggio di vario tipo, dalla incoordinazione dei muscoli dellabocca e
del faringe, ci potrebbero essere problematiche di disartria e anartria, problema di afasia,
problema di linguaggio legato ad una insufficienza uditiva. Chiaramente quando si parla di
problematiche di incoordinazione muscolare a livello del faringe bisogna tener conto della disfagia,
una delle complicanze più importanti in questi soggetti;
- si possono avere problematiche a livello sensitivo con astereognosie, disturbi dell’orientamento
spaziale e dello schema corporeo, che non vanno assolutamente sottovalutate dal punto di vista
della riabilitazione perché la sensazione del corpo nello spazio che ha il paziente è molto
importante per ottenere il recupero funzionale voluto: ci sono bambini che sono atterriti e hanno
la sensazione di cadere continuamente.
- Potrebbero esserci dei disturbi uditivi, come si è visto nel secondo video; ci possono essere
disturbi visivi, ma anche problematiche di incoordinazione a livello dell’oculomozione (come si
vede nel terzo video, strabismo) oppure ipovisione da atrofia del nervo ottico secondaria ad
ipossia ed edema cerebrale; poi è chiaro che ci potrebbero essere anche disturbi visivi perché il
danno cerebrale si è spostato fino alla corteccia visiva.
- Le crisi epilettiche e l’epilessia derivano dal fatto che l’insulto cerebrale può aver danneggiato i
neuroni e aver determinato una sorta di irritabilità cerebrale compatibile con una epilessia, e
questi bambini frequentemente, soprattutto nelle forme dove c’è una disfunzione a carico del
sistema piramidale (spastica), possono avere un’epilessia da lesione cerebrale, quindi sintomatica
(non è detto che sia così grave).
- Poi ci sono problematiche relative al disturbo emotivo soprattutto secondario, legato al problema
motorio.

1. Dal punto di vista della diagnosi, è molto importante sviluppare la diagnosi come anamnesi:
- anamnesi familiare: ci indirizza alle poche forme, meno frequenti, di origine eredo-familiare;
- anamnesi fisiologica: è molto importante conoscere come è stata la gravidanza, come si è svolto il
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parto, e come sono stati gli eventi dopo il parto e com’è lo sviluppo del bambino fino al momento
che vogliamo considerare;
- anamnesi patologica remota e recente.
2. L’EON è sicuramente molto importante. Nel bambino non si può avere una collaborazione come avviene
con l’adulto, a volte si deve giocare con il bambino e avere la collaborazione dei genitori; ad esempio,
una prova di forza nel senso classico del termine è difficile da fare, se non magari facendolo arrabbiare.
L’EON, quindi, richiede molto tempo e può fallire perché il bambino non collabora.
3. Valutazione neuropsicologica, perché un bambino che ha questa disabilità motoria può essere spesso
compromesso dal punto di vista intellettivo, come detto prima può avere dei deficit; la bimba vista prima
aveva un ritardo del linguaggio. Ci sta con tutto quanto, in fondo aveva un interessamento sinistro e dopo
aveva avuto anche qualche problematica di apprendimento; quindi, spesso questa valutazione
neuropsicologica che fa il neuropsichiatra infantile è utile, perché non c’è solo l’aspetto motorio da
considerare;
4. Osservazione del bambino e video, che sono utilissimi;
5. Valutazione degli organi sensoriali quindi soglia visiva, soglia uditiva (vista nel secondo bambino) molto
importante
6. Tutti gli altri esami (esami metabolici, esami genetici, EEG, TC o meglio RM encefalo, elettromiografia,
VDC, potenziali evocati), vengono fatti sulla base del sospetto diagnostico.
- Vuol dire che clinica, anamnesi ed EON ci aiutano ad orientarci, dopo di che è chiaro che se si ha un
quadro di PCI bisogna avere una RM encefalo (questa è giusto che ci sia- se il bambino è piccolo, e
ha la fontanella aperta  ultrasonografia cerebrale) che ci dia una idea della eventuale lesione
cerebrale; la TC non ha importanza perché è un esame che si fa in acuto. È ovvio che in età evolutiva,
non avendo la collaborazione del bambino, dobbiamo per forza utilizzare una narcosi.
- L’EEG si usa in caso di crisi epilettica/epilessia;
- Esami metabolici in caso si sospetto di progressività
- i test genetici si usano se si ritiene che ci possa essere qualcosa di genetico definito e altri esami,
come la velocità di conduzione e l’elettromiografia, si fanno se ci sono ipotetici sospetti di diagnosi
differenziale, dunque vanno eseguiti solo se riteniamo necessario.
- L’aspetto neuroftalmologico non va mai sottovalutato: le capacità visive del bambino non si limitano
alla sola capacità visiva pura, ma riguardano anche la percezione che il bambino ha dello spazio che
lo circonda; questo richiede un’attenta valutazione neuroftalmologica, che purtroppo viene eseguita
solo in centri specializzati, anche se molto utile in termini di presa in carico riabilitativa.
- EMG, VDC, PE se vi è sospetto di interessamento periferico o sensoriale e di progressività
(Velocità Di Conduzione)
Epilessia e PCI

Sono spesso associati: già Aicardi nel 1994 riferiva che l’epilessia ricorreva nel 15-60% dei casi di PCI. In
particolare, più la forma è grave dal punto di vista motorio, più è probabile un concomitante quadro
epilettico: le forme che più si associano a epilessia sono infatti tetraparesi ed emiparesi.
Spesso poi, a causa di una probabile lesione cerebrale ampia determinante il quadro motorio posturale grave,
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si somma una disabilità intellettiva: il ritardo mentale è frequentemente associato all’epilessia in coloro che
hanno una PCI, determinando quadri di bambini con problematiche multiple.
- Fattori prognostici favorevoli: diplegia, intelligenza normale, monomorfismo crisi epilettiche.
- L’eziologia della PCI condiziona la prognosi dell’epilessia
Peggiore evoluzione se presenti malformazioni cerebrali, compressione della sostanza grigia,
infezioni cerebrali.

Diagnosi differenziale con le crisi epilettiche


In questi soggetti è frequente la presenza di alterazioni del movimento parossistiche
- Sono particolarmente suscettibili agli stimoli uditivi e tattili: hanno sussulti, contrazioni, ipertono in
seguito agli stimoli
- Clono;
- Riflessi ipercinetici e ipertono in seguito ad evocazione dei riflessi profondi o posture anomale a causa
di MRGE: i pazienti con tetraparesi hanno un movimento/assetto posturale molto limitato, che
determina frequentemente MRGE, il quale a sua volta induce dolore e contrazione, quindi una postura
in ipertono. Questo a volte richiede una diagnosi differenziale con una crisi epilettica;
- Contrazioni periodiche all’addormentamento che simulano spasmi epilettici (frequenti nei pazienti
concerebropatia);
- Fenomeni di revulsione oculare o di blink (osservati nel terzo video dove la bambina era stata
sottoposta a video EEG appunto per escludere che questi fenomeni fossero associati a crisi epilettiche
di cui soffriva, oltre che alla PCI) legati alla patologia motoria.
- Nel momento in cui si sospetta un’epilessia o un disturbo del movimento anomalo parossistico, quindi
che compare e scompare, può essere utile richiedere l’EEG. Bisogna tenere presente però che,
indipendentemente dalla presenza di crisi epilettiche o meno, i pz con PCI possono avere anomalie
parossistiche del tracciato non associate a crisi epilettiche, che quindi non vanno trattate come tali dal
punto di vista farmacologico.

Terapia
Riabilitativa (aspetto prevalente):
- Fisioterapia per programmare un lavoro che garantisca un’efficienza e un’autonomia funzionale e
motoria, dipendente dalla problematica motoria e dalla gravità lesione cerebrale.
In questo senso riprendiamo un concetto precedente:
 assetto antigravitario in tetraparesi,
 manipolazione nell’emiparesi,
 marcia nella paraparesi o diparesi.
Si usa la valutazione secondo “Gross Motor Function Classification System of Cerebral Palsy”( età
dipendente: <2; tra 2-4; tra 4-6; tra 6-12 anni; 5 livelli). Il fisioterapista è guidato da un fisiatra che si
occupa dell’età evolutiva o da un neuropsichiatra infantile. Il trattamento inizia il più precocemente
possibile, anche nei lattanti;
- Logoterapia per migliorare la funzionalità del linguaggio (collaborazione con il fisioterapista per
risolvere anartria, disartria e altre problematiche del linguaggio), ma anche gestire la disfagia. La
disfagia è molto pericolosa, con un elevato rischio evolutivo dato che peggiorando può richiedere la
necessità di gastrostomia per garantire l’alimentazione da altra via; comporta un rallentamento
dell’alimentazione, sottoalimentazione, mancata crescita ponderale, tempi lunghi di svolgimento dei
pasti, tosse, ingorgo, bronchiti e infezioni delle vie aeree stagionali e polmoniti ab ingestis;
- Cure odontoiatriche per problematiche articolari e muscolari a livello orale, igiene dentale e cura orale;
- Ortottista e oculista in caso di problematica a carico della muscolatura oculare;
- Educatore professionale per aiutare laddove sia presente anche una disabilità intellettiva
nell’autonomia della vita quotidiana.

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Terapia ortopedica
Il non trattamento può portare a strutturazione di deformità, retrazioni tendinee, dislocazione dei capi ossei,
e necessità di trattamento ortopedico chirurgico per allungare i tendini e/o i capi muscolari: questo è
necessario in particolare nelle forme più gravi o quando per esempio soggetto cresce e va incontro a
modificazioni osteo-muscolo-articolari legate al problema che richiedono necessariamente la chirurgia.
Protesi e ortesi che aiutano il bambino nell’autonomia motoria.
Ortesi = dispositivo esterno utilizzato al fine di modificare le caratteristiche strutturali o funzionali dell'apparato neuro-muscolo-scheletrico.
Terapia farmacologica:
In certe condizioni riabilitative o in pre-intervento si può utilizzare la tossina botulinica per ridurre la tensione
muscolare e per poter agire dal punto di vista riabilitativo: è uno strumento utile, con effetto limitato a 2-3
mesi, periodo durante il quale il pz può essere riabilitato; se necessario può essere ripetuta la
somministrazione, senza esagerare;
In condizioni di grave ipertono, gravi discinesie, gravi disturbi del movimento, si può ricorrere a antispastici,
anti-distonici e anti-ipercinetici, fino anche a trattamenti intratecali nelle gravi forme spastiche.

Psicoterapia
Può essere utile laddove l’individuo non abbia una compromissione intellettiva importante, serve per aiutarlo
nell’accettazione della patologia, a causa della scarsità autostima e autonomia che questa determina. Un
aspetto importante è l’aiuto e il sostegno alle famiglie: mentre in età adulta il trattamento è rivolto al singolo
individuo, in età evolutiva oltre trattare il paziente minorenne bisogna fare in modo che la famiglia cresca col
bambino e sia educata a gestirlo, qualunque sia la patologia e la disabilità.

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MALATTIE NEUROMUSCOLARI
Patologie da lesione dell’unità motoria la quale è costituita da:
 motoneurone
 nervo periferico
 giunzione neuromuscolare
 muscolo

È importante considerare alcuni sintomi principali


 ipostenia
 paralisi
 amiotrofia: riduzione trofismo muscolare
 riduzione o assenza di riflessi osseo-tendinei
 contratture, retrazione, deformità
 mialgie
 difficoltà di alimentazione
 difficoltà di ventilazione, problematiche cardiache

focus su alcuni concetti di neuroanatomia:


- vie piramidali: a partire da corteccia motoria, l’innervazione dei nuclei dei nervi cranici motorio,
la decussazione a livello delle piramidi bulbare, il fascio piramidale crociato e diretto, fino alle
radici e il raggiungimento della placca neuromuscolare.
- riflesso monosinaptico: lo stiramento del muscolo determina con la compressione del tendine e
la variazione dei fusi neuromuscolari, le fibre afferenti fusali raggiungono le corna anteriori del
midollo e quindi parte l’input positivo a livello muscolare, mentre l’interneurone garantisce
l’effetto inibitorio sul muscolo antagonista.
- riflessi profondi: patellare, achilleo, bicipitale, tricipitale, pronatore, stilo-radiale, con tutte le loro
radici e l’innervazione.

Classificazione delle malattie neruomuscolari


 Miopatie congenite (problematiche a carico del muscolo): distrofie muscolari congenite con e senza
interessamento del SNC, miopatie congenite specifiche
 Distrofie muscolari progressive
 Sindromi miotoniche
 Sindromi metaboliche
 Atrofie muscolari spinali
 Disturbi della giunzione neuromuscolare
 Neuropatie sensitivo-motorie ereditare e acquisite (Sindrome di Guillan-Barrè)

Miopatie congenite
Sono tante e complesse anche nella diagnosi: una grande evoluzione diagnostica c’è stata grazie alla genetica,
ora è possibile ottenere un pannello genetico per molte patologie, risparmiando così al soggetto la biopsia.
Tempo fa, la diagnosi era possibile solo con la biopsia muscolare: questa dava un quadro definito dal punto
di vista istopatologico, incrementabile con l’aspetto immunoistochimico e con la microscopia elettronica, ma
non si conoscevano molte informazioni genetiche. Ora, tramite un prelievo di sangue, si esegue un pannello
genetico o una sequenza dell’esoma. Caratterizzate da:
- di solito autosomico recessive;
- spesso un esordio neonatale o precoce, con interessamento diffuso della muscolatura ed ipotonia
- i movimenti fetali duranza la gravidanza possono essere ridotti (ricordare cosa si è detto sui general
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Artrogriposi: condizione clinica caratterizzata da rigidità articolare presente
già alla nascita ("congenita"), in diversi distretti anatomici ("multipla").

movements);
- può essere presente idramnios = presenza attorno al feto di liquido amniotico in quantità eccessiva, superiore ai 2000 ml
- ipotonia (normalmente essa è compresa tra 500 e 2000 ml)
- artogriposi e deformità varie ai piedi e alle anche
- ROT deboli o aboliti per la mancata contrazione muscolare (Riflessi Osteo-Tendinei)
- compromissione muscolare diffusa, con particolare interessamento dei cingoli
- CPK normale o aumentata
- EMG: tracciato miogeno, talvola difficile da interpretare nel bambino
- Biopsia muscolare (quadro istopatologico, istochimico fibre 1, fibre 2, immunoistochimico,
microscopia elettronica)  importante per indirizzare eventuali ricerche genetiche

Distrofie muscolari congenite con interessamento del SNC:


sono patologie rare descritte inizialmente da Giapponesi, che si caratterizzano per:
- Interessamento SNC, con:
 malformazioni corticali e della sostanza bianca: es agiria o sndr. Dandy walker (triade con
idrocefalo, assenza parziale o totale del verme cerebellare, cisti della fossa cranica
posteriore)
 atrofia cortico-sottocorticale
 idrocefalo congenito
 microcefalia
- ma anche alterazioni oculari,
- epilessia
- deficit intellettivo.
Il quadro è molto ampio, sempre associato ad interessamento muscolare, non sempre ma generalmente
grave, e con una base genetica importante che permetter di definirli.
Nel gruppo sono comprese: distrofie da difetto di merosina e di alfa- destroglicano (malattia muscolo-occhio-
cervello, distrofia di fukuyama, sindrome walker-warburg)

Distrofie muscolari senza interessamento del SNC:


Variabili come clinica e decorso, ad esempio:
- ipotonia alla nascita oppure deformità ortopediche come lussazione dell’anca
- ritardo dello sviluppo psicomotorio, ma senza deficit intellettivo
- decesso precoce per interessamento dei muscoli respiratori.
Di queste fa parte la Distrofia di Ullrich: caratterizzata da esordio neonatale, ipotonia, debolezza muscolare,
retrazioni muscolo-tendinee, iperlassità, rigidità della colonna vertebrale, insufficienza respiratoria in
adolescenza e problemi nutrizionali

Miopatie congenite specifiche:


- esordio alla nascita o più tardivo,
- andamento variabile (più o meno grave),
- quadro clinico variabile: interessamento in particolare dei muscoli del volto (facies miopatica),
oftalmoplegia, oppure interessamento massivo con problemi respiratori, deformità scheletriche,
cardiomiopatia, ipertermia maligna.
- Trasmissione secondo diverse modalità: autosomica dominante o recessiva, o recessiva legata al
cromosoma x. Possono esservi anche forme sporadiche.
- Diagnosi con biopsia muscolare.
- Trattamento: correlato alla diagnosi precoce, con presa in carico ortopedia e fisoterapica.

Come già ricordato, adesso abbiamo la possibilità di fare una diagnosi genetica, mentre spesso in passato era
necessaria la biopsia. La biopsia è comunque eseguita ancora oggi in quadri specifici, per differenziare una
forma da un’altra: la miopatia nemalinica, central core, miotubulare, multiminicore (facenti parte di questo
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gruppo) si differenziano sulla base delle caratteristiche bioptiche.

Distrofie muscoli progressive


Distrofia muscolare di Duchenne (DMD)
Interessa soprattutto il sesso maschile (1 maschio ogni 3600-5000 nati), in quanto legata a una trasmissione
recessiva X-linked interessante il gene della distrofina (Xp21.2) proteina del tessuto muscolare che stabilizza
la membrana cellulare e implicata nella contrattilità: in questa patologia risulta assente.
- 1/3 è una mutazione de novo; può trattarsi di delezioni o duplicazioni (70% delle DMD e BMD) o di
mutazioni puntiformi (30%). (gene gigante --> tante mutazioni ex novo)
Le femmine possono essere portatrici asintomatiche, con possibile rialzo della CPK, e in alcuni casi
coinvolgimento cardiaco (10%): quindi oscillano da quadri asintomatici a quadri lievi. La diagnosi prenatale è
possibile perché conosciamo la mutazione che si può ricercare nel feto appartenente ad una famiglia con
soggetti affetti.

Esordio e clinica
L’esordio, in genere, si osserva quando il bambino inizia ad avere una motilità spontanea di una certa
intensità, normalmente è riferito a 3-5 anni di vita, ma esperienze dell’Istituto Ortopedico Rizzoli hanno visto
esordi anche più precoci, intorno a 1-4 anni (prima dell’esordio può essere riscontrato un aumento di CPK
importante).
- La topografia dell’interessamento muscolare è molto specifica: prima prossimale, dei muscoli dei
cingoli, poi distale
- Un aspetto tipico diagnostico è la pseudoipertrofia dei gastrocnemi dovuta alla sostituzione del tessuto
muscolare deficitario e sofferente con tessuto fibroso;
- C’è postura particolare con iperlordosi del rachide;
- La marcia è definita anserina, sulle punte dei piedi, per lo squilibrio tra componente muscolare antero-
posteriore della gamba;
- Segno di Gowers positivo durante EO neurologico: il bambino sdraiato o seduto per terra, si alza
appoggiandosi su sé stesso, sulle gambe, ginocchia e cosce per tornare in postura eretta;
- Essendoci un muscolo sofferente, i ROT sono deboli e poi aboliti in fase avanzata;
- Presenza di retrazioni tendine in fase avanzata;
- La deambulazione viene progressivamente persa, possibile fino a 7-12 aa, poi progressivo
interessamento di muscoli respiratori e cuore (cardiomiopatia dilatativa).
- In passato si definiva una sopravvivenza difficile dopo il secondo decennio di vita, mentre oggi, anche
se ancora non è disponibile una terapia, l’utilizzo di cortisonici rallenta il decorso, a fronte però di
effetti collaterali come l’osteoporosi e fratture ossee spontanee, danno gastrico con necessità di
protettori durante trattamento. Attualmente la sopravvivenza è migliore e può anche superare i 20
anni. La ridotta sopravvivenza è legata alle complicanze cardiache, quali la cardiopatia dilatativa, e
respiratorie;
- Il livello intellettivo è nella norma, ma in letteratura sono segnalati casi di comorbità con disabilità
intellettiva o con autismo.

Il sospetto clinico precoce, e quindi poi la diagnosi, parte spesso da una rilevazione di una CPK molto elevata,
spesso (70%) anche nelle femmine portatrici; si associa a elevati livelli di LDH, transaminasi, aldolasi. Gli
esami strumentali utili nell’iter diagnostico sono:
- EMG che evidenzia dei potenziali d’azione polifasici, di bassa ampiezza e breve durata, mentre la
velocità di conduzione è normale perché non è compromesso il nervo,
- l’Eco muscolare (esame semplice, non invasivo e poco costoso)
- RM muscolare.
- La biopsia muscolare utile in passato evidenza la mancanza distrofina.
La conferma oggi si ottiene tramite indagine genetica, anche prenatale.

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Distrofia muscolare di Becker (DMB)
È una variante meno frequente (1 maschio su 40000 nati) e meno grave, con un esordio più tardivo (6-18
anni), una compromissione muscolare meno importante (debolezza del quadricipite) e un decorso più
protratto (perdita cammino 16-80 anni, età media di decesso 42 anni).
- Coinvolgimento cardiaco più tardivo.
- QI normale.
In questo caso la distrofina è ridotta o anomala, come si può evidenziare alla biopsia; si mantiene
l’incremento di CPK. La rabdomiolisi è responsabile di sforzo, anestesia.

Emery-Dreifuss

Cardiomiopatia dilatativa legata alla X


Altra patologia muscolare legata alla X, molto rara: interessa i giovani maschi, con una rapida evoluzione
verso l’insufficienza cardiaca in assenza di debolezza del muscolo scheletrico; si associa ad un aumento della
CPK.
Il quadro clinico è cardiologico: dispnea da sforzo, embolia, morte improvvisa anche all’esordio. È grave, con
evoluzione in una cardiomiopatia dilatativa progressiva che necessita di trapianto. La distrofina è normale nel
muscolo e assente nel cuore  terapia trapianto cardiaco

Distrofia muscolare nelle portatrici


Si tratta di un fenotipo da quadro di DMD. Le femmine con fenotipo DMD completo rare. Le portatrici
sintomatiche nel 20% dei casi di DMD e 15% BMD.
Si osserva debolezza muscolare, in genere asimmetrica con interessamento maggiore degli arti superiori, e
una cardiomiopatia dilatativa fino al 10% dei casi; CPK variamente elevata.

Sindromi miotoniche

Distrofia miotonica congenita


- È presente nei bambini nati da madre affette da distrofia miotonica (riguardate il quadro dell’adulto
nel testo di neurologia)*
- Il quadro clinico in coloro che sopravvivono è rappresentato da oligoidramnios, pochi movimenti
fetali percepiti, ipotonia alla nascita, ipostenia, difficoltà di suzione, insufficienza respiratoria,
dismorfismi, artrogriposi, lussazione anche, piedi equino-vari, ritardo motorio e mentale, disfagia,
cataratta a esordio tardivo (10yo), miotonia clinicamente manifesta a 5-10 anni (tardiva).
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- La diagnosi si ottiene tramite l’esame molecolare genetico (ripetizione triplette CTG nel gene DMPK
sul cromosoma 19).

Distrofia miotonica*(presente comunque in maniera sintetica nel CLUEB, parla solo della Steinert)
Le distrofie miotoniche sono malattie genetiche, autosomiche dominanti, caratterizzate da debolezza
muscolare, cataratta precoce (prima dei 50 anni), miotonia ed interessamento multisistemico.
Ne sono state caratterizzate due forme:
 la prima, relativamente frequente, con un’incidenza di 1 caso su 10.000 nati vivi, è la DM1 o distrofia
di Steinert ed è causata dal difetto del gene della miotonina proteina kinasi (DMPK), sito sul
cromosoma 19q13.3;
 la seconda, più rara, è la DM2, secondaria al difetto del gene CNBP (ZNF9), sito sul cromosoma 3q21,
clinicamente caratterizzata da un decorso più benigno e da un prevalente interessamento della
muscolatura dei cingoli e delle radici degli arti (PROMM-miopatia miotonica prossimale).

Entrambe le forme sono caratterizzate da un’eccessiva ripetizione di una sequenza di nucleotidi (tripletta o
quadripletta), che nei soggetti normali si ripete per un limitato numero di volte. In chi manifesta la malattia,
queste sequenze di basi (CTG per la DM1 e CCTG per la DM2), possono ripetersi da alcune decine fino a
migliaia di volte, compromettendo la funzione del gene. In genere tanto maggiore è l’espansione di
nucleotidi, tanto più grave è l’espressione clinica della malattia, ma la correlazione tra genotipo (numero di
triplette espanse) e fenotipo (quadro clinico) è estremamente variabile. Il grado di espansione viene
determinato nel sangue ma il grado di espansione a tale livello può non corrispondere al grado di espansione
di un altro tessuto nello stesso individuo e questo può almeno in parte spiegare le diverse manifestazioni
della patologia. Le espansioni sono così instabili che nel passaggio da una generazione all’altra si verifica il
fenomeno dell’anticipazione. Genitori affetti trasmettono infatti ai figli gradi di espansioni maggiori con
conseguente anticipazione dei sintomi, solitamente con un quadro clinico più grave. I gradi di espansione
minimi (tra 37-50 CTG per la DM1 e tra le 26/30-75 CCTG per la DM2) costituiscono forme cosiddette
premutate, ancora non definite del tutto dal punto di vista clinico e prognostico, pur solitamente ritenute
asintomatiche.

Distrofia miotonica di Steinert


La distrofia miotonica di tipo 1 o di Steinert è una malattia multisistemica, trasmessa con modalità
autosomica dominante.
Esordisce di solito verso i 20-30 anni e colpisce i due sessi, anche se presenta una certa variabilità nell’età di
presentazione: alcuni pazienti sono gravemente colpiti fin dalla nascita, soprattutto quando discendono da
madre affetta; altri sono minimamente colpiti in età adulta. La mutazione consiste in un’espansione di
triplette CTG nel gene DMPK (19q13).

Quadro clinico
Dal punto vista clinico, si riscontrano:

1. Disturbi muscolari (CPK moderatamente aumentato)


 Sono costituiti da atrofia, difetto di forza e miotonia.
o Le atrofie interessano il volto (“facies miopatica”: atrofia della muscolatura facciale,
massetere e muscolo temporale; l’associazione di calvizie rende patognomonico l’aspetto
dei malati), il collo (sterno-cleidomastoidei) e i muscoli distali degli arti (mani, avambracci,
loggia antero-esterno delle gambe). Tipicamente, non sono colpiti i muscoli dei cingoli.
o La miotonia si osserva soprattutto alle mani (EMG evidenzia tracciato tipico della miotonia,
con potenziali brevi e ripetitivi con inizio e fine progressivi).
 Il deficit motorio riguarda i gruppi muscolari colpiti dall’atrofia. L’evoluzione è lentamente
progressiva ma non sempre maligna: solo 1/3 dei malati diventano totalmente invalidi.

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2. Disturbi extramuscolari
Il carattere multisistemico della miotonia di Steinert è dato dalla presenza di numerosi altri segni, oltre a
quelli muscolari. I più comuni e tipici sono i seguenti:
 Cataratta: è presente nella quasi totalità dei casi, ha un aspetto molto tipico, subcapsulare (punti
biancastri frammisti a fini corpuscoli colorati) e non disturba la visione.
 Calvizie precoce: ha una topografia fronto-parietale tipica e colpisce soprattutto i maschi.
 Ipogonadismo: è caratterizzato da atrofia testicolare, azoospermia ed impotenza nell’uomo, mentre
nella donna si osserva più raramente e determina irregolarità del ciclo mestruale, sterilità,
menopausa precoce.
 Disturbi mentali: si osservano nel 30-60% dei casi e sono di tipo intellettivo (deterioramento) o
caratteriale.
 Disturbi viscerali: cardiaci (aritmie, ipotensione), respiratori (ipoventilazione alveolare da difetto dei
muscoli intercostali e del diaframma), gastroenterici (disfagia, megacolon...). I disturbi cardio-
respiratori rendono i soggetti particolarmente fragili di fronte all’anestesia generale.
Terapia
La miotonia può migliorare con i farmaci che riducono l’eccitabilità della membrana muscolare, come
gli anti-epilettici (Fenitoina e Carbamazepina), la Mexiletina e la Tocainide.
(antiaritmici)
Altre sindromi miotoniche (da CLUEB)

Miopatie metaboliche (da CLUEB)

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Atrofie muscolari spinali (SMA)
Rientrano fra le patologie del secondo motoneurone: si tratta di malattie di origine genetica, solitamente
recessive coinvolgenti 5q12-q13, in particolare i geni SMN1, SMN2, NAIP, a cui consegue un processo
degenerativo delle cellule delle corna anteriori del midollo e dei nuclei motori degli ultimi nervi cranici
(secondo motoneurone).
I bambini affetti hanno un deficit muscolare su base neurogena, anche in questo caso prevalente nei distretti
muscolari prossimali. A differenza della DMD, dove a volte c’è anche una compromissione intellettiva, in
questo caso il livello intellettivo è nella norma.
La CPK è solitamente normale: la CPK elevata è un segnale precoce e di facile rilevamento laddove ci sia una
patologia muscolare, ma è bene ricordarsi che nelle fasi tardive di patologie non necessariamente muscolari,
a causa della sofferenza muscolare secondaria, si può rilevare un aumento della CPK. In questi casi la clinica,
l’EO neurologico, la valutazione topografica del problema ci aiutano nella diagnosi. Esistono varie forme
cliniche, alcune più gravi presenti fin dalla nascita che portano a morte in breve termine, altre forme più lievi
che entrano in diagnosi differenziale con problematiche muscolari;

Bisogna sospettare una SMA quando:


 Difficoltà motorie, in particolare in caso di perdita delle competenze motorie (presenti anche nella
DMD)
 Debolezza muscoli prossimali
 Ipotonia
 Ipo/areflessia: per differenziare la patologia miopatica e quella del 2 motoneurone, nella prima è
inizialmente conservato il riflesso mentre nella seconda si osserva ipo- o arefelessia fin da subito
 Fascicolazioni della lingua, aspetto legato alla denervazione
 EO neurologico indicativo di patologia dell’unità motoria

Classificazione

Tipo 0
recentemente tipizzata: l’esordio si ha già prima della nascita, senza alcun sviluppo psicomotorio, il bambino
appena nato ha una severa ipotonia e incapacità di acquisire le tappe dello sviluppo, con insufficienza
respiratoria grave e morte nelle prime settimane di vita.

Tipo 1 (un tempo definita Malattia di Werding-Hoffman)


È una forma gravissima: il bambino muore entro 2 anni di vita per complicanze bronco-polmonari. Esistono
delle sottovarianti (Ia, Ib, Ic) con presentazioni lievemente più tardive e quadri leggermente meno gravi
(esordio a 2 settimane, 3 mesi, 6 mesi).
L’esordio è comunque precoce, il bambino nasce ipotonico, RO assenti, con grave paralisi progressiva,
difficoltà di suzione, respirazione e deglutizione, areflessia profonda, respirazione diaframmatica (paralisi
muscoli intercostali) e torace con aspetto a campana (la conformazione dismorfica del torace ci aiuta nella
diagnosi). Nel bambino sono possibili solo piccoli movimenti della mano e dei piedi.
Nelle forme più precoci il bambino non acquisisce la capacità di stare seduto.

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Tipo 2
Esordio più tardivo, tra 6-12 mesi con ritardo motorio: le tappe di apprendimento tra 0 e 6 mesi sono
acquisite, quindi impara a stare seduto, a mantenere la postura eretta, a deambulare, ma poi perde tali
funzioni; si associano areflessia tendinea, scoliosi, lussazioni anche, tremori alle mani, difficoltà a camminare
autonomamente (complicanze ortopediche di solito insorgono dopo i 3aa). Decorso tendenzialmente lento,
con periodi di stabilizzazione o addirittura di miglioramento.
Il decesso avviene sempre per insufficienza ventilatoria, generalmente più tardivo, intorno a 20 anni.

Tipo 3
Esordio nei primi anni di vita, dopo uno sviluppo normale (con anche acquisizione della marcia), il bambino
inizia a manifestare difficoltà a salire le scale, a correre, saltare. I deficit sono più evidenti a livello dei cingoli
degli arti inferiori, infatti sono aboliti i riflessi rotulei, mentre gli achillei sono preservati così come quelli degli
AAII. Inoltre, possono essere presenti fascicolazioni, tremori alle mani, obesità, lussazione delle anche,
retrazioni muscolo-tendinee, ed insorgenza di scoliosi.

In questo caso la diagnosi differenziale è con altre problematiche, come DMD. Esistono varianti (IIIa, IIIb, IIIc)
con decorso prolungato, con esordio prima dei 3 anni, dopo i 3 anni e oltre i 12.

Tipo 4
Esordio mediamente tra i 10 e i 30 anni, con uno sviluppo normale e una problematica motoria lieve. La
sopravvivenza, di solito, non è diversa dalla popolazione normale

Nell’immagine (sottostante), è presente un elenco circa quali sono le complicanze respiratorie,


gastrointestinali e intestinali, ortopediche, psicologiche, di questa patologia.
- Avendo un interessamento dei muscoli respiratori, spesso i pazienti soffrono di insufficienza
respiratoria: si ammalano facilmente, vanno incontro ad infezioni respiratorie ricorrenti con
necessità di copertura antibiotica e vaccinale influenzale. Un tempo erano spesso tracheostomizzati,
ora invece si è ridotto l’interventismo grazie all’utilizzo di supporti e trattamenti respiratori, in
particolare la ventilazione non invasiva. Hanno spesso problematiche nell’alimentazione e
deglutizione, con necessità di SNG e interventi alimentari più importanti, nonché problematiche di
costipazione e di reflusso, che mette a rischio di polmoniti chimiche per passaggio di alimenti nelle
vie aeree.
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- Le problematiche ortopediche, di postura, di motilità, di scoliosi, contratture, possono necessitare di
trattamento riabilitativo, fisioterapico o anche correttivo delle posture con approccio chirurgico.
- Un aspetto da non sottovalutare, anche se meno utile in termini di sopravvivenza, ma con impatto
sul tono dell’umore e qualità di vita, soprattutto nelle forme meno gravi a lungo decorso, è la
necessità di psicoterapia e/o farmacoterapia per aiutare soggetto in caso di depressione e ansia
secondarie alla patologia.

La diagnosi di SMA si ottiene a partire dall’EO neurologico e dall’anamnesi, l’EMG può confermare la
compromissione neurogena, la biopsia può essere utile ma ad oggi il gold standard è l’analisi genetica.

La terapia è multiprofessionale, richiede l’intervento di varie figure, quali fisioterapista, ortopedico,


cardiologo, pneumologo, pediatra e neuropsichiatra infantile durante l’età evolutiva. Ci sono ipotesi da trials
clinici in corso riguardo l’efficacia di un farmaco: Nusinersen (Spinraza), utilizzato nella SMA con mutazione
del gene SMN1: è un oligonucleotide antisenso che sembra rallentare il decorso della patologia. Anche i
trattamenti farmacologici sono utili, anche se siamo ancora all’inizio dato l’alto numero di varianti e
mutazioni.
Roma – Una nuova speranza viene offerta ai piccoli pazienti affetti da (SMA): alla data del 12 marzo 2018
risultano arruolati nel Registro dei farmaci sottoposti a monitoraggio dell’’AIFA 135 pazienti che sono già stati
avviati al nuovo trattamento con nusinersen, e 190 sono quelli eleggibili che attendono la prima
somministrazione.
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Neuropatie periferiche
Si differenziano in: distocico = parto difficoltoso che si svolge in maniera diversa da quella fisiologica
- mononeuropatie: paralisi periferiche dovute ad esempio ad un parto distocico
- polineuropatie: interessano più nervi, e possono essere
 ereditarie
 acquisite

Sindrome di Guillain-Barrè
È una polineuropatia acuta-subacuta demielinizzante di origine autoimmune, la più frequente tra le acquisite.

Epidemiologia
è una patologia con un’incidenza di 0.89-1,89/100.000 persone e si trova anche come patologia frequente di
accesso in PS.

Eziopatogenesi
si tratta di soggetti in età evolutiva, visto che la NPI riguarda soggetti da 0 a 18 anni, che magari hanno avuto
una precedente infezione di varia natura (potrebbe essere un’infezione delle vie respiratorie, oppure un
problema gastrointestinale, o anche post-vavvinazione); dopodiché sviluppano una sintomatologia di tipo
neurogeno, solitamente con un andamento caudo-craniale, quindi molto spesso c’è un interessamento a
carico degli arti inferiori, con successiva propagazione verso gli arti superiori e anche verso i nervi che
possono avere importanza rispetto alla respirazione o comunque alla muscolatura respiratoria.
Solitamente, probabilmente, è legata a un’alterazione immunologica sulla base di una immunità crociata
verso [i patogeni] (ad es. Campylobacter jejuni nel 30% dei casi di infezione, ma anche CMV). Quindi
sembrerebbe una reazione di tipo autoimmunitario nei confronti di un agente infettivo pregresso che
determina una risposta immunitaria contro i nervi e il sistema nervoso.

Clinica
Ha una fase acuta dalla durata media di 8 giorni, con:
- parestesie,
- ipostenia ingravescente caudo-craniale,
- dolore,
- iperestesia,
- areflessia profonda
- segni disautonomici,
- turbe della deglutizione.
Se il processo non viene riconosciuto rapidamente, se non si fa una diagnosi precoce, possono esserci
problematiche anche di tipo respiratorio e deglutitorio. È una patologia grave, con decorso variabili: ci può

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essere un aggravamento importante rapido, ci potrebbe essere una fase iniziale e poi una sorta di plateau
(da pochi giorni ad un mese), seguito da una lenta ripresa.
Complicanze:
- Ventilazione assistita nel 17% dei casi,
- aritmie cardiache e turbe respiratorie nel 4%
- Deficit neurologici residui nel 5-10% dei soggetti

Diagnosi
l’esame obiettivo neurologico e l’anamnesi, soprattutto il riconoscimento di un problema infettivo
precedente che si associa a questa progressiva sintomatologia, devono mettere in sospetto il medico. Poi
chiaramente l’EON è importante perché si rileva areflessia, parestesie e dolori molto intensi, oltre che
un’ipostenia.
- L’esame che aiuta è l’analisi del liquor in cui si osservano una dissociazione albumino-citologica e
proteinorracchia; questa situazione potrebbe non essere evidente immediatamente, ma potrebbe
manifestarsi successivamente con proteinorrachia 100mg/dL o più (50% nella prima settimana,
75% nella terza settimana), quindi se il sospetto diagnostico sussiste, sono da tenere presente
anche questi possibili falsi negativi iniziali.
- La velocità di conduzione (VDC) mostra segni di neuropatia demielinizzante, quindi a livello di
mielina, di conduzione dell’impulso nervoso.
- L’altro esame molto importante è la RM con mezzo di contrasto del rachide, solitamente positiva
per un’impregnazione del MDC a livello delle radici nervose.

Terapia
bisogna intervenire con:
- Immunoglobuline endovena ad alte dosi, plasmaferesi (solo nelle forme più gravi) ed
eventualmente farmaci per il dolore come il Gabapentin.
- Nelle forme più gravi si può arrivare anche ad una necessità di supporto ventilatorio. Si tratta di
condizioni molto gravi con ventilazione assistita, artimie cardiache, turbe respiratorie importanti,
per cui non è infrequente che un paziente possa essere ricoverato in rianimazione, con anche
rischio di ab ingestis
- La diagnosie il trattamento precoce aiutano chiaramente a prevenire tutte queste complicanze.

Come si può vedere in questa slide, è importante il monitoraggio della funzionalità cardiaca e polmonare,
quindi si fanno varie valutazioni a seconda della gravità del caso. In caso di situazioni di importante ipostenia,
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in cui il soggetto non è in grado di muoversi, è possibile un utilizzo profilattico di eparina, per l’inattività e
quindi l’allettamento del paziente che può durare anche lungo tempo. E poi, come già detto, l’utilizzo di Ig
endovena.

Polineuropatie ereditarie

Disturbi della giunzione neuromuscolare (da CLUEB)

(tensilon = inibitore acetilcolinesterasi)

Diagnosi delle patologie neuromuscolari


- Valutazione anamnestica: importante soprattutto relativamente alla familiarità e alla consanguineità
- EON: esame del paziente a riposo
- Ricerca di dimorfismi per es. piede cavo, fissità articolari (artrogriposi), deformità
- Facies amimica, paralisi oculomotoria (ptosi, strabismo)
- Conformazione toracica (paralisi m. respiratori)
- Trofismo muscolare
- Motilità spontanea
- Forza muscolare con movimento spontaneo (per es. prendere un giocattolo) trazione del tronco (m.
del collo), posizione prona, nel bambino più grande esplorazione della forza esplorando i differenti
distretti
- Controllo dei nervi cranici (oculomotori, alterazioni deglutizione)
- Studio riflessi
- Fascicolazioni, miotonia, crampi, ecc.

Ricapitolando, la diagnosi di queste patologie neuromuscolari è legata molto anche all’expertise,


all’esperienza, alla familiarità, che può avere il medico con queste patologie, perché sono patologie molto
numerose e varie. Sono patologie che si sono molto sviluppate recentemente, anche per il nuovo approccio
genetico, con cui si sono scoperte tante cose.
- Fondamentale è l’anamnesi, che aiuta a definire la presenza di familiarità per patologie simili (molte
di queste patologie sono genetiche e in alcune di esse è possibile anche una diagnosi prenatale);
importante è anche il concetto di consanguineità (soprattutto pensando al multiculturalismo di
oggigiorno); anche la poliabortività può essere un elemento importante, che può suggerire forme più
metaboliche o di tipo mitocondriale.
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- Molto importante è l’EON. Bisogna avere un’idea di tutti gli step che si seguono nell’EON: ha
prevalentemente una valutazione gerarchica, in cui si parte dal capo e si scende, si parte dalla
valutazione delle funzioni superiori, dei nervi cranici e poi di tutte le funzioni sensoriali, motorie e
cerebellari; chiaramente questo non sempre è facile perché il bambino non è collaborante. È molto
importante osservare il paziente, perché alcune di queste patologie possono associarsi a:
o dismorfismi (artrogriposi, fissità articolari, deformità, piede cavo),
o facies o postura particolari che possano far pensare a un’ipotonia, piuttosto che a un
problema muscolare (es. facies amimica, ptosi, strabismo),
o conformazione del torace (definita la scorsa volta parlando delle amiotrofie muscolari
spinali).
- Quindi bisogna valutare il trofismo muscolare, la motilità spontanea, la forza muscolare, il
movimento spontaneo. Il bambino chiaramente non collabora sempre nel valutare la forza, però è
possibile valutarla facendolo alzare da terra, mettendolo sdraiato e facendolo alzare, facendolo
“arrabbiare” per sentire la sua capacità reattiva.
- Bisogna valutare anche i nervi cranici, la deglutizione, i riflessi (che in molte di queste patologie
possono essere ridotti o aboliti), alcune manifestazioni muscolari (fascicolazioni, miotonia, crampi).

Esempi quadri clinici


- amiotrofia spinale: deficit motorio severo con facies espressiva, fascicolazioni, torace ristretto
trasversalmente, ROT assenti
- miopatia congenita: deficit motorio di media intensità a predominanza prossimale, facies amimica,
turbe della deglutizione
- alterazione del SNC: deficit motorio, ipotonia assiale, ipertonia degli arti, strabismo
- distrofia muscolare di Duchenne, più raramente amiotrofia spinale tardiva: deficit motorio
prossimale bilaterale soprattutto AAII
- neuropatie: amiotrofia e deficit forza distale, areflessia o iporeflessia
Gli esami da richiedere comprendono: esami ematochimici, EMG, VDC sensitivo-motoria, PES, ecografia
muscolare, RM muscolare, biopsia muscolare o del nervo, esami genetici o metabolici
[La prof dice che spesso all’esame chiede cosa ci si aspetti di vedere all’EON di un paziente con disturbo
piramidale/extrapiramidale/miopatia… conoscere un po’ le caratteristiche dell’obiettività neurologica].

Il medico deve basarsi su anamnesi e EON, poi oggigiorno ci sono tutta una serie di esami più specifici. Ad
esempio, di possono fare dei pannelli genetici che studiano delle miopatie o delle distrofie muscolari. Forse
quindi fare una biopsia muscolare, fare degli esami più invasivi, [è importante].
In questi pazienti gli esami ematochimici sono sempre importanti perché CPK, LDH le transaminasi possono
essere alterate in forme miopatiche. L’EMG e la VDC sensitivo-motoria sono molto importanti dal punto di
vista neurologico, perché distinguono una patologia del muscolo da una del nervo.
I potenziali evocati, l’ecografia muscolare, la RM muscolare, la biopsia, sono importanti. Inoltre, oggigiorno,
si hanno a disposizione anche esami genetici e metabolici che aiutano a fare una diagnosi anche senza dover
fare una biopsia. Quindi a volte un prelievo ematico può evitare altri esami più invasivi, però non è detto e
non si può escludere che questi esami invasivi siano importanti per la diagnosi

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DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE (DCA)
(integrata con materiale di Psichiatria)

I disturbi dell'alimentazione sono un gruppo di sindromi cliniche in cui ad una condizione psicopatologica
corrisponde una persistente alterazione della condotta alimentare e la presenza di comportamenti volti al
controllo del peso e della forma del corpo.
Tali alterazioni comportano danni alla salute fisica e compromettono in misura significativa il funzionamento
psicosociale. Sono patologie complesse, caratterizzate da:
- anomalie del pattern dell’alimentazione
- pensieri e preoccupazioni ricorrenti relativamente alla forma fisica, al peso e all’immagine corporea
(quindi diventa molto importante quello che oggigiorno è chiamato body shame). La forma fisica, il
peso, l’immagine corporea diventano fondamentali rispetto a quello che poi l’individuo definisce la
propria autostima: in queste patologie, l’incremento ponderale, o il pensare di aver preso peso,
incidono in senso negativo sull’autostima personale.

Nel corso del tempo, queste patologie sono diventate sempre più frequenti, tanto da pensare ad una sorta
di epidemia sociale (↑frequenza dagli anni ’50). È una condizione che interessa i paesi industrializzati e nel
corso del tempo si è valutato sempre più, attraverso studi più approfonditi, quello che si può trovare
associato a questi disturbi, condizioni psicopatologiche che si trovano in comorbidità con i DCA.

Classificazione
C’è stata un’evoluzione tra DSM-4 e DSM-5 perché, mentre nel DSM-4 si faceva una distinzione tra i disturbi
dell’alimentazione e della nutrizione in età precoce e, invece, i disturbi del comportamento alimentare in
età più tardiva, nel DSM-5 c’è un unico capitolo, dove si definiscono i disturbi dell’alimentazione e della
nutrizione; tra questi vengono riportati:

- PICA: ingerire materiali o oggetti che non sono commestibili


- Disturbo della ruminazione
- Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID)
- Anoressia nervosa
- Bulimia nervosa
- Binge eating disorder: nel DSM-4 non era considerato disturbo a sé stante, ma era preso in esame
nel disturbo del comportamento alimentare senza specificazione. Questa categoria invece è stata
enucleata e attualmente nel DSM-5 ha un suo riconoscimento.
- Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con altra specificazione
- Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione

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Nel il DSM-5 (un altro manuale è il ICD-10, molto utilizzato nei servizi), si trova una prevalenza:
- dell’anoressia nervosa (AN)
- del 4%, per la bulimia nervosa (BN)
- del 2% e del binge eating disorder (BED) del 2%.

Dati epidemiologici
In un gruppo di studi negli anni 2003-2007, la prevalenza durante la vita in giovani femmine era:
 0.3-0.9% per AN,
 1-2% per BN,
 3.5% per BED,
 fino al 10% per i disturbi non altrimenti specificati.
Per i maschi si hanno valori più bassi rispetto alle femmine:
 0.3% per AN,
 0.5% per BN,
 2% per il BED,
In un altro studio del 2016, per le femmine AN è al 1-4%, BN al 1-2%, BED 1-4%; sostanzialmente si
osserva un incremento per AN. Per il maschio, in generale per tutti i disturbi, la prevalenza è 0.3-0.7%.
Un altro studio del 2019 di Galmiche et al. mostra una prevalenza media di
 AN: 1-4% nelle femmine, 0.2% nei maschi;
 BN: 1.9% nelle femmine, 0.6% nei maschi;
 BED: 2.8% nelle femmine, 1% nei maschi.

Quindi c’è stata una sorta di incremento della patologia, soprattutto nel sesso femminile, ma anche in quello
maschile. Inoltre, notare come l’AN tenda a prevalere nei soggetti di età inferiore rispetto alla BN e al BED.
La mortalità è elevata, soprattutto per l’AN. Sono condizioni di mortalità di vario genere, perché possono
esserelegate ad uno stato cachettico, di progressiva consunzione, legato alla non introduzione di cibo e anche
di acqua, ma anche legate ad episodi anticonservativi, nel senso che può capitare, soprattutto quando ci sono
comorbidità con altre psicopatologie, che si possa arrivare ad atti auotolesivi, fino ad arrivare all’atto
anticonservativo che porta alla morte, il suicidio.

Eziopatogenesi
I principali fattori eziopatogenetici identificati sono:
- Fattori ambientali (contesto famigliare, insoddisfazione per il corpo, pubertà e menarca, traumi,
attaccamento insicuro, etc.)
- Fattori biologici (temperamento, familiarità per patologie psichiatriche o DCA)
- Interazione geni – ambiente  alterato funzionamento gene trasportatore della serotonina (5-
HTTLPR) e interazione con eventi traumatici durante la vita (Rozenblat et al., 2016- review)
- Alterazioni connettività cerebrale nella AN (insula, talamo, giro frontale inferiore, amigdala, giro
fusiforme,putamen) (Gaudio et al., 2018)

L’eziopatogenesi in questo caso è estremamente complessa, perché in generale nei disturbi psichiatrici si
parla di un’eziopatogenesi multifattoriale. In tante disabilità nell’età evolutiva, come ad esempio l’ADHD
(Attention Deficit Hyperactivity Disorder) oppure disturbi dell’umore o altre patologie come i DCA, sempre si
parla di multifattorialità.
In questo caso ancora di più perché la cultura, gli stereotipi, la società, il famoso, body shaming, quella che è
l’importanza del corpo, dell’esteriorità, giocano molto su questo tipo di patologia. È innegabile che altre
condizioni, come la presenza di problematiche a livello famigliare, un vissuto della pubertà difficile, così come
del menarca, traumi di vario tipo, come anche il bullismo o violenze vissute, o condizioni ancora più
anticipate, come le problematiche dell’attaccamento precoce del bambino nei primi mesi ma anche nei primi
anni di vita, sono fattori sicuramente importanti che possono influire.

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Poi è chiaro che, in tutto questo, bisogna sempre tenere in considerazione alcuni fattori biologici:
l’ereditarietà e la familiarità. Familiarità per cosa? Sicuramente per i DCA, perché molto spesso questa
condizione ricorre nella famiglia, ma anche familiarità per altre patologie psichiatriche.
Anche il temperamento, che è una componente innata della personalità, biologicamente determinata, può
in qualche modo influire anche su determinate scelte e comportamenti.
Pertanto, in conclusione, si parla della solita interazione geni-ambiente, dove chiaramente i neuromediatori
sono molto importanti. Quando si parla di neuromediatori ci si riferisce di solito a serotonina, noradrenalina,
dopamina - e poi ci sono anche degli studi interessanti recenti che parlano di alterazioni a carico della
connettività cerebrale. Questo si vede anche per altre patologie, di sicuro non influenzate dal contesto
culturale, sociale, ambientale, come ad esempio il disturbo di spettro autistico, dove è evidente che esiste
un’alterazione a livello della connettività cerebrale (una volta si parlava di ipoconnettività, adesso si parla di
iperconnettività) o comunque di squilibri a livello di quella che è la normale connettività cerebrale tra varie
aree cerebrali: l’insula, il talamo, il giro frontale inferiore, l’amigdala, il giro fusiforme, il putamen. Ci sono
articoli interessanti in letteratura su queste argomentazioni.

Riguardo l’aspetto genetico, quello che la prof vuole rimarcare non è tanto la ricorrenza genetica, che non è
così ‘brillante’ rispetto anche ad altre psicopatologie, ma la possibilità della presenza di una ricorrenza
genetica mista per altre patologie diversamente associate tra di loro, e come, a volte, vi sia la possibilità di
correlare in maniera più precoce disturbi del comportamento alimentare a specifici parametri, come per
esempio; il BMI, l’obesità, la secrezione insulinica, quella che è la curva del peso dell’individuo, cioè se
l’individuo ha tutto sommato una curva del peso già precocemente in età evolutiva un po’ più bassa rispetto
a quelle che sono invece le valutazioni di crescita regolare.
Quindi probabilmente è un discorso molto complesso, dove non solo c’è una ricorrenza psicopatologica, ma
ci sono altri fattori di tipo metabolico che possono in qualche modo favorire la ricorrenza di questi disturbi.
In letteratura si possono trovare tante altre cose, per esempio anche l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, la
secrezione del cortisolo, l’effetto della leptina prodotta nel tessuto adiposo sono ridotte nell’AN. Oppure
possono essere coinvolti diversi aspetti, come la grelina secreta dalle cellule endocrine della mucosa gastrica,
o i circuiti dorsale e ventrale a livello di connettività cerebrale rispetto anche alle azioni di rinforzo e di
gratificazione nei feedback neurali, che si trovano coinvolti anche in altre psicopatologie dell’età evolutiva.

Sicuramente sono argomenti molto interessanti e ancora da approfondire che però caratterizzano appunto
anche la multifattorialità eziopatogenetica.

Avoidant/restrictive food intake disorder (ARFID)


Il disturbo evitante/restrittivo dell'assunzione di cibo, precedentemente noto come disturbo della nutrizione
dell'infanzia o prima infanzia, è caratterizzato da una mancanza di interesse nel cibo e da evitamento dello
stesso, basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo o da conseguenze percepite nell'assunzione. Questo
disturbo recentemente incluso nel DSM-5 estende la conoscenza sulla natura dei problemi alimentari
comprendendo anche adolescenti e adulti.
Il disturbo si manifesta attraverso un fallimento persistente nel soddisfare i bisogni nutrizionali o energetici,
come evidenziato da uno o più dei seguenti aspetti:
perdita di peso consistente o mancato raggiungimento del peso previsto, deficit nutrizionale, dipendenza
dalla nutrizione parenterale o da integratori alimentari, oppure marcata interferenza con il funzionamento
psicosociale. Può esordire con un completo rifiuto del cibo, una selezione del cibo, l'assunzione troppo scarsa
di cibo, l’evitamento dello stesso e una ritardata auto-alimentazione.
La diagnosi non dovrebbe essere posta in un contesto di AN, BN, o se causata da una condizione medica, da
un altro disturbo mentale o da una reale mancanza di disponibilità di cibo. I bambini con con questo disturbo
possono risultare introversi, irritabili, apatici, o ansiosi.
Rispetto agli altri soggetti, a causa del comportamento evitante durante la nutrizione, diminuisce il contatto
fisico tra madre e tiglio durante l'intero processo della stessa. Alcuni studi indicano che l'evitamento o la
restrizione possano risultare relativamente durature; tuttavia, in molti casi può essere raggiunto un normale
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funzionamento in età adulta.
Molti bambini piccoli con disturbo della nutrizione identificati entro il primo anno di vita e che ricevono il
trattamento non sviluppano malnutrizione, ritardo evolutivo o scarsa crescita. Quando i disturbi della
nutrizione esordiscono più tardi, in bambini di 2 o 3 anni, la crescita e lo sviluppo possono esserne influenzati
nei casi in cui il disturbo persista da parecchi mesi. Nei bambini più grandi o negli adolescenti, il disturbo
interferisce con il funzionamento sociale finché non viene trattato.
Necessitano, a volte, di avere una sorta di alimentazione forzata di tipo enterale o di supplementi nutrizionali
particolari, ed è spesso una condizione che si associa a problematiche psico-sociali e relazionali dell’individuo.
È un disturbo che NON è legato alla distorsione della propria immagine corporea, come per AN, BN o BED.
Qui l’immagine del corpo non ha importanza (non c’è una polarizzazione sul corpo) e non si colloca in un
contesto in cui c’è una impossibilità effettiva di avere cibo.
Ci sono anche delle valutazioni in letteratura rispetto a determinate selettività alimentari o problematiche
sensoriali che si trovano in bambini con disturbo dello spettro autistico, che possono avere comportamenti
di evitamento del cibo. È quindi una categoria molto generale, al cui interno si possono trovare molte
condizioni psicopatologiche diverse, dove il rifiuto del cibo però non è polarizzato sull’immagine corporea o
sull’incremento ponderale, è più un rifiuto a priori, per vari motivi.

PICA
La pica viene definita come una persistente ingestione di sostanze senza contenuto alimentare. In tale
disturbo non si riscontrano generalmente anomalie biologiche specifiche ed essa viene identificata in molti
casi soltanto quando insorgono problemi medici quali un'ostruzione intestinale, un'infezione intestinale o un
avvelenamento, come l'intossicazione da piombo dovuta all'ingestione di scaglie di vernice a base di piombo.
La pica si presenta più frequentemente nel contesto di un disturbo dello spettro dell'autismo o di una
disabilità intellettiva; comunque, viene diagnosticata soltanto quando si dimostra sufficientemente severa e
perdurante da richiamare l'attenzione clinica. La pica può esordire nei bambini Piccoli, negli adolescenti o
negli adulti; tuttavia, per porre diagnosi di tale disturbo è stato indicato dal DSM-5 un'età minima di 2 anni.
al fine di escludere il gesto, evolutivamente appropriato da parte dei bambini piccoli, di portare alla bocca
oggetti che accidentalmente possono essere ingeriti.
Il disturbo si manifesta sia nei maschi che nelle femmine e, in rari casi, può essere associato alla convinzione
di tipo culturale riguardante il beneficio spirituale o medicamentoso di ingerire sostanze non nutritive. In
questo contesto la diagnosi di pica non viene applicata. Tra gli adulti, certe forme di pica che comprendono
la geofagia (mangiare la terra) e amilofagia (mangiare l'amido) sono state osservate in alcune donne durante
la gravidanza.

Eziologia
La pica si presenta perlopiù come disturbo transitorio che tipicamente persiste per alcuni mesi e
successivamente va incontro a remissione. Nei bambini più piccoli, si osserva più assiduamente tra coloro
che rivelano ritardi evolutivi dell'eloquio e della socializzazione. Un numero sostanziale di adolescenti affetti
da pica manifesta sintomi depressivi ed uso di sostanze. In qualche caso sono state riportate
aneddoticamente carenze nutrizionali di sostanze minerali quali lo zinco o il ferro, anche se queste
segnalazioni risultano rare. Ad esempio, il desiderio incontrollato di sostanze sporche e di ghiaccio è stato
riscontrato in associazione a deficit di ferro e zinco, la cui somministrazione ne provoca la scomparsa. In
alcuni casi di pica è stato registrato un maltrattamento severo del bambino sotto forma di trascuratezza
genitoriale e di deprivazione. La mancanza di supervisione, così come di un'adeguata alimentazione del
bambino piccolo può incrementare il rischio di pica.

Manifestazioni
Mangiare ripetutamente sostanze non commestibili non è considerato normale dopo i 18 mesi di vita;
comunque, il DSM-5 suggerisce un'età minima di 2 anni per porre diagnosi di pica. I comportamenti della
pica, tuttavia, possono insorgere nell'infanzia tra i 12 e i 24 mesi di vita. Le sostanze specifiche ingerite variano
in base all'accessibilità e aumentano con la padronanza della capacità di spostamento da parte del bambino,
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con il risultato di una maggiore indipendenza e di una diminuita supervisione genitoriale. Di norma i bambini
più piccoli possono ingerire vernice, gesso, cordicelle, capelli e tessuti, mentre i bambini più grandi possono
ingerire terra, feci di animali, piccole pietre e carta. Le implicazioni cliniche possono essere benigne o
pericolose per la vita del bambino, a seconda dell'oggetto ingerito. Tra le più serie complicanze vengono
segnalate l'intossicazione da piombo (solitamente da vernici a base di piombo), le parassitosi intestinali a
seguito dell'ingestione di rifiuti o feci, l'anemia e la carenza di zinco in seguito all'ingestione di terra, una
grave carenza di ferro dovuta all'ingestione di grandi quantità di amido e l'ostruzione intestinale derivante
dall'ingestione di tricobezoari, pietre o ghiaia. Spesso la pica si risolve in adolescenza (o può persistere anche
per anni), ad eccezione di quella legata al disturbo dello spettro dell'autismo e della disabilità intellettiva. La
pica associata alla gravidanza solitamente scompare con il termine della stessa.

Anoressia nervosa (AN)


(Nella dispensa CLUEB scritta dalla prof c’è ancora la valutazione del DSM-4).

Il quadro clinico di maggior gravità di questo gruppo di disturbi per le gravi conseguenze che determina sul
piano fisico con rischio di mortalità. Le conseguenze fisiche possono derivare dalla perdita di peso eccessivo,
dall'alterazione nell'apporto calorico, o possono derivare dalle condotte compensatorie (ad esempio squilibri
elettrolitici derivanti da ripetuti episodi di vomito autoindotto). L'anoressia nervosa è il quadro più grave poiché
è determinato da un'alterazione psicopatologica più profonda: mentre negli altri disturbi dell'alimentazione il
problema è un alterato rapporto con il cibo, nell'anoressia il problema è un rapporto patologico con il proprio
corpo e la propria sessualità che solo secondariamente comporta il disturbo alimentare (tra l'altro sono spesso
presenti altri comportamenti patologici — ad esempio atti autolesivi — espressione dell'alterato rapporto con
il propria corpo).
Il dimagramento rappresenta il tentativo correggere la forma del proprio corpo, le proprie fattezze fisiche
sgradite o non accettate. La denominazione anoressia è quindi impropria poiché non si tratta di una riduzione
o di una scomparsa dell'appetito.

Manifestazioni essenziali
Il quadro clinico dell'anoressia nervosa comprende usa serie variegata di sintomi e di elementi psicopatologici
correlati alle alterazioni della condotta alimentare.

Secondo il DSM-5, i sintomi fondamentali per porre diagnosi del disturbo sono tre e devono essere presenti
tutti perché il quadro sia tipico e conclamato:

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1. Restrizione dell'apporto energetico rispetto al necessario che conduce ad un peso corporeo
significativamente basso tenendo conto dell’età, del sesso, della traiettoria evolutiva e dello stato di
salute fisica. Risulta difficile definire in modo uniformemente accettato un peso significativa-mente
ridotto. Se si considera l'Indice di Massa Corporea (BMI), l'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO)
considera normale un valore pari o superiore a 18,5 kg/ m2 e indice di magrezza moderata/severa un
valore inferiore a 17 kg/m2. Il DSM-5 prevede uno specificatore di gravità della anoressia nervosa a
seconda del valore di BMI:
o lieve se il BMI è 17 kg/m2
o moderata se il BMI è compreso tra 16 e 16,99 kg/m2
o severa se compreso tra 15 e 15,99 kg/m2
o estrema se <15 kg/m2.
La restrizione alimentare riguarda prevalentemente i cibi ricchi di lipidi e i carboidrati, che vengono
eliminati progressivamente dalla dieta e sostituiti con frutta e verdura o fibre e integratori vitaminici
nella convinzione di voler dimagrire mantenendosi in buone condizioni di salute
Spesso le pazienti iniziano a controllare e a sovraintendere chi cucina per la paura che ci siano
eccessivi condimenti o che non vengano rispettate le quantità prescritte e rapidamente arrivano a
rifiutare qualsiasi cosa che non sia preparata da loro stesse. Il pasto comincia a diventare motivo di
ansia e iniziano a procrastinare il momento di sedersi a tavola fino a sovvertire completamente
l’orario dei pasti. Se costretta a mangiare riduce il cibo in elementi piccolissimi e li sparpaglia nel
piatto, giocherellandoci anche per ore. Il dimagramento e il mantenimento di un peso al di sotto della
norma possono avvenire attraverso differenti condotte alimentari. A seconda delle caratteristiche
prevalenti del comportamento alimentare abnorme, si distinguono due diversi sottotipi clinici del
disturbo:
o sottotipo con restrizioni (50%) la diminuzione dell'apporto calorico viene attuata o con una
riduzione delle porzioni oppure attraverso l'esclusione di specifici alimenti (la carne, i
carboidrati, ecc.) o il salto di alcuni pasti. Alcune forme di pseudo-vegetarianesimo o di scelte
dietetiche a scopi apparentemente religiosi ed ecologisti (per purificazione del corpo, per
detossificazione) celano in realtà una scelta diversa: in questo modo, il paziente nasconde
agli altri e in parte a sé stesso la necessità di doversi imporre delle restrizioni dietetiche per
dimagrire. L'eccessivo ricorso ad esercizi fisici può costituire un'altra modalità per mantenere
un peso corporeo significativamente basso senza dover ricorrere all'uso improprio di
condotte di eliminazione;

o sottotipo con abbuffate e condotte di eliminazione (binge purging-50%) in questi casi i


pazienti tentano di ridurre l'apporto calorico ma non riescono a mantenere un controllo
costante sul proprio comportamento alimentare. Le rigorose limitazioni autoimposte si
traducono nella messa in atto di abbuffate: le pazienti cedono all'impulso di mangiare in poco
tempo una grande quantità di cibo, con assoluta perdita di controllo sull'alimentazione. La
perdita di controllo sull'alimentazione è evidenziata dal fatto che le pazienti mangiano cibi
cotti e crudi insieme, mescolando dolce e salato, senza tener conto del normale ritmo,
ordine, gusto che regola l'alimentazione normale. È presente una commistione di aspetti
impulsivi (l'abbuffata) e compulsivi (i rituali di eliminazione del cibo ovvero i rituali per
favorire il consumo di calorie). La riduzione del peso avviene per la messa in atto di uno o più
comportamenti di eliminazione: vomito autoindotto, abuso di lassativi, abuso di diuretici.
Alcuni individui con questo sottotipo attuano regolarmente condotte di eliminazione anche
dopo pasti caratterizzati da restrizione alimentare (non necessariamente quindi le condotte
di eliminazione sono precedute da abbuffate vere e proprie). In questo caso il disturbo
anoressico è in rapporto alla bulimia; si tratta comunque di pazienti anoressiche che mettono
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in atto dei comportamenti e dei sintomi di tipo bulimico. Ciò che distingue i due disturbi è il
peso, significativamente ridotto nell'anoressia nervosa e normale o addirittura superiore a
quanto atteso nella bulimia nervosa.

2. Timore intenso di ingrassare, nonostante la paziente sia sottopeso (cioè la paura di aumentare di peso
non è alleviata dal fatto di essere manifestamente sottopeso). Si tratta di un atteggiamento di tipo fobico,
accompagnato quindi da episodi di ansia intensa (tipo crisi fobiche) che si rendono particolarmente
manifesti quando la bilancia segnala l'aumento del peso o anche soltanto nel timore che questo succeda,
e da comportamenti di evitamento (le pazienti evitano se possibile di vedere il peso segnato dalla bilancia
per timore che sia aumentato anche di pochi grammi).

3. Alterata immagine corporea (alterazione del modo in cui il soggetto vive d'impeto peso o la firma del
proprio corpo): la paziente si vede grassa o vede troppo abbondanti alcune parti del proprio corpo
(addome, fianchi, ecc.). Secondo alcuni autori si tratta di un sintomo predelirante o delirante, in quanto
la convinzione di essere grassa deriva da un giudizio delirante della percezione del proprio corpo
(percezione delirante) e non da elementi di realtà; tale convinzione appare inoltre irriducibile e non
criticabile. Sul piano clinico, si riscontrano casi diversificati e piuttosto eterogenei: in alcune pazienti sono
effettivamente rilevabili degli elementi psicopatologici di tipo psicotico, in altre la critica è mantenuta e
l'alterata immagine corporea si esprime più come vissuto nevrotico di insoddisfazione per il proprio
aspetto, come sentimento di inadeguatezza o come dismorfofobia. È di frequente osservazione il fatto
che la paziente non presenta un alterato giudizio per l'immagine corporea delle altre persone: la
valutazione obiettiva del peso altrui e della forma corporea di altre persone appaiono perfettamente
conservate. Non di rado si assiste a dei paradossi: una paziente anoressica considerava "abbastanza
magra" la giovane che era ricoverata vicino al suo letto (si trattava di una donna alta 165 cm che pesava
50 kg), e si sentiva "grassa" al confronto (pur pesando 35 kg per la medesima altezza). L'autostima della
paziente anoressica è basata in modo predominante o esclusivo sulla forma del corpo e sul peso.
Può risultare utile mostrare dei criteri che oggettivino la gravità della situazione. Esempio è la curva
peso/mortalità. Questo può aiutarli a prendere consapevolezza.

Tali componenti cliniche/psicopatologiche devono essere presenti da almeno 3 mesi.

Il DSM-5 ha introdotto due cambiamenti rispetto alla diagnosi dell’AN:


1. CRITERIO B: è stato ampliato, per includere, oltre al timore di aumentare di peso, anche la
presenza di un comportamento tale da non permettere all’individuo di acquisire peso.
2. È stata eliminata l’amenorrea come criterio diagnostico, per 3 motivi:
o il primo è che sempre più spesso si trovano bambine prepuberi, che non hanno ancora avuto
il ciclo mestruale, quindi si parla di amenorrea primaria (si può invece avere amenorrea
secondaria nel caso in cui la paziente abbia già avuto il ciclo e poi a causa delle restrizioni
alimentari si trovi ad avere la mancanza del ciclo);
o in secondo luogo, si hanno sempre più maschi, numericamente rimangono inferiori alle
femmine però sta aumentando anche la quota dei maschi (una volta per i maschi si parlava
di calo della libido o della potenza sessuale, quindi togliendo il dato dell’amenorrea si tiene
in considerazione anche l’aspetto maschile);
o infine, può succedere che la situazione si verifichi anche in donne che sono in menopausa (è
una cosa più di nicchia, si tratta di persone che potevano essere predisposte a questo tipo di
patologia che sviluppano poi una condizione di questo genere in menopausa).

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Manifestazioni associate-complicanze
Oltre ai sintomi fondamentali, nel quadro clinico dell'anoressia mentale si possono riscontrare altri sintomi e
altri elementi psicopatologici che, sebbene siano meno frequenti, sono comunque meritevoli di attenzione.

Amenorrea da almeno tre mesi— L'amenorrea, criterio diagnostico nelle precedenti versioni del sistema
classificatorio americano, non figura più tra i criteri per la diagnosi di anoressia nervosa, pur essendo
frequente. Si sottolinea che si tratta di un sintomo fondamentale in quanto spesso è primario e non
secondario al calo ponderale: è un'amenorrea psicogena determinata da una disfunzione centrale
ipotalamica, analoga a quella che si può osservare in concomitanza a periodi di intenso stress emotivo.
Nell'anoressia è presente una regressione dell'asse Ipotalamo-Ipofisi-Gonadi, con un quadro di secrezione
dell'LH sovrapponibile a quello tipico degli individui in fase puberale o prepubere. Nelle femmine si osservano
basse concentrazioni plasmatiche di estrogeni, nei maschi basse concentrazioni plasmatiche di testosterone.
Non di rado si osserva infatti in alcune pazienti la scomparsa dei cicli mestruali prima che si avvii il calo
ponderale, così come l'induzione di un peso corporeo adeguato in un'anoressica non sempre comporta la
risoluzione dell'amenorrea. Le abitudini alimentari, il calo ponderale e l'eventuale aumento dell'attività fisica
possono naturalmente determinare anch'essi amenorrea o sostenere quella che si è avviata come psicogena.

Ritiro sociale e coartazione affettivo-sessuale — Un certo grado d'isolamento e di riduzione dei rapporti
sociali si osserva con frequenza e si stabilisce progressiva-mente già dall'esordio del quadro clinico: spesso si
tratta di un'accentuazione di tratti di personalità preesistenti. Sul piano affettivo-sessuale, l'anoressica è in
genere immatura e inibita: tende a evitare rapporti interpersonali che potrebbero coinvolgerla da questo
punto di vista o assume comportamenti infantili e inadeguati.

Iperattività: soprattutto nelle prime fasi del disturbo, le giovani pazienti possono apparire molto attive e
piene di energia. Dormono poco, non accusano stanche e tutto ciò contrasta naturalmente con lo scarso
apporto calorico e con il dimagramento. Talora, l’iperattività si esprime anche con un'intensa ed esagerata
prestazione sportiva per l'idea della paziente di rider il peso corporeo anche in questo modo. L’iperattività
fisica, come già ricordato, è particolarmente spiccata nei pazienti di sesso maschile. In queste fasi del disturbo
è caratteristico riscontra, anche un umore buono, quasi lievemente espanso, la paziente si sente bene, è
sicura di sé e delle proprie scelte, non intende curarsi poiché si considera assolutamente in buona salute.
Alla restrizione alimentare le pazienti associano attività fisica aerobica di cu iniziano ad incrementare
frequenza e durata, assumendo caratteristiche compulsive e iniziano a ragionare per:
o crediti = ad una determinata attività fisica corrisponde la possibilità di concedersi del cibo
o debiti = ad un’intemperanza alimentare deve corrispondere una determinata quantità di esercizio
L’esercizio fisico è motivato a volte più che dal desiderio di dimagrire, dalla sensazione di essere flaccide e di
dover rassodare i muscoli

Depressione dell'umore - È frequente osservali dopo qualche tempo dall'esordio, quando l'iperattività - con
la soddisfazione che l'accompagnava -viene meno per l'impossibilità fisica a reggere tali ritmi. In alcuni casi,
l'anoressia nervosa si complica con un vero e proprio episodio depressivo maggiore che si sovrappone al
disturbo alimentare. Altre volte si tratta di forme di depressione meno grave con marcati elementi di
conflittualità e tendenza alla cronicizzazione (distimia).

Sintomi ossessivo-compulsivi — Sono presenti con una certa frequenza ideazione e rituali ossessivo-
compulsivi centrati sul cibo (misurare o controllare ripetutamente le calorie di ogni alimento), sul comporta-
mento alimentare in generale o sulla misurazione del peso corporeo (guardare ripetutamente allo specchio
specifiche parti del corpo, misurare ripetutamente le varie circonferenze del corpo, prendere in mano le
pieghe del grasso). Viene spesso segnalato che la frequenza dei sintomi ossessivo-compulsivi nelle pazienti
anoressiche aumenta con il diminuire del peso corporeo. Nel paziente di sesso maschile i comportamenti
compulsivi si manifestano con particolare gravità riguardo agli esercizi muscolari fisici. Sul piano somatico, si
rilevano numerose c variegate alterazioni e disturbi che sono quelli tipici dei quadri d'iponutrizione.
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Caratteristiche principali del paziente anoressico
Esame obiettivo generale
- Aspetto emaciato; rallentamento della crescita e iposviluppo delle mammelle (se l’esordio è in epoca
prepuberale)
- Cute secca; lanugo su schiena, braccia, e ai lati del viso; in pazienti con ipercarotenemia: colorazione
arancio del palmo della mano e della pianta dei piedi
- Fragilità capelli-unghie
- Salivazione delle parotidi e delle ghiandole sottomandibolari (specialmente nei pazienti bulimici)
- Erosione della superficie interna dei denti incisivi (perimilolisi) in coloro che vomitano spesso
- Mani e piedi freddi;
- Ipotermia, Ipersensibilità al freddo
- Bradicardia; ipotensione ortostatica; aritmie cardiache (specialmente in pazienti sottopeso e coloro
con anomalie degli elettroliti)
- Edema (che complica l’assessment del peso corporeo) con possibilità di insorgenza anche a lv
pericardico
- Debolezza dei muscoli prossimali (evidenziata dalla presenza di difficoltà nel rialzarsi dalla posizione
accovacciata)

Anomalie-Endocrine
- Ridotte concentrazioni di LH, FSH ed estradiolo  Amenorrea (in donne che non assumano
contraccettivi orali), scarsa libido, infertilità
- Valori di T3, T4 ai limiti inferiori della norma in presenza di valori normali di TSH (sindrome da basso
T3)
- Lieve aumento del cortisolo plasmatico
- Aumentate concentrazioni di GH
- Severi episodi di ipoglicemia (rari)
- Bassi valori di leptina (ma più alti dell’atteso in relazione al peso corporeo)

Anomalie-Cardiovascolari
- Anomalie all’ECG (specialmente in coloro con dis-ionemia): difetti della conduzione, allungamento
del QT
- Ipotensione
-
Anomalie-Gastro-intestinali
- Lesioni ulcerative di esofago e stomaco (con vomito)
- Ritardo dello svuotamento gastrico  ripienezza post-prandiale e gonfiore
- Ridotta motilità del colon (secondaria all’uso cronico di lassativi)  stitichezza. Stipsi causata anche
dalla prolungata assenza di introito di cibo.
- Dilatazione acuta dello stomaco (rare, secondaria a binge eating o ad una eccessiva ri-alimentazione)
- Epatiti/pancreatiti

Anomalie-Ematologiche
- Moderata anemia normocitica normocromica
- Lieve leucopenia con linfocitosi relativa
- Trombocitopenia

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Sistema nervoso centrale
- non essendoci una nutrizione corretta, riduzione delle performance cognitive, perdita di memoria e
concentrazione, cefalea;
- Ventricoli cerebrali e spazi subaracnoidei di volume aumentato (pseudo-atrofia)
- Insonnia con risvegli precoci mattutini

Sistema muscolare
- Riduzione trofismo e massa muscolare
- Osteopenia e osteoporosi (con aumentato rischio di fratture)  dopo 6 mesi di amenorrea,
consigliata densitometria ossea

Sistema nervoso periferico


- parestesie,
- riduzione della sensibilità

Altre anomalie metaboliche


- Ipercolesterolemia
- Aumentati livelli di carotene sierico
- Ipofosfatemia (iper durante la ri-alimentazione)
- Disidratazione
- Turbe elettrolitiche (in varie forme; soprattutto in coloro che vomitano frequentemente o abusano
di lassativi o diuretici che determinano alcalosi metabolica ed ipopotassiemia; l’abuso di lassativi
invece si traduce in acidosi metabolica, iponatremia, ipopotassiemia

Sono complicanze soprattutto per quanto riguarda l’AN, ma questo discorso in realtà vale in generale. Non è
che ci sia una demarcazione così chiara tra questi DCA, perché spesso si vede anche un passaggio dall’uno
all’altro: un paziente che era anoressico, poi diventa bulimico o può shiftare verso il BED. Quindi queste
patologie possono essere anche associate. Molto spesso, dopo una fase di forte restrizione calorica come

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succede nell’AN, il paziente, in una fase successiva, può perdere il controllo completamente e diventare un
paziente che fa delle abbuffate, con delle condotte [compensatorie] o meno.

Esordio e decorso
L'anoressia nervosa insorge mediamente intorno ai 16-17 anni con due picchi di maggior frequenza d'esordio:
 il primo intorno ai 14 anni
 il secondo intorno ai 18 anni.

Negli ultimi anni, l'età d'esordio del disturbo si è spostata più tardivamente: è in aumento l'ampiezza del
picco d'esordio dei 18 anni rispetto a quello dei 14 anni e si registrano con maggiore frequenza esordi più
tardivi. L'avvio del quadro clinico è generalmente subdolo e insidioso, in genere a seguito di una normale
dieta ipocalorica, e il disturbo si stabilisce progressivamente nell'arco di alcuni mesi. In alcuni casi però
l'insorgenza è acuta dopo un evento psicosociale stressante.
- Un orientamento omosessuale negli uomini è confermato fattore predisponente
- Un orientamento omosessuale nelle donne, invece, potrebbe risultare protettivo (nelle comunità
lesbiche di solito vi è più tolleranza per quanto riguarda aspetto/forma fisica)
Nella prima fase del disturbo la riduzione del peso corporeo ottenuta si associa a benessere soggettivo e a
sentimenti di onnipotenza prodotti dal successo nel controllo sulla fame e sull'introito di cibo, con rinforzo
positivo sulla restrizione alimentare e sulle altre pratiche di dispendio energetico.
In seguito, le preoccupazioni circa la forma del corpo e il peso diventano marcate e la paura di ingrassare
persiste nonostante la riduzione del peso. Compaiono la polarizzazione del pensiero sul cibo con aspetti
ossessivi e i rituali compulsivi. Il rapporto con i familiari diventa problematico e compaiono le complicanze
mediche della anoressia. Il decorso può essere di vario tipo: circa il 30% delle pazienti anoressiche presenta
un unico episodio che si risolve completamente nell'arco di alcuni mesi senza successive ricadute; un altro
30% circa presenta una buona remissione clinica ma nel corso della vita presenta delle recidive del disturbo,
soprattutto in occasione di eventi di vita stressanti; 30% delle pazienti cronicizza stabilizzandosi in una
condizione clinica di lieve o media gravità; il restante 10% delle pazienti va incontro a mortalità.

Le cause più frequenti di morte sono le complicanze mediche acute e croniche, mentre il suicidio costituisce
il 20% di tutte le cause di morte. La gravidanza e la menopausa sono da considerarsi periodi a rischio per
l'aggravamento o per la ricorrenza dei sintomi anoressici.
I pz affetti dal sottotipo con restrizione sembrano avere una minor probabilità di guarire rispetto a quelli
affetti dal tipo con abbuffate-condotte di eliminazione

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Terapia
La valutazione ed il trattamento dell'anoressia nervosa (come anche degli altri disturbi dell'alimentazione)
richiedono un approccio multidimensionale (occorre valutare aspetti psicopatologici ma anche fisici,
compresi accertamenti medici ed esami di laboratorio),interdisciplinare, pluri-professionale integrato: oltre
alla presa in carico e terapia psichiatrica il trattamento comprende la presa in carico da parte di un internista
e/o dietologo/nutrizionista, per la cura delle conseguenze e delle complicanze della iponutrizione, e di un
endocrinologo e/o ginecologo per la cura ed il controllo dell'amenorrea e delle disfunzioni endocrine
secondarie al patologico comportamento alimentare. Quattro quindi sono i punti fondamentali:
1. Aiutare i pazienti a vedere che hanno bisogno di aiuto e mantenere nel tempo la loro motivazione a
guarire. Questo obiettivo è primario data la loro riluttanza al trattamento.
2. Ripristino del peso corporeo. Questo obiettivo si pone dalla necessità di contrastare lo stato di
malnutrizione e porta solitamente ad un sostanziale miglioramento dello stato generale del paziente
In ospedale
o I pz dovrebbero essere pesati tutti i giorni alla mattina presto dopo aver svuotato la vescica
o Registrare il bilancio idrico
o Il personale dovrebbe rendere inaccessibile il bagno per almeno 2h dopo il pasto, o nel caso
il pz dovrebbe essere accompagnato
o I pasti giornalieri dovrebbero essere suddivisi in circa 6 momenti per evitare un sovraccarico
(soprattutto sovraccarico circolatorio per implementazione di liquidi)
3. Il terzo aspetto del management consiste nel trattare la cattiva valutazione che il paziente ha della
propria forma e peso corporeo, gestire le abitudini alimentari e il loro funzionamento psico-sociale
4. Non c’è un solo modo di raggiungere questo obiettivo (antidepressivi, antipsicotici, psicoterapie).
Una terapia familiare sembra essere la più utile per i pazienti più giovani ed è pertanto
principalmente utilizzata con gli adolescenti
Occorre inoltre ricordare che la consapevolezza di malattia e la motivazione al cambiamento sono incostanti
e si traducono in un'elevata percentuale di pazienti che non si
presentano alla seconda visita specialistica. La possibilità di
un'organizzazione di trattamento che preveda una molteplicità dei
contesti di cura (ambulatorio, day hospital, reparto specializzato
nel trattamento dei disturbi alimentari) costituisce un criterio di
appropriatezza diagnostico-terapeutica. Il luogo di cura in alcuni
casi non può che essere l'ospedale. Per decidere se e quando
ospedalizzare la paziente vanno considerati soprattutto i parametri
fisici (in immagine).

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Oltre ai parametri somatici, influenzano la decisione se ospedalizzare o meno la paziente le difficoltà
gestionali di un trattamento a domicilio: scarsa consapevolezza di malattia e quindi scarsa collaborazione,
scarso supporto familiare o ambiente eccessivamente stressante. Infine, la presenza di eventuale ideazione
suicidaria costituisce un ulteriore indicazione al ricovero. L'intervento psicofarmacologico dell'anoressia
nervosa è sintomatico (non si dispone ad oggi di trattamenti psicofarmacologici specifici per il nucleo
psicopatologico del disturbo) e va associato ad un intervento complesso di presa in carico psicoterapica
(anche della famiglia). L’intervento farmacologico è focalizzato al trattamento delle complicanze psichiatriche
 gli inibitori del reuptake della serotonina appaiono essere il miglior trattamento dei sintomi
depressivi
o la fluoxetina ad alto dosaggio (60-80 mg/die) può esser indicata per il controllo delle
abbuffate nelle forme di anoressia con sintomi bulimici.
o Anche i sintomi ossessivo-compulsivi eventualmente associati sono suscettibili di
trattamento con gli inibitoti selettivi del reuptake della serotonina.
 L'impiego di benzamidi sostituite che a basso dosaggio (sulpiride, levosulpiride) stimolano l'appetito,
è consigliato da alcuni autori: è però importante tenere presente che indurre l'aumento dell'appetito
in un'anoressica può comportare dei rischi, poiché risulta in genere sgradito alla paziente o
addirittura la spaventa con la possibilità di determinare un effetto paradosso di demoralizzazione.
 Le benzodiazepine possono essere impiegate per il controllo dell'ansia o per la cura dell'insonnia.

La psicoterapia risulta essere al momento la principio possibilità di trattamento per la paziente anoressia.
Non sempre è attuabile, data la scarsa propensione di queste pazienti a farsi curare (soprattutto in fase
iniziale) e non sempre è pienamente efficace: è importante individuare la tecnica di intervento più idonea ed
indicata per ogni specifico caso. Si distinguono le terapie individuali e le terapie basate sulla famiglia, tra le
prime sono compresi i trattamenti cognitivo-comportamentali e le psicoterapie ad indirizzo psicodinamico.
 Terapie cognitivo-comportamentali: l'intervento classico in questi casi ha il fine di correggere il
comportamento alimentare patologico e di ripristinare su rapporto con il cibo più naturale e
adeguato; gli aspetti maggiormente suscettibili di miglioramento con la terapia cognitivo-
comportamentale sono la fobia del cibo/peso corporeo.
Le tecniche impiegare (desensibilizzazione sistematica, inibizione reciproca) sono quindi centrate sul
cibo considerato come un sintomo ansiogeno. Un intervento più approfondito può prevedere anche
il tentativo di correggere quei pensieri irrazionali "di obesità o sovrappeso", di deformità fisica" ecc.,
che costituiscono l'assetto cognitivo della paziente: la tecnica cognitiva agisce e interviene sempre
sul piano consapevole della razionalità e della convinzione.
 Psicoterapie ad indirizzo psicodinamico. Nell’anoressia nervosa, si può intervenire con trattamenti
del profondo a medio o a lungo termine che mirano alla risoluzione dei conflitti inconsci che
sottendono il di-sturbo e quindi alla ristrutturazione della personalità della paziente, in particolare
riguardo a una migliore accettazione della propria identità e maturità sessuale.
 Terapie basata sulla famiglia. L'anoressia mentale rappresenta il principale campo di applicazione di
queste tecniche che possono essere indicate come unico trattamento o a supporto di un trattamento
individuale. Alcune dinamiche familiari patologiche che questi trattamenti mirano a modificare sono
abbastanza tipiche delle famiglie di anoressiche: madre ipercontrollante, legata in modo simbiotico
alla figlia-paziente e padre che assume una posizione periferica nel contesto familiare senza riuscire
a stabilire un rap-porto diretto con la propria figlia. Le terapie basate sulla famiglia risultano
particolarmente efficaci in pazienti giovani con durata di malattia inferiore ai 3 anni.

Bulimia nervosa (BN)


La bulimia nervosa è un disturbo dell'alimentazione caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffate
alimentari (binge-eating) e da comportamenti patologici di compenso volti ad evirare l'aumento di peso. È
un disturbo in cui un contenuto mentale (idea-impulso di mangiare) non riesce ad essere controllato e neutra-
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lizzato e si traduce in un comportamento.

Manifestazioni essenziali
Il disturbo si caratterizza per la presenza di tre sintomi fondamentali:

1. Ricorrenti crisi bulimiche (episodi di abbuffate"):


le abbuffate o crisi bulimiche sono definite dalla assunzione di una quantità di cibo effettivamente eccessiva
in un breve intervallo di tempo (minuti o poche ore) associata alla sensazione di perdita di controllo
(sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o di non controllare che cosa o quanto si stia mangiando-
derealizzazione). Il paziente si sente spinto in modo impulsivo a mangiare in modo smodato: l'impulso a
mangiare non si manifesta necessariamente accompagnato da senso di fame, può essere un'idea ossessiva
che assilla senza alcun sentimento di desiderio e/o di piacere (fino anche a circa 4000-20000 kcal per
abbuffata). È sempre riferito il tentativo di opporre resistenza per non cedere all'impulso: la mente del
paziente diviene così occupata da questa continua "lotta" tra la spinta ad abbuffarsi e il tentativo di
reprimerla. Nella condizione clinica di bulimia nervosa, la resistenza è sempre ovviamente insufficiente e si
realizzano così le "crisi" bulimiche (abbuffate). Il cibo assunto durante le abbuffate può essere di qualsiasi
tipo - talora non pare aver nulla a che fare con aspetti di soddisfazione gustativa - sebbene sia più comune
l'assunzione smodata di alimenti ad alto contenuto di carboidrati (dolci, farinacei). Sono soggetti che
preparano l’abbuffata o rubano per comprarla. La spinta a mangiare è talmente elevata che mangiano anche
cibi congelati. Tipicamente un paziente bulimico ammette di esserlo. Più che l'assunzione di una quantità
eccessiva di cibo in un periodo definito di tempo, ciò che caratterizza le abbuffate è la sensazione di perdita
del controllo che il/la paziente prova nei confronti dell'assunzione di cibo: la perdita di controllo si manifesta
nella assunzione di cibi cotti e crudi insieme, con mescolanza di dolce e salato, senza il rispetto delle ordinarie
regole dell'alimentazione (preparazione della tavola, posizione seduta, ecc.).
È inoltre caratteristica la sensazione di disagio, imbarazzo e/o colpa che prova la paziente nel post-abbuffata.
Le crisi bulimiche possono anche essere "soggettive", cioè caratterizzate dalla sensazione da parte del
paziente di mangiare una quantità di cibo eccessiva mentre obiettivamente detta quantità è normale o
ridotta, purché tali episodi di abbuffate siano accompagnati dalla sensazione di perdita di controllo. Per la
diagnosi è richiesto che le abbuffate e le condotte eliminatorie inappropriate (che seguono le abbuffate) si
verifichino in media almeno una volta a settimana per 3 mesi. Il livello attuale di gravità del disturbo è
determinato principalmente dalla frequenza delle crisi bulimiche, anche se concorrono altri elementi
psicopatologici.

2. Ricorrenti ed inappropriate condotte di eliminazione o compensatorie (prevenire l'aumento di peso).


Il vomito auto-indotto rappresenta quello più tipico e più frequente; si manifesta in genere immediatamente
a seguito dell'abbuffata e si accompagna ad un sentimento ambivalente: senso di sollievo per aver elimina-
to in tal modo l'eccesso di cibo e senso di frustrazione e di vergogna per essere ricorso a un tal espediente.
L'abuso di diuretici e/o di lassativi, o di altri farmaci, rappresenta un'altra frequente modalità di
"compensazione" delle abbuffate. Altri tentativi di compensazione sono rappresentati dalle restrizioni
dietetiche o dai digiuni tra un'abbuffata e l'altra (che spesso non riescono a venir seguiti con il rigore che
prevederebbe il proposito). Allo stesso modo, l'esercizio fisico intenso rappresenta un altro tentativo di
contrastare l'accumulo di calorie determinato dalle abbuffate. Quindi si distinguono due sottotipi.
Nei DCA i pazienti non amano la convivialità del cibo, quindi sia l’anoressica con le sue restrizioni sia la
bulimica con le sue abbuffate compiono l’atto in solitudine; c’è una sorta di fobia sociale, tutto quello che è
legato all’alimentazione viene vissuto in solitudine. Nel caso dell’abbuffata, il soggetto in seguito ad una
condizione predisponente stressogena o di umore disforico o di qualche insoddisfazione varia, introduce
molto rapidamente grandi quantità di cibo per poi avere un’autocritica fortissima e un’autostima sotto i
tacchi per cui alla fine deve compensare e la compensazione è legata alla autoinduzione di vomito (80-90%
dei casi), uso di lassativi o diuretici, digiuno, sport eccessivo.

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3. Stima di sé eccessivamente influenzata dalla forma e dal peso del corpo:
Il paziente bulimico soffre molto per il proprio disturbo che vive di nascosto con senso di vergogna; si tratta
di soggetti con bassa autostima. È caratteristico che il paziente bulimico sia molto attento alla forma fisica e
preoccupato del proprio aspetto esteriore e che i livelli di autostima siano inappropriatamente influenzati
dalla forma e dal peso corporeo. Questi aspetti sono comuni all'anoressia nervosa e alla bulimia.

Tra il DSM-4 e DSM-5 cambia la numerosità delle abbuffate/condotte di eliminazione:


- nel DSM-4 la diagnosi si faceva per la presenza di 2 abbuffate seguite da inappropriati comportamenti
compensativi alla settimana negli ultimi 3 mesi,
- nel DSM-5 si parla di un unico episodio alla settimana negli ultimi 3 mesi.

In aggiunta, con il DSM-V scompaiono i tipi “purgativo” e “non purgativo. Il grado di severità è indicato dal
numero di abbuffate/condotte compensative:
 Lieve: 1-3 episodi/settimana
 Moderato: 4-7/settimana
 Severa: 8-13/settimana
 Estrema: ≥ 14/settimana

Manifestazioni associate-complicanze
Non è infrequente osservare che la bulimia rappresenta in questi pazienti la manifestazione clinicamente più
rilevante di altri "disordini" comportamentali e/o disturbi del controllo degli impulsi. Abusi di sostanze di
varia natura si accompagnano alla bulimia con una certa frequenza: si va da un abnorme consumo di si-
garette o di caffè sino all'abuso di farmaci, di sostanze psicotrope o di alcol. Sono anche comuni i disturbi di
personalità caratterizzati da aspetti impulsivi, quali il disturbo borderline.
Altri comportamenti impulsivi frequenti anno cleptomania, promiscuità sessuale e tentativi di suicidio. Una
condizione clinica che spesso coesiste con la bulimia è la depressione. Quale sia l'effettivo rapporto tra i due
disturbi è dibattuto: potrebbe trattarsi di disturbi aventi una comune matrice patogenetica, oppure la
depressione potrebbe essere una complicanza del disturbo alimentare con il significato psicopatologico di
demoralizzazione.
Dal punto di vista delle conseguenze o delle eventuali complicanze somatiche, la bulimia nervosa determina
delle alterazioni sia per l'eccesso di cibo consumalo che per le condotte di eliminazione. Il sovrappeso o
l'obesità non costituiscono la regola; sono talora presenti, ma spesso i comportamenti di eliminazione non
consentono un aumento ponderale.

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 La combinazione di sottoalimentazione e binge eating si traduce in peso corporeo generalmente non
eccessivamente basso né alto, determinando l’ovvia differenza rispetto l’anoressia nervosa.
In tale quadro è presente una sovrastima di forma e peso corporeo, in cui il proprio valore è giudicato
largamente, o addirittura esclusivamente in termini di forma e peso corporeo

Sono caratteristicamente determinate dalle conseguenze di eliminazione l'ipo-potassiemia, l'aumento delle


amilasi plasmatiche, la disidratazione, le erosioni dello smalto dentale, le carie e le gengiviti, l’ipertrofia delle
ghiandole salivari, le gastriti, esofagiti e ulcere esofagee, le infiammazioni del colon. Un segno tipico
indicativo della presenza di vomito autoindotto è la callosità sul dorso delle mani ("segno di Russar). Le
alterazioni organiche che possono verificarsi nella bulimia nervosa sono comunque meno imponenti di quelle
dell'anoressia nervosa.
 Per autoindursi il vomito questi pazienti utilizzano oggetti allungati (cucchiaio, spazzolino) o bevono
litri di bevande gassate. Vengono preferite queste modalità rispetto all’utilizzo delle dita in quanto
quest’ultima causa la comparsa di lesioni che potrebbero essere riconosciute da altri individui. Coloro
che non lavano i denti subito dopo aver emesso presentano delle erosioni dello smalto dentario.

Esordio e decorso
La bulimia nervosa esordisce mediamente in torno ai 18 anni, sebbene giunga generalmente all'osservazione
del medico dopo qualche tempo (a volte dopo molti anni). L’esordio può avvenire in relazione ad una forte
restrizione alimentare per modificare il peso e la forma del corpo, o in seguito a difficoltà emotive personali
o dopo eventi di vita. Il decorso clinico nel tempo più caratteristico è quello cronico intermittente: periodi
più o meno prolungai di disturbo ricorrono nel tempo con intervalli liberi da sintomi. Il passaggio dalla bulimia
nervosa all'anoressia nervosa è raro.

Terapia
Il trattamento è generalmente ambulatoriale, sono pochi i casi in cui le condizioni cliniche generali ti-
chiedono il ricovero. La bulimia nervosa può venir curata con strumenti psicofarmacologici specifici: gli
antidepressivi SSRI (tra cui fluvoxamina-sertralina, con miglioramento in questi due casi anche dell’umore) e
SNRI sono stati studiati nella bulimia e hanno determinato la riduzione della frequenza delle abbuffate e dei
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comportamenti compensatori in un'elevata percentuale di pazienti. In questi studi i farmaci sono stati
impiegati a dosi più elevate rispetto a quelle di comune impiego nella depressione maggiore (ad esempio la
fluoxetina, farmaco ampiamente studiato in questo disturbo, agisce come anti-bulimico a dosi di 60-80
mg/die); inoltre la latenza d'azione è più prolungata rispetto a quanto si osserva quando gli stessi farmaci
sono impiegati come antidepressivi (6-8 settimane).
La fluoxetina è stata studiata ed è risultata efficace anche nella prevenzione delle ricadute, mentre per altri
SSRI gli studi a lungo termine mancano o sono ancora in corso.
Tra le psicoterapie quella maggiormente indicata è quella cognitivo-comportamentale, che comporta buoni
risultati: in alcuni casi la psicoterapia cognitivo-comportamentale viene svolta con sessioni di gruppo che
hanno una valenza di rinforzo. Un'altra psicoterapia promettente è la terapia interpersonale, anche se gli
studi di confronto con la terapia cognitivo-comportamentale hanno dato risultati inferiori.
Le terapie ad indirizzo psicodinamico possono essere talora indicate per una risoluzione dei conflitti profondi
che sostengono il disturbo; è in genere opportuno iniziare le sedute quando i sintomi sono almeno in parte
controllati dalla terapia farmacologica o da quella comportamentale

Binge eating disorder (BED)


Questo disturbo (Binge-Eating Disorder) è caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffate in assenza delle
regolari condotte compensatorie tipiche della bulimia nervosa.
Le caratteristiche psicopatologiche delle crisi bulimiche/abbuffate sono identiche a quelle sottolineate nel
capitolo della bulimia nervosa. È altresì presente marcato disagio in rapporto alle abbuffate. Non attuando
condotte compensatorie, la persona con disturbo da alimentazione incontrollata tende ad aumentare di peso
e quindi a presentare obesità.
Si possono differenziare diversi livelli di gravità:
 Lieve: 1-3 episodi/settimana
 Moderato: 4-7/settimana
 Severa: 8-13/settimana
 Estrema: ≥ 14/settimana

Questo disturbo è in particolare rapporto con l'obesità e i disturbi dell'umore; da un punto di vista
psicopatologico i comportamenti patologici legati all'alimentazione tipici di questo disturbo sembrano
derivate dalla difficoltà nel gestire le emozioni e gli impulsi e non appaiono legati al bisogno di controllare il
peso e la forma corporea come invece accade nella anoressia e bulimia nervosa. Prevale il senso di
inadeguatezza e di impotenza, con bassa autostima e tendenza frequente alla complicazione in depressione
maggiore. Le complicanze mediche sono in relazione all'eccesso di peso associato al disturbo: malattie
cardiovascolari, apnea ostruttiva notturna e insufficienza respiratoria, diabete mellito di tipo 2 e dislipidemia,
patologie osteoarticolari.
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Pochi sono ancora i dati epidemiologici e i dati concernenti l'età d'esordio e il decorso di questo disturbo, che
ha ricevuto solo nel DSM-5 dignità nosografica autonoma. I pochi dati disponibili indicano una prevalenza
life-time del 3,5% tra le donne e del 2% circa tra gli uomini. L’età d'esordio è ampiamente distribuita, con
possibilità d'insorgenza anche in età adulta o tarda età. Il BED tende ad essere un po’ più frequente
nell’adolescente e giovane adulto, così come la bulimia, mentre l’anoressia e l’ARFID si possono trovare più
frequentemente nell’individuo più giovane (esordio a partire dai 9 anni). C’è quindi questa differenza di età
di insorgenza. La distribuzione tra i sessi è meno asimmetrica rispetto agli altri disturbi dell'alimentazione: il
30-40% dei casi è di sesso maschile.
- È il DCA più comune (25% dei pz che si presentano per trattamento dell’obesità)

Per quanto concerne il trattamento, gli interventi terapeutici che si sono dimostrati utili nella bulimia nervosa
(terapia cognitivo-comportamentale e terapia interpersonale) hanno dimostrato una buona efficacia anche
nel disturbo da alimentazione incontrollata. Se coesiste obesità, tuttavia, gli interventi non hanno
determinato in genere una riduzione significativa del peso pur risultando utili nel controllo delle abbuffate.
Anche gli antidepressivi impiegati per la bulimia nervosa riducono le abbuffate nel disturbo da alimentazione
incontrollata, senza tuttavia portare ad una riduzione significativa del peso nei pazienti obesi. Sono stati
anche sperimentati farmaci regolatori della fame e della sazietà quali la d-fenfluramina e la sibutramina
(farmaci non più in commercio in Italia) con effetti parziali.

Disturbi dell’alimentazione e della nutrizione senza altra specificazione (EDNOS)


Questa categoria si applica a presentazioni in cui i sintomi caratteristici di un disturbo della nutrizione e
dell’alimentazione che causano un significativo disagio clinico o un danno nel funzionamento sociale,
occupazionale o in altre importanti aree predominano, ma non sono soddisfatti i criteri pieni per qualsiasi
dei disturbi nella classe diagnostica dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. In questo gruppo, nel
DSM-4, rientrava il BED. Sono patologie in cui non ci sono i criteri per poterli inquadrare nell’ambito di AN,
BN e BED.

Disturbi dell’alimentazione e della nutrizione con altra specificazione


In generale si possono avere dei criteri che in parte si sovrappongono. Si tratta di forme atipiche, comunque
frequentemente osservate. Sono ad esempio:
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Anoressia nervosa atipica
ci sono tutti i criteri per l’anoressia, però il peso si mantiene nel range normale o al di sopra.

Bulimia atipica
- A bassa frequenza e/o
- A durata limitata
in cui il numero di abbuffate non è così frequente (e/o con durata inferiore) come quello che dovrebbe essere
secondo la definizione del classificatore, quindi meno di 1 abbuffata con condotta compensatoria/settimana
per 3 mesi.

Binge eating
Diviso in due forme: a bassa frequenza e/o a durata limitata. Tutti i criteri soddisfatti meno che per frequenza
e durata inferiori.

Purging disorder
ci sono condotte di eliminazione ricorrenti. Si utilizzano vomito autoindotto, lassativi, diuretici ed
enteroclismi. Si ha un controllo estremo dell’alvo. In questo caso non ci sono abbuffate. Condotte eseguite
anche dopo l’assunzione di scarse quantità di cibo. NON deve essere associato ad anoressia nervosa (periodo
necessario per diagnosi  almeno 1 volta a settimana per 3 mesi).

Night eating syndrome


patologia caratterizzata da iperfagia notturna (o comunque consumo di cibo dopo il pasto serale, anoressia
mattutina e insonnia (devono persistere per almeno 3 mesi).
- I soggetti nel caso tendono a svegliarsi nella fase REM del sonno
- Comune è la convinzione di un sonno non ristoratore, o che sia tale solo dopo aver mangiato
- Quantitativo di cibo comunque minore di bulimia e binge eating
- I pazienti affetti si ricordano benissimo di aver abbuffato. Hanno un impatto sulla qualità delle
interazioni molto importante.
Sono soggetti che magari hanno una modalità alimentare abbastanza normale, che poi di notte si svegliano
e mangiano.

Comorbidità nei DCA (discorso in generale)


La comorbidità in qualche modo condiziona la prognosi. La prognosi è sicuramente condizionata dalla durata
del disturbo, quindi se la diagnosi viene fatta precocemente, se il soggetto viene preso in carico molto
precocemente, soprattutto per quanto riguarda le forme ad insorgenza più precoce, allora qualcosa si può
fare, ma se la patologia dura da lungo tempo e se si associa ad altre comorbidità psichiatriche, allora la
gestione diventa più complessa.

La comorbidità psichiatrica è imponente, 70% dei casi. Degli autori svedesi hanno mostrato come tra le
comorbidità più frequenti (53%) ci sia il disturbo d’ansia generalizzato, soprattutto nel BED nelle donne e
nella BN negli uomini. In letteratura sono descritte anche altre condizioni.
Nell’adulto ma anche nell’adolescente si possono associare abuso di sostanze, disturbo bipolare, disturbo
ossessivo-compulsivo, disturbi di personalità, diabete e disturbo di spettro autistico. Quest’ultimo è molto
interessante, in letteratura si possono trovare molti articoli, ma in realtà la questione è molto dibattuta.
La prof racconta che nella sua esperienza le è capitato di veder ragazzi/e (forse è più facile anche nelle ragazze
perché nell’autismo si parla di una prevalenza del sesso maschile sul sesso femminile, ma perché forse non
siamo ancora in grado di fare una diagnosi precisa per l’autismo nel sesso femminile perché può essere molto
più sfumato dal punto di vista dei tratti e della clinica) arrivati con un problema di depressione, con un
problema dell’alimentazione che poi, valutando le cose in maniera più approfondita, di fatto avevano disturbi
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dello spettro autistico, molto lievi (quindi il disturbo di Asperger). Proprio per una problematica di tipo sociale
relazionale, sviluppavano successivamente una sintomatologia depressiva e potevano sviluppare anche un
DCA.

Nella diapositiva si parla di disturbi di personalità, perché l’associazione fra disturbo alimentare e disturbi di
personalità è davvero molto importante. Non si sa cosa venga prima o dopo, però alcuni disturbi di
personalità prediligono alcuni disturbi del comportamento alimentare. L’associazione è frequente: secondo
Rosevinge e collaboratori c’è una ricorrenza del 56% tra DCA e disturbi di personalità (associazione cluster B
con bulimia, cluster C con anoressia).
Per esempio, nella BN è molto frequente avere un disturbo di personalità borderline, poi non è escluso che
possano esserci anche più disturbi di personalità associati, mentre nell’AN è più frequente che ci siano
disturbi di personalità evitante, dipendente oppure ossessivo compulsivo, o ad esempio nel narcisista il
rischio di anoressia è elevato.
Sono condizioni sicuramente che portano ad una evoluzione più problematica da un punto di vista
prognostico e di inquadramento, anche perché in età evolutiva non è sempre così evidente, non si può fare
una diagnosi di disturbo di personalità in età evolutiva.
Si può ipotizzare che ci possa essere una problematica di personalità o che ci siano dei tratti di personalità
anomali, ma spesso la diagnosi di disturbo di personalità si può fare quando l’individuo raggiunge l’età adulta,
anche se dai nuovi classificatori la presenza di un tratto di personalità rigido, persistente, con una certa durata
nel tempo, può già evocare una possibile problematica di personalità che non va assolutamente
sottovalutata, ma che va presa in consegna il prima possibile.
C’è un articolo (Neuropsychological deficits in BPD patients and the moderator effects of co-occurring mental
disorders) che parla delle problematiche neuropsicologiche nei soggetti con disturbo di personalità
borderline. Già il disturbo di personalità borderline ha delle problematiche neuropsicologiche associate, e la
comorbidità con altri disturbi, tra cui anche i DCA, possono peggiorare le performance neuropsicologiche.
Quindi ci sono disturbi che peggiorano più o meno le perfomance neuropsicologiche che sono già piuttosto
ridotte. Il concetto è che: un disfunzionamento verosimilmente organico, ma anche l’associazione di più
disturbi, possono inficiare l’aspetto neurocognitivo dell’individuo.

Trattamento DCA (in generale)


Il trattamento in primis è una presa in carico di tipo psico-nutrizionale, questo vuol dire che a seconda della
gravità deldisturbo abbiamo tre possibilità di presa in carico:
1. Ci può essere una presa in carico ambulatoriale - in cui l’equipe è costituita dai medici
(neuropsichiatra, pediatra), dallo psicologo, dal dietista, e ovviamente nel reparto ci sono anche gli
infermieri, gli oss, ecc - dove l’individuo viene valutato e viene preso in carico.
2. Laddove necessita di una presa in carico più sostanziale, attraverso un day hospital o un ricovero
h24, c’è anche la possibilità di utilizzare un’educazione alimentare in cui il soggetto ha degli orari
standard dei pasti; solitamente i pasti vengono consumati insieme agli altri pazienti; sono pasti
cadenzati, ossia colazione- merenda-pranzo-merenda-cena se c’è un ricovero in reparto, altrimenti
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ci si ferma alla merenda pomeridiana per il day hospital, con una dieta definita individualmente dal
dietista e concordata con il paziente, perché una delle cose più importanti è che ci sia un’alleanza
terapeutica tra paziente ed equipe e anche tra famiglia ed equipe perché si parla di minori spesso, e
il minore richiede la compresenza della famiglia.
3. Poi anche una presa in carico psicologica del paziente e dei genitori del paziente, da parte di figure
psicoterapiche diversificate.

E poi il medico valuta le condizioni generali e, se necessario, utilizza la farmacoterapia.

Terapia medica: farmacoterapia


- Trattamenti sintomatici: diagnosi importante
- Terapie combinate non solo con i farmaci
- Differenze per pazienti in età evolutiva
- Metodologia: studi controllati randomizzati
- Effetto terapia a lungo termine??? Necessità di ulteriori valutazioni
- Comunque, pochi dati sull’efficacia dei farmaci +++AN
- Considerare sintomi, comorbidità, personalizzazione dei dosaggi, interazioni farmacologiche

Classi utilizzate
Antipsicotici (tipici, +++atipici), TCA, SSRI, altri antidepressivi (mirtazapina), modulatori dell’umore (litio,
antiepilettici – TPM, VPA, CBZ, LTG, ZNG), naltrexone, farmaci per aumentare appetito (ciproeptadina,
tetraidrocannabinolo THC), procinetici (metoclopramide, cisapride, domperidone), terapia ormonale,
vitamine, zn.

Maggiormente utilizzati:
- SSRI: sertralina, fluoxetina, fluvoxamina, paroxetina*, ecc.
*recentemente c’erano state delle segnalazioni di eventuali atti anticonservativi; in realtà qualunque
antidepressivo, dato ad un soggetto che abbia degli shift dell’umore sottoforma di mania, ipomania
e quant’altro, può essere pericoloso; molto spesso questi soggetti hanno anche degli atti di
autolesionismo come tagli, bruciature con sigarette ecc.
- Antipsicotici atipici (più di quelli tipici): aripiprazolo, olanzapina, risperidone, ecc.
- Modulatori dell’umore: VPA, CBZ, litio
- Ansiolitici: BZD. In età evolutiva la Prof non usa molto, le usa al bisogno, perché possono essere utili.
A volte possono essere anche utili a basse dosi prima del pasto per rendere il soggetto più ‘fluido’,
per aiutarlo a compiere il pasto in maniera più regolare.
- Integratori/nutraceutici: melatonina, teanina, Mg, Vit. D, Zn, Fe
- Regolatori apparato gastrointestinale: levosulpiride, macrogol
- Al bisogno: paracetamolo, ibuprofene.
- Sicuramente un farmaco particolarmente utile, soprattutto nelle fasi più ostiche, dove il paziente
tende a non volersi alimentare, è anche il Risperidone. Nella letteratura scientifica si parla anche di
Olanzapina, come trattamento per l’AN, anche se non esistono dei farmaci specifici per questi
disturbi del comportamento alimentare. L’unico che viene dato nelle linee guida è la Fluoxetina, che
può essere utile nella BN e nel BED, perché tende ad essere efficace come antidepressivo, anche sulle
condotte eliminatorie.

Quando si va a vedere gli studi in letteratura si trovano spesso studi, case report, studi con metodologie non
randomizzate, dove magari non si ha idea dell’effetto a lungo termine. La Prof è del parere che in età
evolutiva bisogna essere molto cauti con questi farmaci, nel senso che, non essendoci evidenze scientifiche
sicure, non essendo

Ricordare che la farmacoterapia non ha la prima indicazione per il trattamento. Il trattamento è più di tipo
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presa in carico psico-nutrizionale, ma il farmaco può essere utile, soprattutto se c’è una depressione o
un’ansia importante, oppure una forte dispercezione o un forte opposizionismo all’alimentazione, allora in
questo caso bisogna anche intervenire utilizzando farmaci utilizzati in psichiatria, quindi: antidepressivi,
modulatori dell’umore, oppure antipsicotici neurolettici. La terapia farmacologica di prima linea, la si deve
utilizzare quando non si hanno possibilità di avere miglioramenti di altro tipo. Quindi non bisogna
demonizzarla ma bisogna utilizzarla, se necessario, previa indicazione della famiglia, bisogna avere il
consenso della famiglia sull’utilizzo di queste terapie.

Queste sono tutte le molecole usate nella


farmacoterapia dei disordini alimentari: per la BN si
usa la fluoxetina.

Terapia medica: esami di controllo, effetti collaterali


Un po’ per la patologia, un po’ per il tipo di trattamenti somministrati a questi pazienti, si devono fare degli
esami di controllo.
1. Uno degli esami più importanti è l’ECG, da fare nei pazienti sia senza, che con, il trattamento
(soprattutto con antipsicotici, ma anche altri farmaci)
2. Esami ematochimici soprattutto quando si somministrano con i neurolettici: PRL, CK, la glicemia, la
funzionalità epatica, il lipidogramma (i nuovi antipsicotici hanno un effetto metabolico importante),
controllare gli elettroliti e le amilasi quando ci sono problematiche di vomito importante. Si tratta
perciò di pazienti da tenere sott’occhio e che a volte sospendono autonomamente la terapia e la
sospendono da un giorno all’altro (questi sono invece farmaci che andrebbero sospesi gradualmente)
o a volte c’è abuso di terapia, con conseguenti problematiche di tossicità farmacologica.

- Effetti collaterali  alterazioni metaboliche, iposodiemia, rialzo CK, rialzo PRL, alterazioni intervallo QT,
sedazione, disturbi gastrointestinali, offuscamento della vista, cefalea, ecc. Altra cosa molto importante è
conoscere la cinetica e la dinamica di questi farmaci, perché ci sono farmaci che hanno un effetto sul
metabolismo (incrementandolo) e altri che sono invece inibitori. Quindi ci possono essere delle interazioni
farmacologiche perché magari il farmaco che attiva il metabolismo riduce il livello, quindi l’attività
farmacologica, di altri farmaci in associazione oppure se è un inibitore del metabolismo può rendere un’altra
molecola tossica, (questo per quanto riguardo soprattutto gli antipsicotici che sono più influenzati dagli altri,
piuttosto che essere loro gli influenzanti a livello metabolico).
NB: attenzione all’abuso farmacologico e alla non regolarità di assunzione dei farmaci.

Urgenze  Situazioni di urgenza che devono condurre il clinico ad agire dal punto di vista di presa in carico
sono caratterizzate da: condizione metabolica critica con edemi, disidratazione importante e un calo
ponderale importante, tuttavia anche un paziente con un BMI normale ma che abbia avuto un calo ponderale
rapido (es 2kg in una settimana o 10kg in un mese) è un soggetto a rischio, anche se il BMI non è inferiore a
15. Un’altra condizione d’urgenza è quando un paziente vomita frequentemente, perché ci possono essere
delle turbe elettrolitiche.

Domande
“Se al bulimico viene impedita la compensazione, si abbuffa lo stesso o evita?”
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Risposta: “Tende ad abbuffarsi lo stesso. Come facciamo ad impedirgliela? Noi cerchiamo qualcosa da fare al
posto dell’abbuffata, come qualcosa che piace [al paziente], ad esempio andare a fumare una sigaretta,
qualunque cosa, basta conoscere il paziente; però è difficile che se il soggetto non può compensare eviti
l’abbuffata. Porta ad un grande stato di sofferenza questa situazione.”

“Può essere considerato ARFID un bambino che non vuole mangiare frutta e verdura?”
Risposta: “No, perché bisogna vedere in che entità, però molto spesso i bambini non amano mangiare frutta
e verdura. Poi attenzione agli stili alimentari famigliari, perché molto spesso i bambini sarebbero predisposti
a mangiare ma sono di base i genitori che li educano ad una sorta di selettività alimentare. Non voglio entrare
in altri discorsi in merito all’essere vegetariano o vegano eccetera perché non voglio assolutamente criticare
nessun tipo di decisione personale, però chiaramente il veganesimo nei bambini è un qualcosa da tenere in
considerazione, comunque è necessario eventualmente supplire la dieta con qualcosa perché altrimenti non
possiamo considerare il bambino come ‘un piccolo adulto’ in questo senso. Molte delle pazienti che
presentano un disturbo dell’alimentazione finiscono per scegliere anche di essere vegetariane/vegane, si
vede proprio anche questo tipo di evoluzione molto spesso nei disturbi alimentari.”

“Esiste il concetto di TSO per i bambini? Cosa accade, ad esempio bambino anoressico e genitori che negano
il problema?”
Risposta: “Il TSO in età evolutiva è modulato chiaramente dalla scelta genitoriale. Si vedono delle
situazioni molto gravi in cui i genitori negano il problema e questa è una situazione da segnalare ai servizi
sociali. Quindi quando abbiamo di fronte delle famiglie con problemi di questo genere è necessario segnalare
la situazione ai servizi sociali. Può capitare di vedere arrivare dei genitori che portano un ragazzino che magari
è gravemente disidratato e con un BMI bassissimo; mi è capitato in PS di fare delle consulenze a dei ragazzini
che avevano un BMI di 11 che erano veramente gravi e li ho ricoverati immediatamente; lì da parte dei
genitori non c’era l’essere contrari o negare il problema, ma c’era una sorta di non rendersi conto del
problema, tanto da magari permettere al bambino di avere fatto per esempio una partita di calcio tre giorni
prima. In questo caso i genitori vanno educati anche loro rispetto alle problematiche, perché spesso ci può
essere un non rendersi conto, molto spesso i genitori sono angosciati dal figlio che smette di mangiare o non
mangia e allora cosa fanno? Anziché insistere sull’assaggio, sulla percezione del cibo, non danno il cibo che il
figlio rifiuta e magari danno il cibo che il figlio vuole, e quindi spesso si creano delle selettività alimentari
oppure eccessivo utilizzo di cibo spazzatura. Ci sono situazioni veramente gravi, di genitori che sono
estremamente ostici sia alla presa in carico dal punto di vista psico - nutrizionale che anche alla presa in carico
farmacologica.”

“Dopo quante settimane/mesi di abbuffate e compensazioni appaiono di solito le alterazioni elettrolitiche?”


Risposta: “Possono comparire anche molto presto, perché dipende da quante ne ha il soggetto [di abbuffate
e compensazioni]. Se il soggetto vomita anche più volte al giorno forse non è necessario neanche aspettare
dei mesi; bisogna controllare gli elettroliti rapidamente.”

“Un soggetto con binge eating si alimenta normalmente al di fuori dell’abbuffata o è sempre eccessivo
rispetto al normale?”
Risposta: “Ci può essere il soggetto che si alimenta abbastanza normalmente e ci può essere quello che tende
a ‘stroppiare’ anche durante l’alimentazione regolare, non è così rigida la cosa.”

“In quali casi, date le dinamiche familiari spesso complesse, il minore può fare il colloquio neuropsichiatrico
senza i genitori?”
Risposta: “Sempre”

Precisazione sulla domanda: “In questo tipo di problematiche è legale che il minore venga visto dal medico
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senza la presenza dei genitori?”
Risposta: “I genitori accompagnano il paziente, però se mi rendo conto che ho bisogno di parlare da sola col
paziente, il genitore gentilmente viene allontanato e chiedo di poter parlare col paziente; se il genitore è
d’accordo lo facciamo, e succede nella maggioranza dei casi, visto che arrivano con problemi; se il genitore
non è d’accordo, pazienza, rimane.”

“Il diabete è una comorbidità nel senso che i bambini con il DMT1 hanno rischio più alto di sviluppare un
DCA?”
Risposta: “Qualcuno dice di sì. Io ho visto soprattutto delle bambine, ma forse anche un maschio, comunque
dei ragazzi con diabete e problematiche alimentari. In letteratura viene ipotizzata questa associazione.”

“Lei ritiene che si possa guarire o che sia più probabile che il problema si manifesti in altro modo?
Risposta: “Io credo che se la diagnosi è precoce, nel senso che la patologia non dura degli anni, e se l’individuo
è piccolo e c’è poca comorbidità, ci siano anche delle buone evoluzioni. Quando c’è un ambiente difficile e
una famigliarità positiva, è più difficile. Credo che non sempre ci sia una reale guarigione anche se non
vediamo più niente da un punto di vista alimentare, senza che necessariamente il disturbo si trasformi in un
altro disturbo, ma che il soggetto possa avere comunque sempre un problema a livello di sensazione sulla
propria immagine corporea, anche se poi c’è un compenso. Perché poi è l’individuo che deve decidere se
vuole vivere, perché nell’anoressia è questo il problema: ‘vuoi vivere?’; perché se no non si può vivere in
questo modo, anche se ci sono delle anoressiche di lunga data che magari sono in grado di sopravvivere con
27kg di peso. Io penso che la questione sia un qualche cosa che proprio a livello di sensazione e di immagine
del corpo possa rimanere anche se il soggetto decide di nutrirsi regolarmente.”

“Ultimamente ha detto di aver avuto a che fare con una sindrome da alimentazione notturna in una ragazza.
In questi casi di solito c’è consapevolezza o comunque ricordo di aver mangiato o viene fatto in modo
incosciente?”
Risposta: “C’è ricordo di aver mangiato e c’è anche poi il senso di colpa per aver mangiato.”

“Qual è la terapia per PICA?”


Risposta: “E’ una terapia comportamentale, non abbiamo una terapia farmacologica. Dobbiamo valutare
anche nei PICA se ci sono altre problematiche associate, per esempio una disabilità intellettiva.”

Domanda: nell’anoressia nervosa ci sono delle differenze significative fra maschi e femmine per quanto
riguarda la presentazione clinica e il contesto familiare?
Risposta: Stiamo facendo uno studio a riguardo; comunque, nel maschio si, ci sono caratterizzazioni a livello
di personalità. Nel maschio è più frequente vedere un comportamento ossessivo compulsivo in comorbidità
importante. Sempre nel maschio abbiamo modalità di alimentazione rituali molto particolari, per esempio,
al momento dell’alimentazione frequentemente il soggetto affetto da anoressia nervosa tende a miscelare
tutti gli alimenti facendo dei “pastoni” per poi alimentarsi. Voi dovete pensare che non c’è solo la carenza
alimentare, ma molto spesso ci sono degli strani comportamenti che si verificano al momento
dell’alimentazione: estrema lentezza, il frammentare il cibo, determinati atteggiamenti ossessivi o ritualistici
durante il pasto. Nel sesso maschile spesso si vede questa tendenza ad amalgamare tipi di cibo diversi
insieme. Sull’aspetto del corpo, nel maschio spesso si trova più che un riferimento alle gambe e alle cosce,
altri riferimenti ad altre parti del corpo, comunque più la sensazione proprio della forma del corpo in generale
(la pancia o altro, rispetto alla muscolatura).

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DISABILITÀ INTELLETTIVA

Definizione: È un difetto del funzionamento intellettivo generale coinvolgente il livello complessivo di


adattamento, le abilità sociali e quelle di relazione.

Questo argomento si collega con il disturbo di spettro autistico nel quale circa il 35% di soggetti presenta
disabilità intellettiva. La disabilità intellettiva fino a poco tempo fa veniva definita ritardo mentale; con il
nuovo DSM V non si parla più di ritardo mentale, ma di disabilità intellettiva. Questa situazione patologica è
una disabilità perché è inserita tra le disabilità certificabili tramite legge 104. Inoltre, questa patologia non è
solamente importante da un punto di vista accademico, di scolarizzazione e di progressione scolastica e
universitaria, ma anche rispetto alle capacità di adattamento del soggetto e alle sue relazioni sociali.

Quando si può parlare di disabilità intellettiva in età evolutiva?


Non si può parlare di disabilità intellettiva prima che lo sviluppo psicomotorio si sia concluso, perché prima
si parla, volendo, di ritardo dello sviluppo psicomotorio, perché si è visto come ci siano varie acquisizioni
motorie, relazionali, sociali, sensoriali, di linguaggio, di comunicazione e quindi questo ha il suo iter.
Ma intorno ai 4-5 anni di vita, quando, tutto sommato, sono state raggiunte queste tappe di sviluppo
psicomotorio, se si fa un test e si trova un problema, si può iniziare a parlare di disabilità intellettiva. E si
comincerà a parlare di QI, quoziente intellettivo, mentre prima si parla, per i test somministrati al bambino,
di Quoziente di sviluppo. Però è possibile che la disabilità intellettiva sia preceduta da un ritardo dello
sviluppo psicomotorio. Questa situazione non è infrequente, soprattutto laddove si parla di disabilità
intellettiva di una certa gravità.

Classificatori
I classificatori che tengono conto di questo problema sono l’ICD 10, molto utilizzato nei servizi (è in corso di
elaborazione l’ICD 11), e i DSM. I DSM nel corso del tempo hanno modificato la loro strutturazione. Il DSM III
(anni ‘80) era basato sulla affidabilità diagnostica, il DSM IV (’94 e la sua revisione del 2000) su un’affidabilità
di categorizzazione, il DSM V (2013) prende in considerazione la logica della dimensione (abbandonando la
diagnosi di categorizzazione) superando i classificatori precedenti perché rielabora alcuni disturbi dal punto
di vista nosografico, sulla base delle scoperte neuroscientifiche e della genetica, introducendo la dimensione
del cluster dei disturbi nel neuro-sviluppo.
Sono i cluster più importanti di quelle patologie che spesso si sviluppano precocemente nel bambino e che,
però, sono patologie estremamente diverse tra di loro, ma che, probabilmente, hanno in parte
un’eziopatogenesi comune o spesso anche un’associazione in comorbidità tra varie patologie, quindi
possono avere una base genetica o comunque degli aspetti “a livello neuroscientifico” che possono in un
qualche modo accomunare questo tipo di patologie.

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Cluster dei disturbi del neurosviluppo (DSM V)
- Disabilità intellettiva o Disturbo dello sviluppo intellettivo;
- Disturbi della comunicazione, che sono quelli che riguardano soprattutto l’aspetto del
linguaggio e quindi riguardano soprattutto la riabilitazione logopedica;
- Disturbo dello spettro autistico;
- Disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD);
- Disturbo specifico dell’apprendimento; (es. dislessia)
- Disturbo del movimento, tra cui anche i Tic, la sindrome di Gilles de la Tourette e i disturbi di
coordinazione.

Quindi si può notare, vedendo questa scaletta, che si tratta di sei tipi di disturbi molto diversi l’uno dall’altro.
Il Disturbo specifico dell’apprendimento è quella condizione, che, probabilmente, avete anche sentito definire
“dislessia” impropriamente, perché in realtà la dislessia è la difficoltà nella lettura, che rappresenta un po' la
prima tappa dei meccanismi di funzionamento neuropsicologico, che partono probabilmente da dei
meccanismi funzionali basilari. Un esempio sono i disturbi dell’apprendimento, che quindi interessano la
lettura, il calcolo, la scrittura, mache sono ben diversi dalla Disabilità intellettiva o dal Disturbo dello sviluppo
intellettivo, dove non ci sono solo problematiche a livello accademico, ma ci sono tutta una serie di capacità
mentali legate all’esperienza, all’apprendimento, all’autonomia, allo sviluppo di competenze sociali che è un
qualche cosa di più complesso, di più evoluto, rispetto a quella che può essere semplicemente un’alterazione
dell’apprendimento dove abbiamo dei soggetti che scrivono male, fanno errori ortografici, leggono male o
fanno male i conti però hanno un QI nella norma.

Definizione di disabilità intellettiva secondo i criteri del DSM 5

La disabilità intellettiva (o disturbo dello sviluppo intellettivo) è un disturbo con esordio nel periodo dello
sviluppo che comprende deficit del funzionamento sia intellettivo sia adattivo negli ambiti concettuali, sociali
e pratici.
- “È un disturbo del periodo dello sviluppo” quindi sviluppo entro i 18 anni di vita (la categoria
temporale che interessa la neuropsichiatria infantile). Tutto quello che c’è successivamente, in
un’ottica di perdita di queste acquisizioni, non è più definito disabilità intellettiva ma è definito
deterioramento intellettivo o demenza.
- L’aspetto “concettuale, sociale e pratico” è molto importante, perché si comincia a capire che c’è
tutto un contesto, anche di presa in carico di questi pazienti, non c’è solo quello che è lo sviluppo
delle competenze accademiche o comunque della scolarizzazione (discorso comunque
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importante), ma c’è anche l’aspetto dell’autonomia, dei rapporti sociali, delle relazioni, del
rapporto coi pari, dell’attività successivamente lavorativa. Quindi è una cosa molto importante
e che già fa pensare che ci possano essere delle strategie, dal punto di vista della presa in carico
riabilitativa per questi soggetti, perché è ovvio che non ci sono trattamenti farmacologici che
possano avere un’azione sulla disabilità intellettiva.

Nel DSM 5 devono essere soddisfatti questi criteri per la diagnosi:


a. Deficit delle funzioni intellettive, come ragionamento, problem solving, pianificazione, pensiero
astratto, capacità di giudizio, apprendimento scolastico e apprendimento dall’esperienza, confermati
sia da una valutazione clinica sia da test d’intelligenza individualizzati, standardizzati.
Questo è l’aspetto più quantitativo della disabilità intellettiva, perché si fa un test specifico, che viene
scelto sulla base dell’età dell’individuo e della scolarizzazione, che dà un valore numerico, in base al
quale si è in grado di dire: il soggetto ha un ritardo? Sì/No - ha una disabilità? Di che grado è la
disabilità? (sulla base di un numero) - ha un’intelligenza normale? - ha una disabilità intellettiva? - ha
un QI limite/borderline? - ha un iperfunzionamento cognitivo? Ci sono, infatti, anche dei soggetti che
hanno delle potenzialità cognitive superiori alla norma, ma non per questo sono soggetti che abbiano
delle capacità relazionali e sociali brillantissime.
I processi cognitivi hanno basi estremamente complesse e caratterizzano il quoziente intellettivo.
Questo è calcolabile con dei test per l’intelligenza che sono individualizzati, standardizzati e valutati
sulla base dell’età del paziente, non c’è un unico test per tutte le età, ci sono test diversi a seconda
dell’età. Inoltre, ci sono test per pazienti che non hanno una comunicazione verbale, come la scala
Leiter. Questa permette di valutare il QI anche in un bambino che non parla come ad esempio un
bambino con disturbo dello spettro autistico.

b. Deficit del funzionamento adattivo (questo è un po' il nucleo del problema): l’incapacità
dell’individuo di raggiungere le abilità, le autonomie di funzionamento, a livello di responsabilità
sociale, socioculturale, di gestione degli atti più semplici della vita quotidiana, della comunicazione,
della relazione, della partecipazione all’attività lavorativa, alle attività sociali, a seconda dell’età
dell’individuo. Quindi su questo si può lavorare, mentre non si può lavorare tanto sul QI (criterio A).
Sulle sull’adattamento, su quella che può essere la capacità del soggetto di poter vivere
autonomamente, di aver un proprio lavoro e di sapersi gestire nella vita, [sì può lavorare], è un
qualcosa sul quale si può incidere con la psicoeducazione (non con la psicoterapia, come qualcuno
dice all’esame)  è un criterio di adattamento riguardante quello che il soggetto è in grado di
dimostrare nell’adattarsi alle competenze della vita quotidiana come la socializzazione e le relazioni
sociali.

c. Esordio dei deficit intellettivi e adattivi durante il periodo di sviluppo, quindi prima dei 18 anni di vita

Quoziente intellettivo (aspetto quantitativo)


Quando il quoziente intellettivo è inferiore o uguale a 70 si ha un ritardo mentale. Il livello intellettivo è
normale quando è superiore a 85. Tra gli 85 e i 70 c’è il livello intellettivo limite o borderline. Include un gruppo
di persone con difficoltà a livello di capacità intellettive più sfumate rispetto ad un disturbo lieve, che però
sono in difficoltà quando hanno da gestire condizioni sociali, affettive, autonomie personali, quindi hanno
sicuramente un quadro difettuale. Questo tipo di condizione non porta ad avere una certificazione di
disabilità. Questi soggetti vengono inseriti in un bisogno educativo speciale come succede per i bambini che
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hanno disturbi dell’apprendimento.

Funzionamento adattativo (aspetto qualitativo)


Per ora si è parlato essenzialmente di una condizione qualitativa (ossia il funzionamento adattativo) e di una
condizione quantitativa (ossia il quoziente intellettivo).
La prima viene descritta molto bene dai classificatori, rispetto quelle che sono le autonomie dell’individuo,
le relazioni con i pari, la vita quotidiana e altre cose pratiche, come la gestione del lavoro, del tempo libero,
ecc. Esistono varie condizioni che possono avere un influsso sul funzionamento adattivo, quali:
 Istruzione;
 Motivazione;
 Personalità;
 Prospettive sociali e professionali;
 Disturbi mentali e condizioni mediche generali associate alla disabilità intellettiva, quindi il fatto di
avere una malattia cronica o una psicopatologia associata alla disabilità intellettiva modifica il
funzionamento adattivo. Ad esempio, una cosa che banalmente accade è l’associazione fra l’epilessia
e la disabilità intellettiva, condizione che può portare a delle disfunzioni o, comunque, a maggiori
problematiche a livello adattivo.
La cosa importante è la possibilità di poter intervenire dal punto di vista psicoeducativo, non tanto sul
funzionamento intellettivo (inteso come parte quantitativa), ma soprattutto sul funzionamento intellettivo
di tipo qualitativo, quindi su tutto ciò che riguarda l’adattamento e l’autonomia. Infatti, il soggetto può essere
educato ad esempio a gestire il denaro, ad avere rapporti sociali, a gestire il tempo libero, a curare la propria
persona e la propria casa. Si può lavorare con questi soggetti dal punto di vista della progettualità
psicoeducativa già dall’età evolutiva. I soggetti che hanno un livello intellettivo di grado lieve o moderato
riescono ad arrivare ad alcune di queste competenze.

Chi sono i professionisti coinvolti? Sicuramente il Neuropsichiatra infantile è una figura molto importante, che
si occupa non solo del paziente, ma anche della famiglia, la quale ha necessita di essere istruita ed educata
alla gestione del figlio affetto da questo problema, ma le figure professionali che principalmente lavorano in
questo senso sono gli educatori professionali.

Quello che segue è un elenco di condizioni che ben caratterizzano alcune difficoltà di adattamento che può
avere unsoggetto con disabilità intellettiva. Ci possono essere problematiche a livello di:
 Comunicazione;
 Cura della persona;
 Abilità domestiche;
 Abilità sociali;
 Capacità di utilizzare le risorse della comunità;
 Autodeterminazione;
 Autonomie che riguardano la propria salute/sicurezza;
 Abilità scolastiche;
 Abilità di gestione del tempo libero;
 Abilità lavorative.

Questi aspetti sembrano a noi banali, che non riscontriamo difficoltà nell’affrontarli tutti i giorni, ma lo sono
meno per un soggetto con disabilità intellettiva.

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Gravità
Nel DSM V sono presenti 4 livelli di severità: lieve, medio o moderato, grave, gravissimo. Hanno un punteggio
reperibile attraverso le metodiche di valutazione testologica  un soggetto ha disabilità intellettiva se il suo
livello intellettivo è inferiore a 70.
- lieve se tra 50/55 e 70,
- moderata da 50/55 a 35/40,
- grave da 40/35 a 25/20
- gravissima sotto 25/20.
Nell’ ICD 10 si ritrovano più o meno gli stessi parametri numerici, ma non con questi range di valore (50-55),
è più discriminante. Vengono considerati 3 livelli: livello concettuale, livello sociale, dominio pratico.
 Grado lieve: nei bambini in età prescolare potrebbero non esserci delle evidenze così chiare rispetto
alle problematiche concettuali. In età di scuola primaria potrebbero cominciare a mostrare
problematiche di apprendimento o che possono interessare la lettura, la scrittura, l’aritmetica, il
concetto del denaro, del tempo e pensiero eccessivamente concreto. Tutte condizioni che
potrebbero richiedere un ulteriore aiuto. Nell’adulto la disabilità si concretizza in difficoltà nel
ragionamento astratto, funzioni esecutive, pianificazione e programmazione, sensibilità cognitiva,
memoria a breve termine, capacità di gestione del denaro, lettura (possono essere inseriti nel
contesto lavorativo con un’attività non complessa, con necessità di supporto per venti stressanti).
Questa situazione inizia ad essere presente nel ragazzino scolarizzato, nella scuola primaria. Prima è
difficile, almeno se non in presenza di un ritardo psicomotorio, nell’adulto invece si struttura.
Rispetto al dominio sociale, questi individui possono avere una modalità immatura di interazione
sociale, difficoltà relazionale coi pari, problematiche di conversazione, comunicazione, linguaggio. Il
linguaggio non è che non sia strutturato, ma è molto concreto e immaturo rispetto all’età. Ci possono
essere problematiche nel regolare le proprie emozioni e il proprio comportamento. Tutto ciò limita
il soggetto nella gestione sociale: il soggetto potrebbe essere particolarmente debole rispetto a
fattori esterni di manipolazione. L’individuo non ha le competenze per difendersi. Per quanto
riguarda l’aspetto pratico il soggetto può funzionare bene nella cura personale, ma può necessitare
di un supporto per le situazioni più complesse della vita quotidiana come negli acquisti, nei trasporti,
nell’organizzazione della vita, nella preparazione del cibo, nell’andare in banca. C’è quindi una
difficoltà nelle competenze pratiche. Per quanto riguarda la scolarizzazione nell’età adulta, nella
forma lieve non si superano le conoscenze della quinta elementare.
Dal punto di vista clinico la disabilità intellettiva di grado lieve entra in diagnosi differenziale con il
livello intellettivo borderline e con i disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disgrafia,
disortografia, discalculia) perché i soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento hanno difficoltà
scolastiche che si evidenziano nella scuola primaria ma hanno per definizione un livello intellettivo
nella norma.

 Nella disabilità intellettiva moderata si riscontra maggiore difficoltà sia nel dominio concettuale, che
sociale, che pratico. Hanno necessità di maggior sostegno. A livello di capacità di raggiungimento
delle tappe scolastiche, sono soggetti che arrivano alle competenze della seconda elementare. Questi
soggetti hanno difficoltà nella gestione sociale, nelle relazioni, nelle decisioni da prendere nella vita,
nella gestione del rapporto con i pari, nelle attività lavorative. Sia nella disabilità lieve che nella
moderata possono essere persone anche con vita autonoma e un’attività lavorativa autonoma, ma
con necessità di supporto da parte di educatori professionali.

 Nelle forme severe e profonde abbiamo soggetti con problematiche più importanti: incapacità di
scrittura, calcolo, mancanza di linguaggio. Possono apprendere semplici competenze come, ad
esempio, nella cura della persona o attività lavorative molto semplici con adeguata supervisione.
Le forme gravissime sono spesso associate a problematiche neurologiche come paralisi cerebrali
infantili ed epilessie gravi. Sono soggetti sicuramente dipendenti, incapaci di vivere da soli, spesso
necessitano anche di strutture specializzate e di aiuti continui. Spesso non sono autonomi nella cura
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personale.
Quindi il DSM5 permette, leggendo queste griglie (sotto), di poter inquadrare l’individuo che si segue senza
“aver fatto dei test neuropsicologici” perché effettivamente non tutti gli individui sono testabili, è difficile
qualche volta avere una collaborazione con qualcuno. Vengono in aiuto vari tipi di test, tra cui anche test
utilizzati in soggetti con problematiche linguistiche, ad esempio per un bambino con disturbo dello spettro
autistico che non parla, esistono dei test che sono in grado di valutare il QI anche se non c’è un linguaggio
strutturato. Andrebbero considerati i fattori culturali, i problemi di lingua (soprattutto adesso in condizioni
di multiculturalismo). È importante, quando si somministra un test, che ci sia la comprensione sia a livello di
linguaggio che a livello culturale.

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Cause e fattori aggravanti
Le cause della disabilità intellettiva sono estremamente varie.

 cause genetiche più o meno conosciute, come la s. di Down, s. Angelman, X fragile, sclerosi tuberosa
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e anche condizioni che non sono ancora geneticamente determinate, ma che supponiamo lo possano
essere (ora abbiamo varie metodiche di genetica che ci permettono di arrivare ad esplorazioni
genetiche molto importanti fino ad esoma e genoma).
 fattori ambientali predisponenti sono l’esposizione prenatale ad alcool, la ridotta crescita fetale in
ambiente uterino, l’asfissia perinatale, la malnutrizione materna (anemia da carenza di ferro),
alterazioni metaboliche, della tiroide, infezioni di tutti i tipi, in particolare il complesso TORCH, la
malaria nelle zone endemiche, le sostante tossiche (Pb), i traumi. Sono molte delle cause condivise
anche dalle paralisi cerebrali infantili.
 Poi ci sono fattori aggravanti, da considerare in quanto nel mondo esistono condizioni di vita
assolutamente differenti: povertà, mancanza di assistenza, fame, disastri naturali, depressione
materna, abbandono, abuso, guerra. Tutti questi influenzano la ricorrenza dei problemi.
N.B  ricordare anche la variabilità della distribuzione geografica delle varie cause!

Diagnosi

La diagnosi di disabilità intellettiva si fa tramite una valutazione individualizzata. Questa richiede che ci sia un
linguaggio-metodologia che garantisca una comprensione e una valutazione del retroterra etnico e culturale
del soggetto. Se il soggetto infatti ha una cultura diversa o non comprende la lingua, la somministrazione di
un test di valutazione può dare risultati non corretti. Spesso si usano i mediatori.
Oggigiorno non ci si limita alla valutazione del QI, ma si fanno anche altri esami di laboratorio e strumentali.
Spesso ci sono situazioni facilmente diagnosticabili: nei casi di ritardi gravi o in presenza di altra malattia
neurologica o dismorfismi che ci orientano verso una diagnosi.
Ma a volte c’è una disabilità lieve con un fenotipo non particolare e la diagnosi può essere fatta più
tardivamente.
Quello proposto è uno schema utile perché pratico e rapido:
- Si parte da un’anamnesi approfondita familiare, fisiologica, patologica recente e remota.
- Si fa un accurato esame obiettivo neurologico.
- Si prova quindi a fare un’ipotesi diagnostica, un tentativo di diagnosi, e se si ha una idea di quello
che può essere il problema si può scegliere un test genetico specifico. Se si riesce a fare diagnosi
si richiede la consulenza genetica e si segue il paziente con un follow-up. Se invece non si riesce a
fare diagnosi si fa un test di può ampio respiro come il test CGH array, che è un test che viene fatto
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regolarmente e che sostituisce il cariotipo, e nei maschi anche un esame molecolare per la fragilità
del cromosoma X.
- Se le cose non vanno si passa alla RMN encefalo. La TC cerebrale non ha senso farla.

Passando alla parte sinistra dello schema:


- se non si riesce ad avere un sospetto diagnostico preciso si fa direttamente CGH array e X fragile.
Se non si fa diagnosi si fa la RMN. La consulenza genetica è molto importante perché i genetisti
conoscono molto bene le sindromi.

In generale: il ritardo mentale grave soprattutto se associato a dismorfismi viene riconosciuto più
precocemente, quelli lieve di origine sconosciuta è generalmente individuato più tardivamente.
Decorso

Epidemiologia e comorbidità
La disabilità intellettiva ricorre nell’1% della popolazione generale e varia a seconda dell’età. La forma severa
è quella meno frequente (6‰).
La disabilità intellettiva è spesso associata a comorbilità neurologiche e psichiatriche:
- neurologiche: epilessia, paralisi cerebrali infantili, autismo e altre malattie genetiche.
- problematiche psichiatriche: il 30-40% dei pazienti con disabilità intellettiva possono avere
problematiche psichiatriche rispetto al 5-7% della popolazione normale, soprattutto in età
evolutiva. Anche se non ci sono manifestazioni psichiatriche eclatanti, spesso i soggetti possono
avere problematiche psicopatologiche tipo frustrazione, difficoltà di adattamento, depressione,
dipendenza, mancanza o difficoltà di identificazione secondaria e di introiezione delle norme del
gruppo (soprattutto in adolescenza), regressione. Molto spesso l’ambiente circostante non agisce
in maniera produttiva rispetto allo sviluppo delle autonomie. Spesso i genitori sono preoccupati e
hanno atteggiamenti che non facilitano l’autonomia del soggetto, ma al contrario portano a
dipendenza e regressione e depressione (il soggetto percepisce di essere diverso dagli altri).
Queste, anche se non si strutturano in una vera e propria psicopatologia grave, dove magari è
necessario utilizzare dei farmaci per gestire la situazione contingente, l’individuo può essere in
qualche modo in difficoltà nella sua gestione e, oltre ad avere il problema di disabilità, avere anche
qualche problema di tipo emotivo, affettivo, ansioso, qualcosa che limita addirittura la sua
dipendenza.

In un individuo che, oltre alla disabilità intellettiva presenta un disturbo motorio, l’associazione peggiora
nettamente l’autonomia dello stesso e ciò si ripercuote sulla famiglia. Il neuropsichiatra infantile infatti, oltre
al soggetto, prende in carico la sua famiglia. Invece, nel caso di disabilità motorie meno compromesse e con
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disabilità intellettiva non troppo imponente, si ha una maggiore consapevolezza dei difetti e quindi il paziente
può avere un maggior senso di inadeguatezza e sofferenza. In questo secondo caso si ha più un vissuto del
paziente piuttosto che della famiglia, come nel primo caso; a volte, proprio per questo motivo, possono
emergere comportamenti anche di aggressività, rifiuto, isolamento o passività per eccessiva dipendenza,
legati a questa sofferenza e bassa autostima, che incidono sulle autonomie del paziente.

L’aggressività è più frequente in un soggetto con livello intellettivo più basso in quanto questo non è in grado
di esprimere diversamente i propri problemi.
Il soggetto in età evolutiva affetto da disabilità intellettiva richiede un efficiente lavoro di équipe, per la sua
integrazione nel contesto sociale, ossia a casa, a scuola e nell’ambiente ludico. Naturalmente, poi con l’età il
contesto sociale cambierà, con altre forme di collocamento sociale.
I genitori non “nascono” coscienti e a conoscenza di quello che deve essere fatto, per cui è sempre bene
pensare ad un sostegno psicoeducativo familiare: non possiamo prenderete dai genitori che abbiano la
capacità di comprendere da soli. Altro discorso importante è quello dell’integrazione scolastica: nella nostra
realtà italiana l’inserimento nelle classi normali prevede la presenza di un insegnante di sostegno e un lavoro
di integrazione, nel quale anche l’insegnante curriculare è coinvolto e consapevole della presenza del
soggetto con le sue problematiche.

Adolescenza, disabilità intellettiva e problematiche comportamentali


Un momento abbastanza difficile in questi pazienti è rappresentato dalla fase puberale e prepuberale. I
cambiamenti in questi soggetti, soprattutto in coloro che hanno una disabilità di grado importante, possono
determinare comportamenti impropri. Ma anche i soggetti con disabilità di grado lieve e moderato possono
presentare un certo grado sofferenza, in quanto sono consapevoli della propria condizione, con possibile
manifestazione di condizioni psicopatologiche sussidiarie e comorbidità importanti.
È un momento della vita molto delicato dove l’individuo va mantenuto sotto controllo. Spesso proprio in
questo momento arriva infatti la richiesta da parte degli operatori di intervenire con una terapia
farmacologica per arginare le situazioni più complesse  sono soggetti psichicamente vulnerabili.
Una delle problematiche più importanti è sicuramente l’aggressività, auto-o eterodiretta. Nel tempo
l’individuo cresce, anche dal punto di vista corporeo, diventando un adulto, con l’acquisizione di una
maggiore forza: ci sono quindi dei comportamenti che possono essere pericolosi per il soggetto stesso e per
gli altri. In generale, la prima cosa che deve fare lo specialista è domandarsi se queste problematiche sono
facilitate da condizioni organiche o un disagio fisico che disturbano il soggetto. Ad esempio, un individuo che
non ha delle competenze verbali o che ha un ritardo per cui non è in grado di esprimersi, potrebbe avere una
patologia organica che gli causa dolore (es. problema odontoiatrico, cefalea, problema articolare, dolore
addominale, ecc.) e manifestare questo suo disagio attraverso un comportamento disfunzionale. Quindi, la
prima cosa da fare è sincerarsi che il paziente non abbia una condizione di questo genere.
La prof racconta il caso di un bambino affetto da sindrome di Down che sbatteva sempre la testa contro il
muro e i genitori non ne comprendevano il motivo, che alla fine si capì essere un’otite: aveva mal d’orecchie
e quindi sbatteva la testa contro il muro.

Un'altra cosa pratica da tenere in considerazione è che un soggetto con disabilità intellettiva, ma vale anche
per il disturbo di spettro autistico, può vivere un disagio legato ad un cambiamento: soprattutto laddove non
ci sia una capacità verbale e di comunicazione strutturata, anche un cambiamento ambientale, di un
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insegnante di sostegno, delle abitudini, un trasloco potrebbero creare un disfunzionamento e dare
problematiche comportamentali. Le abitudini sono importanti sia nei soggetti con disturbo di spettro, sia in
quelli con disabilità intellettiva, perché fanno sentire i pazienti più sicuri.
Quindi è possibile vedere un cambiamento repentino, come irritabilità, instabilità emotiva od
opposizionismo, che può essere legato a questi tipi di esperienze, senza giungere necessariamente ad un
comportamento aggressivo. Quindi, è importante indagare queste eventualità: non si deve prescrivere subito
il farmaco, senza prima sapere perché c’è stato il cambiamento di comportamento.

Trattamento

Il trattamento è di tipo riabilitativo ed è un trattamento integrato, di tipo educativo o psicoeducativo (di tipo
cognitivo-comportamentale). (“All’esame non ditemi la psicoterapia perché non è questo”). La psicoterapia
potrebbe essere utile, anche se negata in base alle nuove indicazioni, per coloro che hanno una disabilità
intellettiva molto lieve o un quoziente intellettivo limite, in quanto magari sono persone che hanno più
possibilità di comprendere. Tuttavia, in generale, per essere utile una psicoterapia, è necessario che vi sia
una consapevolezza da parte dell’individuo, per cui non faremo mai una psicoterapia ad un soggetto con una
disabilità intellettiva moderata, severa o grave. Altre terapie possono essere terapie di rilassamento,
cercando di eliminare il più possibile le situazioni ambientali stressanti.

La terapia farmacologica è importante perché può essere necessaria. Non è la prima cosa a cui pensare e da
utilizzare però in certe condizioni va utilizzata, come quando il soggetto sviluppa una psicosi da innesto, una
sintomatologia ansiosa depressiva o tratti caratteriali ingestibili. Il farmaco poi va utilizzato se, associato al
problema intellettivo, c’è un altro problema neurologico come un’epilessia o un disturbo motorio. La terapia
farmacologica è una terapia sintomatica e risulta inutile senza un’adeguata presa in carico del soggetto e
dell’ambiente familiare. Questi ultimi aspetti infatti permettono all’individuo di avere buoni risultati.
L’ambiente familiare è importante in quanto, se equilibrato, giova allo sviluppo del ragazzo, anche se come
risultato è difficile da quantificare. Come farmaci vengono utilizzati gli antipsicotici. Il più utilizzato è il
Risperidone che ha indicazione in particolare per il comportamento dirompente in età evolutiva. Vengono
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utilizzati anche Aripiprazolo, Quetiapina. Anche gli antidepressivi si utilizzano, soprattutto nei pazienti
depressi. Si parte sempre con basse dosi e si titola lentamente. Questi pazienti infatti sono molto sensibili e
spesso si hanno reazioni paradosse legate ai farmaci. Le benzodiazepine hanno un effetto paradosso e per
questo sono sconsigliate. Per il sonno si può utilizzare la melatonina ad alto dosaggio: almeno dai 2 ai 5 mg.
Per le epilessie anche i farmaci antiepilettici, alcuni dei quali hanno una doppia azione con efficacia sia
antiepilettica ma anche a livello comportamentale: Carbamazepina, Acido Valproico, Lamotrigina. In ogni
caso la terapia farmacologica va gestita con molta attenzione per cercare di non avere degli effetti paradossi.
È bene sottolineare il fatto che quindi se il ritardo mentale è una condizione associata ad una patologia di
base, la terapia deve essere somministrata primariamente per la patologia di base stessa.

Domanda: Il QI rimane costante per tutta la vita? O ci sono accorgimenti particolari nel fare il test alle diverse
età?
Risposta: I test sono modulati a seconda dell’età. Il QI può subire delle piccole variazioni, dipende in parte
dalla stimolazione esterna e dalle condizioni ambientali; però, solitamente, con la crescita, visto che le
capacità dell’individuo si fermano ad un certo punto, vediamo un certo grado di riduzione numerica:
partendo da un certo livello in età evolutiva, essendo con il procedere dell’età [del bambino] maggiormente
richiestivi dal punto di vista dei test, è possibile che vi sia un leggero calo di punteggio.
Ci sono delle condizioni neurologiche nelle quali si possono avere degli shift del quoziente intellettivo, legati
a problematiche che possono verificarsi anche transitoriamente, dopo le quali il paziente si riprende. Questo
verrà affrontato meglio nelle prossime lezioni, quando parleremo delle encefalopatie epilettiche, nelle quali,
in età evolutiva, ci possono essere delle perdite numeriche di QI a cui succedono delle riprese.

Domanda: c’è un’età ottimale alla quale fare i test?


Risposta: No, tutte le età sono valutabili. Prima dei 4 anni ci sono dei test che danno un’idea del quoziente di
sviluppo psicomotorio, dopo i 4-5 anni ci sono dei test che valutano il livello intellettivo. Quest’ultimi sono
tarati per età, quindi avremo dei test diversi per il fanciullo, per il bambino più grande e per l’adolescente,
che sono tarati sulla base dei risultati della popolazione generale.

Domanda: Per quanto riguarda la psicofarmacologia, si sa qualcosa in merito ad un eventuale utilizzo di


nootropi e integratori? Ovviamente, nei casi lievi e moderati.
Risposta: Molto tempo fa, circa negli anni ‘90, ho partecipato ad uno studio (che poi pubblicai su una rivista
italiana di neuropsichiatria infantile) sull’utilizzo della niaprazina nella disabilità intellettiva. Al tempo feci
anche uno studio, sempre sullo stesso farmaco, applicato all’induzione del sonno nei soggetti con disturbo di
spettro autistico, pubblicato invece su una rivista recensita.
La niaprazina è un antistaminico, dotato di un effetto sedativo o comunque tranquillizzante sul soggetto con
problematiche comportamentali: è un farmaco che abbiamo utilizzato bene, sia in acuzie (cioè per i momenti
di aggressività in acuto) sia per il monitorare l’umore a lungo termine.
Questo farmaco è poi uscito dal commercio ed è recentemente rientrato, ma risulta un po’ difficile
procurarselo. Però è un ottimo farmaco, come detto è un antistaminico con effetto comportamentale ed è
anche un ipnoinducente, utilizzato anche nei soggetti con disturbo di spettro autistico, qualora non riescano
a dormire. L’unico dato da considerare, come effetto collaterale, è l’allungamento del QTc.
Altre cose che possono essere utili sono l’utilizzo di magnesio oppure l’impiego di altri nutraceutici. Non
abbiamo degli studi veri e propri, di tipo randomizzato, ma ci sono tanti prodotti che si possono trovare, che
possono anche essere utilizzati.
In passato, per il disturbo di spettro autistico si utilizzava un’associazione di vitB6 e magnesio, riguardo cui
noi in passato avremmo voluto fare uno studio randomizzato in doppio cieco, ma non è stato approvato dal
comitato etico per problematiche di fondi e soprattutto per un problema nell’attivare delle assicurazioni per
i pazienti che entravano nello studio. Per cui ci sono dei dati in letteratura, in particolar modo sull’autismo,
ma non ancora certi.

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DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO
Il disturbo dello spettro autistico o autismo è una patologia del bambino, ad esordio precoce caratterizzata
da un deficit dello sviluppo dei processi cognitivi che permettono all’individuo di orientarsi socialmentee di
strutturare relazioni intersoggettive. Quindi, rispetto alla disabilità intellettiva, alla quale l’autismo di associa
frequentemente, la problematica psicopatologica è legata all’interazione sociale e alla comunicazione.

La sintomatologia si presenta precocemente, di solito entro i 3 anni di vita, interessando in maniera pervasiva
tutto lo sviluppo del bambino oppure i sintomi, se più lievi, sono riconoscibili più tardivamente in occasione
del sempre maggiore inserimento sociale.
Questo vuol dire che l’individuo nasce affetto dalla patologia, la quale non è determinata da fattori culturali
o sociali e può manifestarsi molto precocemente perché pervade lo sviluppo psicomotorio del bambino, ma
che potrebbe anche evidenziarsi più tardivamente (non perché compaia dopo) ma perché durante la crescita
l’individuo si trova in condizioni di maggior socializzazione, rapporto ed interazione con il mondo esterno.
Capita, infatti, di vedere anche dei ragazzi adolescenti o dei bambini più grandi, a cui non è stato diagnosticato
l’autismo, ma che, ad un certo punto, proprio per questa loro problematica comunicativa e interazionale,
devono avere una diagnosi di questo tipo.

Le prime segnalazioni della patologia risalgono agli anni Quaranta ad opera di due diversi medici, che non si
conoscevano, lo statunitense Kanner e l’austriaco Asperger. Nel 1943, Kanner descriveva 11 soggetti, dei
quali “la cosa che impressionava di più era l’inaccessibilità … il distacco”.
In realtà, già ai tempi della descrizione della schizofrenia si parlava di autismo schizofrenico. C’è chi pensa
che le due patologie facciano parte di una stessa linea di psicopatologie, che ci sia quindi una base comune.
La definizione della patologia è cambiata nel corso del tempo: inizialmente si è parlato di autismo, poi si è
passati alla definizione di disturbi pervasivi dello sviluppo (valida fino al DSM4), sostituita nel 2013 con il DSM5
con la definizione di disturbi dello spettro autistico. Nel DSM IV si parlava di Disturbi pervasivi di sviluppo
dove il termine “pervasivo” identificava la gravità del problema che pervade, appunto, lo sviluppo del
bambino. Successivamente si parla di disturbo di spettro autistico. Nel DSM IV ci sono ancora le
sottocategorie di: disturbo autistico, disturbo disintegrativo della fanciullezza, disturbo pervasivo non
altrimenti specificato, disturbo di Rett (che poi è stato eliminato perché è una patologia genetica), il disturbo
di asperger. L’ultima classificazione, invece, analizza il carattere dimensionale della condizione, mentre nel
DSM4 si parlava di categorie, eliminate poi con il DSM5. Tutti i vari disturbi (il disturbo autistico, la sindrome
di Asperger, il disturbo disintegrativo dell’infanzia, la sindrome di Rett, e il disturbo pervasivo dello sviluppo
non altrimenti specificato) sono stati tutti raccolti nella definizione del DSM5 “disturbi dello spettro autistico”.
È più corretto parlare di spettro perché abbiamo nello stesso contesto diversi livelli di gravità-severità. [C’è
stata qualche polemica con l’Asperger, ma alla fine questa condizione rappresenta semplicemente la forma
più lieve di disturbo dello spettro autistico]. Della vecchia definizione, risulta importante il significato del
termine “pervasivo”. La definizione inglese era “pervasive development disorder”, tradotto in italiano come
“disturbi generalizzati dello sviluppo”: il concetto è che il problema è talmente ampio e grave che pervade
lo sviluppo del bambino.

[Specificazione presa da internet: Nel DSM IV, la definizione di un termine diagnostico era basata su un elenco
di criteri e, in quasi tutti i casi, era semplicemente il numero di sintomi in varie categorie che definiva se il
tipo di diagnosi dovesse essere usato o meno per descrivere la condizione clinica del soggetto. Questo
approccio è chiamato diagnosi “categoriale”: per fare diagnosi ciò che conta è la presenza del corretto
numero di sintomi in una determinata categoria. Un esempio che evidenzia uno dei principali problemi con
questo tipo di sistema diagnostico è che se qualcuno che presenta quattro sintomi, tutti a malapena
abbastanza gravi o rilevanti da poter essere validi come criterio, può soddisfare i criteri per una diagnosi,
mentre qualcuno con solo tre sintomi, anche se molto gravi, potrebbe non farlo. In buona sostanza, si
considera la sola presenza dei sintomi e non viene “pesata” e presa adeguatamente in considerazione la
gravità dei sintomi che, “in primis”, può contribuire al disagio e alla compromissione di funzionamento legati
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ad una condizione clinica (due aspetti chiave per la significatività clinica di una combinazione di sintomi o
caratteristiche). Ecco, quindi, quale problema diagnostico si è potuto superare introducendo il concetto di
diagnosi dimensionale: il livello di gravità dei sintomi, o del problema clinico generale, diventa l’aspetto
centrale nel processo diagnostico di inquadramento delle varie caratteristiche e sintomi presenti.
Ogni caratteristica, sintomo o deficit viene quindi definito come lungo un continuum dimensionale all’interno
del quale bisogna collocarne intensità e gravità. Invece di pensare a una diagnosi come una lista di sintomi
da contare, si concepisce una certa condizione clinica come un insieme di “dimensioni” di misurare in termini
di intensità. Proprio come la larghezza, la lunghezza e l’altezza sono dimensioni dello spazio in fisica, allora
umore, ansia, disturbi del sonno, sintomi somatici o introversione sono tutte dimensioni da misurare e
valutare per il loro grado di gravità nell’ambito di una diagnosi dimensionale.

L’evoluzione e la progressiva diffusione di strumenti dimensionali di valutazione di sintomi e abilità nella


ricerca e nella pratica clinica, hanno spinto ulteriormente verso un approccio di questo tipo anche nei criteri
diagnostici di base che viene raggiunto, per l’appunto, con il DSM 5 e il concetto di spettro autistico.]

Disturbo dello spettro dell’autismo (DSM 5)


(NB: sul libro questo non è riportato perché all’epoca c’era ancora il DSM4). Nella nuova definizione di autismo
del DSM 5 è meglio pensarlo come un singolo disturbo su un ampio spettro, con la diagnosi di disturbo dello
spettro autistico che va a rappresentare un termine “ombrello” al di sotto del quale vengono raggruppate
molteplici ed eterogenee manifestazioni della condizione clinica.

- Si definisce disturbo dello spettro dell’autismo una compromissione persistente della comunicazione
sociale reciproca e dell’interazione sociale.
Questo significa sostanzialmente che la comunicazione attraverso il linguaggio, l’aggancio visivo, la
mimica facciale, la gestualità, la postura, il contenuto del linguaggio e, addirittura, la comprensione
dello stato d’animo altrui è deficitaria. Quando parliamo di comunicazione, quindi, non parliamo solo e
semplicemente di comunicazione verbale, anche se questa è molto inficiata in questi soggetti.

- Presenza di pattern di comportamento, interessi o attività ristretti e ripetitivi:


sono soggetti che hanno delle stereotipie motorie, verbali e anche di interesse, cioè tendono a ripetere
sempre la stessa cosa, ad essere interessati sempre allo stesso oggetto, non amano i cambiamenti. Sono
dei bambini che hanno bisogno della ripetitività, non sono avvezzi a cambiare il loro stile di vita e, nel
caso si debba cambiare la loro routine, vanno preparati. Sono bambini routinari e che hanno anche delle
problematiche a livello sensoriale.

- I sintomi sono presenti nel periodo precoce dello sviluppo e causano una compromissione clinicamente
significativa del funzionamento in ambito sociale, lavorativo (naturalmente nel soggetto adulto) o in altre
aree importanti.

- Le alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità intellettiva o da ritardo globale dello sviluppo.
Questo è importante perché c’è una comorbidità del disturbo di spettro autistico con la disabilità
intellettiva in circa il 40% dei casi, quindi in una percentuale piuttosto alta (un tempo si diceva che questa
percentuale era più alta, oggi la stima è calata intorno a questa percentuale).

Specificatori:
1. Con o senza compromissione intellettiva concomitante;
2. Con o senza compromissione del linguaggio;
3. Associata a una condizione medica o genetica nota o fattore ambientale;
4. Associata a un altro problema del neurosviluppo, mentale o di comportamento.

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Ulteriore fondamentale criterio di valutazione che viene proposto dal DSM 5 per l’autismo è il livello di gravità
e di supporto richiesto suddiviso sui 3 livelli che descrivono il livello di compromissione tramite la descrizione
delle due dimensioni principali (criteri A e B) sui 3 gradi di gravità:
 Livello 1 – Necessario un supporto
 Livello 2 – Necessario un supporto significativo
 Livello 3 – Necessario un supporto molto significativo.

L’incidenza della patologia è aumentata, se si guardano gli studi epidemiologici nel corso del tempo: i dati del
2014 riportano 1 caso su 68 nati negli USA. Perché questo aumento di frequenza? Sicuramente, in parte
perché conosciamomeglio il problema e c’è quindi un’aumentata capacità diagnostica.
La prof racconta che quando frequentava l’università, nel corso di neuropsichiatria infantile, che all’epoca era
un elettivo, nel libro di testo fornito non si faceva menzione di questo tipo di problema, si parlava di psicosi,
ma non si parlava di autismo né tanto meno di disturbo di spettro autistico. Sicuramente, nel corso del tempo,
anche grazie all’importante lavoro fatto dalle associazioni familiari, è aumentata la conoscenza del problema
e la sensibilizzazione nei confronti del problema, ci sono stati cambiamenti per quanto riguarda la diagnosi
precoce, la corretta presa in carico dei pazienti e anche per la contestualizzazione del problema in età adulta,
cosa che purtroppo per la disabilità intellettiva non c’è.
Inoltre, probabilmente ci sono fattori che in qualche modo facilitano la comparsa del problema: nessuno sa
di preciso quali siano, probabilmente sono fattori ambientali, come situazioni che si verificano durante la
gravidanza, problematiche immunitarie, problematiche tiroidee, inquinamento, ecc. (sicuramente non i
vaccini, come spesso si sente dire).

Eziopatogenesi
L’eziopatogenesi è multifattoriale. Un consorzio internazionale ha fatto degli studi genetici in cui si andava
a studiare la ricorrenza della patologia in famiglie con più di un membro affetto, ma non si è identificato, di
fatto, un gene responsabile: ci sono ancora tanti geni candidati, sono sempre di più soprattutto adesso che
si è in grado di studiare le copy number variant, l’esoma e il genoma, però in questo caso si tratta di una
patologia ad eziologia multifattoriale dove c’è sì un impatto genetico importante ma dove ci possono essere
altri fattori.

È importante la differenza fra autismo “sindromico” (circa il 5%) e l’autismo idiopatico, presente nella grande
maggioranza dei casi. Nell’autismo idiopatico non vi è nessuna malattia rara, o alterazione a livello encefalico
tali da determinare autismo. In passato, nel DSM IV ma non nel DSM V, fra i disturbi pervasivi dello sviluppo
vi era la Sindrome di Rett, di cui sono stati individuati i geni. Bisogna porre attenzione anche a tutti quei
bambini con tratti dismorfici. Alla base di questo disturbo vi è l’interazione tra fattori genetici e ambientali.
Molto recentemente si è iniziato a parlare di inter-connettività e disequilibrio sinaptico, tanto da poter
valorizzare la comorbidità frequente fra autismo, disabilità intellettiva ed epilessia.

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The genetic of autism, Muhle et al., 2004

In questa review del 2004 si fa menzione ad alcune condizioni geneticamente definite, come la sclerosi
tuberosa, la sindrome del X fragile, la sindrome di Angelmann, la Sindrome di Prader-Willi, la distrofia di
Duchenne, la neurofibromatosi, ecc…, che possono essere associate all’autismo.
Sicuramente non è presente una correlazione con i vaccini. C’è una frequente comorbidità con disabilità
intellettiva edepilessia. La concordanza fra gemelli dizigoti è bassa (tra lo 0-10%), sovrapponibile con quella
fra fratelli, mentre quella fra gemelli monozigoti è molto alta, ma non arriva al 100 %, cosa che indica
quanto la genetica sia importante, ma chenon sia sufficiente, è necessaria anche dell’interazione con i fattori
ambientali. Il rapporto fra maschi e femmine è di 3-4:1, anche se articoli recenti lo abbassano a 2:1: in passato
si diceva che le femmine affette fossero di meno, ma che fossero maggiormente compromesse dal punto di
vista della disabilità intellettiva; oggi si ipotizza invece che le femmine affette siano di più rispetto a quanto
detto in passato, solo che sono difficili da diagnosticare in quanto possono avere un fenotipo più sfumato,
con una normale o scarsa rappresentazione dei sintomi.
Ultimamente stanno uscendo articoli riguardanti il ruolo dei neuromediatori: sono state descritte alterazioni
a carico del genere della Relina (RELN) e di FOXP2. Per questo motivo molto spesso si valuta il genoma di
questi pazienti, per poter capire le cause.

Manifestazioni cliniche
[Ripasso fasi dello sviluppo psicomotorio Capacità visiva (1-2 anni); capacità uditiva (14 mesi); linguaggio
(3-4anni)]

Manifestazioni relazionali
Per quanto concerne il disturbo di spettro autistico, è importante focalizzarsi sull’aspetto comunicativo-
relazionale.
1. La prima manifestazione relazionale è il pianto.
2. La seconda manifestazione relazionale è il sorriso al volto che rappresenta la relazione diadica: il
bambino guarda il volto ad un mese di vita, poi sorride.
3. Poi l’attenzione congiunta che inizia a comparire intorno ai 6 mesi di vita per raggiungere la piena
specificità a 14 mesi, è un prerequisito importante per l’acquisizione del linguaggio
4. Poi lo Sguardo referenziale (8 mesi), il bambino guarda ciò che l’altro sta guardando oppure fa uso
della direzione del proprio sguardo per dirigere attenzione dell’altro sull’oggetto
5. Angoscia per l’estraneo a 8 mesi
6. Indicare protoimperativo per chiedere un oggetto
7. Indicare protodichiarativo (indicare all’adulto un oggetto di condivisione, 9-12 mesi)
8. Gioco simbolico (2 anni) che poi nel corso del tempo si perfezionerà.
Queste sono tappe importanti, insieme allo sviluppo del linguaggio, che vanno tenute a mente perché in un

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bambino con un disturbo di spettro possiamo avere un’alterazione di queste: la mancanza di un sorriso, di
uno sguardo referenziale, dell’attenzione congiunta, del pointing o del gioco simbolico sono frequentemente
presenti in un bambino affetto da disturbo di spettro autistico

Primi segnali
Per poter effettuare una diagnosi precoce, una delle cose più importanti da considerare è individuare i
cosiddetti “primi segnali” si evidenziano nei primi 3 anni di vita, in genere dopo il sesto mese.
- I genitori riferiscono qualche problematica di tipo sensoriale uditiva, un sospetto di sordità, perché il
bambino quando viene chiamato non risponde.
- Inoltre, vi è anche un ritardo del linguaggio: recentemente la prof ha pubblicato un lavoro sui segni
precoci dell’autismo sull’Italian Journal of Pediatrics, dove ha individuato che le manifestazioni di
linguaggio sono sincrone alle problematiche relazionali; quindi, oltre al problema di linguaggio vi è
anche un problema relazionale, che esordisce contemporaneamente, ma i genitori – soprattutto
quando non hanno esperienza – vengono particolarmente colpiti dalla problematica del linguaggio.
The auditory brainstem response (ABR) test tells us how the inner ear,
called the cochlea, and the brain pathways for hearing are working
Spesso in questi bambini è utile eseguire un esame audiometrico e le ABR, i quali vengono ripetuti anche se
sono normalmente parte di un programma di screening alla nascita. L’esordio può manifestarsi con un ritardo
psicomotorio oppure con una regressione delle acquisizioni fatte.

Teorie
Vi sono tante teorie ed ipotesi per spiegare l’insorgenza dell’autismo, fra queste – ad esempio – la
teoria della coerenza centrale della mente o la teoria delle funzioni esecutive.
Fra le altre ipotesi, si cita la teoria della modulazione sensoriale, secondo la quale i bambini affetti da autismo
hanno degli organi di senso funzionali e funzionanti, senza problematiche particolari; quello che sembra
essere disfunzionale è l’elaborazione degli input sensoriali a livello del SNC, per cui la percezione degli
stimoli esterni viene rimodulata, venendo percepita dall’individuo in maniera diversa. Si ipotizza, in questo
modo, che il diverso comportamento degli individui affetti sia correlato alla tipologia di stimolo che
percepisce, che sarà diversa fra bambini tranquilli e bambini iperattivi.
Questo è possibile vederlo anche nell’ambito alimentare: una delle caratteristiche più interessanti è, infatti,
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un disturbo dell’alimentazione, sotto forma di selettività alimentare, probabilmente determinata dalla
consistenza, colore, impacchettamento e gusto di alcuni cibi. Questa selettività è molto precoce, esordisce
nei primi mesi di vita e può essere parte della sintomatologia d’esordio, per poi potersi modificare nel tempo.
Questo comportamento sembra essere determinato dalla diversa modulazione degli stimoli.

Video 1
In questo video il protagonista è un bambino di 2 anni, un bambino che non ha un fenotipo particolare.
Tendenzialmente è iperattivo, ha un’importante esplorazione degli oggetti a livello orale, non ha un
linguaggio strutturato, ma una sorta di ecolalia, non pronuncia sillabe, è più una sorta di vocalizzo; inoltre,
quando viene chiamato non si volta, non ha un gioco strutturato, non fa caso ai genitori. Ha un
comportamento stereotipato, infatti oltre alla ripetitività della vocalizzazione, si possono notare anche
stereotipie gestuali, come il battere le mani, il mettersi gli oggetti in bocca. C’è solo un momento, cioè quando
il padre lo prende in braccio e lo fa girare, in cui guarda il papà ed accenna un sorriso.

Video 2
In questo secondo video il bambino ha la stessa età del precedente, ma ha un comportamento
completamente diverso. È un bambino – oggi ormai adolescente – tranquillo, non iperattivo, che gioca, non
guarda la mamma che è lì vicino, ma piuttosto guarda l’oggetto che la madre, in maniera corretta, pone
davanti ai suoi occhi, permettendogli un aggancio visivo; inoltre, chiamato non risponde. Al contrario del
bambino precedente, non ha stereotipie motorie e vocali, ma comunque non ha un linguaggio strutturato ed
ha delle stereotipie comportamentali, come svuotare e riempire il contenitore con degli oggetti; quando
viene modificato l’oggetto di interesse continua a mantenere un comportamento stereotipato, continuando,
in questo caso, a suonare la pianola, a battere le mani e ad emettere qualche vocalizzo. In definitiva, ha un
comportamento ripetitivo, per certi versi iperattivo, ma tranquillo.

Caso clinico
In riferimento alla possibilità di diagnosi tardive rispetto ai tempi normali, si parla ora di un ragazzino di
8 anni e mezzo, iscritto in terza elementare ed inviato all’osservazione della neuropsichiatria infantile dagli
insegnanti, perché facevano fatica a gestirlo durante le lezioni, in quanto particolarmente brillante, tanto da
terminare i compiti rapidamente e da non capire perché gli altri bambini avessero bisogno di più tempo e,
annoiandosi, disturbava gli altri alunni.
Dal punto di vista dell’anamnesi non c’era nulla di particolare, se non una zia, sorella del padre, che – seppur
sposata econ famiglia – veniva descritta come una persona un po’ chiusa, rigida, poco comunicativa e laureata
in matematica.
Il ragazzino ha imparato a mettere le lettere in ordine alfabetico a 18 mesi, a leggere a 4 anni, ha capacità
mnemoniche molto sviluppate ed interessi ripetitivi e ristretti per il corpo umano e le carte geografiche,
goffaggine motoria, scarsa empatia e affettuosità, anche nei confronti dei familiari, difficoltà di relazione
con i pari e ottimeabilità cognitive.
Alla valutazione psicodiagnostica risulta avere un QI di 150, secondo la scala WISC IV, è quindi un bambino
ad altissimo livello intellettivo, extra-norma; alla valutazione per il disturbo di spettro autistico, invece, risulta
avere un quadro compatibile, come dimostrato, ad esempio, dall’incapacità di rappresentare graficamente
un momento felice ed un momento triste, se non con degli scarabocchi e senza saperli spiegare, nonostante
il QI di 150.

Video caso clinico


Nel video proiettato a lezione è stato possibile vedere la somministrazione di alcune prove del modulo ADOS,
la batteria di test per l’autismo. In particolare, in un primo momento viene chiesto al bambino di ricostruire
un puzzle, nascondendo però una parte dei pezzi: il bambino, dopo aver completato il puzzle non si chiede
perché siano assenti dei pezzi, ma inizia a dondolare sulla sedia.
Una seconda prova consiste nel chiedere al bambino di dire cosa vede in un’immagine mostratagli: il bambino
non risponde in riferimento all’immagine generale, ma cerca un piccolissimo particolare di un particolare.
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Questo tipo di comportamento combacia con la teoria della coerenza centrale debole, secondo cui i bambini
sono particolarmente adesi al particolare. Successivamente viene chiesto al bambino quale sia la differenza
fra un amico ed un compagno di classe, così come fra l’essere triste e l’essere felice, senza ricevere una
risposta. Infine, si chiede al bambino di creare una storia immaginaria a partire da degli oggetti, senza riuscire
ad avere dei risultati soddisfacenti.

In questo video è stato possibile, quindi, vedere un bambino più grande, verbale, collaborante, un po’
iperattivo – visibile a livello delle gambe –con aggancio visivo deficitario, incapace di rispondere a domande
relative all’aspetto piùempatico, emotivo e di creare storie con l’immaginazione. Si tratta di un ragazzo con
disturbo dello spettro autistico ad altissimo funzionamento intellettivo, in cui non ci si sarebbe aspettati di
ottenere simili risposte con un livello intellettivo simile. Ben diverso è il disturbo di Asperger, dove si ha un
funzionamento cognitivo da normale a brillante, ma c’è maggiore contatto visivo, un linguaggio strutturato
e maggiori capacità mimiche-comunicative, da cui deriva una maggior sofferenza rispetto alla patologia.
Questo bambino, rivisto a distanza, è stato aiutato con un progetto di inserimento scolastico, per cercare di
lavorare sulla sua comunicazione, soprattutto con i pari, che risultava difficile.

Deficit sociale e linguaggio nei ASD


Per quanto riguarda il deficit sociale del disturbo di spettro autistico, questo è determinato da:
- mancato riconoscimento delle emozioni dalle espressioni del volto
- deficit di empatia: incapacità di condividere un’emozione con un'altra persona, riproducendola –
infatti fra le varie teorie da prendere in considerazione vi è anche quella dei neuroni a specchio
- incapacità di comprendere una situazione alla base di un evento emotivo dell’altro e di rispondere
appropriatamente, un mancato processo di mentalizzazione.
Si ipotizza che lo stimolo elaborato dal punto di vista della rappresentazione emotiva, non passi attraverso
strutture importanti come l’amigdala, ma direttamente dal lobo occipitale, venendo così percepite come
immagini, ma non rielaborate con qualcosa di effettivamente percepito dall’individuo. Si parla, in questo
senso, di possibile coinvolgimento di aree sociali del cervello, come il solco temporale superiore posteriore,
il giro temporale medio, il giro fusiforme, l’amigdala, la corteccia mesiale prefrontale ed il giro frontale
inferiore.
Si parla, inoltre, soprattutto di alterazioni della connettività: le nuove teorie sostengono la presenza di aree
cerebrali sotto-connesse (soprattutto a lunga distanza) e altre, invece, iper-connesse.
In riferimento al linguaggio, ciò che viene ad essere inficiato, nel caso in cui il linguaggio sia sviluppato, è
soprattutto la prosodia (l’intonazione che può essere meccanicao bizzarra), ma anche la pragmatica, ovvero
il contenuto, ciò che viene espresso ed eventualmente condiviso con l’ascoltatore.

Manifestazioni e disturbi associati


- Disabilità intellettiva: associata intorno al 40% (da CLUEB 70%)
- Disarmonie nello sviluppo delle capacità cognitive: le capacità cognitive sono disarmoniche, sono
evidenti funzioni deficitarie, altre possono essere persino di ordine superiore. Per esempio vi sono
bambini che seppur non presentino un linguaggio sviluppato sono in grado di leggere in eta
precoce, altri hanno spiccato talento musicale o per la matematica.
- Disturbi gastrointestinali: la prof in merito a ciò ha scritto un capitolo per la Elsevier; oggi si parla
molto del ruolo del microbiota nello sviluppo cerebrale, attraverso meccanismi complessi, che
prendono in considerazione la permeabilità intestinale e le alterazioni immunitarie. Ricorrono dal 9
al 70% dei casi con DSA, i pin frequenti sono la stipsi cronica, i dolori addominali, la diarrea,
l'encopresi, il reflusso gastro-esofageo, il meteorismo, il deficit di disaccaridasi, il colon irritabile, la
gastrite, l'esofagite, la celiachia e il morbo di Crohn. Tali disturbi possono determinare variazioni del
comportamento (per es. irritabilità, auto ed etero aggressività, aumento stereotipie), del sonno e del
comportamento alimentare.
- Disturbi del sonno: quasi tutti i bambini hanno risvegli notturni, o addormentamento tardivo, o
risvegli precoci al mattino. In questo caso, oltre alla precedentemente citata Niaprazina,
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sembrerebbe essere utile anche la melatonina ad elevati dosaggi (“non certo da 1mg”), venduta oggi
a lento rilascio come farmaco di classe C, quindi molto costoso.
- Disturbi dell’umore e dell’affettività: sono presenti alcune anomalie comportamentali, che possono
essere trattate anche farmacologicamente, come l’aggressività (auto o eterodiretta); per spiegare un
comportamento aggressivo è sempre indicato escludere di prima intenzione un disagio fisico; infatti,
spesso il paziente non è in grado di comunicare la sintomatologia dolorosa che ad esempio può
derivare da patologie odontostomatologiche, addominali, osteoarticolari. Un cambiamento di
abitudini, per esempio, a scuola o nel centro educativo, la stessa sostituzione di un insegnante di
sostegno o di un educatore possono essere vissuti negativamente dal paziente. Senza giungere ad un
comportamento aggressivo è possibile osservare irritabilità emotiva, opposizionismo, disagio;
- Epilessia: anche su questo argomento la prof ha condotto numerose ricerche; si è notato come ci sia
un’incidenza maggiore di epilessia fra i soggetti affetti da autismo, rispetto alla popolazione generale.
In letteratura si parla di una ricorrenza fra il 5% ed il 46%, in concordanza con i rilievi degli studi della
prof. Molto spesso questi pazienti hanno delle anomalie epilettiformi, senza avere delle vere e
proprie sindromi epilettiche;
- Disturbi del movimento: ad esempio, tic e Sd. di Tourette.
- Anomalie dell'alimentazione: la selettività alimentare è il disturbo di alimentazione più
frequentemente rilevato nei DSA (70%), è descritta un'alimentazione difficoltosa, con rifiuto
frequente del cibo, oppure un'alimentazione con ristrette categorie di cibo, o l'utilizzo di un limitato
repertorio di cibo. La selettività alimentare si manifesta di solito già nei primi mesi di vita.

Evoluzione

Problemi comportamentali
Sono molto spesso legati alla comorbilità con la disabilità intellettiva. Le problematiche comportamentali più
sentite dalla famiglia, dagli educatori e dagli insegnanti sono quando emerge un atteggiamento di aggressività
auto o etero diretta. Quando troviamo un cambiamento di un comportamento in un soggetto con questa
patologia o in un soggetto non verbale, dobbiamo sempre chiederci se c’è qualche disfunzionamento o
disagio fisico che condiziona questo atteggiamento. Mai sottovalutare un disagio fisico. Essendo bimbi molto
adesi alla ripetitività qualsiasi cambiamento di abitudine potrebbe sconvolgerli e lo vivrebbero
negativamente e quindi si crea un problema comportamentale. Le modificazioni comportamentali possono
verificarsi spesso durante il periodo prepuberale o puberale e talvolta richiedono l’utilizzo di un farmaco.
Senza giungere ad un comportamento aggressivo è possibile osservare irritabilità, instabilità emotiva,
opposizionismo, disagio.

Disturbo di Asperger (N.B non più presente nella definizione del DSM5)
nel CLUEB sono riportate tutte le vecchie sotto-categorie del in quanto si basa sul DSMIV. Le riporto comunque
per completezza.

Viene ben descritto da Van Krevelen nel 1971: mentre soggetti con disturbo autistico sembrano vivere in un
“loro proprio mondo”, coloro che sono affetti da disturbo Aspeger sembrano vivere “nel nostro mondo a

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modo loro”.
La diagnosi di disturbo di A. era caratterizzata da compromissione e atipia dell’interazione sociale,
unitamente ad interesse e comportamento ristretti, in assenza di ritardo significativo nello sviluppo del
linguaggio o nello sviluppo psicomotorio. Sono soggetti che spesso hanno un linguaggio strutturato e un QI
normale  Hans Asperger all’inizio descrisse una sindrome che definì psicopatia autistica: soggetti con
intelligenza normale, che manifestavano una compromissione qualitativa dell’interazione sociale reciproca e
bizzarrie comportamentali, in assenza di ritardi nello sviluppo del linguaggio.
Potrebbero essere diagnosticati tardivamente, però nella storia clinica spesso si può notare che c’è stato, ad
esempio, un ritardo nello sviluppo motorio. Infatti, un altro aspetto importante è la presenza di goffaggine
motoria, che può essere visibile precocemente, già nei primi momenti dello sviluppo psicomotorio, ma anche
in seguito; sono, infatti, ragazzini spesso non avvezzi ad essere brillanti nelle attività sportive. Di solito
diagnosticati in età più avanzata, quando nel contesto scolastico si evidenziano problemi di empatia e di
interazione sociale.

Diagnosi e clinica
Le caratteristiche cliniche comprendono almeno 2 delle seguenti indicazioni di compromissione sociale
qualitativa: gestualità comunicative non verbali marcatamente anomale e mancanza di sviluppo delle
relazioni con i coetanei al livello atteso. Sono presenti interessi e pattern comportamentali ristretti ma, se
impercettibili, possono non essere immediatamente identificati o distinti come diversi da quelli di altri
bambini. Secondo il DSM-IV non manifestano ritardo di linguaggio, ritardo cognitivo clinicamente marcato o
compromissione adattiva (possono presentare però lentezza nell’acquisizione del linguaggio e una qualche
compromissione della comunicazione verbale). Attualmente, il fenotipo clinico del disturbo di Asperger
classificato all'interno della diagnosi del DSM-5 di disturbo è dello spettro dell'autismo.
A differenza di quello che prima era diagnosticato come disturbo autistico, i pz con A. cercano maggiormente
l’interazione sociale e. per consapevolezza della propria compromissione, si impegnano attivamente nel
cercare amicizie.

Trattamento
Il trattamento dei soggetti che soddisfano i criteri per la diagnosi del disturbo di Asperger ha Io scopo di
promuovere la comunicazione sociale e le relazioni tra coetanei. Gli interventi sono iniziati con l'obiettivo di
plasmare le interazioni in modo da renderle maggiormente adattabili a quelle dei pari. Molto spesso i bambini
con disturbo di Asperger si esprimono bene verbalmente e raggiungono livelli eccellenti di rendimento
scolastico. La tendenza di bambini e adolescenti affetti da questo disturbo di appoggiarsi a regole e abitudini
rigide può diventare una fonte di difficoltà ed essere un'area che richiede un intervento terapeutico. Tuttavia,
trovarsi a proprio agio con la routine può anche essere utile per incoraggiare abitudini positive che possono
rinforzare la vita sociale di un soggetto con disturbo di Asperger. Le tecniche basate sulle autonomie e sul
problem solving risultano spesso utili per questi soggetti in situazioni sociali e ambienti lavorativi. Alcune
delle stesse modalità utilizzate per il disturbo autistico possono apportare beneficio ai pazienti affetti da
disturbo di Asperger con grave compromissione sociale.

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Sindrome di Ret

Diagnosi

Linee guida per la diagnosi precoce  È stato istituito un programma regionale per la diagnosi precoce
dell’autismo. I pediatri, con libera scelta, hanno il mandato di svolgere fra i 19 mesi e i 2 anni la scala CHAT,
un test di orientamento per capire se il bambino potrebbe avere qualche segno precoce di questa patologia,
per poi decidere se rivederlo o se inviarlo al neuropsichiatra infantile. Questo test si basa sull’osservazione
del bambino e su domande da porre ai genitori.
Utile prevenire malessere familiare in base ai comportamenti anomali del bambino: è caldamente consigliato
di evitare un atteggiamento di attesa (come “ah sì, il bambino non parla? Parlerà da grande”, perché farebbe
perdere solo tempo), così come avere atteggiamenti “pseudo-rassicuranti” o colpevolizzanti; chiedere,
invece, l’aiuto del neuropsichiatra infantile.

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Sempre più importante è diventato, oggi, seguire dei protocolli diagnostici: non basta, infatti, fare una
diagnosi clinica di autismo, ma bisogna eseguire anche esami genetici, RM cerebrale, EEG nel sonno (per il
frequente riscontro di anomalie che portano ad epilessia). Vi sono numerose ipotesi di protocollo di screening
regionale, quello proposto dal team della prof (immagine sottostante) è iniziato nel 2006/2008 e prevede
anche l’uso del CGH-array.
Bisogna considerare, inoltre, che un quadro sindromico avrà dei metodi di approccio e prevenzione diversi
da quelli dell’autismo idiopatico dove si fa riferimento alla popolazione generale.

La diagnosi differenziale viene posta con: ipoacusia, ritardo mentale, disturbi del linguaggio, mutismo
selettivo, disturbi di personalità, disturbo reattivo dell’attaccamento, psicosi, DOC, sndr. di Landau-Kleffner

Trattamento
Il trattamento deve essere individualizzato, flessibile, continuativo, globale, deve coinvolgere oltre gli
operatori anche i familiari e gli insegnanti, deve tenere conto dell'età, della sintomatologia, delle abilità, delle
capacità di comunicazione, del contesto ambientale e delle comorbilità. Solitamente si utilizzano trattamenti
integrati. I trattamenti educativi sono di tipo cognitivo-comportamentale.
Le finalità a lungo termine del progetto terapeutico riabilitativo sono quelle di correggere i comportamenti
disadattivi, facilitare le competenze comunicativo-linguistiche e cognitive che serviranno per il futuro
adattamento all'ambiente, favorire lo sviluppo dell'adattamento emozionale.
Può essere utile anche una psico-motricità e una terapia logopedica per aiutare il bambino a comunicare
verbalmente e non, anche attraverso le immagini, laddove il linguaggio non sia strutturato. Il trattamento
farmacologico è sintomatico e deve essere preceduto da un'analisi funzionale del disturbo. È indicato, per

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esempio, in caso di iperattività, inattenzione, aggressività, compulsioni, rituali, alterazioni dell'umore,
irritabilità, disturbi del sonno, crisi epilettiche. La scelta del farmaco deve essere effettuata sulla base del
sintomo da trattare. Un buon trattamento farmacologico può avere effetto sul comportamento e sulla
patologia in comorbilità ma nello stesso tempo può migliorare la qualità della vita e facilitare l'effettuazione
del trattamento riabilitativo.

Nelle linee guida 2011 – riviste nel 2015 – si parla di:


 Interventi mediati dai genitori
 CAA (comunicazione aumentativa alternativa)
 Interventi a supporto della comunicazione sociale
 TEACCH
 Programmi intensivi comportamentali (ABA)
 Interventi comportamentali focali
 Terapia cognitivo comportamentale (CBT) (ansia di asperger o autismo ad alto funzionamento)
N.B.: non si parla di psicoterapia, ma di trattamenti comportamentali! L’obiettivo più importante è la
comunicazione, da ottenere nel più breve tempo possibile. Il logopedista non interviene a 4 anni, come nei
ritardi del linguaggio, ma prima. Si cercano anche modalità di comunicazione alternativa, come quella con i
gesti e le immagini.

Studente: Qual è il margine di miglioramento di questi pazienti, quando la presa in carico è precoce?
Prof: Alcuni di questi bambini migliorano anche spontaneamente, ma questo non deve essere un blocco
all’agire precocemente. Spesso ci sono buoni andamenti, dettati da fattori prognostici favorevoli, come la
presenza del linguaggio, di un aggancio visivo, di una modalità comunicativa (via segni, immagini, se parla
anche meglio). È difficile, però, che ci sia una guarigione, perché il nucleo della patologia permane.
La prof ha avuto il piacere di rimanere in contatto con un paziente Asperger che ha avuto diagnosi molto
precoce, che è stato in grado di laurearsi con 110L e di vivere fuori di casa con un coinquilino, rimanendo
solitario e con qualche stereotipia, ma che purtroppo ha avuto problemi nel momento dell’inserimento nel
mondo del lavoro. Ci sono situazioni con buona ripresa ed altre più gravi, dove comunque bisogna intervenire
precocemente, per la plasticità cerebrale, importante per la riuscita del trattamento.
Ultimamente sono usciti articoli interessanti riguardo la modalità di presa in carico di pazienti affetti da
epilessia e altri sintomi dell’autismo; ci sono delle encefalopatie epilettiche che hanno sintomi comuni
all’autismo, che sembrerebbero beneficiare di terapie riabilitative per l’autismo.

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EPILESSIE
(N.B. nel libro della prof è utilizzata ancora la vecchia terminologia, ad oggi è usata la classificazione del 2017,
vedi dopo)

L’epilessia è un argomento già in parte trattato nel corso di neurologia, ma che oggi svolgeremo in maniera
un po’ diversa, concentrandoci sugli aspetti più pratici e soprattutto relativi all’età evolutiva.
Innanzitutto, una cosa importante è la definizione corretta di epilessia e di crisi epilettica e conoscere il
perché del verificarsi di queste situazioni; la crisi epilettica è, infatti, sintomo dell’epilessia mentre l’epilessia
è una sindrome.

Patogenesi
Dal punto di vista patogenetico si tratta di un disturbo acquisito o costituzionale dell’eccitabilità neuronale.
Bisogna quindi introdurre due termini:
 Ipereccitabilità: tendenza del neurone a generare scariche ripetute in risposta ad uno stimolo che
normalmente darebbe solo un potenziale d’azione.
 Ipersincronismo: capacità di un gruppo di neuroni a generare in maniera sincrona una serie di
potenziali d’azione.

La crisi epilettica si verifica per una scarica epilettica che è caratterizzata da una condizione di ipereccitabilità
neuronale, vale a dire una sorta di depolarizzazione permanente di un gruppo di neuroni ipersincroni (in
quanto la depolarizzazione di un solo neurone non riuscirebbe a determinare una scarica epilettica e una crisi
epilettica).
Questa condizione è dovuta a diversi possibili fattori eziologici, quali:
- Anomalie del passaggio degli ioni a livello dei canali ionici voltaggio dipendenti importanti per la
depolarizzazione e la iperpolarizzazione che sono il sodio, il potassio e il calcio (mutazioni dei canali
ionici sono state scoperte solo in tempi relativamente recenti)
- deficit di ATPasi di membrana che possono condizionare un’alterazione nel trasporto ionico;
- squilibri tra i neuromediatori inibitori come il GABA (la funzione inibitoria del GABA non è presente
in epoca neonatale, ma nel corso della maturazione cerebrale poi si definisce come tale) e
neuromediatori eccitatori come l’aspartato e il glutammato.
Queste sono le condizioni che facilitano la comparsa delle crisi epilettiche.

Da neuro  Le crisi epilettiche, in rapporto all’intervallo temporale tra crisi ed eventuale patologia
predisponente o scatenante le crisi, si distinguono in:
 crisi epilettiche sintomatiche acute o provocate, quando insorgono in stretto rapporto temporale con
condizioni patologiche cerebrali strutturali o tossico/metaboliche;
 crisi epilettiche sintomatiche remote o non provocate, che si manifestano in assenza di fattori
precipitanti e che possono occorrere anche in presenza di un danno non recente del SNC.

Per la definizione di epilessia, che si basa su una persistente “alterazione epilettogenica” del cervello, che lo
rende capace di produrre spontaneamente attività parossistica (crisi non provocate), occorre almeno una
delle seguenti condizioni:
 occorrenza di due o più crisi epilettiche non provocate o sintomatiche remote, separate da un
intervallo di tempo di almeno 24 ore;
 una crisi non provocata (o riflessa) e una probabilità (almeno 60%) di ulteriori crisi nei successivi 10
anni (percentuale simile al rischio generale di recidiva dopo due crisi non provocate);
 diagnosi di sindrome epilettica.
Crisi multiple che insorgono in un intervallo di 24 ore o un episodio di SE sono da considerarsi come un singolo
evento. Non si pone diagnosi di Epilessia in soggetti che abbiano presentato un solo episodio critico non
provocato o crisi sintomatiche acute; anche le crisi febbrili e le convulsioni neonatali (insorte entro i primi 30
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giorni di vita) sono escluse dalla diagnosi di Epilessia. L’epilessia è considerata risolta nei soggetti che avevano
una sindrome epilettica età-dipendente, ma che hanno poi superato il limite di età applicabile o in quelli che
sono rimasti liberi da crisi per almeno 10 anni, in assenza di terapia antiepilettica negli ultimi 5 anni.

Quindi  Crisi epilettica ed epilessia non sono sinonimi:


- La crisi epilettica è un evento parossistico; per parossistico si intende un qualcosa che modifica lo
stato del paziente in quel momento (stato di coscienza, motorio, posturale).
- L’epilessia è invece una malattia cronica, vale a dire caratterizzata dalla ricorrenza di crisi epilettiche.
Solitamente per fare una diagnosi di epilessia non basta un’unica crisi ma è necessario avere almeno
due crisi ravvicinate o distanziate ma non provocate da situazioni particolari.
L’epilessia è una malattia ma può essere anche una sindrome.
 La malattia è un’alterazione biologica, morfologica e funzionale prodotta da una causa
eziologica;
 la sindrome invece è un insieme di sintomi e segni che configurano un quadro specifico con
possibili eziologie differenti.

Eziologia
Il più delle volte la malattia ha in realtà una base multifattoriale in cui sono distinguibili fattori lesionali o
genetici più o meno noti:
 Fattori lesionali prenatali (1-2%): si tratta di embrio-fetopatie infettive o malformazioni quali la
sclerosi tuberosa, la sindrome di von Recklinghausen, la Sturge-Weber e l’Aicardi.
 Fattori lesionali perinatali (15%): anossia, traumi da parto, meningiti o disordini metabolici.
 Fattori lesionali postnatali:
- Infiammazioni (5%);
- Stati di male epilettici: (5%) conseguono a convulsioni febbrili infantili (latenza 2-3 anni);
- Traumi (5%): rischio massimo (40%) nel caso di traumi con lacerazione durale aperta (nel
70% dei casi con una latenza meno di 2 anni);
- Tumori (5-10%): i sopratentoriali sono piu epilettogeni;
- Angiomi;
- Ictus: rappresentano il 10% delle forme ad esordio sopra i 50 anni.
 Fattori genetici: i genitori possono trasmettere la predisposizione all’epilessia, in termini di
mutazioni dei canali ionici, o la malattia epilettogena, come la sindrome di Ramsay-Hunt, la sclerosi
tuberosa o la malattia di Tay-Sachs.

Epidemiologia
I dati epidemiologici vedono la prevalenza dell’epilessia nel mondo variabile dallo 0.5 allo 0.8% nella
popolazione. È importante trattare questa patologia da parte del neuropsichiatra infantile perché l’epilessia
è una patologia estremamente frequente nell’età evolutiva.
L’incidenza è massima nel primo anno di vita, rimane elevata fino ai 10 anni per poi ripresentarsi con
una certa importanza dopo i 75 anni. Questo avviene a causa di tutti gli accidenti vascolari cerebrali che
colpiscono le persone di una certa età per cui è normale che alcuni insulti cerebrali successivi possano dare
origine a una condizione di questo genere. Questo però non esclude che anche la persona anziana possa
avere delle forme di epilessia su base genetica.
Un concetto importante è rappresentato dalla farmacoresistenza: le forme farmacoresistenti rappresentano
circa il 30% delle epilessie, ci sono degli autori che dicono che il 25-40% delle epilessie di nuova diagnosi
possono essere farmaco resistenti, in virtù di questo è importante considerare anche il suo nesso con le così
dette encefalopatie epilettiche (entrambi questi concetti verranno meglio definiti in seguito).

Classificazione delle crisi e sindromi epilettiche: concetti base


Come per altre patologie che abbiamo visto nel corso delle lezioni anche per l’epilessia abbiamo varie
classificazioni. Ci sono classificazioni per le crisi e classificazioni per le epilessie. Quando la prof era
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studentessa e specializzanda veniva utilizzata la classificazione dell’81 e quella dell’89. Nel 2001 c’è stata una
revisione globale della task force della ILAE (International League Against Epilepsies) ma ci sono articoli
ancora più recenti a riguardo in quanto è molto discussa in letteratura l’evoluzione di questa classificazione.
Ad oggi abbiamo classificazioni sia per le epilessie come quella di Scheffer e collaboratori (ILAE) del 2017, sia
classificazioni per le crisi epilettiche.
Queste classificazioni sono importanti perché nel corso del tempo sono state fatte molte scoperte sia in
campo genetico che in campo neuroscientifico e abbiamo delle strumentazioni molto più avanzate rispetto
al passato, come, per esempio, le RM di ultima generazione che sono in grado di visualizzare anche delle
lesioni cerebrali che un tempo attraverso la TAC cerebrale non era possibile evidenziare.

Classificazione delle CRISI (ILAE 2017)


(Riporto la classificazione presa da neuro + position paper ILAE)

Si specificano prima alcuni termini:


 crisi epilettica: un’occorrenza transitoria di segni e/o sintomi dovuta ad una attività neuronale
cerebrale anomala, eccessiva o sincrona
 crisi focale: sostituisce il termine parziale della vecchia classificazione  enfatizzare il fatto che la
crisi origina dalla scarica di un gruppo di neuroni che si trova in un punto preciso del cervello, cioè
“originante entro network limitati a un emisfero”. Possono poi coinvolgere network bilaterali.
 crisi generalizzata: costituite da fenomeni clinici ed EEG che indicano un coinvolgimento dei due
emisferi fin dall’inizio.
 La lesione può anche essere focale, in realtà, ma immediatamente coinvolge un circuito generalizzato

La nuova classificazione le divide in tre gruppi (o meglio quattro se si considerano anche quelle “non
classificate”: vedi immagine con note per maggiore completezza e chiarezza):
1. Crisi ad esordio focale:
 con o senza consapevolezza mantenuta;
 con o senza esordio motorio;
 con evoluzione in tonico-cloniche bilaterali (prima era secondariamente generalizzato)
La coscienza può essere alterata dall’inizio della crisi con entità variabile, accompagnata o no da
automatismi; tuttavia, la compromissione dello stato di coscienza (“impaired awareness”) non ha un

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valore localizzatorio dipendendo dall’estensione della scarica critica.

2. crisi ad esordio generalizzato:


 motorie;
 non motorie.
La coscienza è di solito perturbata ed i fenomeni motori sono sempre bilaterali sincroni e simmetrici,
come le scariche epilettiche sull’EEG critico ed intercritico. In realtà c’è anche chi dice che le crisi
generalizzate di fatto non esitano perché esiste sempre un punto di insorgenza ipereccitabile con
una importantissima generalizzazione per cui non si riesce mai a cogliere l’inizio del quadro epilettico.
Il termine generalizzato è rimasto tale nel corso degli anni, quello che è cambiato invece è che si parla
oggi di epilessie focali, mentre una volta si parlava di epilessie parziali.

3. crisi ad esordio sconosciuto (l’esordio potrebbe essere focale ma non se ne conosce la localizzazione):
 motorie;
 non motorie.

La Task Force raccomanda di classificare una crisi come ad esordio focale o generalizzato quando c’è un grado
elevato di confidenza (ad esempio, ≥ 80%, scelto arbitrariamente come sovrapponibile all’errore beta
usualmente consentito) nell’accuratezza della determinazione; altrimenti, la crisi dovrebbe rimanere non
classificata fino alla disponibilità di maggiori informazioni.

Specificazione sul livello di consapevolezza  Per le crisi focali, il livello di consapevolezza può essere
opzionalmente indicato nel tipo di crisi. La consapevolezza è solo una delle caratteristiche potenzialmente
importanti di una crisi, ma la sua importanza pratica è sufficiente a giustificarne l’uso come elemento di
classificazione.
Mantenimento della consapevolezza significa che la persona è consapevole di sé e dell’ambiente circostante
durante la crisi, anche se essa rimane immobile. Una crisi focale con consapevolezza integra (con o senza altri
successivi elementi di classificazione) corrisponde alla precedente terminologia “crisi parziale semplice”. Una
crisi focale con compromissione della consapevolezza (con o senza altri successivi elementi di classificazione)
corrisponde alla precedente terminologia “crisi parziale complessa”. La compromissione della
consapevolezza nel corso di una qualunque parte della crisi la rende una crisi focale con compromissione
della consapevolezza. In aggiunta, le crisi focali sono suddivise in base alla presenza all’esordio di segni e
sintomi motori e non motori, in base al primo segno o sintomo di rilievo

Specificazione sulla sostituzione consapevolezza-coscienza  La ILAE ha scelto di mantenere la


compromissione della coscienza come un concetto chiave nella suddivisione delle crisi focali. Tuttavia, la
coscienza è un fenomeno complesso, con componenti sia soggettive che oggettive. Molteplici tipi differenti
di coscienza sono stati descritti per le crisi. Gli indicatori di un’eventuale compromissione della coscienza si
ottengono usualmente testando consapevolezza, responsività, memoria, e senso di sé come distinto dagli
altri e la determinazione retrospettiva dello stato di coscienza può essere molto difficoltosa.
La Task Force ha adottato lo stato di consapevolezza come parametro sostitutivo relativamente semplice
della coscienza (utilizzata nelle classificazioni precedenti). L’espressione “mantenuta consapevolezza” è
considerata un’abbreviazione per “crisi senza alterazione della coscienza durante l’evento”. Noi impieghiamo
una definizione operativa di consapevolezza come cognizione di sé e dell’ambiente. In questo contesto, il
termine consapevolezza fa riferimento alla percezione o alla cognizione degli eventi occorrenti durante una
crisi, non al sapere se una crisi sia avvenuta o meno. In molte lingue, la parola inglese “unaware” (N.d.T: trad.
“inconsapevole”).
Come problema pratico, il mantenimento della consapevolezza usualmente include la supposizione che la
persona che ha la crisi sia successivamente in grado di rievocare gli eventi e convalidare così il fatto di avere
mantenuto la consapevolezza; in caso diverso, si può presumere una compromissione della consapevolezza

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Specificazione sul termine ‘focale con evoluzione in bilaterale’  Il tipo di crisi “focale con evoluzione in
tonico-clonica bilaterale” rappresenta uno specifico tipo di crisi, corrispondente alla dizione del 1981 “esordio
parziale con secondaria generalizzazione”. La denominazione “focale con evoluzione in tonico-clonica
bilaterale” rispecchia una modalità di propagazione della crisi, piuttosto che uno specifico tipo di crisi, ma
rappresenta un’evenienza così comune ed importante da giustificare il mantenimento di una
categorizzazione separata. Il termine “con evoluzione in bilaterale” piuttosto che quello “secondariamente
generalizzata” è stato utilizzato per mantenere la distinzione tra questo tipo di crisi focale ed una crisi ad
esordio generalizzato. Il termine “bilaterale” è utilizzato per definire
modalità di propagazione e quello “generalizzata” per denominare crisi che comportano fin dall’esordio il
coinvolgimento di network bilaterali.

Responsività vs consapevolezza-coscienza  La responsività può essere compromessa o meno nel corso di


una crisi focale. La responsività non equivale alla consapevolezza o alla coscienza, dal momento che alcune
persone sono immobilizzate e conseguentemente non responsive durante una crisi, ma ciononostante in
grado di osservare e richiamare successivamente alla mente l’ambiente circostante. In più, la responsività
spesso non viene esaminata durante le crisi. Per queste ragioni, la responsività non è stata scelta come
caratteristica primaria per la classificazione delle crisi, quantunque la responsività possa essere utile nella
classificazione della crisi quando è possibile testarla, ed il grado di responsività possa essere rilevante per
l’impatto di una crisi.

Classificazione delle Sindromi (ILAE 2017)


(riporto classificazione neuro + position paper ILAE, del quale ho riportato una buona parte per maggior
precisione)

La classificazione è organizzata in tre livelli: a partire dal tipo di crisi, il passo successivo è la diagnosi del tipo
di epilessia. Il terzo livello è quello della sindrome epilettica, in cui è possibile effettuare una diagnosi
sindromica specifica. La nuova classificazione include l'eziologia in ogni suo livello ed enfatizza la necessità di
considerare l'eziologia a ogni passaggio diagnostico, poiché questo spesso può avere delle implicazioni
significative per il trattamento. Dal punto di vista della terminologia È stata introdotto il nuovo termine di
encefalopatia epilettica e dello sviluppo”. Il termine benigno è sostituito dai termini auto-limitante e
farmacoresponsivo, da usare dove è appropriato.

Per quanto riguarda l’eziologia in passato si utilizzavano come termini idiopatico, sintomatico, criptogenico;
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quest’ultimo è stato oggi rimpiazzato da un termine nuovo: verosimilmente sintomatico.
 Idiopatiche  Non sono precedute o causate da altre malattie, anomalie cerebrali o condizioni
patologiche, non hanno un substrato lesionale, ma sono sostenute da alterazioni funzionali. Sono
epilessie legate all’età, con frequente predisposizione genetica, caratteri EEG-clinici ben definiti,
assenza di difetti neuro-psichici e di alterazioni neuro-radiologiche, evoluzione di regola benigna.
 sintomatiche o secondarie  Sono sostenuta da lesioni del cervello, la cui causa è nota o
sospettabile, in base all’anamnesi e agli esami neuroradiologici. Non sono legate all’età, si possono
associare a difetti neuropsichici (espressione della stessa lesione, che causa l’epilessia), non hanno
caratteri elettroclinici ben definiti, hanno un’evoluzione non omogenea: accanto a casi che
guariscono, ve ne sono altri che resistono alle terapie e altri che migliorano più o meno
sostanzialmente.
 Criptogenetiche  Sono meglio definite come “probabilmente sintomatiche”, ovvero sostenute da
possibili lesioni cerebrali, di cui non è nota la causa. Se presente un deficit motorio e/o un ritardo
mentale anche se non è evidente una lesione cerebrale il bambino avrà una epilessia
“verosimilmente sintomatica”.

Adesso le cose sono un po’ cambiate ma di base questa era una terminologia corretta perché ci dava un’idea
delle diverse forme. Nel processo di classificazione, il clinico inizia classificando il tipo di crisi. In un secondo
tempo può essere classificato il tipo di epilessia e, in molti casi, la specifica sindrome epilettica. La ricerca
della eziologia è un processo altrettanto importante, che deve essere compiuto in ogni fase del processo
diagnostico. Sia la classificazione del tipo di crisi epilettiche che la classificazione del tipo di epilessia tengono
conto dei risultati delle indagini elettroencefalografiche (EEG), degli studi di neuroimmagine e degli altri
esami che esplorano l'eziologia sottostante.

Tipo di crisi
Il punto di partenza della struttura della classificazione è il tipo di crisi. La classificazione del tipo di crisi è in
accordo con la nuova nomenclatura ILAE 2017. Sulla base delle caratteristiche di esordio, le crisi vengono
classificate in focali, generalizzate e ad esordio sconosciuto. In alcune situazioni, in mancanza di EEG, video e
studi di immagine, la classificazione basata sul Tipo di Crisi è il livello più elevato possibile per la diagnosi.

Tipo di epilessia
Il secondo livello di diagnosi è quello del Tipo di Epilessia, e dà per assunto che il paziente abbia una diagnosi
di epilessia. Oltre alle ben definite Epilessie Generalizzate e Focali, vengono inserite due nuove categorie:
- Epilessia Combinata Generalizzata
- Focale ed Epilessia di Tipo Sconosciuto.
Molte epilessie includono diversi tipi di crisi, ad esempio:
- le persone con epilessie generalizzate possono avere vari tipi di crisi, tra cui assenze, crisi
miocloniche, crisi atoniche, crisi toniche e crisi tonicocloniche.
- Le Epilessie Focali comprendono crisi focali o multifocali, così come crisi che interessano un emisfero.
Si possono riconoscere vari tipi di crisi focali, tra le quali crisi focali con o senza compromissione del
contatto, crisi focali motorie e non motorie, e crisi focali che evolvono in crisi tonico-cloniche
bilaterali.

Esiste un nuovo gruppo di epilessie, definite come “Epilessie Combinate Generalizzate e Focali”, dal momento
che alcuni pazienti presentano sia crisi generalizzate che focali. Anche in questo caso, la diagnosi si basa sulle
caratteristiche cliniche, supportata dai reperti EEG.
Il termine “Epilessia di Tipo Sconosciuto” è usato per descrivere pazienti che hanno una Epilessia ma il clinico
non è in grado di definire se il Tipo di Epilessia è focale o generalizzato per mancanza di sufficienti
informazioni. Questo potrebbe essere dovuto a motivi diversi: EEG non disponibile o EEG non informativo
(per esempio perché normale). Se il Tipo-Tipi di Crisi sono sconosciuti, allora anche il Tipo di Epilessia può
essere sconosciuto per analoghe ragioni, sebbene tipo di crisi e tipo di epilessia possano non essere sempre
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concordanti. Quindi l’esordio delle crisi è sconosciuto e il paziente ha un’epilessia di tipo sconosciuto.
La diagnosi del tipo di Epilessia può anche essere il livello diagnostico più elevato raggiungibile dal clinico
quando non è possibile diagnosticare una Sindrome Epilettica specifica.

Sindrome epilettica
Il terzo livello è la diagnosi di Sindrome Epilettica. Una sindrome epilettica è definita dalla associazione di
specifiche caratteristiche che comprendono tipi di crisi e di reperti dell’EEG e delle neuroimmagini. Spesso le
sindromi hanno caratteristiche età-dipendenti: età di esordio ed eventualmente di remissione, fattori
scatenanti le crisi, le variazioni circadiane e talora la prognosi. Essa può anche essere connotata da co-
morbidità specifiche, quali la presenza di disabilità intellettiva e disturbi psichiatrici, nonché peculiari
caratteristiche EEG e di neuroimmagine. La definizione di una sindrome può anche comportare implicazioni
eziologiche, prognostiche e di trattamento. È importante notare che non vi è necessariamente una
correlazione univoca tra una sindrome epilettica e una diagnosi eziologica, e che la definizione di una
sindrome epilettica può essere utile per migliorare la gestione del paziente a diversi livelli. Esistono molte
sindromi ben riconosciute, come l'Epilessia con Assenze dell'Infanzia, la sindrome di West e la sindrome di
Dravet; va tuttavia notato che non è mai stata prodotta una classificazione ufficiale delle sindromi da parte
dell'ILAE. È stato recentemente sviluppato dall’ILAE un sito web formativo (epilepsydiagnosis.org), concepito
proprio come strumento didattico, che costituisce un'ottima risorsa per comprendere i criteri per la diagnosi,
rivedere i video dei tipi di crisi e le caratteristiche EEG di molte sindromi consolidate.

Epilessie Generalizzate Idiopatiche


All’interno delle Epilessie Generalizzate il sottogruppo comune e ben noto è rappresentato dalle Epilessie
Generalizzate Idiopatiche (EGI). Le EGI comprendono quattro sindromi epilettiche ben riconosciute:
- Epilessia con Assenze dell’Infanzia,
- Epilessia con Assenze Giovanili,
- Epilessia Mioclonica Giovanile
- Epilessia Generalizzata con sole Crisi Generalizzate Tonico-Cloniche (la precedente denominazione di
Epilessia con Crisi Generalizzate Tonico-Cloniche al Risveglio, è stata modificata dal momento che le
crisi possono verificarsi in qualsiasi momento della giornata).
- (NB: la prof mette in questa classificazione anche l’Epilessia mioclonica benigna dell’infanzia, forma
in cui se non avviene un controllo rapido delle crisi vi può essere qualche piccolo reliquato cognitivo
dopo la scomparsa di quest’ultime. Ma di questa nel position paper non viene fatto cenno).
Era stato suggerito di rimuovere il termine “idiopatico” dalla nomenclatura della Classificazione dell'Epilessia
poiché la sua definizione era "nessuna eziologia nota o sospetta a parte la possibile predisposizione
ereditaria". Il termine greco "idios" si riferisce al sé, al proprio e personale, e quindi riflette un’eziologia
genetica, pur senza esplicitarla. Il termine idiopatico è da considerare quindi come un termine impreciso,
data la crescente identificazione di geni coinvolti in molte epilessie, comprese quelle a ereditarietà
monogenica (di varianti ereditate o de novo) o complessa (ereditarietà poligenica con o senza il
coinvolgimento di fattori ambientali). Inoltre, il termine "genetico" può a volte essere erroneamente
interpretato come sinonimo di “ereditato”. Pertanto, per questo tipo di sindromi la definizione di Epilessie
Generalizzate Genetiche (EGG) sembra essere la più appropriata nel caso in cui il clinico ritenga ci siano
sufficienti evidenze per questo tipo di classificazione. La ereditarietà di queste sindromi è stata documentata
da meticolosi studi clinici su gemelli e famiglie, anche in assenza di mutazioni identificate di specifici geni. In
realtà, attualmente solo di rado si riscontrano mutazioni geniche in questi pazienti, ad eccezione forse dei
casi di encefalopatie di sviluppo ed epilettiche a esordio infantile, per le quali in molti pazienti è stata
dimostrata la presenza di una variante patogenetica de novo. C'è stato, tuttavia, un notevole desiderio di
mantenere il termine EGI.
 La Task Force ha quindi stabilito che il termine EGI sarà accettabile specificatamente per le seguenti
quattro sindromi: Epilessia con Assenze dell’Infanzia, Epilessia con Assenze Giovanili, Epilessia
Mioclonica Giovanile e Epilessia Generalizzata con sole Crisi Tonico- Cloniche
In specifici casi, il termine Epilessia Generalizzata Genetica può essere usato quando il clinico sia
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sicuro di una eziologia genetica.

Epilessie focali auto-limitantisi


Esistono diverse epilessie focali auto-limitantisi, che tipicamente iniziano nell'infanzia.
- La più comune è l'epilessia auto-limitantesi con punte centro-temporali, precedentemente
denominata “epilessia benigna con punte centro-temporali”
- Altre epilessie incluse in questo gruppo sono le epilessie occipitali auto-limitantisi dell'infanzia, con
la forma ad esordio precoce descritta da Panayiotopoulos e quella a esordio tardivo descritta da
Gastaut. La forma precoce di Panayitopoulos va molto bene; la forma Gastaut, è meno brillante ma
in generale sono forme con un andamento buono.
- Sono state descritte altre forme di epilessia autolimitantesi del lobo frontale, del lobo temporale e
del lobo parietale con possibile esordio nell’adolescenza e anche in età adulta. Sono forme con un
decorso di solito buono anche se ci sono forme che vanno meglio e forme che vanno peggio; ad
esempio, l’epilessia focale con punte centro temporali guarisce; in questo caso, infatti, le crisi
scompaiono anche senza trattamento anti epilettico.

Eziologia
Fin dal momento in cui il paziente presenta una prima crisi epilettica, il medico deve cercare di determinarne
l'eziologia. È stata riconosciuta una serie di gruppi eziologici, con particolare attenzione a quelli che hanno
implicazioni per il trattamento. Spesso la prima indagine condotta è uno studio di neuroimmagine,
idealmente la Risonanza Magnetica ove disponibile. Ciò consente al medico di verificare se esiste una
eziologia strutturale.
Complessivamente, i gruppi eziologici aggiuntivi sono strutturale, genetico, infettivo, metabolico e
immunitario, nonché il gruppo “sconosciuto”.

 Strutturale  Una eziologia strutturale si riferisce alla presenza di anomalie morfologiche visibili alle
neuroimmagini laddove lo studio elettroclinico ed il reperto alle neuroimmagini siano congruenti nel
sostenere che le anomalie riscontrate siano la probabile causa delle crisi. Le eziologie strutturali
comprendono cause acquisite come ictus, traumi e infezioni, o genetiche come molte malformazioni
dello sviluppo corticale.

 Genetica  Il concetto di epilessia genetica si riferisce a una condizione in cui le crisi sono il sintomo
principale del disturbo, come risultato diretto di una mutazione genetica nota o presunta. Le epilessie
per le quali è stata ammessa un’eziologia genetica sono varie e, nella maggior parte dei casi, i geni
sottostanti non sono ancora noti. In primo luogo, l’ipotesi di un'eziologia genetica può basarsi
esclusivamente su una storia familiare di una malattia autosomica dominante. Ad esempio, nella
sindrome dell'Epilessia Famigliare Neonatale Benigna, la maggior parte delle famiglie presenta
mutazioni di uno dei geni del canale del potassio, KCNQ2 o KCNQ3. Al contrario, nella sindrome
dell'Epilessia Frontale Notturna Autosomica Dominante, la mutazione sottostante è attualmente
nota solo in piccola percentuale di individui (correlata a geni per la sintesi del recettore Ach). In
secondo luogo, un'eziologia genetica può essere suggerita dalla ricerca clinica in popolazioni con la
stessa sindrome come l'Epilessia con Assenze dell’Infanzia o l'Epilessia Mioclonica Giovanile, nelle
quali le evidenze per una base genetica provengono dagli eleganti studi sui gemelli di Lennox negli
anni '50 e dagli studi di aggregazione familiare. In terzo luogo, una base molecolare può essere stata
identificata per la presenza mutazioni di singoli geni o per la presenza di una variante del numero di
copie (CNV). In un numero crescente di pazienti vengono riconosciute anomalie genetiche che
causano sia epilessie gravi che lievi. Gli studi di genetica molecolare hanno portato all'identificazione
di mutazioni causative in un ampio numero di geni-epilessia, più frequentemente mutazioni de novo,
che interessano il 30-50% dei bambini con grave encefalopatia di sviluppo ed epilettica. L'esempio
più noto è la sindrome di Dravet in cui oltre l'80% dei pazienti ha una variante patogena del gene
SCN1A. È da notare che un'eziologia monogenica può causare uno spettro di epilessie di diversa
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gravità con conseguenti diverse implicazioni per il trattamento: per esempio le mutazioni di SCN1A
possono essere associate sia alla sindrome di Dravet che all'Epilessia Genetica con Crisi Febbrili Plus
(GEFS +: caratterizzata da convulsioni febbrili nella prima infanzia, persistenza di esse dopo i 6 aa o
comparsa di convulsioni non febbrili, evoluzione verso una epilessia generalizzata, con crisi di vario
tipo: assenze, GM, miocloniche, toniche o atoniche). La comprensione dello spettro fenotipico
associato alle mutazioni di un gene specifico è cruciale, in quanto la identificazione di una mutazione
in un gene specifico non consente, di per sé, di predire l’evoluzione. L’interpretazione del significato
della mutazione deve essere considerata nel contesto della presentazione elettroclinica. In sintesi,
ad oggi, la maggior parte dei geni ha una espressione fenotipica eterogenea e, d’altra arte, la maggior
parte delle sindromi è sottesa da eterogeneità genetica. Quando l'epilessia segue una ereditarietà
complessa, che implica più geni e la presenza o meno di un contributo ambientale, possono essere
identificate varianti di suscettibilità, ossia varianti che contribuiscono alla eziologia ma che da sole
non sono sufficienti a causare l'epilessia. In questo contesto, potrebbe non esserci una storia
familiare di crisi perché altri membri della famiglia non hanno abbastanza varianti genetiche per
essere sintomatici. È importante notare che “genetico” non equivale a “ereditario”. Infatti, un
numero crescente di mutazioni de novo sono frequentemente identificate sia in epilessie severe che
lievi. Ciò significa che il paziente ha una nuova mutazione che è insorta per la prima volta in lui o lei,
e che non ha ereditato tale mutazione ed è pertanto improbabile che ci sia una storia familiare di
crisi. Tuttavia, questo paziente potrebbe da ora in poi avere una forma ereditaria di epilessia. Per
esempio, se l'individuo ha una mutazione dominante de novo, la sua progenie avrà il 50% di rischio
di ereditare la mutazione. Ciò non significa necessariamente che i figli avranno l'epilessia, poiché
l’espressione dipenderà dalla penetranza della mutazione. Scendendo in ulteriori dettagli, bisogna
considerare la presenza di una mutazione a mosaico. Ciò significa che ci sono due popolazioni di
cellule, una con la mutazione e l'altra con l’allele normale. Il mosaicismo può influenzare la gravità
della epilessia: bassi livelli di mosaicismo si traducono in una epilessia meno severa, come dimostrato
negli studi sul gene SCN1A. Un'eziologia genetica non esclude il ruolo dell’ambiente. È noto che i
fattori ambientali contribuiscono alla comparsa delle crisi; per esempio, molte persone con epilessia
hanno più probabilità di avere crisi dopo privazione del sonno o in concomitanza con stress o malattie
intercorrenti. Un'eziologia genetica si riferisce a una variante patogenica (mutazione) che ha un
effetto significativo nel causare l'epilessia.

 Infettiva  L'eziologia infettiva è la causa più comune di epilessia a livello mondiale. Il concetto di
eziologia infettiva implica però che le crisi siano un sintomo principale di un disturbo derivato
direttamente da un'infezione nota. Il termine eziologia infettiva si riferisce a un paziente con
epilessia, piuttosto che a un paziente con crisi che si verificano nel contesto di infezione acuta come
la meningite o l'encefalite. Esempi comuni in specifiche regioni del mondo comprendono
neurocisticercosi, tubercolosi, HIV, malaria cerebrale, panencefalite sclerosante subacuta,
toxoplasmosi cerebrale e infezioni congenite come il virus Zika e il citomegalovirus.

 Metabolica  Una serie di disturbi metabolici è associata all'epilessia. Questa area è in espansione
e sta emergendo una maggiore comprensione di tali disturbi e dello spettro di fenotipi. Il concetto di
epilessia metabolica è quello di un disturbo in cui le crisi sono un sintomo principale, che consegue
direttamente a un disturbo metabolico noto o presunto. Le cause metaboliche si riferiscono a un
difetto metabolico ben delineato con manifestazioni o alterazioni biochimiche sistemiche come
porfiria, uremia, amminoacidopatie o crisi piridossino-dipendenti. In molti casi, i disordini metabolici
hanno una causa genetica.

 Autoimmune  Il concetto di un'epilessia autoimmune è quello di una situazione in cui le crisi sono
il sintomo principale, che risulta direttamente da un disturbo immunitario. Un'eziologia autoimmune
può essere presa in considerazione quando vi è evidenza di infiammazione del sistema nervoso
centrale autoimmunemediata. Le diagnosi sono in rapido aumento, in particolare grazie alla
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maggiore disponibilità di test immunologici. Esempi includono l'encefalite anti-NMDA (N-metil-D-
aspartato) e l'encefalite anti-LGI1.

 Sconosciuta  Eziologia sconosciuta significa che la causa dell'epilessia non è ancora nota.
Rimangono molti pazienti con epilessia per i quali la causa non è nota. In questa categoria non è
possibile fare una diagnosi specifica, che vada oltre la semiologia elettroclinica di base

L'epilessia di un paziente può essere classificata in più di una categoria eziologica; le eziologie non hanno un
ordine gerarchico e l'importanza attribuita al gruppo eziologico in cui il paziente è inquadrabile può dipendere
dalla circostanza. Ad esempio, un paziente con sclerosi tuberosa (mutazione dei geni TSC1-2 che codificano
rispettivamente per amartina e tuberina) ha un'eziologia sia strutturale che genetica; l'eziologia strutturale
è fondamentale per la chirurgia dell'epilessia, mentre l'eziologia genetica è fondamentale per la consulenza
genetica e per considerare nuove terapie.
La vecchia classificazione non è sbagliata, può rimanere una terminologia utilizzata ma dobbiamo pensare
che nell’ambito della eziologia esistono forme che hanno sia una base genetica che una base lesionale, come
ad esempio nel caso di una sclerosi tuberosa,

Epilessie ed età
La tabella è uno schema delle varie forme di epilessia nelle varie epoche della vita; non le tratteremo tutte,
questo è uno schema per vedere quali sono. Nonostante ci siano anche delle forme che non sono definite
dall’età di insorgenza, è utile ricordare che in generale l’epilessia in età evolutiva è molto età dipendente;
infatti, abbiamo delle forme di epilessia che vediamo in certe epoche della vita ma che non sono presenti in
altre. La sindrome di West, ad esempio, è una tipica condizione di encefalopatia epilettica del lattante; anche
la sindrome di Dravet ha esordio in età evolutiva attorno ai 4 o 5 mesi di vita ed è tipica di questa epoca della
vita.

Epilessie età neonatale E. neonatale familiare benigna


Encefalopatia mioclonica precoce
Sndr di Ohtahara

Epilessie età infanzia E. con crisi focali migranti


S di West
E. mioclonica dell’infanzia
E. benigna dell’infanzia
E. benigna familiare dell’infanzia
S. di Dravet
Encef. Mioclonica con disturbo progressivo

Epilessie della fanciullezza Crisi febbrili plus


S. di Panayotopoulos
E. con crisi mioclono-astatiche
E. benigna con punte C-T
E. frontale notturna autosomica dominante
E. occipitale tardiva (S. di Gastaut)
E. con assenze miocloniche
S. di Lennox-Gastaut
Encefalopatia Epilettica con PO continue durante il sonno
S. di Landau e Kleffner
E. con assenza dell’infanzia

Epilessie dell’adolescenza/età adulta E. con assenze giovanile


E. mioclonica giovanile
E. con crisi generalizzate tonico-cloniche
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E. miocloniche progressive
E. autosomica dominante con sintomi uditivi
Altre E. familiari del lobo temporale

Epilessie meno definite per età di insorgenza E. focale familiare con foci variabili
E. riflesse

Nel neonato di solito le crisi sono legate a cause metaboliche.


Nel lattante frequenti le convulsioni febbrili (D.D. con crisi febbrili ed altre situazioni legate a patologie
del SNC – malformazioni, encefaliti, etc.)
Le crisi parziali sono spesso difficili da riconoscere nel lattante:
 Disturbo di coscienza (arresto motorio, arresto del pianto)
 Pallore, rossore, cianosi lieve
 Fenomeni motori minimi e unilaterali
 Automatismi di suzione e deglutizione
 Dolori addominali che simulano una colica
Nel bambino ci sono vari tipi di epilessia: bisogna Individuare se è sintomatica o idiopatica e attuare una
Valutazione neuropsicologica
Nell’adolescente
 Continuano le epilessie del bambino
 Guariscono le forme idiopatiche (EPR)
 Crisi parziali benigne dell’adolescente: crisi isolate che non rappresentano una epilessia, scompaiono
nel giro di qualche giorno (EEG normale)

Encefalopatie epilettiche
Il termine “encefalopatia epilettica” è stato ridefinito come la condizione in cui l'attività epilettica di per sé
contribuisce a deficit cognitivi e comportamentali severi ed in misura superiore a quanto ci si potrebbe
attendere dalla sola patologia di base (ad es. malformazione corticale). I deficit globali o selettivi possono
peggiorare nel tempo. Questi deficit possono avere uno spettro di severità, accompagnare tutti i tipi di
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epilessia e verificarsi ad ogni età. Il concetto di encefalopatia epilettica può essere applicato alle epilessie a
tutte le età e dovrebbe essere più ampiamente utilizzato e non solo per le epilessie severe con esordio
nell'infanzia. Un tempo venivano definite come epilessie che proprio per la gravità del quadro epilettico,
causavano una disfunzione neurologica (rallentamento motorio, disabilità intellettiva, deficit di
apprendimento...). La frequenza delle crisi, il loro polimorfismo, la farmaco resistenza, il tracciato
elettroencefalografico particolarmente compromesso (attività di fondo anomalie parossistiche), potevano in
qualche modo essere responsabili di una evoluzione negativa dal punto di vista psicomotorio del bambino,
oppure dal punto di vista della obiettività neurologica.
Con l’avvento della nuova classificazione delle epilessie sono state definite delle forme di encefalopatia
epilettica che non necessariamente sono legate alla ricorrenza delle crisi epilettiche frequenti, polimorfe, e
farmacoresistenti, ma potevano essere associate invece, ad un’alterazione molto importante del tracciato
elettroencefalografico, come succedeva nelle forme di epilessia con punte-onda continue nel sonno
(evidenziabili a livello del tracciato EEG) nella sindrome di Landau-Kleffer.
Quindi nella nuova classificazione l’encefalopatia epilettica è definita come una condizione nella quale le
anomalie epilettiformi stesse si pensa che contribuiscano a un progressivo disturbo delle funzioni cerebrali.
Abbiamo quindi dei bambini con un ritardo motorio, intellettivo, con problematiche relazionali, sociali e
del linguaggio non tanto perché c’è una ricorrenza importante delle crisi ma perché abbiamo un tracciato
elettroencefalografico particolarmente compromesso.

Dopo il 2001 le encefalopatie epilettiche riportate nella classificazione sono le seguenti:


 encefalopatia mioclonica precoce
 s. di Ohtahara
 s. di West
 s. di Dravet
 stato mioclonico in encefalopatia non progressiva
 s. di Lennox-Gastaut
 s. di Landau-Kleffner
 epilessia con PO continue nel sonno REM
Le ultime due sono le forme legate non tanto alla ricorrenza delle crisi epilettiche quanto all’alterazione
importante del tracciato elettroencefalografico, soprattutto durante il sonno.

In una encefalopatia epilettica, l'abbondante attività epilettiforme interferisce con lo sviluppo, con
conseguente rallentamento o regressione dello sviluppo cognitivo; talora si associano anche disturbi
psichiatrici e comportamentali. L'attività epilettiforme può causare regressione in un individuo con sviluppo
normale o con preesistente ritardo di sviluppo, con conseguente arresto o regressione. Un elemento chiave
del concetto è che il miglioramento dell'attività epilettiforme potrebbe potenzialmente migliorare lo
sviluppo. In molti di questi disturbi genetici severi il disturbo dello sviluppo è dovuto all’effetto diretto della

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mutazione genetica, oltre che a quello della frequente attività epilettica. Ci sono diversi modi in cui ciò può
manifestarsi.
 Ci può essere un ritardo di sviluppo preesistente, che viene complicato da arresto o regressione
quando compaiono le crisi o se si verificano crisi prolungate.
 In altri casi, il rallentamento dello sviluppo può verificarsi in un bambino con sviluppo normale, nel
quale il rallentamento dello sviluppo emerge prima della comparsa della frequente attività epilettica
all'EEG. Un esempio ben noto è l'encefalopatia della sindrome di Dravet, in cui il rallentamento o la
regressione dello sviluppo si verificano tra 1 e 2 anni di età, in un momento in cui l'attività
epilettiforme sull’EEG tipicamente non è ancora abbondante. Ciò suggerisce che sia il deficit di
sviluppo che l’epilessia sono secondarie alla mutazione del gene della subunità del canale del sodio
(SCN1A) che si riscontra inoltre l’80% dei casi.
 In un terzo gruppo, l'epilessia può spegnersi relativamente presto nella storia del bambino, ma le
conseguenze sullo sviluppo possono rimanere severe come osservato in alcuni pazienti con
encefalopatia KCNQ2 o con encefalopatia STXBP1.

Queste osservazioni, che si applicano a molte delle encefalopatie genetiche, suggeriscono la necessità di
ampliare, dove appropriato, la terminologia e di includere il termine "di sviluppo", in modo da riconoscere
che entrambi gli aspetti (causa genetica ed epilessia) possono giocare un ruolo nella presentazione clinica.
Si suggerisce pertanto, quando appropriato ed in individui di qualsiasi età, di utilizzare il termine
"encefalopatia di sviluppo ed epilettica”. E’ possibile quindi l’impiego di uno o entrambi i termini: si utilizzerà
il termine “encefalopatia di sviluppo” quando vi è solo una compromissione dello sviluppo senza che vi sia
una frequente attività epilettica associata alla regressione o all’ulteriore rallentamento dello sviluppo;
“encefalopatia epilettica” quando non vi è alcun ritardo di sviluppo preesistente e non si ritiene che la
mutazione genetica sia causa del rallentamento; infine si utilizzerà "encefalopatia di sviluppo ed epilettica”
quando entrambi i fattori svolgono un ruolo. Spesso potrebbe non essere possibile discriminare quale delle
due componenti sia più importante nel contribuire al quadro clinico di un paziente. Molti pazienti con questi
disturbi sono stati classificati in precedenza come affetti da “epilessie generalizzate sintomatiche”; tuttavia,
questo termine è stato applicato a un gruppo molto eterogeneo di pazienti e non sarà pertanto più utilizzato.

Auto-limitantesi e farmacoresponsiva
Con il crescente riconoscimento dell'impatto delle comorbidità sulla vita di un individuo, vi è stata una
considerevole preoccupazione che il termine "benigno" potesse condurre ad una sottostima di questo carico,
in particolare nelle sindromi con epilessia più lieve, come l'epilessia benigna con punte centro-temporali
(Benign Epilepsy with Centrotemporal Spikes, BECTS) e l'epilessia con assenze dell'infanzia (Childhood
Absence Epilepsy, CAE). Nonostante l’aspetto di sindrome benigna, la BECTS può essere associata a disturbi
cognitivi transitori o di lunga durata e i pazienti con CAE possono avere conseguenze psicosociali importanti
come un aumentato rischio di gravidanza precoce. Vengono usati quindi nuovi termini per descrivere
correttamente i molteplici significati implicati nel termine "benigno". Così "benigno", come attributo per
l'epilessia, viene sostituito dai termini "auto-limitante" e "farmacoresponsiva", ognuno dei quali sostituisce
le differenti componenti del significato del termine “benigno”.
 "Auto-limitante" si riferisce alla probabile risoluzione spontanea di una sindrome.
 "Farmacoresponsiva" significa che la sindrome epilettica sarà probabilmente controllata da
un'appropriata terapia antiepilettica.
È importante ricordare, tuttavia, che ci saranno individui con le stesse sindromi nei quali le crisi possono non
essere farmacoresponsive.

Farmacoresistenza
Anche la definizione di farmacoresistenza si è evoluta nel tempo: prima si diceva che la farmacoresistenza
dipendesse dalla non risposta a tre farmaci antiepilettici; mentre adesso si parla di tentativo fallito con due
farmaci adeguatamente scelti, tollerati e utilizzati a dosaggio corretto, non necessariamente singolarmente
ma anche associati.
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Bisogna però considerare la possibilità che nella storia del paziente ci possa essere anche una falsa farmaco
resistenza o pseudo-farmacoresistenza. Questa può essere dovuta al fatto che:
 lo specialista abbia sbagliato il tipo di trattamento da utilizzare (ci sono infatti farmaci che hanno un
effetto paradosso sulle crisi), quindi può essere dovuta ad un errore diagnostico o terapeutico,
 oppure ad inosservanza verso lo schema del trattamento da parte del paziente o, come spesso
avviene in ambito pediatrico, è la famiglia che sbaglia nella somministrazione del farmaco,
 oppure all’utilizzo di un farmaco con un dosaggio non corretto; Il dosaggio plasmatico farmacologico,
che oggigiorno si inizia a fare anche sulla saliva, è infatti molto importante (c’è un articolo recente
in cui si cerca di comprendere qual è il dosaggio a livello plasmatico in un tale paziente per avere
un’efficacia terapeutica con controllo delle crisi parziale o definito).

Percorso diagnostico
Dal punto di vista del percorso diagnostico sicuramente è importante l’anamnesi generale:
 gli antecedenti familiari per l’epilessia ed altre patologie neuropsichiatriche,
 gli antecedenti personali,
 lo sviluppo psico-motorio,
 il ritmo sonno-veglia; perché ci sono alcuni tipi di epilessie che mostrano crisi solo o prevalentemente
durante il sonno, sappiamo inoltre che la deprivazione di sonno può facilitare la ricorrenza delle crisi
epilettiche.
 In età evolutiva è importante considerare anche l’inserimento scolastico, perché l’aspetto cognitivo
nel bambino è importante (la prof afferma che approfondirà maggiormente questo aspetto nel suo
corso elettivo): molti bambini possono presentare problematiche cognitive e nel caso
dell’encefalopatia con punte- onda continue nel sonno, ad esempio, mostrare anche delle vere e
proprie regressioni, nonché problematiche relazionali.
 Importante considerare anche le patologie concomitanti, come ad esempio la celiachia oppure una
patologia psichiatrica concomitante: il soggetto affetto da celiachia può mostrare delle crisi
epilettiche o delle emicranie, quindi problematiche di tipo neurologico associate alla malattia celiaca.
(L’associazione con la celiachia è dovuta ad una verosimile alterazione a carico della
microstrutturazione a livello cerebrale, per cui si era dimostrato che questi soggetti potevano avere
anche delle calcificazioni cerebrali e delle lesioni a carico del parenchima cerebrale che facilitavano
la comparsa delle crisi epilettiche. La celiachia è una malattia complessa su base immunitaria, non
tutti i soggetti con celiachia hanno l’epilessia, alcuni soggetti sono predisposti ad averla).

Molto importanti nell’epilessia, dal punto di vista dell’anamnesi patologica per poterci orientare:
 l’età di esordio: ci sono forme neonatali, dell’infanzia, della fanciullezza, dell’età adolescenziale;
 conoscere la semeiologia delle crisi poi ci aiuta nella caratterizzazione delle varie tipologie per
pensare a una crisi focale, generalizzata;
 frequenza e ricorrenza;
 fattori di facilitazione come luce, stimoli sonori, toccamento, immersione in acqua, utilizzo di
bevande alcoliche, deprivazione di sonno, ciclo mestruale,
 la risposta terapeutica,
 gli esami precedentemente eseguiti, perché bisogna sempre tener in conto il pregresso e la presenza
di un’eventuale storia clinica precedente di epilessia nel paziente, è inutile ripetere in un paziente
terapie che non sono già andate a buon fine.

Altro punto importante è l’esame obiettivo neurologico e la valutazione neuropsicologica durante l’infanzia
(cose molto importanti da considerare nel bambino affetto da epilessia)
 QI
 Linguaggio
 Abilità visuo-spaziali
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 Attenzione
 Memoria
 Funzioni esecutive
 Prassie
 apprendimento

Altrettanto importante è la valutazione psicodiagnostica:


 comportamento
 relazione
 affettività
 emotività
 tono dell’umore

Per quanto riguarda gli esami strumentali:


 Sicuramente l’EEG, sia in veglia che durante il sonno, quest’ultimo utilissimo nel bambino: dobbiamo
avere un sonno spontaneo, non indotto da farmaci perché questi potrebbero alterare il tracciato. È
sempre utile avere il video (video-EEG). Nelle registrazioni prolungate (24-48-72 h), utilizziamo degli
elettrodi con una particolare colla, in modo che possano resistere per questo tempo per potere
registrare le crisi: quindi abbiamo delle registrazioni sia in momenti di veglia, sia in momenti di sonno,
anche per più giorni.

 Altro esame importantissimo è l’RM cerebrale. Mentre la TC è un esame che si utilizza soprattutto in
urgenza, la risonanza si dimostra molto più importante ed in età evolutiva chiaramente deve essere
effettuata utilizzando una narcosi. Nel bambino molto piccolo si può utilizzare l’eco-cerebrale
 SPECT, PET e potenziali evocati sono esami molto più di nicchia e potrebbero essere utili laddove si
sospetta un focolaio particolare, una lesione cerebrale o altre cose: non sono quindi esami di routine,
ma deve essere preso in considerazione il contesto ospedaliero in cui ci si trova e possono essere utili
per la ricerca.
 L’esame de fundus oculi (FO), se si dovesse pensare a una condizione di ipertensione endocranica.

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Noi, oggigiorno, abbiamo a disposizione dei panelli per lo studio genetico delle encefalopatie epilettiche. Nel
caso tipo di un paziente che arriva con una farmacoresistenza, attraverso un prelievo di sangue possiamo
ottenere un quadro di vari geni che caratterizzano le epilessie genetiche come, ad esempio, la sindrome di
Dravet. La professoressa preferisce però studiare il paziente dal punto di vista della semeiologia delle crisi,
dei dati EEG e di neuroimaging piuttosto che grazie a un pannello genetico perché è sempre bello riuscire a
interpretare i dati della clinica e tramite questi fare diagnosi. La descrizione deve essere il più possibile
aderente alla realtà di come si svolge la crisi perché ci aiuta a capire se la crisi è focale o generalizzata, a
intuire quindi un’eventuale epilessia focale o generalizzata, descrivere gli eventi che facilitano la crisi,
descrivere il momento in cui sopraggiunge la crisi e la durata, se si instaura uno “stato di male” o crisi
subentrati. Lo “stato di male” è definito come una crisi con durata superiore a 20 minuti, le crisi subentrati
possono andare a definire uno “stato di male” se sono così ravvicinate fra loro da non permettere una ripresa
di coscienza tra un evento e l’altro.

Diagnosi differenziale

Bisogna considerare: Anamnesi, EEG con video in veglia e sonno e durante l’evento, ECG, visita cardiologica
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e tilt-up test, Valutazione neuropsichiatrica
Esistono degli eventi parossistici (“parossismo”: qualcosa di acuto, a brusca insorgenza e rapida risoluzione
che modifica il comportamento del paziente in quel momento) che devono essere differenziati dalle crisi
epilettiche:
- uno degli eventi che devono essere differenziati è, ad esempio, l’attacco di emicrania con aura
visiva, anche perché molte crisi epilettiche possono avere cefalea associata alla crisi;
- ltra situazione da differenziare è la sincope, che porta spesso il paziente a recarsi in PS, perché ha
avuto una perdita di coscienza e non sappiamo inizialmente se abbia avuto una sincope o una crisi
epilettica vera e propria; la sincope può infatti presentarsi con irrigidimento, qualche clonia e
perdita di coscienza con revulsione oculare e perdita di urine. In PS sarà fatto un ECG, tutto l’E.O.
neurologico, la valutazione della pressione arteriosa e se possibile anche un EEG, perché esistono
varie tipologie di sincope: cardiogene, vaso- vagali etc. Importante da ricordare è inoltre che nella
manifestazione sincopale il soggetto ha di solito sudorazione, pallore, nausea, salivazione, perdita
progressiva di coscienza, acufeni, cadute, irrigidimento e qualche clonia, quindi presenta una serie
di manifestazioni che possono aiutarci a comprendere che si tratta di una sincope.

Video di casi adeguati ad una diagnosi differenziale

Video 1: una bambina che urla e si agita.


Questa è una mia paziente con una PCI di tipo piramido-extrapiramidale mista, affetta da un’epilessia focale
farmacoresistente perché portatrice di una malformazione cerebrale che in condizione di triterapia
antiepilettica presentava questi eventi, che la mamma descriveva come nuovi. La madre fa una cosa da non
fare mai durante una crisi epilettica: tiene per le mani la bambina che si agita e piange. La bambina non
sembra avere una coscienza compromessa.
Quesito: è una crisi clonica senza perdita di coscienza o un clono massivo legato a uno stato di agitazione in
questa bambina con una severa PCI caratterizzata da ipertono e con segni extrapiramidali? La prof, pur non
avendo avuto mai risposta certa, ha pensato che si tratti più della seconda ipotesi, perché spesso questa
situazione poteva anche bloccarsi con un clisterino di soluzione fisiologica. Ma anche perché una crisi
generalizzata senza perdita di coscienza come l’aveva lei non ci stava tanto e le sue crisi erano molto focali e
diverse tra di loro (sembra una contraddizione ma lo riporto come lo dice).

Video 2
un bambino che ha degli spasmi mentre si trova steso sul letto e il video è associato a una registrazione EEG.
È un bambino con una PCI con una motilità spontanea molto ridotta, che all’addormentamento presenta
questi spasmi, definibili come tali sia dall’osservazione dell’evento sia dal grafoelemento sull’EEG. Questa
situazione sicuramente lo disturba nella fase di addormentamento. Ci sono dei grafoelementi di forma
trapezoidale, invece, che però non si associano ad anomalie particolari, quindi non sono crisi epilettiche ma
sono spasmi da cerebropatici esiti di PCI di tipo piramidale, che presentano frequentemente questa
sintomatologia all’addormentamento. Quindi in questi bambini è idoneo dare qualche goccia, o comunque
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basse dosi, di benzodiazepine, per facilitare l’addormentamento. Infatti, non si tratta di un fenomeno
epilettico ma è legato a una disfunzione dell’addormentamento del tronco, basato anche sul disturbo
motorio e sulle lesioni encefaliche a carico delle vie piramidali.

Video 3:
bambina seduta sulle gambe della madre che sembra darsi delle spinte con le gambe incrociate quasi
dondolandosi con sbalzi costanti e stereotipati. Questa bambina mostra dei fenomeni ritmici che sembrano
quasi degli spasmi infantili. Il tracciato EEG, seppur artefattato, è normale e questo fenomeno viene definito
masturbazione della bambina piccola: manifestazione abbastanza frequente nella pratica clinica, ma queste
bambine sono assolutamente sane, se non per una maggior predisposizione ad infezione delle vie urinarie
(immagino per la continua frizione della regione perineale che determina maggior contaminazione dell’uretra
da parte degli enterobatteri). Questi movimenti si associano a rossore in volto e sudorazione, come un
fenomeno stereotipato, e spesso la posizione incrociata delle gambe è presente ma non è detto che sia la
sola. Queste bambine migliorano con l’età perché questi episodi si riducono intorno ai 5 anni. Poi è chiaro
che in bambini affetti da disabilità intellettiva possiamo assistere a episodi masturbatori ma sono diversi da
questo appena visto. È un fenomeno assolutamente non epilettico, che tende a regredire; può manifestarsi
in bambine sane che hanno delle
infezioni urinarie ricorrenti. Non sono quindi manifestazioni di masturbazioni, come può succedere spesso
nei soggetti che hanno una disabilità intellettiva, ma è proprio un evento parossistico che solitamente, nel
giro di qualche tempo (circa i primi 4 anni di vita), scompare. Chiaramente registrando con
l’elettroencefalogramma siamo in grado di fare una diagnosi differenziale.”

Video 4
questo bambino ha una sorta di scatto in estensione degli arti superiori, una sorta di Monroe se volete, con
allargamento degli arti, ecco anche questo fenomeno potrebbe essere scambiato per una crisi epilettica,
tuttavia il tracciato EEG è normale, quindi si tratta di uno spasmo benigno dell’infanzia. Queste forme sono
state descritte anche dagli argentini come Fejerman e non sono assolutamente manifestazioni epilettiche.

Video 5
Qui vediamo un ragazzino che durante il sonno, di punto in bianco, si mette a carponi sul letto. Ha oscillazioni
del tronco, batte la testa contro il cuscino. Il tracciato EEG mostra moltissimi artefatti ma non fa vedere alcun
tipo di anomalia elettroencefalografica. Questo è un fenomeno parossistico del sonno, un body rocking/body
rolling, il quale rientra negli eventi parossistici non epilettici come il sonnambulismo, l’enuresi notturna,
jactatio capitis, pavor nocturnus. Il bambino non si sveglia e dopo aver avuto queste manifestazioni, si rimette
tranquillamente a dormire. Anche questa sintomatologia potrebbe rientrare in una diagnosi differenziale con
attacchi epilettici.

Video 6
una paziente in ospedale che viene sottoposta a SLI durante un video-EEG che mostra subito una torsione
del collo verso destra con ipertono generalizzato e oscillazione simil-clonica dell’arto superiore sinistro e
dell’arto inferiore destro, con perdita di coscienza. Durante la crisi la dottoressa le ripete tre nomi di città per
valutare la perdita di coscienza e ne valuta l’ipertono. La crisi dura circa 3 minuti. Si tratta di una ragazza di
16 anni, già in triplice terapia antiepilettica per epilessia in età infantile, giunta in consulenza dalla Prof per
questi episodi parossistici molto frequenti, che la portavano in PS dove veniva ogni volta intubata. È molto
importante notare la semeiologia di questo evento: mani a griffe, notare la fenomenologia dell’evento critico
che molto spesso, come in questo caso, è crociata (braccio dx, gamba sx) e l’andamento del fenomeno che è
di tipo stop&go, vale a dire che inizia, si stoppa e riprende, ma con differente semeiologia. Seppur ricchissima
di artefatti da contrazioni muscolari, è una condizione che possiamo definire come crisi psicogena. Le persone
ad alto expertice se ne possono accorgere già senza monitoraggio EEG ed è chiaro che un video-EEG con SLI
aiuta a formulare la diagnosi corretta. La paziente è stata convogliata alla psicoterapia e l’esito è stato molto
buono al punto di sospendere il trattamento epilettico, non più necessario, perché efficace nell’epilessia che
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aveva in età evolutiva, ma non indicato nella terapia della crisi psicogena. Ovviamente non si tratta di una
simulatrice, ma di una proiezione somatica di un disagio psichico.
Le caratteristiche delle forme funzionali, o pseudocrisi, sono manifestazioni motorie polimorfe, anarchiche,
progressive, non coordinate, con interessamento dei quattro arti asincrono e perdita di coscienza non
completa; ma è ovvio che quando arriva in PS un individuo che ha avuto una sincope (perdita di coscienza
con caduta ed eventuale ipertono e clonie, con eventuale perdita di urina) si pone il problema della diagnosi
differenziale che si effettua anche con l’ECG, lo studio della glicemia e della pressione arteriosa, oltre che
conoscendo bene la semeiologia dell’episodio sincopale/lipotimico: pallore, sudorazione, nausea,
salivazione, perdita di coscienza progressiva, eventualmente acufeni, cadute e irrigidimento. Questo è molto
importante perché non è detto che in tutti i PS ci sia la possibilità di effettuare un EEG.

Co-morbidità, aspetti cognitivi e comportamentali


Vi è una crescente consapevolezza che molte delle epilessie sono associate a co-morbidità quali problemi di
apprendimento, psicologici e comportamentali. Questi variano per tipo e severità, da minime difficoltà di
apprendimento a disabilità intellettiva, ad aspetti psichiatrici come disturbi dello spettro autistico e
depressione, e problematiche psicosociali. Nelle epilessie più gravi, è possibile osservare una gamma
complessa di co-morbidità, che possono includere deficit motori, come paralisi cerebrale o disturbo del
cammino, disordini del movimento, scoliosi, disturbi del sonno e disturbi gastrointestinali. Così come per
l'eziologia, è importante che per ogni paziente si consideri la presenza di co-morbidità, in ogni fase della
classificazione, per consentirne la identificazione precoce, la diagnosi e la appropriata gestione.

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Trattamento antiepilettico
Il trattamento dell’epilessia comprende una terapia farmacologica e una eventuale terapia chirurgica.

Terapia farmacologica
La terapia antiepilettica (AED in inglese o FAE in italiano) è una terapia sintomatica, capace di prevenire
l’insorgenza delle crisi, ma priva di azione sui processi causali dell’epilessia. Alcuni farmaci possiedono
molteplici meccanismi d’azione, non sempre interamente chiariti. È possibile riconoscere alcuni meccanismi
d’azione fondamentali:
- effetto stabilizzante sulla membrana cellulare attraverso il blocco dei canali del sodio voltaggio
dipendenti e/o del calcio (più recentemente anche dei canali del potassio)
- potenziamento della trasmissione inibitoria del GABA attraverso la stimolazione recettoriale, il
blocco della ricaptazione o la inibizione della sua degradazione;
- inibizione dei meccanismi eccitatori del glutammato ed aspartato attraverso un blocco recettoriale
o una inibizione del rilascio dei neurotrasmettitori;
- blocco del rilascio dei neurotrasmettitori dalle vescicole sinaptiche attraverso il legame con
specifiche proteine.

La terapia farmacologica dell’epilessia entra in gioco quando non è possibile rimuovere le cause, quando le
crisi proseguono nonostante la rimozione delle cause o quando le cause non sono note. La terapia non deve
essere iniziata se c’è solo il rischio di una crisi epilettica o se il paziente ha manifestato una sola crisi. Ci sono
due eccezioni a quanto detto: presenza di un disturbo cerebrale progressivo o EEG marcatamente alterato.
Deve essere iniziata la monoterapia se il paziente ha avuto due o più crisi con elevata probabilità di
presentare altri attacchi (solitamente dopo la seconda crisi). Iniziare un trattamento antiepilettico dopo la
prima crisi potrebbe non modificare la storia naturale dell'epilessia, inoltre nel 20-30% dei casi la prima crisi
potrebbe non essere epilettica; per questo consigliato attendere e cercare di approfondire la diagnosi. Ha
senso invece iniziare un trattamento, anche prima di una diagnosi sindromica certa, in caso di crisi
subentranti, di crisi prolungate, o stato di male epilettico, se sono presenti lesioni cerebrali, soprattutto in
caso di malformazioni corticali, oppure se sono evidenti segni neurologici e/o ritardo mentale.
Dal momento che una volta introdotta la terapia va protratta a lungo e che la sospensione del trattamento è
sempre un evento a rischio, il suo inizio è un momento delicato. Un principio solido e razionale è che le
alterazioni EEG, anche se specifiche e indiscutibili, non giustificano il trattamento se non vi sono crisi cliniche
(“si cura il paziente e non il suo EEG”).
Le Variabili da tenere in considerazione quando si inizia un trattamento antiepilettico in età evolutiva
 Il controllo delle crisi è l’obiettivo prioritario
 La richiesta di massima tollerabilità e maneggevolezza della terapia
 Gli effetti delle crisi e della terapia a livello cognitivo/comportamentale
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In età evolutiva quando si decide di somministrare una terapia antiepilettica, è utile considerare che il
farmaco può essere responsabile di una tossicità età dipendente organo specifica (fegato, pancreas,
emocromo, peso, insulino-resistenza, lipidi, metabolismo osseo, ecc.), oppure di effetti collaterali a livello
cognitivo-comportamentale. Gli studi controllati randomizzati a lungo termine, che considerano gli effetti
collaterali dei nuovi farmaci antiepilettici, non sono così numerosi per l'età evolutiva rispetto a quelli dell'età
adulta.
La scelta del farmaco deve essere fatta sulla base:
 del tipo di crisi e di sindrome epilettica,
 dell'età del paziente,
 delle altre terapie eventualmente associate,
 della tollerabilità dei farmaci,
 dell'efficacia,
 della sicurezza.

Esempi: Il topiramato fa dimagrire, quindi si potrebbe usare in un obeso. Il valproato fa aumentare di peso,
quindi, non bisogna usarlo in obesi o pazienti sovrappeso. La lamotrigina e il topiramato sono anche
antiemicranici, quindi se il malato soffre di emicrania si possono dare quelli. Il valproato ha probabilità doppie
rispetto agli altri di causare danno fetale.
Altro aspetto importante in età evolutiva è rappresentato dal numero delle somministrazioni giornaliere del
farmaco, non bisogna dimenticare che il bambino frequenta la scuola e può essere complicato somministrare
un farmaco lontano da casa. A ciò si lega anche il tipo di preparazione farmacologica, nel bambino e
necessario prevedere la possibilità di avere preparazioni facilmente somministrabili (soluzione, sciroppo,
compresse frantumabili, ecc.), o a lento rilascio.
L'obiettivo della terapia è il controllo delle crisi. In condizione di farmacoresistenza, il controllo totale delle
crisi non è possibile, dunque, bisogna tentare di migliorare la frequenza delle crisi, cercando di controllare le
crisi che possono mettere a repentaglio l'incolumità del paziente, come per esempio le crisi di caduta, di
ridurre le anomalie parossistiche EEG, di minimizzare gli effetti collaterali dei farmaci. Si parla di
farmacoresistenza dopo un tentativo fallito con 2-3 farmaci utilizzati a dosaggio corretto. La falsa
farmacoresistenza invece può dipendere da un errore diagnostico e/o terapeutico e dall'inosservanza dello
schema di trattamento. Viene consigliato un tentativo con 2-3 farmaci in monoterapia prima di iniziare
un'associazione farmacologica.
La modalità consigliabile è quella di iniziare il trattamento con un farmaco in ionoterapia e a basse dosi,
incrementando il dosaggio gradualmente fino a quello minimo di mantenimento. Tale strategia terapeutica
del “start low, go slow” consente di ottenere una migliore tollerabilità. In caso di fallimento della prima
monoterapia è possibile passare ad una seconda monoterapia o alla politerapia (tendenzialmente non
bisogna associare due farmaci con lo stesso meccanismo d’azione) considerando però le possibili interazioni
farmacocinetiche (minime) e farmacodinamiche (massime). Unico criterio di efficacia è l’andamento della
frequenza delle crisi. Come detto, la persistenza di anomalie all’EEG non indica fallimento terapeutico. I
farmaci utilizzati sono riassunti nella seguente immagine:

Si può provare a sospendere la terapia se:


 il paziente non ha avuto alcun tipo di crisi per almeno due o tre anni (guarigione spontanea);
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 è stato dato consenso informato dal paziente;
 sono presenti fattori favorevoli quali epilessia infantile, epilessia idiopatica, assenza di lesioni, breve
durata della malattia, EEG normale, paziente non guidatore.
La sospensione della terapia deve essere gestita dallo specialista ed effettuata con gradualità eliminando
circa un quarto della dose ogni 3-4 mesi

Il trattamento farmacologico precedente è stato tratto da neuro, in quanto più recente, riporto per
completezza anche ciò che viene detto nel libro della prof
Vi sono farmaci di vecchia e nuova generazione la cui azione a variabile.
- Ricordiamo il valproato di sodio, la lamotrigina, il levetiracetam, il topiramato che possono
essere utilizzati nelle crisi miocloniche, tonico-cloniche;
- oxcarbazepina, la carbamazepina, il valproato di sodio ma anche la lamotrigina, il
levetiracetam, il topiramato che trovano indicazione invece per le crisi focali.
- La rufinamide e la zonisamide sono molecole efficaci in epilessie farmacoresistenti.
- II fenobarbitale nel bambino può dare molti effetti collaterali a livello comportamentale
come anche certe benzodiazepine (clonazepam).
- Le benzodiazepine possono essere utilizzate per la terapia cronica ma anche in acuto.
- Alcuni farmaci, come la lacosamide, la retigabina, la eslicarbazepina, seppure promettenti,
sono ancora poco conosciuti per la loro efficacia in età evolutiva.

Terapia chirurgica
La terapia chirurgica dell’epilessia comprende qualsiasi intervento neurochirurgico che abbia lo scopo di
migliorare un’epilessia non trattabile con farmaci, abolendone o riducendone significativamente le crisi,
possibilmente senza procurare effetti collaterali neurologici e deficit inaccettabili.

Il trattamento chirurgico è proponibile solo nelle epilessie farmacoresistenti con crisi focali e la zona
epilettogena deve essere ben individuata. Occorrono monitoraggi brevi, per registrare le crisi, o lunghi anche
fino a 15 giorni. Si definisce grazie a semeiologia, EEG, RM, PET, SPECT, non con la TC, con la spettroscopia di
risonanza poco, con la genetica meno. Se non si riesce con gli elettrodi di superficie si possono usare degli
elettrodi invasivi intracerebrali, che vengono inseriti nel cervello, subdurali o epidurali.
La chirurgia “resettiva” ha lo scopo di rimuovere questa zona (efficacia fino all’60-80% casi).
Ai pazienti che non possono essere sottoposti a intervento di chirurgia resettiva, in quanto affetti da crisi che
originano da più zone del cervello oppure per il rischio chirurgico di procurare danni neurologici gravi,
possono essere proposte alcune terapie palliative che hanno lo scopo di diminuire le crisi e la
somministrazione dei farmaci:
 callosotomia (sezione del corpo calloso per ridurre la propagazione della scarica epilettogena e per
evitare le cadute), intervento destruente che peggiora le prestazioni psichiche ed è quasi una scelta
disperata;
 stimolazione vagale (sx): tramite un pacemaker sottocutaneo, collocato in sede laterocervicale,
vengono inviati degli impulsi al vago, che tendono a diminuire la frequenza delle scariche elettriche
del cervello, consentendo, in circa il 50% dei casi, una riduzione della frequenza (e/o intensità) delle
crisi. Questa metodica si chiama neuromodulazione, e si utilizza soprattutto nella sindrome di
Lennox-Gastaut, con paziente non responsivi e non operabili (casi selezionati, costa molto).
 closed loop: rappresenta il futuro; e un sistema che è in grado di registrare e al contempo di mandare
scariche elettriche: il principio e quello di bloccare la crisi non appena parte.

Altre terapie che possono essere utilizzate nelle epilessie farmacoresistenti non trattabili chirurgicamente,
sono la corticoterapia, la dieta chetogena ricca di grassi e con scarso apporto di carboidrati, le immunoglobine
EV e la stimolazione del nervo vago (di sinistra) a mezzo di un elettrodo collegato ad uni stimolatore
sottocutaneo.

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Ricapitolando in urgenza:
 Sistemare il paziente affinché non si ferisca
 Facilitare la respirazione ponendolo sul fianco a testa bassa per facilitare l’uscita dalla bocca della
saliva
 Non contenere il paziente
 Rassicurare i genitori
 Spesso dopo la crisi il paziente è confuso, attendere una risoluzione del quadro
 Se la crisi è breve non occorre somministrare BDZ
 In caso di crisi subentranti o di stato di male utilizzare BDZ

Vengono ora prese in analisi alcune tipologie di crisi – sindromi utili per l’esame (a lezione trattate solo West,
epilessia con OP continue in sonno nREM, Sindrome di Landau e Kleffner, e convulsioni febbrili). Quelle
aggiunte rispecchiano anche domande fatte nei vecchi appelli

Assenza (crisi generalizzata non motoria)-aggiunta


Le assenze sono caratterizzate da un’improvvisa perdita di coscienza, “sguardo fisso”, arresto dell’attività,
talora breve revulsione degli occhi. Gli attacchi durano da pochi secondi a mezzo minuto, poi cessano così
rapidamente come sono iniziati, senza alcun fenomeno postcritico.
L’età d’inizio di solito si situa tra i 4 anni ed il principio dell’adolescenza, essendo la più frequente crisi
epilettica in questo periodo; non si accompagnano ad altri problemi neurologici, rispondono positivamente
al trattamento farmacologico ed in un 60-70% dei casi si attenuano durante l’adolescenza.
Dal punto di vista clinico, le assenze si classificano in semplici e complesse, in base all’eventuale presenza di
altri fenomeni, oltre alla perturbazione della coscienza.
- Assenze semplici: solo perturbazione della coscienza.
- Assenze con componente clonico: clonie delle palpebre, degli angoli della bocca, degli arti o del
capo, di intensità variabile (da movimenti quasi impercettibili a scosse generalizzate che causano
la caduta degli oggetti dalle mani o la caduta del malato).
- Assenze con componente atonica: diminuzione del tono posturale che provoca la caduta del capo
sul tronco, la caduta delle braccia o degli oggetti tenuti in mano, talora la caduta brusca a terra.
- Assenze con componente tonica: aumento del tono che può interessare i muscoli estensori o
flessori, in modo simmetrico o asimmetrico. Se il malato è in piedi, può presentare una caduta
rigida, “a statua”. Assenze con automatismi: movimenti involontari, simili a quelli che possono
accompagnare le crisi parziali complesse. La diagnosi differenziale tra i due tipi di attacchi è resa
possibile solo dall’EEG, critico ed intercritico.
- Assenze con componente vegetativa: rossore, pallore, enuresi…

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Dal punto di vista EEG, le assenze si dividono in tipiche ed atipiche, che presentano comunque delle distinzioni
cliniche.
 Le assenze tipiche sono associate a scariche bilaterali, sincrone e simmetriche di punte-onda (PO) a
circa 3 Hz. Più raramente si osservano polipunte-onde (PPO), con analoga distribuzione e frequenza.
Nell’EEG intercritico l’attività di fondo è solitamente normale; su di essa si inseriscono scariche
generalizzate di PO e PPO. Sono crisi: con esordio e fine bruschi; di breve durata; osservabili in
epilessie generalizzate o idiopatiche.
 Le assenze atipiche non sono associate a scariche di PO a 3 Hz, ma ad altri tipi di anomalie: PO
irregolari per ritmo e simmetria a frequenza lenta (1-2 Hz), attività rapide a 10 o più Hz, attività rapide
di basso voltaggio (“desincronizzazione”). Nell’EEG intercritico l’attività di fondo è solitamente
rallentata e porta inscritte attività parossistiche (come PO) bilaterali ma irregolari e asimmetriche.
Sono crisi: con esordio e fine più progressivi e meno differenziabili; con variazioni marcate del tono
(a differenza della forma tipica); con alterazione della coscienza meno profonda; osservabili in
epilessie sintomatiche dell’infanzia.

Crisi tonico-clonica (Grande Male: crisi generalizzata motoria)-aggiunta


Sono caratterizzate da perdita della coscienza, convulsioni generalizzate (dapprima toniche, poi cloniche) e
importanti fenomeni vegetativi. Sono le crisi epilettiche per antonomasia, che durano 1-2 minuti. Presentano
tre fasi:
1. fase tonica (10-20 secondi)
È diffusamente ed intensamente rigido, apnoico, cianotico con ipertono ai 4 arti (inizialmente in flessione,
dopo in estensione bilaterale) e attivazione vegetativa (aumento di frequenza cardiaca, della pressione
arteriosa e midriasi); la lingua può essere morsa per il trisma dei masseteri; ci può essere perdita di urina.
Frequente è l’emissione iniziale di un urlo strozzato a causa della contrazione dei muscoli addominali e
respiratori. Se la crisi coglie il malato in piedi, ne provoca la caduta brusca a terra, con possibilità di traumi
e ferite (estremamente grave in alcuni contesti).
2. fase clonica (durata variabile 30 secondi-2 minuti)
È caratterizzata da scosse bilaterali, ripetitive e rapide con rilasciamento intermittente della contrazione
muscolare tonica, che prendono il nome di clonie, localizzate a livello degli arti inferiori e superiori (sempre
in flessione) frequenti ed ampie, che tendono progressivamente a diminuire di frequenza ed intensità. Si nota
respirazione difficoltosa, assenza di risposta agli stimoli esterni, flaccidità ed emissione di bava spesso mista
a sangue.
3. fase post-critica
Il malato si rilascia, respira in modo profondo e rumoroso (“stertor”) e resta incosciente per vari minuti
(almeno 10 minuti) o anche ore (coma postcritico). Il tempo di ripresa lo differenzia dalla sincope convulsiva,
che prevede un recupero in pochi minuti. Al risveglio, accusa spesso cefalea e dolenzia muscolare diffusa.
L’EEG critico è caratterizzato da un ritmo reclutante durante la fase tonica (onde punta rapide e generalizzate
ad alto voltaggio fino a poli-punte e artefatti muscolari), interrotto da onde lente durante la fase clonica
(onde punta generalizzate a bassa frequenta e onde lente). Il coma postcritico è accompagnato da attività
lente diffuse (attenuazione generalizzata).

Nell’EEG intercritico si osservano di solito scariche generalizzate di PO o PPO a 3 o più Hz.

Epilessia benigna infantile con punte centro-temporali (a punte rolandiche o parossismi rolandici)-aggiunta
E il prototipo e la più frequente delle epilessie parziali idiopatiche.
L’EPR ha i caratteri distintivi comuni a tutte le EPI: frequente predisposizione genetica, assenza di antecedenti
patologici personali, di difetti neurologici e di alterazioni neuroradiologiche.
L’esordio avviene tra i 2 e i 15 anni, con picco attorno ai 9-10 nei maschi.
Le crisi sono:
 quasi sempre focali motorie con convulsioni toniche o cloniche con topografia emifacciale, facio-
brachiale, piu raramente emicorpale o secondariamente generalizzate (PSG);
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 associate spesso a una sensazione di torpore e parestesia di faccia, lingua, gengive e guance, con
suoni gutturali (glu-glu-glu, dovuti a convulsioni dei muscoli laringei) o deficit del linguaggio
(anartria), ipersalivazione o scialorrea, difficolta di deglutizione;
 con coscienza integra;
 con insorgenza di solito durante il sonno, provocando il risveglio e frequenza rara (di solito, pochi
attacchi all’anno).
L’EEG intercritico rivela punte e punte-onda (PO) di alto voltaggio in sede centro-temporale a livello delle
aree motorie centrali (punte rolandiche), spesso in sequenze pseudoritmiche, unilaterali o bilaterali
asincrone (“multifocali”). L’evoluzione e costantemente benigna; le crisi cessano in modo definitivo entro i
16 anni. E l’unica sindrome epilettica che puo non essere trattata: se le crisi sono notturne, minori e rare,
d’accordo con i genitori si puo evitare la cura (molto spesso giustificata dall’ansia parentale nella gestione
delle crisi), perche la guarigione avverra comunque. Negli altri casi (ad esempio se molto frequenti), la terapia
d’elezione e la carbamazepina (CBZ).

Epilessia occipitale benigna precoce (sindrome di Panayoutopoulos)-aggiunta


È un’epilessia idiopatica del lobo occipitale, differente dalla forma di Gastaut per l’esordio più
precoce (1-8 anni, con un picco a 5), la semeiologia delle crisi e l’EEG intercritico.
Le crisi consistono in attacchi che:
 sono caratterizzati prevalentemente da fenomeni autonomici (vomito ripetuto);
 talvolta sono associati a deviazione tonica degli occhi;
 possono evolvere verso una graduale depressione della coscienza (confusione, stupore), per
terminare con una breve convulsione emicorpale o generalizzata;
 nei 2/3 dei casi si manifestano nel sonno;
 hanno lunga durata: oltre 10 minuti; in circa la metà dei casi durano oltre 30 minuti (“stato di male
autonomico”);
 spesso presentano cefalea iniziale.
L’EEG intercritico mostra parossismi occipitali (punte, PO) bloccati dall’apertura degli occhi. Molto spesso
coesistono altre anomalie epilettiformi extra-occipitali (rolandiche, in particolare). L’evoluzione è benigna,
con cessazione delle crisi alla pubertà. Il trattamento continuativo non è necessario; in caso di stato di male,
si ricorre al Diazepam in endovena o rettale. La diagnosi differenziale va posta contro molte “emergenze
pediatriche”, come: gastro-enteriti, encefaliti, emicrania, sincopi e sindrome periodica (vomito ciclico).

Epilessia occipitale benigna tardiva (sindrome di Gastaut)-aggiunta


È un’epilessia idiopatica che inizia tra i 5 ed i 15 anni (picco intorno agli 8), forma più tardiva rispetto alla
precedente.
Le crisi sono in genere frequenti, a volte pluri-quotidiane, prevalentemente visive, costituite da allucinazioni
elementari di luci multicolori in movimento, della durata di pochi minuti (< 3 minuti), che possono essere
seguite da convulsioni (focali o PSG) o, più raramente, da incoscienza con automatismi, in rapporto alla
diffusione della scarica dalla regione occipitale (dove prende origine) a quella centrale o temporale.
In circa 1/3 dei casi l’“aura visiva” è seguita da una cefalea di tipo emicranico. La differenza dall’emicrania
classica è fondata sulla breve durata dei fenomeni visivi (pochi secondi, anziché vari minuti) e sulle anomalie
dell’EEG intercritico.
L’EEG intercritico mostra punte e PO di alto voltaggio in successione pseudoritmica nella regione occipitale
di uno o di entrambi gli emisferi, presenti ad occhi chiusi, bloccate dall’apertura degli occhi.
Le scariche sono inibite dalla fissazione visiva e attivate dal buio, che può anche scatenare una crisi
vera e propria (“epilessia scotosensitiva”). Le crisi dell’EPO hanno una frequenza variabile e rispondono di
solito alla terapia.

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Epilessia frontale con crisi che originano dalla corteccia motoria primaria-aggiunta
Queste crisi originano dalla corteccia frontale pre-centrale, dove c’è l’homunculus motorio (la
rappresentazione delle varie aree del corpo). Si manifestano con contrazioni muscolari controlaterali:
il segmento coinvolto dipende da dove si trova il focolaio di scarica. Hanno breve durata, ma possono essere
seguire da un deficit di forma del segmento corporeo interessato che può persistere anche diversi minuti
(paralisi di Todd) dopo il termine della crisi. Queste crisi somatomotorie possono essere:
 Con marcia jacksoniana (dal neurologo inglese Huglings Jackson che le ha descritte): in questo caso
la crisi origina da un segmento corporeo ben delimitato (alluce, pollice, emivolto) solitamente con
una contrazione tonica seguita da scosse cloniche. Poi la crisi coinvolge progressivamente gli altri
segmenti corporei limitrofi fino a interessare l’intero emicorpo controlaterale seguendo una
“marcia”, il cui andamento rispecchia la propagazione della scarica epilettica nell’ambito dell’area
motrice primaria, che presenta la mappa somatotopica. Ad esempio, il paziente ha delle scosse che
interessano il pettorale di sinistra, poi il braccio sinistro e lo sternocleidomastoideo sinistro. Queste
terminano. Poi il paziente presenza una nuova crisi con una distribuzione maggiore (jacksoniana) che
arriva alla gamba, che si irrigidisce e presenta scosse. Il paziente è in contatto, ma può non riuscire a
parlare per via dei muscoli troppo contratti.
 Senza marcia jacksoniana: caratterizzata da clonie di una parte più o meno estesa di un emisoma
(emivolto, mano, piede). Sono l’espressione di una carica localizzata e non propagata.
Il paziente durante tutta la crisi ha la coscienza preservata e si rende conto di quello che succede, a differenza
delle crisi temporo-mesiali.

Convulsioni neonatali benigne (epilessie generalizzate idiopatiche)-aggiunta


 Forma famigliare. È trasmessa con modalità autosomica dominante ed è legata a mutazioni di due
geni, che codificano parti del canale del potassio (KCNQ2 e KCNQ3).
Compare in soggetti con famigliarità positiva per convulsioni neonatali o epilessia benigna. Le crisi
iniziano nel 2°-3° giorno e sono di tipo apnoico o clonico focale, talvolta generalizzate, restano
frequenti fino al 7° giorno, poi si diradano e cessano in modo definitivo. Solo nel 14% dei casi compare
in seguito una forma benigna di epilessia. L’EEG non è caratteristico.
 Forma sporadica. Le crisi si manifestano al 5° giorno e sono di tipo apnoico o clonico focale, erratico,
con frequenza elevata (talora fino allo stato di male); cessano dopo 1-3 giorni. L’EEG mostra nel 60%
dei casi un’attività theta puntuta alternante (theta puntuto diffuso, alternato con fasi di depressione
globale del tracciato).

Epilessia con assenza dell’infanzia (epilessie generalizzate idiopatiche)-aggiunta


È una delle più comuni con una forte componente genetica poligenica. Rappresenta il 2-15% dei casi di
epilessia infantile. Interessa prevalentemente le bambine, con esordio tra i 3 ed i 13 anni, con un picco tra 6
e 7.
Le crisi sono costituite dalle assenze tipiche, semplici o con alcuni fenomeni associati: piccole clonie
palpebrali, revulsione oculare, estensione del capo, automatismi orali, fenomeni vegetativi: rossore o pallore
del volto. Non si manifestano, invece, assenze con marcati fenomeni motori (mioclonie, atonia o ipertonia).
Le assenze, generalmente brevi, raramente fotosensibili, all’inizio si presentano con pochi episodi durante la
giornata, anche solamente 3-4, ma poi arrivano a ripetersi anche decine e centinaia (100-200) volte al giorno,
ogni giorno: tale caratteristica è indicata dal termine di “Picnolessia” (dal greco πυκνός “denso”) ed è molto
evocatrice di questa sindrome.
L’EEG rivela scariche generalizzate con punte-onde bilaterali, sincrone e simmetriche a circa 3 Hz, sia in fase
intercritica che durante le crisi; l’attività di fondo è normale. Poiché le assenze sono episodi che durano pochi
secondi, in genere il bambino riesce a mascherarle benissimo, e sono di solito gli insegnanti ad accorgersene,
in quanto realizzano che il rendimento del bambino inizia a peggiorare (ad esempio mancano parole nel
quaderno, quando c’è un dettato saltano alcuni vocaboli e così via).
Lo sviluppo psico-motorio del bambino però avviene normalmente, con buona risposta al trattamento. Nella
maggior parte dei casi le crisi cessano definitivamente ma nel 40% dei casi rimangono delle crisi tonico-
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cloniche, pur con frequenza ridotta in età adulta, legata soprattutto all’eventuale insorgenza tardiva di crisi
di Grande Male, di solito verso la pubertà.

Epilessia Mioclonica Giovanile (o sindrome di Janz o “Piccolo Male impulsivo”) (epilessie generalizzate
idiopatiche)-aggiunta

Rappresenta il 5-10% delle epilessie infantili. Inizia tra i 10 e i 30 anni, con un picco tra i 13 ed i 18.
Fino al 50% dei casi sono familiari. Le crisi sono costituite da mioclonie massive bilaterali, singole o ripetute
in salve, irregolari ed aritmiche, prevalenti agli arti superiori e al capo, senza perturbazione della coscienza.
Le scosse possono determinare la caduta degli oggetti dalle mani o la caduta del malato.
In oltre il 90% dei casi sono presenti anche rari attacchi di GM. Spesso, una serie di mioclonie sfocia in una
crisi GM, realizzando una crisi “mioclono-GM”, tipica di questa sindrome. Circa 30% dei malati presentano
anche sporadiche assenze semplici.
Le crisi miocloniche (e quelle GM) sono facilitate da fattori esogeni: la privazione di sonno, gli stress psico-
fisici, l’abuso di alcolici e la stimolazione luminosa intermittente naturale e non (TV, luci psichedeliche delle
discoteche, gite, svegliarsi presto, viali alberati percorsi in auto...).
Frequente è la fotosensibilità, in realtà la maggioranza delle epilessie fotosensibili sono epilessie miocloniche
giovanili. Altra caratteristica della sindrome è la ricorrenza delle crisi al mattino al risveglio (entro 1-2 ore
dalla fine del sonno): infatti, la mattina al bambino cadono spesso gli oggetti e viene considerato goffo.
All’EEG notiamo nella fase critica scariche di complessi polipunta-onda diffusi (PP=10-16 Hz, O=2-5 Hz); nella
fase intercritica complessi punta-onda a 3-4 Hz e polipunta-onda 4-6 Hz diffusi. L’attività di fondo è normale.
L’evoluzione è benigna, perché le crisi rispondono alla terapia con Fenobarbital o VPA. Tuttavia, la guarigione
è molto rara, perché la sospensione della cura (anche dopo anni liberi da crisi) è di solito seguita da recidiva.

Encefaliti epilettiche

Sindrome di West
La sindrome di West porta il nome di un medico, che aveva descritto il caso di suo figlio.
Insorge nel primo anno, solitamente tra i 4 ed i 7 mesi. Può essere criptogenetica, manifestandosi senza causa
nota, in bambini fino ad allora normali, o sintomatica (sindrome neuro-cutanee come la sclerosi tuberosa,
danni perinatali e acquisti subito dopo la nascita come cromosomopatie o malformazioni cerebrali o
sofferenza ipossico-ischemica).
La sindrome è caratterizzata da una triade di manifestazioni:
1. crisi a spasmi (picchi di Salam) con contrazioni muscolari brusche e brevi (mioclonie) o più prolungate
(crisi toniche) che interessano i muscoli del tronco e degli arti (simmetrici o asimmetrici)
determinando una flessione del capo e del tronco ed una proiezione degli arti (“spasmi in flessione”),
più raramente un’estensione globale. talora anche con dei segni focali, quali revulsione degli occhi
verso l’alto e di lato, oppure piccola deviazione della testa e del labbro.
Ricorrono in serie, a grappoli, e si verificano soprattutto al risveglio o all’addormentamento, facilitate
da rumore o stimolo tattile improvviso
2. l’arresto dello sviluppo psicomotorio. Spesso è contemporaneo alla comparsa degli spasmi e correla
con la persistenza di anomalie dell’EEG, può essere difficile da riconoscere all’inizio, data l’età dei
pazienti. Il bambino perde il contatto con la madre, smette di sorridere, diventa apatico. Con il
passare del tempo, si rende evidente il difetto mentale grave. Le crisi si associano ad un deficit
cognitivo nel 70-90% dei casi e disturbi psichiatrici dello spettro autistico.
3. Ipsaritmia (massima alterazione del ritmo) all’EEG intercritico: su un’attività di fondo lenta e
disorganizzata, si inscrivono punte e PO bilaterali, non sincrone ma “multifocali”. In coincidenza con
gli spasmi, si osserva una improvvisa e globale depressione del tracciato (desincronizzazione).

Uno degli elementi di questa triade può mancare (sindrome di West atipica). L’evoluzione è di regola maligna,
per il difetto mentale e la persistenza dell’epilessia, che cambia però aspetto nel corso degli anni: assume i
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caratteri di una sindrome di Lennox-Gastaut, poi quelli di un’epilessia parziale comune, con crisi complesse e
PSG. La mortalità arriva al 35%. Sono forme gravi.
Solo nel 10% dei casi l’evoluzione è favorevole, con cessazione delle crisi e normale stato mentale: si tratta
di forme criptogenetiche, che hanno risposto con successo al trattamento precoce con ACTH o
corticosteroidi.

Sindrome di Lennox-Gastaut (aggiunta da neuro)


Questa sindrome, scoperta da Gastaut, esordisce più tardivamente rispetto alla precedente, tra 1-8 anni
(2-3 casi/ 10.000 nati vivi). È criptogenetica nel 30% dei casi, sintomatica di una precedente encefalopatia
(di varia natura) nel 70%: può fare seguito ad una sindrome di West.
Si caratterizza per tre aspetti:
1. Le crisi sono polimorfe e pluriquotidiane. Le più frequenti sono: le assenze atipiche, le crisi atoniche
(cadute improvvise) e le crisi toniche (più frequenti nel sonno). Spesso compaiono anche stati di
male (“stupor” con mioclonie, crisi toniche o crisi atoniche subentranti). Più raramente si osservano
crisi parziali o GM.
2. Di solito c’è un ritardo mentale, di grado medio o severo, talora accompagnato da difetti
neurologici focali.
3. L’EEG intercritico è caratteristicamente destrutturato e mostra:
- durante la veglia un’attività di fondo rallentata, su cui si inscrivono scariche diffuse di PO
lente (a 1,5-2 Hz). Questo quadro è detto “Piccolo Male variante” di Gibbs;
- durante il sonno scariche diffuse di ritmi rapidi, subcliniche, simili a quelle che si associano
alle crisi toniche.
L’evoluzione è di solito sfavorevole: persistono le crisi, nonostante le terapie (notevole farmacoresistenza),
resta limitato lo sviluppo intellettivo. Non esiste un trattamento specifico ma è opportuno evitare politerapie
a dosi elevate, mirando solo al controllo parziale delle crisi “maggiori”.

Epilessia con punte-onda continue nel sonno NREM


Un’altra encefalopatia epilettica è la epilessia con punte-onda continue nel sonno N-REM, che è
caratterizzata da una regressione globale delle funzioni cognitive e del comportamento con esordio intorno
ai 4 o 5 anni di vita ma anche più tardi (fino ai 14), con o senza lesione cerebrale.
Si tratta di ragazzini che hanno delle crisi motorie parziali o apparentemente generalizzate tipo assenza,
parziali complessi, di caduta (mai toniche nel sonno) e hanno un tracciato elettroencefalografico
compromesso per un 85% del sonno NREM (ridotte o per lo più focali in REM) e costituito da delle punte-
onda diffuse, lente bilaterali. In letteratura ci sono molte pubblicazioni, anche il gruppo della prof ha fatto
una pubblicazione recente in cui ha rivalutato in retrospettiva una popolazione numerosa di più di 60 soggetti
che non avevano necessariamente un tracciato elettroencefalografico così compromesso che però potevano
avere sempre questo tipo di problema.
Questa condizione richiede un trattamento aggressivo a volte anche con corticosteroidi, ACTH e molto spesso
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è una condizione resistente la cui prognosi dipende dalla durata delle anomalie elettroencefalografiche
(prognosi neuropsicologica sfavorevole nella metà dei casi).
Il trattamento deve essere aggressivo, anche a base di ACTH e cortisonici, poiché la prognosi dipende dalla
precocità e dalla durata dello stato elettrico nel sonno. Se vi è una resistenza al trattamento la prognosi
neurologica è sfavorevole in quanto, quando le anomalie spariscono (età-dipendenza) il bambino è lasciato
con una disabilità intellettiva.

Sindrome di Landau e Kleffner


La sindrome di Landau-Kleffner (LKS) è un'encefalopatia epilettica legata all'età, in cui si osserva una
regressione dello sviluppo, in particolare dell'area del linguaggio, ed anomalie EEG (elettroencefalogramma)
localizzate prevalentemente attorno alle aree temporo-parietali. Il termine afasia epilettica acquisita
definisce i segni principali di questa malattia.
La LKS interessa solo i bambini e gli adolescenti. Si ritiene che l'età di esordio vari tra i 3 e i 6 anni. L'afasia
acquisita nei bambini precedentemente normali è il segno caratteristico della malattia, che di solito si
presenta sotto forma di agnosia verbale uditiva (sordità verbale). L'afasia ricettiva è seguita da quella
espressiva ed il linguaggio spontaneo diventa limitato (deficit di comprensione ed espressione)  fino al
mutismo
La regressione del linguaggio si associa spesso a disturbi del comportamento, come il deficit dell'attenzione,
l'iperattività, l'impulsività, e la tendenza a distrarsi  non ha assolutamente la possibilità di comunicazione
nel mondo esterno, ma l’intelligenza resta normale
In 2/3 dei pazienti, si manifestano crisi epilettiche, che sono facilmente controllabili e regrediscono
spontaneamente prima dell'adolescenza. Circa 1/3 dei pazienti non presenta convulsioni. Le crisi descritte
sono caratterizzate da crisi motorie parziali (più comuni), crisi cloniche generalizzate e assenza atipica. Le crisi
epilettiche sono incostanti e talvolta non presenti: convulsive e non, ma molto spesso atoniche.
Questa situazione è caratterizzata dalla presenza di anomalie nelle derivazioni temporali (POCS bi-temporali)
che sonocontinue e sub continue soprattutto durante il sonno REM (>90% del sonno). Anche in questa forma
abbiamo la necessità di trattare la patologia in maniera aggressiva, eventualmente con trattamento
corticosteroideo. La prognosi dipende dalla durata dello stato, che possiamo chiamare “stato elettrico”.
Alcuni bambini si riprendono, riprendono a parlare lentamente con l’aiuto del logopedista, altri invece, che
hanno una durata prolungata dello stato, possono avere delle problematiche di linguaggio molto severe al
termine della risoluzione dello stesso. Lo stato elettrico del sonno, infatti, con il tempo scompare in maniera
età dipendente ma rimane il reliquato. Questo è il motivo per cui viene definita encefalopatia epilettica,
perché il paziente è compromesso dal punto di vista del linguaggio, dal punto di vista cognitivo e relazionale.
(quindi prognosi 1/3 non ha sequele, 1/3 migliora, 1/3 ha reliquati di afasia).

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Diagnosi differenziale tra sindrome di Landau e Kleffner ed epilessia assenza del bambino
L’epilessia assenza del bambino si caratterizza per delle crisi di assenza pluriquotidiane, vale a dire di arresto
motorio, in cui il bambino si fissa: può avere un arresto motorio, può avere degli automatismi buccali tipo
masticazioneo delle mioclonie palpebrali e solitamente durante il sonno non c’è nulla. La sindrome Landau e
Kleffner è tipica di un bambino che parla e, ad un certo punto smette di parlare e di comprendere in
qualunque momento della giornata. Questo bambino può anche avere delle assenze ma la cosa
importante è che il bambino smette di parlare e di comprendere, diventa completamente afasico, si parla
di afasia acquisita, in cui si ha un’incapacità di decodifica fonologica. Quindi i quadri sono completamente
diversi: il paziente con assenza dell’infanzia al di fuori delle crisi comprende, parla, ha come dei blackout
solamente durante il momento della crisi (è chiaro che le crisi possono avere frequenza variabile nei vari
soggetti), ma al di fuori delle crisi è un bambino funzionalmente normale; il bambino con Landau e Kleffner
è afasico.”

Epilessia mioclonica severa dell’infanzia (sndr. di Davert) (aggiunta)


La sindrome di Dravet (SD) è una forma di epilessia, associata a disturbi dello sviluppo neurologico, che
insorge nel primo anno di vita nei lattanti senza antecedenti patologici personali, apparentemente normali
al momento dell’insorgenza delle crisi. La sua sintomatologia è relativamente stereotipata, ma può variare
da un paziente all’altro. La sua evoluzione si svolge in 3 stadi:

1. Stadio febbrile o diagnostico, nel primo anno.


Nella maggior parte dei casi, le prime crisi sono scatenatedalla febbre. Sono crisi convulsive (cloniche o
tonico-cloniche), generalizzate o unilaterali, interessanti principalmente una metà del corpo, variabile da una
crisi all’altra (crisi emicloniche alternanti). Spesso sono lunghe o molto lunghe necessitano un trattamento
d’urgenza (somministrazione rettale o in vena di un anticonvulsivante). Nelle settimane e mesi successivi le
crisi divengono più frequenti, insorgono anche senza febbre o con una febbre moderata (tra 37° e 38°) e
possono raggrupparsi in stati di male epilettici. Si deve sottolineare che le vaccinazioni possono essere un
fattore scatenante in alcuni pazienti.

2. Stadio di peggioramento.
Nei primi 2 o 3 anni di vita compaiono altri tipi di crisi: crisi miocloniche, assenze atipiche, crisi focali. Esse
possono essere provocate dalla febbre o da fattori ambientali: luminosità eccessiva o intermittente, patterns
(motivi geometrici regolari, linee, scintillii etc.), sforzo fisico, eccitazione, emozione. Un fenomeno di
autostimolazione può peggiorare la situazione. Simultaneamente, compaiono ritardo dello sviluppo
psicomotorio e disturbi del comportamento, più o meno importanti a seconda dei bambini. Si tratta
inizialmente di un lieve ritardo motorio o del linguaggio ed in seguito di un ritardo più globale. Il bambino è
spesso instabile, «iperattivo», e oppositivo, testardo, ostinato. I disturbi motori si manifestano come atassia,
deambulazione scoordinata, imprecisione dei gesti fini, tremori alle estremità. I disturbi del linguaggio
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inducono difficoltà di comunicazione che rendono difficile la sua socializzazione. Si possono manifestare,
inoltre, dei disturbi del sonno e problemi ortopedici (cifoscoliosi, piedi piatti).

3. Stadio di stabilizzazione.
Durante la seconda infanzia (a partire dai 4/5 anni) e l’adolescenza la situazione generalmente migliora, con
diminuzione, qualche volta scomparsa, delle crisi focali, delle assenze atipiche e delle crisi miocloniche, ma
le crisi convulsive persistono. Esse spesso hanno tendenza a presentarsi all’inizio o alla fine della notte.
Possono raggrupparsi in serie in alcuni periodi, ma gli stati di male sono più rari. Le crisi sono sempre sensibili
alla febbre, che succede molto più raramente. Si stabilizzano anche i disturbi psicologici. Raramente si può
osservare una certa tendenza all’aggressività ed un’evoluzione psicotica. Il deficit cognitivo permanente è
variabile, da moderato a severo, in base a quella che è stata l’evoluzione nei primi tre o quattro anni che non
è identica in tutti pazienti.

Età adulta
La maggior parte dei pazienti si presentano con un handicap globale, motorio e cognitivo che impedisce loro
una vita indipendente. L’epilessia rimane attiva, con crisi tonico-cloniche secondariamente generalizzate, di
frequenza variabile, gli altri tipi non essendo presenti in tutti i pazienti. I disturbi motori e cognitivi sono quelli
descritti sopra. In alcuni pazienti la deambulazione è compromessa dalla sintomatologia ortopedica e puo
necessitare l’uso di una poltrone a rotelle.

Convulsioni febbrili
Un’altra forma interessante che un tempo veniva collocata nelle forme speciali di epilessia, ai tempi della
classificazione dell’89, sono le convulsioni febbrili. È bene ricordarle perché sono condizioni che portano
all’accesso frequente in pronto soccorso dei bimbi, che presentano alta temperatura corporea, cioè con
temperatura > 38 ½ °.
È una forma di convulsività evento-correlata dovuta all’incremento della febbre (>38.5°C) su base non
conosciuta dal punto di vista eziopatogenetico anche se c’è una grossa predisposizione ereditaria.
Hanno un’età di comparsa molto definita dai 5 mesi ai 5 anni di età poi non si verificano più, e solitamente la
causa della febbre è la classica infezione che tutti i bambini possono avere a livello gastroenterico, a livello
delle vie aeree superiori, a livello polmonare e a livello urinario ed è proprio il conseguente incremento della
febbre che scatena la convulsione. Hanno un’incidenza del 3-4%, di solito con la ricorrenza massima prima
dei due anni tra i 18 e i 22 mesi. La prevalenza è nel sesso maschile (M : F = 1.4-1.7). La prima cosa da fare è
una diagnosi differenziale con un processo neurologico o epilettico legato ad un’infezione del SNC quindi una
meningite o una encefalite; una volta escluse dunque affezioni cerebrali acute/croniche e altre crisi senza
febbre siamo in grado di fare diagnosi di convulsione febbrile.
Le convulsioni febbrili sono solitamente delle crisi generalizzate di breve durata (8-10% dura più di 15min),
più raramente crisi con caratteristica di focalità o emi-generalizzate (4-8%).
Riguardo alla semeiologia, si distinguono due tipi:
 semplici-tipiche (80% dei casi); crisi tonico-cloniche generalizzate di breve durata (circa un minuto);
 gravi-complicate (20%); crisi parziali motorie, emicorpali, di lunga durata (oltre 15 minuti), con
paralisi post-critica transitoria (paralisi di Todd).
 stato di male febbrile che ha durata superiore ai 30 min (non è detto che rappresenti un evento a
prognosi sfavorevole; è una convulsione che ha una durata superiore ai 30min).
in caso di CF semplici non sono consigliati né EEG né TAC o RM, esami da eseguire in caso di forme complicate.
Le convulsioni febbrili di per sé non sono particolarmente rischiose. I bambini con convulsione febbrile sono
più frequentemente soggetti rispetto alla popolazione generale a sviluppare un’epilessia successiva (rischio
di sviluppo 2-4%), ma solitamente si tratta di epilessie con una buona evoluzione. L’epilessia che compare
dopo le CF ha due meccanismi patogenetici:
 Epilessia idiopatica  Le convulsioni febbrili, dunque, non ne sono la causa, ma segnalano
semplicemente una predisposizione all’epilessia idiopatica.
 Epilessia sintomatica: si manifesta con crisi parziali (soprattutto del lobo temporale), talora associata
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a difetti mentali e neurologici (emiplegia). È secondaria alla lesione, indotta dallo SM febbrile
(sindrome HHE, dove “E” indica l’epilessia successiva all’emiconvulsione-emiplegia).
Poiché la CF grave può essere la prima, i genitori di bambini minori di 2 anni dovrebbero ricevere dai pediatri
adeguate informazioni sulla sorveglianza degli episodi febbrili e sul trattamento acuto delle convulsioni che
si prolungano.

Il rischio delle convulsioni febbrili è la recidiva: dopo il primo episodio c’è un rischio del 34% di una recidiva
e nel 71% questa si verifica entro un anno dal primo episodio. I fattori che facilitano il rischio di recidiva sono:
 età < 12 mesi
 e soprattutto la familiarità positiva per convulsioni febbrili, (26-31%  è una domanda da fare
sempre quando si arriva in pronto soccorso a fare una consulenza); può esserci anche una familiarità
per epilessia ma è importante soprattutto quella per convulsioni febbrili. Nonostante ci sia questa
ricorrenza famigliare, il gene imputato non è stato ancora scoperto; si ipotizza una trasmissione
poligenica o dominante con una penetranza incompleta e anche che possano essere coinvolti dei
geni come FEB1 o FEB2, però è probabile che ci sia anche una trasmissibilità poligenica
multifattoriale.

La diagnosi differenziale va fatta con:


 le crisi febbrili che si verificano in altri tipi di epilessia come la sindrome di Dravet, chiamata anche
epilessia miotonica severa, che è un’encefalopatia epilettica in cui le crisi cominciano a comparire
anche per modici rialzi febbrili, a differenza delle convulsioni febbrili classiche
 e con altre situazioni con forme di epilessia focale lesionale
 e crisi che insorgono per temperature inferiore ai 38 gradi e mezzo
 condizioni legate ad encefaliti, a delirio febbrile, o brividi di febbre.

Trattamento delle convulsioni febbrili


In acuto
Il trattamento è in acuto solo con benzodiazepine per via endorettale (diazepam 0.5 mg/kg) se la CF non
recede in alcuni minuti. Nel caso non venga interrotta si deve portare in rianimazione per somministrazione
ev di barbiturici e garantire l’assistenza repisratoria.
Adesso abbiamo un altro prodotto, il Midazolam oromucosale che è molto più utile per i bambini più grandi,
nei quali la somministrazione endorettale può essere un po’ complicata e meno efficace. Nei bimbi piccoli è
consigliata la somministrazione endorettale perché l’assorbimento è molto rapido e molto funzionale in casa
dove chiaramente la somministrazione endovena non può essere fatta. La somministrazione oromucosale è
effettuata mediante siringhe predisposte il cui prodotto viene posto tra la gengiva e la guancia ed è molto
comodo nel ragazzino più grande in alternativa alla somministrazione endorettale.
È importante la posizione di sicurezza e l’utilizzo di paracetamolo per la febbre.

Profilassi
In acuto: in occasione degli episodi febbrili, per evitare l’insorgenza delle CF  antipiretici (paracetamolo)
borsa del ghiaccio, o ventilatore.
Tempo fa veniva consigliata la profilassi intermittente durante i periodi febbrili con benzodiazepine, ma
questa non è più utilizzata in quanto si rischiava di intorpidire il paziente, (senza neanche sapere se
effettivamente sarebbero venute altre crisi febbrili) che risultava assonnato e meno vigile; altri trattamenti
che venivano effettuati in passato, includevano l’uso dell’acido valproico o del fenobarbital per un periodo di
circa due anni durante il rischio di convulsione febbrili, cosa che oggi non si fa più e che è stata eliminata.

Domanda studente: “La recidiva di convulsioni febbrili avviene sempre e solo nel periodo prima dei cinque
anni d’età?”
Risposta: “Sì, per essere convulsioni febbrili devono essere limitate a questo periodo della vita: 5-6 mesi fino
ai 5 anni.”
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Domanda studente: “Se non ricordo male a neurologia ci dissero che durante la crisi l’unica indicazione
era farassumere al soggetto la posizione di sicurezza e aspettare che la crisi finisse senza somministrare alcun
farmaco.”
Risposta: “Questo dipende dalla conoscenza che si ha del paziente: se è la prima crisi è chiaro che bisogna
porre in posizione di sicurezza. Vi ricordo qual è: su un fianco, col capo lievemente abbassato, non
contenere il paziente. La posizione sul fianco garantisce la fuoriuscita delle secrezioni e la non occlusione
da parte della lingua, delle vie respiratorie, non inserire oggetti o le proprie dita in bocca al paziente; se
c’è un trisma lasciate che avvenga, ci sarà una morsicatura della lingua ma successivamente la ferita verrà
rimarginata. Se non si conosce il paziente si chiama il 118, se però si conosce il paziente, dopo due
minuti dall’inizio della crisi convulsiva, bisogna intervenire con la somministrazione della benzodiazepina
endorettale o a livello mucosale.”

Status Epilepticus (SE) o Stato di Male Epilettico (SME)-aggiunto


Lo stato epilettico (SE) è una emergenza neurologica che consiste in crisi che si ripetono per durate superiori
a 30 minuti senza recupero fra un episodio e l’altro (subentranti) o in un’unica crisi di durata superiore a 30
minuti. Possono comparire in pz con epilessia che in soggetti non con tale diagnosi per condizioni morbose
intercorrenti (febbre, metabolica ecc)
Si distingue in base alle sue manifestazioni elettrocliniche in:
 Parziale
- somatomotorio: mioclonie localizzate da cui possono partire scariche con marcia jacksoniana
a tutto l’emicorpo corrispondente;
- piscomotorio (“SE parziale complesso”): crisi parziali complesse o disturbi del
comportamento, talvolta con fuga epilettica (lobo frontale o temporale unilaterali o
bilaterali);
 Emicorpale: stati emiclonici, seguiti da sindrome HH transitoria o permanente;
 Generalizzato
- SE tonico-clonico;
- Stato di assenza, con clinicamente uno stato di alterazione della coscienza di vario grado
La condizione di maggiore gravità è lo Stato di Male in cui vi è la ricorrenza di manifestazioni motorie di tipo
clonico o tonico-clonico; la ripetizione di convulsioni generalizzate è un’emergenza per la vita, poiché
l’impegno cardiovascolare e respiratorio è molto intenso.
Le etiologie più frequenti sono le patologie cerebrovascolari, i traumi cranici, i tumori cerebrali, le infezioni
del sistema nervoso centrale, le encefalopatie metaboliche o da sostanze tossiche e i disordini elettrolitici.
Nel 20% circa dei pazienti non viene individuata alcuna causa scatenante e questo è più frequente nei pazienti
che già soffrono di epilessia. Nel 50% dei casi lo stato di male sopravviene per la sospensione improvvisa della
terapia antiepilettica in soggetti con epilessia cronica, ma può complicare patologie neurologiche acute e
croniche e malattie febbrili in soggetti senza preesistente epilessia.
La prognosi dipende prevalentemente dall’eziologia. Le linee guida per la gestione dello SE elaborate dalla
LICE distinguono inoltre tre differenti stadi di SE, sulla base del tempo intercorso dall’esordio dello stato e
della responsività ai farmaci somministrati:
 iniziale (primi 20-30 minuti);
 definito (dopo 20-30 minuti e fino a 60-90 minuti);
 refrattario (dopo 60-90 minuti).
Quando inizia lo SE, nei primi 30 min di crisi il cervello è ancora in grado di reagire, quindi anche se la crisi
continua non c’è danno cerebrale; dopo 30 min non ci sono più le difese e lo SE si autoalimenta (“cane che si
morde la coda”) e dopo ore diventa uno SE refrattario che non si riesce a trattare, se non in terapia intensiva
sotto anestetici. Il trattamento dovrebbe essere iniziato il prima possibile, in particolare nello SE generalizzato
convulsivo e dovrebbe prevedere alcune misure generali di supporto alle funzioni vitali, farmaci per
controllare l’attività epilettica e, laddove possibile, il trattamento della sottostante patologia alla base dello
SE. I farmaci in prima linea da dare sono le benzodiazepine, nello specifico valium endovena, 5-10 mg nel
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bambino e 10-20 mg nell’adulto. Se persiste la dose va ripetuta dopo 10-5 minuti per una o due volte. La
somministrazione deve essere spalmata in 3-4 minuti per evitare la depressione respiratoria. I farmaci di
seconda linea sono gli antipiretici e per ultimi gli anestetici.

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ENCEFALITI
Aggiunte da neuro, non in programma ma le hanno chieste a volte nei vecchi appelli

Per encefaliti si intendono un gruppo di malattie dovute principalmente a virus che colonizzano direttamente
il Sistema Nervoso Centrale (SNC), con andamento di regola acuto-subacuto.
L’infiammazione del parenchima cerebrale può estendersi alla superficie corticale e quindi al liquor,
determinando il quadro della meningoencefalite. L’invasione dell’encefalo ad opera di batteri determina
invece una infiammazione con un infiltrato composto principalmente da polimorfonucleati, che si trasforma
rapidamente in un ascesso.
L’epidemiologia delle encefaliti virali si distingue per: l’età di insorgenza, la zona geografica di diffusione, le
modalità di trasmissione, la prevalenza o meno in soggetti immunodepressi.

Eziologia
Forme acute:
 Herpes virus: HSV-1, HSV-2, VZV, CMV, EBV, HSV-6; è frequente l’infezione neonatale da virus
dell’Herpes simplex tipo-2 (HSV-2) che determina un’eruzione erpetica genitale nell’adulto e che
viene trasmesso al neonato durante il passaggio nel canale del parto.
 In Italia l’encefalite sporadica più frequente e quella dovuta al virus dell’HSV-1 che si manifesta in
soggetti normali.
 Adenovirus: molto rara, solo immunocompromesso;
 Influenza A (H1N1): sia encefaliti che meningiti durante la pandemia del 2009 specie in età pediatrica;
 Paramixovirus: morbillo (può causare meningite)
 Enterovirus: prevalentemente meningite, rare le encefaliti;
 Rabbia e poliomielite: significato prevalentemente storico;
 Arbovirus: Japanese encephalitis, St. Louis encephalitis virus, Tick-Borne Encephalitis o TBE, West
Nile encephalitis.
Forme subacute/corniche:
 AIDS virus: l’HIV puo determinare, oltre a molte infezioni opportunistiche, anche una
meningoencefalite durante la fase viremica iniziale e una encefalite nelle fasi avanzate della malattia
(AIDS-dementia complex);
 JC virus: sta aumentando in seguito ad aumento terapia immunosoppressiva;
 Morbillo: PESS (panencefalite sclerosante subacuta), molto diminuita dopo l’introduzione vaccino.

Vengono trattate in maniera sintomatica, nello specifico cerchiamo soprattutto di controllare l’ipertensione
endocranica che puo essere causa di lesioni anche irreversibili; a seconda delle circostanze si ricercheranno
microrganismi piu rari (JCV, HIV, malattie prioniche): essenziale l’anamnesi.

Quadro clinico
Si osserva una combinazione di segni encefalitici aspecifici e segni neurologici focali con andamento acuto-
subacuto. Sono presenti in particolare:
cefalea;
 febbre;
 cambiamenti del comportamento;
 confusione mentale;
 torpore;
 alterazione dell’olfatto per interessamento del lobo temporale, tipico delle forme herpetiche, che
sono tra le forme più gravi e pericolose e, quindi, questo può esserne un efficace
 campanello d’allarme;
 deficit neurologici focali

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 prodromi di tipo gastrointestinale o respiratorio, a seconda di quello che e l’agente eziologico;
 segni meningei più lievi o assenti e meno accentuati rispetto ad altre manifestazioni.

I segni focali sono legati alla localizzazione del focolaio encefalitico; tra i più frequenti si ricordino: emiparesi,
afasia, crisi epilettiche parziali o generalizzate. L’andamento clinico può essere rapido (poche ore) o subdolo
(giorni o settimane). La mortalità in passato era superiore al 50% dei casi; la terapia con aciclovir ha ridotto
tale numero a meno del 20%. Nelle forme gravi sono frequenti le sequele neurologiche: epilessia, disturbi del
carattere, deficit cognitivo.

Terapia
La principale caratteristica di una terapia efficace e la sua tempestivita, bisogna subito fare un esame del
liquor. Bisogna controllare l’ipertensione endocranica, somministrare gli antibiotici/antivirali a seconda del
sospetto diagnostico e garantire adeguate condizioni di metabolismo cerebrale per esempio nutrizione
parenterale, idratazione e controllo di eventuali squilibri elettrolitici se il paziente e in coma. A causa della
sua relativa assenza di tossicità, nella maggior parte dei casi viene usato Aciclovir, sia stata o meno
confermata la diagnosi di encefalite da virus dell’HSV o VZV, per evitare i rischi di cui si e parlato prima cioè il
paziente sembra essere negativo invece ha una forma così iniziale che non si riesce ad individuarla e quindi
ha un’evoluzione infausta.

Encefaliti acute da Herpes Virus


Gli Herpes Virus sono virus relativamente grandi, capsulati, con DNA a doppia elica; oltre ad encefaliti essi
possono dare anche forme tipo mieliti e radicolomieliti.

Encefalite da Herpes Simplex (HSE)


Anatomia patologica
Il quadro macroscopico e tipico, con congestione e necrosi emorragica che coinvolge il lobo temporale e,
variabilmente, l’insula, il giro del cingolo e la corteccia orbitale frontale posteriore (questa altera il
parenchima che sta sotto alle meningi). Nei pazienti che muoiono dopo alcune settimane la necrosi
emorragica progredisce e si trasforma in cavitazione ed atrofia. Il quadro microscopico si caratterizza per:
 Fase acuta
I neuroni affetti hanno citoplasma moderatamente ipereosinofilo e nuclei picnotici; i nuclei (e a volte
anche il citoplasma) possono contenere inclusioni eosinofile (corpi di Cowdry di tipo A).
 Fase necrotizzante
Le lesioni mature, complete (full-blown) mostrano aree necrotiche, foci di emorragia e un intenso
infiltrato di linfociti e macrofagi sia perivascolare che interstiziale. A questo stadio le inclusioni
nucleari sono rare. Antigeni virali sono ben dimostrabili mediante immunoistochimica entro 3
settimane dall’esordio della sintomatologia, mentre il DNA virale puo essere trovato con ibridazione
in situ (o PCR) sia su sezioni congelate che incluse in paraffina.

Quadro clinico
I pazienti presentano una combinazione di:
 sintomi/segni aspecifici di encefalite (cefalea, febbre, rigidità nucale, sopore/coma);
 segni neurologici focali: disfasia, emiparesi, crisi epilettiche focali (più spesso temporali).
Senza trattamento, la malattia progredisce rapidamente in pochi giorni ed è generalmente mortale (>70%).
Dopo l’introduzione di farmaci efficaci, in particolare l’aciclovir (10 mg/kg ogni 8 h ev per 14-21 giorni), la
mortalità e la morbidità sono diminuite significativamente (attualmente mortalità intorno al 20%).

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