Sei sulla pagina 1di 34

Neuropatie periferiche

Si differenziano in: distocico = parto difficoltoso che si svolge in maniera diversa da quella fisiologica
- mononeuropatie: paralisi periferiche dovute ad esempio ad un parto distocico
- polineuropatie: interessano più nervi, e possono essere
 ereditarie
 acquisite

Sindrome di Guillain-Barrè
È una polineuropatia acuta-subacuta demielinizzante di origine autoimmune, la più frequente tra le acquisite.

Epidemiologia
è una patologia con un’incidenza di 0.89-1,89/100.000 persone e si trova anche come patologia frequente di
accesso in PS.

Eziopatogenesi
si tratta di soggetti in età evolutiva, visto che la NPI riguarda soggetti da 0 a 18 anni, che magari hanno avuto
una precedente infezione di varia natura (potrebbe essere un’infezione delle vie respiratorie, oppure un
problema gastrointestinale, o anche post-vavvinazione); dopodiché sviluppano una sintomatologia di tipo
neurogeno, solitamente con un andamento caudo-craniale, quindi molto spesso c’è un interessamento a
carico degli arti inferiori, con successiva propagazione verso gli arti superiori e anche verso i nervi che
possono avere importanza rispetto alla respirazione o comunque alla muscolatura respiratoria.
Solitamente, probabilmente, è legata a un’alterazione immunologica sulla base di una immunità crociata
verso [i patogeni] (ad es. Campylobacter jejuni nel 30% dei casi di infezione, ma anche CMV). Quindi
sembrerebbe una reazione di tipo autoimmunitario nei confronti di un agente infettivo pregresso che
determina una risposta immunitaria contro i nervi e il sistema nervoso.

Clinica
Ha una fase acuta dalla durata media di 8 giorni, con:
- parestesie,
- ipostenia ingravescente caudo-craniale,
- dolore,
- iperestesia,
- areflessia profonda
- segni disautonomici,
- turbe della deglutizione.
Se il processo non viene riconosciuto rapidamente, se non si fa una diagnosi precoce, possono esserci
problematiche anche di tipo respiratorio e deglutitorio. È una patologia grave, con decorso variabili: ci può

34 di 122
essere un aggravamento importante rapido, ci potrebbe essere una fase iniziale e poi una sorta di plateau
(da pochi giorni ad un mese), seguito da una lenta ripresa.
Complicanze:
- Ventilazione assistita nel 17% dei casi,
- aritmie cardiache e turbe respiratorie nel 4%
- Deficit neurologici residui nel 5-10% dei soggetti

Diagnosi
l’esame obiettivo neurologico e l’anamnesi, soprattutto il riconoscimento di un problema infettivo
precedente che si associa a questa progressiva sintomatologia, devono mettere in sospetto il medico. Poi
chiaramente l’EON è importante perché si rileva areflessia, parestesie e dolori molto intensi, oltre che
un’ipostenia.
- L’esame che aiuta è l’analisi del liquor in cui si osservano una dissociazione albumino-citologica e
proteinorracchia; questa situazione potrebbe non essere evidente immediatamente, ma potrebbe
manifestarsi successivamente con proteinorrachia 100mg/dL o più (50% nella prima settimana,
75% nella terza settimana), quindi se il sospetto diagnostico sussiste, sono da tenere presente
anche questi possibili falsi negativi iniziali.
- La velocità di conduzione (VDC) mostra segni di neuropatia demielinizzante, quindi a livello di
mielina, di conduzione dell’impulso nervoso.
- L’altro esame molto importante è la RM con mezzo di contrasto del rachide, solitamente positiva
per un’impregnazione del MDC a livello delle radici nervose.

Terapia
bisogna intervenire con:
- Immunoglobuline endovena ad alte dosi, plasmaferesi (solo nelle forme più gravi) ed
eventualmente farmaci per il dolore come il Gabapentin.
- Nelle forme più gravi si può arrivare anche ad una necessità di supporto ventilatorio. Si tratta di
condizioni molto gravi con ventilazione assistita, artimie cardiache, turbe respiratorie importanti,
per cui non è infrequente che un paziente possa essere ricoverato in rianimazione, con anche
rischio di ab ingestis
- La diagnosie il trattamento precoce aiutano chiaramente a prevenire tutte queste complicanze.

Come si può vedere in questa slide, è importante il monitoraggio della funzionalità cardiaca e polmonare,
quindi si fanno varie valutazioni a seconda della gravità del caso. In caso di situazioni di importante ipostenia,
35 di 122
in cui il soggetto non è in grado di muoversi, è possibile un utilizzo profilattico di eparina, per l’inattività e
quindi l’allettamento del paziente che può durare anche lungo tempo. E poi, come già detto, l’utilizzo di Ig
endovena.

Polineuropatie ereditarie

Disturbi della giunzione neuromuscolare (da CLUEB)

(tensilon = inibitore acetilcolinesterasi)

Diagnosi delle patologie neuromuscolari


- Valutazione anamnestica: importante soprattutto relativamente alla familiarità e alla consanguineità
- EON: esame del paziente a riposo
- Ricerca di dimorfismi per es. piede cavo, fissità articolari (artrogriposi), deformità
- Facies amimica, paralisi oculomotoria (ptosi, strabismo)
- Conformazione toracica (paralisi m. respiratori)
- Trofismo muscolare
- Motilità spontanea
- Forza muscolare con movimento spontaneo (per es. prendere un giocattolo) trazione del tronco (m.
del collo), posizione prona, nel bambino più grande esplorazione della forza esplorando i differenti
distretti
- Controllo dei nervi cranici (oculomotori, alterazioni deglutizione)
- Studio riflessi
- Fascicolazioni, miotonia, crampi, ecc.

Ricapitolando, la diagnosi di queste patologie neuromuscolari è legata molto anche all’expertise,


all’esperienza, alla familiarità, che può avere il medico con queste patologie, perché sono patologie molto
numerose e varie. Sono patologie che si sono molto sviluppate recentemente, anche per il nuovo approccio
genetico, con cui si sono scoperte tante cose.
- Fondamentale è l’anamnesi, che aiuta a definire la presenza di familiarità per patologie simili (molte
di queste patologie sono genetiche e in alcune di esse è possibile anche una diagnosi prenatale);
importante è anche il concetto di consanguineità (soprattutto pensando al multiculturalismo di
oggigiorno); anche la poliabortività può essere un elemento importante, che può suggerire forme più
metaboliche o di tipo mitocondriale.
36 di 122
- Molto importante è l’EON. Bisogna avere un’idea di tutti gli step che si seguono nell’EON: ha
prevalentemente una valutazione gerarchica, in cui si parte dal capo e si scende, si parte dalla
valutazione delle funzioni superiori, dei nervi cranici e poi di tutte le funzioni sensoriali, motorie e
cerebellari; chiaramente questo non sempre è facile perché il bambino non è collaborante. È molto
importante osservare il paziente, perché alcune di queste patologie possono associarsi a:
o dismorfismi (artrogriposi, fissità articolari, deformità, piede cavo),
o facies o postura particolari che possano far pensare a un’ipotonia, piuttosto che a un
problema muscolare (es. facies amimica, ptosi, strabismo),
o conformazione del torace (definita la scorsa volta parlando delle amiotrofie muscolari
spinali).
- Quindi bisogna valutare il trofismo muscolare, la motilità spontanea, la forza muscolare, il
movimento spontaneo. Il bambino chiaramente non collabora sempre nel valutare la forza, però è
possibile valutarla facendolo alzare da terra, mettendolo sdraiato e facendolo alzare, facendolo
“arrabbiare” per sentire la sua capacità reattiva.
- Bisogna valutare anche i nervi cranici, la deglutizione, i riflessi (che in molte di queste patologie
possono essere ridotti o aboliti), alcune manifestazioni muscolari (fascicolazioni, miotonia, crampi).

Esempi quadri clinici


- amiotrofia spinale: deficit motorio severo con facies espressiva, fascicolazioni, torace ristretto
trasversalmente, ROT assenti
- miopatia congenita: deficit motorio di media intensità a predominanza prossimale, facies amimica,
turbe della deglutizione
- alterazione del SNC: deficit motorio, ipotonia assiale, ipertonia degli arti, strabismo
- distrofia muscolare di Duchenne, più raramente amiotrofia spinale tardiva: deficit motorio
prossimale bilaterale soprattutto AAII
- neuropatie: amiotrofia e deficit forza distale, areflessia o iporeflessia
Gli esami da richiedere comprendono: esami ematochimici, EMG, VDC sensitivo-motoria, PES, ecografia
muscolare, RM muscolare, biopsia muscolare o del nervo, esami genetici o metabolici
[La prof dice che spesso all’esame chiede cosa ci si aspetti di vedere all’EON di un paziente con disturbo
piramidale/extrapiramidale/miopatia… conoscere un po’ le caratteristiche dell’obiettività neurologica].

Il medico deve basarsi su anamnesi e EON, poi oggigiorno ci sono tutta una serie di esami più specifici. Ad
esempio, di possono fare dei pannelli genetici che studiano delle miopatie o delle distrofie muscolari. Forse
quindi fare una biopsia muscolare, fare degli esami più invasivi, [è importante].
In questi pazienti gli esami ematochimici sono sempre importanti perché CPK, LDH le transaminasi possono
essere alterate in forme miopatiche. L’EMG e la VDC sensitivo-motoria sono molto importanti dal punto di
vista neurologico, perché distinguono una patologia del muscolo da una del nervo.
I potenziali evocati, l’ecografia muscolare, la RM muscolare, la biopsia, sono importanti. Inoltre, oggigiorno,
si hanno a disposizione anche esami genetici e metabolici che aiutano a fare una diagnosi anche senza dover
fare una biopsia. Quindi a volte un prelievo ematico può evitare altri esami più invasivi, però non è detto e
non si può escludere che questi esami invasivi siano importanti per la diagnosi

37 di 122
DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE (DCA)
(integrata con materiale di Psichiatria)

I disturbi dell'alimentazione sono un gruppo di sindromi cliniche in cui ad una condizione psicopatologica
corrisponde una persistente alterazione della condotta alimentare e la presenza di comportamenti volti al
controllo del peso e della forma del corpo.
Tali alterazioni comportano danni alla salute fisica e compromettono in misura significativa il funzionamento
psicosociale. Sono patologie complesse, caratterizzate da:
- anomalie del pattern dell’alimentazione
- pensieri e preoccupazioni ricorrenti relativamente alla forma fisica, al peso e all’immagine corporea
(quindi diventa molto importante quello che oggigiorno è chiamato body shame). La forma fisica, il
peso, l’immagine corporea diventano fondamentali rispetto a quello che poi l’individuo definisce la
propria autostima: in queste patologie, l’incremento ponderale, o il pensare di aver preso peso,
incidono in senso negativo sull’autostima personale.

Nel corso del tempo, queste patologie sono diventate sempre più frequenti, tanto da pensare ad una sorta
di epidemia sociale (↑frequenza dagli anni ’50). È una condizione che interessa i paesi industrializzati e nel
corso del tempo si è valutato sempre più, attraverso studi più approfonditi, quello che si può trovare
associato a questi disturbi, condizioni psicopatologiche che si trovano in comorbidità con i DCA.

Classificazione
C’è stata un’evoluzione tra DSM-4 e DSM-5 perché, mentre nel DSM-4 si faceva una distinzione tra i disturbi
dell’alimentazione e della nutrizione in età precoce e, invece, i disturbi del comportamento alimentare in
età più tardiva, nel DSM-5 c’è un unico capitolo, dove si definiscono i disturbi dell’alimentazione e della
nutrizione; tra questi vengono riportati:

- PICA: ingerire materiali o oggetti che non sono commestibili


- Disturbo della ruminazione
- Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID)
- Anoressia nervosa
- Bulimia nervosa
- Binge eating disorder: nel DSM-4 non era considerato disturbo a sé stante, ma era preso in esame
nel disturbo del comportamento alimentare senza specificazione. Questa categoria invece è stata
enucleata e attualmente nel DSM-5 ha un suo riconoscimento.
- Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con altra specificazione
- Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione

38 di 122
Nel il DSM-5 (un altro manuale è il ICD-10, molto utilizzato nei servizi), si trova una prevalenza:
- dell’anoressia nervosa (AN)
- del 4%, per la bulimia nervosa (BN)
- del 2% e del binge eating disorder (BED) del 2%.

Dati epidemiologici
In un gruppo di studi negli anni 2003-2007, la prevalenza durante la vita in giovani femmine era:
 0.3-0.9% per AN,
 1-2% per BN,
 3.5% per BED,
 fino al 10% per i disturbi non altrimenti specificati.
Per i maschi si hanno valori più bassi rispetto alle femmine:
 0.3% per AN,
 0.5% per BN,
 2% per il BED,
In un altro studio del 2016, per le femmine AN è al 1-4%, BN al 1-2%, BED 1-4%; sostanzialmente si
osserva un incremento per AN. Per il maschio, in generale per tutti i disturbi, la prevalenza è 0.3-0.7%.
Un altro studio del 2019 di Galmiche et al. mostra una prevalenza media di
 AN: 1-4% nelle femmine, 0.2% nei maschi;
 BN: 1.9% nelle femmine, 0.6% nei maschi;
 BED: 2.8% nelle femmine, 1% nei maschi.

Quindi c’è stata una sorta di incremento della patologia, soprattutto nel sesso femminile, ma anche in quello
maschile. Inoltre, notare come l’AN tenda a prevalere nei soggetti di età inferiore rispetto alla BN e al BED.
La mortalità è elevata, soprattutto per l’AN. Sono condizioni di mortalità di vario genere, perché possono
esserelegate ad uno stato cachettico, di progressiva consunzione, legato alla non introduzione di cibo e anche
di acqua, ma anche legate ad episodi anticonservativi, nel senso che può capitare, soprattutto quando ci sono
comorbidità con altre psicopatologie, che si possa arrivare ad atti auotolesivi, fino ad arrivare all’atto
anticonservativo che porta alla morte, il suicidio.

Eziopatogenesi
I principali fattori eziopatogenetici identificati sono:
- Fattori ambientali (contesto famigliare, insoddisfazione per il corpo, pubertà e menarca, traumi,
attaccamento insicuro, etc.)
- Fattori biologici (temperamento, familiarità per patologie psichiatriche o DCA)
- Interazione geni – ambiente  alterato funzionamento gene trasportatore della serotonina (5-
HTTLPR) e interazione con eventi traumatici durante la vita (Rozenblat et al., 2016- review)
- Alterazioni connettività cerebrale nella AN (insula, talamo, giro frontale inferiore, amigdala, giro
fusiforme,putamen) (Gaudio et al., 2018)

L’eziopatogenesi in questo caso è estremamente complessa, perché in generale nei disturbi psichiatrici si
parla di un’eziopatogenesi multifattoriale. In tante disabilità nell’età evolutiva, come ad esempio l’ADHD
(Attention Deficit Hyperactivity Disorder) oppure disturbi dell’umore o altre patologie come i DCA, sempre si
parla di multifattorialità.
In questo caso ancora di più perché la cultura, gli stereotipi, la società, il famoso, body shaming, quella che è
l’importanza del corpo, dell’esteriorità, giocano molto su questo tipo di patologia. È innegabile che altre
condizioni, come la presenza di problematiche a livello famigliare, un vissuto della pubertà difficile, così come
del menarca, traumi di vario tipo, come anche il bullismo o violenze vissute, o condizioni ancora più
anticipate, come le problematiche dell’attaccamento precoce del bambino nei primi mesi ma anche nei primi
anni di vita, sono fattori sicuramente importanti che possono influire.

39 di 122
Poi è chiaro che, in tutto questo, bisogna sempre tenere in considerazione alcuni fattori biologici:
l’ereditarietà e la familiarità. Familiarità per cosa? Sicuramente per i DCA, perché molto spesso questa
condizione ricorre nella famiglia, ma anche familiarità per altre patologie psichiatriche.
Anche il temperamento, che è una componente innata della personalità, biologicamente determinata, può
in qualche modo influire anche su determinate scelte e comportamenti.
Pertanto, in conclusione, si parla della solita interazione geni-ambiente, dove chiaramente i neuromediatori
sono molto importanti. Quando si parla di neuromediatori ci si riferisce di solito a serotonina, noradrenalina,
dopamina - e poi ci sono anche degli studi interessanti recenti che parlano di alterazioni a carico della
connettività cerebrale. Questo si vede anche per altre patologie, di sicuro non influenzate dal contesto
culturale, sociale, ambientale, come ad esempio il disturbo di spettro autistico, dove è evidente che esiste
un’alterazione a livello della connettività cerebrale (una volta si parlava di ipoconnettività, adesso si parla di
iperconnettività) o comunque di squilibri a livello di quella che è la normale connettività cerebrale tra varie
aree cerebrali: l’insula, il talamo, il giro frontale inferiore, l’amigdala, il giro fusiforme, il putamen. Ci sono
articoli interessanti in letteratura su queste argomentazioni.

Riguardo l’aspetto genetico, quello che la prof vuole rimarcare non è tanto la ricorrenza genetica, che non è
così ‘brillante’ rispetto anche ad altre psicopatologie, ma la possibilità della presenza di una ricorrenza
genetica mista per altre patologie diversamente associate tra di loro, e come, a volte, vi sia la possibilità di
correlare in maniera più precoce disturbi del comportamento alimentare a specifici parametri, come per
esempio; il BMI, l’obesità, la secrezione insulinica, quella che è la curva del peso dell’individuo, cioè se
l’individuo ha tutto sommato una curva del peso già precocemente in età evolutiva un po’ più bassa rispetto
a quelle che sono invece le valutazioni di crescita regolare.
Quindi probabilmente è un discorso molto complesso, dove non solo c’è una ricorrenza psicopatologica, ma
ci sono altri fattori di tipo metabolico che possono in qualche modo favorire la ricorrenza di questi disturbi.
In letteratura si possono trovare tante altre cose, per esempio anche l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, la
secrezione del cortisolo, l’effetto della leptina prodotta nel tessuto adiposo sono ridotte nell’AN. Oppure
possono essere coinvolti diversi aspetti, come la grelina secreta dalle cellule endocrine della mucosa gastrica,
o i circuiti dorsale e ventrale a livello di connettività cerebrale rispetto anche alle azioni di rinforzo e di
gratificazione nei feedback neurali, che si trovano coinvolti anche in altre psicopatologie dell’età evolutiva.

Sicuramente sono argomenti molto interessanti e ancora da approfondire che però caratterizzano appunto
anche la multifattorialità eziopatogenetica.

Avoidant/restrictive food intake disorder (ARFID)


Il disturbo evitante/restrittivo dell'assunzione di cibo, precedentemente noto come disturbo della nutrizione
dell'infanzia o prima infanzia, è caratterizzato da una mancanza di interesse nel cibo e da evitamento dello
stesso, basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo o da conseguenze percepite nell'assunzione. Questo
disturbo recentemente incluso nel DSM-5 estende la conoscenza sulla natura dei problemi alimentari
comprendendo anche adolescenti e adulti.
Il disturbo si manifesta attraverso un fallimento persistente nel soddisfare i bisogni nutrizionali o energetici,
come evidenziato da uno o più dei seguenti aspetti:
perdita di peso consistente o mancato raggiungimento del peso previsto, deficit nutrizionale, dipendenza
dalla nutrizione parenterale o da integratori alimentari, oppure marcata interferenza con il funzionamento
psicosociale. Può esordire con un completo rifiuto del cibo, una selezione del cibo, l'assunzione troppo scarsa
di cibo, l’evitamento dello stesso e una ritardata auto-alimentazione.
La diagnosi non dovrebbe essere posta in un contesto di AN, BN, o se causata da una condizione medica, da
un altro disturbo mentale o da una reale mancanza di disponibilità di cibo. I bambini con con questo disturbo
possono risultare introversi, irritabili, apatici, o ansiosi.
Rispetto agli altri soggetti, a causa del comportamento evitante durante la nutrizione, diminuisce il contatto
fisico tra madre e tiglio durante l'intero processo della stessa. Alcuni studi indicano che l'evitamento o la
restrizione possano risultare relativamente durature; tuttavia, in molti casi può essere raggiunto un normale
40 di 122
funzionamento in età adulta.
Molti bambini piccoli con disturbo della nutrizione identificati entro il primo anno di vita e che ricevono il
trattamento non sviluppano malnutrizione, ritardo evolutivo o scarsa crescita. Quando i disturbi della
nutrizione esordiscono più tardi, in bambini di 2 o 3 anni, la crescita e lo sviluppo possono esserne influenzati
nei casi in cui il disturbo persista da parecchi mesi. Nei bambini più grandi o negli adolescenti, il disturbo
interferisce con il funzionamento sociale finché non viene trattato.
Necessitano, a volte, di avere una sorta di alimentazione forzata di tipo enterale o di supplementi nutrizionali
particolari, ed è spesso una condizione che si associa a problematiche psico-sociali e relazionali dell’individuo.
È un disturbo che NON è legato alla distorsione della propria immagine corporea, come per AN, BN o BED.
Qui l’immagine del corpo non ha importanza (non c’è una polarizzazione sul corpo) e non si colloca in un
contesto in cui c’è una impossibilità effettiva di avere cibo.
Ci sono anche delle valutazioni in letteratura rispetto a determinate selettività alimentari o problematiche
sensoriali che si trovano in bambini con disturbo dello spettro autistico, che possono avere comportamenti
di evitamento del cibo. È quindi una categoria molto generale, al cui interno si possono trovare molte
condizioni psicopatologiche diverse, dove il rifiuto del cibo però non è polarizzato sull’immagine corporea o
sull’incremento ponderale, è più un rifiuto a priori, per vari motivi.

PICA
La pica viene definita come una persistente ingestione di sostanze senza contenuto alimentare. In tale
disturbo non si riscontrano generalmente anomalie biologiche specifiche ed essa viene identificata in molti
casi soltanto quando insorgono problemi medici quali un'ostruzione intestinale, un'infezione intestinale o un
avvelenamento, come l'intossicazione da piombo dovuta all'ingestione di scaglie di vernice a base di piombo.
La pica si presenta più frequentemente nel contesto di un disturbo dello spettro dell'autismo o di una
disabilità intellettiva; comunque, viene diagnosticata soltanto quando si dimostra sufficientemente severa e
perdurante da richiamare l'attenzione clinica. La pica può esordire nei bambini Piccoli, negli adolescenti o
negli adulti; tuttavia, per porre diagnosi di tale disturbo è stato indicato dal DSM-5 un'età minima di 2 anni.
al fine di escludere il gesto, evolutivamente appropriato da parte dei bambini piccoli, di portare alla bocca
oggetti che accidentalmente possono essere ingeriti.
Il disturbo si manifesta sia nei maschi che nelle femmine e, in rari casi, può essere associato alla convinzione
di tipo culturale riguardante il beneficio spirituale o medicamentoso di ingerire sostanze non nutritive. In
questo contesto la diagnosi di pica non viene applicata. Tra gli adulti, certe forme di pica che comprendono
la geofagia (mangiare la terra) e amilofagia (mangiare l'amido) sono state osservate in alcune donne durante
la gravidanza.

Eziologia
La pica si presenta perlopiù come disturbo transitorio che tipicamente persiste per alcuni mesi e
successivamente va incontro a remissione. Nei bambini più piccoli, si osserva più assiduamente tra coloro
che rivelano ritardi evolutivi dell'eloquio e della socializzazione. Un numero sostanziale di adolescenti affetti
da pica manifesta sintomi depressivi ed uso di sostanze. In qualche caso sono state riportate
aneddoticamente carenze nutrizionali di sostanze minerali quali lo zinco o il ferro, anche se queste
segnalazioni risultano rare. Ad esempio, il desiderio incontrollato di sostanze sporche e di ghiaccio è stato
riscontrato in associazione a deficit di ferro e zinco, la cui somministrazione ne provoca la scomparsa. In
alcuni casi di pica è stato registrato un maltrattamento severo del bambino sotto forma di trascuratezza
genitoriale e di deprivazione. La mancanza di supervisione, così come di un'adeguata alimentazione del
bambino piccolo può incrementare il rischio di pica.

Manifestazioni
Mangiare ripetutamente sostanze non commestibili non è considerato normale dopo i 18 mesi di vita;
comunque, il DSM-5 suggerisce un'età minima di 2 anni per porre diagnosi di pica. I comportamenti della
pica, tuttavia, possono insorgere nell'infanzia tra i 12 e i 24 mesi di vita. Le sostanze specifiche ingerite variano
in base all'accessibilità e aumentano con la padronanza della capacità di spostamento da parte del bambino,
41 di 122
con il risultato di una maggiore indipendenza e di una diminuita supervisione genitoriale. Di norma i bambini
più piccoli possono ingerire vernice, gesso, cordicelle, capelli e tessuti, mentre i bambini più grandi possono
ingerire terra, feci di animali, piccole pietre e carta. Le implicazioni cliniche possono essere benigne o
pericolose per la vita del bambino, a seconda dell'oggetto ingerito. Tra le più serie complicanze vengono
segnalate l'intossicazione da piombo (solitamente da vernici a base di piombo), le parassitosi intestinali a
seguito dell'ingestione di rifiuti o feci, l'anemia e la carenza di zinco in seguito all'ingestione di terra, una
grave carenza di ferro dovuta all'ingestione di grandi quantità di amido e l'ostruzione intestinale derivante
dall'ingestione di tricobezoari, pietre o ghiaia. Spesso la pica si risolve in adolescenza (o può persistere anche
per anni), ad eccezione di quella legata al disturbo dello spettro dell'autismo e della disabilità intellettiva. La
pica associata alla gravidanza solitamente scompare con il termine della stessa.

Anoressia nervosa (AN)


(Nella dispensa CLUEB scritta dalla prof c’è ancora la valutazione del DSM-4).

Il quadro clinico di maggior gravità di questo gruppo di disturbi per le gravi conseguenze che determina sul
piano fisico con rischio di mortalità. Le conseguenze fisiche possono derivare dalla perdita di peso eccessivo,
dall'alterazione nell'apporto calorico, o possono derivare dalle condotte compensatorie (ad esempio squilibri
elettrolitici derivanti da ripetuti episodi di vomito autoindotto). L'anoressia nervosa è il quadro più grave poiché
è determinato da un'alterazione psicopatologica più profonda: mentre negli altri disturbi dell'alimentazione il
problema è un alterato rapporto con il cibo, nell'anoressia il problema è un rapporto patologico con il proprio
corpo e la propria sessualità che solo secondariamente comporta il disturbo alimentare (tra l'altro sono spesso
presenti altri comportamenti patologici — ad esempio atti autolesivi — espressione dell'alterato rapporto con
il propria corpo).
Il dimagramento rappresenta il tentativo correggere la forma del proprio corpo, le proprie fattezze fisiche
sgradite o non accettate. La denominazione anoressia è quindi impropria poiché non si tratta di una riduzione
o di una scomparsa dell'appetito.

Manifestazioni essenziali
Il quadro clinico dell'anoressia nervosa comprende usa serie variegata di sintomi e di elementi psicopatologici
correlati alle alterazioni della condotta alimentare.

Secondo il DSM-5, i sintomi fondamentali per porre diagnosi del disturbo sono tre e devono essere presenti
tutti perché il quadro sia tipico e conclamato:

42 di 122
1. Restrizione dell'apporto energetico rispetto al necessario che conduce ad un peso corporeo
significativamente basso tenendo conto dell’età, del sesso, della traiettoria evolutiva e dello stato di
salute fisica. Risulta difficile definire in modo uniformemente accettato un peso significativa-mente
ridotto. Se si considera l'Indice di Massa Corporea (BMI), l'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO)
considera normale un valore pari o superiore a 18,5 kg/ m2 e indice di magrezza moderata/severa un
valore inferiore a 17 kg/m2. Il DSM-5 prevede uno specificatore di gravità della anoressia nervosa a
seconda del valore di BMI:
o lieve se il BMI è 17 kg/m2
o moderata se il BMI è compreso tra 16 e 16,99 kg/m2
o severa se compreso tra 15 e 15,99 kg/m2
o estrema se <15 kg/m2.
La restrizione alimentare riguarda prevalentemente i cibi ricchi di lipidi e i carboidrati, che vengono
eliminati progressivamente dalla dieta e sostituiti con frutta e verdura o fibre e integratori vitaminici
nella convinzione di voler dimagrire mantenendosi in buone condizioni di salute
Spesso le pazienti iniziano a controllare e a sovraintendere chi cucina per la paura che ci siano
eccessivi condimenti o che non vengano rispettate le quantità prescritte e rapidamente arrivano a
rifiutare qualsiasi cosa che non sia preparata da loro stesse. Il pasto comincia a diventare motivo di
ansia e iniziano a procrastinare il momento di sedersi a tavola fino a sovvertire completamente
l’orario dei pasti. Se costretta a mangiare riduce il cibo in elementi piccolissimi e li sparpaglia nel
piatto, giocherellandoci anche per ore. Il dimagramento e il mantenimento di un peso al di sotto della
norma possono avvenire attraverso differenti condotte alimentari. A seconda delle caratteristiche
prevalenti del comportamento alimentare abnorme, si distinguono due diversi sottotipi clinici del
disturbo:
o sottotipo con restrizioni (50%) la diminuzione dell'apporto calorico viene attuata o con una
riduzione delle porzioni oppure attraverso l'esclusione di specifici alimenti (la carne, i
carboidrati, ecc.) o il salto di alcuni pasti. Alcune forme di pseudo-vegetarianesimo o di scelte
dietetiche a scopi apparentemente religiosi ed ecologisti (per purificazione del corpo, per
detossificazione) celano in realtà una scelta diversa: in questo modo, il paziente nasconde
agli altri e in parte a sé stesso la necessità di doversi imporre delle restrizioni dietetiche per
dimagrire. L'eccessivo ricorso ad esercizi fisici può costituire un'altra modalità per mantenere
un peso corporeo significativamente basso senza dover ricorrere all'uso improprio di
condotte di eliminazione;

o sottotipo con abbuffate e condotte di eliminazione (binge purging-50%) in questi casi i


pazienti tentano di ridurre l'apporto calorico ma non riescono a mantenere un controllo
costante sul proprio comportamento alimentare. Le rigorose limitazioni autoimposte si
traducono nella messa in atto di abbuffate: le pazienti cedono all'impulso di mangiare in poco
tempo una grande quantità di cibo, con assoluta perdita di controllo sull'alimentazione. La
perdita di controllo sull'alimentazione è evidenziata dal fatto che le pazienti mangiano cibi
cotti e crudi insieme, mescolando dolce e salato, senza tener conto del normale ritmo,
ordine, gusto che regola l'alimentazione normale. È presente una commistione di aspetti
impulsivi (l'abbuffata) e compulsivi (i rituali di eliminazione del cibo ovvero i rituali per
favorire il consumo di calorie). La riduzione del peso avviene per la messa in atto di uno o più
comportamenti di eliminazione: vomito autoindotto, abuso di lassativi, abuso di diuretici.
Alcuni individui con questo sottotipo attuano regolarmente condotte di eliminazione anche
dopo pasti caratterizzati da restrizione alimentare (non necessariamente quindi le condotte
di eliminazione sono precedute da abbuffate vere e proprie). In questo caso il disturbo
anoressico è in rapporto alla bulimia; si tratta comunque di pazienti anoressiche che mettono
43 di 122
in atto dei comportamenti e dei sintomi di tipo bulimico. Ciò che distingue i due disturbi è il
peso, significativamente ridotto nell'anoressia nervosa e normale o addirittura superiore a
quanto atteso nella bulimia nervosa.

2. Timore intenso di ingrassare, nonostante la paziente sia sottopeso (cioè la paura di aumentare di peso
non è alleviata dal fatto di essere manifestamente sottopeso). Si tratta di un atteggiamento di tipo fobico,
accompagnato quindi da episodi di ansia intensa (tipo crisi fobiche) che si rendono particolarmente
manifesti quando la bilancia segnala l'aumento del peso o anche soltanto nel timore che questo succeda,
e da comportamenti di evitamento (le pazienti evitano se possibile di vedere il peso segnato dalla bilancia
per timore che sia aumentato anche di pochi grammi).

3. Alterata immagine corporea (alterazione del modo in cui il soggetto vive d'impeto peso o la firma del
proprio corpo): la paziente si vede grassa o vede troppo abbondanti alcune parti del proprio corpo
(addome, fianchi, ecc.). Secondo alcuni autori si tratta di un sintomo predelirante o delirante, in quanto
la convinzione di essere grassa deriva da un giudizio delirante della percezione del proprio corpo
(percezione delirante) e non da elementi di realtà; tale convinzione appare inoltre irriducibile e non
criticabile. Sul piano clinico, si riscontrano casi diversificati e piuttosto eterogenei: in alcune pazienti sono
effettivamente rilevabili degli elementi psicopatologici di tipo psicotico, in altre la critica è mantenuta e
l'alterata immagine corporea si esprime più come vissuto nevrotico di insoddisfazione per il proprio
aspetto, come sentimento di inadeguatezza o come dismorfofobia. È di frequente osservazione il fatto
che la paziente non presenta un alterato giudizio per l'immagine corporea delle altre persone: la
valutazione obiettiva del peso altrui e della forma corporea di altre persone appaiono perfettamente
conservate. Non di rado si assiste a dei paradossi: una paziente anoressica considerava "abbastanza
magra" la giovane che era ricoverata vicino al suo letto (si trattava di una donna alta 165 cm che pesava
50 kg), e si sentiva "grassa" al confronto (pur pesando 35 kg per la medesima altezza). L'autostima della
paziente anoressica è basata in modo predominante o esclusivo sulla forma del corpo e sul peso.
Può risultare utile mostrare dei criteri che oggettivino la gravità della situazione. Esempio è la curva
peso/mortalità. Questo può aiutarli a prendere consapevolezza.

Tali componenti cliniche/psicopatologiche devono essere presenti da almeno 3 mesi.

Il DSM-5 ha introdotto due cambiamenti rispetto alla diagnosi dell’AN:


1. CRITERIO B: è stato ampliato, per includere, oltre al timore di aumentare di peso, anche la
presenza di un comportamento tale da non permettere all’individuo di acquisire peso.
2. È stata eliminata l’amenorrea come criterio diagnostico, per 3 motivi:
o il primo è che sempre più spesso si trovano bambine prepuberi, che non hanno ancora avuto
il ciclo mestruale, quindi si parla di amenorrea primaria (si può invece avere amenorrea
secondaria nel caso in cui la paziente abbia già avuto il ciclo e poi a causa delle restrizioni
alimentari si trovi ad avere la mancanza del ciclo);
o in secondo luogo, si hanno sempre più maschi, numericamente rimangono inferiori alle
femmine però sta aumentando anche la quota dei maschi (una volta per i maschi si parlava
di calo della libido o della potenza sessuale, quindi togliendo il dato dell’amenorrea si tiene
in considerazione anche l’aspetto maschile);
o infine, può succedere che la situazione si verifichi anche in donne che sono in menopausa (è
una cosa più di nicchia, si tratta di persone che potevano essere predisposte a questo tipo di
patologia che sviluppano poi una condizione di questo genere in menopausa).

44 di 122
Manifestazioni associate-complicanze
Oltre ai sintomi fondamentali, nel quadro clinico dell'anoressia mentale si possono riscontrare altri sintomi e
altri elementi psicopatologici che, sebbene siano meno frequenti, sono comunque meritevoli di attenzione.

Amenorrea da almeno tre mesi— L'amenorrea, criterio diagnostico nelle precedenti versioni del sistema
classificatorio americano, non figura più tra i criteri per la diagnosi di anoressia nervosa, pur essendo
frequente. Si sottolinea che si tratta di un sintomo fondamentale in quanto spesso è primario e non
secondario al calo ponderale: è un'amenorrea psicogena determinata da una disfunzione centrale
ipotalamica, analoga a quella che si può osservare in concomitanza a periodi di intenso stress emotivo.
Nell'anoressia è presente una regressione dell'asse Ipotalamo-Ipofisi-Gonadi, con un quadro di secrezione
dell'LH sovrapponibile a quello tipico degli individui in fase puberale o prepubere. Nelle femmine si osservano
basse concentrazioni plasmatiche di estrogeni, nei maschi basse concentrazioni plasmatiche di testosterone.
Non di rado si osserva infatti in alcune pazienti la scomparsa dei cicli mestruali prima che si avvii il calo
ponderale, così come l'induzione di un peso corporeo adeguato in un'anoressica non sempre comporta la
risoluzione dell'amenorrea. Le abitudini alimentari, il calo ponderale e l'eventuale aumento dell'attività fisica
possono naturalmente determinare anch'essi amenorrea o sostenere quella che si è avviata come psicogena.

Ritiro sociale e coartazione affettivo-sessuale — Un certo grado d'isolamento e di riduzione dei rapporti
sociali si osserva con frequenza e si stabilisce progressiva-mente già dall'esordio del quadro clinico: spesso si
tratta di un'accentuazione di tratti di personalità preesistenti. Sul piano affettivo-sessuale, l'anoressica è in
genere immatura e inibita: tende a evitare rapporti interpersonali che potrebbero coinvolgerla da questo
punto di vista o assume comportamenti infantili e inadeguati.

Iperattività: soprattutto nelle prime fasi del disturbo, le giovani pazienti possono apparire molto attive e
piene di energia. Dormono poco, non accusano stanche e tutto ciò contrasta naturalmente con lo scarso
apporto calorico e con il dimagramento. Talora, l’iperattività si esprime anche con un'intensa ed esagerata
prestazione sportiva per l'idea della paziente di rider il peso corporeo anche in questo modo. L’iperattività
fisica, come già ricordato, è particolarmente spiccata nei pazienti di sesso maschile. In queste fasi del disturbo
è caratteristico riscontra, anche un umore buono, quasi lievemente espanso, la paziente si sente bene, è
sicura di sé e delle proprie scelte, non intende curarsi poiché si considera assolutamente in buona salute.
Alla restrizione alimentare le pazienti associano attività fisica aerobica di cu iniziano ad incrementare
frequenza e durata, assumendo caratteristiche compulsive e iniziano a ragionare per:
o crediti = ad una determinata attività fisica corrisponde la possibilità di concedersi del cibo
o debiti = ad un’intemperanza alimentare deve corrispondere una determinata quantità di esercizio
L’esercizio fisico è motivato a volte più che dal desiderio di dimagrire, dalla sensazione di essere flaccide e di
dover rassodare i muscoli

Depressione dell'umore - È frequente osservali dopo qualche tempo dall'esordio, quando l'iperattività - con
la soddisfazione che l'accompagnava -viene meno per l'impossibilità fisica a reggere tali ritmi. In alcuni casi,
l'anoressia nervosa si complica con un vero e proprio episodio depressivo maggiore che si sovrappone al
disturbo alimentare. Altre volte si tratta di forme di depressione meno grave con marcati elementi di
conflittualità e tendenza alla cronicizzazione (distimia).

Sintomi ossessivo-compulsivi — Sono presenti con una certa frequenza ideazione e rituali ossessivo-
compulsivi centrati sul cibo (misurare o controllare ripetutamente le calorie di ogni alimento), sul comporta-
mento alimentare in generale o sulla misurazione del peso corporeo (guardare ripetutamente allo specchio
specifiche parti del corpo, misurare ripetutamente le varie circonferenze del corpo, prendere in mano le
pieghe del grasso). Viene spesso segnalato che la frequenza dei sintomi ossessivo-compulsivi nelle pazienti
anoressiche aumenta con il diminuire del peso corporeo. Nel paziente di sesso maschile i comportamenti
compulsivi si manifestano con particolare gravità riguardo agli esercizi muscolari fisici. Sul piano somatico, si
rilevano numerose c variegate alterazioni e disturbi che sono quelli tipici dei quadri d'iponutrizione.
45 di 122
Caratteristiche principali del paziente anoressico
Esame obiettivo generale
- Aspetto emaciato; rallentamento della crescita e iposviluppo delle mammelle (se l’esordio è in epoca
prepuberale)
- Cute secca; lanugo su schiena, braccia, e ai lati del viso; in pazienti con ipercarotenemia: colorazione
arancio del palmo della mano e della pianta dei piedi
- Fragilità capelli-unghie
- Salivazione delle parotidi e delle ghiandole sottomandibolari (specialmente nei pazienti bulimici)
- Erosione della superficie interna dei denti incisivi (perimilolisi) in coloro che vomitano spesso
- Mani e piedi freddi;
- Ipotermia, Ipersensibilità al freddo
- Bradicardia; ipotensione ortostatica; aritmie cardiache (specialmente in pazienti sottopeso e coloro
con anomalie degli elettroliti)
- Edema (che complica l’assessment del peso corporeo) con possibilità di insorgenza anche a lv
pericardico
- Debolezza dei muscoli prossimali (evidenziata dalla presenza di difficoltà nel rialzarsi dalla posizione
accovacciata)

Anomalie-Endocrine
- Ridotte concentrazioni di LH, FSH ed estradiolo  Amenorrea (in donne che non assumano
contraccettivi orali), scarsa libido, infertilità
- Valori di T3, T4 ai limiti inferiori della norma in presenza di valori normali di TSH (sindrome da basso
T3)
- Lieve aumento del cortisolo plasmatico
- Aumentate concentrazioni di GH
- Severi episodi di ipoglicemia (rari)
- Bassi valori di leptina (ma più alti dell’atteso in relazione al peso corporeo)

Anomalie-Cardiovascolari
- Anomalie all’ECG (specialmente in coloro con dis-ionemia): difetti della conduzione, allungamento
del QT
- Ipotensione
-
Anomalie-Gastro-intestinali
- Lesioni ulcerative di esofago e stomaco (con vomito)
- Ritardo dello svuotamento gastrico  ripienezza post-prandiale e gonfiore
- Ridotta motilità del colon (secondaria all’uso cronico di lassativi)  stitichezza. Stipsi causata anche
dalla prolungata assenza di introito di cibo.
- Dilatazione acuta dello stomaco (rare, secondaria a binge eating o ad una eccessiva ri-alimentazione)
- Epatiti/pancreatiti

Anomalie-Ematologiche
- Moderata anemia normocitica normocromica
- Lieve leucopenia con linfocitosi relativa
- Trombocitopenia

46 di 122
Sistema nervoso centrale
- non essendoci una nutrizione corretta, riduzione delle performance cognitive, perdita di memoria e
concentrazione, cefalea;
- Ventricoli cerebrali e spazi subaracnoidei di volume aumentato (pseudo-atrofia)
- Insonnia con risvegli precoci mattutini

Sistema muscolare
- Riduzione trofismo e massa muscolare
- Osteopenia e osteoporosi (con aumentato rischio di fratture)  dopo 6 mesi di amenorrea,
consigliata densitometria ossea

Sistema nervoso periferico


- parestesie,
- riduzione della sensibilità

Altre anomalie metaboliche


- Ipercolesterolemia
- Aumentati livelli di carotene sierico
- Ipofosfatemia (iper durante la ri-alimentazione)
- Disidratazione
- Turbe elettrolitiche (in varie forme; soprattutto in coloro che vomitano frequentemente o abusano
di lassativi o diuretici che determinano alcalosi metabolica ed ipopotassiemia; l’abuso di lassativi
invece si traduce in acidosi metabolica, iponatremia, ipopotassiemia

Sono complicanze soprattutto per quanto riguarda l’AN, ma questo discorso in realtà vale in generale. Non è
che ci sia una demarcazione così chiara tra questi DCA, perché spesso si vede anche un passaggio dall’uno
all’altro: un paziente che era anoressico, poi diventa bulimico o può shiftare verso il BED. Quindi queste
patologie possono essere anche associate. Molto spesso, dopo una fase di forte restrizione calorica come

47 di 122
succede nell’AN, il paziente, in una fase successiva, può perdere il controllo completamente e diventare un
paziente che fa delle abbuffate, con delle condotte [compensatorie] o meno.

Esordio e decorso
L'anoressia nervosa insorge mediamente intorno ai 16-17 anni con due picchi di maggior frequenza d'esordio:
 il primo intorno ai 14 anni
 il secondo intorno ai 18 anni.

Negli ultimi anni, l'età d'esordio del disturbo si è spostata più tardivamente: è in aumento l'ampiezza del
picco d'esordio dei 18 anni rispetto a quello dei 14 anni e si registrano con maggiore frequenza esordi più
tardivi. L'avvio del quadro clinico è generalmente subdolo e insidioso, in genere a seguito di una normale
dieta ipocalorica, e il disturbo si stabilisce progressivamente nell'arco di alcuni mesi. In alcuni casi però
l'insorgenza è acuta dopo un evento psicosociale stressante.
- Un orientamento omosessuale negli uomini è confermato fattore predisponente
- Un orientamento omosessuale nelle donne, invece, potrebbe risultare protettivo (nelle comunità
lesbiche di solito vi è più tolleranza per quanto riguarda aspetto/forma fisica)
Nella prima fase del disturbo la riduzione del peso corporeo ottenuta si associa a benessere soggettivo e a
sentimenti di onnipotenza prodotti dal successo nel controllo sulla fame e sull'introito di cibo, con rinforzo
positivo sulla restrizione alimentare e sulle altre pratiche di dispendio energetico.
In seguito, le preoccupazioni circa la forma del corpo e il peso diventano marcate e la paura di ingrassare
persiste nonostante la riduzione del peso. Compaiono la polarizzazione del pensiero sul cibo con aspetti
ossessivi e i rituali compulsivi. Il rapporto con i familiari diventa problematico e compaiono le complicanze
mediche della anoressia. Il decorso può essere di vario tipo: circa il 30% delle pazienti anoressiche presenta
un unico episodio che si risolve completamente nell'arco di alcuni mesi senza successive ricadute; un altro
30% circa presenta una buona remissione clinica ma nel corso della vita presenta delle recidive del disturbo,
soprattutto in occasione di eventi di vita stressanti; 30% delle pazienti cronicizza stabilizzandosi in una
condizione clinica di lieve o media gravità; il restante 10% delle pazienti va incontro a mortalità.

Le cause più frequenti di morte sono le complicanze mediche acute e croniche, mentre il suicidio costituisce
il 20% di tutte le cause di morte. La gravidanza e la menopausa sono da considerarsi periodi a rischio per
l'aggravamento o per la ricorrenza dei sintomi anoressici.
I pz affetti dal sottotipo con restrizione sembrano avere una minor probabilità di guarire rispetto a quelli
affetti dal tipo con abbuffate-condotte di eliminazione

48 di 122
Terapia
La valutazione ed il trattamento dell'anoressia nervosa (come anche degli altri disturbi dell'alimentazione)
richiedono un approccio multidimensionale (occorre valutare aspetti psicopatologici ma anche fisici,
compresi accertamenti medici ed esami di laboratorio),interdisciplinare, pluri-professionale integrato: oltre
alla presa in carico e terapia psichiatrica il trattamento comprende la presa in carico da parte di un internista
e/o dietologo/nutrizionista, per la cura delle conseguenze e delle complicanze della iponutrizione, e di un
endocrinologo e/o ginecologo per la cura ed il controllo dell'amenorrea e delle disfunzioni endocrine
secondarie al patologico comportamento alimentare. Quattro quindi sono i punti fondamentali:
1. Aiutare i pazienti a vedere che hanno bisogno di aiuto e mantenere nel tempo la loro motivazione a
guarire. Questo obiettivo è primario data la loro riluttanza al trattamento.
2. Ripristino del peso corporeo. Questo obiettivo si pone dalla necessità di contrastare lo stato di
malnutrizione e porta solitamente ad un sostanziale miglioramento dello stato generale del paziente
In ospedale
o I pz dovrebbero essere pesati tutti i giorni alla mattina presto dopo aver svuotato la vescica
o Registrare il bilancio idrico
o Il personale dovrebbe rendere inaccessibile il bagno per almeno 2h dopo il pasto, o nel caso
il pz dovrebbe essere accompagnato
o I pasti giornalieri dovrebbero essere suddivisi in circa 6 momenti per evitare un sovraccarico
(soprattutto sovraccarico circolatorio per implementazione di liquidi)
3. Il terzo aspetto del management consiste nel trattare la cattiva valutazione che il paziente ha della
propria forma e peso corporeo, gestire le abitudini alimentari e il loro funzionamento psico-sociale
4. Non c’è un solo modo di raggiungere questo obiettivo (antidepressivi, antipsicotici, psicoterapie).
Una terapia familiare sembra essere la più utile per i pazienti più giovani ed è pertanto
principalmente utilizzata con gli adolescenti
Occorre inoltre ricordare che la consapevolezza di malattia e la motivazione al cambiamento sono incostanti
e si traducono in un'elevata percentuale di pazienti che non si
presentano alla seconda visita specialistica. La possibilità di
un'organizzazione di trattamento che preveda una molteplicità dei
contesti di cura (ambulatorio, day hospital, reparto specializzato
nel trattamento dei disturbi alimentari) costituisce un criterio di
appropriatezza diagnostico-terapeutica. Il luogo di cura in alcuni
casi non può che essere l'ospedale. Per decidere se e quando
ospedalizzare la paziente vanno considerati soprattutto i parametri
fisici (in immagine).

49 di 122
Oltre ai parametri somatici, influenzano la decisione se ospedalizzare o meno la paziente le difficoltà
gestionali di un trattamento a domicilio: scarsa consapevolezza di malattia e quindi scarsa collaborazione,
scarso supporto familiare o ambiente eccessivamente stressante. Infine, la presenza di eventuale ideazione
suicidaria costituisce un ulteriore indicazione al ricovero. L'intervento psicofarmacologico dell'anoressia
nervosa è sintomatico (non si dispone ad oggi di trattamenti psicofarmacologici specifici per il nucleo
psicopatologico del disturbo) e va associato ad un intervento complesso di presa in carico psicoterapica
(anche della famiglia). L’intervento farmacologico è focalizzato al trattamento delle complicanze psichiatriche
 gli inibitori del reuptake della serotonina appaiono essere il miglior trattamento dei sintomi
depressivi
o la fluoxetina ad alto dosaggio (60-80 mg/die) può esser indicata per il controllo delle
abbuffate nelle forme di anoressia con sintomi bulimici.
o Anche i sintomi ossessivo-compulsivi eventualmente associati sono suscettibili di
trattamento con gli inibitoti selettivi del reuptake della serotonina.
 L'impiego di benzamidi sostituite che a basso dosaggio (sulpiride, levosulpiride) stimolano l'appetito,
è consigliato da alcuni autori: è però importante tenere presente che indurre l'aumento dell'appetito
in un'anoressica può comportare dei rischi, poiché risulta in genere sgradito alla paziente o
addirittura la spaventa con la possibilità di determinare un effetto paradosso di demoralizzazione.
 Le benzodiazepine possono essere impiegate per il controllo dell'ansia o per la cura dell'insonnia.

La psicoterapia risulta essere al momento la principio possibilità di trattamento per la paziente anoressia.
Non sempre è attuabile, data la scarsa propensione di queste pazienti a farsi curare (soprattutto in fase
iniziale) e non sempre è pienamente efficace: è importante individuare la tecnica di intervento più idonea ed
indicata per ogni specifico caso. Si distinguono le terapie individuali e le terapie basate sulla famiglia, tra le
prime sono compresi i trattamenti cognitivo-comportamentali e le psicoterapie ad indirizzo psicodinamico.
 Terapie cognitivo-comportamentali: l'intervento classico in questi casi ha il fine di correggere il
comportamento alimentare patologico e di ripristinare su rapporto con il cibo più naturale e
adeguato; gli aspetti maggiormente suscettibili di miglioramento con la terapia cognitivo-
comportamentale sono la fobia del cibo/peso corporeo.
Le tecniche impiegare (desensibilizzazione sistematica, inibizione reciproca) sono quindi centrate sul
cibo considerato come un sintomo ansiogeno. Un intervento più approfondito può prevedere anche
il tentativo di correggere quei pensieri irrazionali "di obesità o sovrappeso", di deformità fisica" ecc.,
che costituiscono l'assetto cognitivo della paziente: la tecnica cognitiva agisce e interviene sempre
sul piano consapevole della razionalità e della convinzione.
 Psicoterapie ad indirizzo psicodinamico. Nell’anoressia nervosa, si può intervenire con trattamenti
del profondo a medio o a lungo termine che mirano alla risoluzione dei conflitti inconsci che
sottendono il di-sturbo e quindi alla ristrutturazione della personalità della paziente, in particolare
riguardo a una migliore accettazione della propria identità e maturità sessuale.
 Terapie basata sulla famiglia. L'anoressia mentale rappresenta il principale campo di applicazione di
queste tecniche che possono essere indicate come unico trattamento o a supporto di un trattamento
individuale. Alcune dinamiche familiari patologiche che questi trattamenti mirano a modificare sono
abbastanza tipiche delle famiglie di anoressiche: madre ipercontrollante, legata in modo simbiotico
alla figlia-paziente e padre che assume una posizione periferica nel contesto familiare senza riuscire
a stabilire un rap-porto diretto con la propria figlia. Le terapie basate sulla famiglia risultano
particolarmente efficaci in pazienti giovani con durata di malattia inferiore ai 3 anni.

Bulimia nervosa (BN)


La bulimia nervosa è un disturbo dell'alimentazione caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffate
alimentari (binge-eating) e da comportamenti patologici di compenso volti ad evirare l'aumento di peso. È
un disturbo in cui un contenuto mentale (idea-impulso di mangiare) non riesce ad essere controllato e neutra-
50 di 122
lizzato e si traduce in un comportamento.

Manifestazioni essenziali
Il disturbo si caratterizza per la presenza di tre sintomi fondamentali:

1. Ricorrenti crisi bulimiche (episodi di abbuffate"):


le abbuffate o crisi bulimiche sono definite dalla assunzione di una quantità di cibo effettivamente eccessiva
in un breve intervallo di tempo (minuti o poche ore) associata alla sensazione di perdita di controllo
(sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o di non controllare che cosa o quanto si stia mangiando-
derealizzazione). Il paziente si sente spinto in modo impulsivo a mangiare in modo smodato: l'impulso a
mangiare non si manifesta necessariamente accompagnato da senso di fame, può essere un'idea ossessiva
che assilla senza alcun sentimento di desiderio e/o di piacere (fino anche a circa 4000-20000 kcal per
abbuffata). È sempre riferito il tentativo di opporre resistenza per non cedere all'impulso: la mente del
paziente diviene così occupata da questa continua "lotta" tra la spinta ad abbuffarsi e il tentativo di
reprimerla. Nella condizione clinica di bulimia nervosa, la resistenza è sempre ovviamente insufficiente e si
realizzano così le "crisi" bulimiche (abbuffate). Il cibo assunto durante le abbuffate può essere di qualsiasi
tipo - talora non pare aver nulla a che fare con aspetti di soddisfazione gustativa - sebbene sia più comune
l'assunzione smodata di alimenti ad alto contenuto di carboidrati (dolci, farinacei). Sono soggetti che
preparano l’abbuffata o rubano per comprarla. La spinta a mangiare è talmente elevata che mangiano anche
cibi congelati. Tipicamente un paziente bulimico ammette di esserlo. Più che l'assunzione di una quantità
eccessiva di cibo in un periodo definito di tempo, ciò che caratterizza le abbuffate è la sensazione di perdita
del controllo che il/la paziente prova nei confronti dell'assunzione di cibo: la perdita di controllo si manifesta
nella assunzione di cibi cotti e crudi insieme, con mescolanza di dolce e salato, senza il rispetto delle ordinarie
regole dell'alimentazione (preparazione della tavola, posizione seduta, ecc.).
È inoltre caratteristica la sensazione di disagio, imbarazzo e/o colpa che prova la paziente nel post-abbuffata.
Le crisi bulimiche possono anche essere "soggettive", cioè caratterizzate dalla sensazione da parte del
paziente di mangiare una quantità di cibo eccessiva mentre obiettivamente detta quantità è normale o
ridotta, purché tali episodi di abbuffate siano accompagnati dalla sensazione di perdita di controllo. Per la
diagnosi è richiesto che le abbuffate e le condotte eliminatorie inappropriate (che seguono le abbuffate) si
verifichino in media almeno una volta a settimana per 3 mesi. Il livello attuale di gravità del disturbo è
determinato principalmente dalla frequenza delle crisi bulimiche, anche se concorrono altri elementi
psicopatologici.

2. Ricorrenti ed inappropriate condotte di eliminazione o compensatorie (prevenire l'aumento di peso).


Il vomito auto-indotto rappresenta quello più tipico e più frequente; si manifesta in genere immediatamente
a seguito dell'abbuffata e si accompagna ad un sentimento ambivalente: senso di sollievo per aver elimina-
to in tal modo l'eccesso di cibo e senso di frustrazione e di vergogna per essere ricorso a un tal espediente.
L'abuso di diuretici e/o di lassativi, o di altri farmaci, rappresenta un'altra frequente modalità di
"compensazione" delle abbuffate. Altri tentativi di compensazione sono rappresentati dalle restrizioni
dietetiche o dai digiuni tra un'abbuffata e l'altra (che spesso non riescono a venir seguiti con il rigore che
prevederebbe il proposito). Allo stesso modo, l'esercizio fisico intenso rappresenta un altro tentativo di
contrastare l'accumulo di calorie determinato dalle abbuffate. Quindi si distinguono due sottotipi.
Nei DCA i pazienti non amano la convivialità del cibo, quindi sia l’anoressica con le sue restrizioni sia la
bulimica con le sue abbuffate compiono l’atto in solitudine; c’è una sorta di fobia sociale, tutto quello che è
legato all’alimentazione viene vissuto in solitudine. Nel caso dell’abbuffata, il soggetto in seguito ad una
condizione predisponente stressogena o di umore disforico o di qualche insoddisfazione varia, introduce
molto rapidamente grandi quantità di cibo per poi avere un’autocritica fortissima e un’autostima sotto i
tacchi per cui alla fine deve compensare e la compensazione è legata alla autoinduzione di vomito (80-90%
dei casi), uso di lassativi o diuretici, digiuno, sport eccessivo.

51 di 122
3. Stima di sé eccessivamente influenzata dalla forma e dal peso del corpo:
Il paziente bulimico soffre molto per il proprio disturbo che vive di nascosto con senso di vergogna; si tratta
di soggetti con bassa autostima. È caratteristico che il paziente bulimico sia molto attento alla forma fisica e
preoccupato del proprio aspetto esteriore e che i livelli di autostima siano inappropriatamente influenzati
dalla forma e dal peso corporeo. Questi aspetti sono comuni all'anoressia nervosa e alla bulimia.

Tra il DSM-4 e DSM-5 cambia la numerosità delle abbuffate/condotte di eliminazione:


- nel DSM-4 la diagnosi si faceva per la presenza di 2 abbuffate seguite da inappropriati comportamenti
compensativi alla settimana negli ultimi 3 mesi,
- nel DSM-5 si parla di un unico episodio alla settimana negli ultimi 3 mesi.

In aggiunta, con il DSM-V scompaiono i tipi “purgativo” e “non purgativo. Il grado di severità è indicato dal
numero di abbuffate/condotte compensative:
 Lieve: 1-3 episodi/settimana
 Moderato: 4-7/settimana
 Severa: 8-13/settimana
 Estrema: ≥ 14/settimana

Manifestazioni associate-complicanze
Non è infrequente osservare che la bulimia rappresenta in questi pazienti la manifestazione clinicamente più
rilevante di altri "disordini" comportamentali e/o disturbi del controllo degli impulsi. Abusi di sostanze di
varia natura si accompagnano alla bulimia con una certa frequenza: si va da un abnorme consumo di si-
garette o di caffè sino all'abuso di farmaci, di sostanze psicotrope o di alcol. Sono anche comuni i disturbi di
personalità caratterizzati da aspetti impulsivi, quali il disturbo borderline.
Altri comportamenti impulsivi frequenti anno cleptomania, promiscuità sessuale e tentativi di suicidio. Una
condizione clinica che spesso coesiste con la bulimia è la depressione. Quale sia l'effettivo rapporto tra i due
disturbi è dibattuto: potrebbe trattarsi di disturbi aventi una comune matrice patogenetica, oppure la
depressione potrebbe essere una complicanza del disturbo alimentare con il significato psicopatologico di
demoralizzazione.
Dal punto di vista delle conseguenze o delle eventuali complicanze somatiche, la bulimia nervosa determina
delle alterazioni sia per l'eccesso di cibo consumalo che per le condotte di eliminazione. Il sovrappeso o
l'obesità non costituiscono la regola; sono talora presenti, ma spesso i comportamenti di eliminazione non
consentono un aumento ponderale.

52 di 122
 La combinazione di sottoalimentazione e binge eating si traduce in peso corporeo generalmente non
eccessivamente basso né alto, determinando l’ovvia differenza rispetto l’anoressia nervosa.
In tale quadro è presente una sovrastima di forma e peso corporeo, in cui il proprio valore è giudicato
largamente, o addirittura esclusivamente in termini di forma e peso corporeo

Sono caratteristicamente determinate dalle conseguenze di eliminazione l'ipo-potassiemia, l'aumento delle


amilasi plasmatiche, la disidratazione, le erosioni dello smalto dentale, le carie e le gengiviti, l’ipertrofia delle
ghiandole salivari, le gastriti, esofagiti e ulcere esofagee, le infiammazioni del colon. Un segno tipico
indicativo della presenza di vomito autoindotto è la callosità sul dorso delle mani ("segno di Russar). Le
alterazioni organiche che possono verificarsi nella bulimia nervosa sono comunque meno imponenti di quelle
dell'anoressia nervosa.
 Per autoindursi il vomito questi pazienti utilizzano oggetti allungati (cucchiaio, spazzolino) o bevono
litri di bevande gassate. Vengono preferite queste modalità rispetto all’utilizzo delle dita in quanto
quest’ultima causa la comparsa di lesioni che potrebbero essere riconosciute da altri individui. Coloro
che non lavano i denti subito dopo aver emesso presentano delle erosioni dello smalto dentario.

Esordio e decorso
La bulimia nervosa esordisce mediamente in torno ai 18 anni, sebbene giunga generalmente all'osservazione
del medico dopo qualche tempo (a volte dopo molti anni). L’esordio può avvenire in relazione ad una forte
restrizione alimentare per modificare il peso e la forma del corpo, o in seguito a difficoltà emotive personali
o dopo eventi di vita. Il decorso clinico nel tempo più caratteristico è quello cronico intermittente: periodi
più o meno prolungai di disturbo ricorrono nel tempo con intervalli liberi da sintomi. Il passaggio dalla bulimia
nervosa all'anoressia nervosa è raro.

Terapia
Il trattamento è generalmente ambulatoriale, sono pochi i casi in cui le condizioni cliniche generali ti-
chiedono il ricovero. La bulimia nervosa può venir curata con strumenti psicofarmacologici specifici: gli
antidepressivi SSRI (tra cui fluvoxamina-sertralina, con miglioramento in questi due casi anche dell’umore) e
SNRI sono stati studiati nella bulimia e hanno determinato la riduzione della frequenza delle abbuffate e dei
53 di 122
comportamenti compensatori in un'elevata percentuale di pazienti. In questi studi i farmaci sono stati
impiegati a dosi più elevate rispetto a quelle di comune impiego nella depressione maggiore (ad esempio la
fluoxetina, farmaco ampiamente studiato in questo disturbo, agisce come anti-bulimico a dosi di 60-80
mg/die); inoltre la latenza d'azione è più prolungata rispetto a quanto si osserva quando gli stessi farmaci
sono impiegati come antidepressivi (6-8 settimane).
La fluoxetina è stata studiata ed è risultata efficace anche nella prevenzione delle ricadute, mentre per altri
SSRI gli studi a lungo termine mancano o sono ancora in corso.
Tra le psicoterapie quella maggiormente indicata è quella cognitivo-comportamentale, che comporta buoni
risultati: in alcuni casi la psicoterapia cognitivo-comportamentale viene svolta con sessioni di gruppo che
hanno una valenza di rinforzo. Un'altra psicoterapia promettente è la terapia interpersonale, anche se gli
studi di confronto con la terapia cognitivo-comportamentale hanno dato risultati inferiori.
Le terapie ad indirizzo psicodinamico possono essere talora indicate per una risoluzione dei conflitti profondi
che sostengono il disturbo; è in genere opportuno iniziare le sedute quando i sintomi sono almeno in parte
controllati dalla terapia farmacologica o da quella comportamentale

Binge eating disorder (BED)


Questo disturbo (Binge-Eating Disorder) è caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffate in assenza delle
regolari condotte compensatorie tipiche della bulimia nervosa.
Le caratteristiche psicopatologiche delle crisi bulimiche/abbuffate sono identiche a quelle sottolineate nel
capitolo della bulimia nervosa. È altresì presente marcato disagio in rapporto alle abbuffate. Non attuando
condotte compensatorie, la persona con disturbo da alimentazione incontrollata tende ad aumentare di peso
e quindi a presentare obesità.
Si possono differenziare diversi livelli di gravità:
 Lieve: 1-3 episodi/settimana
 Moderato: 4-7/settimana
 Severa: 8-13/settimana
 Estrema: ≥ 14/settimana

Questo disturbo è in particolare rapporto con l'obesità e i disturbi dell'umore; da un punto di vista
psicopatologico i comportamenti patologici legati all'alimentazione tipici di questo disturbo sembrano
derivate dalla difficoltà nel gestire le emozioni e gli impulsi e non appaiono legati al bisogno di controllare il
peso e la forma corporea come invece accade nella anoressia e bulimia nervosa. Prevale il senso di
inadeguatezza e di impotenza, con bassa autostima e tendenza frequente alla complicazione in depressione
maggiore. Le complicanze mediche sono in relazione all'eccesso di peso associato al disturbo: malattie
cardiovascolari, apnea ostruttiva notturna e insufficienza respiratoria, diabete mellito di tipo 2 e dislipidemia,
patologie osteoarticolari.
54 di 122
Pochi sono ancora i dati epidemiologici e i dati concernenti l'età d'esordio e il decorso di questo disturbo, che
ha ricevuto solo nel DSM-5 dignità nosografica autonoma. I pochi dati disponibili indicano una prevalenza
life-time del 3,5% tra le donne e del 2% circa tra gli uomini. L’età d'esordio è ampiamente distribuita, con
possibilità d'insorgenza anche in età adulta o tarda età. Il BED tende ad essere un po’ più frequente
nell’adolescente e giovane adulto, così come la bulimia, mentre l’anoressia e l’ARFID si possono trovare più
frequentemente nell’individuo più giovane (esordio a partire dai 9 anni). C’è quindi questa differenza di età
di insorgenza. La distribuzione tra i sessi è meno asimmetrica rispetto agli altri disturbi dell'alimentazione: il
30-40% dei casi è di sesso maschile.
- È il DCA più comune (25% dei pz che si presentano per trattamento dell’obesità)

Per quanto concerne il trattamento, gli interventi terapeutici che si sono dimostrati utili nella bulimia nervosa
(terapia cognitivo-comportamentale e terapia interpersonale) hanno dimostrato una buona efficacia anche
nel disturbo da alimentazione incontrollata. Se coesiste obesità, tuttavia, gli interventi non hanno
determinato in genere una riduzione significativa del peso pur risultando utili nel controllo delle abbuffate.
Anche gli antidepressivi impiegati per la bulimia nervosa riducono le abbuffate nel disturbo da alimentazione
incontrollata, senza tuttavia portare ad una riduzione significativa del peso nei pazienti obesi. Sono stati
anche sperimentati farmaci regolatori della fame e della sazietà quali la d-fenfluramina e la sibutramina
(farmaci non più in commercio in Italia) con effetti parziali.

Disturbi dell’alimentazione e della nutrizione senza altra specificazione (EDNOS)


Questa categoria si applica a presentazioni in cui i sintomi caratteristici di un disturbo della nutrizione e
dell’alimentazione che causano un significativo disagio clinico o un danno nel funzionamento sociale,
occupazionale o in altre importanti aree predominano, ma non sono soddisfatti i criteri pieni per qualsiasi
dei disturbi nella classe diagnostica dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. In questo gruppo, nel
DSM-4, rientrava il BED. Sono patologie in cui non ci sono i criteri per poterli inquadrare nell’ambito di AN,
BN e BED.

Disturbi dell’alimentazione e della nutrizione con altra specificazione


In generale si possono avere dei criteri che in parte si sovrappongono. Si tratta di forme atipiche, comunque
frequentemente osservate. Sono ad esempio:
55 di 122
Anoressia nervosa atipica
ci sono tutti i criteri per l’anoressia, però il peso si mantiene nel range normale o al di sopra.

Bulimia atipica
- A bassa frequenza e/o
- A durata limitata
in cui il numero di abbuffate non è così frequente (e/o con durata inferiore) come quello che dovrebbe essere
secondo la definizione del classificatore, quindi meno di 1 abbuffata con condotta compensatoria/settimana
per 3 mesi.

Binge eating
Diviso in due forme: a bassa frequenza e/o a durata limitata. Tutti i criteri soddisfatti meno che per frequenza
e durata inferiori.

Purging disorder
ci sono condotte di eliminazione ricorrenti. Si utilizzano vomito autoindotto, lassativi, diuretici ed
enteroclismi. Si ha un controllo estremo dell’alvo. In questo caso non ci sono abbuffate. Condotte eseguite
anche dopo l’assunzione di scarse quantità di cibo. NON deve essere associato ad anoressia nervosa (periodo
necessario per diagnosi  almeno 1 volta a settimana per 3 mesi).

Night eating syndrome


patologia caratterizzata da iperfagia notturna (o comunque consumo di cibo dopo il pasto serale, anoressia
mattutina e insonnia (devono persistere per almeno 3 mesi).
- I soggetti nel caso tendono a svegliarsi nella fase REM del sonno
- Comune è la convinzione di un sonno non ristoratore, o che sia tale solo dopo aver mangiato
- Quantitativo di cibo comunque minore di bulimia e binge eating
- I pazienti affetti si ricordano benissimo di aver abbuffato. Hanno un impatto sulla qualità delle
interazioni molto importante.
Sono soggetti che magari hanno una modalità alimentare abbastanza normale, che poi di notte si svegliano
e mangiano.

Comorbidità nei DCA (discorso in generale)


La comorbidità in qualche modo condiziona la prognosi. La prognosi è sicuramente condizionata dalla durata
del disturbo, quindi se la diagnosi viene fatta precocemente, se il soggetto viene preso in carico molto
precocemente, soprattutto per quanto riguarda le forme ad insorgenza più precoce, allora qualcosa si può
fare, ma se la patologia dura da lungo tempo e se si associa ad altre comorbidità psichiatriche, allora la
gestione diventa più complessa.

La comorbidità psichiatrica è imponente, 70% dei casi. Degli autori svedesi hanno mostrato come tra le
comorbidità più frequenti (53%) ci sia il disturbo d’ansia generalizzato, soprattutto nel BED nelle donne e
nella BN negli uomini. In letteratura sono descritte anche altre condizioni.
Nell’adulto ma anche nell’adolescente si possono associare abuso di sostanze, disturbo bipolare, disturbo
ossessivo-compulsivo, disturbi di personalità, diabete e disturbo di spettro autistico. Quest’ultimo è molto
interessante, in letteratura si possono trovare molti articoli, ma in realtà la questione è molto dibattuta.
La prof racconta che nella sua esperienza le è capitato di veder ragazzi/e (forse è più facile anche nelle ragazze
perché nell’autismo si parla di una prevalenza del sesso maschile sul sesso femminile, ma perché forse non
siamo ancora in grado di fare una diagnosi precisa per l’autismo nel sesso femminile perché può essere molto
più sfumato dal punto di vista dei tratti e della clinica) arrivati con un problema di depressione, con un
problema dell’alimentazione che poi, valutando le cose in maniera più approfondita, di fatto avevano disturbi
56 di 122
dello spettro autistico, molto lievi (quindi il disturbo di Asperger). Proprio per una problematica di tipo sociale
relazionale, sviluppavano successivamente una sintomatologia depressiva e potevano sviluppare anche un
DCA.

Nella diapositiva si parla di disturbi di personalità, perché l’associazione fra disturbo alimentare e disturbi di
personalità è davvero molto importante. Non si sa cosa venga prima o dopo, però alcuni disturbi di
personalità prediligono alcuni disturbi del comportamento alimentare. L’associazione è frequente: secondo
Rosevinge e collaboratori c’è una ricorrenza del 56% tra DCA e disturbi di personalità (associazione cluster B
con bulimia, cluster C con anoressia).
Per esempio, nella BN è molto frequente avere un disturbo di personalità borderline, poi non è escluso che
possano esserci anche più disturbi di personalità associati, mentre nell’AN è più frequente che ci siano
disturbi di personalità evitante, dipendente oppure ossessivo compulsivo, o ad esempio nel narcisista il
rischio di anoressia è elevato.
Sono condizioni sicuramente che portano ad una evoluzione più problematica da un punto di vista
prognostico e di inquadramento, anche perché in età evolutiva non è sempre così evidente, non si può fare
una diagnosi di disturbo di personalità in età evolutiva.
Si può ipotizzare che ci possa essere una problematica di personalità o che ci siano dei tratti di personalità
anomali, ma spesso la diagnosi di disturbo di personalità si può fare quando l’individuo raggiunge l’età adulta,
anche se dai nuovi classificatori la presenza di un tratto di personalità rigido, persistente, con una certa durata
nel tempo, può già evocare una possibile problematica di personalità che non va assolutamente
sottovalutata, ma che va presa in consegna il prima possibile.
C’è un articolo (Neuropsychological deficits in BPD patients and the moderator effects of co-occurring mental
disorders) che parla delle problematiche neuropsicologiche nei soggetti con disturbo di personalità
borderline. Già il disturbo di personalità borderline ha delle problematiche neuropsicologiche associate, e la
comorbidità con altri disturbi, tra cui anche i DCA, possono peggiorare le performance neuropsicologiche.
Quindi ci sono disturbi che peggiorano più o meno le perfomance neuropsicologiche che sono già piuttosto
ridotte. Il concetto è che: un disfunzionamento verosimilmente organico, ma anche l’associazione di più
disturbi, possono inficiare l’aspetto neurocognitivo dell’individuo.

Trattamento DCA (in generale)


Il trattamento in primis è una presa in carico di tipo psico-nutrizionale, questo vuol dire che a seconda della
gravità deldisturbo abbiamo tre possibilità di presa in carico:
1. Ci può essere una presa in carico ambulatoriale - in cui l’equipe è costituita dai medici
(neuropsichiatra, pediatra), dallo psicologo, dal dietista, e ovviamente nel reparto ci sono anche gli
infermieri, gli oss, ecc - dove l’individuo viene valutato e viene preso in carico.
2. Laddove necessita di una presa in carico più sostanziale, attraverso un day hospital o un ricovero
h24, c’è anche la possibilità di utilizzare un’educazione alimentare in cui il soggetto ha degli orari
standard dei pasti; solitamente i pasti vengono consumati insieme agli altri pazienti; sono pasti
cadenzati, ossia colazione- merenda-pranzo-merenda-cena se c’è un ricovero in reparto, altrimenti
57 di 122
ci si ferma alla merenda pomeridiana per il day hospital, con una dieta definita individualmente dal
dietista e concordata con il paziente, perché una delle cose più importanti è che ci sia un’alleanza
terapeutica tra paziente ed equipe e anche tra famiglia ed equipe perché si parla di minori spesso, e
il minore richiede la compresenza della famiglia.
3. Poi anche una presa in carico psicologica del paziente e dei genitori del paziente, da parte di figure
psicoterapiche diversificate.

E poi il medico valuta le condizioni generali e, se necessario, utilizza la farmacoterapia.

Terapia medica: farmacoterapia


- Trattamenti sintomatici: diagnosi importante
- Terapie combinate non solo con i farmaci
- Differenze per pazienti in età evolutiva
- Metodologia: studi controllati randomizzati
- Effetto terapia a lungo termine??? Necessità di ulteriori valutazioni
- Comunque, pochi dati sull’efficacia dei farmaci +++AN
- Considerare sintomi, comorbidità, personalizzazione dei dosaggi, interazioni farmacologiche

Classi utilizzate
Antipsicotici (tipici, +++atipici), TCA, SSRI, altri antidepressivi (mirtazapina), modulatori dell’umore (litio,
antiepilettici – TPM, VPA, CBZ, LTG, ZNG), naltrexone, farmaci per aumentare appetito (ciproeptadina,
tetraidrocannabinolo THC), procinetici (metoclopramide, cisapride, domperidone), terapia ormonale,
vitamine, zn.

Maggiormente utilizzati:
- SSRI: sertralina, fluoxetina, fluvoxamina, paroxetina*, ecc.
*recentemente c’erano state delle segnalazioni di eventuali atti anticonservativi; in realtà qualunque
antidepressivo, dato ad un soggetto che abbia degli shift dell’umore sottoforma di mania, ipomania
e quant’altro, può essere pericoloso; molto spesso questi soggetti hanno anche degli atti di
autolesionismo come tagli, bruciature con sigarette ecc.
- Antipsicotici atipici (più di quelli tipici): aripiprazolo, olanzapina, risperidone, ecc.
- Modulatori dell’umore: VPA, CBZ, litio
- Ansiolitici: BZD. In età evolutiva la Prof non usa molto, le usa al bisogno, perché possono essere utili.
A volte possono essere anche utili a basse dosi prima del pasto per rendere il soggetto più ‘fluido’,
per aiutarlo a compiere il pasto in maniera più regolare.
- Integratori/nutraceutici: melatonina, teanina, Mg, Vit. D, Zn, Fe
- Regolatori apparato gastrointestinale: levosulpiride, macrogol
- Al bisogno: paracetamolo, ibuprofene.
- Sicuramente un farmaco particolarmente utile, soprattutto nelle fasi più ostiche, dove il paziente
tende a non volersi alimentare, è anche il Risperidone. Nella letteratura scientifica si parla anche di
Olanzapina, come trattamento per l’AN, anche se non esistono dei farmaci specifici per questi
disturbi del comportamento alimentare. L’unico che viene dato nelle linee guida è la Fluoxetina, che
può essere utile nella BN e nel BED, perché tende ad essere efficace come antidepressivo, anche sulle
condotte eliminatorie.

Quando si va a vedere gli studi in letteratura si trovano spesso studi, case report, studi con metodologie non
randomizzate, dove magari non si ha idea dell’effetto a lungo termine. La Prof è del parere che in età
evolutiva bisogna essere molto cauti con questi farmaci, nel senso che, non essendoci evidenze scientifiche
sicure, non essendo

Ricordare che la farmacoterapia non ha la prima indicazione per il trattamento. Il trattamento è più di tipo
58 di 122
presa in carico psico-nutrizionale, ma il farmaco può essere utile, soprattutto se c’è una depressione o
un’ansia importante, oppure una forte dispercezione o un forte opposizionismo all’alimentazione, allora in
questo caso bisogna anche intervenire utilizzando farmaci utilizzati in psichiatria, quindi: antidepressivi,
modulatori dell’umore, oppure antipsicotici neurolettici. La terapia farmacologica di prima linea, la si deve
utilizzare quando non si hanno possibilità di avere miglioramenti di altro tipo. Quindi non bisogna
demonizzarla ma bisogna utilizzarla, se necessario, previa indicazione della famiglia, bisogna avere il
consenso della famiglia sull’utilizzo di queste terapie.

Queste sono tutte le molecole usate nella


farmacoterapia dei disordini alimentari: per la BN si
usa la fluoxetina.

Terapia medica: esami di controllo, effetti collaterali


Un po’ per la patologia, un po’ per il tipo di trattamenti somministrati a questi pazienti, si devono fare degli
esami di controllo.
1. Uno degli esami più importanti è l’ECG, da fare nei pazienti sia senza, che con, il trattamento
(soprattutto con antipsicotici, ma anche altri farmaci)
2. Esami ematochimici soprattutto quando si somministrano con i neurolettici: PRL, CK, la glicemia, la
funzionalità epatica, il lipidogramma (i nuovi antipsicotici hanno un effetto metabolico importante),
controllare gli elettroliti e le amilasi quando ci sono problematiche di vomito importante. Si tratta
perciò di pazienti da tenere sott’occhio e che a volte sospendono autonomamente la terapia e la
sospendono da un giorno all’altro (questi sono invece farmaci che andrebbero sospesi gradualmente)
o a volte c’è abuso di terapia, con conseguenti problematiche di tossicità farmacologica.

- Effetti collaterali  alterazioni metaboliche, iposodiemia, rialzo CK, rialzo PRL, alterazioni intervallo QT,
sedazione, disturbi gastrointestinali, offuscamento della vista, cefalea, ecc. Altra cosa molto importante è
conoscere la cinetica e la dinamica di questi farmaci, perché ci sono farmaci che hanno un effetto sul
metabolismo (incrementandolo) e altri che sono invece inibitori. Quindi ci possono essere delle interazioni
farmacologiche perché magari il farmaco che attiva il metabolismo riduce il livello, quindi l’attività
farmacologica, di altri farmaci in associazione oppure se è un inibitore del metabolismo può rendere un’altra
molecola tossica, (questo per quanto riguardo soprattutto gli antipsicotici che sono più influenzati dagli altri,
piuttosto che essere loro gli influenzanti a livello metabolico).
NB: attenzione all’abuso farmacologico e alla non regolarità di assunzione dei farmaci.

Urgenze  Situazioni di urgenza che devono condurre il clinico ad agire dal punto di vista di presa in carico
sono caratterizzate da: condizione metabolica critica con edemi, disidratazione importante e un calo
ponderale importante, tuttavia anche un paziente con un BMI normale ma che abbia avuto un calo ponderale
rapido (es 2kg in una settimana o 10kg in un mese) è un soggetto a rischio, anche se il BMI non è inferiore a
15. Un’altra condizione d’urgenza è quando un paziente vomita frequentemente, perché ci possono essere
delle turbe elettrolitiche.

Domande
“Se al bulimico viene impedita la compensazione, si abbuffa lo stesso o evita?”
59 di 122
Risposta: “Tende ad abbuffarsi lo stesso. Come facciamo ad impedirgliela? Noi cerchiamo qualcosa da fare al
posto dell’abbuffata, come qualcosa che piace [al paziente], ad esempio andare a fumare una sigaretta,
qualunque cosa, basta conoscere il paziente; però è difficile che se il soggetto non può compensare eviti
l’abbuffata. Porta ad un grande stato di sofferenza questa situazione.”

“Può essere considerato ARFID un bambino che non vuole mangiare frutta e verdura?”
Risposta: “No, perché bisogna vedere in che entità, però molto spesso i bambini non amano mangiare frutta
e verdura. Poi attenzione agli stili alimentari famigliari, perché molto spesso i bambini sarebbero predisposti
a mangiare ma sono di base i genitori che li educano ad una sorta di selettività alimentare. Non voglio entrare
in altri discorsi in merito all’essere vegetariano o vegano eccetera perché non voglio assolutamente criticare
nessun tipo di decisione personale, però chiaramente il veganesimo nei bambini è un qualcosa da tenere in
considerazione, comunque è necessario eventualmente supplire la dieta con qualcosa perché altrimenti non
possiamo considerare il bambino come ‘un piccolo adulto’ in questo senso. Molte delle pazienti che
presentano un disturbo dell’alimentazione finiscono per scegliere anche di essere vegetariane/vegane, si
vede proprio anche questo tipo di evoluzione molto spesso nei disturbi alimentari.”

“Esiste il concetto di TSO per i bambini? Cosa accade, ad esempio bambino anoressico e genitori che negano
il problema?”
Risposta: “Il TSO in età evolutiva è modulato chiaramente dalla scelta genitoriale. Si vedono delle
situazioni molto gravi in cui i genitori negano il problema e questa è una situazione da segnalare ai servizi
sociali. Quindi quando abbiamo di fronte delle famiglie con problemi di questo genere è necessario segnalare
la situazione ai servizi sociali. Può capitare di vedere arrivare dei genitori che portano un ragazzino che magari
è gravemente disidratato e con un BMI bassissimo; mi è capitato in PS di fare delle consulenze a dei ragazzini
che avevano un BMI di 11 che erano veramente gravi e li ho ricoverati immediatamente; lì da parte dei
genitori non c’era l’essere contrari o negare il problema, ma c’era una sorta di non rendersi conto del
problema, tanto da magari permettere al bambino di avere fatto per esempio una partita di calcio tre giorni
prima. In questo caso i genitori vanno educati anche loro rispetto alle problematiche, perché spesso ci può
essere un non rendersi conto, molto spesso i genitori sono angosciati dal figlio che smette di mangiare o non
mangia e allora cosa fanno? Anziché insistere sull’assaggio, sulla percezione del cibo, non danno il cibo che il
figlio rifiuta e magari danno il cibo che il figlio vuole, e quindi spesso si creano delle selettività alimentari
oppure eccessivo utilizzo di cibo spazzatura. Ci sono situazioni veramente gravi, di genitori che sono
estremamente ostici sia alla presa in carico dal punto di vista psico - nutrizionale che anche alla presa in carico
farmacologica.”

“Dopo quante settimane/mesi di abbuffate e compensazioni appaiono di solito le alterazioni elettrolitiche?”


Risposta: “Possono comparire anche molto presto, perché dipende da quante ne ha il soggetto [di abbuffate
e compensazioni]. Se il soggetto vomita anche più volte al giorno forse non è necessario neanche aspettare
dei mesi; bisogna controllare gli elettroliti rapidamente.”

“Un soggetto con binge eating si alimenta normalmente al di fuori dell’abbuffata o è sempre eccessivo
rispetto al normale?”
Risposta: “Ci può essere il soggetto che si alimenta abbastanza normalmente e ci può essere quello che tende
a ‘stroppiare’ anche durante l’alimentazione regolare, non è così rigida la cosa.”

“In quali casi, date le dinamiche familiari spesso complesse, il minore può fare il colloquio neuropsichiatrico
senza i genitori?”
Risposta: “Sempre”

Precisazione sulla domanda: “In questo tipo di problematiche è legale che il minore venga visto dal medico
60 di 122
senza la presenza dei genitori?”
Risposta: “I genitori accompagnano il paziente, però se mi rendo conto che ho bisogno di parlare da sola col
paziente, il genitore gentilmente viene allontanato e chiedo di poter parlare col paziente; se il genitore è
d’accordo lo facciamo, e succede nella maggioranza dei casi, visto che arrivano con problemi; se il genitore
non è d’accordo, pazienza, rimane.”

“Il diabete è una comorbidità nel senso che i bambini con il DMT1 hanno rischio più alto di sviluppare un
DCA?”
Risposta: “Qualcuno dice di sì. Io ho visto soprattutto delle bambine, ma forse anche un maschio, comunque
dei ragazzi con diabete e problematiche alimentari. In letteratura viene ipotizzata questa associazione.”

“Lei ritiene che si possa guarire o che sia più probabile che il problema si manifesti in altro modo?
Risposta: “Io credo che se la diagnosi è precoce, nel senso che la patologia non dura degli anni, e se l’individuo
è piccolo e c’è poca comorbidità, ci siano anche delle buone evoluzioni. Quando c’è un ambiente difficile e
una famigliarità positiva, è più difficile. Credo che non sempre ci sia una reale guarigione anche se non
vediamo più niente da un punto di vista alimentare, senza che necessariamente il disturbo si trasformi in un
altro disturbo, ma che il soggetto possa avere comunque sempre un problema a livello di sensazione sulla
propria immagine corporea, anche se poi c’è un compenso. Perché poi è l’individuo che deve decidere se
vuole vivere, perché nell’anoressia è questo il problema: ‘vuoi vivere?’; perché se no non si può vivere in
questo modo, anche se ci sono delle anoressiche di lunga data che magari sono in grado di sopravvivere con
27kg di peso. Io penso che la questione sia un qualche cosa che proprio a livello di sensazione e di immagine
del corpo possa rimanere anche se il soggetto decide di nutrirsi regolarmente.”

“Ultimamente ha detto di aver avuto a che fare con una sindrome da alimentazione notturna in una ragazza.
In questi casi di solito c’è consapevolezza o comunque ricordo di aver mangiato o viene fatto in modo
incosciente?”
Risposta: “C’è ricordo di aver mangiato e c’è anche poi il senso di colpa per aver mangiato.”

“Qual è la terapia per PICA?”


Risposta: “E’ una terapia comportamentale, non abbiamo una terapia farmacologica. Dobbiamo valutare
anche nei PICA se ci sono altre problematiche associate, per esempio una disabilità intellettiva.”

Domanda: nell’anoressia nervosa ci sono delle differenze significative fra maschi e femmine per quanto
riguarda la presentazione clinica e il contesto familiare?
Risposta: Stiamo facendo uno studio a riguardo; comunque, nel maschio si, ci sono caratterizzazioni a livello
di personalità. Nel maschio è più frequente vedere un comportamento ossessivo compulsivo in comorbidità
importante. Sempre nel maschio abbiamo modalità di alimentazione rituali molto particolari, per esempio,
al momento dell’alimentazione frequentemente il soggetto affetto da anoressia nervosa tende a miscelare
tutti gli alimenti facendo dei “pastoni” per poi alimentarsi. Voi dovete pensare che non c’è solo la carenza
alimentare, ma molto spesso ci sono degli strani comportamenti che si verificano al momento
dell’alimentazione: estrema lentezza, il frammentare il cibo, determinati atteggiamenti ossessivi o ritualistici
durante il pasto. Nel sesso maschile spesso si vede questa tendenza ad amalgamare tipi di cibo diversi
insieme. Sull’aspetto del corpo, nel maschio spesso si trova più che un riferimento alle gambe e alle cosce,
altri riferimenti ad altre parti del corpo, comunque più la sensazione proprio della forma del corpo in generale
(la pancia o altro, rispetto alla muscolatura).

61 di 122
DISABILITÀ INTELLETTIVA

Definizione: È un difetto del funzionamento intellettivo generale coinvolgente il livello complessivo di


adattamento, le abilità sociali e quelle di relazione.

Questo argomento si collega con il disturbo di spettro autistico nel quale circa il 35% di soggetti presenta
disabilità intellettiva. La disabilità intellettiva fino a poco tempo fa veniva definita ritardo mentale; con il
nuovo DSM V non si parla più di ritardo mentale, ma di disabilità intellettiva. Questa situazione patologica è
una disabilità perché è inserita tra le disabilità certificabili tramite legge 104. Inoltre, questa patologia non è
solamente importante da un punto di vista accademico, di scolarizzazione e di progressione scolastica e
universitaria, ma anche rispetto alle capacità di adattamento del soggetto e alle sue relazioni sociali.

Quando si può parlare di disabilità intellettiva in età evolutiva?


Non si può parlare di disabilità intellettiva prima che lo sviluppo psicomotorio si sia concluso, perché prima
si parla, volendo, di ritardo dello sviluppo psicomotorio, perché si è visto come ci siano varie acquisizioni
motorie, relazionali, sociali, sensoriali, di linguaggio, di comunicazione e quindi questo ha il suo iter.
Ma intorno ai 4-5 anni di vita, quando, tutto sommato, sono state raggiunte queste tappe di sviluppo
psicomotorio, se si fa un test e si trova un problema, si può iniziare a parlare di disabilità intellettiva. E si
comincerà a parlare di QI, quoziente intellettivo, mentre prima si parla, per i test somministrati al bambino,
di Quoziente di sviluppo. Però è possibile che la disabilità intellettiva sia preceduta da un ritardo dello
sviluppo psicomotorio. Questa situazione non è infrequente, soprattutto laddove si parla di disabilità
intellettiva di una certa gravità.

Classificatori
I classificatori che tengono conto di questo problema sono l’ICD 10, molto utilizzato nei servizi (è in corso di
elaborazione l’ICD 11), e i DSM. I DSM nel corso del tempo hanno modificato la loro strutturazione. Il DSM III
(anni ‘80) era basato sulla affidabilità diagnostica, il DSM IV (’94 e la sua revisione del 2000) su un’affidabilità
di categorizzazione, il DSM V (2013) prende in considerazione la logica della dimensione (abbandonando la
diagnosi di categorizzazione) superando i classificatori precedenti perché rielabora alcuni disturbi dal punto
di vista nosografico, sulla base delle scoperte neuroscientifiche e della genetica, introducendo la dimensione
del cluster dei disturbi nel neuro-sviluppo.
Sono i cluster più importanti di quelle patologie che spesso si sviluppano precocemente nel bambino e che,
però, sono patologie estremamente diverse tra di loro, ma che, probabilmente, hanno in parte
un’eziopatogenesi comune o spesso anche un’associazione in comorbidità tra varie patologie, quindi
possono avere una base genetica o comunque degli aspetti “a livello neuroscientifico” che possono in un
qualche modo accomunare questo tipo di patologie.

62 di 122
Cluster dei disturbi del neurosviluppo (DSM V)
- Disabilità intellettiva o Disturbo dello sviluppo intellettivo;
- Disturbi della comunicazione, che sono quelli che riguardano soprattutto l’aspetto del
linguaggio e quindi riguardano soprattutto la riabilitazione logopedica;
- Disturbo dello spettro autistico;
- Disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD);
- Disturbo specifico dell’apprendimento; (es. dislessia)
- Disturbo del movimento, tra cui anche i Tic, la sindrome di Gilles de la Tourette e i disturbi di
coordinazione.

Quindi si può notare, vedendo questa scaletta, che si tratta di sei tipi di disturbi molto diversi l’uno dall’altro.
Il Disturbo specifico dell’apprendimento è quella condizione, che, probabilmente, avete anche sentito definire
“dislessia” impropriamente, perché in realtà la dislessia è la difficoltà nella lettura, che rappresenta un po' la
prima tappa dei meccanismi di funzionamento neuropsicologico, che partono probabilmente da dei
meccanismi funzionali basilari. Un esempio sono i disturbi dell’apprendimento, che quindi interessano la
lettura, il calcolo, la scrittura, mache sono ben diversi dalla Disabilità intellettiva o dal Disturbo dello sviluppo
intellettivo, dove non ci sono solo problematiche a livello accademico, ma ci sono tutta una serie di capacità
mentali legate all’esperienza, all’apprendimento, all’autonomia, allo sviluppo di competenze sociali che è un
qualche cosa di più complesso, di più evoluto, rispetto a quella che può essere semplicemente un’alterazione
dell’apprendimento dove abbiamo dei soggetti che scrivono male, fanno errori ortografici, leggono male o
fanno male i conti però hanno un QI nella norma.

Definizione di disabilità intellettiva secondo i criteri del DSM 5

La disabilità intellettiva (o disturbo dello sviluppo intellettivo) è un disturbo con esordio nel periodo dello
sviluppo che comprende deficit del funzionamento sia intellettivo sia adattivo negli ambiti concettuali, sociali
e pratici.
- “È un disturbo del periodo dello sviluppo” quindi sviluppo entro i 18 anni di vita (la categoria
temporale che interessa la neuropsichiatria infantile). Tutto quello che c’è successivamente, in
un’ottica di perdita di queste acquisizioni, non è più definito disabilità intellettiva ma è definito
deterioramento intellettivo o demenza.
- L’aspetto “concettuale, sociale e pratico” è molto importante, perché si comincia a capire che c’è
tutto un contesto, anche di presa in carico di questi pazienti, non c’è solo quello che è lo sviluppo
delle competenze accademiche o comunque della scolarizzazione (discorso comunque
63 di 122
importante), ma c’è anche l’aspetto dell’autonomia, dei rapporti sociali, delle relazioni, del
rapporto coi pari, dell’attività successivamente lavorativa. Quindi è una cosa molto importante
e che già fa pensare che ci possano essere delle strategie, dal punto di vista della presa in carico
riabilitativa per questi soggetti, perché è ovvio che non ci sono trattamenti farmacologici che
possano avere un’azione sulla disabilità intellettiva.

Nel DSM 5 devono essere soddisfatti questi criteri per la diagnosi:


a. Deficit delle funzioni intellettive, come ragionamento, problem solving, pianificazione, pensiero
astratto, capacità di giudizio, apprendimento scolastico e apprendimento dall’esperienza, confermati
sia da una valutazione clinica sia da test d’intelligenza individualizzati, standardizzati.
Questo è l’aspetto più quantitativo della disabilità intellettiva, perché si fa un test specifico, che viene
scelto sulla base dell’età dell’individuo e della scolarizzazione, che dà un valore numerico, in base al
quale si è in grado di dire: il soggetto ha un ritardo? Sì/No - ha una disabilità? Di che grado è la
disabilità? (sulla base di un numero) - ha un’intelligenza normale? - ha una disabilità intellettiva? - ha
un QI limite/borderline? - ha un iperfunzionamento cognitivo? Ci sono, infatti, anche dei soggetti che
hanno delle potenzialità cognitive superiori alla norma, ma non per questo sono soggetti che abbiano
delle capacità relazionali e sociali brillantissime.
I processi cognitivi hanno basi estremamente complesse e caratterizzano il quoziente intellettivo.
Questo è calcolabile con dei test per l’intelligenza che sono individualizzati, standardizzati e valutati
sulla base dell’età del paziente, non c’è un unico test per tutte le età, ci sono test diversi a seconda
dell’età. Inoltre, ci sono test per pazienti che non hanno una comunicazione verbale, come la scala
Leiter. Questa permette di valutare il QI anche in un bambino che non parla come ad esempio un
bambino con disturbo dello spettro autistico.

b. Deficit del funzionamento adattivo (questo è un po' il nucleo del problema): l’incapacità
dell’individuo di raggiungere le abilità, le autonomie di funzionamento, a livello di responsabilità
sociale, socioculturale, di gestione degli atti più semplici della vita quotidiana, della comunicazione,
della relazione, della partecipazione all’attività lavorativa, alle attività sociali, a seconda dell’età
dell’individuo. Quindi su questo si può lavorare, mentre non si può lavorare tanto sul QI (criterio A).
Sulle sull’adattamento, su quella che può essere la capacità del soggetto di poter vivere
autonomamente, di aver un proprio lavoro e di sapersi gestire nella vita, [sì può lavorare], è un
qualcosa sul quale si può incidere con la psicoeducazione (non con la psicoterapia, come qualcuno
dice all’esame)  è un criterio di adattamento riguardante quello che il soggetto è in grado di
dimostrare nell’adattarsi alle competenze della vita quotidiana come la socializzazione e le relazioni
sociali.

c. Esordio dei deficit intellettivi e adattivi durante il periodo di sviluppo, quindi prima dei 18 anni di vita

Quoziente intellettivo (aspetto quantitativo)


Quando il quoziente intellettivo è inferiore o uguale a 70 si ha un ritardo mentale. Il livello intellettivo è
normale quando è superiore a 85. Tra gli 85 e i 70 c’è il livello intellettivo limite o borderline. Include un gruppo
di persone con difficoltà a livello di capacità intellettive più sfumate rispetto ad un disturbo lieve, che però
sono in difficoltà quando hanno da gestire condizioni sociali, affettive, autonomie personali, quindi hanno
sicuramente un quadro difettuale. Questo tipo di condizione non porta ad avere una certificazione di
disabilità. Questi soggetti vengono inseriti in un bisogno educativo speciale come succede per i bambini che
64 di 122
hanno disturbi dell’apprendimento.

Funzionamento adattativo (aspetto qualitativo)


Per ora si è parlato essenzialmente di una condizione qualitativa (ossia il funzionamento adattativo) e di una
condizione quantitativa (ossia il quoziente intellettivo).
La prima viene descritta molto bene dai classificatori, rispetto quelle che sono le autonomie dell’individuo,
le relazioni con i pari, la vita quotidiana e altre cose pratiche, come la gestione del lavoro, del tempo libero,
ecc. Esistono varie condizioni che possono avere un influsso sul funzionamento adattivo, quali:
 Istruzione;
 Motivazione;
 Personalità;
 Prospettive sociali e professionali;
 Disturbi mentali e condizioni mediche generali associate alla disabilità intellettiva, quindi il fatto di
avere una malattia cronica o una psicopatologia associata alla disabilità intellettiva modifica il
funzionamento adattivo. Ad esempio, una cosa che banalmente accade è l’associazione fra l’epilessia
e la disabilità intellettiva, condizione che può portare a delle disfunzioni o, comunque, a maggiori
problematiche a livello adattivo.
La cosa importante è la possibilità di poter intervenire dal punto di vista psicoeducativo, non tanto sul
funzionamento intellettivo (inteso come parte quantitativa), ma soprattutto sul funzionamento intellettivo
di tipo qualitativo, quindi su tutto ciò che riguarda l’adattamento e l’autonomia. Infatti, il soggetto può essere
educato ad esempio a gestire il denaro, ad avere rapporti sociali, a gestire il tempo libero, a curare la propria
persona e la propria casa. Si può lavorare con questi soggetti dal punto di vista della progettualità
psicoeducativa già dall’età evolutiva. I soggetti che hanno un livello intellettivo di grado lieve o moderato
riescono ad arrivare ad alcune di queste competenze.

Chi sono i professionisti coinvolti? Sicuramente il Neuropsichiatra infantile è una figura molto importante, che
si occupa non solo del paziente, ma anche della famiglia, la quale ha necessita di essere istruita ed educata
alla gestione del figlio affetto da questo problema, ma le figure professionali che principalmente lavorano in
questo senso sono gli educatori professionali.

Quello che segue è un elenco di condizioni che ben caratterizzano alcune difficoltà di adattamento che può
avere unsoggetto con disabilità intellettiva. Ci possono essere problematiche a livello di:
 Comunicazione;
 Cura della persona;
 Abilità domestiche;
 Abilità sociali;
 Capacità di utilizzare le risorse della comunità;
 Autodeterminazione;
 Autonomie che riguardano la propria salute/sicurezza;
 Abilità scolastiche;
 Abilità di gestione del tempo libero;
 Abilità lavorative.

Questi aspetti sembrano a noi banali, che non riscontriamo difficoltà nell’affrontarli tutti i giorni, ma lo sono
meno per un soggetto con disabilità intellettiva.

65 di 122
Gravità
Nel DSM V sono presenti 4 livelli di severità: lieve, medio o moderato, grave, gravissimo. Hanno un punteggio
reperibile attraverso le metodiche di valutazione testologica  un soggetto ha disabilità intellettiva se il suo
livello intellettivo è inferiore a 70.
- lieve se tra 50/55 e 70,
- moderata da 50/55 a 35/40,
- grave da 40/35 a 25/20
- gravissima sotto 25/20.
Nell’ ICD 10 si ritrovano più o meno gli stessi parametri numerici, ma non con questi range di valore (50-55),
è più discriminante. Vengono considerati 3 livelli: livello concettuale, livello sociale, dominio pratico.
 Grado lieve: nei bambini in età prescolare potrebbero non esserci delle evidenze così chiare rispetto
alle problematiche concettuali. In età di scuola primaria potrebbero cominciare a mostrare
problematiche di apprendimento o che possono interessare la lettura, la scrittura, l’aritmetica, il
concetto del denaro, del tempo e pensiero eccessivamente concreto. Tutte condizioni che
potrebbero richiedere un ulteriore aiuto. Nell’adulto la disabilità si concretizza in difficoltà nel
ragionamento astratto, funzioni esecutive, pianificazione e programmazione, sensibilità cognitiva,
memoria a breve termine, capacità di gestione del denaro, lettura (possono essere inseriti nel
contesto lavorativo con un’attività non complessa, con necessità di supporto per venti stressanti).
Questa situazione inizia ad essere presente nel ragazzino scolarizzato, nella scuola primaria. Prima è
difficile, almeno se non in presenza di un ritardo psicomotorio, nell’adulto invece si struttura.
Rispetto al dominio sociale, questi individui possono avere una modalità immatura di interazione
sociale, difficoltà relazionale coi pari, problematiche di conversazione, comunicazione, linguaggio. Il
linguaggio non è che non sia strutturato, ma è molto concreto e immaturo rispetto all’età. Ci possono
essere problematiche nel regolare le proprie emozioni e il proprio comportamento. Tutto ciò limita
il soggetto nella gestione sociale: il soggetto potrebbe essere particolarmente debole rispetto a
fattori esterni di manipolazione. L’individuo non ha le competenze per difendersi. Per quanto
riguarda l’aspetto pratico il soggetto può funzionare bene nella cura personale, ma può necessitare
di un supporto per le situazioni più complesse della vita quotidiana come negli acquisti, nei trasporti,
nell’organizzazione della vita, nella preparazione del cibo, nell’andare in banca. C’è quindi una
difficoltà nelle competenze pratiche. Per quanto riguarda la scolarizzazione nell’età adulta, nella
forma lieve non si superano le conoscenze della quinta elementare.
Dal punto di vista clinico la disabilità intellettiva di grado lieve entra in diagnosi differenziale con il
livello intellettivo borderline e con i disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disgrafia,
disortografia, discalculia) perché i soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento hanno difficoltà
scolastiche che si evidenziano nella scuola primaria ma hanno per definizione un livello intellettivo
nella norma.

 Nella disabilità intellettiva moderata si riscontra maggiore difficoltà sia nel dominio concettuale, che
sociale, che pratico. Hanno necessità di maggior sostegno. A livello di capacità di raggiungimento
delle tappe scolastiche, sono soggetti che arrivano alle competenze della seconda elementare. Questi
soggetti hanno difficoltà nella gestione sociale, nelle relazioni, nelle decisioni da prendere nella vita,
nella gestione del rapporto con i pari, nelle attività lavorative. Sia nella disabilità lieve che nella
moderata possono essere persone anche con vita autonoma e un’attività lavorativa autonoma, ma
con necessità di supporto da parte di educatori professionali.

 Nelle forme severe e profonde abbiamo soggetti con problematiche più importanti: incapacità di
scrittura, calcolo, mancanza di linguaggio. Possono apprendere semplici competenze come, ad
esempio, nella cura della persona o attività lavorative molto semplici con adeguata supervisione.
Le forme gravissime sono spesso associate a problematiche neurologiche come paralisi cerebrali
infantili ed epilessie gravi. Sono soggetti sicuramente dipendenti, incapaci di vivere da soli, spesso
necessitano anche di strutture specializzate e di aiuti continui. Spesso non sono autonomi nella cura
66 di 122
personale.
Quindi il DSM5 permette, leggendo queste griglie (sotto), di poter inquadrare l’individuo che si segue senza
“aver fatto dei test neuropsicologici” perché effettivamente non tutti gli individui sono testabili, è difficile
qualche volta avere una collaborazione con qualcuno. Vengono in aiuto vari tipi di test, tra cui anche test
utilizzati in soggetti con problematiche linguistiche, ad esempio per un bambino con disturbo dello spettro
autistico che non parla, esistono dei test che sono in grado di valutare il QI anche se non c’è un linguaggio
strutturato. Andrebbero considerati i fattori culturali, i problemi di lingua (soprattutto adesso in condizioni
di multiculturalismo). È importante, quando si somministra un test, che ci sia la comprensione sia a livello di
linguaggio che a livello culturale.

67 di 122

Potrebbero piacerti anche