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Capitolo 7, Marcello Garzaniti. Gli Slavi.

Storia, culture e lingue dalle


origini ai nostri giorni. Carocci editore, 2013
Lo slavo comune
1. Le palatalizzazioni

Nel passaggio dall’indoeuropeo allo slavo comune, una serie di consonanti ha subito lo
spostamento del punto di articolazione nel palato, dando vita a un gruppo di consonanti palatali.
La palatalizzazione ha quindi determinato la comparsa di nuove consonanti.
Questa, insieme alla sonorità crescente della sillaba, costituisce uno degli elementi chiave per
comprendere la fonetica dello slavo comune e lo sviluppo delle lingue slave.
La legge della sillaba aperta aveva creato un rapporto più stretto tra vocali e consonanti all’interno
della sillaba (le vocali anteriori agiscono sulle consonanti posteriori che le precedono per ristabilire
un’armonia sillabica). Quindi sfruttando l’apparato fonatorio, è possibile spostare il punto in cui
vengono articolate determinate consonanti, producendo nuovi suoni.
Le prime tre palatalizzazioni riguardano le consonanti velari: k, g, ch.

2. La prima palatalizzazione

La prima palatalizzazione delle velari è provocata da una vocale anteriore seguente: oltre alla i e
alla e, troviamo ĭ (cioè lo jer molle (ь)), la nasale anteriore ę e infine la jat, che traslitteriamo ĕ.
Si aggiungono le liquide sonanti (ļ’, ŗ’), molto vicine alle vocali e infine la ’u.
Per influsso di queste vocali anteriori, la consonante velare sposta in avanti il suo punto di
articolazione e si trasforma in palatale, superando lo squilibrio della sillaba che rendeva più difficile
l’articolazione.
 k > č (in cirillico ч)
 g > dž > ž (in cirillico ж)
 ch > š (in cirillico ш)

I tre nuovi fonemi sono il risultato dell’avanzamento del punto di articolazione delle consonanti
velari; arricchiscono il sistema fonatorio dello slavo comune ma allontanano decisamente lo slavo
dall’indoeuropeo.
Questi nuovi fonemi assumono una grande rilevanza nella morfologia del nome e del verbo dal
momento che sono proprio le terminazione delle desinenze o l’aggiunta di formanti a provocare la
palatalizzazione, mutando la forma della radice stessa.

oko (“occhio”) > oči (duale)


bogŭ (“dio”) > bože (vocativo sing.)
ucho (“orecchio”) > ušes- (negli altri casi)

3. La seconda palatalizzazione

Il fenomeno si realizza in presenza di due fonemi vocalici che appartengono sempre al gruppo
delle vocali anteriori (ĕ (jat), i nella posizione di fine parola), ma che risultano dalla
monottongazione dei dittonghi. All’epoca della prima palatalizzazione questi dittonghi erano
ancora tali, e proprio per questo motivo non la innescarono.
 k > c (in cirillico ц)
 g > dz > z (in cirillico з)
 ch > s (in cirillico с), š (solo nello slavo occidentale)

otrokŭ (“ragazzo”, “fanciullo”) > otroci (nominativo pl.)

4. Fenomeni affini

La palatalizzazione è un fenomeno di lunga durata che agisce sia nella prima fase dello slavo
comune sia nella seconda, con la formazione dei diversi gruppi slavi.
Alle due palatalizzazioni sono legati alcuni fenomeni affini che interessano i gruppi consonantici
kv, gv, chv. In alcune aree questi gruppi si conservano, mentre in altre aree subiscono una
palatalizzazione.
Nello slavo meridionale e soprattutto in quello orientale si osserva un duraturo processo di
palatalizzazione, mentre nello slavo occidentale, il fenomeno si arresta più velocemente.
Se consideriamo il gruppo kv, nelle lingue polacca e ceca troviamo kwaiat e kvĕt (“fiore”), che
conservano il gruppo kv, mentre in area slava orientale e meridionale si afferma la
palatalizzazione, come mostrano il russo svet e il bulgaro cvjat.
La stessa cosa si verifica per il gruppo gv. In polacco troviamo gwiazda (“stella”), mentre in russo si
incontra la forma palatalizzata zvezda, in cui il gruppo zv attraverso dvz risale alla medesima forma
della prima fase dello slavo comune: *gvĕzda.
Lo stesso fenomeno interessa anche il gruppo sv: vlĭchvŭ (“mago”) che al nominativo pl. davanti a
vocale anteriore i in posizione di fine parola palatalizza il gruppo chv in sv: vlĭsvi.

5. La terza palatalizzazione

 k > c (in cirillico ц)


 g > dz > z (in cirillico з)
 ch > s (in cirillico с), š (solo nello slavo occidentale)

In questo caso, ad innescare la palatalizzazione non è la vocale che segue la consonante, ma la


vocale che la precede.
Se però è la vocale che precede ad agire sulla consonante che segue, non è più la vocale della
medesima sillaba ad agire sulle consonanti, bensì la vocale della sillaba precedente (CV+CV+CV).
Questa palatalizzazione è detta anche “progressiva” e si realizzò quando la legge della sillaba
aperta si era ormai indebolita, dal momento che sulla sillaba ha effetto l’azione esterna di una
vocale.

6. La fusione dello jod con una consonante o con un gruppo di consonanti precedenti

Con l’affermazione della sonorità crescente della sillaba, alcune consonanti o gruppi consonantici,
per lo spostamento del limite della sillaba, entrano in contatto diretto con lo jod che si trova
interposto fra la consonante o il gruppo consonantico precedente e la vocale che segue. Lo jod è
una semiconsonante; quindi si formano delle sillabe con struttura CjV o CCjV. Questo jod
interposto fra consonante e vocale influisce sia sulla consonante che precede sia sulla vocale che
segue. All’interno della sillaba si creano delle influenze in una doppia direzione: lo jod tende a
palatalizzare (cioè a far spostare in avanti il punto di articolazione delle consonanti che lo
precedono), ma allo stesso tempo tende a determinare l’apertura delle vocali che seguono.
Si realizzano, all’epoca dello slavo comune, i seguenti passaggi che generano la serie di consonanti
molli o palatalizzate:
sj > š zj > ž nj > n’
lj > l’ rj > r’ kj > č
gj > dž > ž chj > š

pĭsati (“scrivere”)  pišǫ (“scrivo”)


Dal momento che la terminazione della I persona del presente di gran parte dei verbi slavi è –jǫ si
può facilmente dedurre la trasformazione della s in š per l’azione dello jod sulla consonante
sibilante.
plakati (“piangere”) plačǫ (“piango”)
Questo fenomeno ha creato una serie di consonanti palatali che in parte coincidono con gli esiti
delle palatalizzazioni velari.
L’azione dello jod non interessa semplicemente la prima fase dello comune ma anche la seconda.
Dopo p/b/v/m, le lingue slave orientali e meridionali inseriscono la cosiddetta “l epentetica”, che
serve a facilitare la pronuncia della sillaba: pj > pl’ bj > bl’ vj > vl’ mj > ml’
ljubit’ (“amare”)  ljublju (io amo)

Lo jod agisce anche sulle dentali t e d:


 tj > c (occidentale), č (orientale), št (meridionale)
 dj > z (occidentale), ž (orientale), žd (meridionale)

ie. *nokt’ĭ (“notte”)


ceco, polacco, slovacco noc
bulgaro nošt
russo noč’

7. La fusione dello jod con una vocale posteriore successiva

lo jod agisce non solo sulla consonante che precede, ma anche sulla vocale che segue. Se lo jod ha
palatalizzato la consonante precedente, spostando in avanti il suo punto di articolazione, è anche
in grado di trasformare la vocale che segue da posteriore a anteriore.
Si verifica così una serie di passaggi di cui consideriamo solo i più importanti:
o>e
ŭ > ĭ (da jer duro a jer molle)
y > i (da i velare a i palatale)

-omĭ (terminazione strum. sing. maschile) a cui si alterna, laddove agisca lo jod, la desinenza -emĭ.
Lo jod produce una serie di alternanze vocaliche nelle terminazioni, finendo per creare una doppia
declinazione, una con le desinenze dure e l’altra con le desinenze molli. Si tratta di un elemento
essenziale per orientarsi nella grammatica delle lingue slave.

8. La prosodia e la metrica

Nel tardo slavo comune l’accento cadeva sulla sillaba di tono ascendente o sulla prima sillaba e
questo deve aver favorito, almeno in una fase antica, l’uso dell’allitterazione nella parlate slave
che hanno conservato o recuperato questa tendenza. Solo più tardi si è sviluppato l’accento libero
che lega le lingue slave orientali al bulgaro.
Ceco, slovacco, croato e serbo hanno invece sviluppato vocali di quantità libera. Entrambe le
tendenze sono assenti nel polacco e nel macedone, influenzando in modo determinante il diverso
sviluppo della metrica.
Tra gli elementi prosodici comuni, emerge l’impossibilità nelle assonanze fra vocali di legare le
consonanti sonore con le sorde.

9. L’apofonia

Il fenomeno dell’apofonia è indoeuropeo e interessa soprattutto le radici verbali. Le radici


dell’indoeuropeo sono composte da tre fonemi e presentano la struttura sillabica CVC. Essa
produce il cambiamento della vocale centrale (in italiano per esempio “fare”: io faccio, io feci -> la
radice muta mediante un’alternanza vocalica). Questo cambiamento è molto utile perché forme
diverse della stessa radice servono a costruire tempi diversi dello stesso verbo.
Fra le apofonie di origine indoeuropea la principale è rappresentata dall’alternanza e/o, ma esiste
anche un’apofonia di grado zero, che si manifesta con l’assenza della vocale (pater, patris in latino
grado zero in alternanza al grado e).
L’apofonia è presente anche nello slavo comune, ma assume funzioni diverse, mostrando una
maggiore produttività.
Questa produttività è stata senza dubbio favorita dalla legge della sillaba aperta.
brati (“prendere”)  berǫ (“prendo”), con un dittongo in -er- al grado e dell’apofonia
indoeuropea. Nella radice dell’infinito, per la metatesi delle liquide, l’originario dittongo in -or- si
trasforma in -ra-. La legge della sillaba aperta ha determinato la creazione di un’alternanza er/ra al
posto di e(r)/o(r) dell’indoeuropeo.
Studiando la morfologia del verbo, si deve porre molta attenzione alla forma delle radici, che
spesso mostrano un’alternanza vocalica, cioè un’apofonia, non sempre facilmente identificabile.

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