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Basi Biologiche Professore: Paolo Porporato

Lezione 8 Sbobinatore: Matteo Pepe


17/10/2023 Revisore: Andrea Rebola

LA TRADUZIONE

Con la traduzione si passa dal linguaggio degli acidi nucleici a quello degli amminoacidi.
La trascrizione avviene nel nucleo della cellula, mentre la traduzione avviene fuori e perciò
l’mRNA, una volta maturo, deve uscire dal nucleo tramite dei pori. Questo spostamento è
facilitato dalle ribonucleoproteine, ovvero particelle che interagiscono con l’mRNA
permettendone il trasferimento.

GLI AMMINOACIDI E IL CODICE GENETICO


Il fenomeno della traduzione avviene a triplette: ogni tripletta nucleotidica di RNA
corrisponde ad un determinato amminoacido, e questo ci permette di introdurre il concetto
chiave del codice genetico, ovvero come la sequenza di nucleotidi venga letta e trasformata
in amminoacidi.
Per capire come passare da un codice a 4 lettere (A,T,C,G) ad uno a 20 (amminoacidi),
furono svolte varie ricerche. Era chiaro che non ci potesse essere un rapporto 1:1, e
nemmeno di 2 nucleotidi ad amminoacido, poiché le coppie possibili sarebbero 16.
Il codice genetico è perciò l’insieme di 64 triplette (o codoni) nucleotidiche. Ognuna delle
triplette codifica per un determinato amminoacido, ed esiste poi un codone di inizio (AUG) e
tre codoni di stop (UAA, UAG, UGA).
Il codice genetico è ridondante e degenerato, perché un singolo amminoacido può essere
codificato da più triplette (serina e leucina ad esempio possono essere codificate da 6
diverse combinazioni).

Osservando l’elenco delle triplette che codificano per gli amminoacidi, è interessante notare
come siano quasi sempre i primi due nucleotidi a dare il rapporto di lettura.
I nucleotidi chiave sono perciò i primi due della tripletta, mentre il terzo è più soggetto a
variabilità. Si tratta di uno dei meccanismi alla base del processo di traduzione.
Nel caso specifico della leucina, ad esempio, sono i nucleotidi CU a codificare per
l’amminoacido, ed il terzo può variare.

Il professore afferma che questo discorso non deve far pensare che il terzo nucleotide della
tripletta non sia importante, ma solamente che esso può essere soggetto a variabilità.

DOMANDA: il fatto che alcuni amminoacidi possano essere codificati da un numero


maggiore di triplette dipende dalla sua importanza e dalla frequenza del suo utilizzo
all’interno delle cellule?
RISPOSTA: Tendenzialmente si, gli amminoacidi più frequenti e più abbondanti possono
essere codificati da più triplette nucleotidiche.
Gli amminoacidi seguono un codice-colore che deriva dalla loro carica e dalla loro struttura.
Amminoacidi con carica o struttura simile hanno lo stesso colore.
Questo raggruppamento ha dei vantaggi poiché permette di limitare i danni in caso di
mutazioni.
All’interno di una proteina, infatti, se sostituiamo un amminoacido apolare con uno polare,
questo avrà un impatto devastante sulla struttura e sulla funzione della proteina. Se invece
un amminoacido viene sostituito da uno abbastanza simile l’impatto e i danni potenzialmente
risulteranno minori.

TRNA
I tRNA sono mediatori chiave del processo di traduzione. Sono i traduttori del processo,
poiché associano ad ogni tripletta un determinato amminoacido.
Nelle cellule eucariote sono stati identificati 45 tRNA, uno per amminoacido e alcuni di essi
ne possiedono 2.
Con la traduzione un codice di 3 lettere viene trasformato in un codice ad una sola lettera.

READING FRAME
La cornice di lettura (reading frame) consiste nella sequenza di triplette associate alla
corretta sequenza di amminoacidi.
Inserzione e delezione sono devastanti per la cornice di lettura, poiché causano uno
slittamento che può determinare gravi mutazioni. La proteina infatti rischia di perdere un
codone di stop ed essere più corta di quanto dovrebbe (tronca) oppure più lunga. La parte
della proteina che viene mutata è quella che impartisce l’alterazione della funzione di quella
proteina.

Nell’esempio sopra riportato la cornice di lettura viene impartita dalla prima tripletta CUC. Se
manca il primo nucleotide si verifica uno slittamento che determina un cambiamento
completo della sequenza amminoacidica.

DOMANDA: I termini “codone” e “tripletta” sono sinonimi?


RISPOSTA: Mosto spesso si.

COME È STATO DECODIFICATO IL CODICE?


Il primo esperimento, attuato da Nirenberg, consisteva nel prendere singoli nucleotidi di
uracile, incubarli con l’enzima polinucleotide fosforilasi ed ottenere in vitro una catena
polinucleotidica di uridina (poli-U). Queste catene di poli-U sono poi state incubate
all’interno di una provetta contenente gli elementi necessari alla traduzione.
Il processo di traduzione avviene in 20 provette a 37° (temperatura corporea), in ognuna
delle quali viene aggiunto un amminoacido radioattivo, in modo tale da identificare quale
tripletta codificasse per ogni determinato amminoacido.
La prima correlazione identificata da Nirenberg fu quella tra il codone UUU e l’amminoacido
fenilalanina. In seguito venne identificato l’intero codice genetico, inclusi i 3 codoni di stop.

CARATTERISTICHE DEL CODICE GENETICO


-UNIVERSALE: gli organismi hanno le stesse regole di traduzione, anche se esistono
alcune eccezioni come batteri e mitocondri;
-DEGENERATO O RIDONDANTE: più codoni possono codificare per lo stesso
amminoacido;
-NON AMBIGUO: un codone specifica sempre per lo stesso amminoacido.

I codoni sinonimi differiscono per un solo nucleotide ma codificano per lo stesso


amminoacido. Spesso in genetica si parla di mutazioni sinonime quando la mutazione del
DNA non determina il cambiamento di un amminoacido.

FENOMENO DI VACILLAMENTO
Nell’organismo umano ci sono 64 triplette, ma solamente 45 tRNA, che riconoscono il
codone grazie ad un appaiamento della loro sequenza nucleotidica (l’anticodone). Tuttavia
i tRNA hanno a disposizione solamente 45 triplette, che non sono abbastanza rispetto alle
64 possibili per gli amminoacidi.
Ciò è dovuto al fatto che i tRNA subiscono il fenomeno di “vacillamento”: un singolo tRNA è
in grado di riconoscere i primi due nucleotidi in maniera molto forte, mentre il terzo non è
sottoposto alle strette regole della complementarietà. Questo permette un appaiamento
meno preciso, “vacillante”. Perciò un tRNA può riconoscere almeno due diverse triplette che
differiscono per il terzo nucleotide.

COMPONENTI CHIAVE DELLA TRADUZIONE


I 3 componenti chiave della traduzione sono tRNA, Aminoacil-tRNA sintetasi e Ribosoma.

-tRNA: viene mostrato come un trifoglio (anche se la sua struttura tridimensionale è in realtà
molto più complessa) in cui l’estremità 3’ lega l’amminoacido (stelo accettore, presenta
sempre la sequenza CCA), mentre l’estremità opposta presenta l’anticodone, ovvero la
sequenza nucleotidica che si appaia al codone bersaglio. I 45 tipi di tRNA presentano 45
diversi anticodoni.
Le anse del tRNA presentano una struttura variabile in cui possono essere presenti anche
nucleotidi non convenzionali che conferiscono resistenza alla molecola.
La distanza tra anticodone e stelo accettore è invece costante per tutti i tRNA perché gli
amminoacidi devono essere legati alla stessa altezza, in modo tale da formare una catena
polipeptidica dritta.
La struttura del tRNA è composta da circa 70-80 nucleotidi.
-AMMINOACIL-tRNA SINTETASI: è l’enzima che riconosce il tRNA e lo lega
all’amminoacido specifico.
Se si modifica sperimentalmente la sintetasi, si può legare un amminoacido differente ad un
determinato tRNA.
Ogni tRNA sintetasi ha una determinata specificità con un amminoacido, e ne catalizza la
reazione di legame con il tRNA. Ad esempio l’enzima triptofanil-tRNA sintetasi riconosce e
lega il triptofano.
Il legame che si viene a creare tra tRNA ed amminoacido, attraverso idrolisi di ATP, è ad alta
energia (covalente).
La traduzione è un processo energeticamente dispendioso perché ogni singolo
amminoacido è associato all’idrolisi di una molecola di ATP. I principali regolatori del
processo di traduzione della cellula sono infatti anche dei sensori dello stato energetico

CARICAMENTO tRNA-AA
Esiste almeno una tRNA sintetasi per ogni amminoacido. L’enzima possiede un sito attivo
formato da tre parti che riconoscono tre diverse molecole: l’amminoacido specifico, una
molecola di ATP e uno specifico tRNA.
Il caricamento avviene in due passaggi: nel primo step l’amminoacido viene adenilato, nel
secondo viene trasferito al tRNA con formazione di un legame covalente.
Questo processo è ovviamente molto specifico, perché un errore può determinare una grave
mutazione.

Il tRNA viene riconosciuto senza particolari difficoltà dall’enzima,


poiché si tratta di una molecola complessa. L’amminoacido,
invece, presenta una struttura più piccola e molto più semplice,
quindi ci possono essere degli errori nel suo riconoscimento.

Esiste perciò un controllo a più step dell’accuratezza, basato su


3 livelli:
-gruppi chimici diversi dei vari amminoacidi;
-ingombro sterico differente;
-due binding pocket: il tRNA lega l’amminoacido nel primo
pocket. In seguito modifica la sua struttura ed avvicina
l’amminoacido ad un secondo sito (sito di editing) molto simile
al primo, ma evoluto per discriminare e non permettere
l’accesso all’amminoacido corretto. Perciò se l’amminoacido
riesce ad entrare in entrambi i pocket è stato commesso un
errore e viene rimosso. Se invece entra nel primo ma non nel
secondo è l’amminoacido corretto.
Il tasso di errore della sintetasi è di 1 su 40000, ma aumenta in caso di stress metabolico.

-RIBOSOMI: sono le strutture che effettuano il lavoro di sintesi proteica.


Sono composti da rRNA (60%) e proteine (40%).
Differiscono tra procarioti ed eucarioti. Nei procarioti i ribosomi assemblati hanno una
dimensione di 70S, negli eucarioti di 80S.(Questo ha una rilevanza medica notevole , infatti
uno dei principali bersagli degli antibiotici è la traduzione proteica e la differenza di
dimensione permette di bersagliare con grande precisione solo i ribosomi dei batteri.)
I ribosomi sono costituiti da una subunità maggiore ed una subunità minore, e presentano
dei siti specifici di legame con il tRNA
-sito P: peptidico;
-sito A: aminoacidico;
-sito E: di uscita (exit).
Il ribosoma scorre lungo l’mRNA e produce una catena polipeptidica.
DOMANDA: cosa significa S?
RISPOSTA: si tratta di un’unità di misura della dimensione dell’rRNA. S deriva dal nome
dello scienziato che ha sviluppato questa categorizzazione: Svedberg.

LA TRADUZIONE SI SUDDIVIDE IN TRE FASI


-Iniziazione: si assembla il ribosoma.
-Elongazione: inizia a formarsi la catena polipeptidica.
-Terminazione: si arriva al codone di stop e si disassembla il ribosoma.

INIZIAZIONE: Il processo è differente tra procarioti ed eucarioti.

TRADUZIONE I (procarioti)
Abbiamo una sequenza leader di mRNA che indica l’attacco, in prossimità del codone di
inizio, della subunità ribosomiale minore e di altre tre proteine (i fattori di inizio).
Successivamente arriva il tRNA iniziatore, che porta al distacco di uno dei fattori di inizio
associato all’idrolisi di ATP e permette l’assemblaggio della subunità maggiore (con distacco
degli altri due fattori e l’utilizzo di altri due ATP). Per l’assemblaggio del complesso sono
quindi necessarie tre molecole di ATP.
Nell’mRNA dei procarioti è stata identificata la sequenza di Shine-Dalgarno, che permette il
riconoscimento del complesso dalla subunità minore.
TRADUZIONE II (eucarioti)
La subunità minore si trova già legata al tRNA iniziatore. Successivamente il complesso
riconosce l’mRNA attraverso il CAP modificato (5-metilguanosina) e da qui inizia a scorrere
lungo l’mRNA finché incontra il codone di inizio AUG. A questo punto i fattori di inizio, che
sono 5 negli organismi eucarioti, idrolizzano la GTP e permettono l’assemblaggio del
complesso.
Ogni fattore di inizio ha una differente funzione: riconoscere il sito di inizio, legare la
metionina, riconoscere il cap 5’ dell’mRNA…

ALLUNGAMENTO: il tRNA, legato ad un amminoacido , entra nel sito A del ribosoma


riconoscendo il codone complementare al suo anticodone, poi scorre verso il sito P e qui
l’amminoacido legato al tRNA si lega attraverso un legame peptidico alla catena
polipeptidica nascente. Tutto il complesso scorre ed il tRNA esce passando attraverso il sito
E.
Durante tutto il processo viene consumato ATP.
Questa fase è mediata da un ribozima , che funge da catalizzatore di reazioni.

Durante lo scorrimento, la catena di mRNA passa attraverso i tre siti del ribosoma, al cui
interno sono effettuati livelli di controllo della specificità.
Effettuando la sintesi proteica in vitro, si notò che questa impiegava molto più tempo ed
aveva un tasso di errore maggiore rispetto a quella fisiologica. Ciò avveniva poichè nella
cellula sono presenti dei fattori di allungamento (EF: Elongation Factors) che forzano il
sistema, lo rendono più veloce e ne mediano una maggiore specificità. Questo
procedimento è definito proofreading cinetico.
Gli EF favoriscono un cambio conformazionale del ribosoma attraverso l’idrolisi di GTP, e
questo permette all’mRNA di muoversi più velocemente. Facendo ciò, gli EF forzano anche
eventuali discrepanze strutturali tra il ribosoma e l’mRNA, causando un adattamento
indotto che permette una selezione specifica tra tRNA e tripletta corrispondente.

TERMINAZIONE: una volta formata la catena polipeptidica, si arriva al codone di stop. Qui
entrano nel sito A delle proteine specifiche, i fattori di rilascio, che riconoscono il codone di
stop e determinano il disassemblamento del ribosoma.
Anche in questo caso è necessaria idrolisi di GTP.

In molti casi, durante la traduzione, si forma un poliribosoma (sull’mRNA scorrono vari


ribosomi uno accanto all’altro), perciò da una singola molecola di mRNA emergono
contemporaneamente molte catene polipeptidiche.

Dato che la traduzione è diversa tra procarioti ed eucarioti, si sono potute selezionare delle
molecole che inibiscono la traduzione, soprattutto nei procarioti. Sono stati così identificati i
primi antibiotici.
Sbobinatore: Alessandra Ricci
Revisore: Luce Ricci
19/10/2023

Il professore riprende le ultime slides della lezione 8 sulla traduzione.

IL FOLDING

Una proteina appena prodotta nel ribosoma non è pronta e matura (esistono
delle eccezioni), per questo motivo va incontro ad un complesso processo di
maturazione. Affinché la catena polipeptidica funzioni, deve ripiegarsi
correttamente nella sua conformazione tridimensionale. Le proteine vanno
incontro a molti processi post-traduzionali come la glicosilazione, la
fosforilazione, l’acetilazione; altre vengono invece tagliate, è il processo del
taglio a portare alla maturazione (piccoli ormoni espressi come proormoni
diventano maturi solo in seguito al taglio proteolitico).

Il Folding (ripiegamento) è un processo garantito dalle interazioni (di


attrazione/repulsione) intermolecolari non covalenti tra residui amminoacidici
che presentano complementarietà.

Un esempio: il gruppo chimico di un residuo amminoacidico con parziale


carica negativa forma un ponte ad idrogeno con il gruppo chimico di un diverso
residuo amminoacidico caratterizzato da parziale carica positiva.

In uno dei primi esperimenti sulle proteine, noto come esperimento di


Anfinsen, si cercò di comprendere il funzionamento di questo folding. Si
consideri una proteina semplice globulare (es. albumina) e la si sottoponga ad
un forte stress che vada a rompere tutte le interazioni deboli all’interno della
stessa. La proteina si denatura e si apre. Allo stesso modo proteine molto
semplici (piccole proteine ad attività enzimatica) possono essere denaturate
sperimentalmente con soluzioni molto cariche, con detergenti molto forti o con
agenti riducenti. La proteina si ripiega in maniera fisiologica una volta rimossa la sostanza
denaturante, e riprende le sue normali funzioni.
In molti casi le proteine tendono ad avere un ripiegamento naturale in linea con la loro
funzione fisiologica.
Per alcune proteine questo ripiegamento
avviene immediatamente: mentre la
catena polipeptidica neosintetizzata esce
dal ribosoma, a partire dall’estremità N-
terminale, inizia il ripiegamento e in
maniera spontanea la proteina assume la
sua forma nativa. Nell’esempio la proteina
è caratterizzata da due colori differenti ad
indicare due domini che si ripiegano in
maniera indipendente.

La catena polipeptidica in uscita dal ribosoma inizia il folding con il ripiegamento del dominio
N-terminale e in successione con il ripiegamento di quello C-terminale. Il folding giunge a
pieno compimento solo con il rilascio della catena da parte del ribosoma.
ERRORI DI FOLDING e CHAPERONI MOLECOLARI

Il professore consiglia una review scientifica pubblicata su “Science” Dall’articolo viene


preso uno schema figurante gli errori di ripiegamento. https://www.science.org/doi/10.1126/
science.aac4354

Nonostante l’accuratezza del processo, possono verificarsi degli errori di ripiegamento: in


questi casi esistono delle proteine utili a prevenire e riparare questi errori, o che
intervengono a degradare la proteina danneggiata (quando gli errori siano irreparabili).
Esistono vari livelli di errore: quelli più semplici possono essere corretti dalle proteine dette
chaperoni molecolari (o chaperonine), che favoriscono il corretto folding della proteina. A
volte le catene polipeptidiche riescono a correggere l’errore di folding in maniera autonoma,
altre volte necessitano dell’aiuto delle chaperonine, o ancora, vengono immediatamente
degradate nel caso in cui la modificazione strutturale risulti troppo grave. Una questione di
significativo interesse riguarda lo smaltimento delle proteine disgregate, in quanto
presentano la spiccata tendenza a formare aggregati e fibrille che possono provocare la
morte cellulare e, inoltre, aumentare il rischio di sviluppare malattie degenerative. Per
smaltire i residui proteici esistono diversi sistemi di degradazione proteica, (vedi paragrafo
dedicato).

La proteina interessata da un errore di folding può subire una modificazione con implicazioni
decisamente più gravi nel momento in cui il normale ripiegamento si trasforma in un
groviglio amorfo, con la conseguente perdita della struttura originale. Proteine simili con
analoghi errori di ripiegamento possono formare degli oligomeri: le catene interagiscono
attraverso legami tra residui amminoacidici con cariche parziali opposte. Questi oligomeri,
presenti in ingenti quantità, tendono a collassare formando degli aggregati di natura fibrosa,
il cui destino è quello di formare dei precipitati, dannosi per la cellula. Un classico esempio si
può riscontrare nelle proteine prioniche che, in seguito ad una modificazione
conformazionale, tendono ad aggregare in fibrille tanto compatte che gli enzimi non possono
degradarle. L’accumulo di tali fibrille può innescare un processo di apoptosi.

Le proteine chaperon possono interagire con il polipeptide nascente e, tramite l’idrolisi di


ATP, possono ottenere l’energia necessaria a favorire il folding corretto della proteina. Le
cellule utilizzano diversi tipi di chaperoni, tra cui quelli della famiglia delle proteine HSP
(heat shock proteins): si è notato che queste proteine hanno la capacità di resistere ad
elevate temperature e, in questo modo, sono in grado di prevenire la denaturazione della
proteina d’interesse. In presenza di stress dovuto a temperature elevate, alcune cellule
tendono a sovraesprimere le proteine HSP.

Esempio di Chaperonine: complesso di proteine di tipo HSP60

Le proteine della classe HSP60 (GroEN e GroES) si associano a formare delle strutture
chiuse “a barile”, dei complessi proteici che presentano all’esterno dei siti di natura
idrofobica e fungono da camera di isolamento. Questa componente idrofobica permette al
complesso di incorporare (in maniera aspecifica) tutte le proteine che, in seguito ad errori di
folding, espongono dei residui idrofobici. Normalmente, infatti, le proteine espongono
esternamente i residui amminoacidici idrofili, mentre racchiudono all’interno della loro
compatta struttura i residui idrofobici. Il complesso proteico cattura e incorpora la proteina
(che non ha “foldato” correttamente) nella regione idrofobica e crea, nuovamente, al suo
interno un ambiente non totalmente idrofilico. Grazie a dei cicli di idrolisi di ATP il complesso
proteico ha l’energia necessaria a proteggere la proteina dal circostante ambiente idrofilico
(evitando che la proteina collassi prima del folding) e a forzarne il corretto ripiegamento.

DEGRADAZIONE dei RESIDUI PROTEICI e MACHINERY del PROTEASOMA

Nel caso in cui la proteina risulti eccessivamente compromessa, è destinata ad andare


incontro ad un processo di degradazione, che dev’essere regolato con accuratezza per
evitare il rischio di formazione di aggregati e fibrille che possano causare l’apoptosi e portare
allo sviluppo di malattie degenerative. Per evitare questo stoccaggio dannoso esistono molti
sistemi di degradazione proteica.

Il proteasoma, ad esempio, è un macro complesso molecolare nel quale molte proteine


cooperano per degradare una proteina bersaglio danneggiata.
Questa machinery presenta porzioni diverse con funzioni
differenti: una linearizza (svolge) la catena polipeptidica della
proteina bersaglio, altre hanno piuttosto attività enzimatica
volta alla digestione della proteina e alla rottura dei legami
polipeptidici. Prima di procedere alla degradazione, la proteina
bersaglio dev’essere però marcata: questo avviene con
l’aggiunta di una catena di poliubiquitina, (modificazione
post-traduzionale).
Il proteasoma presenta una struttura complessa che presenta un cappuccio, in grado di
legare selettivamente quelle proteine che sono state marcate da ubiquitina. Utilizza quindi la
sintesi di ATP per svolgere le catene polipeptidiche e introdurle attraverso uno stretto canale
nella camera interna del cilindro. Lo stesso sistema del proteasoma è chiave anche in
processi fisiologici: abbiamo dei tessuti, come il muscolo, che in alcune fasi della vita
devono crescere e diventare ipertrofici, e altri in cui invece, in assenza di macronutrienti,
deve andare incontro a ipotrofia. In questi casi il muscolo attiva delle proteine come le
ubiquitine ligasi per degradare la struttura muscolare.

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