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LA TRADUZIONE
Con la traduzione si passa dal linguaggio degli acidi nucleici a quello degli amminoacidi.
La trascrizione avviene nel nucleo della cellula, mentre la traduzione avviene fuori e perciò
l’mRNA, una volta maturo, deve uscire dal nucleo tramite dei pori. Questo spostamento è
facilitato dalle ribonucleoproteine, ovvero particelle che interagiscono con l’mRNA
permettendone il trasferimento.
Osservando l’elenco delle triplette che codificano per gli amminoacidi, è interessante notare
come siano quasi sempre i primi due nucleotidi a dare il rapporto di lettura.
I nucleotidi chiave sono perciò i primi due della tripletta, mentre il terzo è più soggetto a
variabilità. Si tratta di uno dei meccanismi alla base del processo di traduzione.
Nel caso specifico della leucina, ad esempio, sono i nucleotidi CU a codificare per
l’amminoacido, ed il terzo può variare.
Il professore afferma che questo discorso non deve far pensare che il terzo nucleotide della
tripletta non sia importante, ma solamente che esso può essere soggetto a variabilità.
TRNA
I tRNA sono mediatori chiave del processo di traduzione. Sono i traduttori del processo,
poiché associano ad ogni tripletta un determinato amminoacido.
Nelle cellule eucariote sono stati identificati 45 tRNA, uno per amminoacido e alcuni di essi
ne possiedono 2.
Con la traduzione un codice di 3 lettere viene trasformato in un codice ad una sola lettera.
READING FRAME
La cornice di lettura (reading frame) consiste nella sequenza di triplette associate alla
corretta sequenza di amminoacidi.
Inserzione e delezione sono devastanti per la cornice di lettura, poiché causano uno
slittamento che può determinare gravi mutazioni. La proteina infatti rischia di perdere un
codone di stop ed essere più corta di quanto dovrebbe (tronca) oppure più lunga. La parte
della proteina che viene mutata è quella che impartisce l’alterazione della funzione di quella
proteina.
Nell’esempio sopra riportato la cornice di lettura viene impartita dalla prima tripletta CUC. Se
manca il primo nucleotide si verifica uno slittamento che determina un cambiamento
completo della sequenza amminoacidica.
FENOMENO DI VACILLAMENTO
Nell’organismo umano ci sono 64 triplette, ma solamente 45 tRNA, che riconoscono il
codone grazie ad un appaiamento della loro sequenza nucleotidica (l’anticodone). Tuttavia
i tRNA hanno a disposizione solamente 45 triplette, che non sono abbastanza rispetto alle
64 possibili per gli amminoacidi.
Ciò è dovuto al fatto che i tRNA subiscono il fenomeno di “vacillamento”: un singolo tRNA è
in grado di riconoscere i primi due nucleotidi in maniera molto forte, mentre il terzo non è
sottoposto alle strette regole della complementarietà. Questo permette un appaiamento
meno preciso, “vacillante”. Perciò un tRNA può riconoscere almeno due diverse triplette che
differiscono per il terzo nucleotide.
-tRNA: viene mostrato come un trifoglio (anche se la sua struttura tridimensionale è in realtà
molto più complessa) in cui l’estremità 3’ lega l’amminoacido (stelo accettore, presenta
sempre la sequenza CCA), mentre l’estremità opposta presenta l’anticodone, ovvero la
sequenza nucleotidica che si appaia al codone bersaglio. I 45 tipi di tRNA presentano 45
diversi anticodoni.
Le anse del tRNA presentano una struttura variabile in cui possono essere presenti anche
nucleotidi non convenzionali che conferiscono resistenza alla molecola.
La distanza tra anticodone e stelo accettore è invece costante per tutti i tRNA perché gli
amminoacidi devono essere legati alla stessa altezza, in modo tale da formare una catena
polipeptidica dritta.
La struttura del tRNA è composta da circa 70-80 nucleotidi.
-AMMINOACIL-tRNA SINTETASI: è l’enzima che riconosce il tRNA e lo lega
all’amminoacido specifico.
Se si modifica sperimentalmente la sintetasi, si può legare un amminoacido differente ad un
determinato tRNA.
Ogni tRNA sintetasi ha una determinata specificità con un amminoacido, e ne catalizza la
reazione di legame con il tRNA. Ad esempio l’enzima triptofanil-tRNA sintetasi riconosce e
lega il triptofano.
Il legame che si viene a creare tra tRNA ed amminoacido, attraverso idrolisi di ATP, è ad alta
energia (covalente).
La traduzione è un processo energeticamente dispendioso perché ogni singolo
amminoacido è associato all’idrolisi di una molecola di ATP. I principali regolatori del
processo di traduzione della cellula sono infatti anche dei sensori dello stato energetico
CARICAMENTO tRNA-AA
Esiste almeno una tRNA sintetasi per ogni amminoacido. L’enzima possiede un sito attivo
formato da tre parti che riconoscono tre diverse molecole: l’amminoacido specifico, una
molecola di ATP e uno specifico tRNA.
Il caricamento avviene in due passaggi: nel primo step l’amminoacido viene adenilato, nel
secondo viene trasferito al tRNA con formazione di un legame covalente.
Questo processo è ovviamente molto specifico, perché un errore può determinare una grave
mutazione.
TRADUZIONE I (procarioti)
Abbiamo una sequenza leader di mRNA che indica l’attacco, in prossimità del codone di
inizio, della subunità ribosomiale minore e di altre tre proteine (i fattori di inizio).
Successivamente arriva il tRNA iniziatore, che porta al distacco di uno dei fattori di inizio
associato all’idrolisi di ATP e permette l’assemblaggio della subunità maggiore (con distacco
degli altri due fattori e l’utilizzo di altri due ATP). Per l’assemblaggio del complesso sono
quindi necessarie tre molecole di ATP.
Nell’mRNA dei procarioti è stata identificata la sequenza di Shine-Dalgarno, che permette il
riconoscimento del complesso dalla subunità minore.
TRADUZIONE II (eucarioti)
La subunità minore si trova già legata al tRNA iniziatore. Successivamente il complesso
riconosce l’mRNA attraverso il CAP modificato (5-metilguanosina) e da qui inizia a scorrere
lungo l’mRNA finché incontra il codone di inizio AUG. A questo punto i fattori di inizio, che
sono 5 negli organismi eucarioti, idrolizzano la GTP e permettono l’assemblaggio del
complesso.
Ogni fattore di inizio ha una differente funzione: riconoscere il sito di inizio, legare la
metionina, riconoscere il cap 5’ dell’mRNA…
Durante lo scorrimento, la catena di mRNA passa attraverso i tre siti del ribosoma, al cui
interno sono effettuati livelli di controllo della specificità.
Effettuando la sintesi proteica in vitro, si notò che questa impiegava molto più tempo ed
aveva un tasso di errore maggiore rispetto a quella fisiologica. Ciò avveniva poichè nella
cellula sono presenti dei fattori di allungamento (EF: Elongation Factors) che forzano il
sistema, lo rendono più veloce e ne mediano una maggiore specificità. Questo
procedimento è definito proofreading cinetico.
Gli EF favoriscono un cambio conformazionale del ribosoma attraverso l’idrolisi di GTP, e
questo permette all’mRNA di muoversi più velocemente. Facendo ciò, gli EF forzano anche
eventuali discrepanze strutturali tra il ribosoma e l’mRNA, causando un adattamento
indotto che permette una selezione specifica tra tRNA e tripletta corrispondente.
TERMINAZIONE: una volta formata la catena polipeptidica, si arriva al codone di stop. Qui
entrano nel sito A delle proteine specifiche, i fattori di rilascio, che riconoscono il codone di
stop e determinano il disassemblamento del ribosoma.
Anche in questo caso è necessaria idrolisi di GTP.
Dato che la traduzione è diversa tra procarioti ed eucarioti, si sono potute selezionare delle
molecole che inibiscono la traduzione, soprattutto nei procarioti. Sono stati così identificati i
primi antibiotici.
Sbobinatore: Alessandra Ricci
Revisore: Luce Ricci
19/10/2023
IL FOLDING
Una proteina appena prodotta nel ribosoma non è pronta e matura (esistono
delle eccezioni), per questo motivo va incontro ad un complesso processo di
maturazione. Affinché la catena polipeptidica funzioni, deve ripiegarsi
correttamente nella sua conformazione tridimensionale. Le proteine vanno
incontro a molti processi post-traduzionali come la glicosilazione, la
fosforilazione, l’acetilazione; altre vengono invece tagliate, è il processo del
taglio a portare alla maturazione (piccoli ormoni espressi come proormoni
diventano maturi solo in seguito al taglio proteolitico).
La catena polipeptidica in uscita dal ribosoma inizia il folding con il ripiegamento del dominio
N-terminale e in successione con il ripiegamento di quello C-terminale. Il folding giunge a
pieno compimento solo con il rilascio della catena da parte del ribosoma.
ERRORI DI FOLDING e CHAPERONI MOLECOLARI
La proteina interessata da un errore di folding può subire una modificazione con implicazioni
decisamente più gravi nel momento in cui il normale ripiegamento si trasforma in un
groviglio amorfo, con la conseguente perdita della struttura originale. Proteine simili con
analoghi errori di ripiegamento possono formare degli oligomeri: le catene interagiscono
attraverso legami tra residui amminoacidici con cariche parziali opposte. Questi oligomeri,
presenti in ingenti quantità, tendono a collassare formando degli aggregati di natura fibrosa,
il cui destino è quello di formare dei precipitati, dannosi per la cellula. Un classico esempio si
può riscontrare nelle proteine prioniche che, in seguito ad una modificazione
conformazionale, tendono ad aggregare in fibrille tanto compatte che gli enzimi non possono
degradarle. L’accumulo di tali fibrille può innescare un processo di apoptosi.
Le proteine della classe HSP60 (GroEN e GroES) si associano a formare delle strutture
chiuse “a barile”, dei complessi proteici che presentano all’esterno dei siti di natura
idrofobica e fungono da camera di isolamento. Questa componente idrofobica permette al
complesso di incorporare (in maniera aspecifica) tutte le proteine che, in seguito ad errori di
folding, espongono dei residui idrofobici. Normalmente, infatti, le proteine espongono
esternamente i residui amminoacidici idrofili, mentre racchiudono all’interno della loro
compatta struttura i residui idrofobici. Il complesso proteico cattura e incorpora la proteina
(che non ha “foldato” correttamente) nella regione idrofobica e crea, nuovamente, al suo
interno un ambiente non totalmente idrofilico. Grazie a dei cicli di idrolisi di ATP il complesso
proteico ha l’energia necessaria a proteggere la proteina dal circostante ambiente idrofilico
(evitando che la proteina collassi prima del folding) e a forzarne il corretto ripiegamento.