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AMMINISTRATIVO II

Diritto Amministrativo II, LEZIONE 1  15-10-2020

Il rapporto giuridico amministrativo è quel rapporto che si instaura tra un privato e la P.A. che non vivono
su un rapporto di parità sostanziale. Nel rapporto giuridico amministrativo questi 2 soggetti vivono un
rapporto di non parità. Il privato è portatore di un interesse privato, individuale, egoistico, parziale mentre la
P.A. è portatrice di un interesse pubblico, collettivo, generale, che per questa sua tipologia di interesse che
deve perseguire (quindi un interesse non proprio, egoistico ma un interesse generale della collettività) è
detentrice di un POTERE PUBBLICO. Quindi il privato e la P.A. vivono su 2 piani differenti, uno
sottostante rispetto all’altro perché la P.A. in questo rapporto giuridico amministrativo è detentrice di un
potere pubblico. Il privato non ha potere difronte a una P.A, il privato non può essere titolare del diritto
soggettivo perché il diritto soggettivo è quella situazione giuridica soggettiva che ha un privato in ordine ad
un bene, che fa sì che questo privato possa ricevere direttamente dall’ordinamento il potere per difendere
direttamente questo suo bene (es. io sono titolare di una casa, se qualcuno mi toglie la casa io posso azionare
il mondo per riprenderla). Quindi ripetiamo, il diritto soggettivo è quella situazione giuridica soggettiva di
vantaggio in ordine ad un bene della vita che consente al suo titolare di avere dall’ordinamento una
sommatoria di poteri talmente importanti e forti che permette al suo titolare di avere una soddisfazione
integrale del suo bene. Quindi quando si dice che il privato ha un potere, il potere è legato alla sua situazione
attiva di diritto soggettivo. Mentre in un rapporto giuridico amministrativo non può esistere un potere del
privato nei confronti della P.A. perche la P.A. sta perseguendo un interesse pubblico ed essa ha il potere che
il privato non può avere altrimenti se anche il privato avesse il potere questi due finirebbero per scontrarsi, e
tra i due poteri, se si dovessero scontrare, quello che soccombe è il privato. (es. il privato titolare di un bene
difronte a un atto di esproprio comunicato dalla P.A. è destinato a soccombere, così si trasforma in interesse
legittimo). Cos’è l’interesse legittimo? È quella situazione giuridica soggettiva di vantaggio che ha il
privato in ordine a un bene della vita (fin qui è uguale al diritto soggettivo) oggetto del potere amministrativo
(perché l’interesse legittimo non può esistere se non c’è il potere, appena c’è il potere il diritto cambia e
diventa interesse legittimo). Questa è l’anima sociologica dell’interesse legittimo ma vi è anche un’altra
anima quella strumentale, quindi l’interesse legittimo è “quella situazione giuridica soggettiva di vantaggio
che ha il privato in ordine a un bene della vita oggetto del potere (aspetto sociologico) e che attribuisce al
suo titolare un insieme di strumenti atti a influire e verificare il corretto esercizio del potere amministrativo
perchè solo rilevando l’illegittimità del potere il privato potrebbe soddisfare il suo interesse materiale ”
(aspetto sostanziale). Es. decreto di esproprio, il privato prima è titolare di un diritto di proprietà a seguito
della comunicazione della dichiarazione di pubblica utilità il suo diritto soggettivo diventa interesse legittimo
di tipo oppositivo.

N.b. l’interesse legittimo può essere di 2 tipi:

-OPPOSITIVO  chi ha già una res e vuole opporsi all’esercizio della P.A. che vuole toglierla. Quindi il
privato si oppone se la P.A. esercita il suo potere.

-PRETENSIVO  chi vuole il bene che non ha e vuole averlo dalla P.A. es. chi chiede il rilascio di un
passaporto, documento ecc… quindi è quando la P.A. deve esercitare il suo potere per avere soddisfazione il
privato.

Quindi chi è titolare di un diritto di proprietà nel momento in cui inizia il potere il diritto di proprietà diventa
interesse legittimo di tipo oppositivo. Cosa può fare per trovare soddisfazione al suo interesse materiale (cioè
ritornare al diritto di proprietà)? Bisogna andare davanti al giudice amministrativo rilevando che la p.a. si è
comportata male, ha agito in modo illegittimo, perché soltanto attraverso la rilevazione di motivi di
illegittimità è possibile sperare che il giudice amministrativo accolga il mio ricorso, annulli il decreto di
esproprio e io ritorno ad essere proprietario del bene che la p.a. voleva togliermi.

Quindi noi studieremo il tipo di ricorso che io posso fare al giudice amministrativo.

N.b. i motivi di illegittimità sono 3:

1- violazione di legge  quando la p.a. non si conforma ad un obbligo posto dalla legge. es. la p.a. non
rispetta l’obbligo di motivazione

2 – incompetenza  definita dalla dottrina come una violazione di legge in ordine al soggetto agente. Cioè
quando un atto viene emanato da un organo della p.a. che non era competente a farlo. N.b. in questo caso
però deve trattarsi di incompetenza relativa (relativa rientra nei vizi di legittimità) e non assoluta (assoluta
rientra nei vizi di nullità del provvedimento).

3- eccesso di potere  è un vizio di legittimità non definito dalla norma, oggi nel 2020 quando leggiamo
nella legge n.241 l’art. 21 notiamo che c’è scritto “l’atto amministrativo è annullabile per vizio di violazione
di legge, incompetenza, eccesso di potere.” Il legislatore non dice più nulla e non può dire più nulla perché
non si può imbavagliare la p.a. Quindi il compito di riempire di contenuto l’eccesso di potere è della
giurisprudenza, infatti molte figure di eccesso di potere sono nuove rispetto alle figure che esistevano nel
1889 quando è nato il giudice amministrativo che ha creato le prime pronunce atte a dare un minimo di
contenuto all’eccesso di potere.

Ripetiamo, quando nasce il giudice amministrativo? Nel 1889 quando nasce la 4° sezione del consiglio di
stato e nasce perché il giudice amministrativo doveva giudicare sui ricorsi avverso i provvedimenti viziati
per incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere. Perché la 4° sezione? Perché la 1, 2 e 3 già
esistevano prima del 1889 ed erano sezioni di consulenza giuridica della p.a. Il giudice amministrativo nasce
nel 1889 perché non si poteva lasciare senza una adeguata tutela giurisdizionale le situazioni che non fossero
di diritto soggettivo. Proprio per questo nasce la 4° sezione del consiglio di stato con funzione
giurisdizionale. Poi nel 1907 apriamo la 5° sezione, nel 1923 la 6° e tali sono rimaste, oggi sono 6 le sezioni.
Oggi il consiglio di stato è un giudice amministrativo di 2 grado perché il giudice amministrativo di 1 grado
è il TAR, ma il TAR nasce solo nel 1971. Quindi dal 1971 abbiamo 2 giudici: il TAR come giudice
amministrativo di 1 grado come dice l’art. 125 della Cost. e il CONSIGLIO DI STATO come giudice
amministrativo di 2 grado.

L’importanza del giudice amministrativo è che crea giurisprudenza, quando si fanno i ricorsi amministrativi
e si evidenzia il vizio di eccesso di potere, si evidenzia il fatto che in quel momento si sta utilizzando nulla
che troviamo in una norma, nessuna norma dirà in cosa consiste esattamente il vizio dell’eccesso di potere.
Una definizione molto semplicistica è che l’eccesso di potere è il vizio di legittimità che evidenzia uno
scorretto esercizio dei poteri discrezionali. Questa è la definizione minima che si può dare all’eccesso di
potere ma ora bisogna andare oltre perché ha formazione giurisprudenziale che è creata dal giudice
amministrativo attraverso numerose sentenze ripetute nel tempo. Sentenza dopo sentenza, il giudice
amministrativo, accogliendo i ricorsi, per un vizio di legittimità che attiene allo scorretto esercizio del potere
discrezionale attribuisce un contenuto alla norma vuota che nulla dice sull’eccesso di potere. L’incompetenza
relativa e la violazione di legge sono invece di facile definizione perché hanno un confronto normativo.

Quindi il rapporto giuridico amministrativo (qui volevo arrivare dice la prof) si ha tra un soggetto singolo e
una p.a. (un soggetto pubblico), il primo titolare di un interesse al quale poi la dottrina, i giuristi hanno
attribuito la definizione di interesse legittimo. Ricordiamo l’interesse legittimo può essere a seconda
dell’oggetto del potere di tipo oppositivo o pretensivo. La differenza è abissale, l’interesse legittimo di tipo
oppositivo è chi ha già un res e si appaga se la p.a. rimane inerte invece si scontra se c’è esercizio del potere
di trasformazione (quello che modifica il reale), si dice che il titolare dell’interesse legittimo non può nulla
contro il corretto esercizio del potere in nome di quella funzione pubblica che deve esercitare la p.a. per
tutelare il bene pubblico (es. costruzione di una scuola, autostrada ecc.. sono interesse più importanti rispetto
a quelli del singolo privato). L’interesse legittimo di tipo pretensivo (es. quando ci serve il passaporto, carta
di identità ecc.) ci rivolgiamo alla p.a. perché solo essa ci può dare un bene della vita che noi desideriamo. Se
io vado dalla p.a. e richiedo il passaporto fornendo tutto quanto necessario (cioè tutto ciò che la legge
richiede) la p.a. può rifiutarsi? No. Quindi che tipo di potere è questo? È un potere vincolato, il potere
vincolato si distingue rispetto al potere discrezionale. Vincolato è quando la p.a. non ha il potere di scelta e
si limita a fare come se fosse un notaio, a verificare se nella fattispecie concreta ci sono tutti i presupposti
che sono richiesti nella fattispecie astratta della norma e la perfetta conformità tra la fattispecie astratta e
quella concreta obbliga la p.a. a non poter effettuare una scelta (non può dire no alle persone con i cappelli
ricci e si a quelle ricce).

Sono titolare di un interesse legittimo pretensivo anche quando io vado a chiedere un’autorizzazione per
aprire un locale? SI, ma la differenza in questo caso è che la p.a. potrebbe dirmi di NO per una serie di
circostanze, che deve congruamente motivare, e se non lo motiva io posso procedere con il ricorso rilevando:
violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere. Sicuramente l’interesse legittimo pretensivo non verrà
appagato da una sentenza di annullamento perché io nulla avevo prima del diniego e nulla avrò dopo
(l’annullamento del NO non mi da il SI). Perché secondo voi il giudice amministrativo non può mai dare al
privato il provvedimento amministrativo? Perché il giudice è titolare di un potere giudiziale mentre la p.a. è
titolare del potere esecutivo e quindi non può per il principio della separazione dei poteri (3 poteri:
legislativo, esecutivo e giudiziario). Io posso solo evidenziare uno scorretto esercizio del potere ma mai
posso chiedere al giudice di darmi il provvedimento. Anche se, poi vi farò vedere, ci sono delle sentenze in
cui c’è una nuova azione che si chiama “AZIONE DI ADEMPIMENTO” (art. 31 del codice del processo
amministrativo) la quale dice che si possono chiedere al giudice tutte le misure idonee ad ottenere la
soddisfazione dell’interesse del ricorrente attraverso questa azione atipica che si chiama azione di
adempimento, è un ulteriore strumento per garantire l’effettività della tutela amministrativa al privato nel
rispetto del diritto europeo.

Se leggiamo l’art. 1 del codice del processo amministrativo capite bene quello che stiamo dicendo “La
giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e
del diritto europeo”, quindi piena ed effettiva. Però noi sappiamo che il giudice amministrativo non si può
mai ingerire nel potere esecutivo e quindi lo scopo dell’art. 1 è di garantire il più possibile.

Quindi la lesione dell’interesse legittimo non è vista in maniera diretta, io impugno un atto amministrativo,
non dico al giudice amministrativo sono stato leso nella mia situazione di interesse legittimo, che se ne frega
il giudice amministrativo (scusate il termine), il giudice amministrativo guarda l’atto, i vizi dell’atto, e non
cosa questo atto ha leso. Al giudice interessa che l’atto sia conforme alle regole di legittimità. Perché se io
vado dal giudice e dico sono stato leso nel mio interesse legittimo ma l’atto è fatto bene il giudice mi
risponderà “ma che vuoi?”.

LEZIONE 2  15-10-2020

Stavamo dicendo che nel rapporto giuridico amministrativo un ruolo speciale è svolto dal giudice
amministrativo, nato nel 1889 quando è stata istituita la 4° sezione del Consiglio di Stato e viene attribuita
questa funzione giurisdizionale con la finalità di sindacare il potere esecutivo senza ledere il principio di
separazione dei poteri. Com'era la situazione precedente? Come ho detto prima, il giudice amministrativo
non entra nel rapporto giuridico tra i 2 soggetti ma analizza il rapporto attraverso la lente dell’atto, e quindi il
sindacato che opera il giudice amministrativo è un sindacato che si chiama estrinseco al rapporto giuridico, è
un sindacato esterno e che rimane focalizzata all’atto amministrativo impugnato da parte del privato. Quindi
è un sindacato esterno e che proprio per il fatto che non entra all’interno del rapporto giuridico
amministrativo (come invece fa il giudice ordinario. E perché lo fa? Lo fa perché il giudice ordinario ha
dall’ordinamento gli strumenti giuridici per garantire quella reintegrazione piena in caso di violazione patita
da 1 dei 2 soggetti in un rapporto paritario. Perché il giudice ordinario può dare una piena soddisfazione al
privato? Perché non entra in uno dei 3 poteri dello stato. Infatti al G.O. è affidato la conoscenza di un
rapporto giuridico tra 2 soggetti posti sullo stesso piano , uno dei quali lamenta una lesione ad opera
dell’altro soggetto. Quindi vediamo che il G.O. ha un bagaglio di poteri e strumenti volti a conoscere a pieno
il rapporto giuridico tra i soggetti mentre il G. Amministrativo non ha questo bagaglio, il sindacato che
effettua il G.A. è un sindacato esterno, se vogliamo debole, estrinseco (e questo fin da quando è stato
istituito). Ripeto è un sindacato che si appunta sull’atto amministrativo per verificarne lo scorretto o corretto
esercizio del potere ad opera della p.a.

Io ora parlo di “privato” e “p.a.” ma più in là vi farò capire come sia più giusto parlare di “centro passivo di
interessi” e “centro attivo di interessi” rispettivamente per privato e p.a. in senso lato, questo perché possono
esercitare un potere pubblico anche soggetti che non sono pubblica amministrazione ma sono dei privati. (es.
nel diritto di accesso per p.a. si intendono non solo i pubblici poteri quali stato, regioni ecc… ma anche
soggetti privati che attraverso un atto di concessione esercitano un potere pubblico). Vedete centro attivo e
passivo dà proprio l’idea di un rapporto che non è paritario ma di supremazia del soggetto pubblico rispetto
al soggetto passivo del rapporto giuridico amministrativo.

E allora vediamo questo giudice speciale chiamato dal legislatore a decidere sui ricorsi avverso atti viziati
dai vizi di legittimità (eccesso di potere, violazione di legge, incompetenza).

Vedete la prima precisazione che dobbiamo porre adesso è questa: il giudice amministrativo è nato nel 1889
perché prima era tutto demandato al giudice ordinario. Cosa era demandato al G.O.? Dovremmo partire da
un’antica legge, “la legge del 20 marzo 1865 n.2848 allegato E”, meglio nota come LEGGE ABOLITIVA
DEL CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO. Gli articoli da ricordare sono i primi 5 e vi faccio capire
adesso come si è arrivato al Giudice Amministrativo. Questa legge prevedeva di abolire il tribunale del
contenzioso, perché fin ad ora (cioè fino al 1865) le controversie tra un privato e un pubblico potere erano
risolte dai c.d. TRIBUNALI DEL CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO. Chi erano questi tribunali? Erano
dei gruppi di soggetti che coadiuvavano prima la corona e poi, nel passaggio allo stato di diritto, il governo
come organo che emanava degli atti amministrativi. Questi tribunali erano dei gruppi di soggetti che
aiutavano i pubblici poteri che facevano della stessa p.a., cioè erano all’interno della stessa p.a., erano dei
soggetti che non solo erano i loro consulenti giuridici ma erano anche coloro che garantivo la risoluzione di
conflitti che potessero instaurarsi con i privati cittadini (con i sudditi prima e poi, con lo stato di diritto, i
cittadini). Quindi capite bene che questi tribunali erano composti da funzionari dello stesso Re, dello stesso
potere esecutivo, della stessa p.a. che come il giudice amministrativo attuale assumevano una doppia veste di
funzionari e di giudici in senso domestico del termine (quindi non davano quelle garanzie di vera
imparzialità). Quindi erano dei soggetti che di garanzie giurisdizionale non avevano nulla , si chiama
“GIURISDIZIONE DOMESTICA”. Proprio per questo la legge del 1865 si pone come obiettivo abolire
questi tribunali che non garantivano nulla di indipendenza, imparzialità e terzietà. Questa legge proprio
nell’art.1 sancì un importante principio “i conflitti tra p.a. e privati sarebbero stati risolti dalla stessa autorità
amministrativa qualora si evidenziassero delle situazioni non qualificabili come diritto soggettivo, mentre se
ci fossero dei contrasti tra p.a. e privati che riguardassero violazioni di diritto soggettivo la giurisdizione era
unica e si aveva la giurisdizione del giudice ordinario”. Perché? Perché a quel tempo la p.a. si comportava in
modo diverso rispetto ad oggi, la p.a. un tempo, nel 1865 sia pur ereditando le prerogative dei sovrano da cui
tutto traeva spunto, perché il passaggio tra lo stato assoluto e lo stato di diritto che cosa ha comportato? Che
tutto ciò che prima nello stato assoluto si assommava in capo al sovrano, con la tripartizione dei poteri quei
privilegi di comando furono ereditate dalla p.a., in primis dal potere esecutivo e poi dalla p.a. come apparato
interno del potere esecutivo. Ma c’era una peculiarità rispetto ad oggi, non c’era il carattere imperativo dei
provvedimenti amministrativi. Cosa significa? Oggi si dice che “un provvedimento amministrativo è
IMPERATIVO quando è manifestazione di pubblica autorità “. Cosa vuol dire? Che quando la p.a. emana un
atto amministrativo, questo atto ha la capacità imperativa/unilaterale di modificare, estinguere, di far cessare,
di trasformare la situazione giuridica che ha difronte da diritto soggettivo a interesse legittimo. Ciò in modo
unilaterale, imperativa, in maniera fortemente autoritativa. Cosa vuol dire? Che anche se il privato non presta
il suo consenso la trasformazione c’è. Es. anche se il privato si incatenasse, la p.a. ha questo potere
imperativo ed esecutorio. Cosa vuol dire? Che può essere posto in esecuzione materiale perché il privato non
può contrastarlo o ostacolare l’esecuzione materiale degli effetti del provvedimento amministrativo
autoritativo e la p.a., nel caso il privato lo provi a contrastare, può utilizzare la forza pubblica, quel potere
esecutorio, imperativo, unilaterale. Unilaterale perché proviene ovviamente dalla pubblica amministrazione,
imperativo perché ha la capacità di costituire, modificare o di estinguere qualcosa, cioè di vanificare la
situazione giuridica preesistente del cittadino facendola diventare interesse legittimo in modo imperativo,
ossia indipendentemente dal consenso. La regola generale del diritto privato secondo cui alla base di un
contratto c’è sempre il consenso delle parti, non esiste nel caso della pubblica amministrazione, in quanto
essa agisce in veste di autorità.

Nel 1865 non c’era ancora la concezione dell’imperatività del provvedimento amministrativo. Esistevano i
diritti assoluti, fondamentali, forti, riconosciuti che trovavano la loro collocazione giuridica nel codice civile
e quando la pubblica amministrazione entrava in contrasto con questi diritti, nasceva una controversia tr P.A.
e privato la cui cognizione era di competenza del giudice ordinario. Secondo la legge del 1865 allorché le
dispute riguardassero “meri affari” e non la lesione di diritti soggettivi, la loro risoluzione era rimessa
all’autorità amministrativa e non al giudice ordinario.

Legge n. 2248/1865:

Art. 1: I tribunali speciali attualmente investiti della giurisdizione del contenzioso amministrativo, tanto in
materia civile, quanto in materia penale, sono aboliti e le controversie ad essi attribuite dalle diverse leggi
in vigore saranno d'ora in poi devolute alla giurisdizione ordinaria, od all'autorità amministrativa, secondo
le norme dichiarate dalla presente legge.

Art. 2: Sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle
quali si faccia questione d'un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica
amministrazione, e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorità
amministrativa.

Art. 3: 1. Gli affari non compresi nell'articolo precedente saranno attribuiti alle autorità amministrative, le
quali, ammesse le deduzioni e le osservazioni in iscritto delle parti interessate, provvederanno con decreti
motivati, previo parere dei consigli amministrativi che pei diversi casi siano dalla legge stabiliti.

Questi sono tre articoli fondamentali. Questa legge abolisce i tribunali del contenzioso amministrativo e
attribuisce le dispute che avevano ad oggetto un diritto soggettivo “comunque vi possa essere interessata la
pubblica amministrazione” alla cognizione del giudice ordinario, invece quelle che avevano ad oggetto i
meri affari alla cognizione dell’autorità amministrativa. Capite bene il vuoto di tutela per i cittadini che
avevano un contenzioso amministrativo con la pubblica amministrazione in tema di affari. Mentre in tema di
diritti soggettivi i cittadini avevano una giurisdizione importante quale quella del giudice ordinario, in tema
di affari dovevano rivolgersi alla stessa pubblica amministrazione. Quindi la pubblica amministrazione aveva
una doppia veste, dapprima di parte contendente e dopo di giudice. Capite bene l’assurdità. Questo vuoto di
tutela ha fatto sì che si sentisse il bisogno straordinario di creare un giudice ad hoc che giudicasse le
controversie che non avessero ad oggetto la lesione di un diritto soggettivo. La ratio istitutiva della Quarta
Sez. del Consiglio di Stato avente funzione giurisdizionale derivava da questo importante vuoto di tutela.
Dunque, il giudice ordinario era competente a conoscere le controversie tra il privato e la P.A. in tema di
diritti soggettivi, ancorché vi fosse l’emanazione di un atto amministrativo. Osservazione: ma se c’è un atto
amministrativo, c’è un diritto soggettivo. Certo, tuttavia all’epoca non c’era ancora la concezione secondo
cui il provvedimento amministrativo avesse una capacità degradatoria, che fosse imperativo, unilaterale, ecc.
Quindi era possibile che ci fossero degli atti amministrativi dinanzi ai quali residuasse la situazione corrente
di diritto soggettivo. Questo perché il principio dell’affievolimento del diritto soggettivo in interesse
legittimo, è stata una creazione della nostra dottrina. La dottrina ha stabilito che l’atto amministrativo della
pubblica amministrazione degradasse il diritto soggettivo ad interesse legittimo ed essa stessa ha coniato la
nozione di interesse legittimo. Orbene, quando c’è un rapporto tra la pubblica amministrazione ed il privato,
ancorché ci sia l’estrinsecazione di un atto amministrativo, se oggetto del giudizio è un diritto soggettivo si
va dal giudice ordinario. Tutto ciò è valido ancora oggi, anzi mai come questo periodo è attuale.

Prendiamo ad esempio l’art. 650 c.p.: Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità
per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non
costituisce un più grave reato [337, 338, 389, 509], con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro
206.

Per capire bene questo articolo, dobbiamo leggere gli artt. 4 e 5 della legge del 1865.

Art. 4: 1. Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'autorità
amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto
dedotto in giudizio.

2. L'atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti
autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso
deciso.

Art. 5: In questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i
regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi.

Cosa vuol dire “in quanto siano conformi alle leggi” (art. 5)? Gli artt. 4 e 5 sono ripresi oggi in un modo
incredibile. Pensiamo ad una controversia tra il privato la P.A. che ha ad oggetto la lesione di un diritto
soggettivo. In questo caso deve essere adito il giudice ordinario, ancorché vi sia l’emanazione di un atto
amministrativo. La norma si riferisce all’atto amministrativo perché una delle due parti, a fondamento delle
proprie ragioni, può invocare un atto amministrativo.

Pensiamo a quest’esempio: la pubblica amministrazione attribuisce al privato una concessione su un bene


demaniale. L’attribuzione di un bene demaniale è un atto amministrativo autoritativo. Successivamente tra
l’amministrazione demaniale ed il privato c’è la definizione del canone di locazione che il privato si impegna
a pagare. Cosa succede se la P.A. non riceve dal privato il pagamento di questa somme dovuta? Lo può
convenire in giudizio. Quale sarà l’oggetto dedotto in giudizio? A quale giudice si rivolgerà? Dinanzi al
giudice ordinario poiché vi è un pagamento di una somma di denaro, tipica espressione di diritto
patrimoniale, quindi un diritto soggettivo. L’atto amministrativo, tuttavia, può essere invocato da una delle
due parti a difesa della propria posizione processuale. Questo atto amministrativo entra nel giudizio in via
incidentale (incidenter tantum), non principale, il rapporto principale è la richiesta di pagamento di denaro.
La conoscenza che ha il giudice ordinario dell’atto amministrativo non è mai diretta, il rapporto principale ha
ad oggetto un diritto soggettivo, la conoscenza di tale atto serve semplicemente a capire quale delle due parti
ha ragione. Il giudice applicherà tale atto se sarà conforme a legge, se legittimo dunque, e darà ragione alla
P.A. Se invece l’atto sarà contra legem, non lo applicherà e darà ragione al privato. In quest’ultimo caso lo
disapplicherà privandolo degli effetti giuridici, ma limitatamente a quella fattispecie processuale, a quel
rapporto specifico oggetto del giudizio. Non ha il potere di annullare l’atto, in quanto in virtù del principio di
separazione dei poteri nessun giudice si può ingerire nell’ambito della P.A., lo disapplicherà semplicemente
come se l’atto tamquam non esset. La disapplicazione è l’unico potere che il giudice ordinario ha nei
confronti di un atto amministrativo e la conoscenza di esso è sempre incidentale. Le ipotesi di
disapplicazione sono quelle di cui all’art. 650 c.p., cioè il giudice penale (giudice ordinario) può irrogare una
sanzione nei confronti del soggetto inadempiente solo se l’ordine è legalmente dato. Pensiamo al DPCM,
atto amministrativo, durante l’emergenza Covid ancorato ad un decreto legge che fa si che sia un ordine
legalmente dato e quindi l’art. 650 obbliga il cittadino a rispettarlo.

Qual è un’altra ipotesi comune di disapplicazione? Pensiamo ad un vicino che costruisca la sua abitazione a
meno di 3 metri di distanza dal mio. Mi rivolgerò dinanzi al giudice ordinario adducendo che è stata violata
la regola del codice civile che impone una distanza di almeno 3 metri tra i fabbricati e chiederò la riduzione
in pristino immediata, la sanzione, il pagamento delle spese processuali, ecc. Il vicino potrà costituirsi in
giudizio dicendo che le norme di attuazione del piano regolatore del Comune di Foggia impongono una
distanza di 2,80 metri. Uno dei due contendenti richiama dunque un tipico atto amministrativo ed il giudice
ordinario, per dare ragione o all’attore o al convenuto, è chiamato incidenter tantum a conoscere l’atto. Il
vicino può addure di aver fatto affidamento su un atto amministrativo locale, che colpe ne ha? E’ il Comune
di Foggia se mai a non aver fatto un atto amministrativo conforme a legge. Quindi il giudice ordinario deve
studiare l’atto e disapplicarlo se lo ritiene non conforme a legge o applicarlo se conforme a legge. Tuttavia
questa ipotesi di disapplicazione non è quella che si può desumere dagli artt. 4 e 5, in quanto dovremmo
essere dinanzi ad un privato ed una P.A., come nell’ipotesi del mancato pagamento del canone demaniale, e
non dinanzi a due privati.

22-10-2020

Oggi riprendiamo il discorso relativo ai 5 articoli di cui vi ho fatto menzione la scorsa settimana cioè i primi
5 della legge 20 Marzo 1865 n 2848 e cioè la legge sul contenzioso amministrativo meglio conosciuta come
legge abolitiva del contenzioso amministrativo. Questi articoli sono importanti,tuttora vigenti e avevano dato
inizio alla questione relativa alla ratio, al perchè si è resa necessaria l’istituzione di un giudice speciale come
quello amministrativo. La scorsa settimana abbiamo cominciato il discorso relativo al primo capitolo di
qualsiasi testo si studia e cioè il profilo storico della giustizia unitaria infatti qualsiasi testo si studia esordisce
con la ricostruzione storica dell’ampia evoluzione normativa che ha portato alla stesura del codice del codice
del processo amministrativo. Vi ho già detto la scorsa settimana che tale legge è importantissima in quanto il
primo articolo ci fa comprendere perchè viene emanata questa legge. Se ricordate l’articolo recita,
leggiamolo: “I Tribunali speciali attualmente investiti della giurisdizione del contenzioso amministrativo
(cioè laddove c’è un rapporto tra privato e p.a) tanto in materia civile tanto in materia penale sono aboliti
(perchè questi tribunali del contenzioso amministrativo non avevano alcuna guarentigia di imparzialità e
indipendenza ma erano formati da funzionari che erano all’interno dello stesso re, della stessa corona e poi,
poscia (= in seguito, dopo, poi), il passaggio dallo stato assoluto allo stato di diritto della stessa p.s., dello
stesso potere esecutivo. E diceva la legge quindi: le controversie ad esse attribuite dalle diverse leggi in
vigore, d’ora in avanti saranno evolute o alla giurisdizione ordinaria ( giudice unico, sul modello belga)
ovvero all’autorità amministrativa, secondo le norme dichiarate dalla presente legge. Quindi vedete, da un
lato c’era un organo giurisdizionale (g.o.) dall’altro c’era un’autorità amministrativa. Quindi pensate ragazzi
che : qualora ci fosse un problema : quale delle due parti (g.o. oppure g.a.) devolvere una controversia, o
meglio (si badi che in tal caso non può parlarsi di conflitto di giurisdizione perchè quest’ultimo presuppone
che ci siano due giudici!) conflitto di attribuzione ,dal 1865 al1877 , per 22 anni, l’organo deputato a
risolvere tali conflitti di attribuzione secondo un’antica legge sarda che fu estesa poi a tutto il regno italiano
dello stato sabaudo, erano decisi dallo stesso consiglio di stato che veniva investito in sede consultiva!. Cioè
il consiglio di stato esisteva nella prima, seconda e terza , in sede consultiva e aveva questo importante
compito: dire a quale delle due parti: g.o. e p.a. erano devolute le eventuali controversie che s’instauravano
tra un privato e la p.a. Pensate, il consiglio di stato, consulente della p.a. era deputato a risolvere i conflitti di
attribuzione in cui era parte la stessa p.a. dove esso, consiglio di stato, prestava attività di consulenza. Una
cosa atipica no?! Quindi vedete come si è inforgiato il Consiglio di Stato? Vedete come si è costruito? Nasce
come consulente della p.a. e subito gli viene demandata una importante funzione: dirimere i conflitti di
attribuzione. Ebbene questo consiglio di stato in questo periodo di tempo, in cui risolse tantissimi conflitti di
questo genere,usò un’impostazione, se vogliamo, che segna un’importante bipartizione degli atti all’interno
della p.a. perchè? Sapete cosa disse il consiglio di stato? Ricordiamoci, era deputato a dirimere le
controversie e comprendere quali di esse spettassero al g.o e quali alla p.a. e cosa diceva la legge per indicare
com’erano suddivise queste controversie? Leggiamo l’art 2 di questa legge :” sono devolute alla
giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie per le quali si faccia questione di
un diritto civile e politico, comunque vi possa essere interessata la p.a. e comunque siano emanati poteri al
potere esecutivo o all’autorità amministrativa. Capito? Il g.o. era competente nel caso in cui una controversia
tra p.a. e privato riguardasse la lesione di un diritto civile o politico(oggi diremmo, diritto soggettivo). E dice
l’articolo altresì che gli affari non compresi nell’art precedente saranno attribuiti all’autorità amministrativa.
Gli affari. Quindi tutto ciò che non è diritto civile o politico o diritto soggettivo. Quindi ragazzi se c’è una
controversia in cui vi è il dubbio circa la possibilità che si trattasse o meno di un diritto civile o politico non
era affatto semplice. Soprattutto perchè il discrimen tra le due situazioni giuridiche è molto labile a volte.
Non si sa laddove termina il diritto e dove inizia l’interesse legittimo e laddove c’è un interesse legittimo e si
ravvisa un diritto soggettivo. Bene, a quei tempi come ancora oggi, tale discrimen è molto labile e allora nel
caso in cui non si sapesse a quale di queste due parti attribuire tale controversia, diceva la sua ,risolvendo il
conflitto di attribuzione, il consiglio di stato. E questo frangente di tempo perchè è utile nello studio che fece
Mantellini, uno storico del diritto amministrativo? Perchè in una sua statistica ,effettuata da questo stesso
storico, rilevò che su 150 controversie ad es 111 le aveva demandate all’autorità amministrativa. E non
poteva essere diversamente! Perchè il consiglio di stato che restava consulenza alla p.a. non dico che
patteggiasse, ma è chiaro che essendo una concezione di filopotere, utilizzava questa sua formazione e questa
sua preparazione, bagaglio nella p.a. per demandare gran parte delle controversie alla stessa autorità
amministrativa. Ma perchè è importante questo compito del consiglio di stato in questo periodo? Perchè
proprio a questo periodo si deve un’ulteriore nozione che voi avete studiato molto importante e cioè la
distinzione degli atti amministrativi : gli atti autoritativi o atti iure imperii e atti paritetici o atti iure
privatorum. Questo è importante! Quando vi è stato spiegato l’art 1 della legge 241/90? Leggetelo. L’attività
amministrativa è autoritativa sempre. E quando esercita il suo potere pone in essere un attività iure imperii
no?! Cosa vuol dire? Si estrinseca un potere autoritativo, imperativo, esecutivo ,esecutorio, dotato di
autotutela. Caratteristiche del potere, potere questo che presuppone che ci sia l’esercizio di attività
autoritativa difronte alla quale cioè, la situazione di diritto soccombe! E soccombe indipendentemente dal
suo possesso. Vedete come il giudice, nel lontano 1865-1877 crea una regola che noi utilizziamo ancora
oggi. Ed attenzione, lo stesso consiglio conia l’atto privatorum ,altra tipologia di atto. L’atto paritetico, posto
in essere dalla p.a. come se fosse un soggetto privato! E ragazzi, pensateci. Ad eccezione dello stato attuale
che è emergenziale, prima di questo stato era sempre più ampio l’ambito all’interno del quale la p.a. si
comportava come se fosse un soggetto di diritto privato. E dove si legge nella l 241/90 questa sollecitazione
al che la p.a. utilizzasse moduli privatistici? Nell’art 1 comma 1 bis. Ricordiamo: 2 la p.a. nell’adozione di
atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga
diversamente. Qui c’è la nascita codificata. La p.a. si stava orientando verso questi moduli privatistici che
potevano essere segnali di efficienza, efficacia ,buon funzionamento no?! Perchè la p.a. a volte invece di
aspettare che con i suoi atti realizzi il potere pubblico ,potrebbe accelerare la realizzazione del pubblico
interesse attraverso dei moduli privatistici. Vedi gli accordi ,ex art 11! L’accordo ex art 11 infatti ha un
substrato che trova origine proprio nell’art 1 comma 1 bis. E allora, proprio al tempo del consiglio di stato,
ripeto, c’è questa importante creazione di tale distinzione della attività amministrativa in: autoritativa e
paritetica che fa si che la p.a. possa porre in essere attività paritetiche. Facciamo un esempio di attività
paritetica. Avanti. Pensateci. Fatemi un esempio. Ad esempio una p.a. che acquista un bene che serve per il
buon funzionamento. Es la nostra università che acquista una macchina perchè il rettore ha bisogno di recarsi
ogni settimana a Roma. Vanno all’autoconcessionaria, e previa indagine di mercato perchè stanno
utilizzando denaro pubblico e tutto dev’essere trasparente, stipula un contratto. E nel contratto che si stipula
non è che la p.a. impone il suo volere. No! Si sta comportando come se fosse un privato cittadino il rettore.
Quest’ultimo sta utilizzando il suo potere soltanto perchè quel bene gli deve servire per andare a fare gli
affari dell’università. Non gli può servire per andare con la sua famiglia altrimenti vi sarebbe peculato. Però
vedete, è fondamentale il fine per cui si acquista ad es una stampante,una penna ,un computer ,una macchina.
Il fine dev’essere pubblico. E nel momento in cui si stipula il contratto ,il rettore e il concessionario sono in
situazione di parità e se l’amministrazione non paga c’è una risoluzione del contratto per inadempimento. Si
applicheranno cioè le regole stringenti del codice civile. Ma facciamo un altro esempio. Esempio in cui si
tocca con mano che la p.a. invece di prevenire l’imposizione di un attività imperativa che potrebbe essere
impugnata dal privato che si sente leso preferisce arrivare ad un accordo. Qual’è il momento più im portante
di esercizio del potere amministrativo? L’espropriazione. Quando io ,privato, sono titolare di un diritto di
proprietà, diritto soggettivo per eccellenza, e la p.a. espropria il mio bene perchè in virtù dell’art 41 della
costituzione e della funzione sociale, intende realizzare un interesse pubblico. Che fa? Se si comporta
correttamente nell’esercizio del suo potere quel bene si abla. Cioè si trasferisce dal privato alla p.a. questo è
il massimo dell’esercizio del potere discrezionale! l’espropriazione. Un tempo, pensate, a seguito di essa il
privato aveva come indennizzo un importo pari al 40% del valore penale del bene. Oggi menomale, in virtù
di diverse sentenze della corte costituzionale, anche a seguito di espropriazione il privato riceve il valore
penale del suo bene ma comunque non può dire no. Se tutto si è svolto correttamente non può dire di no. Ma
a volte, cosa fa la p.a. invece di aspettare che ci sia l’espropriazione e l’eventuale ricorso e magari il giudice
dopo tanti anni dice che tutto si è svolto correttamente, cosa fa? Tecnicamente si dice che fa l’accordo
bonario. Questo , come si colloca giuridicamente nella legge 241/90? Si colloca nell’art 11 che
sostanzialmente dice che la p.a. può predisporre 2 tipologie di accordi :l’accordo procedimentale e l’accordo
sostitutivo. L’accordo procedimentale anche detto integrativo, è l’accordo con cui la p.a. e il privato si
accordano per determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale. (leggete l’art 11,emerge che
l’accordo p. germoglia all’interno dell’iter procedimentale di diritto pubblico e durante questa fase ,questo
iter, questo procedimento amministrativo, s’interrompe e si stipula un accordo. Privato e p.a. si accordano sul
contenuto da dare al provvedimento final che conclude il procedimento! Quindi il procedimento continua e
alla fine il contenuto è frutto dell’accordo. E secondo voi se è frutto dell’accordo il privato impugnerà questo
provvedimento? No! Al 99% no. Ecco perchè gli accordi ex art 11 sono istituti deflativi del contenzioso
giurisdizionale. Rappresentazione una deflazione del contenzioso giurisdizionale perchè è chiaro che se c’è
l’accordo non dovrebbe succedere che il privato impugni il provvediemnto. Ma può sempre succedere
eh,perchè quello è sempre esercizio di potere autoritativo. E la p.a. potrebbe sempre cambiare idea. E
perchè? Per realizzare un sopravvenuto motivo o interesse pubblico!! Art 11 comma 4 dice la norma: “ per
sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo salvo
l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo ecc “ vedete. Notate la supremazia della p.a. anche
in sede di accordi. Quindi autorità amministrativa che giustifica anche in tema d’accordo,il recesso
unilaterale della p.a. difronte al quale il privato non può fare niente ragazzi. Ecco perchè l’art 1 comma 1
bis : “ salvo che la legge disponga diversamente” . La legge se dice che la p.a. rimane p.a. essa rimane
sempre un potere amministrativo in questo caso. Perchè solo essa può recedere, se lo facesse il privato
dovrebbe dare un indennizzo alla p.a.? no. Dovrebbe dargli un risarcimento integrale per inadempimento! Il
recesso per inadempimento è come se voi non pagate più una macchina,poi dovete ridare tutto anche i danni.
L’art 11 però parla anche di un altro tipo di accordo e cioè l’accordo sostitutivo del provvediemnto al quale
si applicano le stesse regole che stiamo dicendo. E l’accordo bonario è una classica espressione di acc.
sostitutivo del provvedimento. E l’accordo sostitutivo e quell’accordo con cui la p.a. e il privati si accorano e
quell’accordo sostituisce in toto il provvediemnto finale cioè in quel momento il provvedimento finale di
espropriazione finisce, si conclude con una accordo cioè quello bonario e non c’è prosecuzione di attività di
diritto pubblico. E’ chiaro che in quel caso ragazzi,l’accordo viene siglato da entrambe le parti ,registrato ai
pubblici registri immobiliari. E come può esser impugnato dal privato? Mai. Ecco la differenza. Si registra
tutto. Quel bene subito passa alla p.a. come se lo stesse acquistando dal privato. Ma,prima di una riforma del
2005,l’accordo sostitutivo poteva farsi solo nei casi tassativamente indicati dalla legge. Oggi si può fare
sempre invece. Sia l’accordo procedimentale che quello sostitutivo si possono fare sempre. Basta che c’è
l’accordo tra p.a. e privato. E ragazzi, l’accordo è un modus operandi della p.a. alternativo al modulo
autoritativo, che dalla sua codificazione (legge 241/90) , sono passati più di 30 anni. E inizialmente si è
utilizzato pochissimo perchè si pensava che l’accordo tra p.a. e privato celasse corruzione della p.a. ,
favoritismi, e allora per tante volte questo art è stato modificato con commi che sono stati poi aggiunti. È
stato poi introdotto infatti l’art 1 comma 1 bis che prevede anche il “calendario “ degli incontri per affermare
sostanzialmente come tutto è visibile,trasparente. Anche il comma 4 bis è stato aggiunto dopo: ‘a garanzia
dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa’. Queste sono due clausole rebus sic
standibus cioè a garanzia del fatto evidenziano che si tratta comunque di una p.a. .. e la stipulazione
dell’accordo è preceduto da una DETERMINAZIONE dell’organo che sarebbe competente per l’adozione
del provvediemnto. E sapete cos’è la determinazione? Che quando si stipulano gli atti amministrativi nelle
p.a. c’è un organo d’indirizzo politico che da il fine ,che crea l’interesse pubblico specifico da realizzare in
quella determinata fattispecie,che puntualizza l’interesse pubblico, pone quindi un fine,uno scopo.
(c.d.ATTO D’INDIRIZZO POLITICO) . vedete oggi il governo sta dando indirizzi politici e questi si
chiamano ATTI DELIBERATIVI. I consigli comunali ad es deliberano il piano regolatore dicendo qui si
mette una scuola, qui un giardino pubblico, qui le case popolari ecc. Vedete ,pone i vincoli sul territorio, gli
scopi. E questi atti del consiglio comunale, del consiglio dei ministri, regionale sono gli atti deliberativi, cioè
vengono deliberati gli scopi. La determina invece è tipica dell’atto dirigenziale. Cioè che attua l’indirizzo, lo
persegue. E come fa? Ponendo l’atto dirigenziale! È il dirigente ,mettendo in atto il procedimento
amministrativo con il quale si realizzerà l’interesse pubblico specifico indicato dall’organo di governo.
Quindi sapete bene che nelle p.a. c’è un organo d’indirizzo politico e uno di gestione amministrativa.
L’organo di gestione amministrativa è il dirigente; l’organo di indirizzo politico è invece colui che detta
l’indirizzo politico che può essere il governo, la giunta regionale,il consiglio di stato o comunale. Ma il
politico si deve fermare alla fissazione degli obiettivi emanando delibere che sono appunto realizzate attuate
e perseguite nel loro scopo, dal dirigente. Quindi chi è che pone in essere il procedimento amministrativo
all’atto finale secondo voi? Politico o dirigente? Il dirigente! Il politico non c’entra niente!. Tutto sta in capo
al dirigente e l’atto che lui emana si chiama DETERMINA. Questa è un’altra prova ‘provata’ ,si dice, del
fatto che l’art 11 evidenzi la natura autoritativa di una attività paritetica. Ecco perchè l’art 1 comma 1 bis
dice ‘salvo che la legge disponga diversamente’. C’è sempre un alveo di potere in senso lato. Il fatto che
l’accordo sia sostitutivo sia integrativo sia preceduto da una determina del dirigente vuol dire che il dirigente
sta emanando un’atto di potere. Il primo atto in questo procedimento amministrativo che è esercizio di un
potere autoritativo! Tutto questo per dire che cosa? Ad es se all’esame vi chiedo differenza tra atti
autoritativi e paritetici, vedete quante cose si possono collegare? Con una domanda sola si può dire tutto. Io
poi è chiaro che adesso non parlo di organo dirigenziale,organo politico sennò farei amministrativo 1 . però
chi frequenta deve far tesoro di questi collegamenti e andate soprattutto ad ampliare il discorso sull’attività
organizzativa dell’organo di indirizzo politico,dell’organo dirigenziale ad es e quindi la posizione organica
del dirigente. Pensate alla differenza tra Munus e ufficium. Anche se comunque queste cose nel corso delle
lezioni le spiegherò in modo che voi possiate,spiegando il concetto all’esame, farmi capire che avete saputo
collegare tutti gli argomenti. Ma vedete siamo ancora ad Adamo ed Eva dal punto di vista storico. Avrò
parlato della prima pagina del libro ma vedete quanto abbiamo trattato? Già questa domanda all’esame per
me può bastare.se mi raccontate tutto per me l’esame finisce lì. Torniamo a noi,si deve quindi al consiglio di
stato come organo che dirime il conflitto di attribuzione, la creazione di queste importanti distinzioni tra
attività autoritativa e paritetica. Ragazzi cosa succede poi dal 1877 in poi? Fino a quando sarà istituita dopo
qualche anno la giurisdizione amministrativa, c’è ancora un contrasto che si chiamerà conflitto di
attribuzione. Però non c’è più il consiglio di stato, menomale. Ma viene deputato a ciò un organo ,se
vogliamo terzo, di garanzia, attuale che è la corte di cassazione a sezioni unite. Che ha sede a Roma. 1827
fino al 1921 o 23 la cassazione aveva sedi distaccate. Poi dal 1923, la cassazione ha sede a Roma. Questo
fatto che ci fosse l’organo della cassazione a dirimere conflitti prima di attribuzione e poi di giurisdizione
sollevò una sorta di garanzia,terzietà e distacco. Perchè non era più la stessa parte contendente a dirimere il
conflitto ma era un organo terzo ed era la Cassazione ma comunque era evidente il vulnus di tutela che si
creava perchè no c’era un’adeguata tutela giurisdizionale in capo a quelle controversie che riguardassero i
meri affari. Poi noi la scorsa settimana abbiamo detto chegli art 4 e 5 sono una sorta si spiegazione sommaria
dell’importante potere del giudice ordinario di conoscere dell’atto amministrativo sia pure incidenter tantum.
E questo è chiaro: quando la contestazione cade sopra un diritto leso da un atto amministrativo i tribunali si
limiteranno a conoscere gli effetti dell’atto. Limiteranno: cioè la conoscenza non è diretta ma invocata da una
delle parti in giudizio. E a conoscere degli effetti dell’atto che significa? Che (art 5) si applicheranno gli atti
e i regolamenti soltanto quando siano conformi alla legge. Diversamente non li applicheranno e quindi
disapplicazione . quindi quando si parla degli art 4 e 5 parliamo subito del potere della disapplicazione del
giudice ordinario nei confronti dell’atto amministrativo. Questo dicono le norme. Ci fanno capire che il
giudice ordinario in virtù della separazione dei poteri non potrà revocare o modificare l’atto amministrativo
che viene conosciuto sia pur incidenter tantum SE NON con ricorso alle competenti autorità amministrative
le quali si conformeranno al giudicato del tribunale per quanto riguarda il caso deciso. Cosa vuol dire
questo? Pensate , il legislatore nel 1865 dice che l’atto amm. non può essere revocato o modificato da
un’autorità giudiziaria sia essa giudice ordinario sia essa giudice amministrativo (e non può farlo neanche
ora) e chi lo potrà revocare o modificare? La stessa p.a dice quest’antica legge tuttora valida. Cos’è questo?
È l’istituto dell’autotutela che trae origine in questa antica legge. Quindi quando avete un tema ad es:
l’autotutela della p.a. iniziate dalla norma. L’autotutela, è il potere della p.a. di autodifendersi, difendersi da
sé. Cosa che invece non è concessa ad un privato. La p.a. ha questa capacità di autodifendersi cioè può porre
in essere provvedimenti di tipo conservativo o eliminatorio quando: si accorge che qualcosa non va, che il
suo atto è affetto da un vizio, che qualcosa non è come doveva essere,che l’interesse è cambiato e che quindi
per il principio dell’adeguamento del potere deve adeguare quell’interesse al momento concreto. E quali
sono i tipici istituti che avete studiato nella prima parte che sono espressione somma del potere di autotutela?
REVOCA E AUTOANNULLAMENTO D’UFFICIO ( ART 21 QUINQUES E NONIES L 241/90) . questi
dovete conoscerli sommariamente. La revoca è espressione del potere di secondo grado della p.a. e i casi
sono esplicitati nell art 21 quinques. Leggete bene l’art 21 quinques per filo e per segno. Guardate ci
fermiamo un attimo e dopo riprendiamo con gli art 21 quinque e nonies. Sono importantissimi che conosciate
almeno cosa sono , gli elementi basilari. Pausa Dicevamo,cosa vuol dire che questa legge antica 1865? Che
ha costruito le basi del potere di disapplicazione, dell’istituto dell’autotutela a cui si collegheranno tante cose
processualistiche. Mi spiego. Quando andrete a rispolverare la revoca e autoannullamento costruirete nelle
vostri menti una primissima base che sarà poi sviluppata con me in maniera processualista: ci sono infatti
questi due istituti che testimoniano un obbligo che ha la p.a cioè quello di adeguare costantemente il suo
potere alla concreta e contestuale e vigente situazione in cui essa si trova ad operare. Questa caratteristica del
potere cioè di essere in perfetta aderenza con il fine pubblico concreto che in quella fattispecie
procedimentale si pone a compiere,in sè comporta tanti collegamenti in primis il principio della inesauribilità
perchè il potere pubblico amministrativa della p.a. intesa come pubblica amministrazione è inesauribile. In
tale inesauribilità è altresì insito il principio di adeguamento stringente dell’esercizio dell’azione alla realtà
fattuale. Nel principio dlla inesauribilità del potere,inoltre,qui non posso evitare un aggancio processualistico
che all’inizio non capirete molto però man mano ve lo farò comprendere.. all’interno del pr.di inesauribilità è
contenuto un altro principio che sarà per noi pane quotidiano e cioè l’obbligo della p.a. di conformarsi al
giudicato. Che vuol dire? Che la p.a. quando agisce non si ferma nella sua azione. Non è come noi che
raggiungiamo un grande risultato e poi ci riposiamo. La p.a. non può fare così perchè essa non agisce per un
interesse individuale ma nell’interesse della collettività e non può permettersi di stare inerte. Nè di non
adeguare la sua attività costantemente alla situazione fattuale ,giuridica in cui si trova di volta in volta ad
operare. Quindi c’è questo adeguamento stringente dell’azione alla realtà concreta. Quindi inesauribilità-
adeguamento costante. E in sé non è che a volte s’inventa,non s’inventa nulla la p.a., quando agisce essa lo fa
perchè sta realizzando interessi pubblici previsti dalla norma,dal legislatore (pr.di legalità) ..non c’è
autonomia contrattuale nella p.a. non può scegliere i fini da realizzare con il privato.Ad es L’istruzione a
livello universitario della collettività studentesca.. se in questo fine pubblico rientra anche l’utilizzo di una
macchina per recarsi al ministero o per fare attività di amministrazione o di propaganda,il rettore potrà
utilizzare la macchina.quindi ecco l’inesauribilità del potere e dell’adeguamento dell’azione alla realtà
fattuale. Ma c’è ancora un terzo principio importantissimo cioè l’obbligo che ha la p.a. di raggiungere non
solo i fini previsti dalla norma ma anche l’obbligo di conformarsi al giudicato amministrativo quando sta
ponendo in essere una riedizione del potere. Mi spiego: quando la p.a. agisce nel procedimento. Quando
finisce il procedimento c’è un atto amministrativo. Questo atto amministrativo può essere impugnato e il
giudice amministrativo ha un potere suo tipico. Qual’è? Il potere per il quale è stato istituito ,nel lontano
1889 che gli deriva dalla necessità di coprire quel vuoto di tutela della legge del 1865, era quello di
conoscere degli atti affetti dai vizi di legittimità e qualora vi rilevasse un vizio (violazione
legge,incompetenza, eccesso di potere) quell’atto era considerato illegittimo e pertanto dal giudice
amministrativo quella illegittimità che era coeva all’emanazione dell’atto, doveva essere eliminata, spazzata
via. Se ad esempio un atto era stato adottato quindi in palese violazione di una norma di legge o in palese
vizio di eccesso di potere o di incompetenza quel vizio era coevo alla nascita dell’atto quindi difronte a tale
vizio presente il giudice doveva eliminarlo. Il giudice amministrativo quindi ha potere di
ANNULLAMENTO! Annullare, spazzare viA le illegittimità ab origine. Come se non ci fosse mai stato.
Quindi nasce per colmare il vulnus di tutela per i ‘meri affari’ ma è nato un giudice che guardava al rapporto
tra p.a. autoritativa e privato attraverso la lente dell’atto. Non scendeva invece in profondità come il giudice
ordinario che invece cosa fa? Davanti a un rapporto tra due soggetti in situazione di parità che dicono
rispettivamente A e B. Il giudice ad uno dei due deve dar ragione e quello cui da torto è condannato a
risarcire l’altro quindi lui conosce della situazione giuridica soggettiva perchè si parla di diritti soggettivi,
diritti pieni in capo a due privati. Dinanzi a un rapporto giuridico amministrativo invece non va a conoscere
se tizio o la p.a ha ragione. NON SE NE PUÒ FREGAR DE MENO. Dice l’atto com’è? È esercitato
correttamente? Allora sto buono e non faccio nulla. Se c’è vizio di legittimità lui(giudice) ne ravvisa
l’esistenza ab origine! E dinanzi al fatto che il suo sindacato s’impunta sull’atto,gli è stato dato
dall’ordinamento il potere di annullare l’atto amministrativo. Quindi si dice che la sentenza tipica del giudice
amministrativo è quella costitutiva di annullamento. Per questa finalità il giudice è nato. Perchè costitutiva?
Perchè attraverso la sentenza e i tipici effetti di essa si costituisce un qualcosa nel mondo giuridico,si realizza
un qualcosa. Qual’è la prima cosa che si realizza? In primis l’effetto eliminatorio. Non è cioè come la
disapplicazione : privare gli effetti in relazione a quella fattispecie determinata. L’annullamento del g.a.
elimina l’atto come se non fosse mai esistito. Quindi questo è il primo effetto eliminatorio ma strettamente
correlato è altresì l’altro effetto e cioè quello ripristinatorio. Si ripristina pertanto la situazione quo ante
all’emanazione dell’atto. Pensate bene,il g.a. agisce così. Il vizio è coevo all’atto. Spiegheremo di questi
effetti eh.. ora fossilizzateli. Quindi effetto eliminatorio, ripristinatorio e c’è anche un terzo effetto. Forse il
più importante. E cioè quello conformativo del giudicato. Conformativo. Cosa vuol dire? Siccome la p.a. ha
un potere che è inesauribile,quando la p.a. emana un atto che poi viene annullato un vizio da giudice
amministrativo e annulla quell’atto quella situazione si ripristina e poi la p.a. che fa? Cosa dice art 4 comma
2? ‘ l’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti
autorità amministrative le quali si CONFORMERANNO al giudicato’. Avete capito ragazzi sta sentenza del
giudice quanto è importante? Qui c’è la ratio,l’obbligo di conformazione al giudicato. Cosa vuol dire? Che le
p.a. quando dovranno riemanare, procedere di nuovo con un nuovo procedimento, dovranno, non soltanto
lavorare sul precedente! Se c’è un decisum che gli ha ravvisato un vizio di legittimità in una situazione in cui
potrebbero ritrovarsi a vivere dopo, mica sono sceme le p.a. che dicono ‘“ah vabbè,faccio la stessa cosa di
prima magari quell’atto il giudice non me lo impugna”… no!! Avranno il precedente della medesima
situazione sempre ben presente quindi si conformeranno al giudicato.La p.a. lo terrà presente, però sulla base
di questo giudicato, che da un indirizzo, una via, un canone guida, perchè la p.a. non può essere
imbavagliata, può fare come vuole purché non ecceda questi canoni/criteri guida, che la indirizzano per la
migliore realizzazione dell’interesse pubblico, perchè i principi giuridici scritti sono pochi, i principi
giurisprudenziali sono troppi. Quindi sulla base del precedente, sulla base di quel decisum, a cui le p.a.
hanno l’obbligo di conformarsi, che rappresentano un canone di guida importante. Questa legge è ancora
molto attuale. C’è il potere di disapplicazione, c’è l’istituito dell’autotela, il potere di indirizzo. Si potrebbe
parlare per tutto il corso di questa legge. Il giudice amministrativo è nato per sindacare il potere esecutivo, la
cui costola era la p.a., che poteva incidere nei confronti di quei meri affari, poi definiti interessi dal T.U.
della legge n. 5992/1889, che ha istituito la IV sez. del Consiglio di Stato e con questa legge si è detto che il
giudice amministrativo era chiamato a decidere sui ricorsi per violazione di legge, incompetenza, eccesso di
potere contro atti e provvedimenti emanati da autorità amministrative o corpi amministrativi deliberanti nei
confronti di interessi di individui o di enti morali giuridici. Viene data la definizione di interessi, dovremo
aspettare tanta dottrina che darà la definizione di interesse legittimo e la Costituzione che con gli artt. 24,
103, 113 la codifica nella sua definizione somma di interesse legittimo. Ma la nozione interessi definita dal
legislatore, ci dà già l’idea di un quadro giuridico sostanziale. L’espressione “meri affari” rappresentava
qualcosa di denigrato dal legislatore del 1865, tant’è che Stanislao Mancini dice: “Il titolare dei meri affari
che si rassegni”, come per dire non do valore alla situazione che non è di diritto soggettivo. Invece, già il
legislatore di qualche anno dopo, utilizzando il termine individui, dà un valore di un corpus, di un corpo
sostanziale a questa situazione che non era di diritto soggettiva. Nasce il giudice amministrativo e viene
creato con un determinato intento, questo non è scritto nella legge. Quando il giudice amministrativo viene
chiamato sui ricorsi affetti da vizi di legittimità, viene chiamato per verificare se uno scorretto esercizio del
potere non potesse più stare nel mondo giuridico, se lo rilevava come illegittimo, lo doveva per forza
cancellare e quindi ciò è stato attribuito al g.a., in quel momento nato come giudice speciale e di
conseguenza non poteva scendere nel rapporto, ma si doveva bloccare all’interno di questo atto, che faceva
da lente. Giudice - atto - rapporto. Il giudice non entra nel rapporto, si ferma all’atto!!!!!! Nel caso in cui il
giudice rilevasse un vizio, allora doveva per forza cancellarlo. Quali sono i tre effetti della sentenza del
giudice amministrativo? L’effetto costitutivo di annullamento, l’effetto costitutivo ripristinatorio, l’effetto
costitutivo conformativo. Le situazioni giuridiche soggettive che si correlano al potere possono essere di due
tipi: interesse legittimo oppositivo ed interesse legittimo pretensivo. La tipica sentenza costitutiva di
annullamento è a soluzione garantita, quasi totale, per la situazione di interesse legittimo di tipo oppositivo (è
l’interesse di colui che ha una res e si oppone nel caso in cui la p.a. esercita il potere). Il titolare di tale
interesse si scontra contro un potere di trasformazione e si appaga nei confronti di un potere di
conservazione. Cosa fa il titolare di un interesse legittimo oppositivo? Quando impugna un atto
amministrativo perchè si considera leso nel suo interesse, la legittimazione processuale fa sì che colui che si
considera leso e questa lesione deve essere attuale, reale e concreta. La lesione deve derivare direttamente
dal provvedimento che si impugna perchè deve essere reale non ipotetica. Colui che si considera leso
ambisce all’annullamento di quel provvedimento, perchè lui tornerebbe nella situazione presistente a quel
potere, alla situazione di diritto soggettivo. Viceversa, se il titolare dell’interesse legittimo di tipo pretensivo
chiede un qualcosa alla p.a., riceve un diniego da parte della p.a., allora impugna il diniego e si impugna
sulla base dei vizi di legittimità, se il giudice ravvisa uno di questi vizi, annulla il diniego ma l’annullamento
del diniego non dà il provvedimento. La tipica sentenza costitutiva di annullamento non è a soluzione
integrale per la situazione di interesse legittimo pretensivo, almeno non lo è per l’effetto cassatorio e
ripristinatorio. L’annullamento del diniego nei suoi effetti di eliminazione degli effetti giuridici prodotti e di
ripristinazione quo ante, non lo soddisfa per niente (il privato non ci guadagna niente). L’unico effetto sul
quale si può ragionare, per garantire un minimo di tutela anche al titolare di un interesse legittimo pretensivo,
è l’effetto conformativo. È chiaro che la p.a. quando deve emanare di nuovo il potere (chiedo ad una p.a.
un’autorizzazione amministrativa, mi appago se c’è un potere di trasformazione, quindi mi appago se c’è un
potere di trasformazione, mi scontro se c’è un potere che cristallizza gli effetti, immutando il reale). Se io
ottengo un diniego, lo impugno perchè ravviso dei vizi, il giudice mi dà ragione, annulla il provvediemnto,
siccome il potere è inesauribile, un altro soggetto può chiedere lo stesso provvedimento e la p.a. non può
incorrere nuovamente in quegli stessi errori, quindi si conforma al giudicato e in questo caso sarà necessario
proporre una nuova domanda. Quando si propone la domanda nuova, può accadere la la p.a., come ultima
strada, si trovi a dare proprio il provvedimento richiesto dal precedente istante e questa è una grande
soddisfazione, si dice ampliare l’effetto conformativo del giudicato. È molto difficile perchè ci devono essere
una serie di circostanze, (giurisprudenziali, fattuali, politiche) dilatando al massimo il giudicato si potrebbe
parlare di una soddisfazione esaustiva, attraverso l’effetto conformativo del giudicato, anche per gli interessi
di tipo pretensivo. Quindi gli interessi di tipo pretensivo non sono soddisfatti pienamente dai primi due
effetti: effetto cassatorio e effetto ripristinatorio. Art. 1 (codice del processo amministrativo): Effettività 1.
La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e
del diritto europeo. Dice una cosa straordinaria: il giudice amministrativo deve garantire una tutela piena. E
come lo fa a fare, se è nato con questo potere un po’ monco? Monco perchè l’annullamento, con questa
efficacia esaustiva dell’interesse legittimo oppositivo, è comunque limitato a quella situazione. Un obbligo
formale e procedimentale della legge n.241/1990? L’obbligo di procedere, se non decide cosa si crea? Il
silenzio. Ad oggi c’è una tutela (piena ed esaustiva) particolare del silenzio. Un altro obbligo formale che,
oggi, è dequotato? Art. 21 octies, comma 2, l.241/1990: 2.Non è annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione
dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La comunicazione di avvio
del procedimento, di cui all’art. 7 della l. 241/1990. Oggi succede che se io sono titolare di un interesse
legittimo di tipo oppositivo, posso impugnare un atto amministrativo perchè manca la comunicazione? Il
giudice potrebbe dire c’è un palese vizio di legittimità, ma applico l’art. 21 octies, nel caso in cui
l’amministrazione dimostri dimostri in giudizio che il contenuto dell’atto non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato. Quindi vi è una dequotazione. Quantunque il giudice consideri quel vizio
davvero importante, quindi annullo un provvedimento di espropriazione perchè manca la comunicazione di
avvio di procedimento, ed io cosa ne faccio? È una vittoria di Pirro, perchè la p.a. nella riduzione del potere
mi segue la regola della comunicazione, per il resto il provvedimento andava bene ed io non me ne faccio
nulla. L’interesse legittimo oppositivo è a soddisfazione garantita, ma soltanto nell’ipotesi in cui il privato
rilevi un vizio di tipo sostanziale, non un mero vizio formale, perchè il mero vizio formale fa sì che la p.a.
nella riedizione del potere, dato che quel potere è inesauribile, ti ri-adotta quel provvedimento depurato da
quel vizio formale e quindi anche il privato è insoddisfatto.

LEZIONE IV
22-10-2020

Gli effetti tipici del giudicato amministrativo di annullamento, quel giudicato amministrativo per il quale si è
sentito il bisogno di istituire il giudice amministrativo, nel 1889, che è un giudice speciale.

Le differenze tra il giudice ordinario (g.o.) e giudice amministrativo (g.a.)


1. I TERMINI
I termini per proporre azione davanti ai due diversi giudici sono completamente diversi. Ci sono i termini
lunghi prescrizionali davanti ad giudice ordinario, termini brevi di decadenza davanti al giudice
amministrativo, che sono di sessanta giorni dalla notifica dell’atto amministrativo che si intende impugnare.
Perchè? Perchè non si può e non si deve consentire alla p.a. di attendere tempi lunghi prima che si abbia la
cosiddetta certezza del diritto, cioè non si deve permettere che la p.a., sempre in qualità di detentrice del
potere pubblico, sempre perchè sta perseguendo un interesse pubblico, sottostia a dei termini lunghi che non
danno la certezza giuridica del provvedimento, cioè che non fanno sì che il suo provvedimento diventi
incontestabile, incontrovertibile.
2. I SOGGETTI CHE POSSONO ADIRE I GIUDICI
Ci sono dei termini brevi entro cui il privato, e solo il privato che è leso nella sua situazione giuridica
soggettiva da un provvedimento amministrativo e che dimostri di avere questo interesse a ricorrere, inteso
come interesse connotato da alcune caratteristiche (cioè una lesione deve essere attuale, reale e concreta),
può adire il giudice amministrativo.
Quisque de populo potrebbe adire il g.o.; chiunque, ad esempio, potrebbe adire il g.o. per chiedere una
sentenza di accertamento, che ha valore di tutela piena per l’ordinamento.
3. TIPOLOGIA DI SENTENZE
La sentenza costitutiva è quella tipica per la quale è nato il giudice amministrativo; sentenza che produce un
effetto giuridico di cassare, di demolire, di ripristinare, di conformare. Sentenza invece meramente
dichiarativa da parte del giudice ordinario.
È sanabile d’ufficio, davanti al giudice ordinario, questa situazione? La p.a. ha questo potere di autotutelarsi,
ma ce l’ha il giudice amministrativo questo potere di intervenire, di modificare, di allargare il campo
d’indagine della sua vicenda? No, perchè non si può andare oltre il petita. Vale il principio della
corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, il g.a. si può pronunciare su quello che la parte ricorrente
chieda. Quindi c’è una corrispondenza tra le azioni esperibili in capo al giudice amministrativo e la sentenza
da lui emanata.
Non posso chiedere un qualcosa ed il giudice amministrativo darmi un’altra (questo oggi non è più vero,
infatti c’è un principio disciplinato dall’art. 32: la conversione dell’azione, che muta questo assioma, ma con
alcuni limiti; infatti adesso si parla di un impianto dirigistico del processo amministrativo ad opere del
giudice che per garantire quella tutela piena ed effettiva, addirittura potrebbe dirigere lui l’azione e se ad
esempio il privato fa un ricorso al giudice amministrativo promuovendo un’ azione di annullamento ed il
giudice amministrativo, verificata la vicenda, per assicurare la tutela piena ed effettiva, cambia l’azione,
facendola diventare di accertamento o di adempimento, può quindi dirigere il processo per garantire quella
pienezza di tutela che il codice prevede).

C’è una differenza abissale tra i due giudizi. C’era. Oggi non è più così. Si sta andando verso un
avvicinamento delle due giurisdizioni, quanto a qualità dell’ordine giurisdizionale, in termini di effettività e
tutela che possono garantire gli uni e gli altri. Oggi si sta andando verso una tutela piena ed esclusiva da
parte di entrambi i giudici; giudice ordinario che sta prendendo spunto e guardando con molta attenzione le
tecniche di tutela del giudice amministrativo ed il giudice amministrativo sempre più spesso attento a
mutuare i poteri più penetranti, più incisivi del giudice ordinario, per garantire sempre la pienezza della
tutela.
Vedremo come un’azione mai consentita davanti al giudice amministrativo, cioè l’azione di condanna della
p.a. al risarcimento dei danni per lesione interesse legittimo, oggi invece è prevista anche la possibilità di
chiedere il risarcimento dei danni per lesione di interesse legittimo.
Il potere di risarcimento è un potere tipico del g.o., perchè riguarda la lesione e nel caso ravvisi questa
lesione, il giudice condanna la parte al risarcimento dei danni: art. 2043 c.c..
Quest’art. per tanti anni considerato di spettanza esclusiva della giurisdizione del giudice ordinario, diventa,
a seguito di una importante sentenza delle Sez. Un., possibile anche che venga conosciuto dal giudice
amministrativo, quindi vi è un ampliamento della portata sostanziale di questo articolo.
Non è soltanto questa l’unica conquista processuale, possiamo ricordare:
-l’azione di accertamento;
-l’azione che garantisce una tutela piena avverso il silenzio;
-l’azione che garantisce una tutela piena avverso una richiesta di un provvedimento.
Quindi l’intromissione all’interno del nostro ordinamento di una possibile azione di adempimento: adesso,
titolare di un interesse legittimo, posso chiedere al giudice amministratore che condanni la p.a. a darmi il
provvedimento chiesto e non conseguito. Si sta andando verso un’assimilazione di tutele.
Allora perchè non abolire la giurisdizione amministrativa se il giudice amministrativo sta diventando sempre
più simile al giudice ordinario? Non sarà mai possibile questo perchè il diritto amministrativo, che è diritto
speciale (diritto proprio dei rapporti giuridici amministrativi, in cui parte di questo rapporto è un potere
pubblico), nasce sulle ceneri del processo amministrativo.
Quando si esercita un potere pubblico questo esercizio di potere pubblico, indipendentemente dal fatto che
venga esercitato dalla p.a. o da un privato che esercita tale potere per un determinato periodo, fa sì che il
rapporto giuridico amministrativo che si instauri con un soggetto che vanta un interesse individuale sia un
rapporto speciale. La specialità del diritto amministrativo sta in questo: che uno dei due agisce per la cura di
un interesse pubblico, per questo non si può consentire un ingessamento di normative, non si può consentire
una proliferazione eccessiva di regole stringate, di norme che dettino pedissequamente i passaggi che deve
porre in essere chi esercita il pubblico potere, perchè non possono essere predeterminati a priori tutte le
situazioni possibili che si possono verificare nella realtà giuridica, concreta, materiale.
Siccome non è possibile stabilire a priori tutto questo, cioè non è possibile aprioristicamente stabilire le
situazioni in cui si può trova ad operare una p.a. o un soggetto che esercita una funzione pubblica,
volutamente il legislatore ha lasciato ampi spazi liberi di agire alla p.a. di agire.
E siccome c’è poca normativa e quella che abbiamo ci dimostra che di fronte ad una situazione di
emergenza, non è che la p.a. non ha regole, si inventa la regola del caso concreto, se la sta inventando la p.a.,
si sta dando regole elasticissime.
Il ricorso alle ordinanze di necessità ed urgenza, definite da Massimo Severo Giannini, come valvola di
sfogo della discrezionalità amministrativa. Queste ordinanze, che oggi stanno diventando la regola, ci
dimostrano come la p.a. può prendere qualsiasi decisione, perchè deve fronteggiare una situazione di
emergenza e di urgenza. Il problema è che questa situazione di emergenza sta diventano la regola.
Emergenza vuol dire momento transitorio in cui si trovano delle soluzioni elastiche, ma in vista di ritornare
all’ordine precostituito, per ripristinare la situazione esistente prima dell’emergenza, quindi per ripristinare
l’ordine precostituito.
Il tempo dell’emergenza che si sta procrastinando e il diritto cambierà, non sarà più lo stesso. Questo sarà
possibile farlo perchè stiamo parlando di una p.a., che per salvare la salute pubblica, anzi al di sopra c’è il
diritto alla vita ed al vertice c’è il diritto ad una vita dignitosa, fa sì che la p.a. possa adottare degli atti in cui
non c’è scritto nulla nella norma, si inventa.
Oggi c’è il massimo esercizio del potere discrezionale, che a volte viene scambiato anche per arbitrio. A
volta la discrezionalità assoluta può essere sinonimo di politicità, di arbitrio. È una soluzione talmente
assurda che non può essere paragonata a nient’altro.
Quali sono i principi che devono guidare la p.a in questi momenti emergenziali?
I principi che sono espressione del buon senso dell’individuo, perchè bisogna considerare la p.a. come se
fosse un essere umano, il buon senso che deve guidare gli amministratori, il principio dell’equità sostanziale,
la regola del caso concreto in quel momento. I dirigenti della p.a. devono reperire, tra le loro conoscenze,
quali sono le regole che devono guidare il buon senso.

Il principio di proporzionalità: nell’ultimo dl (7 ottobre 2020) viene nominato moltissime volte. Cosa vuol
dire proporzionalità? La giurisprudenza comunitaria e nazionale sta calando nella realtà questo principio,
questo canone guida, che è l’unico canone che sta guidando questo governo in questo momento.
Proporzionalità intesa come bilanciamento tra interessi fra di contrapposti, o meglio proporzionalità tra
interessi e mezzi!
Il g.a. ha iniziato a sindacare il potere della p.a. utilizzando il metro della proporzionalità.
Quando il giudice amministrativo rileva che c’è un difetto, una mancanza o un’errata applicazione del
principio di proporzionalità, quali dei tre vizi sta violando? A prima vista si direbbe violazione di legge, ma
non solo.
La proporzionalità ha varie dimensioni. È giusto dire violazione di legge: riprendendo l’art.1 della legge n.
241/1990 (“nonché dei principi dell’ordinamento comunitario”: quali sono i principi dell’ordinamento
comunitario che vengono implicitamente richiamati? Viene sicuramente richiamato anche il principio di
proporzionalità).
Art. 21 octies: non si può finire il ricorso rilevando un mero vizio di violazione di legge, forse non in questo
caso, ha un valore rilevantissimo in questo caso. Comunque se uno lo riduce a vizio di violazione di legge,
non c’è cosa più semplice per la pubblica amministrazione di rifare il medesimo atto dicendo che è il
provvedimento più idoneo, più mite; non c’è nulla di più semplice per la p.a. a motivare che il
provvedimento è proporzionale e quindi si toglie il vizio di violazione di legge.
Mentre se il difetto di proporzionalità viene considerato come vizio di eccesso di potere, come nuova figura
sintomatica, significa che il g.a. si inventa le figure sintomatiche e inventando le figure sintomatiche la p.a.
saprà che il canone che dovrà avere sempre presente sarà quello della proporzionalità perchè lo ha detto il
giudice, che ha annullato un atto perchè violava il principio di proporzionalità.
L’eccesso di potere riguarda il contenuto dell’atto e consiste nello scorretto esercizio del potere
discrezionale; la dimensione importantissima del difetto di proporzionalità è da ascrivere in maniera certa
all’interno del vizio dell’eccesso di potere. Chi riempie di contenuto dell’eccesso di potere? Se il g.a. oggi si
è inventato tale difetto di proporzionalità, la p.a. quindi è costretta a rivedere il contenuto dell’atto.

Differenza tra discrezionalità e merito


Potere discrezionale: quel potere di scelta che ha p.a. di scegliere, tra le tante soluzione possibili consentite
dall’ordinamento, quella soluzione che meglio realizzi l’interesse pubblico. Soluzione che sia quella più
opportuna, più conveniente, più adeguata. Il potere discrezionale è il potere che la p.a. ha per arrivare alla
scelta. Ed in questo iter, che comporta la scelta, che rilevano gli eventuali vizi di legittimità. Quando si dice
potere discrezionale si intende, quindi, l’iter procedimentale che porta alla scelta.
Il potere discrezionale è il potere di scelta che ha la p.a. che, in vista dell’adozione del provvedimento finale,
deve adoperare un corretto esercizio del potere esente da vizi, cercando di realizzare in questo suo iter una
decisione che porterà alla massimizzazione dell’interesse finale, al massimo risultato sotto i termini di
opportunità, convenienza, buona amministrazione.
Qual è la differenza tra potere discrezionale e merito?
Il potere discrezionale può essere sindacato perchè è al suo interno che rileva lo scorretto esercizio del
potere, sotto la figura dell’eccesso del potere. Ma una volta che la p.a. arriva alla scelta, la scelta è
sindacabile dal giudice sotto il profilo della opportunità, convenienza,…? No, perchè il giudice non può
ingerirsi nella scelta per il principio di separazione dei poteri, sarebbe ingerenza nel potere esecutivo. Ecco
cos’è il merito: il merito rappresenta la decisione somma che spetta solo ed esclusivamente alla p.a., in cui
nessuno può ingerirsi, neanche il giudice amministrativo, che è giudice speciale, chiamato nel lontano 1889 a
sindacare il potere, ma per sindacare l’esercizio del potere, non la decisione finale.
Il merito rappresenta il cuore della scelta, la decisione somma, che è nell’esclusiva speranza della p.a.,
perchè i principi che presiedono il merito sono principi meta giuridici/extra giuridici: buon senso,
opportunità, buona amministrazione, saggezza.
Il principio di proporzionalità non può essere considerato anche un principio che attiene al merito?
Quando la proporzionalità la si spiega come principio che riesce a contemperare, a bilanciare, interessi tra
loro contrastanti, quando si dice che la proporzionalità è quel principio che permette di bilanciare interessi,
mezzi a disposizione, in modo da adottare la scelta più ragionevole.
Attraverso la proporzionalità si prende la decisione e nella decisione ci sono tutti gli interessi configgenti,
che vengono fatti confluire. Secondo la prof. questa è un’altra dimensione del principio di proporzionalità,
cioè l’essere un principio metagiuridico, perchè la proporzionalità è sinonimo di ragionevolezza, di buon
senso, di equità, di saggezza e la saggezza è quel principio metagiuridico che va oltre l’esercizio del mero
potere.
La proporzionalità è un principio metagiuridico, che deve riguardare il merito, perchè non serve per arrivare
alla scelta.
Nel dpcm, che è un atto amministrativo, c’è proporzionalità; senza regole precedenti. La proporzionalità è
sostanza. Diventa un principio metagiuridico, una precondizione. E se diventa un principio significa che il
merito si sta restringendo.
Il giudice amministrativo, attraverso il principio di proporzionalità, che può applicare esso stesso, può
sindacare il metro della p.a. e si restringe il merito e si amplia la giurisdizione di merito.
Studieremo che la giurisdizione di merito non è mai consentita, se non in eccezionali, come ad esempio il
ricorso in ottemperanza.
Oggi, nel tempo dell’emergenza, diventando la proporzionalità un principio sommo, perchè è un principio
che dovrebbe guidare il merito amministrativo, quindi il merito si restringe e si amplia il sindacato del
giudice amministrativo, che attraverso il principio di proporzionalità riesce a ripetere il comportamento della
p.a. se ha applicato bene o meno il principio di proporzionalità.
Questa è sicuramente una dimensione nuova del principio di proporzionalità.
Restrizione del merito, ampliamento della giurisdizione di merito.
Oggi, che il dpcm è sottratto da qualsiasi controllo, ad es. dei decreti legge: non c’è l’approvazione delle
Camere, non c’è l’eventuale controllo da parte della Corte costituzionale, non c’è la promulgazione del Capo
dello Stato. È un atto amministrativo tout court, cosa residua? Il sindacato del giudice amministrativo con
tutti i limiti che può avere.
Se il giudice amministrativo riesce ad applicare all’interno di questo sindacato, riesce ad usare il canone di
proporzionalità per verificare: quello è il provvedimento più idoneo? più mite? ma è il provvedimento più
proporzionato? Sì.
Se il g.a. ripete questo iter, che ha posto in precedenza la p.a., attraverso la scansione trifasica tedesca, si
amplia la giurisdizione di merito e diventa una giurisdizione piena, che scardina tutto e che ci darebbe anche
una garanzia di tutela, di fronte a queste libertà che, in questo momento, ci vengono private.
Tutti i valori costituzionali sono stati privati, in nome della salute pubblica, del diritto alla vita, del diritto ad
una vita dignitosa.
Di fronte a questa libertà somma, l’unico canone, che deve guidare il pubblico amministratore, sia quello
della proporzionalità, insieme alla ragionevolezza, al buon senso.
L’unico giudizio che oggi può essere effettuato, per sindacare che la scelta sia stata la più giusta, la più
saggia, è il giudizio davanti al giudice amministrativo.
Possiamo fare l’esempio dell’ ordinanza del Presidente Santelli, impugnata davanti al Tar; il Tar ha accolto il
ricorso perchè si trattava di una libertà eccessiva rispetto a dei preminenti interessi che dovevano essere
tutelati. Il g.a. ha applicato il canone della proporzionalità, immaginando lui stesso: come sarebbe la
situazione se ci fosse meno libertà? ci sarebbero meno morti, allora accolgo il ricorso.

29/10/2020 ( lezione 5-6) Diritto Amministrativo II Evoluzione storica : ci eravamo fermati con l’istituzione
del giudice speciale (g.a.) , che ai sensi della legge del 1889, istitutiva della IV sez del Consiglio di Stato
viene creato il g.a. : per sindare sugli atti amministrativi che risultassero affetti da vizi di legittimità indicati
dal Legislatore, mai spiegati e qualificati, mai approfonditi in quest’opera di riempimenti di vuoti lasciati
volutamente fuori dalla norma, la giurisprudenza ha poi riempito, grazie anche all’opera sistematizzante della
dottrina. Nel 1889 esistono due organi giurisdizionali : - uno per la cura dei c.d. diritti civili/politici alias
diritti soggettivi → giudice ordinario; - l’altro per la tutela e la cognizione dei “meri affari” poscia (cioè
dopo) definiti interessi → il giudice amministrativo . Si è posto il problema di individuare un organo per
risolvere gli eventuali conflitti : all’inizio lo stesso Consiglio di Stato nelle prime tre sezioni, dal 1877 in poi
è stata la Corte di Cassazione con sede a Roma Cosa succedeva con l’istituzione di un giudice speciale? Di
fronte ad una controversia se non si riusciva a comprendere a quali dei due organi devolvere la risoluzione,
c’era la devoluzione di questo conflitto alla Suprema Corte di Cassazione → conflitto di giurisdizione :
pressione di individuare un unico criterio di riparto di giurisdizione. Come si fa ad indicare quale sia il
giudice competente? Qual è il criterio per ripartire le controversie tra ga e go? Ci fu un primo criterio che si è
imposto nella storia: Criterio della causa petendi : ragion del chiedere : - di fronte ad un conflitto di
giurisdizione si va dal GIUDICE ORDINARIO se la controversia riguardi la lesione di un diritto soggettivo :
deputato a conoscere la situazione giuridica di diritto soggettivo perché ha poteri propri, capacità di
conoscere nel profondo il rapporto giuridico controverso paritario; - Di converso, alla stregua di quanto
indicato dal Legislatore, si va davanti al GIUDICE AMMINISTRATIVO se la controversia riguardi la
lesione di interesse, poi definito “legittimo” : giudice ha la cognizione, il bagaglio per conoscere delle
situazione giuridiche che si correlano al potere, è nato per sindacare questi interessi che si correlano al potere
. Questa impostazione la si deve a quella importante giurisprudenza del 1891 della Corte di Cassazione nella
famosa controversia, definita come “Caso Laurens” (prof invita a studiare la controversia sul manuale) : caso
di un agente dell’immigrazione che esercitando per alcuni anni l’attività di immigrazione, poteva svolgere la
sua attività di imprenditoria privata che gli consentiva anche un discreto guadagno, Laurens ricevette dal
comune di Genova un’ordinanza con la quale si vietata il trasporto degli immigrati, andando a ledere la sua
attività di imprenditore di agente dell’immigrazione → lede un suo diritto che non era più tale, perché c’era
un’ordinanza : Laurens impugna l’ordinanza davanti al giudice amministrativo → obiettivo di ottenere
l’annullamento che l’avrebbe fatto rientrare nella sua posizione di diritto soggettivo e diritto di poter
continuar a svolgere la sua attività imprenditoriale. L’Avvocatura di Stato, che si era costituita per nome e
per conto del Comune di Genova affermò come non vi era stata lesione di interesse legittimo, ma diritto
soggettivo, quindi sospende controversia e rimette la questione alla Cassazione, attendendo che dirima il
conflitto di giurisdizione : Corte dà ragione a Lorens per la sua tutela, ma ravvisandone una lesione di diritto
soggettivo (libero imprenditore, leso l’art. 41 Cost, che in realtà ancora non entrava in vigore), stabilisce il
risarcimento. NO PIENA TUTELA CON IL RISARCIMENTO → fu risarcito della perdita di guadagno ma
non poté continuare la sua attività. Lui voleva l’annullamento, solo questo l’avrebbe risarcito. Criterio del
petitum : del domandato Si rilevò in dottrina una corrente importante di studiosi, la dottrina Scialoja, la quale
diceva che di fronte a due situazioni giuridiche soggettive affinché si abbia il massimo della tutela, non
bisogna guardare la lesione della causa petendi, ma il petitum, ovvero ciò che il privato che agisce in
giudizio anela, vorrebbe : max tutela disponibile di uno dei due giudici : se anelo ad annullamento atto
amministrativo vado dal ga, se anelo al risarcimento del danno vado dal go → CRITERIO DEL PETITUM :
DEL DOMANDATO . Lo Scialoja dice può darsi che interesse sia tutelato ancor più del diritto soggettivo,
perché l’annullamento soddisfa, in alcuni casi, più del risarcimento del danno : reintegra la situazione
giuridica soggettiva anteriore. Lorens ha avuto tutela minore rispetto a quella che si aspettava. Lo Scialoja
diceva che se si fosse utilizzato il criterio della causa petendi, in maniera imbarazzante, l’INTERESSE
LEGITTIMO sarebbe più TUTELATO DEL DIRITTO SOGGITTIVO, che invece è una situazione piena,
forte. Criteri causa petendi e petitum molto altalenanti nella storia della giustizia amministrativa : a seconda
di come si strutturava un ricorso cambiava tutto : se si chiedeva annullamento, potevo anche essere titolare di
un diritto soggettivo, ma la lesione della situazione giuridica soggettiva rimaneva sullo sfondo : a seconda di
ciò che si vuole garantire al cliente si scrive un atto amministrativo a seconda della richiesta che viene fatta e
ciò che si vuole ottenere ; molto importante star attenti anche ai termini. Differenza tra ga e go notevoli :
TERMINI • GIUDICE AMMINISTRATIVO : termini brevi di impugnativa : 60 giorni dalla notifica
dell’atto impugnato, dopo non è più impugnabile, salvo il ricorso al Capo dello Stato entro 120 giorni, solo
per motivi di legittimità. Possono anche essere brevissimi , ad esempio in appalto: 30 giorni; • GIUDICE
ORDINARIO : termini lunghi, molti dei quali sono imprescrittibili. Ecco perché si è posto il problema del
criterio di riparto di giurisdizione : causa petendi : ragion del chiedere / petitum : il domandato. Lo Scialoja
non si era però sbagliato (anche se la prof è fautrice della causa petendi) : il povero Lorens ebbe tutela, ma
non quella che anelava dall’ordinamento : interesse legittimo, essendo una situazione minore,
paradossalmente viene tutelato di più fino al diritto soggettivo : Lorens voleva l’annullamento, ma la Corte di
Cassazione rispose dicendo che la controversia riguardava la lesione di un diritto soggettivo (art. 41 Cost:
iniziativa economica privata) → è cognizione e giurisdizione del giudice ordinario : solo risarcimento del
danno e non annullamento. Di fronte alla dottrina del petitum, si levò la dottrina della causa petendi → nel
1897: Caso Trezza. Siamo alla fine del XIX secolo e questa diatriba tra causa petendi e petitum continuava
ad alimentarsi, ciascuna corrente dottrinaria fautrice di un criterio che cercava di porre a fondamento della
propria opinione, la Corte di Cassazione a seconda dei precedenti che negli anni si avvicendarono accolse più
volte la causa petendi, ogni tanto il petitum. Quando ci fu una svolta epocale? Nel 1907 : creata V sezione
del Consiglio di Stato : attribuita la giurisdizione di merito : giudice amministrativo in maniera paradossale
sindaca il merito, la decisione spettante all’esclusiva competenza della pa → giurisdizione eccezionale, solo
in casi tassativi indicati dal Legislatore → E’ UNA GIURISDIZIONE NON GENERALE, MA UNA
GIURISDIZIONE SPECIALISSIMA DÌ MERITO : giudice la può esercitare raramente, perché ripete la
scelta operata della p.a. sotto il profilo della opportunità, della convenienza, della giustizia, della saggezza
della decisione → criteri del tutto soggettivi, meta giuridici o pregiuridici : profili che risentono della
profondità della valutazione, che di per sé è del tutto soggettivo, proprio del soggetto agente, che in teoria
può essere solo la p.a. per il principio della separazione dei poteri. Nella giurisdizione di merito, il giudice
ripercorre il comportamento della pa, soltanto in ipotesi tassative. Oggi lo può fare pochissime volte : solo
nel giudizio di ottemperanza : giudizio che si fa quando la p.a. di fronte ad una sentenza non ottempera agli
input che derivano dal giudicato della sentenza del ga → non dando esecuzione alla sentenza, colui che
risulta vittorioso, a seguito di quel giudicato amministrativo, ritorna davanti quello stesso giudice dicendo
che la p.a. non ha ottemperato : si apre il giudizio di ottemperanza dove il giudice fa una cosa che non
dovrebbe far mai, ma lo può fare perché previsto dalla legge: nomina un commissario ad acta , organo a lui
vicino, attingendo da una lista di consulenti : per esempio i prefetti, sia in pensione, in quiescenza, in
attività : che gli danno garanzia di terzietà, definiti la longa manus del giudice → i commissari vanno
materialmente dentro la p.a. rimasta inadempiente e adottano il provvedimento che avrebbe dovuto adottare
la p.a. : fanno loro materialmente l’atto → SINDACATO DÌ MERITO. Il ga attraverso questa longa manus
ripercorre l’attività che avrebbe dovuto compiere la p.a., quindi la fa → Il giudizio di ottemperanza è un
giudizio di mera esecuzione del giudicato? NO. Il commissario ad acta ha natura amministrativa, i suoi atti si
possono impugnare perché quando svolge la sua attività non è di mera esecuzione, è un uomo che ragione
con la sua testa, utilizzando le sue conoscenze giuridiche e le applica : quando si tratta di adottare un nuovo
provvedimento, sia pure in esecuzione del precedente giudicato, c’è un minimo di cognizione sua propria, di
valutazione, dalla mera esecuzione al minimo di cognizione. SUMMA : NEL 1907 NASCE
GIURISDIZIONE DÌ MERITO DEL GA : ATTRAVERSO L’ISTITUZIONE DELLA V SEZIONE DEL
CONSIGLIO DI STATO. Excursus storico per spiegare perché criterio della causa petendi sia sempre il
migliore criterio di riparto di giurisdizione, infatti alla fine ha vinto. Nel 1923, data importantissima per la
storia della giustizia amministrativa, nasce la VI sezione del Consiglio di Stato → c’è un passaggio
importante che segna l’inizio della vera giustizia amministrativa. Prima di questa data il Consiglio di Stato,
quando era l’organo che risolveva i conflitti di attribuzione, aveva utilizzato una distinzione molto
importante : • attività iure imperii; • attività iure privatorum. Ciò non è stato seguito però quando questa
funzione di risoluzione di conflitti di attribuzione prima, di giurisdizione poi, è passata alla Corte di
Cassazione, perché questa adoperò la precedente impostazione : il diritto soggettivo non degradava di fronte
ad un atto, ancorché quest’atto fosse autoritativo /imperativo : tornava in auge l’impostazione propria degli
artt. 4-5 della Legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo : giudice ordinario non può revocare o
annullare l’atto amministrativo, ma non lo poteva proprio conoscere (oggi noi diciamo che il go conosce
l’atto amministrativo incidenter tantum)→ anche il diritto soggettivo più forte (es diritto di proprietà) potesse
essere inciso da un provvedimento amministrativo e continuava a rimanere diritto soggettivo : non degradava
ad interesse legittimo, non si considerava assolutamente il carattere imperativo/ autoritativo dell’atto
amministrativo . Perché ? Perché ciascun giudice, rientrando nel proprio ordine giurisdizionale, cercava di
attrarre a se più controversie possibili : dicendo che il diritto soggettivo rimaneva tale anche di fronte all’atto
amministrativo, erano più le controversie proprie di cognizione del go che del ga → discorso cambia
completamente intorno agli anni 30, in cui succedono due fatti importanti : 1. 1923 : VI sezione del
Consiglio di Stato : attribuita la giurisdizione “esclusiva”. Il giudice amministrativo, che era stato creato
nella IV sezione del Consiglio di stato, con giurisdizione generale di legittimità, cioè una giurisdizione atta a
sindacare l’esercizio del potere : vertente sulla lesione di interessi legittimi. Nel 1923 diventa anche giudice
esclusivo : eccezionalmente, solo per materie espressamente individuate dalla legge, consoce sia la lesione
degli interessi legittimi che dei diritti soggettivi → ga esclusivo nasce nel 1923 per questa finalità : consoce
ECCEZIONALMENTE l’intera controversia, sia che si leda un diritto soggettivo, sia che leda un interesse
legittimo : SPECIALITA’ DEL GA, che è già di per sé un giudice speciale. E’ nato per la materia del
pubblico impiego, che fino al 1998 è stata la materia era la principale del ga in sede esclusiva : perché era
difficoltoso discernere la situazione giuridica di diritto soggettivo rispetto a quella di interesse legittimo,
c’era una commistione intrinseca, una difficoltà di definizione. A volte delle controversie si intrecciavano su
entrambe le situazioni e non era trovabile facilmente la situazione giuridica soggettiva che avrebbe
giustificato il ricorso o al ga o al go. VI SEZIONE DEL CONSIGLIO di STATO : consacrazione della
vittoria del criterio della causa petendi. Il pubblico impiego ha causato tantissime difficoltà : con l’istituzione
del giudice amministrativo esclusivo non lo si è dotato di adeguati poteri cautelari, decisori e istruttori propri
per poter sindacare e garantire un’adeguata tutela anche ai diritti soggettivi → Il giudice amministrativo, sia
pure esclusivo, era sempre lo stesso, usava i mezzi che aveva a disposizione : che ne sapeva degli strumenti
atti a garantire un efficace sindacato a seguito della lesione dei diritti soggettivi? Per molti anni è stato un
giudice “monco” di fronte alla tutela dei diritti soggettivi, però era giudice esclusivo, per forza davanti a lui
bisognava fare il ricorso. Se davanti al giudice esclusivo si doveva sindacare di una lesione di diritto
soggettivo, ga diceva che non era successo niente, quasi a negare la lesione. Esempio 1: dirigente trasferito
da un settore ad un altro con atto amministrativo : ga guardava l’esercizio dell’attività amministrativa, no la
lesione della situazione giudica soggettivo, ma dalla lente dell’atto, si disinteressava della lesione del diritto
soggettivo. Se il dirigente avesse avuto la tutela davanti il go, avrebbe sindacato che effettivamente il diritto
alla retribuzione era stato leso, perché era pagato di meno rispetto a prima, se invece la retribuzione era la
medesima rispondeva che il diritto patrimoniale non ha avuto una decurtazione. Il giudice ordinario non
guardava l’atto amministrativo, perché non aveva la cognizione del giudice amministrativo, ha un altro
bagaglio culturale. Il sindacato del giudice amministrativo invece guardava la minuzia dell’atto. SE
SINDACATO IL DIRITTO SOGGETTIVO : giudice annullava l’atto amministrativo, non garantiva al pari
della tutela al titolare leso nella sua situazione patrimoniale. Esempio 2 :un soggetto pubblico dipendente,
all’interno di un’organizzazione amministrativa riceveva, e riceve anche oggi, atti amministrativi autoritativi,
poteva ricevere anche attività paritetica di tipo privatistico :ga esclusivo poteva conoscere in questa materia
sia lesione di diritti soggettivi, sia di interessi legittimi. E’ intervenuta un’importante sentenza dell’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato del’39 che ha sancito in maniera inequivocabile la differenza tra attività
autoritativa e attività paritetica → li ha definiti : commistione di diritti sacrosanti che sono la prova del diritto
soggettivo(retribuzione , orario per lo studio, ferie, dir sog tout court): c’è una commistione di diritto
soggettivo ed interesse legittimo. Il pubblico dipendente si reca in vacanza dopo aver avuto le ferie dal suo
dirigente, ma mentre sta in vacanza viene richiamato perché scoppia pandemia :c’è ordine di servizio che lo
richiama a lavoro. Chi lo tutela il dipendente? Ga o go? Commistione di situazioni → si è istituito il
GIUDICE AMMINISTRATIVO ESCLUSIVO. Riprende Esempio 1 : il dirigente aveva impugnato l’atto di
trasferimento del Segretario Generale, davanti al giudice del lavoro : che gli ha risposto che non vi è stata
lesione della situazione giuridica soggettiva in quanto la retribuzione è sempre la medesima → non ha la
cognizione del ga, ha un altro bagaglio culturale, viceversa : il dipendente avrebbe avuto più tutela se la
controversia fosse sorta prima del ’98. [Nel 1993 : volume della prof con importante giurisprudenza :
estrapolati dei principi dalla dottrina che sono diventate fonti del diritto → ricordiamo che il diritto
amministrativo nasce dalle ceneri del processo amministrativo : le c.d. fonti culturali del diritto.] 2. 1930 :
oltre alcune cose importanti in tema di riparto, vengono introdotti ad opera della dottrina (Massimo Severo
Giannini) : due principi fondamentali di diritto : • Presunzione di legittimità di tutti gli atti amministrativi :
pieno fascismo : forte concezione del potere pubblico, dell’autorità somma . Si diceva “si presume che l’atto
della pubblica autorità sia legittimo”: deriva dal forte accentramento del potere politico dell’epoca, ha dei
risvolti anche molto attuali se vogliamo.; • Principio della equiparazione della fattispecie invalida alla
fattispecie valida, quanto a produzione di effetti giuridici (IMPORTANTISSIMO) : nel ’30 si è detto che
tutti gli atti amministrativi, non solo quelli legittimi validi, ma anche quelli non conformi nella fattispecie
concreta all’astratta, sono equiparabili : producono effetti tipici (costitutivi, degradativi, imperativi, esecutivi,
esecutori, di autotutela) non solo gli atti senza vizi, ma anche quelli che sono non conformi nella fattispecie
concreta ad astratta → ergo : anche l’atto invalido produce effetto giuridico → principio importantissimo
della dottrina, che si è posto a piene mani nella giurisprudenza. Atto amministrativo che fosse emanato nel
rispetto del principio di attribuzione del potere, ma fosse esercitato scorrettamente per violazione delle regole
dell’esercizio del potere : sono idonei a produrre effetti giuridici → IMPORTANTE CONQUISTA DELLA
GIURISPRUDENZA E DOTTRINA. Ci sono tre gradi di invalidità : A. Invalidità grave/forte (art. 21
septies): emanato in carenza di attribuzione del potere, nullo, inesistente, non ha ragion d’essere, non ha
proprio la parvenza di atto. Invalidità grave coniata come vizio di incompetenza assoluta : difetto di
attribuzione ; B. Qui sindachiamo invece l’ invalidità non grave, cioè invalidità media (annullabilità) (art 21
octies c 1) : di tutti gli atti amministrativi. Hanno in attribuzione il potere ma lo esercitano male. Caso di
illegittimità, annullabilità, invalidità meno grave. ; C. Irrilevanza (art. 21 octies c 2 ) : vizio c’è ma non è
rilevante per l’annullamento → de quotazione dei vizi formali o procedimentali : nonostante il rispetto di
quelle norme formali o procedimentali, il contenuto non sarebbe stato diverso da quello in concreto adottato.
Oppure a fronte di un provvedimento discrezionale : art. 7: mancanza della comunicazione dell’avvio del
procedimento amministrativo; oppure art 10 bis : la mancanza della comunicazione del preavviso di rigetto
(non accoglimento dei motivi ostativi) . In questo principio si fa riferimento alla seconda invalidità (lettera
B) : l’ invalidità non grave : annullabilità del provvedimento. Questo importante principio, coniato nel 1930,
fa si che tutti gli atti amministrativi, o perché sono presuntivamente conformi alla legge o perché si è detto
che anche quelli invalidi producono effetti giuridici, sono conosciuti dal giudice amministrativo nelle tre sedi
giurisdizionali: A. generale di legittimità : la base, lo zoccolo duro di tutt’e tre le giurisdizioni perché in
primis il ga è il giudice della legittimità dell’azione, ancor più oggi che c’è quasi un allineamento delle
giurisdizioni. B. speciale di merito C. speciale esclusiva : Oggi sono sempre meno ridotti gli argini tra questi
tre tipi di giurisdizione : il ga è sempre il giudice degli interessi legittimi . Sono giurisdizioni che si sommano
alla prima, che c’è sempre. Il giudice ha comunque da sempre dei tipici poteri istruttori, cautelari e decisori
correlati al sindacato suo tipico : generale di legittimità. Un sindacato che si incentra sull’atto, non scende nel
rapporto, non può, lo può fare solo nella giurisdizione esclusiva : anche in questa giurisdizione per molti anni
non è sceso nel rapporto, perché non aveva gli adeguati poteri istruttori, cautelari e decisori. Che ci faceva il
giudice amministrativo del potere di annullamento quando era chiamato a conoscere della situazione
controversa per esempio nella materia del pubblico impiego avente ad oggetto la lesione di un diritto
soggettivo? Qui era da dargli al soggetto leso nella sua situazione di diritto un adeguato potere decisorio,
quale? Se io vengo leso nel mio diritto soggettivo, vengo richiamato dalle ferie? Io pretendo di essere
risarcito. Lo aveva il potere di risarcimento il giudice amministrativo? Ha dovuto aspettare il 1999 e la
giurisdizione esclusiva nel 1998. Un anno prima. Per tanti anni abbiamo avuto questa giurisprudenza
granitica che considerava irrisarcibili le situazioni giuridiche di interesse legittimo e il giudice
amministrativo anche a fronte della lesione di diritti soggettivi non aveva il potere, non lo sapeva utilizzare
anche se noi abbiamo spiegato nel ’93 questo volume delle fonti giurisprudenziali in cui siamo andati a
vedere la giurisprudenza che aveva tentato un’apertura per attribuire al giudice amministrativo un po’ di
strumenti consoni a garantire al soggetto leso nella sua situazione di diritto soggettivo, un’adeguata e più
consona approfondita tutela. Quando abbiamo fatto questo libricino e abbiamo individuato le sentenze che
attribuivano al giudice amministrativo i poteri più consoni nelle materie espressamente attribuite a lui dalla
legge in sede di giurisdizione esclusiva, poteri più adeguati a conoscere la lesione di diritti soggettivi,
abbiamo preso tre importantissime sentenze sui poteri cautelari, una sentenza della Corte Costituzionale del
1985; pensate dal ’23 si è aspettato il 1985 perché la Corte Costituzionale ha dato al giudice amministrativo,
in sede esclusiva, un potere istruttorio più forte di quello suo tipico. E lo studieremo quello suo tipico per
tanti anni, era la sospensione del provvedimento impugnato. Ma cosa ci faceva il titolare di un diritto
soggettivo della sospensione che, come misura cautelare, era collegata all’annullamento, strumentalmente
era collegata all’annullamento? Si faceva un baffo. Quello voleva qualcosa di forte e qual era il potere
cautelare correlato del giudice ordinario? Quello che avete studiato su procedura civile, importante che fa in
modo che si blocchi tutto? Art. 700 c.p.c. Ma soltanto nel 1985 si è dato al giudice amministrativo in sede
esclusiva questo importante potere. Lui non lo ha quasi mai adoperato, era poco avvezzo. I poteri istruttori,
ve lo anticipo come discorso per farvi vedere come si collegano tutti i discorsi, ancora non sapete niente del
processo, però vedete nella storia trovate tutte le tappe di questa evoluzione. Quali sono i poteri istruttori
tipici, quelli che gli sono stati attribuiti dalla sua nascita, ovvero dal 1889 al G.A.? Poteri istruttori correlati
al tipo di azione, quella della conoscenza della legittimità dell’atto. E allora vi posso dire che i poteri
istruttori correlati a questa indagine di sindacato estrinseco che fa il giudice amministrativo sull’attività sono
i 3 tipici: schiarimenti, verificazioni e richiesta di documenti. Sono poteri istruttori che non vi sembrano un
po’ strani? Il giudice amministrativo per conoscere meglio di cosa si sta parlando utilizzava questi tre poteri
istruttori, a chi si sta rivolgendo in particolare? Tutti e 2 i termini del rapporto? P.A. e privato o uno solo?
Solo alla P.A. a chi andava a chiedere gli schiarimenti? Al privato? A chi va a chiedere i documenti, al
privato? A chi va a chiedere le verificazioni, al privato? È chiaro che è un tipo di attività istruttoria,
documentale che il giudice utilizza, avendo come oggetto l’atto amministrativo e verificazioni, indagini
ulteriori non possono essere richieste ad entrambe le parti in posizione di parità, ma solo alla P.A. che
detiene il potere per avere contezza della vicenda nella sua interezza, il privato tutte le cartucce che aveva da
sparare le ha sparate, le ha portate in giudizio, non si può chiedere al privato altri documenti; il privato dice
rivolgiti alla P.A., mica sono detentore di documenti, la P.A. si. Ma che ci faceva il giudice amministrativo di
questi poteri istruttori “leggeri” allorché il privato fosse leso nella sua situazione di diritto soggettivo nelle
materie sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva? Nulla. E allora ecco che, prima che ci fosse la rivoluzione
del processo amministrativo nel 2000, siamo alla rivoluzione del processo amministrativo con la legge n. 205
del 2000,prima di questa data una Corte Costituzionale molto importante, 23 Aprile 1987, pensate dal ’23
all’87, più di 60 anni, ha scritto “nelle controversie attinenti ai diritti soggettivi, in materia di pubblico
impiego, il giudice amministrativo può esperire i mezzi probatori previsti dal codice di procedura civile per il
processo del lavoro e cioè: la prova testimoniale, l’interrogatoria libera e la consulenza tecnica. Potere che il
giudice amministrativo non ha utilizzato tanto perché non era avvezzo. La prova testimoniale,
l’interrogatorio libero, quasi mai; la consulenza tecnica si. Oggi il giudice amministrativo la utilizza tanto a
fronte di quale situazione? Quando oggi il giudice amministrativo si avvale dei consulenti tecnici di ufficio?
Per sindacare cosa? LA Discrezionalità TECNICA. Perché cos’è la discrezionalità tecnica? non è l’esercizio
di un potere di scelta propriamente detto, è un giudizio che opera la P.A. (andate a rispolverare questo
argomento della discrezionalità tecnica di diritto amministrativo I). Questo giudizio che effettua la pubblica
amministrazione, ma come adesso è importante la discrezionalità tecnica. Cos’ è il CTS? Comitato tecnico-
scientifico. Questo è proprio l’utilizzo a pieno della discrezionalità tecnica, è la prova provata che oggi noi,
per addivenire ad una scelta, chiudere o non chiudere, lockdown totale o parziale, una scelta che sta facendo
questo governo. Mai più come adesso si vede questo potere discrezionale sommo, per arrivare ad una scelta
la P.A. intesa in senso non solo gestionale, ma di indirizzo politico, di scelta vera e propria, deve utilizzare
dei saperi scientifici che non ha. Conte non ha il sapere scientifico della medicina, della scienza economica,
della scienza tecnica, di tutte le scienze. Allora ha creato questo comitato tecnico-scientifico che dà il suo
sapere scientifico e da un giudizio che Conte e tutte le pubbliche amministrazioni, anche le nostre
amministrazioni pugliesi, stanno applicando per addivenire ad una scelta. E posto che i DPCM non sono
sindacabili perché sono atti amministrativi per i quali l’unico sindacato che c’è è del giudice amministrativo.
Il giudice amministrativo l’unico aspetto che potrebbe sindacare è l’applicazione errata di queste scienze
esatte avvalendosi di altri consulenti tecnici. Il giudice amministrativo poi non lo fa. Oppure lo fa in parte.
Ora c’è stato un altro ricorso al TAR che ha stabilito l’illegittimità dell’ordinanza del Trentino che ha
permesso l’apertura dei ristornati fino alle 22. C’è stato un ricorso al TAR perché appunto il comitato
tecnico-scientifico è un armamentario di cui si avvale la pubblica amministrazione, P.A. intesa bin senso
lato, governo e P.A. tecnica perché noi siamo governati da un sistema di governo nel senso di scelta politica,
ma la scelta politica viene poi attuata attraverso la gestione amministrativa, dai dirigenti, dallo staff delle
nostre amministrazioni che recepiscono, creano tanti indirizzi più precisi, più stringenti, più circoscritti in
base ai vari livelli di governo. Anche noi stiamo aspettando Manfredi (presidente della regione Abbruzzo)
che ci dia una scelta politica, ma Manfredi si avvarrà di un comitato tecnico-scientifico per arrivare ad una
scelta. La scelta è il momento proprio del merito insindacabile, non si può mettere becco nella scelta vera e
propria. Ma nell’applicazione di giudizio, l’applicazione di questa discrezionalità tecnica può essere
sindacata attraverso la consulenza tecnica. Quindi andate a rispolvera la discrezionalità tecnica con questa
applicazione di un giudizio per la risoluzione di una situazione che porta all’adozione di una scelta da parte
della P.A. attraverso l’applicazione di scienze quasi non opinabili, oppure marginalmente opinabili. Perché la
scienza medica dovrebbe essere a priori una scienza esatta, si è visto con evidenza perché c’è questo virus
che è uscito come un coniglio dal cilindro. Quindi la medicina, che comunque dovrebbe essere una scienza
esatta, ha dei margini di opinabilità oggi sempre più forti; in quella opinabilità c’è la possibilità di un
sindacato e si dice “ma è giusto fare un lockdown totale se l’applicazione di questa scienza esatta o non
esatta al 100%, ha palesato che c’ è un margine di opinabilità che potrebbe indurre la P.A. a fare A piuttosto
che B?” quello potrebbe essere il sindacato, in questo momento, quel minimo di incertezza , data dalle
scienze esatte quale la medicina in primis, l’ingegneria, la matematica, l’architettura. Quando è crollato il
Ponte di Genova, qui c’è stato il giudice amministrativo che ha nominato anche uno staff di consulenti
tecnici che ripercorressero le applicazioni di giudizio, di scienze esatte adoperate dalla pubblica
amministrazione che ha fatto costruire quel ponte per vedere come la pubblica amministrazione ha acquisito
le conoscenze delle scienze esatte, in quel caso l’ingegneria, nella assunzione di decisioni. Pensate nel 1987
la Corte Costituzionale ha attribuito al giudice amministrativo in sede esclusiva, allorché fosse chiamato a
sindacare sui diritti soggettivi in materia di pubblico impiego, l’utilizzo di tutti i poteri istruttori che avete
c0onosciuto nell’ambito della procedura civile: interrogatorio libero, prova testimoniale e consulenza
tecnica. Vi posso garantire che questo noi lo abbiamo scritto nel ’93 ed è sembrato strano; oggi non è strano,
oggi il giudice amministrativo lo fa questo. Pensate al potere di condanna; quando siamo andate a spulciare
una miriade di sentenze che sono diventate quelle più importanti. Ne abbiamo lette una miriade e qui ne
abbiamo riportate poche, quelle da cui abbiamo tratto i principi di diritto che per noi sono diventate vere e
proprie fonti giurisprudenziali. Infatti questo codice si chiama CODICE DELLE FONTI
GIURISPRUDENZIALI. LA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO
NELL’AMBITO DEL PUBBLICO IMPIEGO. Abbiamo studiato tutte le sentenze che nella loro sostanza
davano una definizione in ordine ad alcuni argomenti messi in ordine alfabetico, dalla A alla Z. E quando
alla lettera P ci sono i poteri cautelari di condanna istruttori, abbiamo preso le sentenze che hanno dato
questa occasione, questa ottima opportunità al giudice amministrativo esclusivi per colmare quel vulnus di
tutela, di mezzi adeguati a garantire anche al giudice amministrativo esclusivo di essere un po’ più simile al
giudice ordinario. Il giudice non ne ha fatto tanto uso e nel potere di condanna sentite cosa ha rilevato da un
TAR Toscana del 1978: “ il giudice amministrativo nelle controversie concernenti le materie affidate alla sua
giurisdizione esclusiva dispone (ora vi può sembrare una cosa ridicola perché ovvia, ma nel ’93 non è ovvia
– prima del passaggio dal G.A. esclusivo al giudice del lavoro quale giudice del pubblico impiego, dopo 5
anni c’è stata questa devoluzione) del potere di condannare le pubbliche amministrazioni al pagamento delle
somme di denaro di cui risulta debitrice nei confronti del privato”. Cioè il giudice amministrativo che poteva
nel 1978, o nel ’93 quando abbiamo scritto questo libro, il giudice amministrativo nelle controversie
concernenti le materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone del potere di condannare la P.A. al
pagamento delle somme di denaro di cui risulta debitrice nei confronti del privato; e che ne sapeva lui di
come quantificare la somma? Lui che era avvezzo a guardare il potere. Vi posso dire che non ne ha mai
utilizzato il giudice amministrativo. Ce l’aveva questo potere riconosciuto anche da una giurisprudenza
spuria come quella di un TAR, più corposa come quella del Giudice delle Leggi, ma non l’ha mai utilizzata,
ha avuto sempre una sorta di ritrosia, di reticenza. Dopo qualche anno abbiamo la rivoluzione copernicana, la
sentenza n. 500 del ’99, la legge n.205 del 2000 e quindi il Codice del Processo Amministrativo oggi che gli
dà molto, eppure lui non lo utilizza ancora in maniera piena. LEZIONE 6 Vi dicevo che le lontano 1923 è
stata istituita la VI sez. del Consiglio di Stato alla quale è stata attribuita la natura giurisdizionale e
soprattutto è stata attribuita la giurisdizione esclusiva ovvero la conoscenza in determinate materie
espressamente previste dalla legge, il sindacato pieno ed esclusivo, interamente devoluto. La giurisdizione
esclusiva che poi ha avuto tante sentenze di riempimento del contenuto posto che il giudice amministrativo è
stato istituito come tale, ma non gli sono stati attribuiti, come dicevo prima, adeguati poteri cautelari,
istruttori, decisori e quindi si è trovato, si è evidenziato un vero e proprio vulnus di tutela giurisdizionale
allorché quel giudice sindacasse, nelle materie a lui sottoposte a giurisdizione esclusiva, nelle controversie
aventi ad oggetto diritti soggettivi. Il problema c’è stato perché da subito la giurisprudenza che ha riempito
volutamente questi vuoti lasciati dal legislatore, questa volta non è stato fatto in maniera voluta, ci ai è resi
conto che il giudice amministrativo non poteva avere una cognizione piena del rapporto perché non era un
giudice formato a sindacare un rapporto giuridico – amministrativo in senso paritetico e questa difficoltà che
questo giudice aveva la si è riscontrata allorché ci sono state delle sentenze importanti definite col nome del
loro estensore (chi è l’estensore? Quando c’è un collegio che giudica in ordine ad una controversia, questo
collegio è formato da un presidente e da 2 giudici che si chiamano a datele. Uno dei 2 giudici si chiama
giudice estensore perché è quello che proprio redige la sentenza, l’estensore come chi estende la sentenza, se
la studia perché non è che tutto il collegio studia nella sua interezza piena la controversia, vengono ripartite
queste controversie e poi c’è un giudice che redige la sentenza, che la istruisce, che la approfondisce e la
condivide e poi, alla fine con gli altri colleghi, la estende proprio. Quindi il giudice estensore è colui che
redige manualmente la sentenza, la approfondisce come stesura formale). E queste sentenze in tema di
giurisdizione esclusiva, le primordiali che hanno dato un contenuto soprattutto ad individuare l’attività
cosiddetta autoritativa, imperativa nella quale il giudice amministrativo continuava ad essere giudice a tutti
gli effetti con la sua giurisdizione generale di legittimità, distinguendola dall’attività paritetica. Quindi queste
sentenze si ricordano dal nome del loro estensore, sono definite sentenze Fagiolari perché il giudice si
chiamava Fagiolari. Le sentenze di riferimento sono quelle del Consiglio di Stato sez. V 1 Dicembre 1939n.
795. Da queste sentenze che ora vi dico nella loro nozione di diritto, nella loro essenza precipua, nella loro
sinteticità che noi abbiamo riassunto e abbiamo indicato per ciascuna sentenza un principio che è diventato
un principio di diritto e dunque un principio avente fonte giurisprudenziale. Questa sentenza Fagiolari che ha
individuato la distinzione tra attività paritetica ed attività autoritativa, a queste sentenze sono conseguite tante
sentenze che hanno esplicitato ancor più il contenuto di questa duplice attività che pone in essere la pubblica
amministrazione: da un lato imperativa, autoritativa, dall’altro consensuale, paritetica, indicando per ogni
tipo di azione una sequenza di atti autoritativi o paritetici cosicché di fronte a quelle tipologie di atti
autoritativi il giudice amministrativo si sentiva più tranquillo, più sicuro e continuava ad esercitare la sua
giurisdizione ancorché esclusiva, utilizzando i suoi poteri consoni e abituali per i quali era tranquillo, era
avvezzo. L’altra attività paritetica, con una serie tipologica di atti che la giurisprudenza successiva ha
individuato e noi l’abbiamo studiata ed evidenziata, catalogata come norma, invece ha individuato degli atti
che erano sempre attribuiti alla sua giurisdizione esclusiva, ma di fronte ai quali il giudice era un po’
distaccato, un po’ non incidente in maniera piena perché non era avvezzo ad utilizzare, evidenziava un
atteggiamento di ritrosia. Allora qual è la definizione somma che la sentenza Fagiolari ha individuato? Ci
serve questo discorso perché vedrete come ci risulterà utile per il proseguo e vi porterò a vedere come tutto
cambia dopo un pò. Questa sentenza Fagiolari, 1 Dicembre 1939 n 795 sez. V del Consiglio di Stato,
definiva in maniera generale e generica quali fossero gli atti autoritativi e diceva che gli atti autoritativi sono
manifestazioni unilaterali e potestative della volontà dell’amministrazione aventi forza esecutiva. Qui c’ è il
cuore dell’attività autoritativa, manifestazioni unilaterali (unilateralità), potestative (potere sommo) della
volontà dell’amministrazione (secondo la concezione pandettistica dell’autorità amministrativa, dell’atto
amministrativo) aventi forza esecutiva. Di converso diceva la stessa sentenza che gli atti paritetici sono
DICHIARAZIONI DELLA P.A. equiparabili alle dichiarazioni unilaterali di parte in un rapporto tra privati;
in essi sono da ricomprendere anche le manifestazioni tacite o desunte da fatti negativi dell’amministrazione
lesive del diritto o dell’interesse ricorrente. Dichiarazioni e manifestazioni di potere autoritativo, vedete la
differenza abissale. E tutta la giurisprudenza successiva è stata atta a dare un contenuto ancora più stringente,
ancora più specifico a questa nozione generale posta dalla sentenza Fagiolari e proprio in materia di pubblico
impiego, sentenze successive dell’82, del del ’72, hanno dato una nozione dei tipi di atti autoritativi. “Gli atti
di nomina dispongono l’immissione di pubblici impiegati nell’apparato organizzativo della P.A.”. Gli atti di
nomina sono tipici atti autoritativi. “Gli atti che qualificano il rapporto hanno carattere generale o particolare
e mediante essi viene definita l’attività svolta dal privato incardinato nell’apparato amministrativo”. Vedete
l’atto in cui il privato viene messo come organo nell’apparato, viene incardinato nell’apparato organizzativo
della P.A. Nozione di organo, quindi vedete come potete collegare anche il discorso sulla organizzazione, la
differenza di organo, ufficium, munus. “nozione di atti autoritativi sono anche gli atti che stabiliscono il
trattamento economico che determinano la retribuzione spettante al pubblico dipendente”, cioè gli atti che
stabiliscono il trattamento economico e che determinano dopo la retribuzione che invece al momento è del
tutto paritetica. Quindi vedete gli atti iure imperi sono quegli atti che derivano, sono manifestazioni di fronte
alle quali il pubblico impiegato riceve un esercizio, sconta una posizione di sottomissione di fronte alla loro
supremazia: gli atti di nomina, gli atti di incardinazione all’interno di un apparato amministrativo e gli atti
che determinano quanto lui spetta come trattamento economico che gli dà diritto ad una retribuzione che la
Carta Costituzionale dice che deve essere equa. Di converso in materia di pubblico impiego, i tipi di atti
paritetici sono quelli che attengono in via diretta o indiretta all’adempimento delle obbligazioni riguardanti il
rapporto di servizio. Qui c’è tutta una storia da fare, ma voi la conoscete perché avete fatto anche di diritto
del lavoro e quindi sapete bene la differenza tra rapporto di ufficio che consiste nell’insieme delle prestazioni
lavorative che derivano dall’atto di investitura di un pubblico impiegato all’interno di una pubblica
amministrazione e che rappresentano l’insieme delle funzioni che appunto deve questo pubblico impiegato
adempiere, eseguire in base al ruolo da lui ricoperto; invece il rapporto di servizio è un rapporto relativo alla
situazione giuridica sua specifica che ricopre e che rappresenta la base del rapporto di ufficio. Che vuol dire?
Che mentre il rapporto di ufficio è il rapporto di servizio più alto che il pubblico dipendente esercita, esercita
in maniera concreta e che può derivare da un atto di investitura da parte della P.A., dell’organo di governo
anche ad un’altra investitura che può richiedere anche lo svolgimento di mansioni ulteriori rispetto a quelle
che rappresentano il suo rapporto di servizio; il rapporto di servizio è quello che il dipendente deve svolgere
limitatamente a quanto è richiesto dall’atto di investitura, non ha un’aggiunta in più rispetto ad un atto di
investitura che può derivare da un atto unilaterale. Ad esempio un pubblico impiegato ha un insieme di
mansioni che derivano dal fatto che egli vince un concorso e quindi viene chiamato a svolgere un insieme di
prestazioni lavorative correlate al posto che lui ricopre e per il quale ha vinto questo pubblico concorso
(questo è il rapporto di servizio ); il rapporto d’ufficio è invece quello che a lui viene richiesto attraverso un
atto di investitura che può chiedere alla sua persona anche delle attività aggiuntive per le quali lui è stato ad
hoc incaricato attraverso un atto amministrativo unilaterale ( pensiamo ad un pubblico dipendente che viene
messo a dirigere una struttura per un periodo di tempo in carenza magari di un dirigente o di una persona
titolata a ricoprire quel posto e quindi viene chiamato un dipendente pubblico che per esempio ha dei titoli di
studio necessari per coprire a tempo quella struttura e quindi ha un atto di investitura per lo svolgimento di
mansioni aggiuntive e quindi quello è il rapporto di pubblico ufficio che ha alla base un rapporto di servizio
più altro che gli deriva da un atto di investitura). Qual è la distinzione principale che ha introdotto questa
sentenza Fagiolari? Il fatto che ad istinto questa sentenza, già dalla sua primigenia formulazione, i termini
per impugnare gli atti autoritativi o paritetici; infatti si legge proprio dalla sentenza Fagiolari la
differenziazione quanto a proposizione delle azioni dinanzi agli uni o agli altri. Si legge in questa sentenza: “
I ricorsi contro gli atti autoritativi rientrano nella regola generale dell’impugnativa di un atto amministrativo
e sono pertanto proponibili entro il termine di decadenza; i ricorsi contro gli atti paritetici adottati dalla P.A.
costituiscono un’eccezione alla regola generale e pertanto sono esperibili entro il termine di prescrizione”.
Quindi pensate già dal ’39 noi avevamo un giudice appena istituito, dal ’39 al ’23 sono passati pochi anni;
addirittura poi questa legge, questo regio decreto è confluito nel testo unico del ’24, quindi da poco istituito
in quanto sono passati 15 anni e già questo giudice appena istituito, gli si è palesata questa diversità di
impugnativa, lui che è il giudice avvezzo a conoscere solo ed esclusivamente l’atto amministrativo entro
termini veloci decadenziali perché 60 giorni dei termini veloci, era chiamato invece a conoscere di ricorsi
che potevano essere esperiti entro termini lunghi prescrizionali, non avendo adeguati poteri cautelari,
istruttori, cognitorie poi decisori. Quindi vedete in questo excursus storico arriviamo a tre forme di
giurisdizione amministrativa che ci fanno comprendere come il giudice già dal suo esordio è stato chiamato a
garantire una pari dignità giurisdizionale anche a fronte di atti che esorbitavano dalla sua conoscenza
naturale, cioè gli atti che non fossero espressione di un potere unilaterale, ma fossero espressione di una
manifestazione paritetica, di un comportamento paritetico della P.A. Ma la singolarità si è ancora di più
manifestata all’indomani della Costituzione, quando la Costituzione agli art. 24, ma soprattutto all’art. 103,
ma poi anche all’art.113, recepiscono il criterio di riparto di giurisdizioni ovvero il criterio della CAUSA
PETENDI che viene appunto costituzionalizzato perché ricordate cosa dice l’art. 103? “Il Consiglio di Stato
e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela della P.A. degli interessi
legittimi e in particolari materie indicate dalla legge anche dei diritti soggettivi”. L’art. 24: “Tutti possono
agire in giudizio dinanzi agli organi di giustizia amministrativa o di giurisdizione ordinaria per la tutela di
interessi legittimi o dei diritti soggettivi”, cioè la Costituzione istituzionalizza il criterio di riparto fondato
sulla causa petendi. L’art. 103 istituzionalizza il principio che il giudice amministrativo è il giudice degli
interessi legittimi, è il giudice chiamato ad esercitare la giurisdizione generale di legittimità e dice la norma:
“in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”. Vedete l’ancillarità, l’eccezionalità,
la peculiarità, la specialità somma della giurisdizione esclusiva era in un secondo piano la giurisdizione
esclusiva, oggi dovrebbe essere considerata, nel rispetto del dettato costituzionale, la giurisdizione residuale
del giudice amministrativo, quella di merito ancora più residuale, ma facendo una scala gerarchica, al primo
posto ci deve essere il giudice amministrativo generale di legittimità sempre, al secondo posto in maniera
speciale, eccezionale la giurisdizione esclusiva per il rispetto pedissequo dell’art. 103, Consiglio di Stato e
gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizioni per la tutela nei confronti della P.A. di
interessi legittimi, questo era l’incipit e in particolare la tutela affidata dalla legge anche dei diritti soggettivi.
Vedete la residualità, l’eccezionalità di questa giurisdizione speciale che non è avvezza al giudice
amministrativo. E allora cosa è successo? È successa una cosa straordinaria, è successo che si andava sempre
di più colmando questo vuoto di mezzi, di strumenti, di poteri che il giudice amministrativo potesse avere,
potesse esercitare nella parte residuale, nella parte ancillare, nella parte eccezionale della sua giurisdizione
cosiddetta esclusiva perché non si poteva permettere che il privato avesse una diminuzione si tutela
importante allorchè adisse il giudice amministrativo per chiedere tutela della sua situazione di diritto
soggettivo nella materia a lui attribuita in sede di giurisdizione esclusiva. Era evidente un vulnus di tutela
perché il giudice si comportava come se stesse giudicando in materia di interessi ma che se ne faceva il
privato se era leso nella sua situazione di diritto? E quei poteri cautelari, istruttori, decisori, cognitori non
erano propri della sua storia, della sua formazione, non erano suoi propri e li ha dovuti attingere dal codice di
procedura civile e stiamo parlando del secondo secolo scorso e lui non era avvezzo ad utilizzare questi
poteri, non guardate adesso, però questa cosa vi deve far capire come ci si arriva per steps alle cose
importanti attuali ed allora vedete voi state vedendo con mano come i suoi poteri cautelari, ed era la
sospensione dell’efficacia di un provvedimento amministrativo che impugnava il ricorrente, era una misura
cautelare prodromica alla sentenza definitiva che poteva dare costitutiva di annullamento quindi cos’era
prodromico all’annullamento? La sospensione, ma se colui che chiedeva la tutela del suo diritto soggettivo
che se ne faceva dell’annullamento e ancor più della sospensione, lui voleva risarcimento, ma il giudice
amministrativo in sede esclusiva non glielo poteva garantire e il potere cautelare del risarcimento
sicuramente non era la sospensione. Di fronte ad un potere istruttorio che se ne faceva dello schiarimento
colui che era leso in un diritto soggettivo, che se ne faceva di una verifica costui, voleva un’audizione delle
parti, voleva un teste, un interrogatorio, voleva una consulenza e non lo aveva il giudice amministrativo in
questo caso, quindi si stava creando che una giurisdizione esclusiva si stava riempiendo quanto a materie
perché pensiamo alla legge 241 del ’90 in materie di accordi si era creato il giudice amministrativo escluso,
in materia di accesso agli atti amministrativi c’era il giudice amministrativo esclusivo quindi sono tutti diritti
di cui si lamentava a volte la lesione. Il diritto di accesso è un diritto soggettivo, l’accordo alla base si io
stipulo un accordo con un privato ma perché devo essere titolare di un interesse legittimo se stipulo un
accordo? Devo avere una situazione di diritto che mi lega all’altra parte dell’accordo anche se è una P.A. Il
pubblico impiega era quasi tutto diritto tra un po’, a parte gli atti di nomina, a parte gli atti di incardinazione,
ma le obbligazioni, i diritti (alle ferie, alla retribuzione, allo studio, ai permessi) sono tutti diritti quelli che
vanta il pubblico dipendente e cosa ci faceva il pubblico dipendente con il potere dello schiarimento. E allora
vediamo che più crescevano le materie di giurisdizione esclusiva, più si avvertiva questa mancanza di tutela
giurisdizionale quanto a strumenti propri del G.A. e paradossalmente arriviamo ad una data storica, la data
del 1998, ora in maniera molto stringata, con il d.lgs. n. 80 del 1998 che avete conosciuto per quanto
riguarda il pubblico impiego. Paradossalmente si stava verificando il caso che aumentavano le materie di
giurisdizione esclusiva, forse anche in maniera difforme al dettato costituzionale che sanciva e sancisce il
fatto che il giudice amministrativo è il giudice degli interessi e solo in maniera eccezionale anche il giudice
dei diritti in alcune particolari e limitate materie , invece vuoi tutte le materie che sono cresciute negli ultimi
anni e sono state attribuite alla sua giurisdizione esclusiva, vuoi il d.lgs. n. 80 del ’98 che ha tolto la materia
del pubblico impiego al giudice amministrativo esclusivo, ma gli ha attribuito 3 importantissime materie,
vastissime materie: edilizia, urbanistica e servizi pubblici. Soprattutto poi per quest’ultimo aspetto che gli
sono stati attribuiti di recente al giudice amministrativo 3 vastissime materie che tutte 3 rappresentano quasi
la totalità del contenzioso amministrativo ad oggi: edilizia, urbanistica e servizi pubblici. Cosa ci rimane?
Quasi niente. Quindi vuoi per questo aspetto, vuoi per quest’altro aspetto ancora di più, si è sentito il bisogno
di intervenire, di intervenire e riportare tutto in maniera conforme alla Costituzione, di dire “un attimo non è
possibile che il giudice amministrativo esclusivo stia diventando quanto a numero, blocchi di materia il
giudice forse più importante del giudice generale di legittimità, il giudice che ha più contenzioso
amministrativo del giudice generale di legittimità”. Stava diventando la giurisdizione esclusiva la
giurisdizione generale e la giurisdizione generale, per converso, stava diventando quella residuale, quindi in
palese violazione del dettato costituzionale. Dunque questa devoluzione somma di materie, di blocchi di
materie importanti che tutte queste materie forse rappresentavano la stragrande maggioranza del contenzioso
amministrativo esclusivo stava in palese contratto con la norma costituzionale di cui all’art. 24, 103, 113 e
allora, come leggerete sul mio libro, o nella parte finale del primo capitolo di Scoca, ad un certo punto
interviene il Giudice delle Leggi e con un’importante sentenza, la 204 del 2004 che poi sarà trattata da chi
farà il seminario anche sulla giurisdizione esclusiva se si farà, ha ristabilito la conformità al dettato
costituzionale di questa giurisdizione esclusiva. Ha ribadito in maniera inequivocabile che il giudice
amministrativo è il giudice generale di legittimità, cioè laddove ha in attribuzione le materie attribuitegli
dalla legge in via esclusiva, egli è comunque il giudice generale di legittimità che utilizzerà i suoi propri e
consoni poteri cautelari, istruttori e decisori in maniera chiara allorchè le controversie vertano sulla lesione di
interessi legittimi propriamente detti, non ci siano commistioni tra diritti ed interessi. Quindi laddove c’è una
controversia che riguarda per esempio un’attività amministrativa, un esproprio in termini chiari ed
inequivocabili, espressione del potere autoritativo della P.A., si verte dinanzi al G.A. in sede esclusiva, ma
lui utilizzerà i suoi strumenti propri perché non c’è commistione tra diritti ed interessi legittimi, ci saranno
solo interessi legittimi, quindi garantisce in maniera chiara ed inequivocabile tutto il massimo di tutela che
può esperire perché si tratta di una situazione tranquilla di lesione di interessi legittimi. Invece laddove la
materia sia attribuita alla sua giurisdizione esclusiva, ma ci sia una controversia in questa materia in cui c’è
una commistione di situazioni giuridiche soggettive di diritto e interesse, cioè ci sia un esercizio di potere
che però risenta anche di un comportamento della P.A. comunque incidente sull’esercizio di un potere, ci sia
una commistione tra interessi legittimi e diritti soggettivi perché ci sia un’attività amministrativa,
autoritativa, ma ci sia anche un connubio di attività paritetica che si lega. Questa sentenza parla appunto di
un messo indissolubile tra le due situazioni, pariteticità ed autoritatività. Pensiamo ad una concessione su un
bene demaniale che comprende anche il pagamento di un canone di concessione su quell’attività richiamata,
che si discute sul pagamento del canone di concessione e viene richiamata l’attività amministrati autoritativa
posta in essere dalla P.A.; quindi c’è un connubio tra diritto ed interesse anche mediatamente rientra l’attività
autoritativa che incide sul diritto patrimoniale che rappresenta l’oggetto del giudizio, ma c’è un richiamo
diretto ad un esercizio di potere autoritativo. Lo pensiamo in materia edilizia, sull’urbanistica, lo pensiamo
sui servizi pubblici che ne sono tanti. C’è un’attività autoritativa anche indiretta che incide su un
comportamento della stessa P.A. difronte al quale comportamento c’è una situazione di diritto. Vedete c’è un
nesso, non una scissione ed allora in quel caso si va dal giudice amministrativo esclusivo il quale oggi, alla
luce di tante cose che diremo, è dotato anche di adeguati poteri cautelari, istruttori e decisori più forti, più
incisivi, più forse a garanzia vera anche delle situazioni di diritto soggettivo, ma viceversa questa è la novità
della sentenza n.204 del 2004 :”allorchè in una data materia attribuita alla giurisdizione esclusiva del G.A. si
discuta in ordine ad un mero comportamento della P.A. e non c’è il richiamo in nessun modo all’esercizio di
un potere autoritativo, neanche mediato (quindi abbiamo soltanto una dichiarazione, un comportamento della
P.A.), ancorchè il comportamento o la dichiarazione riguardino la materia attribuita alla giurisdizione
esclusiva del G.A., non si va dal G.A. ma dal G.O.” Vedete è stata espunta una fetta di contenzioso dalla
materia attribuita al G.A. esclusivo, allorchè quella fetta di contenzioso riguardi un mero comportamento,
una mera attività paritetica, una mera dichiarazione da parte della P.A., di fronte un’attività di diritto privato.
Di fronte a quella attività (comportamento, dichiarazione) non si può configurare in nessun modo la
situazione di interesse, ma di diritto soggettivo ergo, seppure è la materia dei servizi pubblici,
dell’urbanistica, dell’edilizia, degli accordi, dell’accesso, delle concessioni su beni demaniali, passaporti
ecc… non si va dal G.A. esclusivo, si va dal G.O. e quindi ritorna nel suo valore pregnante il disposto
costituzionale. Nella norma il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno
giurisdizione per la tutela nei confronti della P.A. degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate
dalla legge, anche (quel anche vuol dire che ci deve essere il diritto e l’interesse; se c’è soltanto il diritto non
c’è giurisdizione amministrativa anche se la materia è attribuita al G.A. esclusivo). Ragazzi dove lo troviamo
tutto questo che vi ho detto? Non soltanto nella mera sentenza del Giudice delle Leggi 204 del 2004,
ancorchè reiterata da una stessa pronuncia del Giudice delle Leggi 191 del 2006; di questa giurisprudenza
costituzionale il legislatore ne ha fatto tesoro inevitabilmente perché quando c’è un’espunzione di una parte
di un d.lgs. ad opera della Corte Costituzionale poi il legislatore ne fa tesoro, non può rimanere un intervento
così incisivo del giudice delle leggi senza una conseguenza, deve essere recepita questa pronuncia importante
della Corte Costituzionale che ha espunto dal d.lgs. n. 80 del ’98 la parte in cui devolveva in maniera così
ampia, se vogliamo troppo allargata, la giurisdizione esclusiva sull’intera materia, senza definire l’ambito
della materia, il segmento della materia in cui non si rilevava alcuna attività autoritativa della P.A. diretta o
indiretta che fosse. E allora dove è stato messo tutto questo che vi ho detto oggi dal legislatore? All’interno
del Codice del Processo Amministrativo che non fa altro che recepire tutto questo che vi ho detto in questa
carrellata storica e se voi leggete l’art. 7 del c.p.a, d.lgs. n.104 del 2010, vedete come tutto quello che vi ho
detto è contenuto in maniera sintetica nel primo comma dell’art. 7 c.p.a. Un secolo e mezzo di storia tutto
concentrato in un comma, poi i commi successivi vi spiegano ancor più quello che vi ho detto, che
rappresentano quasi un secolo e mezzo di storia di giustizia amministrativa. Noi siamo giovani come
giustizia amministrativa, non siamo antichi come la giustizia civile e siamo anche giovani perché siamo
capaci di fare un codice del genere che in 4/5 righe riassume un lungo periodo di storia. Leggiamo cosa dice
l’art.7:” Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione di
interesse legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi”. Ma questi diritti
soggettivi che rilevano in queste controversie “concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere
amministrativo riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente
all’esercizio di tale potere posti in essere dalle P.A.”. Ma qui stiamo parlando della giurisdizione
amministrativa. Se invece si tratta di diritti che non sono riconducibili anche mediatamente all’esercizio di
un potere, non c’è giurisdizione che tenga, non c’è sicuramente quella generale, ma non c’è neanche quella
esclusiva perché quella esclusiva la si ricava dal secondo inciso : “le controversie nelle quali si faccia
questione di interessi legittimi (e quella generale di legittimità) e nelle particolari materie indicate dalla legge
(quindi stiamo parlando di giurisdizione esclusiva) di diritti soggettivi (ma questi diritti soggettivi, vedete)
concernenti l’esercizio o il mancato esercizio (ovvero il silenzio) del potere amministrativo”. E queste
controversie possono riguardare provvedimenti (giurisdizione generale di legittimità), atti (giurisdizione
generale di legittimità) , accordi (giurisdizione generale/giurisdizione esclusiva) , comportamenti ( stiamo
parlando di giurisdizione esclusiva); ma sia gli accordi che i comportamenti riguardo la giurisdizione
esclusiva, ma quando sono riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere perché se noi
togliamo da accordi e comportamenti l’aggettivo sostantivato “riconducibili”, se non c’è quella
riconducibilità all’esercizio di un potere, non c’è possibilità che la giurisdizione amministrativa riguardi
accordi e comportamenti, ci vuole il G.O., di fronte al comportamento iure privatorum oggi si va dal G.O.
anche se per definizione la materia è sottoposta a giurisdizione amministrativa. E quello che diciamo dopo al
terzo comma è la prova provata che oggi queste giurisdizioni sono 3. La giurisdizione amministrativa si
articola in giurisdizione generale di legittimità, esclusiva ed estesa al merito. Oggi potete dire quando fate un
compito, partite dalla storia, partite sempre dalla fonte normativa e potete dire: “ sì la giurisdizione
amministrativa è nata col r.d. del 1923 trasfuso col Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato del ’24 che
ha riconosciuto nell’art. 26 la giurisdizione esclusiva (questo lo trovate sul libro), ma l’altra fonte di diritto
oggi e l’art. 7 c.3 che codifica in un principio, in una norma positiva la giurisdizione esclusiva”. E non è poca
cosa. Quindi la giurisdizione generale di legittimità, la giurisdizione esclusiva e la giurisdizione estesa al
merito, ma poi quello che vi ho detto prima, vedete come ormai facciamo questa lettura anche perché non
posso fare tantissimo di più oggi, questa lettura dell’art.7 è completa. E questo forse è uno degli articoli più
importanti che dovete conoscere a menadito, nel senso che l’art.7 ci dà una visione aggiornata dell’ambito
della giurisdizione del giudice amministrativo; recepisce il dettato costituzionale perché nella parte iniziale è
come se stessimo leggendo la Costituzione, art.24, art.103, art.113 ; recepisce il giudice delle leggi con la
sentenza n.204 del 2004, ma soprattutto recepisce il dettato costituzione nella parte in cui sancisce come
criterio di riparto il criterio della causa petendi. Non dice che il giudice amministrativo è il giudice
dell’annullamento perché oggi il giudice amministrativo, se leggiamo in maniera semplice questa norma,
vediamo che questa norma già da tanto al giudice. E dove lo si legge che dà tanto al G.A. in quanto a poteri?
Dal comma 4 che è la grande conquista del nostro codice, sempre collegato con l’art.1 che dice che il G.A.
deve garantire una tutela piena ed effettiva ed allora questa pienezza ed effettività della tutela come la si
poteva garantire se il giudice amministrativo aveva soltanto il potere costitutivo dell’annullamento? Era una
giurisdizione monca, una giurisdizione a metà, una giurisdizione non appagante di alcuna tutela. Forse
neanche della stessa situazione giuridica dell’interesse legittimo, che anche lo stesso interesse legittimo
oppositivo o pretensivo può darsi pure che non sia appagato perché vuole anche un ristoro, vuole anche un
risarcimento, vuole anche un potere di condanna. Quando vado dal giudice fammi avere il massimo di
giustizia possibile (Calamandrei). E allora vedete sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del
G.A. le controversie relative ad atti, provvedimenti od omissioni della P.A. (così era sempre), comprese
quelle relative al risarcimento del danno per lesioni di interessi legittimi e degli altri diritti patrimoniali
consequenziali, pure se introdotte queste controversie in via autonoma. Quindi da quello che state vedendo
voi il G.A. ha tutto, ha l’annullamento, ha il risarcimento e posso chiedere il risarcimento anche
prescindendo dall’annullamento. L’annullamento lo devo fare entro 60 giorni ed in questo caso qual è la
norma che dovete collegare? L’art.29 perché quest’articolo parla dell’inizio delle azioni, quello che io posso
fare e posso chiedere al G.A. Vedete le azioni; è un ibrido il codice del processo amministrativo perché si
chiama codice del processo, ma parla anche tanto di diritto. Dunque vedete che l’azione di annullamento che
posso fare davanti al giudice amministrativo per violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere e la
devo proporre nel termine di decadenza di 60 giorni. Benissimo la parte relative alle azioni inizia con
l’azione di annullamento quindi questa azione è l’azione principale, è l’azione in cui il giudice conosce nella
sua sede naturale, nella sua sede tipica, nella sua sede per la quale è stato istituito; conosce e può annullare,
conosce l’atto e se l’atto è affetto da violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere, cosa fa lui?
Siccome questo vizio è coevo all’atto qual è la sentenza tipica che può emanare? È l’eliminazione dell’atto;
io tolgo il vizio che inficiava l’atto ab origine e perché sono stato istituito? Per cassare. Sono stato chiamato
per conoscere dei ricorsi avverso provvedimenti della P.A. Sono chiamato per conoscere su questi ricorsi di
amministrazioni per vizi di legittimità e siccome questi vizi di legittimità inficiano l’atto amministrativo e lo
inficiano ab origine perché l’atto quando viene compiuto, impugno l’atto non il procedimento
amministrativo. Impugno l’atto per vizi correlati al procedimento che incidono sull’atto nel momento finale.
Quindi si vede il vizio nell’atto che viene emanato dalla P.A. a seguito di un procedimento amministrativo.
L’atto amministrativo è la parte finale di questo procedimento amministrativo che viene posto in essere dalla
P.A. Il vizio rileva nel procedimento, ma io lo posso impugnare nell’atto finale. Quando impugno un atto, il
vizio è coevo all’atto, non è che nasce dopo il vizio, dopo qualche tempo. Io quando impugno quel
provvedimento che, emanato a seguito di un procedimento amministrativo che la P.A. deve
obbligatoriamente concludere in 30 giorni. (art.2 l. 241/1990 – Obbligo di concludere il procedimento
amministrativo ). Se non è indicato un termine diverso io lo devo concludere entro 30 giorni; quindi il
procedimento amministrativo, obbligo di conclusione di un provvedimento in 30 giorni se non è previsto un
termine diverso. Ma io impugno non il procedimento, il provvedimento che contiene a mio avviso uno dei 3
vizi di legittimità (violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere). Quindi quando io impugno
questo atto amministrativo per un vizio che è coevo all’atto, che nasce con l’atto all’interno del procedimento
ed io non posso impugnare il procedimento. Rilevo questo vizio durante il procedimento, ma poi nel
dispositivo vedo la lesione; fino ad un momento prima la P.A. può sempre ravvedersi. Si può ravvedere così
tanto che come ulteriore garanzia è prevista addirittura un’ulteriore comunicazione che mi sta dando lo
svantaggio, cioè l’art. 10 bis l. 241 del 1990.(comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della
domanda). In virtù di tale art. la P.A. avverte Vera Fanti che sta emanando un provvedimento che ostacola
l’accoglimento della domanda quindi puoi sempre fare una nuova partecipazione, puoi presentare una nuova
memoria, una nuova istanza che mi dovrebbe far desistere da questo provvedimento negativo che ho in
mente di emanare. Se tu mi fai una nuova memoria, una nuova osservazione e cerchi di farmi ravvedere,
magari posso cambiare idea ed accogliere la tua richiesta. Quindi vedete talmente importante il
procedimento, ma talmente irrilevante a produzione del vizio che io impugno il provvedimento finale, quindi
il vizio è coevo al provvedimento, non può nascere dopo. Capito quanto vi serve il procedimento
amministrativo, andate a rivederlo. Io non impugno il procedimento, impugno l’atto finale e questo
provvedimento finale, questo momento statico del rapporto deriva da una fase dinamica che però non
produce ancora la lesione e perché ancora non la produce? Perché è ancora in fieri la volontà della P.A., fino
ad un momento prima la P.A. può sempre cambiare intendimento, invece una volta che lo emana è quello il
provvedimento. È un’efficacia giuridica immediata, l’esecutività del provvedimento, oltre che una forza
imperativa pregnante, l’esecutorietà, che addirittura può essere posto in esecuzione anche contro la volontà
dei suoi destinatari qualora comprenda un precetto negativo per il destinatario, ma il destinatario non può
fare niente quindi questa esecutività, questa esecutorietà e fa sì che il provvedimento incida immediatamente
sulla sfera giuridica del privato. Dunque il G.A. è chiamato, nella sua giurisdizione generale di legittimità,
con questa azione di cognizione volta all’annullamento, quindi nel caso in cui il giudice accolga questo
ricorso, è chiamato a cassare l’atto. Ma oggi in virtù di questo art. 7 c. 4 il giudice, anche quello di
legittimità, non fa solo una sentenza costitutiva, ma può fare anche una sentenza di condanna non soltanto al
risarcimento per equivalente, ma anche attraverso la reintegrazione in forma specifica e lo può fare anche in
maniera disgiunta, introdotta in via autonoma. Non è vero tanto quello che dice qui il codice, lo vedremo
dopo perché non si possono fare due azioni disgiunte, la si deve sempre legare l’azione di risarcimento alla
preventiva azione di annullamento. In questo ampliamento di tutela che anche il G.A. esclusivo si fa forte e
diventa capace di usare i poteri del G.O. lo si vede nel comma 5 perché nelle materie di giurisdizione
esclusiva, però questo risente del d.lgs. n.80 del 1998, indicate dalla legge e dall’art.133, la legge indica quali
sono le materie di volta in volta; per chi vuole fare un riassunto, un resoconto veloce delle materie va a
prendersi l’art.133 del c.p.a. e vede quali sono le materie attribuita alla giurisdizione esclusiva del G.A.
Questo per chi vuole diventare un amministrativista, questo codice deve essere conosciuto in tutte le righe e
sotto righe. Vedete nelle materie di giurisdizione esclusiva indicate dalla legge e dall’art.133 il G.A. conosce,
pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi, quindi
conosce e menomale che lo può fare. Però conosce di diritti soggettivi sempre perché il fatto deve derivare
comunque da un provvedimento amministrativo e quindi c’è una commistione di esercizio di potere con il
diritto. E il giudice amministrativo esercita poi anche la giurisdizione di merito, comma 6, con cognizione di
merito nelle controversie indicate e dall’art.134, pochissimi casi, e vedete come è chiaro il legislatore, come
per dire “ormai non hai scampo te lo dico io che lo puoi fare”, ma non è che ha scoperto l’acqua calda con
questo codice del processo amministrativo. Ha possiamo dire positivizzato dei principi di diritto che erano
sempre conosciuti, c’erano varie leggi che disciplinavano le tre giurisdizioni e il legislatore le ha unite in un
unico corpus normativo dove ha recepito tanta giurisprudenza che ha dato un contenuto importante a queste
giurisdizioni. Vedete nell’esercizio di tale giurisdizione di merito il G.A. può sostituirsi all’amministrazione,
tipico caso di ingerenza somma sul potere amministrativo. E vedete l’apoteosi di quello che ho detto io lo si
legge nel settimo comma dell’art. 7: “il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione
davanti al G.A. di ogni forma di tutela di interessi legittimi”. Vedete il G.A. è il giudice unico degli interessi
legittimi. Ad avviso della professoressa no, anche il G.O. nelle materie sottoposte alla sua giurisdizione
esclusiva ad esempio l’immigrazione o le sanzioni. Ci sono delle materie per converso attribuite alla
giurisdizione esclusiva del G.O. in cui il giudice conosce sia di diritti soggettivi come è normale, ma anche di
interessi legittimi laddove siano commisti. Però l’art.7 è la consacrazione di quello che vi ho detto, della
conformità alla Costituzione perché il principio di effettività è realizzato la concentrazione davanti al giudice
amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, in particolari materie riconosciute dalla
legge, di diritti soggettivi. Qui quando parleremo dell’azione di condanna c’è stato qualcuno della dottrina
che ha detto che questo comma fa sì che ormai sia inequivocabile che se l’azione di condanna non viene
esperita nei termini decadenziali di 120 giorni davanti al G.A., gli interessi legittimi non possono più essere
risarciti. Se si prospetta la lesione di interessi legittimi è giusto. Quindi questo per dire che la controversia
riguardante la lesione, quello che io prospetto al giudice, la lesione di un interesse legittimo devo andare
inevitabilmente dal G.A. o che chieda l’annullamento o che chieda il risarcimento, non c’è altro giudice che
può dare il risarcimento avverso la lesione di un interesse legittimo. Dunque ha tagliato la testa al toro questo
art.7 c.7 secondo tanta dottrina dicendo “se tu perdi il tram, 120 giorni, dalla conoscenza dell’ingiustizia di
danno, non puoi più adire il G.O. e rivendicare ai sensi della sentenza n.500 del ’99 che voi conoscete, il
diritto alla perdita economica subita, patrimoniale subita.

4/11/2020 (LEZIONI 7 E 8 ) La scorsa settimana abbiamo terminato la ricostruzione storica relativa alla
nascita della giustizia amministrativa. Attraverso le varie leggi che si sono “appastellate” nel tempo si è
potuto vedere com’è nato il processo amministrativo e come, soprattutto, oggi è disciplinato. Le sedi
giurisdizionali nelle quali opera il giudice amministrativo (GA) sono tre: 1. Giurisdizione generale di
legittimità 2. Giurisdizione esclusiva 3. Giurisdizione di merito La nascita di queste forme eccezionali di
giurisdizione è stata, pian paino, definite ad hoc e riempite di contenuto ad opera della giurisprudenza, oggi
possiamo dire, con sicurezza, che le tre sedi rientrano nel discorso logico derivante dalla individuazione di
un univo criterio di riparto di giurisdizione, criterio che è stato costituzionalizzato e che si basa sulla causa
petendi = ragion del chiedere. Queste ulteriori ed eccezionali forme di giurisdizione è, ormai, assodato che
dipendono, nella loro eccezionalità, dal fatto che il criterio di riparto è indubbiamente quello che si basa sulla
lesione di una situazione giuridica soggettiva. Da questa situazione deriva che tutti i poteri (cautelari,
decisori, istruttori e cognitori) dipendono dal fatto che il GA è il giudice competente, in via generale e di
legittimità, nel conoscere della lesione di interessi legittimi; quindi, il GA ha dei poteri connaturati al tipo di
giurisdizione richiesta. È un tipo di giurisdizione che si chiama estrinseca in quanto il giudice non ha quella
capacità di incidere all’interno del rapporto giuridico controverso e non ha la capacità di verificare la lesione
della situazione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio ma verifica la lesione attraverso l’esercizio del
potere. Quindi è un sindacato estrinseco che si basa sull’atto amministrativo, non sul rapporto. Si basa
sull’atto amministrativo nella giurisdizione generale di legittimità; non si basa sull’atto amministrativo nella
giurisdizione esclusiva quando il GA è chiamato a conoscere dei diritti soggettivi e non si basa, altresì,
sull’atto amministrativo nel suo esercizio esclusivamente concentrato sulla legittimità nella giurisdizione di
merito, qui si ha ad oggetto la “sostanza” del provvedimento, l’assetto degli interessi che compone il
provvedimento e, quindi, nella giurisdizione di merito il sindacato è pieno al punto che può impingere nella
valutazione della opportunità della scelta operata dalla PA. Questo sindacato è indubbiamente eccezionale e
si può fare nei casi, rarissimi, espressamente individuati dal legislatore (uno su tutti il giudizio di
ottemperanza) Tipologie di azioni esperibili davanti al GA nei confronti della PA: Iniziamo a parlare del tipo
di azione alla quale è correlata la sentenza, ottenibile dal giudice, nell’ambito del SINTACATO
GENERALE DI LEGITTIMITA’ che ha ad oggetto l’esercizio del potere amministrativo e quindi la
controversia che si basa sulla lesione dell’interesse legittimo. Nel CODICE DEL PROCESSO
AMMINISTRATIVO, per la materia delle azioni esperibili, dobbiamo fare affidamento al titolo III.
L’articolo giuda di tutto il processo amministrativo è l’art. 2 (Giusto processo) nel quale trovano attuazione,
immediata, l’effettività e la pienezza della tutela. Il giusto processo è un processo che in primis deve dare il
massimo di tutela esperibile, richiesta ed ottenibile dal privato, infatti l’art.2 recita: “Il processo
amministrativo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio, dovrebbe aggiungersi pieno, e del
giusto processo previsto dall’art. 111, primo comma, della Costituzione”. Vengono, perciò, ripresi i caratteri
del contraddittorio, della parità delle armi tra le parti e soprattutto nel 2° comma si osserva come le parti, “il
giudice amministrativo e le parti, cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo”.
Quindi effettività e pienezza trovano esplicazione immediata in quanto il legislatore statuisce nell’art.2. Altro
articolo fondamentale, norma che ci fa capire l’ambito della giurisdizione del GA, è l’Art. 7. Alla luce di tutti
i discorsi storici condotti, l’art. 7 ci mostra come la platea dell’oggetto del sindacato si sia ampliato nel corso
degli anni in maniera straordinaria. Mentre l’antica norma del 1889 parlava di GA competente a giudicare sui
ricorsi avverso ATTI E PROVVEDIMENTI, ora il GA può giudicare su “provvedimenti, atti, accordi o
comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere”, Quindi oltre la tipologia degli
accordi (art.11 e art.14 l. 241/90), si parla anche del comportamento non come espressione dell’attività
prettamente paritetica della PA ma come comportamento riconducibile anche mediatamente all’esercizio dei
poteri; attività paritetica ma collegata all’esercizio del potere autoritativo. Norma da considerare correlata
all’art.7 è quella sulle tipologie azioni che il privato può esperire dinanzi al GA e nei confronti della PA.
Abbiamo dunque: il principio generale, la sua attuazione, l’ambito della giurisdizione amministrativa =
quello che il giudice è chiamato a fare, cosa fa il privato per ottenere la giurisdizione (in primis generale di
legittimità, poi giurisdizione esclusiva e infine di merito). AZIONE DI ANNULLAMENTO L’azione
principe, rappresentante l’inizio del discorso e che apre il capo 2 del titolo 3 del codice del processo
amministrativo, correlata al sindacato naturale del GA è l’AZIONE DI ANNULLAMENTO. Azione per la
quale, per la tipologia di sentenza, è stato istituito il GA. Quindi il GA, istituito per decidere i ricorsi
riguardanti l’esercizio del potere, è chiamato ad annullare eliminare, cassare un provvedimento del quale
ravvisava l’esistenza un vizio coevo alla sua emanazione e quindi l’azione di annullamento è stata l’azione
che ha visto il GA chiamato ad effettuare un sindacato del genere = demolitori, cassatorio, eliminatorio ma
questa demolizione degli effetti comportava, insito, un potere ripristinatorio. Quando il giudice rilevava un
vizio di legittimità coevo all’emanazione dell’atto, lo cassava quanto agli effetti e questo comportava il
ritorno (ex ante l’emanazione dell’atto) ex tunc (effetto retroattivo) della situazione esistente prima
dell’emanazione dell’atto (come se quell’atto non ci fosse mai stato). Gli effetti dell’annullamento sono:
effetto demolitorio e ripristinatorio uniti ad un terzo effetto, più importante, effetto conformativo (di
indirizzo) = indicazione di principi e criteri guida che segnassero la futura riedizione dell’azione della PA.
Come se fosse un imput = azione di impulso della PA alla sua necessaria riedizione del potere. L’azione di
annullamento per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere che si propone nel termine di
decadenza di sessanta giorni è molto difficoltosa, anche se appare la più stringata, da capire nella sua
integrità ed è l’azione per la quale è stato creato il GA. Non è da considerare la sola azione che cancella
l’operato considerato illegittimo e con la quale la soddisfazione è garantita per gli interessi legittimi che sono
soddisfatti dall’annullamento dell’atto; è una azione che si pone come indirizzo che “imbriglia” la PA = detta
i criteri che presiedono il futuro esercizio del potere della PA in seguito all’annullamento di un
provvedimento dichiarato illegittimo. Quell’azione di indirizzo, in caso di riedizione del potere, che si vanta
di ciò che ha statuito il giudice nel precedente decisum, fa sì che la statuizione del giudice è un parametro di
riferimento più forte della legge perché, mentre, la legge può essere interpretata il dettato del giudice, se
stringato, a volte rappresenta un vero e proprio “vinco” della PA che per evitare problemi si attiene
pedissequamente al dettato del giudice. L’azione della PA se si adegua al giudicato del giudice, e a volte la
pregnanza del giudicato è prorompente, soprattutto se il privato ha impugnato nel ricorso non soltanto vizi
formali ma soprattutto vizi sostanziali, e quindi se il privato ha impugnato l’atto per il vero e unico vizio
sostanziale: eccesso di potere, attraverso tutte le figure sintomatiche. Difronte ad un ricorso che si basa su
regole sostanziali che presiedono l’esercizio del potere discrezionale (che scaturiscono dalla rilevazione di
tante figure sintomatiche di eccesso di potere) e che il privato ritiene esser state violate; sappiamo bene che
un giudicato che si basa sulla rilevazione di tante figure sintomatiche dell’eccesso di potere individuate
(annullamento dell’atto perché sono state individuate le figure sintomatiche di eccesso di potere quali: la
contraddittorietà, incoerenza logica interna e esterna, illogicità manifesta) la sentenza crea un vero e proprio
INDIRIZZO PREGNANTE tale che la PA si conforma ad esso. Si dice che il processo amministrativo nella
osservanza sostanziale avrà una forza tale da segnare il passo alla PA nella redazione del provvedimento e
dunque può essere anche GARANZIA DI ALTRI INTERESSI SOGGETTIVI. I ricorsi più sono ben
strutturati ossia ricorsi che rivelano sotto vari indici l’esistenza del vizio sostanziale di eccesso di potere,
scritti dettagliatamente e sinteticamente più la sentenza avrà pregnanza. L’Art.3 = la sinteticità vuol dire che
il motivo di ricorso lo devi individuare subito, indicarlo e spiegarlo in poche battute chiare e bisogna
arricchire il ricorso con le figure sintomatiche tali da essere l’indice rivelatore dell’eccesso di potere,
cosicché il giudice, che non dovrebbe ricorrere all’istituto processuale dell’assorbimento dei moti, esamina
tutti i motivi di ricorso e di modo che la sentenza crea un vero e proprio indirizzo pregnante cosicché la PA,
nell’emanare un nuovo atto in esecuzione del precedente decisum, guarda con interesse e attenzione il
giudicato precedente e la pregnanza sostanziale che gli deriva dal decisum del giudice. Ecco perché si dice
che il processo amministrativo così com’è nato può sembrare soddisfazione garantita dell’interesse legittimo
oppositivo ma se noi vediamo una portata sostanziale ampia al decisum giurisdizionale del giudice vediamo
che il dettato del giudice, che sa redigere la sentenza perché ha avuto importanti e notevoli motivi di ricorso,
adotta una sentenza che avrà forza tale da segnare il passo della PA nella redazione del suo provvedimento.
In questo modo potrebbe sembrare, il processo amministrativo, a soddisfazione garantita degli altri interessi
legittimi (quelli che con i primi due effetti non potrebbero risultare soddisfatti) ossia gli interessi legittimi
pretensivi. (studiate l’azione di annullamento andando a ripetere i concetti e le nozioni dei vizi di legittimità
e ponendovi sotto l’aspetto processuale, per capire come questi vizi possono incidere sul TIPO di sentenza
che può emanare il giudice) Se vi sono vizi che rileva uno scorretto esercizio del potere capite bene che il
vizio di violazione di legge o di incompetenza, se si considera come vizio formale attinente al soggetto
agente tout court, hanno una valenza ai fini dell’annullabilità molto limitata e se vogliamo ormai superata
dall’art. 21 octies, co2 l.241/90. L’incompetenza, forse, quasi mai perché nessun ricorso si basa sul vizio di
incompetenza. (Invece il vizio di eccesso di potere dovete necessariamente rivederlo.) Dalla lettura con occhi
più processualisti si capisce che il vizio di eccesso di potere ci fa capire quello che può chiedere il ricorrente
attraverso questo vizio e quello che può fare il GA. Tutto si basa sul chiesto da parte del ricorrente e sul
pronunciato da parte del giudice, tutto si basa sul vizio di eccesso di potere. L’atto di diritto amministrativo
riguardante il processo è l’atto più semplice perché sono 3 i vizi di illegittimità: violazione di legge, eccesso
di potere, violazione di legge; bisogna conoscere i vizi del potere per poter strutturare un ricorso in maniera
corretta e bisogna essere “fantasiosi” nell’individuazione del vizio che però si appunto solamente
sull’eccesso di potere. Fino a pochi anni fa, fino a10 anni fa, l’azione davanti al GA era riconducibile
soltanto facendo riferimento soltanto a questa azione, le altre azioni, pur esistenti, non avevano una
positivizzazione come vi è oggi all’interno del codice; le altre azioni erano azioni che potremmo definire
pretorie, di creazione giurisprudenziale. Il giudice, conscio dei suoi poteri e utilizzandoli anche in maniera
“extra legem” = sulla base di un non riconoscimento normativo, utilizzava tali azioni come una rara avis → il
giudice diceva: faccio un’azione di accertamento per poi portare all’annullamento dell’atto, dunque, vi era
un’azione di accertamento che rappresentava la base per l’azione di cognizione. Altre volte il giudice diceva
che avverso il silenzio della PA, se il silenzio fa riferimento ad una tipologia di potere che trova già una
predeterminazione nella norma, poteva scendere nel profondo; quindi il giudice, pur se non era previsto per
legge, in qualche sentenza importante (presenti sul manuale) ha, con la sentenza con la quale imponeva alla
PA di provvedere a seguito di un silenzio considerato illegittimo, imposto alla PA di dare il provvedimento
chiesto e sulla quale vi era stato un comportamento inerte e si è spinto così oltre da soddisfare
completamente la richiesta del privato rimasta inevasa con un comportamento tacito. Questo atteggiamento
del giudice era una rara avis mentre, oggi, vi è una positivizzazione delle azioni avverso il silenzio, delle
sentenze che può emanare il giudice avverso un silenzio e di una disciplina dettagliata rispetto alla quale il
giudice, in particolari casi, può addirittura conoscere della pretesa sostanziale dedotta in giudizio del
ricorrente che ha impugnato il giudizio. Il codice ha così positivizzato una giurisprudenza amministrativa che
si è formata nel corso degli anni e che oggi esiste in una norma di legge. Tale giurisprudenza è stata
considerata rivoluzionaria ma seguita nel corso del tempo, tale da diventare norma vigente e di diritto
positivo. Vi dico questo perché leggendo le 3 importanti azioni rubricate nel codice, anche se le azioni nel
codice sono molte di più, vediamo che oltre all’azione di annullamento abbiamo: • l’art.30 che parla
dell’azione di condanna • L’art. 31 che parla dell’azione avverso il silenzio e al suo interno abbiamo anche
l’azione declaratoria di nullità Questo ci dimostra che hanno almeno 4 azioni importanti nel codice = azioni
tipiche che sono espressamente riconosciute ed indicate con un preciso nomen iuris dal legislatore. In questo
modo vediamo come si sta ampliando perché ad ogni tipologia di azione si trovano correlate sentenze e
pronunce giurisprudenziali. Già così abbiamo 4 sentenze che può emanare il giudice: • Sentenza di
annullamento • Sentenza di condanna • Sentenza avverso il silenzio • Sentenza declaratorio di nullità =
dichiara la nullità di un atto amministrativo. Tuttavia, vi sono altri tipi di provvedimenti che sono disciplinati
successivamente: artt. 33- 34; quest’ultimo rappresenta l’apoteosi della rivoluzione del processo
amministrativo e ci dice quanto può spingersi il GA. Dallo studio dell’art.34 potremmo chiederci: allora
anche il GA garantisce una tutela piena, veramente effettiva e completamente soddisfacente per i ricorrenti?
In pratica è così. Vedremo sentenze che scontano tale specialità del GA. Il GA è IL GIUDICE DELLA PA,
chiamato a giudicare di atti amministrativi per i quali lui ha, forse, contribuito alla loro realizzazione; la
figura del GA è stato da ausilio alla PA con attività di consulente, pareri e poi si trova a giudicare all’esterno
e di controversie in cu la PA è parte processuale. Va a finire che quanto stabilito dall’art. 2 non si può
attuare, non si può garantire una parità delle parti; vedrete che nel processo amministrativo le parti, alle
volte, sono in posizione paritaria = alle volte le norme individuano 3 situazioni ricorrenti per la parte privata,
par la PA e per il GA. In questo si ravvisa la vera specialità del GA e che deve rimanere tale perché non è un
rapporto normale quello che si instaura tra PA e privato. Difronte all’autoritarismo di questo momento
storico si capisce che non possiamo parlare di una condizione paritetica delle parti = privato e PA, la quale
agisce in nome di un interesse pubblico; in questo periodo storico dobbiamo “soccombere” alle regole in
nome di un interesse pubblico di grande rilievo: la salute pubblica. La specialità del GA non può mai
scomparire ed è strumentale al fatto che deve sindacare un potere speciale della PA. Azione di condanna –
Art. 30 In maniera molto veloce spieghiamo, laddove ci serve, tutto quello che precede l’art.30 e che ha
portato alla positivizzazione di tale importante articolo. Di ciò che precede l’art. ne parleremo durante il
primo seminario (14/11). In amministrativo 1 si è studiato com’è cambiata l’impostazione della
responsabilità extracontrattuale ma lo spartiacque, sotto il profilo dell’importante conquista del cittadino che
ricorre contro un provvedimento della PA, è la possibilità di avere una tutela risarcitoria e non più la sola
tutela costitutiva di annullamento. Importante tutela risarcitorio della lesione della sua situazione giuridica
soggettiva collegata al potere (interesse legittimo) e perciò questa è una importante conquista che si è
ottenuta dalla storia pronuncia della corte di cassazione n.500/99. Questa sentenza ha segnato lo spartiacque:
prima del 99 era impensabile che si potesse ottenere, a fronte di una lesione di interesse legittimo, una tutela
risarcitorio questo perché si diceva che non vi era un giudice competente: il GA era nato solo con lo scopo di
ottenere una tutela avverso un provvedimento che si reputasse affetto da vizi di legittimità e quindi difronte
ad un tipo di provvedimento amministrativo che fosse rilevato come illegittimo, il GA era stato dotato di una
adeguata tutela → costitutiva di annullamento. Questo sindacato guardava solamente l’atto e perciò si
impugnava l’atto perché si riteneva lesivo della situazione giuridica soggettiva e quindi la causa petendi era
la lesione ma non si andava dinanzi al giudice amministrativo per chiedere il ristoro integrale della lezione
perché questo non si poteva fare; difronte alla negazione di un provvedimento chiesto che poteva essere dato
sola dalla PA e alla cui richiesta si otteneva o un silenzio o un diniego, io non potevo adire il giudice e
chiedere che mi desse quel provvedimento; il giudice guardava se la mia pretesa era “valida” non guardando
la mia lesione patita ma guardando il provvedimento della PA a fronte della mia richiesta. Se il
“comportamento” che scaturito in un atto amministrativo negati o in una inerzia, il giudice rilevava in ordine
a questa inerzia o diniego una illegittimità: il suo potere era connaturale all’inerzia e non andava ad integrare
la lesione. Il GA era il giudice chiamato ad una verifica della legittimità dell’azione difronte alla quale
l’unico potere che poteva elargire era il potere di annullamento, mai il potere di risarcimento del danno
inferta all’interesse legittimo in quanto non era il giudice competente → regola del petitum sostanziale. Da
questa diatriba tra i due criteri di riparto – causa petendi e petitum – si arriva al 1930 nella quale si sancisce
che il criterio di riparto si basa sulla causa petendi = ragion del chiedere. IL 1930 segna la data della vittoria
camuffata attraverso la denominazione di petitum sostanziale, di questa scelta (concordato giurisprudenziali)
concordano sia i G. Ordinari che i GA, capeggiati dai due presidenti delle maggiori giurisdizioni: Consiglio
di Stato = Santo Romano, Corte di Cassazione = Mariano D’Amelio, i quali concordano a livello
giurisprudenziale su un unico criterio: petitum sostanziale che nasconde la vittoria della causa petendi → se
sono leso nella mia situazione di interesse legittimo vado dal GA, che mi può dare solo ed esclusivamente
l’annullamento dell’atto; se rilevo la lesione del diritto soggettivo vado dal GO, dal quale posso ottenere
esclusivamente il risarcimento del danno. Quindi per la lesione di un interesse legittimo non c’era il giudice
competente. La ragione di ordine sostanziale, che già consociamo, è che si considerava risarcibile la lesione
del diritto soggettivo secondo l’interpretazione data all’art. 2043c.c. come norma di carattere secondaria e
mai di carattere primario. Era possibile che il GA, giudice degli interessi legittimi, in termini di effettività,
conoscibilità, cognizione, decisioni adottabili potesse mai garantire questo se l’unico potere riconosciuto era
quello costitutivo di annullamento? C’era una grave rinuncia di tutela e questa rinuncia di tutela il GA la
fatta sua e la fa rilevare nell’ordinamento soprattutto laddove si trattava di accordare una soddisfacente tutela
alle situazioni di diritto soggettivo che era chiamato a conoscere in relazione all’esercizio della sua
giurisdizione esclusiva nelle materie espressamente riconosciute per legge. In questi casi il giudice era
consapevole di essere monca ma alla fine diceva di essere il giudice degli interessi legittimi e sono chiamato
a conoscere, in alcune materie, dei diritti soggettivi alla quale non sa dare ampia tutela che gli viene chieste=
risarcitoria perché non era il suo campo. Nonostante le poche pronunce che cercavano di attribuirgli tali
poteri, ricordate la Corte costituzionale dell’87 che cercava di attribuirli il potere di conoscere dei diritti
patrimoniale in materie della sua giurisdizione esclusiva per garantirne un’adeguata tutela ai diritti
patrimoniali, il GA non li ha mai fatti propri e sono rimasti sulla carta, inapplicati. Vi è stato un importante
intervento del legislatore delegato con L’art.35 del d.lgs.80/98 che conscio del fatto che vi era un’evidente
deminutio di tutela tra i titolari di diritti soggettivi nelle relazioni inter partes e i titolari di diritti soggettivi
nelle relazioni con la PA, che si comportava iure privatorum, ha attribuito al GA esclusivo un importante
potere decisorio di condannare la PA al risarcimento delle situazioni di diritto soggettivo nelle materie
attribuite alla sua giurisdizione esclusiva; si trattava sempre dei diritti soggettivi mentre gli interessi legittimi
erano considerati, da una giurisprudenza pietrificata , irrisarcibili e quindi vi era questo muro invarcabile che
non consentiva alcuna forma di protezione degli interessi legittimi sotto il profilo risarcitorio. Il discorso
cambia con la sent.500 (1999) → si cambia prospettazione, cambia modo di proporre ricorso. Bisogna
ricordare la teoria della prospettazione: se prospetto al giudice adito la lesione della mia integrità
patrimoniale, prospetto la mia ingiustizia patrimoniale subita ancorché tale ingiustizia derivi da un atto
amministrativo prospetto l’azione come perdita patrimoniale, economica; lasciando sullo sfondo la
situazione giuridica soggettiva lesa. Quindi se la perdita patrimoniale la ricevo da Tizio (privato) o da Caio
(partito politico) o da Sempronio (PA) non ne tengo conto, rimane sullo sfondo da chi promana questo danno
ingiusto e prospetto la perdita di un danno ingiusto a fronte di una situazione giuridicamente rilevante per
l’ordinamento che può essere indistintamente un diritto soggettivo, un interesse legittimo, interesse
collettivo. Quindi se io prospetto una perdita patrimoniale della mia situazione giuridicamente rilevante e il
giudice riconosce la perdita patrimoniale, il giudice adito è quello del diritto all’integrità patrimoniale e alla
reintegrazione della situazione patrimoniale = giudice cautelare, se riconosce il danno ingiusto condanna
colui che mi ha inferto il danno ingiusto al risarcimento del danno→ Art. 2043 in una prospettazione diversa
= diritto ad essere risarcito a fronte di un documento patrimoniale e prescindendo dalla situazione giuridica
alla base che può essere indifferentemente diritto o interesse. Questo cambia tutto, fa si che il giudice
ordinario diventa il giudice del risarcimento del danno di qualsiasi situazione giuridica soggettiva
(rivoluzione copernicana). Si è posto il problema che se il giudice è chiamato a riconoscere il giudizio di
danno derivante da un provvedimento della PA, il danno ingiusto com’è rinvenibile? Com’è rinvenibile
l’ingiustizia ad opera di un provvedimento della PA? L’ingiustizia ha dei connotati suoi propri se si correla al
potere della PA. L’ingiustizia correlata al potere consiste nel non seguire le regole che presiedono l’esercizio
del potere non si può parlare di colpa o di negligenza. L’atto amministrativo nella sua ingiustizia rileva
sempre come una illegittimità. Il giudice ordinario era chiamato a conoscere di questa ingiustizia perché
riguardava un elemento necessario ed essenziale degli illeciti aquiliani e dunque il giudice ordinario, a fronte
della prospettazione della perdita patrimoniale, era chiamato a conoscere l’illegittimità come fattispecie
costitutiva dell’illecito aquiliano e prescindeva dal fatto che quel provvedimento fosse riconosciuto come
illecito e addirittura poteva conoscere direttamente il provvedimento. Allora si è detto che c’è la regola della
non necessaria pregiudizialità del giudicato amministrativo di annullamento della sentenza. Questa sentenza
del’ 99 è tramontata, esattamente un anno dopo, quando il potere di condanna al risarcimento dei danni
inferto dalla situazione giuridica di interesse legittimo è stata pienamente riconosciuta al giudice
amministrativo ad opera della legge n. 205/2000. Quindi la rivoluzione è partita dalla sent. 500 del 1999,
sentenza nella quale c’è stata l’idea della prospettazione dell’idea del risarcimento a fronte di una lesione
patrimoniale. Il giudice ordinario che guardava il diritto ad essere risarcito. Ma ormai si era allargato
talmente tanto il valore sostanziale della pretesa dell’interesse sostanziale alla base dell’interesse sociologico
e dell’interesse legittimo, che il giudice amministrativo non poteva rimanere inerme: se non avesse acquisito
lui l’altro importante potere, si sarebbe troppo ingigantito il potere del giudice ordinario. Con la legge
n.205/2000 si è detto che il giudice amministrativo, unico giudice dell’interesse legittimo, conosce
dell’interesse in maniera piena potendo annullare l’atto qualora ravvisi l’illegittimità e potendo addirittura
condannare la p.a. al risarcimento inferto all’interesse legittimo. Ma come lo fa? Dopo tanta storia arriviamo
all’art. 30. Oggi l’azione di condanna è codificata, cosa impensabile 15 anni fa. Quello che ha statuito l’art. 7
della legge 205/2000 era poca cosa: in tre righe (si pensi dunque a quanto sia stato stringato il legislatore del
2000) diceva che il giudice amministrativo nell’ambito della sua giurisdizione può condannare la p.a. al
risarcimento dei danni e degli altri diritti patrimoniali consequenziali. Dal 2000 fino al 2010 siamo rimasti
con questa stringatezza di nozione, il legislatore non diceva null’altro. In questo decennio, di conseguenza, ci
sono state tantissime sentenze, pensieri dottrinali, convegni...il tutto finalizzato a dare un corpo a queste due
righe e mezzo sopra citate. Anche perché dando un approfondimento a queste due righe, si consentiva
all’avvocato di poter chiedere un risarcimento vero per il proprio assistito leso da un provvedimento della
pubblica amministrazione, al giudice di avere degli strumenti per poter dare un’effettiva tutela risarcitori e a
noi di conoscere e studiare quest’altro potere importante. Dal 2000 al 2010 ci sono state tantissime pronunce
giurisprudenziali che tutte insieme unite a tantissima dottrina (nella sua straordinaria opera sistematizzante di
queste varie pronunce) che ha portato alla POSITIVIZZAZIONE, NELL’ART. 30, DI UN’AZIONE DI
CONDANNA UN PO’ PIU’ APPROFONDITA, CORPOSA CON UN MINIMO DI DISCIPLINA. Il tutto
viene considerato tale rispetto alla scarnissima disciplina contenuta nell’art. 7 della legge n. 205/2000, che ha
modificato la legge 1034 del 1971. Questa norma quindi non nasce da un colpo di genio del Governo, nasce
da tutta la storia che si porta dietro. Vediamo cosa dice questo art. 30: “L'azione di condanna può essere
proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente
articolo, anche in via autonoma...”. Questa norma ci indica come fare a chiedere al giudice amministrativo
una tutela risarcitoria per il mio assistito. Devo chiedergliela tout court, in via diretta oppure devo pensare
che siccome lui è il giudice che effettua un sindacato estrinseco, una verifica della legittimità dell’azione
posso io proporre a lui una richiesta risarcitoria entro i termini prescrizionali? Quali potrebbero essere i
termini prescrizionali, in materia civilistica, a fronte di una tutela di un illecito aquiliano (art. 2043)? Sono
dei termini prescrizionali molto ampi, si parla infatti di 5-10 anni a seconda dei casi (a volte ci sono anche
dei diritti imprescrittibili) che comportano un’indagine lunga dell’ingiustizia di danno ad opera di chi l’ha
subito. (Es. Quando facciamo un sinistro stradale, prima di poter dire che l’assicurazione possa risarcirci
bisogna attendere. Postumi, problemi che possono manifestarsi successivamente, la visita del medico
legale.). Io avvocato posso fare l’azione di danno nei confronti della p.a. in via autonoma entro 5 anni. IO
PERO’ NON POSSO MAI CHIEDERE AL GIUDICE AMMINISTRATIVO SOLTANTO UNA TUTELA
RISARCITORIA, LEGARE LA TUTELA RISARCITORIA NECESSARIAMENTE ALL’ESPERIMENTO
PREVENTIVO DELLA TUTELA COSTITUTIVA DI ANNULLAMENTO (CHE SI FA NEI TERMINI
DECADENZIALI DI 60 GIORNI). Devo comunque fare un’azione nella quale rilevo l’illegittimità del
provvedimento amministrativo e poi nei restanti giorni, che sono pochi vale a dire 120, posso conteggiare un
minimo di danni patrimoniali che mi derivano dal questo provvedimento illegittimo della p.a. E perché
diciamo questo? Riprendiamo l’art.30 al terzo comma: “La domanda di risarcimento per lesione di interessi
legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è
verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo...” Quindi io
ho 120 giorni per fare la proposizione al giudice amministrativo della domanda risarcitoria, di un’ingiustizia
ricevuta da un provvedimento. Ma l’ingiustizia, secondo quella pronuncia della Corte di Cassazione, deriva
dal fatto che il provvedimento è contra ius. Il provvedimento contra ius è quello che non è stato esercitato
correttamente ma è stato esercitato in dispregio delle regole che presiedono il potere. Serve l’annullabilità o
serve l’illegittimità ai fini della domanda risarcitoria? L’annullabilità a volte non si dà perché si considera
l’illegittimità irrilevante. Finiamo la lettura dell’art. 30: “Nel determinare il risarcimento il giudice valuta
tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento
dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli
strumenti di tutela previsti.” Questo vuol dire che il danno derivato da un provvedimento si poteva evitare
utilizzando la normale diligenza da parte del ricorrente che avesse saputo utilizzare ad hoc gli strumenti di
tutela che l’ordinamento prevede in questo caso per limitare i danni. Quali sono questi strumenti di tutela che
servono al ricorrente leso dall’efficacia di un atto amministrativo? Devo fare ricorso per richiedere la
sospensione oppure l’annullamento. La sospensione è un’anticipazione rispetto all’annullamento, in maniera
prodromica chiedo l’anticipazione degli effetti della sentenza di merito. Per limitare i danni il giudice mi
bastona, nonostante l’illegittimità del provvedimento se io non ho provveduto a richiedere sospensione o
annullamento non mi garantisce il risarcimento ESCLUDENDOLO. LEZIONE 8 Articolo 30 (codice
processo amministrativo): la domanda di risarcimento per lesioni di interesse legittimo è proposta entro il
termine decadenziale, un po' più lungo di quello di 60 giorni, di 120 giorni che decorrono dal giorno in cui il
fatto si è verificato oppure dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.
Nel determinare il risarcimento abbiamo detto che il giudice questo e il testo definitivo del codice del
processo amministrativo entrato in vigore il 16 settembre 2010 ed è stato frutto della redazione congiunta,
del lavoro congiunto di magistrati amministrativi e studiosi di diritto amministrativo, accademici e
magistrati. Un importante ruolo hanno investito i magistrati nella redazione di questo codice che si è
protratto dopo tante riunioni e una prima bozza è stata emanata, è stata rivista, è stata limata poi è arrivati ad
una seconda bozza, poi la terza bozza è stata quella che ha portato a questa redazione che noi abbiamo
vissuto in bozze provvisorie e quindi abbiamo visto come questo articolo ad un certo punto è stato anche è
stato anche soggetto a tante modifiche all'interno delle varie bozze che si sono succedute. Una modifica
significativa è stata l'espunzione: come se appunto fosse stato fatto un taglio di alcune proposizioni, di alcuni
avverbi, di alcuni verbi ausiliari che erano presenti nelle precedenti bozze. Proprio per quanto ci riguarda
sono state fatte delle grandi, dal punto di vista sostanziale, espunzioni. Una precedente bozza, rispetto a
quella che poi è stata definitiva vale a dire la terza, prevedeva questo seconda proposizione nel seguente
modo. Io vi dico adesso le differenze così voi leggendole potete capire cosa è stato tolto. Nel determinare il
risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto, il comportamento complessivo delle parti e
comunque può escludere il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza
e l’autotutela anche attraverso l’esperimento di strumenti di tutela previsti. Cosa vuol dire? Vuol dire che c’è
stata una resezione importante, la prima: non si è data più la facoltà al magistrato di poter scegliere se
escludere o meno il risarcimento se il privato non avesse preventivamente azionato gli strumenti di tutela
previsti dall’ordinamento volti ad evitare la produzione di danni ingenti derivanti dal perdurare dell’efficacia
giuridica dell’atto da impugnare. Quindi è stato tranciato il verbo ausiliare potere: come se oggi fosse un
obbligo del giudice di escludere di non dover conoscere minimamente la pretesa risarcitoria, azionata dal
ricorrente, qualora non sia evidente che il ricorrente abbia fatto di tutto per evitare la produzione di danno.
Viene richiamata, indirettamente, l’ordinaria diligenza che il giudice amministrativo dovrebbe conoscere
essendo anche giudice ordinario. Art. 1227 (a noi interessa soprattutto il secondo comma): “Se il fatto
colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della
colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il
creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.” Si prende, come vedete, il focus di questa
importante norma pubblicistica civilistica e la si applica all’interno del processo amministrativo dicendo
dalla parte soltanto del privato (si, nella registrazione dice così). Perché la seconda espunzione importante è
stata quella di non considerare una parità di contradditorio tra le parti, vedete che il giudice esclude il
risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza ma lo dice riguardante il
privato, pima si poteva dire “e l’autotutela derivante dalla pubblica amministrazione”. Per intenderci: non è
che l’espunzione della tutela dovrebbe far intendere che questa norma si riferisca solo ed esclusivamente alla
parte ricorrente perché, pur volendo, nella non previsione di alcuna indicazione si potrebbe consentire il
riferimento sia alla parte ricorrente, sia alla p.a. Se fosse però stato scritto in maniera espressa, secondo la
professoressa, la p.a. avrebbe avuto un altro atteggiamento nei confronti della produzione degli effetti di un
proprio atto dal quale diventa consapevole della sua illegittimità appena vede un ricorso inoltrato che gli
viene notificato. Allora che fa? In virtù del suo potere di autotutela lo revoca, addirittura lo annulla, oppure
cerca di rettificarlo, di modificarlo nella parte in cui non lo sospende. (Non dico che lo revoca e lo
autoannulla altrimenti non avrebbe più senso il ricorso). Fa la cosiddetta “sospensione” del provvedimento
giuridico. Anche perché se lo revocasse, il privato potrebbe sempre lamentare il risarcimento dei danni fino a
quel momento patiti. Comunque l’autosospensione degli effetti ad opera della p.a. potrebbe essere
considerata la forma migliore di autotutela in questo caso, di fronte alla quale il giudice potrebbe dire che i
danni si sarebbero potuti evitare sia se il privato avesse azionato tutti i mezzi di tutela previsti
dall’ordinamento (che consistono nella sospensione o nell’annullamento), sia se la pubblica amministrazione
avesse utilizzato lo strumento tipico dell’autotutela (ovvero la sospensione). Invece l’espunzione ha fatto sì
che il legislatore, come se questo codice in mano dei magistrati amministrativi, volesse far intendere che si
guarda più come un “favor rei” della p.a. rispetto al privato. Ma questo la prof dice di non volerlo né
affermare, né pensare. Sta di fatto però che non ci sia più il riferimento all’autotutela. Però se noi siamo bravi
magistrati, possiamo tranquillamente considerare questa espunzione non soltanto dal lato del privato ma dal
lato di entrambi. Le parti si dicono che i danni si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza. E’
chiaro che se si fa riferimento alla norma di cui all’art. 1227 c.c., si parla soltanto del creditore. In questo
caso potete notare che il creditore sarebbe la pubblica amministrazione. Perché allora il codice fa riferimento
agli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento con riferimento al ricorrente? E’ un cane che si morde la
coda. Mai e poi mai il giudice amministrativo ha condannato la p.a. dei danni ingenti sulla base del fatto che
lei stessa non ha provveduto ad una sorta di rimedio processuale. Fatto sta che questa norma ci fa
comprendere come il problema della pregiudizialità è ancora molto sentito. Cosa vuol dire questo? Che di
fronte ad un magistrato il privato non può richiedere la tutela risarcitoria slegata, scissa in via autonoma
completamente rispetto alla preventiva pregiudiziale azione costitutiva di annullamento. Allora cosa
succede? Succede che il privato che deve chiedere l’annullamento, dovrebbe addirittura chiedere all’interno
dell’annullamento la sospensione degli effetti con misura cautelare che può essere data o non data dal
magistrato. La misura cautelare è un qualcosa che anticipa in maniera prodromica gli effetti che il ricorrente
si auspica di ottenere con la sentenza definitiva di merito. Siccome il processo amministrativo è
fisiologicamente lungo, quando io inoltro (all’interno del ricorso) incidentalmente la richiesta di misura
cautelare e il giudice me la concede, la misura cautelare si dice strutturalmente dal punto di vista qualitativo
e quantitativo si correla pedissequamente con gli effetti propri della sentenza definitiva di merito. Se io
chiedo un annullamento, qual è quindi la misura che strumentalmente, anticipatamente, provvisoriamente,
della stessa ratio della sentenza definitiva di merito? La sospensione. Quando io chiedo una misura o inoltro
un ricorso, perché vorrei alla fine chiedere la tutela risarcitoria, è necessario che io azioni prima un ricorso
teso all’annullamento dell’atto e all’interno ci metta anche la richiesta di misura cautelare. Che poi mi venga
data o meno, non importa perché a volte non è detto che se io ricevo la misura cautelare della sospensione
poi al 100% mi verrà data la sentenza definitiva di merito che mi soddisferà. Cos’è infatti la misura
cautelare? E’ una richiesta che si fa al magistrato, in pochissimo tempo, che si discute entro 20 giorni dalla
notifica del ricorso e questa misura cautelare vale (qualora venga accolta) ad anticipare qualcosa al
ricorrente. Ma perché la dà il giudice? Perché attraverso una lettura sommaria del ricorso principale, di
quello che ha scritto il ricorrente, può dire che magari il ricorso non sembra poi fatto così male, che sia in
prima facie fondato. Ma il tutto viene considerato appunto in prima facie, sommariamente, dandogli una
sfogliata veloce, non approfondendo la questione perché se appunto il giudice fosse già in grado di
approfondire la questione sarebbe al tempo stesso già in grado di dare una sentenza definitiva. Tant’è che di
dice che la misura cautelare possa essere data quando c’è il primo presupposto del fumus boni iuris, cioè la
parvenza di un buon diritto. Ma parliamo sempre di PARVENZA. L’altro presupposto è il periculum in
mora, cioè quando si sta creando un pregiudizio dal perdurare dell’efficacia di quell’atto amministrativo e
allora in quel caso il giudice dice di dare la misura cautelare. Ma non è che se si riceve la misura cautelare
posso ritenermi vincitrice del ricorso perché magari, in seguito ad un esame più approfondito della questione,
quel provvedimento non era poi legittimo. L’ottenimento della misura non garantisce la sicurezza della
vittoria. E’ meglio quindi fare un’azione costitutiva di annullamento così il giudice amministrativo nella sua
sede naturale viene a conoscere dell’illegittimità, conosce tempi decadenziali suoi propri. La pubblica
amministrazione sa che avverso quel provvedimento è stato esperito un ricorso quindi la palla passa al
giudice amministrativo. Infatti se poi la pubblica amministrazione sa che è stato impugnato un ricorso e lo si
è impugnato nei 60 giorni e dopo 120 giorni il privato ha fatto addirittura azione risarcitoria, in quel caso la
p.a. sa di essere sub iudice in senso vero. Se invece la pubblica amministrazione vede che gli è stato
notificato tanto la tutela risarcitoria, farà di tutto per far rilevare la mancanza di una conoscenza di una
illegittimità tout court al giudice e quindi rileverà la mancanza di pregiudizialità del provvedimento
amministrativo. Per il giudice amministrativo non c’è nulla di più semplice di questo, è un giudice
completamente diverso dal giudice civile. Il giudice amministrativo, quando viene chiamato a decidere su
una questione controversa, si trova più congeniale nella sede naturale del suo giudizio quindi nel giudizio
costitutivo di annullamento. Dove si può chiedere di conoscere di una questione controversa soltanto dal
punto di vista patrimoniale se lui non ha contezza dell’illegittimità? E’ un vulnus di tutela che si ripercuote
su quello che può essere chiesto al giudice amministrativo. Si tratta di un problema serio di diversità di
giudizio (secondo la prof). La tutela risarcitoria davanti al giudice amministrativo è completamente diversa
dalla tutela risarcitoria davanti al giudice ordinario, sono completamente diversi non tanto i termini ma i
presupposti. In questo caso il danno deriva da un provvedimento che se non si impugna diventa
incontrovertibile, inoppugnabile, si cristallizza dal punto di vista degli effetti giuridici salvo il caso in cui
intervenga la p.a. con il suo potere di autotutela. Ma non gli è stato dato neanche l’appoggio alla p.a. di
ritornare sui suoi passi per evitare un sacrificio patrimoniale. E’ come se il cane si mordesse la coda in
questo caso. La prof però dice che c’è l’art. 21-octies che parla dell’annullabilità. Se mi rifaccio a questo
articolo cerco di evidenziare l’illegittimità del provvedimento amministrativo. Cosa dice la norma?
L’annullabilità del provvedimento, che comporta annullamento, può essere fatta quando rilevano i tre vizi di
legittimità. Vediamo cosa dice lart. 21-octies: “È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in
violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. Non è annullabile il provvedimento
adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato...” (Il secondo comma si ricollega all’art. 30 che precedentemente abbiamo analizzato con
riguardo alla pregiudizialità). Qui siamo di fronte ad un atto che non è annullabile ma è palesemente
illegittimo. Ripetiamo quando si attua questo: quando c’è un provvedimento a carattere vincolato, la p.a. non
rispetta uno degli obblighi processuali derivanti dalla legge 241/1990. Prendiamo come esempio il difetto di
comunicazione di avvio del procedimento amministrativo ex art. 10-bis: il privato istante richiedente un
provvedimento non ottiene questo provvedimento e non c’è la preventiva comunicazione dei motivi che
ostano l’accoglimento della sua domanda. C’è un provvedimento amministrativo, nel caso di provvedimento
vincolato, che palesemente illegittimo ma non annullabile. E perché? Cosa fa il giudice nel suo sindacato
virtuale che proietta nella sua testa? Si chiede quale sarebbe stato il provvedimento corretto, legittimo e si
chiede se ci sia diversità in quanto a contenuto tra il provvedimento che è stato sottoposto a suo giudizio e il
provvedimento “come sarebbe stato” se fossero state rispettate quelle due norme. Il giudice fa questa
immaginazione giuridica nella sua testa, ravvisando che non ci sarebbe stata differenza alcuna e pensa che
nonostante sia illegittimo il provvedimento non vada annullato perché, anche con il rispetto di quella norma
violata, non ci sarebbe stata alcuna differenza quanto a contenuti giuridici. Il provvedimento però è
illegittimo ma non è annullabile. Cosa vuol dire che è illegittimo ma non è annullabile? La p.a. ha comunque
posto in essere una violazione della norma ma il contenuto dispositivo (quello che creerebbe un’ingiustizia di
danno) non c’è! Ai fini del risultato finale, il contenuto del provvedimento corretto non sarebbe stato diverso
ai fini dell’unità sostanziale per il ricorrente. Quindi la sua domanda risarcitoria sarebbe respinta pur in
presenza di una palese illegittimità. Secondo comma. Non è più grave il fatto che si tratti di provvedimenti
discrezionali perché viene ridotto l’ambito dei motivi di legittimità rilevabili. Parte rimanente del 21-octies->
“Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del
procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.” In questo caso si restringe l’alveo dei vizi
rilevabili, addirittura soltanto il difetto di cui all’art. 7, ma il principio è lo stesso. Un provvedimento
palesemente illegittimo rimane senza sanzione, si lascia la p.a. indenne di agire in palese violazione di norme
di legge. Si giustifica che la p.a, che dovrebbe essere l’esempio, si comporti scorrettamente rimanendo
impunita. C’è comunque un escamotage per far sì che non si lasci la p.a. impunita, sempre tutto ad opera del
privato. Diceva Massimo Severo Giannini che il 90-95% dei provvedimenti, che esistono nelle pubbliche
amministrazioni, sono illegittimi. A volte le illegittimità o gli errori, non intesi di scrittura grammaticale
nonostante anche questi siano frequenti, sostanziali non vengono impugnati da nessuno. Se non c’è la p.a.
stessa che rimedia ai suoi precedenti errori, rimangono così. Allora quale sarebbe una soluzione per far in
modo che non si lascino le p.a. impunite? Impunite, potremmo dire, di fronte a questi provvedimenti che
sono illegittimi ma queste illegittimità non sono talmente tanto rilevanti ai fini di un risultato sostanziale
migliore per il ricorrente. Tant’è che non ottengono annullamento ma neanche il risarcimento. Allora cosa si
è pensato? E’ stata rievocata la nozione di sanzione che la p.a. può ricevere per aver violato i cosiddetti
“interessi procedimentali del privato. Il privato che può pretendere che, all’interno del suo rapporto dialettico
con la pubblica amministrazione, venga rievocato questo grande istituto (che ad avviso della professoressa)
viene rispolverato da un’intuizione di Massimo Severo Giannini: lui ha parlato di questa situazione
procedimentale, propria del privato, che si interfaccia, si relaziona con la pubblica amministrazione. Il
privato che si relaziona con la pubblica amministrazione sicuramente vanta, come posizione giuridica
soggettiva autonoma, la situazione di interesse legittimo. Ma l’interesse legittimo è una situazione giuridica
duplice: c’è un’anima sociologica che tende ad un bene della vita che può essere di opposizione o di tensione
(in correlazione ad un potere naturalmente, in quanto l’interesse legittimo non può vivere di vita propria),
quest’anima sociologica che si correla ad un’anima strumentale in modo tale che venga composto l’interesse
legittimo. E’ un tutt’uno l’anima sociologica e l’anima strumentale. Attraverso l’anima strumentale si riesce
ad adire il giudice amministrativo per tentare di ottener, eventualmente, la soddisfazione del mio interesse
sociologico. Si deve incidere sulla legittimità dell’azione per tentare di ottenere una soddisfazione ma le due
anime sono unite. Cos’è invece l’interesse procedimentale? Un momento diverso rispetto all’interesse
legittimo, è quell’interesse che abbiamo in modo tale che la p.a. si comporti correttamente rispettando le
regole formali e procedimentali che presiedono all’esercizio del potere. Come se io pretendessi (all’interno di
un rapporto tra due soggetti paritari) che durante le trattative che si fanno con un altro soggetto paritario, ci
sia il rispetto delle regole della buona fede. Questa regola civilistica deve essere trasposta nell’ambito della
pubblica amministrazione. Il privato può pretendere che la p.a. si comporti in maniera corretta e perché può
pretenderlo? Perché secondo una previsione contenuta in un decreto legge, che poi non è stato convertito,
l’inosservanza di alcune regole procedimentali e formali da parte della pubblica amministrazione, a seguito
di richiesta di un privato, si sanzionasse attraverso la corresponsione di un indennizzo automatico e
forfettario. La previsione di questa tutela ad hoc avverso il mancato rispetto di regole formali e
procedimentali, se pur poi adesso non più prevista, contiene un principio importante perché ci ha fatto
evidenziare come potesse addirittura far assurgere alla nozione di interesse procedimentale la configurazione
di autonoma situazione giuridica soggettiva (al pari dell’interesse legittimo). Una grande conquista.

LEZIONE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 2 DEL 12/11/20

La scorsa settimana abbiamo iniziato a parlare delle azioni proponibili innanzi al giudice amministrativo.
Facciamo un piccolo riassunto. Abbiamo illustrato il discorso relativo a queste azioni, che sono disciplinate
con norme di diritto positivo contenute nel codice del processo amministrativo. Abbiamo iniziato il discorso
dicendo qualè l’ambito di applicazione e l’articolo di riferimento è indubbiamente non solo l’art 1, che fa
riferimento alla garanzia di una tutela piena ed effettiva al privato nel rispetto dei principi della Costituzione
e del diritto Comunitario, ma anche l’art 7 che è il frutto condensato di un lungo e travagliato processo
evolutivo. L’art più importante sotto il profilo del riconoscimento dell’ambito della giurisdizione del giudice
amministrativo è l’attuale art 7 che ha subito un evoluzione partita dall’antica legge del 1865 e confluito nel
codice del processo. La scorsa settimana abbiamo analizzato questo articolo che stabilisce l’ambito di
giurisdizione del ga che ricordiamo essere quello tradizionale per cui è nato nel 1889, cioè quello generale di
legittimità, quella speciale esclusiva e quella anche essa molto speciale di merito. E vi ho detto a proposito di
questo art recepisce anche il dettato costituzionale ovvero il disegno costituzionale che si è avuto nel 1948,
che non ha fatto altro che codificare il principio di riparto di giurisdizioni basato sulla causa petendi (ragione
del chiedere). Oggi la carta costituzionale quando tratta dell’ambito delle giurisdizioni dei due giudici dice
che go e ga sono competenti rispettivamente degli interessi legittimi ga e dei diritti soggettivi go. Quindi la
carta non fa altro che recepire il criterio di riparto di giurisdizioni basato sulla causa petendi e non sul
petitum (domandato). Il motivo della mia richiesta qual è? È la lesione della mia situazione giuridica
soggettiva fatta valere in giudizio. Mi rivolgo al ga perche leso nella mia situazione giuridica soggettiva di
interesse legittimo e quindi chiedo al ga nella giurisdizione generale di legittimità, che accerti la lesione
verificando il corretto o scorretto esercizio del potere della pa. Quindi l’art 7 nella sostanza recepisce il
criterio di riparto di giurisdizione basato sulla causa petendi. Questo discorso è importante perché… prendete
l’art 99 cpa. Leggiamo :“Deferimento all’Adunanza Plenaria”. Che cos è l’Adunanza Plenaria? La vedrete
quando andrete a leggere in maniera molto approfondita la parte sull’organizzazione. Essa è il massimo
organo della giustizia amministrativa ed è composta dai presidenti delle 6 sezioni del consiglio di stato (il
consiglio di stato ha 6 sezioni: quarta, quinta e sesta con funzione giurisdizionale; alla funzione
giurisdizionale si è aggiunta la terza; la prima e la seconda svolgono ancora una funzione consultiva alla pa;).
Queste sezioni hanno all’intero un corpo di magistrati che sono consiglieri, il consiglio si riunisce lo fa in 3
giudici uno dei quali è quello estensore e uno dei tre è il presidente della sezione. Quando i presidenti delle
tre sezioni si riuniscono in seduta comune, questa riunione è definita Adunanza Plenaria (massimo organo di
giustizia amministrativa). Si riuniscono i 6 presidenti delle sezioni semplici e il presidente del consiglio di
stato. Tutto ciò si è positivizzato nell’art 99. Leggiamolo per capirne l’importanza.

Art99:

1. La sezione cui è assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato
luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o
d'ufficio può rimettere il ricorso all'esame dell'adunanza plenaria. L'adunanza plenaria, qualora ne ravvisi
l'opportunità, può restituire gli atti alla sezione.

2. Prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o d'ufficio, può deferire
all'adunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare importanza
ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali.

3. Se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato
dall'adunanza plenaria, rimette a quest'ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.

4. L'adunanza plenaria decide l'intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e di
restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente.

5. Se ritiene che la questione è di particolare importanza, l'adunanza plenaria può comunque enunciare il
principio di diritto nell'interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o
improcedibile, ovvero l'estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell'adunanza plenaria non ha
effetto sul provvedimento impugnato.

Da questo primo comma capiamo che l’Adunanza Plenaria viene convocata su istanza di parte (appellante)
oppure d’ufficio dalla stessa sezione quando si trova a giudicare una controversia per la cui soluzione si
registrano in giurisprudenza orientamenti contrastanti, delle volte diametralmente opposti, cioè idonei ad una
stessa vicenda processuale. Di fronte ad una vicenda processuale sulla cui soluzione si siano registrati
orientamenti contrastanti, cosa fa la sezione? Invece di accodarsi o a uno o all’altro rimette la questione alla
soluzione dell’Adunanza Plenaria.

Il secondo comma cosa dice? Prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle
parti o d'ufficio, può deferire all'adunanza. plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di
particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali. Questo perché è importante? Perché è
importante questa funzione di risoluzione di un contrasto giurisprudenziale dell’Adunanza Plenaria? Lo
stabilisce il terzo comma, cercate di ricordarlo e studiarlo bene. Cosa dice? ‘’Se la sezione cui è assegnato il
ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall'adunanza plenaria, rimette a
quest'ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.’’ Cosa vuol dire? Che oggi c’è un vero e
proprio vicolo del precedente, rispetto al quale lo stare decisis, in una vicenda successiva analoga una
sezione semplice non può discostarsi. Per non seguire il precedente deve dirlo e deve motivarlo. È la cosi
detta funzione domodidattica dell’Adunanza Plenaria del consiglio di stato. Oggi al pari della Cassazione a
Sezioni Unite abbiamo il vincolo del precedente anche per l’ Adunanza Plenaria del consiglio di stato.
Quindi, l’ Adunanza Plenaria investita da una controversia ad opera di una parte o di una sezione semplice,
pronuncia un principio di diritto che è una vera e propria fonte del diritto che è come se segnasse il futuro per
le sezioni semplici che se si attengono al principio ok altrimenti devono motivare. Cosa centra in ordine al
nostro argomento? Centra perché la questione di giurisdizione sia ormai risolta in maniera univoca. Quando
c’è stato il dibattito su quale fosse il giudice competente per il conflitto di giurisdizione abbiamo detto che
prima fu attribuita questa competenza al consiglio di stato, poi dal 1887 in poi fino al 1923 è stata la corte di
cassazione con sede a Roma. Poi da l 23 in poi quando la corte di cassazione unica con sede a Roma è stato
l’organo deputato a conoscere dei conflitti di giurisdizione. Quindi abbiamo da sempre considerati questa
funzione in capo alla corte di cassazione. Dal 2010 non è più il solo organo a risolvere i conflitti di
attribuzione ma si affianca anche l’Adunanza Plenaria con quello che abbiamo detto in relazione all’art 99.
Chiaramente il precedente che pone l’Adunanza Plenaria per la risoluzione di un conflitto giurisprudenziale,
rappresenta uno stare decisis per le sezioni semplici, per il TAR, non per altri giudici. Anche se vedremo che
la cassazione tiene sempre in considerazione le decisioni dell’Adunanza Plenaria su questo tema anche se il
precedente dell’Adunanza Plenaria ha valore solo per i giudici amministrativi. Nel 2015 come cattedra di
diritto amministrativo abbiamo fatto un indagine. Abbiamo preso tutte le decisioni dell’Adunanza Plenaria
dall’emanazione del cpa nel 2010. Abbiamo visto come ogni anno le sentenze si erano quasi quadruplicate
rispetto all’anno precedente. Perché? Per dirimere i contrasti giurisdizionali oppure per decidere in ordine a
questioni di grande importanza. Abbiamo noi come cattedra espunto quelle che riguardavano i comparti
pubblici, quelle non le abbiamo considerate. Abbiamo invece fatto una lista di quelle che riguardavano
istituti compresi nel cpa. Dal 2010 al 2015 abbiamo trovato ben 37 pronunce. Tanti argomenti (per esempio
le tecniche di tutela del terzo nei confronti della scia, il ricorso straordinario al Presidente della repubblica,
art 30 cpa, uso della pec per le comunicazioni in segreteria, appello) in relazione ai quali l’Adunanza ha
pronunciato un principio di diritto valevole per situazioni simili in futuro. Ogni argomento è stato studiato in
maniera specifica un argomento. Cosa fa l’Adunanza Plenaria? Analizza due orientamenti, spiegando perché
sono entrambi valevoli però ad un certo punto sulla base di alcune argomentazioni predilige o uno o l’altro,
quello che predilige diventa un vero e proprio principio di diritto. A volte l’Adunanza Plenaria crea la norma
attraverso un principio di diritto, fonte di un principio culturale, non codificato ( nella gerarchia delle fonti
non c’è il principio di diritto posto dall’organo massimo di giustizia ma crea la norma delle volte in maniera
espressa nella sentenza). L’argomento analizzato dalla prof è stato quello della giurisdizione o meglio
l’ambito di giurisdizione del ga o del go su una materia controversa di cui si occupa una pa. La prof ha
analizzato 7 sentenze in solo anni che hanno riguardato argomenti interessanti. Io le ho suddivise in 4
lavori(la giurisdizione in tema di graduatorie scolastiche, la giurisdizione in caso di revoca di finanziamenti
pubblici, giurisdizione in tema di appalti, giurisdizione in tema di patti d’obbligo e l’ultima è stata la
giurisdizione in tema di atti prodromici e atti successivi alla sottoscrizione di un contratto) . In tutti questi
lavori l’ Adunanza Plenaria ha usato sempre la causa petendi, in molte situazioni in maniera espressa altre
volte mascherandola attraverso altri criteri che volevano sottintendere la lesione della situazione giuridica
soggettiva. Questi altri criteri sono stati la distinzione tra potere discrezionale e quello vincolato, la
differenza tra azione di accertamento e azione costitutiva della pa.

Prendiamo una fattispecie da me approfondita, quella relativa al giudice competente in materia di


contestazioni in ordine alle graduatorie scolastiche permanenti o ad esaurimento ( quelle che si formano
allorché a seguito di un concorso pubblico nazionale vengono assunti i vincitori e gli idonei ma non vincitori
si collocano in queste graduatorie create dal MIUR) . Questa graduatoria veniva ogni due anni aggiornata in
base ai titoli che questi docenti ottenevano in base alle supplenze. Queste graduatorie presentavano dei
contrasti legati a contestazioni in ordine alle valutazioni dei titoli. A quale giudice bisognava ricorrere? Un
filone giurisprudenziale considerava competente il ga e uno il go entrambi basati su argomentazioni
ampiamente condivisibili. Il filone che sosteneva la competenza del ga che la considerava una procedura
concorsuale tendente all’assunzione nel pubblico impiego, ma anche una procedura che avviene alla fine di
una comparazione tra soggetti tra loro i competizione e c’è una controparte pubblica per questo eventuale
illegittimità possono essere fatte valere di fronte al ga in base ai 3 vizi di legittimità. L’ altro orientamento
radicava la giurisdizione in capo al go e fondava il suo ragionamento dicendo che non c’è una vera e propria
procedura concorsuale. Perché in caso di procedura concorsuale, quando c’è una competizione tra soggetti
posti sullo stesso piano è chiaro che può rilevare il vizio di violazione di legge o eccesso di potere. È chiaro
che il giudice rileva il vizio di eccesso di potere se la pa si è comportata in una maniera illogica causando una
disparità di trattamento ( valutando due titoli uguali in maniera differente).tutto questo vale in una vera e
propria procedura concorsuale che necessita che si sia un bando, la partecipazione, la vincita di uno e unna
proclamazione. Qui dice questo orientamento, non c’è una vero e proprio concorso pubblico ma c’è la
contestazione in ordine alla valutazione che una pa ha attribuito ad una mia posizione. L’azione della pa si
limita ad un attività mera, mente accertativa ( attività della pa si limita a fare al fronte a un diritto del docente
ad essere inserita in una graduatoria) non c’è un attività valutativa, in cui c’è un esercizio di potere
discrezionale. Quando il docente chiede che li sia valutato un titolo per salire in graduatoria l’attività della pa
è meramente matematica, meramente accertativa, deve fare un mero calcolo limitato alla verifica di
accertamento di un diritto del soggetto ad essere posizionato in una posizione migliore rispetto al passato. La
pa maschera sotto il profilo dell’attività valutativa discrezionale la lesione di un interesse legittimo. quando
c’è discrezionalità il vizio rileva nella figura sintomatica dell’eccesso di potere. Qui c’è una valutazione
diversa, la concorrenzialità tra due soggetti che ambiscono ad un posto e la pa deve valutare il migliore sulla
base di una valutazione discrezionale non meramente accertativa. Nel nostro caso non c’è nulla di valutativo
ma solo l’accertamento di un risultato numerico. Ci possono essere docenti nella stessa posizione, in questo
caso vince il più giovane. Quale orientamento ha vinto? Ha vinto l’orientamento a favore della giurisdizione
del go. La prof ha commentato la pronuncia scrivendo sussiste la giurisdizione del go in caso di
impugnazione di graduatorie permanenti del personale della scuola per l’accertamento del diritto al
collocamento in graduatoria del personale stesso. Questa frase ‘accertamento del diritto’ vi fa vedere come la
causa petendi sia mascherata nell’azione di mero accertamento. Adesso l’Adunanza Plenaria si sta
schierando su questa impostazione, la vittoria somma della causa petendi a volte mascherata. Un altro tema
interessante può essere la revoca di un beneficio economico all’attività imprenditoriale. Sapete che per
iniziare un attività imprenditoriale ci sono delle richieste di finanziamenti pubblici nazionali e
sovrannazionali. C’ è stato un periodo a seguito di un negativissimo periodo di crisi, c’è stata una rinascita
con tante leggi Salva Italia, Cresci Italia con tanti finanziamenti nazionali e europei. Il caso per cui fu
investita l’adunanza plenaria è quello in cui un soggetto ottiene un finanziamento pubblico per iniziare
l’attività imprenditoriale e nelle more della sua richiesta, quando la richiesta è accordata in via provvisoria, la
pa decide di revocare questo finanziamento. Vi ricordato cos’è il potere discrezionale? Consiste
nell’adozione del provvedimento più conveniente tra le soluzioni possibili ma che rispecchi alcuni parametri-
> an ( se adottare), quid (contenuto, oggetto),quando( quando dare), quomodo (come, i mezzi, gli strumenti
per arrivare alla soluzione migliore). Questi 4 parametri applicati a questa situazione per i finanziamenti
pubblici, dopo la pa ci ripensa e revoca perché ritiene che non siano più soddisfatti i parametri. Revoca dopo
che il finanziamento è stato autorizzato ma prima della stipula del contratto. Davanti a quale giudice vado?
Si può verificare anche la revoca successiva alla stipula del contratto, con il contratto l’imprenditore riceve la
somma e dall’altra parte l’ente finanziatore si aspetta l’adempimento da parte del soggetto cioè che osservi e
concluda nei termini l’attività si impresa. L’imprenditore deve rispettare degli oneri. In questo caso da quale
giudice si va? Il soggetto finanziatore revoca al soggetto finanziato il finanziamento per mancato
adempimento? Penso di avervi accennato prima la soluzione, perché il crinale,in questo caso, sia
rappresentato dalla stipula del contatto. Penso sia chiaro ma ci è voluta l’Adunanza Plenaria. Per entrambe le
vicende processuali ci sono stati come orientamenti valevoli, orientamenti contrastanti a favore di ga e go.
Per risolvere questi contrasti giurisprudenziali ci sono state due importanti pronunce, la n17 del 29 luglio
2013 e la n 6 del 29 gennaio 2014, ha risolto se vogliamo questo contrasto giurisprudenziale.

RIPRENDERE DA AMMINISTRATIVO 1: POTERE DISCREZIONALE E VINCOLATO ( potere


vincolato anche come potere della pa in relazione al quale si rilevano veri e propri diritti soggettivi es
procedimento inps per elargire la pensione che è un potere vincolato e di mero accertamento non c’è alcuna
valutazione discrezionale della pa di conseguenza non è richiesta un attività di partecipazione del privato ex
art 10 ( diritto dei partecipanti al procedimento) in quanto l’attività è meramente volta all’accertamento del
diritto una minima parte di dottrina e giurisprudenza richiedono necessaria anche al fronte di un attività
vincolata la partecipazione del privato, in questo caso non condivisibile per la prof, la partecipazione del
privato avrebbe valore nei limiti in cui il privato aiuti la pa nella migliore applicazione della norma
all’interno del caso do specie(collaborazione) , invece al fronte dell’attività vincolata è in dubbio che la
posizione del privato sia qualificabile come diritto soggettiva ecco perché rileva nel riparto di giurisdizione
la natura giuridica della situazione giuridica fatta valere. REVOCA.

Torniamo al caso analizzato dall’Adunanza Plenaria in tema di revoca di contenuti pubblici. Qualora la
controversia oggetto della revoca avvenisse in una fase prodromica ovvero in una fase successiva alla stipula
del contratto si considera la pronuncia n17/2013 il cui principio di diritto anche se non espressamente posto è
il seguente: ‘sussiste la giurisdizione del ga nel caso di impugnazione dell’atto di revoca di un beneficio
economico pubblico, quando essa sia disposta dopo la concessione provvisoria del finanziamento e
l’esercizio discrezionale del potere della pa’ cioè c’è la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in
cui il privato impugni l’atto di revoca, quando questa revoca è disposta dopo la concessione provvisoria del
finanziamento e per esercizio del potere discrezionale della pa. L’altra pronuncia la n6/2014 ha sancito
questo principio di diritto non espressamente: ‘ sussiste la giurisdizione del go nell’ipotesi in cui una pa
revochi il finanziamento già erogato al privato dimostratosi inadempiente delle obbligazioni assunte al fronte
della concessione del finanziamento’ quindi c’è un obbligo pattizio siglato con l’ente erogatore cioè
l’obbligo di acquistare del materiale, di iniziare l’attività di impresa, di assumere personale, di porre in essere
un’attività imprenditoriale che produca reddito. Il venir meno di una di queste situazioni rileva come un
inadempimento contrattuale che deriva da un attività paritetica della pa eun eventuale controversia può
essere conosciuto solo dal go in quanto si tratta di diritti soggettivi. Anche se qui si usi in maniera impropria
il termine revoca che potrebbe rappresentare la massima espressione del potere autoritativo della pa. Anche
se si utilizza il termine revoca non è l’istituto della revoca, ma il venir meno di obblighi pattizio che fa
radicare la giurisdizione in capo al go. Queste due pronuncie individuano la giurisdizione in base al momento
temporale in cui avviene la revoca, non si guarda l’istituto della revoca in se perché altrimenti in entrambi i
casi siccome c’è la revoca che è una manifestazione autoritativa del potere della pa la competenza è del ga.
Si guarda la situazione giuridica del privato a fronte del potere o della posizione paritaria della pa a seguito
di un contratto stipulato. Nel momento prodromico alla stipula del contratto c’è sicuramente una situazione
di interesse legittimo per colui che aspira ad ottenere il finanziamento dalla pa in relazione alla quale si pone
in una situazione di soggezione, soccombenza, appunto di interesse legittimo. Quindi la revoca, nel momento
prodromico la stipula del contratto fa radicare la controversia in capo al ga. Una volta che si stipula il
contratto, che segna lo spartiacque, il privato e la pa si pongono come due soggetti privati (attività paritetica,
contrattuale, di diritto privato) posti sullo stesso piano contrattuale. Ci sono degli obblighi assunti dal privato
e l’inadempimento rileva come un inadempimento contrattuale e la controversia sebbene mascherata da
revoca non è espressione di un potere autoritativo della pa ma espressione di un attività contrattuale della pa
e di conseguenza la giurisdizione del go.

Quindi giurisdizione del go per le graduatorie scolastiche ad esaurimento e per il mancato adempimento
degli obblighi contrattuali a seguito di un contratto di finanziamento erogato e ricevuto dal privato. Ga in
caso di revoca di benefici pubblici in un momento anteriore la stipula del contratto.

Analizziamo l’ultima fattispecie per chiudere la parte relativa alla giurisdizione e capire l’ importante ruolo
dell’adunanza plenaria in tema di giurisdizione. Ciò può essere molto determinante in quanto la
giurisdizione oggi è un ambito sul quale si può pronunciare il massimo organo della giurisdizione e ciò che
individua l’adunanza plenaria non è solo molto importante ma forma una vero e proprio precedente, un
vincolo rispetto al quale una qualsiasi diversa posizione ad opera della sezione semplice deve essere
congruamente motivata. La sezione semplice sapendo di avere questo vincolo dell’adunanza plenaria ci
penserà piu volte prima di discostarsene. Ciò si verifica da circa dieci anni , pochi rispetto alla funzione
nomofilattica della Corte di cassazione a sezione unite ,che è da sempre esistita ,mentre il vincolo del
precedente dell’ adunanza plenaria è molto recente (10 anni). Dunque in tema di giurisdizione, diventa
obbligatorio ciò che scaturisce l’adunanza plenaria perchè la sezione semplice prima di discostarsene dovrà
motivare e studiare il motivo per il quale non si sta uniformando a quel precedente alla stregua dei sistemi di
common law dove esistono questi vincoli del precedente importanti che evitano le così dette “macchie di
leopardo” . Abbiamo dunque questa funzione di nomofilachia che uniforma il sistema processuale e
l’impostazione da seguire evitando le “disparità di vedute”. In tema di giurisdizione per quanto riguarda il
nostro sistema di giurisdizione amministrativa un importante e nuovissimo ruolo lo sta assumendo
l’adunanza plenaria e di ciò dobbiamo essere grati perchè aiuta anche gli avvocati ( es: si presenta un cliente
che vuole fare ricorso perchè ha ottenuto un preavviso di 60 giorni a seguito di una revoca di un
finanziamento e deve restituire tutto ciò che ha ricevuto 4 anni fa e l avvocato deve sapere con esattezza se
presentare il ricorso al TAR o fare un atto di citazione per materia contrattuale. L’avvocato andrà a studiare
la giurisprudenza e quando vedrà che su un caso simile si è pronunciata l adunanza plenaria sarà certo di
cogliere nel segno).

L’ ultima materia di cui ci occupiamo è quanto statuito dall’ adunanza plenaria con la Sent. N. 28/20 lug/
2012. In questo caso il principio di diritto lo si legge virgolettato all’ interno della adunanza plenaria del
consiglio di stato prima del dispositivo ( essendo il dispositivo delle sentenze del GA molto stringato e fa
riferimento ad una decisione sintetica che si argomenta precedentemente e la sostanza la si ritrova tutta nel
breve disposto giurisdizionale ) . All’ interno della sentenza,sotto il profilo delle argomentazioni, si legge tra
virgolette il principio di diritto posto dal giudice : “ rientra nella giurisdizione esclusiva del GA la
controversia concernente l osservanza degli obblighi assunti dal privato nei confronti dell ente locale, in
connessione con l’assegnazione di aree comprese nel piano di zona volti alla realizzazione di opere di
urbanizzazione e alla cessione gratuita all ente delle aree stradali e dei servizi. In tale ambito è esperibile
dinanzi al detto giudice l azione di cui l’art. 2932 c.c. ”

Analizziamo il caso di specie : a seguito della legge n. 241/1990 che ha disciplinato un importante serie di
accordi, si sono tanto arricchiti i casi in cui anzichè provvedere attraverso l’esercizio di potere autoritativo, la
P.A per arrivare ad un risultato, al perseguimento di un pubblico interesse, ha preferito utilizzare i modi
privatistici, modi pattizzi e delle convenzioni ( strumenti di diritto privato,negoziali e pattizi) . Ciò sancisce
che la P.A e il privato convengano tra loro alcuni patti, alcune convenzioni. Nel caso di specie trattato
dall’adunanza plenaria, si trattava di un patto d’obbligo che impegnava il privato ( il creditore ) e la P.A
concendete (comune) a che il privato che aveva ricevuto dalla P.A ( comune) una concessione edilizia, un
permesso di costruire, un intervento edilizio importante e comunque un importante concessione ( atto amm;
provvedimento amm. ) aveva concluso a seguito di questo provvedimento un patto d’obbligo. Patto con il
quale il privato si impegnava a realizzare si l’intervento ma a concedere alla P.A ( comune) alcune
condizioni e cioè si impegnava a realizzare opere di urbanizzazione ( impianti di illuminazione a corredo di
questo impianto edilizio) , le fognature, i marciapiedi e si impegnava attraverso questo patto d’obbligo a
cedere gratuitamente all’ ente parte di questo intervento edilizio ( es: appartamento/ parte sottostante )
affinchè la P.A lo destinasse a dei servizi sociali ( es : scuole/ centri per anziani) . Quindi c’era da un lato
l’attribuzione da parte del privato di questo importante strumento edilizio che gli consentiva di realizzare una
costruzione,accessivo al provvedimento si siglava ad opera del privato concedente questo patto d’obbligo nel
quale il privato , a fronte del provvedimento amministrativo ricevuto, si obbligava a cedere gratuitamente
alle P.A una serie di servizi.

Nel nostro caso succede che a fronte di questo intervento edilizio, il privato si era dimostrato inadempiente
verso la realizzazione di alcuni di questi obblighi e allora la P.A si era vista costretta ad adire in giudizio il
privato per fargli rispettare l obbligo . Ci si chiede davanti a quale giudice la P.A convochi il privato e deve
ottenere l’adempimento di quegli obblighi contrattuali derivati dalla stipula di un patto d obbligo. Verrebbe
da pensare davanti ad un giudice ordinario, perche c’è il mancato adempimento di un obbligo.

Invece l’adunanza plenaria ci indica il GA esclusivo perchè,nonostante ci sia un patto d obbligo che
rispecchia un mondo privatistico negoziale che fa si che la situazione giuridica della P.A e del privato sia di
diritto soggettivo e di un onere di fronte al quale c’è la richiesta di adempimento , questo patto d’obbligo
tanto esiste in quanto c’è a monte l’esternazione di un potere altamente autoritativo e cioè l attribuzione di
un permesso di costruire , una concessione amm. rilevantissima in cui c’è sicuramente l’esercizio di un
potere autoritativo di fronte al quale c’è un interesse legittimo. Abbiamo diritto soggettivo da un lato,
interesse legittimo dall’altro e ciò fa si che siano tra di loro talmente legate che il GA massimo ( adunanza
plenaria ) nella sentenza citata si è trovato a sposare la tesi che preferiva la giurisdizione del GA.

Questa pronuncia è importante perchè risolve molti dibattiti giurisprudenziali che prima di esse c’erano stati;
l’aspetto importante qui è che in maniera straordinaria l’adunanza plenaria amplia i poteri che può garantire
il GA ma solo in sede di giurisdizione eslusiva potendo far propri i poteri incisivi del GO e difronte ad una
P.A che lamenta di non aver avuto l’adempimento da parte di un privato a seguito di una convenzione essa
può adire il GA che verifica la situazione e può addirittura condannare il privato ad adempiere a quell
obbligo ( massimo di tutela che può garantire il GA ). Il GA ad oggi ha questo importante potere decisorio
che gli permette di utilizzare quello che potrebbe fare solo il GO a fronte di un contratto non eseguito
attraverso una sentenza di condanna specifica ( art. 2932 c.c ) . Negli adempimenti che scaturiscono da questi
tipi di accordi,seppur una parte sia una parte pubblica , non c’è nessuna differenza perche in questo caso P.A
e il privato si stanno ponendo sullo stesso piano e solo nella giurisdizione esclusiva si puo avere un
inversione di ruoli ( P.A che cita in giudizio il privato ed è detentrice di una lesione della sua sfera giuridica
soggettiva di diritto contrattuale leso ). La P.A si comporta come un soggetto privato e va dal GA perche è l
unico giudice che puo conoscere una controversia dove non ci sia una distinzione netta tra interesse e diritto
ma c’è un nodo gordiano tra interesse legittimo e diritto soggettivo ( come si diceva nella sent. Corte
Cost.n.204 / 2004). Per questo nasce il giudice di diritto amministrativo esclusivo, perche ci sono materie in
cui non è facile distinguere materie del GA ( interesse legittimo) e materie del GO (diritto soggettivo).
La materia degli accordi, dei serviizi pubblici,dell’ edilizia, dell’ urbanistica sono materie nelle quali ci sono
intrecci e commistioni inestricabili tra diritto e interesse ed in questo caso in GA è per legge quello esclusivo.
In queste materie se non c’è commistione il GA si comporterà usando i suoi poteri decisori propri del GA in
sede di giurisdizione generale di legittimità, sicuramente non utilizzando l’art. 2932; se invece ci sarà una
lesione tranquilla e pacifica solo dei diritti soggettivi allora in questo caso,seppur la materia sia stata
attribuita al GA esclusivo, si andrà dal GA ordinario perche li non c’è l interesse a monte di un diritto
soggettivo a valle ma c’è una controversia solo in materia di diritti soggettivi .

Se non c’è l intreccio,anche se la materie è del GA esclusivo,si va dal GO se la controversia rileva solo
lesioni sotto il profilo dei diritti soggettivi. Nel nostro caso c’è commistione tra diritti e interessi.

Si chiude cosi il tema del riparto della giurisdizioni.

Precedentemente si è fatto riferimento alle sedi in cui opera il giudice amministrativo e si è visto come esso
operi in 3 sedi giurisdizionali.

Una di queste è la giurisdizione di legittimità ordinaria ( giurisdizione base in cui il GA conosce la lesione
degli interessi legittimi perchè oggetto del suo giudicato è il provvedimento amministrativo impugnato
perchè ritenuto effetto da vizi di legittimita coevi all’emanazione dell atto) . Il ricorrente impugna quindi un
atto amm. ravvisando vizi di legittimità davanti al GA chiedendo l’annullamento ( tipica azione per
rimuovere vizi coevi all emanazione dell atto) . Quindi il GA nella sua sede giurisdizionale generale di
legittimità è chiamato a conoscere la legittimità dell atto amministrativo e qualora ravvisi una sorta di
illegittimità può annullare l’atto ritenuto illegittimo. Ricordiamo che gli effetti che scaturiscono dall’
annullamento sono 3 :
1. Effetto cassatorio/ demolitorio con cui il giudice elimina l effetto giuridico prodotto dall atto
ritenuto illegittimo.
2. Effetto ripristinatorio della situazione giuridica quo ante che esisteva prima dell’emanazione
dell atto impugnato e annullato dal giudice. (effetto retroattivo di annullamento)
3. Effetto conformativo del giudicato secondo cui il giudice fornisce alla P.A una strada da
seguire per proseguire la sua attività. La P.A avrà l’obbligo di conformarsi al giudicato nella
sua successiva azione.
NB : mentre l effetto cassatorio e ripristinatorio sono a tutela satisfativa completa dell interesse
legittimo di tipo oppositivo (soggetto che ha una res e vorrebbe mantenerla) viceversa l effetto
demolitorio e ripristinatorio non tutela a pieno l interesse legittimo di tipo pretensivo ( colui che
chiede una res e richiede una concessione e un provvedimento che solo la P.A potrebbe dargli ) .
L’unico effetto che potrebbe soddisfare l’interesse legittimo pretensivo è l effetto conformativo.
Vedremo che il nostro codice del processo contiene al suo interno un azione satisfativa anche dell
interesse legittimo pretensivo ovvero l’azione di adempimento ( art. 34). Leggiamolo:

“ In caso di accoglimento del ricorso il giudice, nei limiti della domanda:

a) annulla in tutto o in parte il provvedimento impugnato;

b) ordina all'amministrazione, rimasta inerte, di provvedere entro un termine;


c) condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno,
all'adozidelle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e
dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell'articolo 2058 del codice civile.
L'azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata, nei limiti di cui
all'articolo 31, comma 3, contestualmente all'azione di annullamento del provvedimento di diniego o
all'azione avverso il silenzio; ”

in questo caso c’è una soddisfazione piena del titolare dell interesse legittimo pretensivo e ad oggi può adire
al giudice amm. che puo condannare la P.A secondo l.art 34 .

La sentenza continua : lettera d) nei casi di giurisdizione di merito adotta un nuovo atto,ovvero modifica o
riforma quello impugnato. Questa è una giurisdizione eccezionalissima che si ha raramente di ingerenza del
GA all interno del potere della P.A, cosa che è vietata per il principio della tripartizione dei poteri; in questo
caso il giudice lo può fare perchè all’ interno di un giudizio di ottemperanza.

Leggiamo anche la lettera e) dispone le misure idonee ad assicurare l'attuazione del giudicato e delle
pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta, che può avvenire anche in sede di
cognizione con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l'ottemperanza. Ma ciò che ci interessa è
che nei casi di giurisdizione di merito (giurisdizione eccezionale) il giudice in maniera eccezionalissima può
adottare lui stesso un nuovo atto di modifica e riforma di quello impugnato e ciò si fa in rarissimi casi di
ipotesi di giurisdizione di merito dove il giudice si ingerisce nei poteri della P.A o quando si ha il giudice di
ottemperanza del giudicato ( es : privato vince un ricorso ed ottiene la sentenza favorevole che deve essere
seguita dalla P.A, la P.A però non ottempera e il privato puo adire di nuovo al giudice amministrativo,anche
lo stesso che ha emanato la sentenza. Il GA nomina dunque un commissario ad acta che fa quello che
avrebbe dovuto fare la P.A ) . Questo è uno dei classici esempi di giurisdizione di merito. Il commissario ad
acta è la longa manus del giudice e solitamente un prefetto in pensione, e pone lui stesso l’atto al posto della
P.A per ordine del giudice che l’ha nominato in esecuzione di un giudicato rimasto inadempiuto. Dunque la
giurisdizione di merito è nell’ambito del giudizio di ottemperanza quando difronte ad una adempienza della
P.A il giudice nomina questo commissario che si sostituisce alla P.A. La dottrina e la giurisprudenza più
accreditata ritengono che il commissario ad acta abbia una natura amministrativa perche si pone al posto
della P.A e compie ciò che la P.A avrebbe dovuto fare.

L’azione principale a cui fare riferimento resta l’azione di annullamento (art.29) che il codice ci dice che si
afferma nel breve termine di 60 giorni. All’azione di annullamento fa da contraltare la sentenza di merito del
giudice di cui all art.34 lettera a) annulla in tutto o in parte il provvedimento. Proprio perchè ad ogni azione
ci deve essere una sentenza; all azione dell art.29 corrisponde la sentenza di merito del giudice e cioè art 34
(1comm. lettera a) . Abbiamo visto la scorsa volta che la pregiudizialità è uscita dalla porta e rientrata dalla
finestra e cioè anche se noi leggiamo che l’azione di condanna può essere proposta anche in via autonoma
rispetto all azione di annullamento, leggiamo poi all’ art30 dove il giudice nel determinare il risarcimento
valuta tutte le circostanze e i comportamenti delle parti e esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero
potuti evitare usando l’ordinaria diligenza e si è fatto capire come l’azione di annullamento sia comunque
richiesta perchè il giudice esclude il risarcimento. In questo caso il giudice esclude il risarcimento qualora il
privato non abbia preventivamente esperito gli strumenti di tutela previsti dall ordinamento ( azione di
annullamento ; misura cautelare) dunque la pregiudizialità c’è sebbene sembrava essere stata eliminata dall
art.30 (1 comma) ma è rientrata con l art.30 (3 comma) . In dottrina si è parlato di una pregiudiziabilita che
dal punto di vista processuale è venuta meno ma è rientrata dal punto di vista sostanziale.

Vediamo un altra azione ex art.31. L’art31. contiene due azioni importantissime :

-azione verso il silenzio


-azione declaratoria di nullità

Parliamo oggi della possibilità del giudice di emanare una sentenza con la quale dichiara la nullità di un
provvedimento amministrativo ( art.21 septies l.n 241/1990). Dunque l art. 31 l.104/2010 è da correlare all’
art 21septies l.n 241/1990. Ad oggi abbiamo finalmente codificate le ipotesi di atto nullo,non che prima non
si avesse lo stato viziato dell atto amministrativo; abbiamo detto tante volte che la nullità dell atto amm. è lo
stato viziato piu alto in cui può incorrere il provvedimento amministrativo. Il provvedimento nullo è un
provvedimento che non produce effetti in quanto la difformità tra fattispecie astratta e fattispecie concreta è
grandiosa perchè pensando al difetto assoluto di attribuzione il provvedimento nullo è quel provvedimento in
cui si contesta ab origine il conferimento del potere alla P.A ed è uno stato viziato importante e molto
rilevante perchè manca ab origine la legge che conferisce ad una P.A il potere di adottare un determinato
provvedimento.

Quando si contesta ab origine l attribuzione del potere vuol dire che a quella pubblica amministrazione
manca il potere di agire oppure ha un potere ma per un fine completamente diverso e c’è uno straripamento
di potere ( ES: quando la P.A invece di realizzare il fine di pubblica salute realizza il fine della difesa del
territorio) e dunque gli organi che operano all’interno di quella P.A agiscono in difetto assoluto di
competenza . Diversa è l’incompetenza relativa che si ha quando il pubblico potere è stato conferito in quell
ambito ma l’organo invece di esercitare il potere attrubito alla sua competenza va ad emanare un atto di
competenza di un altro organo della stessa branca della P.A (il potere c’è ma c’è una violazione delle regole
che ripartiscono la competenza) . Quando invece un organo compie un atto di un altro organo appartenente
ad un altra branca della P.A vuole dire che quell’organo sta agendo in difetto assoluto di attribuzione e viola
non solo la regola della competenza ma anche dell attribuzione e l’ atto sarà un atto nullo.

Questa è la carenza di potere in astratto : quando la P.A agisce senza che abbia in astratto il potere per
agire. Il vizio di carenza di potere è un vizio di creazione pretoria cioè di creazione giurisprudenziale cioè
(vedi primo capitolo del manuale) si è gia visto come dopo la nascita del giudice amministrativo si sancisce
questa regola del riparto delle giurisdizione basato sulla causa petendi a seguito del concordato
giurisprudenziale del 1930 e si sancisce che di fronte alla lesione di un interesse si andava davanti al GA a
cui si può chiedere solo l’annullamento e di fronte alla lesione di un diritto soggettivo si andava davanti al
GO a cui si può chiedere solo il risarcimento ma è stato detto come queste due giurisdizioni presentavano
delle differenze abissali tra loro. Chi può adire al GA? Solo chi riceve una lesione attuale,diretta e concreta
da parte di un provvedimento e cioè soltanto colui che riceve questa lesione dal provvedimento dal quale
scaturisce il suo interesse sostanziale a ricorrere ( interesse processuale) . Dunque il ricorso al GA può
avvenire solo da colui che ha la legittimazione ad agire che deriva dall’aver ricevuto una lesione
attuale,diretta e concreta dal provvedimento impugnato. Solo l’interessato ha questo tipo di legittimazione e
non un soggetto qualsiasi dell’ordinamento. I tempi dell’impugnativa sono molto brevi (60 giorni) per non
lasciare la P.A in bilico e garantire la certezza del diritto. Se così non fosse la P.A non sarebbe libera di
agire,adottare delle valutazioni ed esercitare in maniera serena il suo potere. Dunque il soggetto legittimato
ad agire è colui che subisce la lesione, i termini sono molto brevi, il GA è un giudice che è limitato nei suoi
poteri perchè tutto si parametra sull’atto amministrativo che è oggetto del suo giudizio quindi le sentenze che
lui pone sono sentenze che risentono di questo atto. Viceversa il giudizio ordinario è un giudizio che può
essere esperito da qualsiasi cittadino ( quisque de populo ) perchè è un giudizio che può limitarsi anche a
richiedere al giudice una sentenza che dichiari lo stato di fatto non per forza che costituisca qualcosa e che
produca un effetto giuridico. Il giudice ordinario può anche solo limitarsi a prendere atto di una situazione ed
emanare una sentenza dichiarativa, di accertamento. Di fronte ad una sentenza dichiarativa di accertamento
la legittimazione attiva puo essere estesa a qualunque soggetto dell ordinamento (quisque de populo) .
Dunque di fronte a questo nuovo giudice che era stato istutito per le controversie in cui fosse parte la P.A si è
pensato che il GA fosse l unico giudice competente a dirimere le controversie in cui fosse parte la P.A .
Come periodo storico siamo intorno agli anni ’30 quando viene sancito il principio della causa petendi e il
principio di equiparazione della fattispecie valida alla fattispecie invalida quanto a produzione di effetti
giuridici. Ma ciò che ha comportato che si svuotasse il contenuto e l’ ambito della giurisdizione del giudice
ordinario delle controversie in cui fosse parte la P.A è che si è detto “se c’è P.A non può esserci diritto
soggettivo ergo non ci può essere mai giurisdizione ordinaria” , allora con un importante creazione
giurisprudenziale la Corte di Cassazione a sezioni unite,con sentenze ancora molto richiamate e studiate e
rilevanti per il nostro sistema, si è inventata letteralmente il giudizio di carenza di potere. Cioè la Corte di
Cassazione per riappropriarsi di un minimo di giurisdizione allorchè ci fossero delle controversie in cui
facesse parte la P.A si è letteralmente inventata il giudizio di carenza di potere. Queste sentenze si ricordano
(dal nome del suo estensore) come “ sentenze Palazzo” del 1949 ed hanno fatto questo ragionamento in base
al quale qualora si contesta un potere che è attribuito dalla norma alla P.A agente,quindi c’è un potere
attribuito da una norma alla P.A ma questo potere viene esercitato scorrettamente è chiaro che si tratti di una
illegittimità amministrativa ed è certa la giurisdizione del giudice amministrativo, allorchè si contesta che
manca il potere ab origine alla P.A agente in quanto non c’è una legge che attribuisce questo potere alla P.A ,
l’ atto posto in essere è un atto affetto dal vizio di carenza di attribuzione ovvero difetto assoluto di
attribuzione ovvero dal vizio di incompetenza assoluta ed è chiaro che se non c’è la norma che attribuisce il
potere l’atto si presente come un atto inesistente,che non produce effetti e non ha neanche la parvenza di atto
( istituto dell inesistenza) e siccome si contesta l’inesistenza del potere in capo alla P.A agente,l’atto posto in
essere sarà un atto nullo e siccome l atto è nullo e non produce effetti ,la situazione giuridica soggettiva di
diritto rimane di diritto quindi si va dal GO. In questo modo la Corte di cassazione si è riappropriata di un po
di giurisdizione nelle controversie in cui ci fosse il privato da un lato e la P.A dall altro, una P.A senza potere
e in difetto assoluto di attribuzione,senza potere conferitole dalla norma. A queste sentenze del ’49 hanno
fatto seguito anche altre sentenze ; es: “sentenze Corasaniti” ( dal nome dell’estensore) che ha parlato di
diritti duri e indegradabili,cioè diritto che stanno all interno di un rapporto tra privato e P.A e si tratta di
diritti che hanno alla loro base un diritto costituzionale (es: diritto alla salute) quindi se il privato vanta un
diritto soggettivo che vede alla base un diritto costituzionalmente garantito si tratta di diritti indegradabili/
duri/ forti di fronte al quale non ci puo essere degradazione da diritto a interessi e anche se c’è il potere
questo potere si scontra contro un diritto forte/ indegradabile ergo la giurisdizione rimane quella del giudice
ordinario.

Si vede come nel tempo ci sono state tante sentenze della corte di cassazione che per riappropriarsi di un
ambito di giurisdizione nelle controversie in cui fosse parte la P.A che in teoria sarebbero state devolute tutte
al GA, si è inventata dei vizi che sono diventati in dottrina delle ipotesi di stati viziati gravi (inesistenza/
nullità) che nel tempo hanno avuto la loro codificazione nella l.n 241/1990 ma questa norma (art21septies) è
stata introdotta attraverso una modifica della legge 241/1990 ad opera della legge n.15/2005. Ci sono voluti
tanti anni dopo i quali il capo IV bis della legge 241/1990 (quello che comprende l art.21bis / art 21.nonies)
ha positivizzato un concetto e regole che sono sempre esistite e non sono nate nel 2005; dallo stato assoluto
allo stato di diritto la P.A ha sempre adottato un potere esecutivo e noi abbiamo sempre saputo cosa si
intendesse per esecutorietà/ esecutività grazie alle pronunce del GA e alla dottrina che sistemava questi
concetti. Nel 2005 questo concetto viene positivizzato,viene positivizzata una regola giurisprudenziale fatta
propria della dottrina e positivizzata dopo tanto dal legislatore cosi come è avvenuto per il codice del
processo amministrativo ( solo nel 2010 c’è stato il primo codice perche sulla base di tanta giurisprudenza
accumulata nel tempo si sono avuti poi dei principi che hanno avuto una positivizzazione molto embrionale
per noi costringere troppo l’attivita della P.A ) . Questo per dire che il problema della nullità è antichissimo,
classico della storia della giustizia amministrativa italiana e ci fa vedere come il giudice ordinario sia
intervenuto di gran solerzia e abbia individuato un ambito di giurisdizione delle controversie cui fosse parte
la P.A ma residuasse la giurisdizione forte del GO.
NB: Se durante l’esame viene chiesto il caso della nullità bisogna parlare prima della norma (art21septies),
della sua genesi e della sua formulazione giurisprudenziale e poi della norma così come prevista dalla
l.n.241/1990 e come terza parte della nullità processuale.

Dopo questo ricordo molto veloce a livello giurisprudenziale vediamo cosa ci dice oggi la norma codificata
nella l.241/1990 perchè in questo caso il legislatore ha positivizzato altri casi che a livello giurisprudenziale
travisavano la nullita dell’atto.

Cioè : l’atto che manca di elementi essenziali , il legislatore ha voluto copiare il diritto privato e il codice
civile ( contratto nullo perchè manca di elementi essenziali) ma a differenza del contratto non si sanno quali
sono gli elementi essenziali del provvedimento, viene lasciato ampio margine di inventiva della
giurisprudenza,della dottrina e dei manuali di diritto amministrativo. Non c’è dunque nessuna norma che ci
indica quali sono gli elementi essenziali e di volta in volta il riempiemento di contenuti è dato dalla
giurisprudenza e dalla dottrina.

Ed ancora l’atto che è viziato dal difetto assoluto di attribuzione , cioè l atto che manca in radice della
norma che attribuisca il potere. Ipotesi piu verificabile rispetto alla mancanza di elementi essenziali. Esiste
una carenza di potere in astratto che è un ipotesi di scuola,che non si verifica mai ed è ad esempio: il rettore
che impone sanzioni corporali agli studenti . Ipotesi che non potrebbe mai accedere e l’atto è senz’altro
inesistente e non potrebbe mai produrre effetti. C’è poi una seconda ipotesi più verificabile : soggetto che
lavora all interno del ministero dell università che pone in essere un provvedimento in materia di trasporti
oppure un ministero dei trasporti che effettua un decreto di espropriazione di un area all interno di un
comune. C’è un travalicamento di attribuzioni tra un plesso organizzativo e l’altro; ab origine entrambi i due
ministeri hanno l’attribuzione ma c’è un prevaricamento di attribuzione da una all’altra struttura.

Altro è invece l’ipotesi di carenza di potere in concreto che secondo Massimo Severo Giannini non
esiste,esiste per un altro studioso. Massimo Severo Giannini e Sandulli studiavano questo vizio e dicevano
che in concreto possono succedere dell ipotesi . es: decreto di esproprio che viene attuato senza il
presupposto di pubblica utilità. E’ un presupposto indefettibile . Oppure si pensi ad un organo collegiale che
deliberi in mancanza del quorum deliberativo ed in questo caso succede secondo Massimo Severo Giannini
il potere c’è per tutte e due le situazioni poi però oggettivamente manca un preossupposto come se il potere
fosse malamente esercitato; anche per l’organo collegiale c’è il potere di deliberare ma la mancanza del
quorum costitutivo deliberativo fa si che il potere sia malamente esercitato. Anche se il potere in entrambe le
ipotesi c’è, il fatto che manchi il presupposto indifettibile/indispensabile e necessario fa si che nella
fattispecie concreta è come se il potere non ci fosse ecco perche Sandulli si è inventato l istituto della carenza
di potere in concreto: anche se in astratto il potere c’è, la mancanza di un presupposto soggettivo fa si che è
come se in concreto il potere non ci fosse e non si potesse esercitare. Con la carenza del potere in concreto
Sandulli ha considerato questo atto come un atto non produttivo di effetti.

1° SEMINARIO - 14 NOVEMBRE 2020

In questa prima parte ci occuperemo di tutta l’evoluzione storica che va dal 1923 fino al codice del processo
amministrativo, nella seconda parte ci concentreremo sulla sentenza 500/1999 della Cassazione a sezioni
unite che segna un cambio di rotta netto per quanto riguarda la risarcibilità dell’interesse legittimo e poi nella
terza parte sugli interessi procedimentali.

-La Giurisdizione esclusiva dal suo assetto tradizionale:


Il G.A. (giudice amministrativo) nasce come una costola dell’amministrazione, i suoi poteri erano
differenziati rispetto al giudice ordinario e lo sono ancora, in realtà man mano le riforme hanno determinato
un ampliamento delle funzioni del G.A. rispetto a quello che è l’assetto tradizionale.

Importante è stato il periodo della riforma del 1923, una riforma coincisa con il decreto n.2840, con il quale
si è cambiato rotta cercando di selezionare alcune materie che fossero destinate alla giurisdizione esclusiva
del G.A. Perché? Il G.A. nasce come giudice generale di legittimità ovvero la sua cognizione si limitava
all’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo. Quindi il g.a. nasce come giudice generale di
legittimità e quindi l’azione principale era ed è ritenuta l’azione di annullamento. L’azione di annullamento è
prevista dall’art. 29 del c.p.a. ed è proprio l’azione più importante esperibile davanti al g.a. fin dalla nascita
dello stesso. Nel tempo però le cose sono cambiate e da un g.a. che è solo giudice generale di legittimità, e
anche come tipo di giudizio, il giudizio generale di legittimità è affiancato dalla giurisdizione nel merito ma
a questa nel 1923 si affianca una nuova giurisdizione, ma in realtà per i riformatori non rappresentava un
terzo genere ma era un tipo di giurisdizione (quella esclusiva) che si poneva tra la giurisdizione generale di
legittimità e quella di merito. Quasi a completamente della stessa.

Cosa si dice in quel periodo? (attenzione siamo nel 1923 e il decreto è n.2840) Cosa succede? Ci sono delle
situazioni giuridiche soggettive che non possono essere tutelate, nel migliore dei modi, se la giurisdizione
venga affidata al g.o. e anche se la giurisdizione permane al g.a. ma senza che questo abbia una cognizione
piena.

Quindi nel 1923 a fronte di quella riforma si diceva che ci fosse un terzo genere di giurisdizione ma che
quella giurisdizione dovesse coprire lo spazio non coperto dalla giurisdizione di merito e dalla giurisdizione
generale di legittimità ma conferire quelle materie al g.o. Perché? Perché il g.o. per sua conoscenza e per sua
formazione non poteva sicuramente occuparsi delle esigenze rappresentate da un controllo che doveva
estendersi anche all’atto amministrativo. Perché pensate, per esperire un’azione in determinate materia
poteva rivolgersi ad entrambi i giudici: al g.a. nella sua funzione di legittimità dell’atto e quindi un giudice
che annulla l’atto amministrativo e poi rinvia il rapporto sul caso concreto al g.o. Vi rendete conto che sia a
livello di costi e sia a livello di tempi non poteva essere possibile che bisognava rivolgersi a 2 giurisdizioni
distinte per ottenere una tutela piena, quindi 2 giudici diversi. Ci sono materie in cui poi non si può
prescindere dal sindacato unico e si riteneva che fosse necessaria una giurisdizione piena proprio del g.a. e
così nasce la giurisdizione esclusiva. Una giurisdizione esclusiva che confluisce nel regio decreto n. 1054 del
1924. Che andiamo a prendere insieme all’art. 29. Tale decreto è il T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato,
cosa dice l’art. 29? “sono attribuiti all’esclusiva giurisdizione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale”
quindi rendetevi conto di come per la prima volta si fa riferimento in una legge quali siano le materie
destinate alla giurisdizione esclusiva. Tra queste la più importante è quella del pubblico impiego, infatti,
l’art. 29 si apre proprio con i “ricorsi relativi al rapporto d’impiego prodotti dagli impiegati dello stato,
degli enti o istituti pubblici sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dell’amministrazione centrale dello
Stato”. Con l’art. 29 si inseriscono una serie di controversie destinate alla giurisdizione piena del g.a. che
coincidono un po’ con quelle già devolute alla giurisdizione di merito ma la precisazione ulteriore che viene
fatta dal T.U. (quindi dal regio decreto) è nell’art. 30 che dice “Nelle materie deferite alla esclusiva
giurisdizione del Consiglio di Stato, questo conosce anche di tutte le questioni relative a diritti.” Quindi per
la prima volta non si fa riferimento solo agli intessi legittimi (quale situazione giuridica soggettiva tutelata
dal sindacato del giudice amministrativo) ma si fa riferimento anche ai diritti soggettivi.

Perché io devo assolutamente chiarire la notizia di interesse legittimo? Perché in questo caso noi ci rendiamo
conto del fatto che si parla di INTERESSI e di DIRITTI, ma cosa sono gli interessi legittimi? È la situazione
giuridica di vantaggio che ha il privato in ordine a un bene della vita oggetto del provvedimento
amministrativo. Perché? Perchè l’interesse legittimo nasce con il procedimento e con il provvedimento
amministrativo, prima di questo non c’è un interesse legittimo. Una vostra collega ha parlato di
“degradazione del diritto soggettivo”, notate che la teoria della degradazione è una teoria importante ossia
“teoria dell’affievolimento”, in realtà abbiamo superato questa distinzione che vuole l’interesse legittimo
come degradazione del diritto soggettivo. In realtà è proprio una situazione giuridica soggettiva a parte, è una
situazione giuridica di vantaggio che il privato ha in ordine a un bene della vita oggetto del provvedimento
amministrativo. Quindi c’è sempre un provvedimento amministrativo al quale ci riferiamo. E in cosa consiste
l’interesse legittimo? Nell’attribuzione al soggetto titolare di questa situazione giuridica di vantaggio di poter
influire sul corretto esercizio del potere. Quindi l’essere titolare di una situazione di vantaggio come
l’interesse legittimo dà al privato una serie di poteri proprio come quello di avere interesse di rivolgersi al
g.a., di poter esperire più di un’azione, perché come sapete oggi ci sono più azioni esperibili davanti al g.a.

L’interesse legittimo è una situazione soggettiva che da dei poteri, non è solo pretesa di qualcosa nella p.a.
ma c’è anche la conservazione della situazione giuridica soggettiva. Quindi gli interessi legittimi sono di 2
tipi: oppositivi e pretensivi.

La novità del T.U. è rappresentata proprio dal fatto di aver elencato, l’art.29 io non ve lo leggo tutto ma l’art.
29 era una vera e propria elencazione specifica di tutte le materie in cui il g.a. aveva una cognizione piena e
quindi aveva giurisdizione esclusiva in sede giurisdizionale. Come vi ho anticipato la materia più importante
è proprio quella del pubblico impiego, all’art. 29 c1 n.1 del regio decreto 1054 del 1924. Ma l’altra novità è
proprio quella di aver previsto, all’art. 30, che la giurisdizione piena potesse estendersi alle questioni relative
ai diritti e non solo agli interessi. Riscontrate la stessa cosa in una norma più attuale? Ad oggi il riferimento
agli interessi legittimi e diritti soggettivi c’è nell’art. 7 del c.p.a.

Cosa succede? Io faccio un salto temporale però nel 1924 non c’era ancora la Cost., con l’avvento della carta
cost. con l’art 24 interessi legittimi e diritti soggettivi vengono posti sullo stesso piano e non solo, viene
anche prevista la giurisdizione del giudice amministrativo. Numerose sono state le evoluzioni
giurisprudenziali ma ad oggi io ritengo che la normativa più importante per poter ripercorrere l’evoluzione
della giurisdizione esclusiva sia da rinvenire negli artt: 33-34-35 del d.lgs 80 del 1998 così come modificato
in seguito dalla legge 205 del 2000. Perché mi concentro su questo? Con gli artt. 33-34-35 si è consacrata la
giurisdizione esclusiva del g.a. Cosa succede? Nel 1993 il pubblico impiego (notate che è l’unica cui ho fatto
riferimento nonostante non fosse l’unica materia lasciata alla giurisdizione esclusiva del g.a.,) passa dal g.a.
al g.o. in funzione del giudice del lavoro. Tutt’oggi infatti la materia del pubblico impiego è materia del g.o.
Una volta spogliato il g.a. di quella che sicuramente era la materia più importante (notate, la scelta che è stata
compiuta è “conferiamo al giudice amministrativo alcune materie in cui abbia una cognizione piena” sono
certamente materie specifiche e materie cui non è possibile distinguere diritti da interessi oppure sono
materie in cui diritti e interessi sono caratterizzati da una commistione forte da non poter essere superata).
Affidare la materia del pubblico impiego indicava sicuramente conferire al giudice amministrativo tutte
quelle questioni che sono legate a un rapporto di impiego pubblico su cui la p.a. ha certamente già
conoscenza. Conferire la materia del pubblico impiego al g.o. rappresentava spogliare il g.a. di questa
giurisdizione piena. Cosa si fa? Il pubblico impiego viene conferito al g.o. e con il decreto legislativo
80/1998 le materie vengono devolute al g.a. E quali sono queste materie? Semplifichiamo: pubblici servizi,
edilizia e urbanistica

Pubblici servizi  art.33. Cosa si intende per servizi pubblici? Sono devoluti alla giurisdizione esclusiva del
g.a. tutte le controversie in materia di pubblici servizi. L’art.33 non conferisce una definizione di pubblico
servizio, ma sono gli esperti a definirlo. In realtà si tratta di una mera elencazione, si fa riferimento a una
nozione ampia di servizi pubblici. La ragione per cui si sceglie ciò è dovuta anche a una nozione francese di
pubblici servizi che include tutte le attività svolte dalla collettività a fini di interessi generali. Quindi non c’è
una precisazione fatta nell’art. 33 si fa solo riferimento alla materia dei pubblici servizi in termini generici.
Non solo, a militare in favore di questa nozione ampia è anche l’adunanza generale con un parere n.30 del
1998 ma non solo, anche l’adunanza plenaria con una pronuncia, la n. 1 del 2000 nella quale si dice proprio
che la scelta fatta dal legislatore sia quella di richiamare un concetto indeterminato ed elastico di servizio
pubblico, una nozione di servizio pubblico polisenso, la scelta viene fatta proprio dalla consapevolezza che
in Francia si era fatto riferimento alla nozione di servizio pubblico proprio intesa in questo modo molto
elastico, includendo tutte le attività svolte dalla collettività a fini di interessi generali. Questa è la nozione di
servizio pubblico che viene accolta. L’art.33 (di cui vi ho già letto una prima parte) sottolinea che sono
devolute tutte le controversie in materia di pubblici servizi ivi compresi quelli riguardanti: la vigilanza sul
credito, sulle assicurazioni e sul mercato immobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle
telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 481/1995. Si fa poi un’elencazione delle controversie cui si
riferisce in particolare. Quindi l’art. 33 continua poi con un’elencazione che vuole essere esaustiva ma non
sempre ci riesce proprio perché manca una definizione di servizio pubblico. Dopo ci occuperemo di quali
sono i cambiamenti fatti all’art. 33.

Art.34. “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a. le controversie aventi per oggetto gli atti, i
provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in
materia di urbanistica e di edilizia”. Molti studiosi si sono inventati che si potesse pure riferire alle
espropriazioni per pubblica utilità, proprio nell’ambito della materia edilizia.

Qual è la novità sicuramente più grande compiuta da questo conferimento di materie alla giurisdizione
esclusiva del g.a.? È l’art. 35 e dice “il g.a. nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva
dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto”. Quindi
si ottiene anche il risarcimento del danno in forma specifica per le situazioni giuridiche soggettive per cui si
ritiene ci sia stata una lesione e per le quali ci si rivolge al g.a. Qual è l’obiettivo? Il conseguimento concreto
di un’utilità o di un bene. Infatti, si agisce in giudizio per il conseguimento concreto di un’utilità o di un bene
(reintegrazione in forma specifica). Quindi l’art 35 dispone che, nelle materie devolute alla giurisdizione
esclusiva (ricordate siamo sempre in una scelta fatta proprio sulla base di una elencazione esemplificativa e
non tassativa di materie che vengono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo) non
solo si può adire il g.a. e si può ottenere una tutela che è più vicina a una tutela piena che si otteneva e si
ottiene davanti al g.o., ma vi è di più si può anche conseguire un’utilità concreta o un bene per il quale si
agisce in giudizio. È questa la novità dell’art. 35. E non solo, aumentano i poteri istruttori del g.a., infatti
all’art 35 c.3 si fa riferimento proprio ai poteri istruttori, “il g.a. nelle controversie di cui al comma 1 (cioè a
quelle controversie che sono devolute alla giurisdizione esclusiva) può disporre l’assunzione dei mezzi di
prova previsti da c.p.c., nonché della consulenza tecnica d’ufficio escluso l’interrogatorio formale e il
giuramento” cosa si fa? Finalmente il sindacato del g.a. è un sindacato effettivo sul fatto e si concentra sulla
questione concreta oggetto del giudizio. Rendetevi conto del fatto che per la prima volta venga nominata la
consulenza tecnica d’ufficio. Se sui mezzi di prova si fa un mero rinvio, come potete notare “l’assunzione dei
mezzi di prova previsti dal c.p.c.” la consulenza tecnica è strumentale proprio all’accertamento del fatto.

Piccolo chiarimento  sia nella giurisdizione del g.o. e sia del g.a. da questo momento in poi per le materie
di giurisdizione esclusiva e poi vedremo cosa succede nel c.p.a., estendono i mezzi istruttori a dei mezzi che
sono necessari all’accertamento del fatto. Ve lo semplifico, il giudice inevitabilmente per sua formazione, è
una formazione che non ha la possibilità di conoscere tutti i fatti in maniera analitica. Es. davanti al g.o. si
utilizza lo strumento della consulenza tecnica d’ufficio per il conferimento di assegni d invalidità, quindi il
riconoscimento dell’invalidità, per i ricorsi per ottenere la 104. Tutte queste questioni vengono solitamente
affidate ad una perizia che deve essere effettuata da un consulente tecnico d’ufficio. Il consulente è un
medico che deve accertare la percentuale di invalidità presentata dal soggetto e ovviamente la sua attività è
un’attività analitica finalizzata alla conoscenza del fatto, nel caso di specie conoscere delle eventuali
invalidità per poter conferire benefici come quello della 104. Ovviamente in questo caso l’attività del giudice
sarà più semplicemente constatare la puntualità della perizia fatta dal consulente tecnico che ha più
conoscenza del giudice nelle questioni mediche. Questa cosa vale per il g.a., e riferita al settore
dell’urbanistica e dell’edilizia significa poter rivolgere a persone specializzate un controllo più attento in
modo che il suo giudizio sia più preciso. Per tale ragione sulla base dell’art. 35 comma 3 ci si avvale di
strumenti che permettono un effettivo sindacato del g.a. sul fatto.

Per quanto riguarda l’evoluzione della giurisdizione esclusiva io voglio anche fare riferimento a un
importante, prima di giungere ai giorni nostri, nel 1971 con la legge 1034 ossia la legge TAR, la legge
istitutiva dei tribunali amministrativi regionali. All’art. 5 “Sono devoluti alla competenza dei tribunali
amministrativi regionali i ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni
pubblici o di servizi pubblici.” Questo articolo viene abrogato con l’art.33 comma 3 con il decreto legislativo
80 del 1998. Ed è per quello che nell’art. 33 noi facciamo riferimento ai soli servizi pubblici. Io vi ho detto
che gli step fondamentali nell’evoluzione della giurisdizione esclusiva del g.a. sono 3 e sono:

1. La riforma del 1923


2. Il decreto legislativo 80 del 1998 con gli articoli 33-34-35 (mi raccomando ricordateli)
3. …

Cosa succede? L’evoluzione giurisprudenziale va di pari passo con l’evoluzione sociale e con il
conferimento di poteri ulteriori al g.a. Cosa succede? Che nel 1999 c’è una sentenza storica (di cui ci
occuperemo) che comincia a muovere la questione legata alla risarcibilità dei danni per lesione a un interesse
legittimo. A questa si affianca in seguito la sentenza della corte cost. 204 del 2004 che modifica gli artt. 33-
34 del decreto legislativo 80 del 1998. Cosa succede? Che la corte cost. con la sentenza 204/2004 dichiara
l’illegittimità cost. del comma 1 dell’art. 33 nella parte in cui prevede che “sono devolute alla giurisdizione
esclusiva del g.a. tutte le controversie in materia di pubblici servizi anziché le controversie in materie di
pubblici servizi relativi a concessioni di pubblici servizi escluse quelle concernenti indennità o altri
corrispettivi, ovvero relativi a provvedimenti adottati dalla p.a. o dal gestore di un pubblico servizio in un
procedimento amministrativo”. La corte cost. riduce lo spazio di cognizione del g.a. modificando proprio il
c.1 dell’art.33 la cui forma è proprio quella che vi ho pronunciato.

Stessa cosa viene fatta all’art.34, la corte cost. dichiara l’illegittimità cost. del c.1 dell’art 34 nella parte in cui
prevede “che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a. le controversie avente per oggetto gli atti,
provvedimenti e i comportamenti anziché gli atti e i provvedimenti della p.a. e dei soggetti alle stesse
equiparati in materia di urbanistica e edilizia”.

Questo è l’importantissimo apporto della sentenza 204/2004 e quando in seguito ci occuperemo della
sentenza 500/1999 comprenderete le scelte compiute con la sentenza 204/2004.

Ultimo step, 1923 la riforma, 1998 con le modifiche ad opera della legge 205/2000 e della illegittimità cost.
dichiarata dalla sentenza 204/2004, arriviamo al processo amministrativo. Il c.p.a. si occupa della
giurisdizione esclusiva all’art.7 comma 3 si sottolinea che “La giurisdizione amministrativa si articola in
giurisdizione generale di legittimità, esclusiva ed estesa al merito.” Questa è la svolta più grande perché
prima la giurisdizione esclusiva si va ad inserire tra giurisdizione generale di legittimità e la giurisdizione di
merito senza rappresentare un terzo genere, poi comincia a prendere (con l’aumento dei poteri istruttori dei
giudici, con la cognizione in determinate materie) si giunge al c.p.a. (decreto legislativo 104/2010) che
prevede 3 tipi di giurisdizioni. Per poter giungere a questo risultato potete notare bene quanto lavoro è stato
necessario.

Si tratta di una giurisdizione amministrativa che all’art. 133 del c.p.a. enuncia tutte le materie devolute alla
giurisdizione esclusiva. Non si tratta di un’elencazione tassativa ma è indicativa in quanto ci potrebbero
essere ulteriori previsioni di legge più specifiche. Ovviamente la tassatività di questa elencazione è diversa
rispetto a quella delle precedenti, perché comunque qui vengono analizzate tutte le materie che sono devolute
alla giurisdizione del g.a. anche se la legge può prevedere diversamente. Vi dico le più importanti:
 Risarcimento del danno ingiusto
 Formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento
amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni  avete studiato gli accordi art. 11 e
15 della legge 241/1990
 Le controversie in materia di nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o
elusione del giudicato  cosa vi ricorda questo? Nella legge 241/1990 l’art 21 septies
 Le materie relative ai servizi pubblici sono di competenza esclusiva del g.a.  io vi ho letto prima la
modifica che ha apportato la sentenza della corte cost. 204/2004 al d.lgs 80/1998, e qui proprio
nell’art. 133 c.1 lettera c troviamo che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a. “le
controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle
concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla
pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo,
ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei
confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato
mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica
utilità;” questo rinvia alle modifiche delle sentenza 204/2004.
 Le controversie relative a procedure:
1. di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture;
2. relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture;
 Le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in
materia urbanistica e edilizia
 Le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti,
riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche
amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità.

Quindi quali sono stati i passi compiuti nel raggiungimento della giurisdizione esclusiva intesa come
giurisdizione piena del g.a. Innanzitutto, la giurisdizione esclusiva si ritiene essere, soprattutto in dottrina,
una tappa per la costruzione di una situazione giuridica soggettiva del cittadino nei confronti della p.a. al pari
del diritto soggettivo. Quindi l’interesse legittimo cui abbiamo fatto riferimento. In più, la giurisdizione
esclusiva doveva andare a coprire dei territori che sono interconnessi tra diritti soggettivi e interessi
legittimi.

Spesso si parla di un rapporto con la p.a. come un rapporto tra soggetti non posti in situazioni di parità,
proprio perché la p.a. è finalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico mentre il privato e portatore di
interessi privati, egoistici. Pertanto, l’interesse legittimo è l’interesse del privato in relazione a un bene della
vita, è una posizione giuridica di vantaggio che conferisce al privato dei poteri idonei ad influire sul corretto
esercizio del potere. Perché faccio riferimento alla nozione di interesse legittimo? Con la giurisdizione
esclusiva qual è il passo in avanti che si compie? Conferire una sede in cui il privato sia tutelato nella stessa
maniera in cui verrebbe tutelato davanti al g.o.

Cos’è la giurisdizione piena? Una giurisdizione che non si limita a un giudizio generale di legittimità, non si
limita a una mera azione di annullamento. Perché? Il g.a. è si preordinato alla verifica della correttezza
formale e sostanziale dell’esercizio della funzione amministrativa ma questa rappresenta una fase del
giudizio amministrativo di giurisdizione esclusiva. Poi, accanto al corretto esercizio della funzione
amministrativa ci deve essere anche il controllo sulla fondatezza della pretesa del ricorrente in giudizio.

N.b. in giustizia amministrativa si parla sempre di ricorrente, perché il giudizio amministrativo si apre
proprio con la presentazione di un ricorso. Quindi le parti del giudizio amministrativo sono il ricorrente e il
resistente (di frequente è la p.a.).
Quando io parlo di giurisdizione piena del g.a., oggi, io faccio riferimento al fatto che dinanzi al g.a. possono
essere esperite un buon numero di azioni. Quali sono le azioni che conoscete?

- Annullamento (art 29 c.p.a.)


- Azione di condanna (art 30 c.p.a.)
- Azione avverso il silenzio
- Declaratoria di nullità

Queste sono le azioni esperibili oggi dinanzi al g.a. Ma questa è una conquista compiuta anche grazie ad una
importantissima sentenza della corte di Cassazione a sezioni unite, la sentenza 500/1999. Una questione
analizzata dalla giurisprudenza negli anni è quella legata alla risarcibilità degli interessi legittimi. La
giurisprudenza era pietrificata dinanzi al considerare gli interessi legittimi come delle situazioni giuridiche
risarcibili. In realtà la valutazione compiuta fino ad allora dalla giurisprudenza era collegata al fatto che
potesse essere tutelato il diritto soggettivo ma non l’interesse legittimo dal punto di vista della risarcibilità.
L’azione per il risarcimento danni da lesione di interesse legittimo può essere esperita davanti a quale
giudice? Voi dite il giudice amministrativo. Però quello che voi date per assodato non è stato così semplice.
Voi oggi date per scontato che il giudice amministrativo per il risarcimento danni da lesione di interesse
legittimo ed è assolutamente corretto nel 2020.

In realtà prima della sentenza 500 del 1999, innanzitutto l’interesse legittimo non era neppure ritenuto una
situazione giuridica soggettiva risarcibile. Il muro a cui io faccio riferimento è la giurisprudenza pietrificata a
cui la stessa sentenza 500 del ’99 si riferisce e si concentra sul fatto che gli interessi legittimi non fossero
proprio situazioni giuridiche risarcibili. Pensate quale fosse l’approccio nel passato nei confronti
dell’interesse legittimo. Già nel 1984 il professor Follieri parlava dell’interesse legittimo come di una
situazione giuridica risarcibile, ma faceva una grande differenza fra gli interessi legittimi oppositivi e gli
interessi legittimi pretensivi, parlando di situazioni giuridiche soggettive oltremodo protette le une e non
protette le altre. In realtà la giurisprudenza, fino alla sentenza 500 del ’99, era concentrata sul fatto che non
fosse risarcibile l’interesse legittimo. E quali sono le ragioni per cui la giurisprudenza militava a favore
dell’irrisarcibilità?

Innanzi tutto, mancava allora una norma che prevedeva la risarcibilità e poi non era previsto un giudice
che la tutelasse. Inoltre si faceva riferimento al fatto che non ci fosse una posizione sostanziale rilevante
proprio nel considerare il rapporto con la PA. Perché la giurisprudenza era pietrificata? Allora con il decreto
legislativo 104 del 2010 viene sancita la possibilità di un’azione di risarcimento del danno di lesione di
interesse legittimo all’art. 30 c. 3, ma non è stato sempre così. A quest’articolo di somma importanza per il
processo amministrativo, si è giunti dopo una giurisprudenza pietrificata che riteneva non possibile esperire
un’azione risarcitoria nei confronti della PA che stava esercitando un potere autoritativo, sottolineando
inoltre che non ci fosse una norma che lo prevedeva. Questo è il punto dal quale si parte.

-Sentenza n. 500 del 1999:

Cosa dice la sentenza 500 e perché è così importante? Vi richiamerò alcuni punti della sentenza che dovete
tenere bene a mente. Vi riporto giusto le cose che ritengo essere più importanti per il vostro studio e che
dovete tenere assolutamente a mente nel percorso che va dalla giurisprudenza pietrificata fino al codice del
processo amministrativo.

La sent. 500 a Cassazione Sezioni Unite sottolinea che: “Ripercorrendo la giurisprudenza della Suprema
Corte può constatarsi che il principio dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi si è formato e consolidato
con il concorso di due elementi. L’uno di carattere formale, l’altro di carattere sostanziale. Innanzitutto,
l’assetto del sistema del riparto di giurisdizione nei confronti degli atti della pubblica amministrazione tra
giudice ordinario e giudice amministrativo, incentrato sulla dicotomia tra diritto soggettivo ed interesse
legittimo e caratterizzato dalle attribuzioni, ai due giudici, di diverse tecniche di tutela. Il giudice
amministrativo che conosce degli interessi legittimi può soltanto annullare l’atto lesivo dell’interesse
legittimo, ma non può pronunciare condanna al risarcimento in relazioni ad eventuali conseguenze
patrimoniali dannose dell’esercizio illegittimo della funzione pubblica; mentre il giudice ordinario non può
conoscere degli interessi legittimi” – E poi altra ragione che milita in favore dell’irrisarcibilità – “La
tradizionale interpretazione dell’art. 2043 cc, nel senso che costituisce danno ingiusto soltanto la lesione di
un diritto soggettivo, sul rilievo che l’ingiustizia del danno, che l’art. 2043 cc assume quale componente
essenziale della fattispecie della responsabilità civile, va intesa nella duplice accezione di danno prodotto
non iure e contra ius. Ovvero, non iure nel senso che il fatto produttivo del danno non debba essere
altrimenti giustificato dall’ordinamento giuridico, contra ius nel senso che il fatto debba ledere una
situazione riconosciuta e garantita dall’ordinamento medesimo nella forma del diritto soggettivo perfetto”.

Qual è il punto sul quale ci si concentra? La tradizionale interpretazione dell’art. 2043 milita in favore del
fatto che non basta che sia leso un interesse legittimo, ma occorre che l’attività illegittima della PA leda un
bene della vita e quindi nella forma del diritto soggettivo perfetto. Questo è il punto sul quale si concentra
la giurisprudenza, abbiamo detto, essere pietrificata. Quali sono i passi in avanti che vengono fatti?

Le scelte in favore della risarcibilità vanno da pronunce che cominciano a concentrarsi sul fatto che vada
riconosciuta la risarcibilità della lesione di una posizione (in questo caso interesse legittimo), effetto
dell’esercizio illegittimo di poteri privati. Poi, sotto la spinta dell’ordinamento comunitario e di seguito per
comportamenti dolosi da parte dei funzionari che integravano delle circostanze di reato, oppure per interessi
legittimi oppositivi. Quindi i primi passi in avanti nei confronti della risarcibilità, vengono proprio per
l’interesse legittimo oppositivo e non pretensivo. Il professor Follieri parla infatti dell’interesse legittimo
oppositivo, come un interesse legittimo oltremodo protetto, creando quasi una disparità di trattamento
rispetto all’interesse legittimo pretensivo. E la sentenza 500 si concentra proprio su questa distinzione,
chiarendo che: “Per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, potrà ravvisarsi un danno ingiusto, nel
sacrificio all’interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio, conseguente all’esercizio
illegittimo del potere, così confermando il risultato al quale si perviene nel precedente orientamento.
Qualora il detto interesse sia tutelato nelle forme del diritto soggettivo, ma ampliandone la portata
nell’ipotesi in cui si è fatta forma di tutela piena non sia ravvisabile, tuttavia l’interesse risulti
giuridicamente rilevante nei sensi sopra indicati”.

Questo significa che per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, potrà ravvisarsi un danno
ingiusto proprio nel sacrificio all’interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio,
conseguente all’esercizio illegittimo del potere, con esercizio illegittimo del potere ci riferiamo alla verifica
della correttezza formale e sostanziale dell’esercizio della funzione amministrativa, ergo azione di
annullamento, giurisdizione generale di legittimità. Circa gli interessi legittimi pretensivi, l’approccio è
completamente diverso, perché in questo caso “la lesione si configura in caso di illegittimo diniego del
richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, in questo caso si dovrà vagliare la
consistenza della protezione che l’ordinamento riserva alle istanze di ampliamento della sfera giuridica del
pretendente.” Cosa si fa? Si procede ad un giudizio prognostico, si dice, che si basa sull’affidamento che il
privato riponeva nell’esito positivo del procedimento amministrativo. Quindi se questi interessi si
considerano in tal modo, essi devono e possono essere sicuramente tutelato nella stessa maniera, quindi al
pari le due situazioni giuridiche soggettive.

L’interesse legittimo è la posizione giuridica di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene


della vita oggetto di un provvedimento amministrativo. Esso emerge nel momento in cui l’interesse del
privato ad ottenere (pretensivo) o a conservare (oppositivo) un bene della vita, si confronta con il potere della
PA, quindi con il potere di soddisfare l’interesse o di sacrificarlo. L’approccio che viene dato dalla sentenza
500 è proprio di cambiare la considerazione che si ha dell’art. 2043 cc. Cosa dice la sentenza: “La lesione
dell’interesse legittimo è condizione necessaria ma non sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria ex art.
2043, perché occorre che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e colpevole della PA, l’interesse al
bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla e che il detto interesse risulti meritevole di tutela alla
luce dell’ordinamento positivo”. Quindi da quella che è l’interpretazione dell’art. 2043, nel caso di specie,
non ci deve essere una mera violazione, ma in seguito all’attività illegittima della PA, una lesione
dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si collega. Quindi ampliando l’interpretazione di
tale articolo, si possono inserire gli interessi legittimi nell’alveo delle situazioni giuridiche soggettive
risarcibili.

La situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo nasce come una situazione giuridica soggettiva di
interesse personale che si confronta con un interesse pubblico, l’attività della PA è sempre finalizzata al
perseguimento del pubblico interesse. Io pretendo ad esempio che mi rilasci, la PA, il permesso di costruire.
Se il mio bene della vita, correlato con questo interesse legittimo, viene leso, è possibile esperire un’azione
risarcitoria. Si ravvisa un danno ingiusto nel sacrificio dell’interesse alla conservazione del bene quando mi è
stato privato l’utilizzo e la proprietà di un terreno, ed esempio, per la costruzione di una scuola, ma attraverso
un illegittimo esercizio del potere. In questo caso non solo chiedo che venga annullato il provvedimento
amministrativo, ma anche un ristoro per la lesione del mio interesse: in questo caso l’interesse legittimo, che
si compone di questo bene della vita, è collegato proprio all’espropriazione. Per gli interessi legittimi
pretensivi, invece, la lesione si configura nel caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di
ingiustificato ritardo nella sua adozione. In questo caso bisogna fare un giudizio prognostico. In quest’ambito
io non ho un bene della vita e si deve valutare l’affidamento che il privato a riposto nel legittimo esercizio
dell’attività amministrativa, per valutare se fosse possibile o meno chiedere il risarcimento del danno da
lesione di interesse legittimo pretensivo. Noi dobbiamo valutate sempre che la PA si stia comportando il
modo legittimo. Cosa ho detto in apertura? Che la giurisdizione esclusiva del ga non debba solo valutare la
correttezza formale e sostanziale, ma anche la fondatezza della pretesa risarcitoria del ricorrente. E’ normale
che si debba valutare prima la legittimità della lezione amministrativa, una volta valutata quella, si deve
valutare che la pretesa del ricorrente sia fondata. Nel periodo storico in cui non c’era la risarcibilità,
l’interesse legittimo non era considerata una situazione giuridica risarcibile, anche perché non c’era una
norma che prevedesse la sua risarcibilità. Tuttavia, se si dovesse considerare l’interpretazione dell’art. 2043,
si considerava risarcibile solo l’interesse legittimo oppositivo, proprio perché la lesione doveva riguardare il
bene della vita. Ma l’interpretazione fatta dalla sentenza 500 costituisce un’altra visione e dice qualcosa in
più, che nell’ambito dell’interesse legittimo pretensivo bisogna fare un giudizio prognostico e valutare
l’affidamento del privato nei confronti dell’esito positivo del procedimento amministrativo.

Sulla base di questo discorso, seppur è stata ampliata la portata risarcitoria dell’azione, la si è correlata ad
un’azione di annullamento. Dato che l’azione risarcitoria deve essere preceduta prima dalla valutazione della
correttezza formale e sostanziale dell’azione amministrativa e quindi deve essere preceduta da un’azione di
annullamento, solo dopo si può valutare la fondatezza della pretesa risarcitoria. C’è una sorta di
pregiudizialità amministrativa, per esperire l’azione di risarcimento del danno per lesione di interesse
legittimo, bisogna prima esperire un’azione di annullamento. La sentenza come si conclude quindi? Il
giudice per il risarcimento danni per lesione di interesse legittimo è quello amministrativo o quello
ordinario? È stato scelto il giudice ordinario. Questo è stato sicuramente il grande errore, ma già per l’epoca
è stata una conquista. Comunque questa sentenza ha retto pochissimo tempo, si è subito chiarita la portata
dell’azione risarcitoria ed il nuovo ruolo del giudice amministrativo nell’ambito di questa. Questa sentenza
dice che “Rispetto al giudizio che può svolgersi dinanzi al giudice ordinario non sembra ravvisabile la
necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento. Questa è stata infatti in passato costantemente
affermata per l’evidente ragione che solo in tal modo, si perveniva all’emersione del diritto soggettivo,
quindi all’accesso alla tutela risarcitoria ex articolo 2043 riservata ai soli diritti soggettivi e non può quindi
trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, che svincola la responsabilità aquiliana dal
necessario riferimento alla lesione di un diritto soggettivo. L’autonomia tra le due giurisdizioni risulta
ancora più netta ove si consideri il diverso ambito dei giudizi ed in particolare l’applicazione da parte del
giudice ordinario di un criterio di mutazione della responsabilità non correlato alla mera illegittimità del
provvedimento, bensì ad una più complessa valutazione estesa all’accertamento della colpa dell’azione
amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto”.

Questa è la conclusione a cui perviene la Cassazione con la sentenza 500, cioè: dinanzi al giudice
amministrativo era necessario esperire la pregiudiziale azione di annullamento, invece dinanzi al giudice
ordinario no. E soprattutto non c’è più la necessaria pregiudizialità dell’azione di annullamento perché
cambia l’interpretazione dell’art. 2043, che non è più riservato ai soli diritti soggettivi. Quindi, per
riassumere, la sentenza 500 del 1999, abbatte il muro dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi.

Il giudice ordinario conosceva dell’azione risarcitoria. Il giudizio davanti al giudice amministrativo


determinava che ci fosse pregiudizialmente l’esperimento di un’azione di annullamento, cioè
dall’interpretazione stringente dell’art. 2043 si era dedotto che non si poteva ottenere un risarcimento dei
danni se prima l’interesse legittimo non fosse tornato (rientrato) e quindi ritornata ad esistere il diritto
soggettivo; la sentenza infatti dice: questa (la pregiudizialità) è stata infatti in passato costantemente
affermata per l’evidente ragione che solo in tal modo, si perveniva all’emersione del diritto soggettivo.
Secondo un’idea della dottrina il diritto soggettivo, di fronte al potere della PA, degradava ad interesse
legittimo. Questo “degradare” rende l’interesse legittimo una situazione giuridica irrisarcibile, perché il 2043
non gli si riferisce direttamente. La giurisprudenza pietrificata si era proprio concentrata sul fatto che non
esisteva una norma di diritto positivo che prevedesse la risarcibilità dell’interesse legittimo e quindi
bisognava: far emergere il diritto soggettivo annullando il provvedimento amministrativo illegittimo. Quindi
si va prima dal giudice amministrativo per chiedere l’annullamento dell’atto e dopodiché, ottenuto
l’annullamento, dal giudice ordinario per ottenere la tutela risarcitoria, in quanto non siamo più titolati di un
interesse legittimo, ma di un diritto soggettivo. Invece dinanzi al giudice ordinario, secondo questa nuova
impostazione emersa dalla sentenza 500 che amplia l’interpretazione dell’art. 2043, valuta proprio la
risarcibilità dell’interesse legittimo: per l’interesse legittimo oppositivo si ravvisa il danno ingiusto nel
sacrificio all’interessa alla conservazione ecc, per l’interesse legittimo pretensivo si ravvisa il danno
guardando all’affidamento che il privato a riposto nell’esito positivo del procedimento amministrativo
attraverso il giudizio prognostico. Il giudice ordinario si occupa quindi solo dell’azione risarcitoria, anche
con riferimento all’interesse legittimo che è rimasto “degradato” e non è emerso il diritto soggettivo; dinanzi
non è più necessaria la pregiudiziale azione di annullamento. La scelta che viene compiuta è di far rientrare
l’interesse legittimo nella responsabilità aquiliana ex art. 2043 e viene data la possibilità di risarcire anche
l’interesse legittimo, senza far emergere il diritto soggettivo e quindi esperire l’azione di annullamento. La
giurisprudenza pietrificata precedente considerava l’interessa legittimo irrisarcibile, se non in casi
eccezionali, ad esempio nei casi in cui ci fosse un illegittimo esercizio del potere dei privati nell’ambito di un
rapporto di lavoro con un ente pubblico economico. Sulla base della visione comunitaria c’erano delle
piccole aperture, ma non si è mai ritenuto che la categoria interesse legittimo fosse risarcibile, bisognava far
emergere il diritto soggettivo tramite una preventiva azione di annullamento, per poi chiedere il risarcimento
ma del diritto soggettivo appunto, non dell’interesse legittimo.

Tuttavia questa sentenza ha retto pochissimo. Dapprima la legge 205 del 2000 va a modificare gli artt. 33, 34
e 35 del d. lgs. 80 del 1998, che fanno riferimento al fatto che il giudice amministrativo, nelle controversie
devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, del
potere di risarcimento del danno ingiusto. E poi arriva la sentenza 204 del 2004, che chiarendo in vari punti
gli artt. 33 e 34, afferma che giudice è il giudice amministrativo. La sentenza 500 abbatte il muro della
irrisarcibilità conferendo al giudice ordinario la risarcibilità degli interessi legittimi; viene poi superata dalla
legge 205 e dalla sentenza 204 della Corte Costituzionale che, mantenendo questa linea di pensiero, si
orientano verso la risarcibilità degli interessi legittimi, con pregiudiziale esperimento dell’azione di
annullamento, per poi arrivare al Codice del processo amministrativo con l’art. 30, che sancisce la
risarcibilità dei danni da lesione interessi legittimi e prevede al comma 3: “La domanda di risarcimento per
lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal
giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva
direttamente da questo”.

Con questo articolo si prevede innanzitutto un termine molto più breve rispetto ai termini dinanzi al giudice
ordinario e nonostante si sia pensato che tale articolo liberasse l’azione risarcitoria dalla preventiva azione di
annullamento, il legame tra le due è costante, perché al comma 5 c’è scritto: nel caso in cui sia proposta
azione di annullamento, la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o comunque
sino a 120 giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza. C’è una sorta di pregiudizialità
mascherata, quindi quasi mai l’azione risarcitoria è autonoma, anche se lo prevede, in alcuni casi, l’art. 30
al primo comma.

-Gli interessi procedimentali

Completiamo il nostro iter sulla giurisdizione esclusiva, facendo riferimento ad una situazione giuridica
soggettiva: l’interesse procedimentale. Gli interessi procedimentali rappresentano un tertium genus, ovvero
distinti sia dall’interesse legittimo che dal diritto soggettivo. L’interesse procedimentale è una situazione
giuridica soggettiva su cui il professor Follieri si è concentrato nel lontano 1984. Ricostruendo la nozione di
interesse legittimo, il professore si accorge che questo si compone di due anime, si compone di un interesse
sostanziale ed un interesse alla legittimità dell’azione amministrativa. Quando l’interesse alla legittimità
dell’azione amministrativa viene scisso dall’interesse al bene della vita (int. sostanziale), non è più interesse
legittimo, ma interesse meramente procedimentale. Gli interessi procedimentali vengono soddisfatti dal
rispetto da parte della PA delle regole imposte all’esercizio della funzione amministrativa. Queste regole
vengono dalla legge 241 del 1990. Ad esempio all’art. 2 viene sancito che la PA sia chiamata a concludere il
procedimento amministrativo nel termine di 30 giorni. Se il procedimento non viene concluso entro questo
termine, esso può essere comunque concluso con un provvedimento assolutamente legittimo, ma sorge un
interesse procedimentale (o meramente procedimentale), perché la PA non si è attenuta alle regole
procedimentali e al rispetto del termine. La violazione delle regole procedimentali, che rileva proprio in
presenza dell’esercizio del potere discrezionale della PA, si dice che manterrebbe integra l’influenza
sull’illegittimità del provvedimento amministrativo a condizione che vi sia stato un sacrifico dell’interesse.
Un interesse procedimentale può essere l’interesse a partecipare al procedimento amministrativo, ad accedere
ai documenti in possesso della PA (art. 22 e seguenti), a che venga prestata attenzione alle osservazioni che
vengono fatte, ad ottenere la conclusione del procedimento amministrativo in maniera tempestiva e senza
ulteriori aggravamenti, a vedere motivata l’eventuale decisione negativa (art. 3 l. 241). Quando ad esempio
chiedo l’accesso ai documenti amministrativi deve essere rispettato l’iter previsto, cioè bisogna verificare se
c’è un interesse diretto, attuale e concreto del richiedente, bisogna rispettare i termini e se i tempi non
vengono rispettati, ci si trova dinanzi dei vizi della gestione del procedimento amministrativo. Vizi che
non hanno un’influenza diretta sulla regolarità dei rapporti tra l’amministrazione e i privati e non possono
essere considerati come dei meri vizi formali. La legge 241 del ’90 ha previsto delle regole procedimentali
che la PA deve rispettare, perchè? Esse sono state poste a garanzia del privato di modo che nel rapporto con
la PA il privato non sia in una posizione di inferiorità. Il privato si trova dinanzi la PA, che esercita un potere
pubblico e persegue un pubblico interesse, un potere che è discrezionale e se non ci fossero delle regole
procedimentali nette, la PA potrebbe esercitare la sua discrezionalità in modo anche dannoso nei confronti
del privato. Il mancato rispetto delle regole procedimentali, non determina dei semplici vizi formali, sono
vizi procedimentali, appunto. Secondo alcuni, gli interessi procedimentali, sono addirittura tutelati in via
autonoma, perché nell’ambito di un procedimento amministrativo che mette a confronto PA e privati, c’è una
sorta di contatto qualificato tra le due parti, il rapporto è bilaterale. Questo contatto, determina che nel
privato ci sia non solo una mera aspettativa a che la PA si comporti in una determinata materia, ma un
oggettivo affidamento nei confronti del suo operato. Se si apre un procedimento amministrativo, io sono
convinta che la PA rispetti le regole procedimentali, che vi sia legittimità dell’azione amministrativa, che
prescinde dalla sicura acquisizione del bene della vita, prescinde completamente dall’interesse legittimo in
sé. La violazione di regole procedimentali da la possibilità al privato di esperire un’azione autonoma rispetto
a quella che riguarda la lesione dell’interesse legittimo, ad es. l’azione risarcitoria. Ancora una volta è la
sentenza 500 del ’99 a chiarire il punto e viene richiamata da un’importante sentenza del TAR Bari, il quale
si occupava di un’attività discrezionale riguardante la rinnovazione di una gara e la fissazione di nuovi criteri
di valutazione, che dice che l’oggettivo affidamento del privato nei confronti di un provvedimento
favorevole, è legato anche al fatto che ci sia un affidamento ingenerato dal rapporto tra la PA e il privato.
Giurisprudenza e dottrina hanno parlato di un contatto qualificato tra PA e privato, che prescinde
dall’acquisizione del bene della vita. Pertanto il privato può esperire un’azione autonoma. Si è parlato ad
esempio, nell’ambito della legge 59 del 1997, di un indennizzo automatico e forfettario.

Tenete ben a mente l’art. 2 bis della l. 241 rubricato “Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione
nella conclusione del procedimento”:
1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del
danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento.

1-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei
concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di
parte, per il quale sussiste l'obbligo di pronunziarsi, l'istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il
mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un
regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal caso le
somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento.

Al comma 1 bis viene previsto il cd. danno da ritardo, viene risarcito il mero ritardo nella conclusione del
procedimento amministrativo. Questa è la consacrazione di una tutela autonoma degli interessi
procedimentali a cui ho fatto riferimento fino ad ora. È una vera è propria responsabilità per la PA. Può
essere corrisposto un indennizzo, le cui somme sono detratte dal risarcimento, perché può essere poi esperita
un’azione per il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo e le somme che si sono anticipate,
per indennizzo appunto, devono essere detratte.

Per concludere, scelta di evitare che ci fosse un’azione risarcitoria per lesione di interesse legittimo, era
dovuta a ragioni di mera opportunità, cioè evitare che la PA dovesse sostenere le spese del risarcimento. È
ovvio se considerate che il GA nasce dalla costola della PA, non prevedere l’azione risarcitoria era proprio
dovuto a ragioni di economia. Poi, man mano la giurisdizione si è trasformata da giurisdizione sull’atto a
giurisdizione sul rapporto, si è soffermata sulla possibilità di esperire un’azione risarcitoria, il giudice
amministrativo diventa giudice avente giurisdizione esclusiva e l’ampliamento dei poteri ha comportato
l’introduzione del risarcimento anche per l’interesse legittimo, non conferita al GO ma al GA. Si è cercato di
abbattere le distanze tra PA e privato e di garantire a quest’ultimo tutte le tutele possibili.

LEZIONE DEL 19/11

Prima dell’emanazione del codice del processo amministrativo, l’unica azione tipica per cui era stato istituito
il giudice amministrativo era l’azione di annullamento, la quale poteva essere esercitata per tutelare la
propria situazione giuridica soggettiva lesa dalla pubblica amministrazione. Successivamente, con
l’introduzione del codice, sono state individuate delle altre azioni tipiche, contenute negli articoli 30 e 31, e
delle azioni atipiche, riconosciute dall’articolo 34 il quale, oggi, permette al ricorrente di disporre di tutte le
misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio.
Partendo dall’analisi delle azioni tipiche, bisogna ricordare che, all’interno dell’art 31 del codice del
processo amministrativo, sono disciplinate due tipi di azioni ( le azioni sono ciò che può chiedere il
ricorrente al giudice amministrativo per tutelare la sua situazione giuridica soggettiva lesa, soprattutto la
spettanza al suo bene della vita): azione declaratoria di nullità e azione avverso silenzio. L’azione
declaratoria di nullità è disciplinata dall’articolo 31 quarto come ed è un’azione che deve necessariamente
essere esercitata dinanzi ad un giudice amministrativo: ciò significa che qualora un ricorrente che si sentisse
leso da un provvedimento nullo nella sua situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo, dovrebbe
proporre questa azione dinanzi al giudice amministrativo. Quanto detto potrebbe sembrare del tutto insolito
in quanto un provvedimento è nullo non è idoneo a produrre effetti giuridici e, non essendo idoneo a
produrre effetti giuridici, non ha capacità degradatoria: pertanto, la situazione giuridica soggettiva di diritto
soggettivo non si trasforma in interesse legittimo, ma rimane diritto soggettivo. A questo punto, potrebbe
sembrare straordinariamente innovativa la tipizzazione di un’azione declaratoria di nullità dinanzi al giudice
amministrativo per bene due motivi. Innanzitutto, se, come detto, un provvedimento è nullo e non ha
capacità degradatoria, non può trasformare una situazione giuridica soggettiva di diritto in interesse
legittimo: questo comportava, in passato, che qualora un soggetto fosse stato leso nella sua situazione
giuridica soggettiva di diritto, doveva necessariamente far valere le sue pretese dinanzi al giudice ordinario e
non davanti al giudice amministrativo. A cambiare questo orientamento, è intervenuto il recepimento di
alcune pronunce del giudice amministrativo, le quali hanno positivizzato una giurisprudenza amministrativa,
per la verità non molto diffusa, che richiedeva l’introduzione di un’azione di accertamento della nullità anche
in capo al giudice amministrativo. Infatti, con queste pronunce, il giudice amministrativo si è dichiarato
giudice competente a fronte di atto nullo lesivo di una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo
(es. un soggetto, vantando un interesse legittimo pretensivo, impugna un’autorizzazione commerciale
rilasciata ad un concorrente perchè priva di elementi essenziali richiesti da un soggetto dell’amministrazione
provinciale). L’altro motivo per cui potrebbe sembrare straordinariamente innovativa la tipizzazione di
un’azione declaratoria di nullità dinanzi al giudice amministrativo è perché, in passato, un vizio grave del
provvedimento amministrativo come la nullità o l’inesistenza ( il concetto di inesistente è nato ad opera della
giurisprudenza creativa della Corte di Cassazione nel 1949; la corte per accaparrarsi un ambito di
giurisdizione nelle controversie tra la PA e i privati ha coniato il vizio di carenza di potere in base al quale un
provvedimento amministrativo risulta viziato in maniera grave ed è quindi inesistente se emanato da un
soggetto privo del potere amministrativo conferito dalla norma) poteva essere accertato e sanzionato
solamente dal giudice ordinario, adito mediante l’azione dichiarativa di accertamento della nullità o
dell’inesistenza. Alla luce di quanto detto sinora, si può sicuramente affermare che, in passato, non vi era una
netta dissomiglianza tra il concetto di inesistenza e il concetto di nullità, sebbene iniziassero a farsi avanti
degli orientamenti dottrinali volti a differenziare questi due concetti: una parte della dottrina, infatti,
sosteneva che un provvedimento nullo dava comunque una parvenza di atto amministrativo, mentre un
provvedimento inesistente non aveva proprio alcuna ragione di essere. In particolar modo, l’istituto della
nullità dell’atto amministrativo venne elaborato e apparve per la prima volta in due pronunce
importantissime, quelle del 29 febbraio 1992 n.1 e 2, emanate dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
Il caso di specie trattato in queste due pronunce riguardava una professionista indipendente che aveva
prestato per tanti anni attività di dattilografa presso i ministeri sulla base di contratti di prestazioni d’opera
rinnovati anno per anno. Dopo varie proroghe di questo contratto di lavoro autonomo, la professionista
rivendicò la prestazione di un lavoro di subordinazione all’interno della pubblica amministrativa e richiese di
essere assunta a tempo indeterminato in quanto anch’essa poteva essere qualificata come una vera
dipendente pubblica a tutti gli effetti. L’amministrazione rispose rigettando la sua richiesta, la quale venne
poi riproposta al TAR e al Consiglio di stato. Anch’essi rigettarono la richiesta della professionista, ma fu
attraverso questi vari gradi di giudizio che la giurisprudenza amministrativa elaborò l’istituto della nullità
dell’atto amministrativo. Essa, infatti, affermò che la richiesta rivolta alla PA non poteva essere accolta in
quanto mancante di uno degli elementi essenziali per l’immissione al pubblico impiego, ossia l’espletamento
di un pubblico concorso. Il giudice amministrativo, in questo caso, mantenne la sua giurisdizione ritenendo
che si trattasse di materia di pubblico impiego e coniò così l’istituto della nullità del provvedimento, oggi
disciplinato dall’articolo 21 septies. Questo articolo, quindi, si configura come una summa di vari dicta
espressi dai vari giudici, ordinari e amministrativi che hanno portato all’elaborazione di vari casi di nullità: il
primo caso di nullità è sicuramente il difetto di attribuzione, proprio delle sentenza del giudice
amministrativo; poi la mancanza di elementi essenziali dell’atto amministrativo; poi gli altri casi previsti
dalla legge; ed infine l’ulitmo caso di nullità si ha nel caso di un atto posto in essere dalla PA violando in
tutto o eludendo un precedente giudicato amministrativo. Pertanto, si può concludere che è stato
positivizzato, nel nostro ordinamento, l’istituto della nullità e ciò è importante perché, alla base di tutto il
discorso relativo all’azione processuale di declaratoria di nullità, bisognerà sempre partire dall’articolo 21
septies per capire prima quali sono le ipotesi di nullità dell’atto per poi vedere qual è l’aspetto processuale
condensato nell’articolo 31 quarto comma. Questo comma disciplina quanto segue: “La domanda volta
all'accertamento delle nullità – sempre e soltanto di un atto amministrativo- previste dalla legge – articolo
21 septies - si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni – e non il termine prescrizionale
dei 10 anni previsto nei processi civili! - . La nullità dell'atto può sempre essere opposta dalla parte
resistente – PA - o essere rilevata d'ufficio dal giudice. Le disposizioni del presente comma non si applicano
alle nullità di cui all'articolo 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I
del Libro IV”. In questo articolo, viene messo in crisi il principio della parità delle parti riconosciuto
dall’articolo 2 del codice del processo amministrativo perché sono previsti tre termini diversi per il privato-
ricorrente, per la PA-resistente, la quale può presentare sempre opposizione essendo quest’ultima
imprescrittibile, e per il giudice. Anche, nella parte finale, vi è un ulteriore termine perché afferma che per le
nullità degli atti amministrativi in violazione o elusione del giudicato, il termine è di prescrizione ed è fissato
in dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza.

Fino ad adesso abbiamo parlato dell’azione declaratoria di nullità dinanzi al g.a.


Passiamo ora all’altra azione quella che è maggiormente procedimentalizzata nell’art 31 cpa e anche qui si fa
riferimento al diritto amministrativo sostanziale.
Leggiamo ora l’art 31 comma 1,2 e 3  azione avverso il silenzio (andatevi a rivedere l’istituto del silenzio
e quindi art 2  silenzio inadempimento e l’art 20  silenzio assenzo o silenzio diniego che rappresenta un
silenzio significativo cioè la p.a. attribuisce un senso a quel silenzio. Ad es in materia di accesso agli atti,
quando la norma dice “ se la p.a. non risponde entro 30 giorni la domanda si intende non accolta” in questo
caso io non vado dal giudice a dire “voglio che la p.a. mi risponda” perché io la risposta gia ce l’ho la
risposta è stata di rigetto. Quando invece la norma dice “decorsi 30 giorni per il rilascio del permesso di
costruire la domanda si intende accolta” io non ho motivo di andare dal giudice perche il silenzio della p.a.
ha gia un significato e cioè che la domanda presentata verrà accolta decorsi i 30 giorni anche di fronte al
silenzio della p.a.)
Posso rivolgermi al giudice quando non sono soddisfatto del significato del silenzio cioè “chiedo l’accesso
agli atti, decorrono 30 giorni e la p.a. non mi risponde , la domanda si intende rigettata allora in questo caso
mi rivolgo al giudice per chiedere che la p.a. mi risponda in maniera chiara e quindi esercito l’azione avverso
il silenzio di cui all’art 31 perché la p.a. ha violato l’obbligo di provvedere ai sensi dell’art 2.
L’art 2 riduce i tempi di attesa quando il privato deve avere dei provvedimenti amministrativi dalla p.a.
E stato introdotto anche un comma importante, il primo comma dell’art 2 che permette alla p.a. di concludere
il procedimento in forma semplificata qualora la domanda sia infondata facendo semplicemente riferimento
al punto di fatto e di diritto che legittima la p.a a non avviare proprio un procedimento (ad es. l’istanza per
ottenere un permesso a costruire presentata da parte di un soggetto che non ha nemmeno il terreno).
Il secondo comma dice che il termine ordinatorio è di 30 giorni salvo la previsione di termini diversi.
I commi 3-4-5 prevedono termini diversi.
L’art 12 comma 1 della legge 120/2020 ha introdotto nella l.241/90 l’art 4 bis che permette alla p.a. di
misurare la loro celerità, efficienza per poter dire ad es che i termini previsti per legge sono X e le p.a.
possono misurare i procedimenti svolti e parametrarli con i termini previsti dalla legge come per dire “sono
una p.a. efficiente, me ne vanto e pubblico questo risultato nel sito della p.a. nella sezione amministrazione
trasparente.
Il 2° comma dell’art 4 bis dice che bisogna prevedere delle modalità per la misurazione delle performance
per garantire una maggiore uniformazione tra le pa (si attende però il decreto del presidente del consiglio dei
ministri).
Tornando all’art 2 quando la pa non conclude il procedimento entro un termine previsto dalla legge vi è una
chiara violazione di questo articolo (art 2)
Art 2 comma 8 dice che le controversie tra p.a. e privato che ravvisano una violazione dell’obbligo di
provvedere devono essere tutelate dal codice del processo amministrativo. Qui c’è l’interferenza di un
organo speciale che è la corte dei conti a cui vengono trasmesse le sentenze passate in giudicato che
accolgono il ricorso presentato contro il silenzio inadempimento della p.a.
Si fa riferimento alle sent che accertano la violazione dell’art2 da parte della p.a. perche aveva l’obbligo di
provvedere e non ha provveduto .
(le sent passate in giudicato sono quelle che sono ormai incontrovertibili. La sentenza del tar è di 1° grado
poi c’è un 2° grado definitivo che è il consiglio di stato infatti la sua pronuncia diventa immodificabile, vi
puo essere un 3° grado solo per motivi di giurisdizione cioè il ricorso per cassazione.
Tra le impugnazioni straordinarie troviamo invece la revocazione e l’opposizione di terzo che possono essere
esperite contro pronunce del consiglio di stato ancora non passate in giudicato ).
Fino al comma 8 l’art 2 fa una descrizione dei termini entro i quali tutti i procedimenti amministrativi
devono concludersi poi con il comma 8 possiamo partire con l’aspetto processuale, segna quindi lo
spartiacque del momento descrittivo della previsione dei termini e il momento di tutela amministrativa che si
puo attuare a fronte di un adempimento della p.a.
Mentre il comma 8 prevede una tutela giurisdizionale, il comma 9 e seguenti prevedono una tutela
amministrativa cioè il privato cerca di ottenere una tutela senza andare dal giudice, poiche si fa riferimento
ad un POTERE SOSTITUTIVO in caso di inadempimento della p.a. (il privato deve sapere che se un
dirigente non ottempera, non emana un provvedimento c’è sempre un soggetto che ha un potere sostitutivo
all’interno della p.a. per legge, e se non c’è la p.a. viene sanzionata)
Leggete i commi 9-9bis-9ter.
Ora vediamo cosa dice l’Articolo 31 cpa. Azione avverso il silenzio e declaratoria di nullità
1. Decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla
legge, chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere.
(il privato esercita l’azione di accertamento cioe chiede al giudice di accertare che la p.a. aveva l’obbligo di
provvedere e non ha provveduto)
2. L'azione può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla
scadenza del termine di conclusione del procedimento. È fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio
del procedimento ove ne ricorrano i presupposti. (se non propongo l’azione avverso il silenzio entro un anno
dalla conclusione del procedimento posso riproporre l’istanza di avvio del procedimento ma solo se ne
ricorrono i presupposti).
Il privato esercita l’azione avverso il silenzio quando nella fattispecie procedimentale, che si è conclusa con
un silenzio, avanzava una richiesta. Il privato sostanzialmente chiede al g.a. che condanni la p.a a provvedere
cioè a rispettare l’art 2 e quindi di emanare un provvedimento espresso, a concludere il procedimento
evitando situazioni di inerzia. E non puo chiedere al g.a. che condanni la p.a. a provvedere come lui vorrebbe
altrimenti ci sarebbe una chiara violazione del principio di tripartizione dei poteri.
3. Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di
attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e
non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione.
Solo Quando ci sono queste 3 ipotesi: attività vincolata, quando non ci sia altro margine di discrezionalità e
quando non sono necessari adempimenti istruttori da parte dalle p.a. il giudice puo spingersi oltre alla
semplice condanna della pa a provvedere, e quindi pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa cioè puo dire
alla pa che deve provvedere a quanto chiesto dal privato e nel modo in cui vuole il privato”
Questo comma è da leggere in combinato disposto con l’art 34 comma 2 laddove si dice “In nessun caso il
giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati.
In virtu dell’art 34 comma 1 lettera c dice che io privato posso, contestualmente all’azione di annullamento
del provvedimento oppure contestualmente all’azione avverso il silenzio, esercitare l’azione di adempimento
(cioè cosa voglio ottenere attraverso la sua sentenza di soddisfazione piena e quindi che la pa rilasci il
provvedimento richiesto)
L’azione di adempimento è più incisiva o meno incisiva dell’effetto conformativo del giudicato a tutela degli
interessi legittimi? È più incisiva l’azione di adempimento perché per far sì che abbia efficacia l’effetto
conformativo del giudicato per il titolare dell’interesse legittimo pretensivo è necessaria una contestualità di
situazioni o fattori che difficilmente si appalesano, ma, soprattutto, è necessaria la disponibilità della PA che,
nelle riedizione del potere, si dovrebbe sentire vincolata dal dettato del decisum precedente e indirizzare la
sua azione in un modo nell’altro. Infatti non è nelle corde della sentenza prevedere al suo interno e in
maniera espressa l’effetto conformativo del giudicato: essa deve solo indirizzare verso una futura azione, la
quale dovrà essere realizzata poi dalla PA. L’articolo 31 non deve essere, però, letto solo in combinato con
l’articolo 34 lettera c, ma, dal punto di vista processuale e tecnico, anche in combinato con l’art.117 del cpa
che parla dei ricorsi avverso il silenzio. Si conclude così il cerchio perché con questo articolo si ha il
massimo della tutela ottenibile dal sistema di giustizia amministrativa oggi. L’art. 117 cpa afferma:”il
ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida – la diffida non serve ormai più a seguito di
alcune evoluzioni normative; infatti, prima del 1990, non esisteva alcun termine entro il quale la PA doveva
rispondere alle richieste del privato e ciò comportava che le richieste rimassero in una fase di stallo per anni
e anni; successivamente venne previsto un termine di 90 giorni per provvedere e, con la legge di riforma n.15
del 2005, il termine per provvedere fu ridotto a 30 giorni; quest’ultimo, salvo termini diversi, è, quindi, oggi
il termine ordinatorio base entro cui la PA deve provvedere ed in questi 30 giorni è già insita la messa in
mora della PA, la quale, se non adempie, non può più far nulla per impedire al privato l’esercizio dell’azione;
in passato, la messa in mora non era insita nel termine citato e pertanto se mancava la diffida da parte del
privato nei confronti della PA, il privato non poteva presentare il ricorso al TAR - con atto notificato
all’amministrazione e ad almeno un controinteressato - è colui che vanta un interesse uguale, perché
riguarda la stessa situazione giuridica soggettiva attuale dedotta in giudizio, e contrario del ricorrente - nel
termine di cui all’articolo 31, comma 2- lo si può fare fino a quando perdura l’inadempimento e comunque
entro e non oltre un anno dalla data di conclusione del procedimento amministrativo-”. Il secondo comma, il
terzo e il quarto invece affermano quanto segue:” Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata –
significa che il giudice non deve elaborare una sentenza pomposa - e in caso di totale o parziale
accoglimento il giudice ordina all'amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma,
a trenta giorni”. “Il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce
il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata”.”Il giudice conosce di tutte le questioni
relative all'esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del
commissario.”Negli ultimi due commi potrebbe sembrare che il commissario ad acta sia una longa manus
del giudice, un organo paragiurisdizionale e non un organo di natura amministrativa. Il quinto comma
afferma poi:” Se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con
l'oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti- sono quei motivi che
possono essere aggiunti a quelli già dedotti in giudizio sulla base di un’attinenza soggettiva e oggettiva con i
primi; questi nuovi motivi devono però sempre dedotti nei termini e con il rito previsto per il nuovo
provvedimento-, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l'intero giudizio prosegue
con tale rito”. Gli ultimi due commi affermano:” Se l'azione di risarcimento del danno ai sensi dell'articolo
30, comma 4, è proposta congiuntamente a quella di cui al presente articolo - azione avverso il silenzio-, il
giudice può definire con il rito camerale - il rito camerale si svolge in camera di consiglio alla presenza solo
del collegio, formato dal presidente, dai due relatori, di cui uno è l’estensore, e degli avvocati delle parti-
l'azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario – il rito ordinario è in pubblica udienza - la
domanda risarcitoria”.” Le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4 e 6, si applicano anche ai giudizi di
impugnazione”.

SEMINARIO DIRITTO AMMINISTRATIVO: 21-11-2020

La lezione odierna si concentra sui diritti di accesso.


Mentre nella scorsa lezione abbiamo fatto un excursus storico per capire come siamo giunti agli art 133 e 30
del c.p.a. oggi invece non faremo un exursus storica sul perchè quella prima forma di diritto di accesso
inserita nella legge 241/90 sia poi stata abrogata ma sul perchè nel corso degli anni si sono susseguite più
forme di accesso.
Nella legge 241/90 viene inserita per la prima volta una forma di dirtto di accesso cioè l’accesso
documentale ( ex art 22 e ss. Legge 241/90) ma il seminario s’intitola i diritti d’accesso perchè, nel tempo, al
fine di incentivare sempre di più la trasparenza e anche al fine di contribuire ad una lotta alla corruzione nelle
pubbliche amministrazioni,si è prediletta sempre di più la strategia della trasparenza e quindi la possibilit à di
accedere ad un numero sempre maggiore di documenti amministrativi, piuttosto che incentivare il segreto
negli enti amministrativi.
Con il decreto lgs. 33/2013 ,più noto come ‘decreto trasparenza’ viene poi introdotta una seconda forma di
accesso cioè l’accesso civico che potremmo definire semplice in quanto nel 2016 con un d.lgs di modifica
del decreto trasparenza fu introdotta una ulteriore forma di acceso civico e cioè l’accesso civico
generalizzato.
In questa prima parte della lezione ci soffermiamo sulla prima forma di accesso cioè l’accesso documentale.
La legge 241/90 si è concentrata su una forma di accesso appunto documentale dagli art 22 e seguenti. Questi
ultimi sono molto analitici e in realtà ci conferiscono definizioni importanti (come ad esempio l’art 22 ci
spiega cosa s’intende per diritto d’accesso, per interessati , per controinteressati , per p.a.).
Come riconosciuto dall’art 22, ‘sono interessati a conoscere determinati documenti amministrativi, tutti i
soggetti privati compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano interesse diretto,concreto
e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto
l’accesso.’
Questo è il soggetto attivo ovvero colui che è portatore di un interesse diretto, attuale e concreto. Questo
aspetto tenetelo bene a mente perchè ciò rappresenta il discrimen rispetto alle altre forme di accesso. Infatti,
se nell’accesso documentale (quindi ex art 22 e ss l. 241/90) si può parlare di un soggetto portatore di un
interesse diretto,attuale e concreto, nelle altre forme di accesso che poi vedremo , questa preclusione non c’è.
Pertanto l’interessato deposita un’istanza al fine di : art 22 co 1 l a) : Il diritto d’accesso è il ‘diritto di
prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi. Cosa ci dice la legge 241/90? Che
l’accesso può essere di due forme. Una prevede un’accesso più pregnante ( lo estrapolate da soli, estrarre
copia di un documento amministrativo per servirsene oppure prenderne solo visione.
Vedremo come ci sono alcuni casi in cui il diritto d’accesso è stato riconosciuto , seppur in sede non
procedimentale ma successiva, ma in alcuni casi come mera presa visione.
Quando parliamo di diritto d’accesso vi si potrebbe accendere una vocina: se parliamo di diritto d’accesso
qual’è la natura di questo diritto? È un diritto soggettivo o un’interesse legittimo? In realtà questo ha
rappresentato un grandissimo e importatissimo dibattito giurisprudenziale.
In realtà con un importantissima sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di stato sent 16/1999
sembrava risolversi il problema in favore del riconoscimento del diritto d’accesso quale interesse Legittimo.
Le ragioni che minano a favore di questo riconoscimento sono in prmis il fatto che la nozione di diritto
d’accesso è una nozione molto ampia e nonostante si parli di diritto non si fanno delle precisazioni. Pertanto,
proprio la portata ampia della disposizione dovrebbe determinare il riconsocimento di tale diritto quale
interesse legittimo. Ovviamente nonostante ciò , il diritto d’accesso in quanto interesse legittimo dev’essere
parametrato sempre alle regole del procedimento amministrativo.
Un’altra argomentazione a favore della configurazione del diritto d’accesso quale int.legittimo era la
formulazione dell’art 25 cm 5 l 241/90 che attualemnte è stato sostituito dal d lgs 104/2010.
Se prendete la legge 241/90 ,l’art 25 cm 5 attualmente , a seguito della sostituzione fatta, afferma:
‘ le controversie relative all’accesso ai documenti amministartivi sono disciplinate dal codice del processo
amministrativo’. Quindi rinvia completamente all’art 116 del codice del processo amministrativo che più
tardi analizzeremo. L’art 116 riconosce come la giurisdizione in materia di accesso sia una giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo. E vediamo che , l’art 133 cioè quella elencazione di materie di
giurisdizione esclusiva, al comma 1 n 6 sottolinea che ‘ sono devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a. le
controversie in materia di diritto d’accesso ai documenti amministrativi e badate bene, la violazione degli
obblighi di trasparenza amministrativa. Questo numero del comma 1 lettera a dell ’art 133 è stato aggiornato
con l’art 52 del d.lgs 33/2013 che è quello che vi ho poco fa citato proprio perchè ci sono degli obblighi di
trasparenza ulteriori per le p.a. previste appunto dl decreto trasparenza.
Quindi il fatto che la giurisdione in materia di accesso fosse conferita al giudice amministrativo, avrebbe
determinato una ragione favore del fatto che si possa parlare del diritto d’accesso come di un int.legittimo.
Quindi,ripetiamo, le ragioni che militano a favore sono : la formulazione dell’art 25 con riferimento alla
giurisdizione;il fatto che ci sia una nozione comunque ampia di diritto soggettivo anzi di diritto, che
dev’essere parametrata alle regole del procedimento amministrativo e quindi può essere racchiusa nell ’alveo
dell’interesse legittimo e un ultima impo ragione è il fatto che la tutela del diritto d ’accesso è stata riferita
all’impugnazione di un provvedimento autoritativo o comunque nei confronti dell’inerzia della p.a.
Queste sono le ragioni che militano a favore del dir d’accesso inteso quale int legittimo
In realtà in giurisprudenza, i pareri si sono poi alternati..alle volte riconoscendo il diritto d accesso come
interesse leggittimo altre come dir soggettivo.
Oggi invece è stata superata la sentenza dell’adunanz aplenaria e gran parte della giurisprudenza abbraccia
la visione per cui il diritt d accesso rappresenti un diritto soggettivo.
Innanzituttoi il diritto d’accesso non dev’essere necessariamente calato all’interno di un processo
amministrativo, infatti può trattarsi anche di un diritto d’accesso esoprocedimentale.
Inoltre, è vero che la giurisdizione è esclusiva del giudice amministrativo ma comunque il giudice
amministrativo,sulla base dell’art 7 del c.p.a non è solo giudice degli interessi legg ma si occupa anche dei
dir soggettivi. Inoltre vedremo poi, con riferimento all’art 116 c.p.a. come la sentenza non si limiti a
disporre sul ricorso ma includa in sè un ordine di facere per la p.a.
Una volta chiarito questo dibattito,concentriamoci sull’accesso documentale. (ex art 22 e ss).
Dev’essere chiaro che l’accesso è un precipitato di due importanti principi dell’attività amministrativa:
imparzialià e buon andamento. Inoltre un’attività amministartiva che sia accorta alle esigenze
dell’interessato, può essere anche un’attività amministrativa più efficace.
Quando noi parliamo del diritto d’accesso però,inevitabilmente noi troviamo una serie limiti: in primis infatti
va detto che il diritto d’accesso è un diritto che, abbiamo specificato, prendere visione ed estrarre copia,
quindi è diverso rispetto ad un’altra previsione della legge 241/90. Infatti l’art 22 parla di interessati , quindi
portatori di un’interesse diretto,attuale e concreto, l’art 10 fa riferimento invece a dei soggetti che sono
specificatamente previsti dall’art 7 e intervenuti ex art 9, chesenza dover depositare un’ istanza motivata
(prevista dal 25 per gli interessati) possono prendere visione degli atti del procedimento.ovviamente, salvo
quanto previsto dall’art 24.
Ora, perchè io ho fatto riferimento al fatto che il diritto d’accesso, nell’ambito della distinzione della sua
natura tra dir. Sogg e int.leg, ho fatto riferimento al fatto che esso ha anche carattere esoprocedimentale?
Proprio perchè, un’accesso procedimentale è questo,riconsociuto ai soggetti di cui all’art 7 e 9.
Quindi ripetiamo, nell’esporvi le varie ragioni che militano a favore del riconoscimento del diritto d’accesso
come diritto soggettivo c’è anche il fatto che il diritto d’accesso ex art 22 e ss è un diritto d’accesso
esoprocedimentale quindi anche al di fuori del procedimento amministrativo.
Noi abbiamo una forma di accesso agli atti amministrativi di tipo procedimentale nell’ambito dell’art 10 in
qaunto questo riconosce ai soggetti di cui all’art 7 e agli intervenuti di cui all’art 9 , il diritto di prendere
visione degli atti del procedimento. Vi renderete conto del fatto che in questo caso si fa riferimento solo al
fatto di prendere visione. Invece la forma più invasiva che è quella di estrarre copia, non è prevista dall ’art
10.
Inoltre, poichè la richiesta viene fatta riguardo ad un’attività/atto che è inerente il proc amministrativo già
avviato, non è necessario depositare un’istanza motivata che invece è la forma con cui si deposita l’istanza di
accesso agli atti.
Vi faccio un esempio banale prima di andare avanti con l’approfondimento sui limiti al diritto d’accesso. Lì
entriamo in un campo in cui al diritto di accesso si affianca la tutela della riservatezza.
Ad es. L’istanza di accesso agli atti può essere un’istanza che viene presentata da voi un giorno, se in futuro
conseguirete l’esame d’avvocato e a seguito delle prove conseguite, vorrete rendervi conto della veridicità
degli esiti. Potrete presentare quest’istanza perchè siete titolari di un’interesse diretto,attuale e concreto a
poter prendere visione e ad estrarre copia di quelle prove scritte che voi avete redatto. Potrete vedere la
valutzione fatta, gli errori riportati. Potrete accertarvi delle ragioni di un’eventuale esito infausto. Questa è
una tipica forma di accesso con un’istante portatore di un’interesse diretto,attuale e concreto.
Adesso concentriamoci sui soggetti nei confronti dei quali viene presentata l’istanza di acecsso in quanto essi
sono materialmente i detentori di quegli atti amministrativi a cui si chiede di prendere visione o estrarre
copia.
Art 23 l 241/90 :” il diritto di accesso si esercita nei confronti delle p.a. , delle aziende autonome e speciali,
degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. Il diritto di accesso nei confronti delle autorit à di garanzia
e di vigilanza si esercita nell’ambito dei rispettivi ordinamenti secondo quanto previsto dall’art 24.
Questo art 23,fa riferimento quindi proprio a chi siano i detentori,i soggetti nei confronti dei quali presentare
l’istanza di accesso. Per comprendere al meglio chi sia la p.a. l’art 22 al comma 1 lettera e lo chirisce e dice
che ‘per p.a. s’intendono tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamnte alla loro
attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario’.
Nel diritto d’accesso prevale un elemento che è quello oggettivo e reale del contenuto piuttosto che quello
soggettivo che si abbandona ad una visione della p.a. come un luogo imperscrutabile. Tant’è che nel
proseguio della legge 241/90 noi possiamo notare come il rapporto non è più impari. Aver previsto tale
forma di accesso ai documenti amministrativi, determina che la p.a. non è più protetta da un segreto ma è
sempre più trasparente pertanto prevale l’elemento oggettivo e reale del contenuto del documento
amministrativo e il contenuto prevarrà anche rispetto alla qualità delle informazioni protette.
Ma Perchè il riferimento a ciò? Perchè, ve ne rendete conto da soli, in passato ,cioè prima delle previsioni
della legge 241/90, mancava il riferimento ad una p.a. aperta. In dottrina si parlava spesso di rendere le p.a.
delle ‘case di vetro’ . tale obiettivo è stato raggiunto solo nel tempo ed un primo passo è stato compiuto
proprio dalle legge 241/90 che appunto ha previsto che si potesse accedere ad un quantitativo di documenti
amministrativi sia pur solo nel caso in cui si sia portatori di un’interesse diretto,attuale e concreto. Quindi al
segreto si contrappone e prevale la trasparenza con il riferimento alla prevalenza del contenuto
amministrativo piuttosto che alla qualità delle informazioni protette.
Vi dico ciò perchè l’accesso potrebbe determinare la violazione del diritto alla riservatezza. Il d.lgs 196/2003
si è occupato grandemente della questione e sono anche previsti dei limiti in riferimento all’accesso a
documenti che possano in qualche maniera violare la riservatezza. Tuttavia ci sono dei correttivi in ragione
proprio di questo principio cardine secondo cui più che la qualità delle informazioni protette si debba
guadare al contenuto del documento e all’pportunità di conoscerlo. Tant’è che la posizione del privato che
veda , in qualche occasione, violato il proprio diritto alla riservatezza,assume una sorta di portata recessiva.
Ma,le ragioni in favore sono molteplici e le vedremo tutte.
Chiariamo ora i limiti ex art 24. Tale articolo prevede limiti tassativi e limiti facoltativi.
I limiti tassativi sono quelli previsti al comma 1 : ‘il diritto d’accesso è escluso per i documenti coperti da
segreto di stato.
Cosa s’intende per segreto di stato lo troviamo nella Legge 124/2007 che all’art 39 disciplina il segreto di
stato. Testualmente,art 39 dice che:’sono coperti da segreto di stato: gli atti,i documenti, le notizie,le attività
e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all’integrità della repubblica anche in relazione
ad accordi internazionali,alla difesa dlle istituzioni poste dalla costituzione a suo
fondamento ,all’indipendenza dello stato rispetto agli altri stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e
alla difesa militare dello stato. Le informazioni , i documenti,gli atti ,le attivit à, le cose , i luoghi coperti da
segreto di stato sono posti a conoscenza esclusivamente dei soggetti e delle autorità chiamate a svolgere
rispetto ad essi funzioni essenziali e devono essere osservati accorgimenti al fine di evitarne manipolazione,
sottrazione e distruzione’.Vi rendete conto da soli quindi,che quelli che noi definiamo documenti perchè
ovviamente stiamo parlando di accesso documentale, non sono i soli ad essere coperti da segreto.
Comununque tali documenti sono esclusi dal diritto d’accesso per un limite tassativo che è previsto dall’art
24 ma non solo. Sono documenti coperti da segreto anche,dice la lettera a , nei casi di segreto o di divieto di
divulgazione previsti dalla legge , dal regolamento o dalle p.a. ( facciamo cioè riferimento al segreto
istruttorio, professionale, commerciale,epistolare e così via). Qui c’è un rinvio a leggi ,regolamenti e p.a.
Inoltre il ‘diritto d’accesso è escluso nei procedimenti tributari,nei confronti delle attività della p.a. diretta
all’emanazione di atti normativi,amministrativi generali,di pianificazione e programmazione .infine il diritto
d’accesso è escluso nei procedimenti selettivi ,nei confronti di documenti amministrativi contennti
informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.
Badate bene, il limite tassativo, nei procedimenti selettivi riguarda solo i documenti che possono contenere
informazioni relative a terze persone perchè ovviamente, dobbiamo sempre tenere a mente che c’è la
posizione dei controinteressati da tutelare in questa circostanza.
I limiti però non sono solo quelli tassativamente previsti dall’art 24 comma 1 ma anche quelli previsti dal
comma 6 che sono dei casi di esclusione per salvaguardare gli interessi pubblici. E quali sono? ‘con
regolamento il governo può prevedere casi sottrazione all’accesso ai documenti amministrativi’. E I
regolamenti che si sono succeduti sono due e cioè il d.p.r. 352 del 1992 a cui ha fatto seguito quello ancora
vigente d.p.r 184/2006. Quindi ,con regolamento, è il governo a prevedere dei casi in cui sia sottratto il
diritto d’accesso e ciò per slvaguardare un pubblico interesse. Quali sono in breve? Sicurezza e difesa
nazionale,politica monetaria e valutaria, ordine pubblico prevenzione e repressione della criminalità.
Ovviamente la ragione per cui si esclude ciò è proprio per non rendere inefficace l’attività amministrativa. Vi
sembrerà logico infatti che le informazioni relative a delle attività della polizia ad es non possono esser rese
note nella fase in cui si stanno svolgendo proprio per evitare che quell’attività diventi poi inefficace. Quindi
vengono previste dal comma 6 e andiamo adesso alla lettera più importante della comma 6 e cioè quando i
documenti riguardano la vita privata o la riservatezza di persone fisiche,persone giuridiche,gruppi,imprese e
associazioni con partiolare riferimento agli interessi di carattere
epistolare,sanitario,professionale,finanziario,industriale e commerciale. Ciò è quello a cui facevo riferimento
poco fa,perhè, nei limiti tassativi di cui all’art 24 comma 1 la lettera a rinvia proprio al regolamento per la
previsione di ulteriori limiti e sono proprio questi quei segreti a cui io ho fatto riferimento . e perchè? Perchè
è inevitabile che non siano rese note ad esempio delle conoscenze tecniche,commerciali,non è opportuno che
vengano rese note.
Vi è però la previsione del comma7: ‘dev’essere comunque garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propriinteressi giuridici.’
Quindi mentre la lettera d possiamo ritenerla una previsione,o proposizione a carattere discrezionale, perchè
è con i regolamenti che viene fatto,qui invece c’è un enunciato che è innanzitutto tassativo perchè appunto ’
deve comunque essere garantito’. Quindi è questo un enunciato a struttura tassativa ma derogatorio perchè
con riguardo ai limiti previsti al comma precedente dice ‘ nel caso in cui sia necessario curare o difendere i
propri interessi dev’essere garantito l’accesso’. Quindi abbiamo delle previsioni diverse. Tassatività il
comma6, deroga il comma7. La ragione è ovvia: bisogna curare o difendere i propri interessi giuridici e
quindi questi prevalgono rispetto ai limiti.
Ovviamente i limiti tassativi dell’art 24 sono quelli di cui al comma 1 e al comma 6 ma sono previsti anche
limiti facoltativi al comma 2:’ le singole p.a. , infatti, individuano le categorie di documenti da esse formati o
comunque rientrati nella loro disponibilità,li hanno materialmnete a disposizione o li hanno prodotti loro
stessi, sottratti all’accesso ai sensi del comma 1.
Quindi il diritto di accesso può essere escluso anche direttamente dalla p.a. e questo con una decisione
propria della p.a. (carattere discrezionale dell’attività amministrativa viene sempre più coinvolto in queste
affermazioni).
Il comma 4 invece dice che l’accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente
fare il ricorso al potere di differimento e questo perchè l’accesso ai documenti amministrativi in alcuni casi
può inficiare l’efficienza o la celerità del procedimento amministrativo.
Un’ ultima cosa è importante comprendere: i limiti di cui all’art 24 prevedono un limite ulteriore nei
confronti delle istanze meramente esplorative al comma 3 . si legge infatti che non sono ammissibili istanze
d’accesso che sono preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle p.a. . perchè? Perchè
ovviamente non si può in quest’ambito prevedere che si possa accedere a qualsiasi tipo di documento
amministrativo senza che non si abbia un interesse diretto concreto e attuale. Vengono quindi limitate le
istanze di tipo esplorativo.
Riepiloghiamo :
diritto d’accesso,quali sono i soggetti interessati? I portatori di interessi concreti diretti e attuali. Questi si
confrontano con le p.a. che sono detentori degli atti amministrativi (art 23) . l’art 24 invece presuppone che
ci siano limiti tassativi (comma 1 e 6) e facoltativi (comma2 ). No alle istanze d ’acceso avente carattere mero
esplorativo (comma3 ) e poi una proposizione a carattere derogatorio al comma 7: cioè se ci sono interessi
giuridici da curare o difendere,l’accesso non può essere negato e quindi alla tassatività della lettera d ( del
limite previsto alla lettera d del comma 6) si affianca poi la deroga dovuta al fatto che in presenza di interessi
giuridici che debbano essere curati o difesi,l’accesso prevale rispetto al diritto alla riservatezza.
Adesso invece,dobbiamo chiarire il rapporto tra la protezione della riservatezza e il diritto d ’accesso e poi
dobbiamo fare una precisazione sui controinteressati.
Partiamo dai controinteressati. Nell’art 22 (quindi siamo sempre nell’ambito dell’accesso documentale) per
controinteressati s’intendono ‘tutti i soggetti individuati o facilmente individuabili in base alla natura del
documento richiesto,che,dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza.
l’amministrazione deve notificare al controinteressato che c’è stata una richiestad’ostnsione di un documento
amministrativo e ovviamente, l’istanza che viene presentata non deve semplicemente recare una mera
menzione del soggetto per qualificarlo come controinteressato ma si dice che la posizione del
controinteressato dev’essere quella di soggetto titolare di una situazione da tutelare nel merito quindi un
fumus di meritevolezza nella tutela ) non quindi una mera menzione nell’atto amministrativo per qualificarlo
come controinteressato.
( la prof in risposta ad una domanda dice :esattamente e legge l’art 25 : ‘il diritto d’accesso si esercita
mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi. La richiesta di accesso dev’essere
motivata e rivolta all’amministrazione che ha formato il documento e che lo detiene stabilmente. )
Quindi tornando ai controinteressati,a questi viene data la possibilità di conoscere l’istanza presentata
all’amministrazione che ha formato l’atto o che lo detiene stabilmente. E a questi viene notificato che , ciò si
rileva dal d.p.r. 184/2006 art 3 : ‘‘la p.a. cui è indirizzata la richiesta d ’accesso, se individua soggetti
controinteressati è tenuta a dare comunicazione agli stessi mediante invio di copia con raccomandata o con
pec o in via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. I soggetti
controinteressati sono individuati tenuto conto anche del contenuto degli atti connessi. Entro 10 giorni si
possono poi presentare opposizioni con lo stesso mezzo con cui hanno ricevuto comunicazione dell’istanza
d’accesso (pec,raccomandata).
Quindi i controinteressati vengono coinvolti proprio perchè titolari di una situazione giuridica soggettiva che
può essere lesa dall’istanza d’accesso presentata.
Perchè io punto su questo diritto alla riservatezza? Perchè il d.lgs 196/2003 meglio noto come codice per la
protezione dei dati personali, si è concentrato sul dare dei limiti all’accesso ai documenti amministrativi
(all’art 60) e poi in seguito la giurisprudenza ha chiarito come ci si debba comportare in presenza di un
confronto tra diritto d’accesso e diritto alla riservatezza.
Andiamo ora all’art 60 d.lgs 196/2003. Cosa dice? Che quando il trattamento concerne i dati generici relativi
alla salute alla vita sessuale e all’orientamento sessuale della persona,il trattamento è consentito se la
situazione giuridicamente rilevante che s’intende tutelare con il diritto d’accesso ai documenti
amministrativi, è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato ovvero consiste in diritto della personalità o
in altro diritto della libertà fondamentale.
Cosa vi avevo detto in apertura? Che la posizione del privato recede, assume portata recessiva : questo
perchè nel caso in cui l’istante sia titolare di un diritto di pari rango rispetto al diritto del privato che è
titolare del diritto alla riservatezza, la posizione del privato si riduce ad una portata recessiva cioè recedere
rispetto al diritto di accesso. Ciò viene anche chiarito da una sentenza del consiglio di stato sezione sesta 27
ottobre 2006 numero 6440, che seppur non recentissima ci fa capire la questione.
La massima ora ve la leggo : “l’interesse alla riservtezza recede quando l’accesso stesso sia esercitato per la
difesa di un’interesse giuridico nei limiti in cui esso è necessario alla difesa di quell’interesse. Anche se per
contemperare alle diverse esigenze che stanno alla base della richiesta d’accesso da un lato e dell rservatezza
dei terzi dall’altro,l’art 24 l 241/90 ha previsto che i richiedenti a fronte di atti del procedimento relativi ai
propri interessi che riguardano la vita privata di terzi, non possono ottenere copia di documenti nè
trascriverli ma possono solo prenderne visione, la riservatezza dei terzi può essere destinata a cedere a fronte
del diritto d’accesso anche quando si tratti di dati idonei a rilevare lo stato di salute del soggetto stesso. In tal
caso l’art 60 prevede che l’accesso sia consentito se la situazione giuridicamente rilevante che s’intende
rilevare è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato ovvero consiste in un diritto di personalità o in un
altro diritto o libertà fondamentale inviolabile.”
Spero vi sia chiara,adesso vi riporto il caso concreto per farvi capire l’importanza della sentenza e anche
come si comporta il diritto alla riservatezza nei confronti del diritto d’accesso se i diritti a confronto sono di
pari rango.
Il caso concreto è che era stata presentata un’istanza alla quale la p.a. si era espressa con diniego. (poi
andremo a vedere l’art 25 come si comporta proprio la p.a. dinanzi all’istanza).
L’istanza era stata presentata da un’insegnante. Voi sapete che per insegnare nelle scuole di qualsiasi ordine
e grado ci sono le c.d.gratuatorie scolastiche ad esauriemnto e in queste il punteggio varia a seconda non
solo del proprio curriculum professionale ma anche dell’essere titolari dei benefici della 104 cioè permessi
per poter assistere parenti che si trovano in una condizione d’invalidità. Così le persone che sono titolari
della 104 si trovano in una posizione più alta in graduatoria.
In questo caso l’insegnante presenta un’istanza di accesso per capire le ragioni in virtù delle quali le sue
colleghe erano in una posizione più alta e la p.a. si esprime con un diniego che motiva : la motivazione è
che : la documentazione richiesta riguarda le condizioni di salute di terze persone che sarebbe sottratta
all’accesso. quindi si sta facendo riferimento al diritto alla riservatezza e alla posizione dei controinteressati
perchè ovviamente le informazioni che l’insegnante stava richiedendo riguardavano sì una delle sue colleghe
con posizione più avanzata in graduatoria ma si riferivano anche al fatto che ci fossero i benefici della 104 e
quindi al fatto che il padre della collega aveva necessità di assistenza.
Viene presentato poi ricorso giurisdizionale dinanzi al g.a. e i motivi del ricorso furono:
il richiamo all’art 60 non costituisce una motivazione sufficiente e non viene fatto alcun riferimento da parte
della p.a. all’art 24 e anche all’art 22 che con riguardo ai dati sensibili riconosce il diritto d’accesso in ipotesi
di assoluta necessità e lo nega laddove si rilevi superfluo. Non si teneva altresì conto delle disposiioni di cui
ai commi 8 e 9 dell’art 22 del d.lgs 196/2003 i quali prevedono che il trattamento di dati di soggetti terzi
dev’essere limitato alle sole finalità infraprocedimentali e interessato alle operazioni strettamente necessarie
ed indispensabili al perseguimento degli obiettivi amministrativi.
C’è anche un altro motivo di gravame è cioè che l’accesso avrebbe dovuto essere consentito nella forma
meno invasiva mediante la sola visione dei documenti o parti di essi la cui conoscenza fosse necessaria per
difendere gli interessi giuridici del richiedente.
Questi motivi di gravame sono quelli presentati davanti al consiglio di stato. In questa una situazione quindi
abbiamo un’istanza d’accesso presentata alla p.a.,(quest’ultima nega l’accesso in virtù della violazione del
diritto alla riservatezza di un soggetto terzo,) abbiamo anche l’art 60 e io vi ho anche detto che l’art 60
prevede che se i diritti sono di pari rango, non si può negare l’accesso. A vostro avviso, come si è
pronunciato il consiglio di stato? Ragionate sul caso concreto.
La questione è che l’insegnante che ha presentato istanza d’accesso , (ragazzi vi racomando,l’istanza si
presenta alla p.a. , il ricorso dinanzi al tar o Consiglio di stato è un’altra cosa) è titolare di un diritto al
lavoro! È vero che le graduatorie scolastiche ad esaurimento non danno di per sè l ’assunzione però se la mia
posizione avvantagiata è basata sull’aver ottenutoquella posizione sulla base del beneficio della 104 su mio
padre, quell’informazione è un’informazione che mettono nella condizione di poter ottenere la cattedra prima
della mia collega solo per quella ragione.
E attenzione, L’istante non è la titolare dei benefici di cui alla 104. Ma è la titolare dei benefici della 104 che
invece presenza ricorso.
È lei che presenta ricorso al Consiglio di Stato perchè il Tar, difformemente alla p.a., aveva accolto il ricorso
dell’insegnante. In questo caso, l’insegnante che ha presentato l’istanza di accesso, che ha presentato ricorso
in primo grado e che è resistente in secondo grado, ha un diritto al conseguimento a quel posto di lavoro,
l’accesso è strumentale a questo diritto. Se l’insegnante non sapesse come la sua collega è avvantaggiata
rispetto a lei e se quei benefici della 104 sono giustamente riconosciuti a questa, lei come può rivendicare il
posto di lavoro? Può conoscere la documentazione, ovviamente nella forma limitata della sola presa visione.
In questo caso il diritto al lavoro è un diritto di pari rango rispetto il diritto alla riservatezza, e quindi la
massima letta precedentemente è importantissima.
Quindi l’interesse alla riservatezza recede quando l’accesso sia esercitato per la difesa di un interesse
giuridico nei limiti in cui esso è necessario alla difesa di quell’interesse.
La pronuncia del Consiglio di Stato del 2006, la n. 6440, riprende, pedissequamente, gli avvisi che già il
Consiglio di Stato in adunanza plenaria aveva condiviso.
Quindi i diritti sono diritti di pari rango. L’accesso documentale, innanzitutto è un accesso molto pregnante
perchè consente di prendere visione o estrarre copia di un documento amministrativo, che sia o meno
nell’ambito di un procedimento, però il diritto al lavoro e il diritto alla riservatezza sono diritti di pari rango,
per tale ragione l’interesse alla riservatezza, tutelato dalla normativa, così come dice l’art. 60, il trattamento è
consentito.

Perchè abbiamo detto che l’accesso è cambiato negli anni? Si è andato oltre il semplice accesso documentale
ex artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990, questo accesso è un accesso pregnante, invece con il passare del
tempo la ricerca nei confronti della trasparenza ha portato, alle p.a., un onere ulteriore, ovvero quello di
garantire la trasparenza non solo attraverso la possibilità di accedere a documenti amministrativi, ma anche
con una serie di obblighi di pubblicazione dei dati da parte delle pubbliche amministrazioni, questo si è
ottenuto con il d. lgs. n. 33/2013, meglio noto come decreto trasparenza.
Es: molto spesso sui siti delle pubbliche amministrazioni si trova la sezione “amministrazione trasparente”.
Questo è uno strumento che serve, in primo luogo, a combattere la cattiva amministrazione, uno strumento
per combattere la corruzione; l’accessibilità totale alle informazioni riguarda anche l’organizzazione e
l’attività delle pubbliche amministrazioni e questo è proprio destinato a favorire delle forme di controllo, sia
nel perseguimento degli obiettivi che si prefigge la pubblica amministrazione, sia nell’utilizzo delle risorse
pubbliche. La p.a. gestisce del denaro pubblico, questi obblighi di pubblicazione determinano che non solo si
possa verificare che una qualsiasi p.a. stia perseguendo le sue funzioni istituzionali, ma anche che stia
utilizzando in modo accorto le risorse pubbliche.
Bisogna ricordare che c’è l’accesso ex artt. 22 e ss. della legge 241/1990, che è un accesso documentale,
adesso che è anche esoprocedimentale e che all’art. 10 c’è un vero e proprio acceso procedimentale.
Qual è l’obiettivo delle modifiche apportate dal decreto trasparenza ad opera del decreto lgs. n. 97?
L’accesso civico ha determinato che la p.a. rendesse noti una serie di documenti che precedentemente non
erano palesati, mentre l’accesso civico generalizzato è un vero e proprio diritto di conoscere che consente a
chiunque di accedere a dati e documenti detenuti dalle p.a. che sono ulteriori rispetto a quelli oggetto di
pubblicazione.
Gli interessati, nell’accesso documentale, sono i titolari di un interesse diretto, attuale e concreto, invece
coloro i quali possono presentare un’istanza di accesso civico non sono portatori di interessi specifici.
Noi abbiamo tre tipi di accesso: accesso documentale, accesso civico ex art. 5, 1 d. lgs. 33/2013 e l’accesso
generalizzato che riguarda atti e documenti amministrativi ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione.
Il decreto trasparenza, quando nel 2013 è stato emanato, incontrava un limite, cioè quello di aver valorizzato
l’uso di internet, ma comunque non aveva raggiunto l’obiettivo di rendere le p.a. delle case di vetro e non
solo e di aver fatto un passo ulteriore: prevedere quello che è il FOIA, la prospettiva del FOIA è la
prospettiva di rendere gli atti delle p.a. pubblici, completamente conoscibili.
Con l’avvento di internet i costi e i tempi di trasmissione dei documenti della p.a. sono più vantaggiosi,
inoltre l’uso di internet è a costo zero.
Questi fattori avevano sicuramente favorito una trasparenza amministrativa, ma una trasparenza che si
limitava a sfruttare internet e a prevedere una serie di pubblicazioni per la p.a. Nel 2015 la legge Madia
aveva sollecitato l’esecutivo a correggere il decreto trasparenza. La scelta, presente all’interno della legge, è
quella di orientare l’esecutivo al riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso
di chiunque a dati e documenti amministrativi.
Qual è l’obiettivo della legge Madia? Quello di rendere veramente la p.a. una casa di vetro. Il decreto
trasparenza ha dei pregi: per la prima volta ha raccolto in un testo unico tantissime disposizioni previste in
varie leggi, inoltre consente alle amministrazioni di conoscere quale sia il livello di trasparenza cui sono
tenute, i cittadini possono pretendere quegli obblighi.
L’art. 24 dice che non è ammesso un mero controllo diffuso delle attività delle p.a., con il decreto
trasparenza si fa un passo ulteriore.
L’obbligo di pubblicazione che ha la p.a. è fatto proprio per il cittadino, il cittadino può pretendere il rispetto
dell’obbligo di motivazione, per questa ragione il privato può presentare l’istanza di accesso civico semplice
o istanza di accesso civico generalizzato.
Io, privato, posso presentare un’istanza di accesso senza essere titolare di un diritto diretto, attuale e
concreto, avendo dalla mia il fatto che la p.a. non ha ottemperato l’obbligo di pubblicazione oppure con
riferimento ad ulteriori documenti amministrativi ex art. 5, comma 2.
Qual è l’obiettivo? Aumentare la partecipazione dei cittadini, non solo la partecipazione ma anche la
consapevolezza di una serie di diritti che noi abbiamo, perchè comunque l’obiettivo è la trasparenza sempre
maggiori delle p.a.
Inoltre, modificando il decreto trasparenza, agli obblighi di pubblicazione, si è affiancato un ulteriore
accesso, che fino al 2016 era proprio precluso dal nostro ordinamento, si parla di FOIA all’italiana, perchè il
FOIA aveva reso le p.a. americane più controllate dai cittadini sin dal 1967. L’Italia apre al controllo pian
piano, si ha prima il decreto del 2013 e poi quello del 2016.
Ci si può rendere conto che è una sorta di modo per responsabilizzare la pubblica amministrazione, gli istanti
hanno un vero e proprio controllo che previene una serie di abusi.
Il decreto legislativo n.97/2016 modifica il decreto legislativo n. 33 con riferimento alla legge Madia, che
sollecita il Governo in questo cambiamento di rotta per far sì che vi sia l’accesso a quei documenti di cui non
si ha l’obbligo di pubblicazione.
Qual è la particolarità dell’accesso civico generalizzato? Non c’è nessuna situazione giuridica soggettiva che
debba qualificare o motivare l’istanza, l’interesse dalla quale è mossa è l’interesse alla trasparenza. I limiti,
di cui all’art. 24, sono gli stessi limiti previsti anche per l’accesso civico, ovviamente ordine pubblico, libertà
e segretezza della corrispondenza sono comunque esclusi dall’accesso.
Sono esclusi dall’accesso civico generalizzato non solo i documenti che possano pregiudicare degli interessi
pubblici, ma anche interessi privati di rango costituzionale.
L’istanza viene depositata telematicamente, oggi stiamo andando sempre di più verso un’ amministrazione
digitale. Oggi c’è il CAD, codice dell’amministrazione digitale.
L’istanze è un’istanza di tipo esplorativo, cioè un’istanza che verifichi il possesso di un dato, un documento,
un’informazione. L’istanze deve essere presentata senza che ci sia l’individuazione di dati, informazione e
documenti, deve semplicemente identificarli.
Art. 25, 1: Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti
amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge. L'esame dei documenti è gratuito. Il
rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in
materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura.
Art. 25, 2: La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata. Essa deve essere rivolta
all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente.
Art. 25, 3: Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti
dall'articolo 24 e debbono essere motivati.
Nell’istanza presentata dal titolare di un interesse diretto, concreto ed attuale, questo deve motivare la propria
istanza, e la p.a. nel rigettarla deve motivarla a sua volta.
Art. 25, 4: Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta.
La p.a. nell’esercizio del proprio potere può lasciar decorrere il termine di trenta giorni dal deposito
dell’istanza e decorso quel tempo c’è un diniego implicito della p.a.
Questo richiama il silenzio della amministrazione. In questo caso il silenzio è qualificato come diniego
implicito.
L’art. 25 dice che il richiedente può presentare ricorso al Tar casi sensi dell’ art. 5, in realtà oggi la
disciplina per il rito in materia di accesso è previsto dal codice del processo amministrativo. Se non si
rispettano i termini per impugnare, la richiesta si intende respinta, in caso di diniego, il richiedente può
proporre ricorso al Tar.
Gli artt. 42-43 del c.p.a. si occupano del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti (questi si presentano
quando ci sono nuove ragioni), ai motivi aggiunti si applica la disciplina prevista per il ricorso, ivi compresa
quella relativa ai termini.
In questo caso il ricorso in materia di accesso ai documenti amministrativi si propone nel termine perentorio
di trenta giorni.
Legge 241/1990, nel caso in cui non venga proposto ricorso non c’è possibilità di reiterare questa istanza di
accesso, se non per ragioni specifiche: subentrino fatti nuovi, quando sia la stessa p.a. che proceda ad una
nuova valutazione delle circostanze, oppure nel caso in cui sono titolare di un interesse diretto, concreto e
attuale, che legittima la mia istanza di accesso, venga prospettata in modo diverso rispetto alla prima istanza.

Dopo aver compreso che tipo di istanza può essere presentata dal titolare dell’interesse diretto, attuale e
concreto, concentriamoci sull’istanza presentata da chiunque.
La differenza concreta è che interesse diretto, attuale e concreto ha accesso documentale, prendere visione ed
estrarre copia dei documenti amministrativi, chiunque invece può presentare un’istanza di accesso civico,
semplice o generalizzato, ex art. 5 d. lgs. 33/2013, con le modificazioni di cui al decreto n. 97/2016.

Art. 5,1: L'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare
documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia
stata omessa la loro pubblicazione. (ACCESSO CIVICO SEMPLICE)

Art. 5,2: Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e
sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha
diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli
oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi
giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis. (ACCESSO CIVICO
GENERALIZZATO)

DOMANDA ESAME: Differenza tra le tre tipologie di diritto d’accesso.

Viene fatta una domanda: I limiti si applicano a tutti i diritto di accesso?


Dottoressa: abbiamo i limiti tassativi ex art. 24, che sono limiti all’accesso documentale.
L’istanza di accesso civico, che viene presentata dall’interessato, viene depositata telematicamente. È
un’istanza di tipo “esplorativo”, deve verificare che la p.a. sia in possesso di un determinato dato, documento
o una determinata informazione; ma uno dei principali problemi su cui ci si concentra è: Chi è il destinatario
dell’istanza? L’interessato deve depositare l’istanza all’ufficio in cui sono presenti, materialmente, questi
dati, informazioni e documenti, nel caso in cui sia a conoscenza di tale ufficio, altrimenti presenta l’istanza
all’ URP oppure ad un altro ufficio che venga specificamente indicato. Il destinatario dell’istanza di accesso
o è indicato dal sito istituzionale della p.a. oppure è direttamente l’URP, questo ovviamente quando non si sa
a chi rivolgersi.
Chi detiene il documento amministrativo, se il privato sa chi detiene questo documento, allora farà istanza a
quel preciso ufficio, nel caso in cui non abbia questa informazione e quindi non sa quale ufficio abbia la
disponibilità del documento, si rivolgerà o all’URP o all’ufficio indicato sul sito.
Inoltre, se l’istanza è di tipo esplorativo può essere vaga? No, tanto più è vaga e sovrabbondante e che quindi
una mole infinita di documenti amministrativi, tanto l’amministrazione può, nell’esercizio del suo potere
discrezionale, rigettarla e la motivazione è dovuta proprio a questa ragione. Tra l’altro la p.a. non è tenuta,
nel caso in cui le venga rivolta un’istanza così vaga e sovrabbondante, nemmeno ad indicare la diversa
amministrazione che detiene quella informazione.
La p.a., nell’esercito del suo potere discrezionale, può sicuramente rigettare un’istanza che sia vaga e
sovrabbondante e tra l’altro, nel caso in cui sia stato proprio sbagliato l’inoltro dell’istanza, quest’istanza può
essere rigettata senza che venga indicato il nome dell’amministrazione a cui si dovrebbe rivolgere. La p.a. ha
risposto alle esigente del cittadino, rigettando quell’istanza. Perchè l’istanza non può essere così tanto vaga e
sovrabbondante? Perchè con tutte queste normative, abbiamo garantito un’estrema partecipazione al
cittadino, abbiamo garantito al cittadino di conoscere l’attività amministrativa sempre in modo più attento,
però tutto ciò non deve rappresenta un intralcio al buon funzionamento della p.a.; ci deve essere sempre un
bilanciamento. Per queste ragioni, l’istanza pur di tipo esplorativo, non deve determinare una situazione di
sproporzione tra il diritto a conoscere e il diritto della amministrazione al buon funzionamento dell’attività
amministrativa.
RIEPILOGO: D. lgs. n. 33/2013, modificato con il d. lgs. n. 97/2016—> due nuove forme di accesso al fine
di arginare la cattiva amministrazione.
Questi decreti prevedono all’art. 5 due nuove forme di accesso: accesso civico semplice (obblighi di
pubblicazione della p.a., che i cittadini, nel caso in cui rilevino che non siano stati ottemperati, posso
proporre istanza) e accesso civico generalizzato (mentre la legge 241/1990 parla di un interesse diretto,
attuale e concreto per prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi, nell’art. 5, comma 2,
chiunque può conoscere documenti amministrativi).
L’art. 25 della legge n. 24171990, si riferisce all’accesso documentale, a quell’accesso che può essere anche
esodocumentale, mentre l’art. 5, comma 6, d. lgs. 33/2013 fa riferimento al procedimento di accesso civico,
anche questo procedimento deve concludersi con provvedimento espresso e motivato entro trenta giorni dalla
presentazione dell’istanza con la comunicazione al richiedente e agli eventuali controinteressati. In caso di
accoglimento, l'amministrazione provvede a trasmettere tempestivamente al richiedente i dati o i documenti
richiesti, ovvero, nel caso in cui l'istanza riguardi dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione
obbligatoria ai sensi del presente decreto, a pubblicare sul sito i dati, le informazioni o i documenti richiesti e
a comunicare al richiedente l'avvenuta pubblicazione dello stesso. Anche qui il procedimento di accesso, non
bisogna mai parlare di ricorso in questa fase, c’è prima la fase procedimentale e poi il ricorso, si deve
concludere con provvedimento espresso e motivato.

L’art. 25, comma 5, rinvia al codice del proc. amm. per tutte le questioni relative al rito in materia di accesso.
L’istanza è nella fase procedimentale, nel caso in cui io mi voglia rivolgere al g.a. devo
presentare un ricorso.
Ci sono due gradi di giudizio, il primo grado è rappresentato dal TAR, il secondo grado è rappresentato dal
Consiglio di Stato, infine c’è l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che è un organo che risolve con
l’enunciazione di un principio di diritto questioni che sono dibattute dalle sezioni semplice del Consiglio di
Stato.
Quando presento ricorso al giudice amministrativo per l’accesso ai documenti amministrativi, io presento un
ricorso ex art. 116 cod. proc. amm.
Chi ha legittimazione attiva? Chiunque dimostri che un provvedimento o un atto dell’amministrazione o ha
già dispiegato o potrebbe dispiegare degli effetti nei suoi confronti. Per parte della giurisprudenza e per un
determinato periodo storico, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo aveva militato proprio in
favore del conferimento, al giudice amministrativo, della giurisdizione in materia di interessi legittimi e non
di diritti soggettivi. Oggi l’art. 7 oggi ci chiarisce come sia diritti soggettivi sia interessi legittimi rientrano
nella giurisdizione del giudice amministrativo.
Art. 116,1: Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi,
nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all'inadempimento degli obblighi di trasparenza il
ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione
del silenzio, (Come si presenta il ricorso?) mediante notificazione all'amministrazione e ad almeno un
controinteressato. Si applica l'articolo 49. Il termine per la proposizione di ricorsi incidentali o motivi
aggiunti è di trenta giorni.

Nel codice del processo amministrativo sono state introdotte delle modifiche necessarie proprio sulla base
del d. lgs. 33/2013, in passato sarebbe stato sufficiente il riferimento alle istanze di accesso ai documenti
amministrativi e non anche agli obblighi di trasparenza, che sono stati previsti in virtù del d. 33/2013.

Il rito in materia di accesso può essere presentato sia ex novo, sia in pendenza di un altro giudizio. Il comma
2 dell’art. 116, dice: In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso di cui al
comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il
ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. (In che modo si
decide?) L’istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che
definisce il giudizio.

Quindi in pendenza di un giudizio, l’istanza viene conferita alla segreteria della sezione cui è assegnato il
ricorso principale per motivi di economia processuale.

Art. 33 cod. proc. amm.: PROVVEDIMENTI del GIUDICE AMMINISTRATIVO


Sentenze, ordinanze e decreti.
Il rito in materia di accesso si conclude con una sentenza in forma semplificata, sussistendone i presupposti,
previsti dall’art. 74 del c.p.a. e l’udienza ridiscussione è gestita in Camera di Consiglio, ex art. 87, comma 2,
lettera c, c.p.a.
Art. 74: Nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità,
improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata. La
motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto
risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme.

Il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi non si conclude con una semplice tutela di tipo
costitutivo o un accertamento del fatto, ma si conclude con un facere per la p.a., un ordine. Ordina
l’esibizione e, ove previsto, la pubblicazione dei documenti richiesti entro trenta giorni.
La sent. del 2006, non solo ritiene l’appello infondato, prevede anche cosa debba fare la pubblica
amministrazione, prevede un ordine specifico nei confronti della pubblica amministrazione.
Non solo l’esibizione, ex art. 52 del d. lgs. 33/2013 ha ampliato il facere della p.a., parlando di pubblicazione
dei documenti.
L’art. 116, ultimo comma, dice che tali disposizioni si applicano anche in caso di impugnazione.

DIRITTO AMMINISTRATIVO II – LEZIONE 13 E 14 (26/11/2020)

Il giudizio cautelare amministrativo

La lezione di oggi avrà ad oggetto Il giudizio cautelare amministrativo, ovvero sulle disposizione presenti
nel c.p.a. nel libro 2, capo 1, titolo 2. Gli articoli vanno dal n. 55 al n. 62 compreso. La peculiarità di questo
istituto è che il codice non rimanda ad altre leggi, altri codici, quindi tutto ciò che riguarda il procedimento
cautelare amministrativo in questo gruppo di norme.

Perché è importante questo giudizio cautelare amministrativo (g.c.a.)? Oggi si dice che diventa essenziale per
il ricorrente questo diritto e questo perché il giudizio amministrativo è un giudizio fisiologicamente lungo, è
destinato a durare in un notevole tempo. Allora, “per evitare che l’eccessiva durata del processo
amministrativo possa andare a danno della parte che poi risulterà vittoriosa al termine del giudizio di merito
(quindi con la sentenza di merito), è possibile che chi propone ricorso possa preventivamente chiedere ed
ottenere dal g.a. un anticipo di quello che poi lui, ricorrente, otterrà dalla sentenza definitiva di merito.”
Quindi la finalità è dare alla parte ricorrente (ovviamente se ci sono i presupposti) un’anticipazione di quanto
il ricorrente potrebbe ottenere con la sentenza definitiva di merito. Vi dico questo perché? Perché questo è
stato nel tempo oggetto di tante norme che si sono succedute e unita alla tanta giurisprudenza ha generato la
disciplina che è confluita negli artt. 55 a 62 del c.p.a. Quindi è necessario ripercorrere le tappe più importanti
di questa evoluzione normativa.

Partiamo da una legge ovvero la legge istitutiva dei TAR, legge 6 dicembre 1971 n.1034. qui l’art. che ci
interessa è il 21 c.7 che diceva “se il ricorrente allegando danni gravi e irreparabile derivanti
dall’esecuzione dell’atto ne chiede la sospensione, sull’istanza il tar pronuncia con ordinanza motivata
emesse in camera di consiglio”. Questo è il nucleo essenziale del g.c.a. prima delle tante importanti riforme.
E cosa leggiamo? Ci sono tutte le caratteristiche proprio del g.c.a. infatti sulla base di questa legge (legge che
poi verrà poi riformata dalla legge legge 21 luglio 2000 n.205 che modificherà tutto) il ricorrente poteva
ottenere come unica misura cautelare la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato. Quindi
vedete ragazzi, in questo momento storico, 1971, c’era la previsione di un’unica misura cautelare
anticipatoria. Ma perché c’era questa misura? Perché la misura cautelare per la sua caratteristica che vi ho
sommariamente illustrato, era una misura che vuole anticipare gli effetti che potrebbero derivare dalla
sentenza definitiva di merito e quindi strumentalmente la misura cautelare deve porsi nella stessa qualità di
effetti e nella stessa quantità o quantità inferiore rispetto a quanto è possibile ottenere dalla sentenza
definitiva di merito. Vedete, l’anticipazione degli effetti ha questa caratteristica di porsi come strumentale
rispetto alla sentenza finale. Notate che la misura cautelare viene chiesta dal ricorrente all’interno del ricorso
principale o in aggiunta. Quindi ricordatevi che la misura cautelare che viene richiesta è STRUMENTALE
alla domanda chiesta nel ricorso principale. E questa strumentalità consiste nel fatto che la misura cautelare
deve essere qualitativamente uguale a quanto io chiedo al g.a. in via principale (strumentalità qualitativa).
Mentre strumentalità quantitativa vuol dire che io con la misura cautelare posso ottenere o gli stessi effetti
scaturenti dalla decisione finale o effetti minori ma mai maggiori. Così, la strumentalità faceva si che nel
lontano 1971 dato che il ricorrente poteva chiedere solo ed esclusivamente un’azione costitutiva di
annullamento al g.a. adito e quindi poteva ottenere con la sentenza solo l’annullamento dell’atto
amministrativo impugnato, allora capite bene che siccome c’era solo questa unica azione esperibile davanti
al g.a. e allora l’unica cosa che si poteva chiedere in via cautelare era la sospensione dell’efficacia del
provvedimento amministrativo impugnato. Ecco perché si dice che prima della legge del 21 luglio 2000 n.
205 (che poi vedremo) nel processo amministrativo era ammessa una sola misura cautelare definita TIPICA
ed era la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato. Quando poteva essere chiesta questa
misura cautelare? Lo poteva chiedere solo qualora ci fossero la presenza di 2 elementi:

1- Esistenza di un periculum in mora  Appare già nell’art.21 ed è “il dimostrare di stare a subire
danni gravi e irreparabili derivanti dall’esecuzione dell’atto” quindi vedete era necessario un
periculum in mora. Questo perché noi sappiamo che l’atto continua a produrre effetti anche se
impugnato, quindi l’impugnazione dell’atto di per sé non sospende la sua efficacia, per ottenere la
sospensione dell’efficacia del provvedimento amministrativo il privato dovrà chiedere questa misura
cautelare, cioè la sospensione. E per poter chiedere la sospensione doveva dimostrare di stare a
subire dei danni gravi e irreparabili derivanti dall’esecuzione dell’atto. Attenzione è una condizione
che rimane, c’è ancora oggi nel c.p.a.
2- Fumus boni iuris  (Non appare nella norma ma ve lo spiego e poi lo ritroveremo in modo
espresso nel c.p.a.) letteralmente significa “la parvenza del buon diritto” cioè il ricorrente doveva
dimostrare al giudice, non solo il danno grave e irreparabile, ma anche che il suo ricorso principale
non fosse manifestamente infondato.

Cosa faceva il g.a. davanti a questa verifica dei presupposti? Il primo lo dimostrava il ricorrente, quando
il ricorrente impugnava un atto amministrativo. Nel ricorso dopo le varie intestazioni iniziali si inizia a
raccontare il fatto controverso e dopo iniziano i motivi di diritto (cioè quelli che spiegano quello che il
ricorrente vuole nel ricorso principale) dopo tutto questo si fa istanza dell’ottenimento della misura
cautelare dimostrando la presenza dei danni gravi e irreparabili. Il g.a. difronte alla richiesta della misura
cautelare, alla prima data utile, prendeva il ricorso e lo leggeva sommariamente e se il giudice leggendo
il ricorso principale lo considerava non manifestamente infondato nei motivi di diritto esternati
concedeva la misura cautelare. Quindi i presupposti per la richiesta della misura cautelare erano 2:
periculum in mora e il fumus boni iuris. Quindi sulla base di questi 2 presupposti veniva concessa la
misura cautelare, che come dice l’art.21 c.7 che il giudice concedeva con ordinanza motivata emessa in
camera di consiglio. Questa era la tipica misura consentita prima della riforma della legge n.205 del
2000. Questa, come sapete, legge ha riformato il sistema di giustizia amministrativa perché tale legge ha
attribuito un altro potere decisorio al g.a. ossia il potere di condanna per lesione di interesse legittimi.
Dopo la legge 205/2000 e dopo la storica pronuncia della sentenza della cassazione n. 500/1999 che è
successo? Si è attribuito con l’art.7 sempre della legge tar, questo nuovo potere decisorio al g.a. adito
cioè il potere di condannare la p.a. risarcendo dei danni per lesioni di interessi legittimi. Ora secondo voi
si spiegava la misura cautelare della sospensione in relazione alla domanda con il quale il ricorrente
chiedeva al g.a. il risarcimento dei danni? Sicuramente NO, non c’era la strumentalità funzionale dal
punto di vista qualitativo e quantitativo. Quindi dato che non c’era la strumentalità questo fece sì che
dovessero essere richieste altre misure cautelari. E vedremo quelle misure che saranno indicate però non
saranno indicate in modo espresso ma saranno indicate in modo non espresso e per questo saranno
misure cautelari ATIPICHE. Infatti dal 2000 in poi si parlerà di misure cautelari atipiche e non più
tipiche perché l’atipicità stava nel fatto che il legislatore ha utilizzato una formula nella quale erano
consentite tutte le misure cautelari che consentissero un’anticipazione degli effetti scaturenti dal
provvedimento impugnato. Così la norma parlava e così parla ma questo lo vedremo tra poco.

Oltre alla strumentalità funzionale noi troviamo anche una strumentalità strutturale della misura
cautelare. In cosa consiste? La misura cautelare non vive di vita propria, questa è anticipatoria di una
sentenza destinata a prendere il posto la misura cautelare anticipatoria consentita. Quindi sul piano
strutturale è necessario che debba intervenire una sentenza perché il provvedimento giurisdizionale
urgente produce degli effetti solo provvisori, cioè solo fino alla decisione nel merito. in passato si diceva
che la misura cautelare era la “stampella del processo amministrativo” cioè si regge sulla struttura madre
del processo amministrativo. Quindi vedete abbiamo la strumentalità funzionale e strutturale della
misura cautelare.

Detto questo, vi devo dire che prima di arrivare alla rivoluzione ad opera della legge 205/2000 vi è stata
un’importante sentenza della corte cost. 25 giugno 1985 n.190 di questa sentenza ve ne avevo già
parlato quando abbiamo affrontato la giurisdizione esclusiva e vi ho detto che quando è stato istituito il
g.a. esclusivo (nel lontano 1923) non lo si è dotato di idonei poteri decisori, istruttori e cautelari rilevanti,
efficaci perchè esso giudice potesse giudicare in modo effettivo anche nella lesione dei diritti soggettivi
nelle materie a lui attribuite in sede di giurisdizione esclusiva. Non lo si è fatto, tranne in rare pronunce
che in maniera isolata ma comunque importante, vi ha attribuito degli adeguati poteri decisori , istruttori
e cautelari. Cosa gli ha attribuito sotto il profilo dei poteri cautelari? Questa importante attribuzione si
deve a questa importante sentenza della corte cost. la n.190/1985 ve la leggo “il g.a. nelle controversie
patrimoniali in materia di pubblico impiego, sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva, può adottare i
provvedimenti d’urgenza (previsti nell’art.700 c.p.c.) che appaiono secondo le circostanze più idonei ad
assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito quando il ricorrente abbia fondato
motivo di temere che, durante il tempo necessario alla prolazione delle pronuncia di merito, il suo
diritto sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile”. Così ha parlato la corte cost. nel
lontano 1985, cosi è stato attribuito al g.a., ma solo nelle controversie aventi ad oggetto diritti
patrimoniali nella materia del pubblico impiego, di anticipare gli effetti della decisione di merito.
All’interno dell’art. 700 c.p.c. come nuova misura cautelare che poteva essere utilizzata dal g.a. (ma
ripeto, solo nell’ambito di diritti patrimoniali nelle materie del pubblico impiego) c’era anche un’altra
importante sentenza quella dell’adunanza plenaria del consiglio di stato 14 aprile 1972 n. 5 che diceva
espressamente “è riconosciuta la possibilità di adire un giudice, ai fini della sospensione in via
incidentale dell’efficacia del provvedimento amministrativo, quando la loro esecuzione sia suscettibile di
arrecare danni gravi e irreparabili mediante la tardiva pronuncia di merito per i presupposti fissati
dall’ordinamento nell’art. 700 de codice di rito”.

Bene, andiamo a vedere la sentenza n.205/2000, vi voglio far vedere come cambia la situazione.
Arriviamo alla svolta. Prima di questa legge l’unica azione era l’azione di annullamento e quindi
anticipatamente potevo chiedere come misura cautelare solo la sospensione dell’efficacia. Con la legge
205/2000 aumentano i poteri decisori del g.a., ha un nuovo potere cioè la risarcibilità dei danni per
lesione da interesse legittimo e la conoscenza di tutti i diritti patrimoniali conseguenziali, e quindi la
misura cautelare della sospensione non è più la misura strumentalmente correlata ad un tipo di sentenza
del genere. Quindi? Non solo era necessaria una modifica dell’art. 7 della legge istitutiva del tar ove
prevedeva come unico potere decisorio il potere di annullamento ma era anche necessario la modifica
dell’art.21 della legge tar ove prevedeva che la misura cautelare unica espressa era la sospensione
dell’esecuzione dell’efficacia dei provvedimenti. Leggiamo l’art. 3 della legge 205/2000 che si intitolata
“Disposizioni in materia di giustizia amministrativa”. L’art. 3 si intitola “Disposizioni generali sul
processo cautelare” e dice “Il settimo comma dell’articolo 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, è
sostituito dai seguenti:” ora non ve lo leggo tutto perché è lunghissimo e anche perché non vorrei
confondervi dato che questa, ad oggi, è la vecchia normativa in quanto verrà sostituita nel 2010.
Leggiamo il primo comma. «Se il ricorrente, allegando un pregiudizio grave e irreparabile derivante
dall’esecuzione dell’atto impugnato, (FINO A QUI è UGUALE A QUELLO DI PRIMA, MA ORA
CAMBIA) ovvero dal comportamento inerte dell’amministrazione, durante il tempo necessario a
giungere ad una decisione sul ricorso, chiede l’emanazione di misure cautelari, compresa l’ingiunzione
a pagare una somma, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli
effetti della decisione sul ricorso, il tribunale amministrativo regionale si pronuncia sull’istanza con
ordinanza emessa in camera di consiglio.” Questo è il nucleo essenziale della nuova norma, il fatto di
aver previsto che il danno grave e irreparabile (ossia il periculum in mora) possa derivare non solo
dall’esecuzione del provvedimento impugnato ma anche dal comportamento silente, inerte della p.a. Ma
la grandissima conquista è stata che con questa legge la misura cautelare da tipica diventa atipica perché
vedete cosa dice la norma “ il ricorrente chiede l’emanazione di misure cautelari, compreso
l’ingiunzione di pagare una somma, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare
interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”. Quindi non specifica, o meglio c’è solo un minimo
di tipicità dato che prevede l’ingiunzione di pagare una somma ma non è detto che sia l’unica. Quindi vi
è l’atipicità delle misure cautelari che il ricorrente può chiedere. La cosa straordinaria di questa norma la
troviamo anche nell’ultimo capoverso di questo primo comma “L’ordinanza cautelare motiva in ordine
alla valutazione del pregiudizio allegato, ed indica i profili che, ad un sommario esame, inducono a una
ragionevole previsione sull’esito del ricorso principale.” Cioè il giudice è tenuto a dire sommariamente
se ritiene che il ricordo potrebbe essere fondato ma questa sua previsione ovviamente non è definitiva
perché è sommaria, quindi nulla è detto. Quindi non è detto che se concede la misura cautelare poi
accoglierà il ricorso principale.

Allora, sempre sulla scia della giurisprudenza che è stata straordinariamente efficace per dare una disciplina
più esaustiva difronte alla stringatezza delle antiche norme, vi devo ricordare che per quanto riguarda il
fumus boni iuris ci sono state importantissime sentenze che lo hanno individuato e poi sono state queste
sentenze recepite all’interno della norma 205/2000 art.3. vi dico quali sono state queste sentenze che dovete
ricordare:

- Sentenza della corte cost. 28 giugno 1985 n. 190 che dice il giudice può emanare provvedimenti
d’urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare gli effetti dell’esecuzione
della sentenza di merito quando il diritto assistito dal fumus boni iuris è minacciato dal pregiudizio
imminente ed irreparabile provato dalla carenza dei tempi necessari per farlo valere in via ordinaria.
Vedete, la corte cost. introduce il fumus boni iuris.
- Ma questo fumus è individuato anche da un’importante adunanza plenaria del consiglio di stato n.1
del 20 gennaio 1978. E cosa dice: presupposto per l’esercizio della tutela cautelare è l’instaurazione,
con un grado minimo di attendibilità, del processo principale. L’indagine in sede sospensiva del
fumus boni iuris del ricorso si concreta solo in una delibazione della norma manifesta infondatezza
del ricorso stesso e non costituisce un’anticipazione del futuro giudizio di merito. vedete, come vi
dicevo prima, anche se concede la misura cautelare sulla base della non manifesta infondatezza del
ricorso principale questo non rappresenta un’anticipazione del futuro giudizio di merito.
- Sempre la sentenza del consiglio di stato n.1 del 1978, stabiliva in ordine al rapporto tra giudizio
cautelare e giudizio di merito. Il giudizio cautelare non ha carattere di pregiudizialità rispetto al
giudizio di merito ma ha un carattere del tutto autonomo. Perché? perchè la pronuncia sulla domanda
di sospensiva non influisce in alcun modo sulla risoluzione delle questioni dibattute o rilevate
d’ufficio nel distinto processo di annullamento o di riforma dell’’atto impugnato anche se pendono
contemporaneamente davanti allo stesso giudice. Ma sapete perché ha una valenza autonoma? Lo si
potrebbe comprendere sotto il profilo del modus operandi perché anche se il g.a. accoglie o rigetta la
misura cautelare con ordinanza, l’ordinanza di per sé ha un valore ampiamente decisorio, infatti
l’ordinanza cautelare con la quale viene o accolta o respinta la sospensiva può essere appellata. E
questo lo dice sempre il consiglio di stato. Quali sono gli atti che sono appellabili? Le sentenze del
g.a., le ordinanze mai perché possono avere valore interlocutorio, ma in questo caso NO perché il
giudizio cautelare viene visto come un giudizio autonomo, cioè anche se si regge sul diritto
principale però il valore dell’ordinanza cautelare definisce il giudizio limitativamente alla questione
cautelare. Quindi è un’ordinanza con valore decisorio e può essere appellata davanti al consiglio di
stato.

Un aspetto che ha riguardato tanta dottrina e giurisprudenza è se fossero sospendibili anche i provvedimenti
negativi, i provvedimenti con il quale la p.a. diceva NO, cioè non accoglieva un’istanza oppure non
ammetteva ad esempio a delle procedure concorsuali dei candidati. Questo è stato un problema ampiamente
dibattuto, vi posso raccontare brevemente l’evoluzione storica perché oggi siamo arrivati ad un fatto
straordinariamente efficace di giustizia e tutela effettiva del ricorrente. Un tempo, prima dell’arrivo delle
grandi sentenze, si consideravano sospendibili solo i provvedimenti che determinavano degli effetti materiali
surreale, quelli quindi espressione del potere di trasformazione, non erano considerati sospendibili i
provvedimenti espressione del potere amministrativo di conservazione(es. quelli che producevano solo effetti
giuridici in senso stretto senza avere ricadute nel reale). La svolta è stata ad opera di tanta giurisprudenza che
partendo da adunanze plenarie del 1 giungo 1983 n.14 e dell’8 ottobre 1982 n.17, queste hanno stabilito che
fosse ammessa la sospensione in sede giurisdizionale per i provvedimenti negativi e la tutela cautelare si
attuava mediante l’ordinanza di sospensione del provvedimento negativo impugnato. Quali erano questi
effetti dell’ordinanza di sospensione del provvedimento negativo? La sentenza n. 17 del 1982 stabiliva come
principio di diritto il seguente “l’ordinanza di sospensione opera sull’effetto preclusivo del provvedimento di
non ammissione e per conseguenza consente l’ammissione in via provvisoria ma non statuisce le valutazioni
riservate all’amministrazione la cui funzione rimane integra. Quindi vedete la svolta è ad opera di alcune
pronunce che limitatamente ad alcune procedure concorsuali, per es. in quelle di non ammissione dei
candidati presenti alla prova orale perché erano stati bocciati alla prova scritta, hanno determinato, a mio
avviso, un’apertura di tutela, considerando la possibilità di sospendere questi atti negativi di non ammissione
di candidati a procedure selettive e stabilendo che questa sospensione di provvedimenti di non ammissione
opera proprio sull’effetto preclusivo del provvedimento stesso di non ammissione. E, per conseguenza,
sospendendo il provvedimento di non ammissione, si consentiva al candidato la sua ammissione con riserva.
Fermo però restando il potere della p.a. di valutare successivamente le prove del candidato, quindi la
funzione di valutazione restava integra in capo alla p.a. Infatti, diceva anche una cassazione sezioni unite
del 22 luglio 1983 n. 5063 “ la sospensione dell’atto di esclusione non esaurisce la situazione giuridica sulla
quale è destinata ad incidere e non sostituisce l’atto impugnato un altro atto”.

Allora, vi posso dire questo, l’apertura c’è stata nell’80/82 ad opera delle sentenza dell’adunanza plenaria
che hanno permesso e hanno consentito la sospensione di provvedimenti negativi di non ammissione a delle
procedure selettive (non tutti i pubblici concorsi, solo quelle di abilitazioni professionali all’esercizio delle
professioni) ovvero, un’altra apertura importante si è avuta quando sono stati annullati dei provvedimenti a
carattere negativo i cui effetti giuridici erano già predeterminati dalla norma, come per dire la sentenza del
giudice non va a sostituire una valutazione propria della norma ma io sospendo un provvedimento negativo
la cui predeterminazione quanto a produzione degli effetti è già insita nella norma di legge. Quindi un
piccolissimo spiraglio. Andiamo avanti. Vi devo dire la svolta. E allora sentite qui. Vi ho fatto riferimento
alla situazione che può esserci nel processo civile, la norma che dovete considerare è l’art.689 octies c.p.c.
commi 6-7-8 che sono stati aggiunti, come sapete, dal d.l. n.35 del 2005 che è stato convertito con legge n.80
del 2005. Cosa dice questa norma? Nel processo civile i provvedimenti cautelari mantengono i loro effetti
anche se non viene iniziato il giudizio di merito oppure se anche si apre il giudizio di merito e per una
ragione qualsiasi si estingua quando questi, qualora sono stati emessi ai sensi dell’art. 7000 c.p.c. e sono
idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito. oppure qualora sono stati emessi a seguito di una
denuncia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’art 688 ciascuna parte comunque può sempre
iniziare un giudizio di merito e l’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso
processo. Quindi vedete questa rivoluzione, cioè della misura cautelare che si regge da sola e addirittura
supera il nesso di strumentalità con la sentenza di merito perché addirittura si dice che la misura cautelare
mantiene integri gli effetti prodotti e non viene proseguito il nuovo giudizio di merito, è una conquista che
noi abbiamo avuto nel giudizio civile. Tutto questo menomale oggi lo abbiamo anche nel processo
amministrativo. Vi spiego perché. La legge che ha rivoluzionato il sistema è la legge n. 168/2005 e in
particolare l’art.4 comma 2 bis che ha istituito questa disposizione “l'abilitazione professionale o il titolo per
il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le
prove d'esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l'ammissione alle medesime o la ripetizione della
valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di
autotutela.” Che vuol dire? Che oggi se io impugno un provvedimento di non ammissione a delle prove di
abilitazione professionale (quindi non tutti i procedimenti concorsuali) o il titolo per il quale concorrono più
candidati è possibile presentare ricorso chiedendo la sospensione degli effetti giuridici di quel provvedimento
negativo di non ammissione. Quindi cosa dice questa norma? Quando il giudice dice “io ti ammetto con
riserva perché accolgo il ricorso, perché ritengo fondati i vizi (es. la commissione che davanti a 2 situazioni
uguali ha dato 2 giudizi diversi)” cosa vuol dire? Che c’è un provvedimento di accoglimento del decreto di
non ammissione e questo si fa in misura cautelare perché mica posso aspettare 1 o 2 anni per il giudizio di
merito. io subito devo agire con la richiesta cautelare affinchè il collegio si riunisca e chiedo che mi accolga
la sospensione del provvedimento impugnato. E allora cosa fa il g.a.? se considera che il mio ricorso non è
manifestamente infondato (sempre in modo sommario) ma c’è il pregiudizio grave e irreparabile? Ovvio che
si, io ad es. non posso diventare avvocato. Quindi il giudice può accogliere il mio ricorso, ammettermi con
riserva. Oggi questo art.4. della legge 168/2005 dice che questa ammissione con riserva mi consente di
svolgere le prove orali, se le prove orali (la cui valutazione è rimessa alla commissione) io le supero tutto
finisce lì, io sono avvocato. Quindi non devo più aspettare il giudizio di merito per il quale ho proposto
ricorso. Questo perché c’è questa norma che ha spazzato via la strumentalità strutturale. Quindi la misura
cautelare non è più considerata (in alcune ipotesi) la stampella del giudizio amministrativo. Addirittura la
stampella diventa l’elemento portante de processo. Ciò significa che se il giudice amministrativo disponga
con la misura cautelare che un aspirante avvocato venga ammesso agli orali e la commissione esaminatrice
lo giudica idoneo questo diventa avvocato senza dover aspettare il giudizio di merito. L’unica differenza
rispetto al processo civile è che non è rimessa alle parti la scelta di richiedere la sentenza di merito perché la
disposizione dell’art.4 legge 168/2005 è una disposizione imperativa, la misura cautelare si trasforma in
sommaria e acquista l’autorità di cosa giudicata. E quindi la misura cautelare che è una misura sommaria,
provvisoria, aspira in questo modo a diventare definitiva senza che occorra la sentenza. Quindi viene meno la
strumentalità strutturale delle misura cautelare.

E quindi questa norma è stata molto importante, si è detto in dottrina e soprattutto in giurisprudenza che essa
potesse riguardare soltanto i provvedimenti finalizzati alla verifica della idoneità di alcuni soggetti allo
svolgimento della professione, per esempio quella forense, quella del dottore commercialista, quella da
ingegnere, oppure che potesse essere estesa e applicabile a tutti i concorsi che prevedono, per esempio, un
numero prestabilito di vincitori. Vi posso dire che è stata limitata soltanto alla prima categoria e anche se c’è
stata la rimessione alla Corte Costituzionale, essa ha dichiarato, di fronte a questo giudizio, infondata la
questione, perché si tratta di due situazioni diametralmente opposte. Quindi nel caso di un concorso vero e
proprio, in cui c’è una lista di vincitori, non si può applicare questa norma. Essa deve essere applicata
unicamente ai procedimenti in cui si mira ad accertare l’idoneità di alcuni soggetti a saper svolgere nel futuro
la professione. Non è che se io divento avvocato, il mio diventare avvocato è precludente l’esercizio della
professione da parte di un altro avvocato; non è un concorso pubblico con un tot. di vincitori, potrebbero
essere e diventare tutti avvocati o addirittura nessuno. Quindi questa norma è da considerare soltanto per la
prima categoria. La strumentalità della misura cautelare viene superata in questo caso sul piano strutturale.
C’è parte della dottrina che dice che forse in questo caso anche la strumentalità funzionale, siccome il
provvedimento non è più provvisorio interinale, ma sommario e acquista una sua definitività, può essere
superata. Questo però non è certo al 100%. La cosa importante è che è venuta meno la strumentalità
strutturale.

Arriviamo ad oggi. Di tutta questa roba che vi ho detto, non ne fa questione alcuna il c.p.a. Il codice non
risolve la questione della strumentalità strutturale, che non è più esistente in alcuni procedimenti, e della
funzionale. Quella che leggiamo è una disciplina esaustiva, organica, però che non tocca in alcun modo la
questione “strumentalità”. Sappiatela bene, perché quanto redigerete i ricorsi, la strumentalità è richiesta, è
insita nella misura che andate ad ipotizzare. Non la dovete indicare voi, però sappiate che quella misura
cautelare ha un valore interinale, che è superato ed è inglobato, dalla sentenza definitiva di merito. Se il
vostro cliente ottiene una misura cautelare, non è detto che poi la sentenza di merito sia della stessa stregua e
nel caso sia di senso opposto, ingloba ab origine il provvedimento che viene considerato magari legittimo a
tutti gli effetti, la misura cautelare non ha più ragione di essere; la ingloba nel senso che la “butta fuori”, non
la ingloba per assorbirla. E’ chiaro che in questo caso la sentenza definitiva cancella gli effetti prodotti da ciò
che il ricorrente ha ottenuto attraverso la misura cautelare. Se invece è della stessa equivalenza (misura
cautelare della sospensione -> annullamento), è chiaro che l’annullamento assorbe gli effetti interinali
prodotti dalla misura cautelare.

Disciplina procedimento cautelare (artt. 55 – 62)

Vi ho detto che alle misure cautelari è dedicato un intero titolo (Tit. II, Libro II, dagli artt. 55 a 62) e
vedremo qui che la tutela è molto ampia. Ma vi posso dire che in tante altre parti del c.p.a. ci sono
disposizioni riguardanti le misure cautelari. Per es. quando andrete a leggere l’art. 11, in cui si parla del
termine finale di efficacia del provvedimento cautelare (30 gg), oppure quando andrete a leggere della
riduzione del termine della fissazione dell’udienza di discussione da 60 a 45 gg su accordo delle parti a
seguito di rinuncia della definizione autonoma della domanda cautelare (art. 71), oppure quando viene
sospesa l’esecutività della sentenza di primo grado (art. 98) e di secondo grado, ad opera del Consiglio di
Stato, in caso di ricorso in Cassazione per motivi inerenti la giurisdizione (art. 111). In tanti altri istituti,
competenza, difetto di giurisdizione, appello, termine di fissazione dell’udienza, c’è una disposizione a parte
per quanto riguarda le misure cautelari. Quindi sappiate che il procedimento cautelare di per sé non viene
esaurito soltanto nel titolo II, libro II. Quello che dovete sapere è che tutti gli articoli, globalmente
considerati, offrono una disciplina completa, che non rimanda a nessun altro testo. Addirittura neanche al
c.p.c., da cui noi abbiamo ereditato il fatto che la misura cautelare in alcuni procedimenti vive di vita propria,
superando la strumentalità, ma non abbiamo applicato nel c.p.a. la stessa nozione di misura cautelare prevista
dal c.p.c., l’abbiamo fatta tutta nostra.

Vi posso dire che in questo gruppo di norme (artt. 55-62) sono previsti una serie di provvedimenti
cautelari, per esattezza, quattro tipologie: provvedimento cautelare “base”, cioè l’ordinanza collegiale che
viene emanata dall’intero collegio (TAR, Consiglio di Stato, il collegio è un gruppo di persone giudicanti –
presidente e due magistrati, uno dei quali può essere l’estensore), decreto monocratico in causa che è
quello di cui alle misure cautelari monocratiche (art. 56), misura cautelare anteriore alla causa (art. 61)
questa è una grande conquista del processo amministrativo ed infine, ordinanza collegiale e decreto
interinale in attesa dell’integrazione del contradditorio previsti all’art. 27 co. 2 c.p.a. E’ chiaro che
quando andremo a studiare tutte queste misure, vedremo che la misura base è quella collegiale, soltanto
dando uno sguardo alle misure cautelari monocratiche ci si rende conto di ciò, basta guarda l’incipit dell’art.
56 al 1° comma “Prima della trattazione della domanda cautelare da parte del collegio..”, cosa vuol dire?
Che ci può essere una misura cautelare monocratica che può essere concessa dal presidente (perché appunto
monocratica), che però vive in un tempo brevissimo, cioè fino alla trattazione della domanda cautelare
collegiale. Io la chiamo “cautela della cautela”: la misura cautelare si concede perché si dimostra di avere un
pregiudizio, un danno irreparabile, invece quella monocratica perché si dimostra un’estrema urgenza e
gravità, tale da non consentire nemmeno la dilazione fino alla data della camera di consiglio che dovrà
discutere della domanda cautelare collegiale (art. 3, legge 205/2000). Quindi se la cautela normale/ordinaria
ha effetti prima della definizione del giudizio con la sentenza di merito, la cautela della cautela (mis. caut.
monocr.) vive nel periodo di tempo che precede l’udienza di trattazione della misura cautelare collegiale.

-Misura cautelare collegiale (art 55)

Partiamo dall’art. 21 della legge TAR del 1971: “Se il ricorrente, allegando danni gravi e irreparabili
derivanti dall'esecuzione dell'atto, ne chiede la sospensione, sull'istanza il tribunale amministrativo
regionale pronuncia con ordinanza motivata emessa in camera di consiglio. I difensori delle parti debbono
essere sentiti in camera di consiglio, ove ne facciano richiesta”. Questo diceva la primigenia norma.

L’art. 3 della legge 205 del 2000 dice invece: “Se il ricorrente, allegando un pregiudizio grave e
irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato, ovvero dal comportamento inerte
dell’amministrazione, durante il tempo necessario a giungere ad una decisione sul ricorso, chiede
l’emanazione di misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma, che appaiono, secondo le
circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso, il tribunale
amministrativo regionale si pronuncia sull’istanza con ordinanza emessa in camera di consiglio”.

Vediamo dunque cosa dice la legge oggi e cosa è cambiato anche dal punto di vista terminologico. Art. 55
c.p.a., Misure cautelari collegiali:

“1° co. Se il ricorrente, allegando di subire un pregiudizio grave e irreparabile durante il tempo necessario
a giungere alla decisione sul ricorso, chiede l'emanazione di misure cautelari, compresa l'ingiunzione a
pagare una somma in via provvisoria, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare
interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso, il collegio si pronuncia con ordinanza emessa in camera
di consiglio.”

“3° co. La domanda cautelare può essere proposta con il ricorso di merito o con distinto ricorso notificato
alle altre parti.” Con il ricorso di merito vuol dire che si può fare all’interno del ricorso stesso, oppure con
istanza successiva rispetto alla presentazione del ricorso. Entrambi i modi devono essere indirizzati
comunque verso il giudice presso cui pende la controversia e l’istanza di richiesta di misura cautelare, se non
prevista all’interno del ricorso principale, deve essere obbligatoriamente notificata alle altri parti per
l’instaurazione del contraddittorio, principio importante derivante dall’art. 111 della Costituzione.

Pausa

Riprendiamo. Oggi la disciplina riguardante il processo cautelare consta di quattro tipologie diverse di
provvedimenti che possono essere adottati come misure cautelari. Abbiamo il provvedimento ordinario (art
55), il provvedimento cautelare monocratico in causa (art. 56), il provvedimento monocratico ante causam
(art. 61) e poi l’ordinanza collegiale e il decreto interinale in attesa dell’integrazione del contradditorio
previsti all’art. 27 co. 2 c.p.a.

Parliamo subito della misura tradizionale, quella che risente di tanta normativa precedente e soprattutto di
tanta giurisprudenza amministrativa e di dottrina. Abbiamo letto insieme che il ricorrente, oggi, se dimostra
ex. art 55, di aver subito un pregiudizio grave e irreparabile - quindi vedete la definizione di danno è
commutata in pregiudizio (lo era già nella legge 205/2000), danno lo si intendeva in senso strettamente
economico, il pregiudizio invece ha un senso più lato – durante il tempo necessario a giungere alla
decisione sul ricorso – qui vedete si ha ancora la stampella strutturale e la strumentalità strutturale della
misura cautelare – può chiedere che il giudice emani quelle misure cautelari atipiche, compresa
l’ingiunzione a pagare una somma di denaro in via provvisoria, che è quella misura che si spiega con la
sentenza di condanna ex art. 30, che appaiano, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare
interinalmente – invece la normativa precedente parlava di provvisoriamente – gli effetti della decisione sul
ricorso , il collegio si pronuncia con ordinanza emessa in camera di consiglio. Quindi oggi, a tutti gli effetti,
la misura cautelare è una misura atipica che è correlata alla decisione sul ricorso e per stabilire quali sono
i provvedimenti urgenti, anticipatori, interinali, che possa adottare il giudice nel giudizio cautelare, occorre
verificare quali sono i poteri decisori del giudice amministrativo e quali sono i tipi di sentenze che può
emanare il giudice amministrativo per individuare strumentalmente la misura cautelare correlata.

Riprendiamo l’art. 34 c.p.a. Quali sono le sentenze di merito che può emanare il g.a.? Sicuramente può
annullare l’atto amministrativo e quindi in sede cautelare può essere adottata la sospensione del
provvedimento impegnato, in quanto è strumentale all’annullamento dell’atto. Può ordinare
all’amministrazione rimasta inerte di provvedere entro un determinato termine, quindi può emanare sentenza
ai sensi dell’art. 31 c.p.a., cioè il ricorso avverso il silenzio, per condannare la p.a. a provvedere, in alcuni
casi anche a provvedere in un determinato modo, cioè quando ci sono le tre situazioni, ossia il potere
vincolato, l’assenza di alcun margine di discrezionalità oppure che siano posti in essere tutti gli adempimenti
istruttori. In questi casi ci può essere una sentenza di condanna in base a quello che viene chiesto alla p.a. e
quindi possono essere emanate delle sentenze anche di ingiunzione a pagare una somma di denaro correlate
alla condanna risarcitoria che si spiega all’art. 30 c.p.a. Cioè il potere di condanna, nella sua consistenza
soggettiva, individua ed identifica la misura correlata, che comunque può essere sempre strumentale: cioè le
ingiunzioni a pagare una somma, che poi possono essere correlate o meno ad una condanna risarcitoria. Poi
può condannare la p.a. ex art. 30 al pagamento di una somma di denaro anche a titolo di risarcimento dei
danni e qual è la misura cautelare correlata? I provvedimenti anticipatori della reintegrazione in forma
specifica oppure di condanna all’amministrazione al rilascio di un provvedimento richiesto e correlato,
provvedimenti che devono avere il carattere di essere funzionali alla soddisfazione piena ed effettiva del
ricorrente; in questo caso c’è quindi un’azione correlata, la c.d. azione di adempimento. Quindi, il g.a., oltre
a condannare l’amministrazione al rilascio di provvedimenti richiesti dall’interessato e quindi siamo dinanzi
ad una misura provvisoria anticipatoria, cioè un provvedimento anticipatorio di contenuto atipico con il quale
viene condannata la p.a. al rilascio del provvedimento richiesto, può emanare una sentenza con cui dispone
tutte le misure atte ad assicurare l’attuazione del giudicato e la nomina di un commissario ad acta già in sede
di cognizione e in questo caso quale potrebbe essere la misura cautelare correlata? Tutte quelle misure
idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato, anche con la stessa nomina di un commissario ad acta
strumentale nella sentenza di cognizione, che può avere un contenuto similare dal punto di vista quantitativo
e qualitativo alla sentenza di merito.

Nella giurisdizione di merito il giudice può adottare anche un provvedimento di modifica e di riforma
rispetto al provvedimento impugnato e allora cosa può fare di fronte ad un potere decisorio così ampio? Le
misure cautelari possono consistere nell’adozione di un provvedimento, oltre che nella sua modifica, nella
sua riforma; cioè viene anticipato un qualcosa che o è pari o è quantitativamente di meno rispetto a quello
che io chiedo con la sentenza definitiva di merito. Mai io posso chiedere di più, rispetto a quanto chieda con
la sentenza definitiva di merito.

E allora, posto che oggi si parla delle misure atipiche del giudizio cautelare, oggi si parla della domanda
cautelare, della misura cautelare, non c’è l’indicazione di un provvedimento ad hoc, si parla in maniera
generale, e vedete al terzo comma che questa domanda può essere proposta o con il ricorso di merito o con
un distinto ricorso notificato alle altre parti. La incidentalità della misura cautelare, risulta per il fatto che
viene introdotta nello stesso ricorso di merito, oppure viene introdotta con un distinto ricorso, ma che fa
sempre parte del ricorso principale, e perché si instauri un integrale contraddittorio fra le parti, entrambi i
ricorsi devono essere notificati a tutte le parti. Al comma 4 è previsto: “La domanda cautelare è
improcedibile finché non è presentata l'istanza di fissazione dell'udienza di merito, salvo che essa debba
essere fissata d'ufficio.” C’è questa norma che è stata introdotta da tanta giurisprudenza, per cui la domanda
cautelare non può essere esaminata, cioè diventa improcedibile, finché non sia presentata istanza di
fissazione dell’udienza di merito, salvo che l’istanza non debba essere fissata d’ufficio. Quindi, mi
raccomando, nei ricorsi, ricordate sempre che in sede separata rispetto al ricorso principale, che contiene
anche la domanda cautelare, riempite un foglio con il quale riportate il nome delle parti e chiedete al giudice
l’istanza di fissazione dell’udienza di merito. Cioè voi dovete far capire al giudice che fate questo ricorso
perché c’è un interesse sostanziale a che si inizi questo processo per vedere la soddisfazione della pretesa
sostanziale nel giudizio di merito. E’ chiaro che siccome c’è questa strumentalità tra la misura cautelare e la
sentenza definitiva di merito, non si può trattare la misura cautelare se non c’è il deposito di questa ulteriore
istanza, cioè l’istanza con la quale l’avvocato della parte ricorrente chiede al giudice di fissare l’udienza di
merito.

Quando si esamina la domanda cautelare? L’esame della domanda cautelare, prima di questo codice, era
fissata alla prima camera di consiglio utile, che avveniva quando decorrevano 10 gg dall’ultima notifica e
comunque le altre parti poteva costituirsi anche lo stesso giorno fissato per l’esame della misura cautelare,
depositando il giorno dell’udienza memorie, osservazioni e documenti. Quindi si presentava il ricorso che
conteneva la domanda cautelare, si notificava e decorsi 10 gg dall’ultima notifica, il collegio fissava la
discussione della domanda cautelare alla prima udienza utile. Ma qual era la cosa particolare? Che era
consentito a tutte le parti del giudizio, diverse dal ricorrente, di poter presentare memorie e documenti anche
il giorno stesso della discussione della domanda. Questa situazione creava un vulnus, una violazione del
principio del contradditorio in condizioni di parità come recita l’articolo 111 Cost., perché in camera di
consiglio il ricorrente si trovava di fronte a documenti di cui prendeva visione all’istante e che non poteva
contraddire in modo istantaneo. Anche perché la p.a. è detentrice di tutti i documenti che servono in un
processo amministrativo, quindi essa aveva tutte le possibile di produrre l’ultimo giorno possibile documenti
che prima non erano noti al difensore di parte ricorrente, il quale non poteva in poche battute leggere queste
carte e contraddire la p.a.

Oggi questa disparità è stata superata. Vediamo cosa dice l’art. 55 comma 5 c.p.a.: “Sulla domanda
cautelare il collegio pronuncia nella prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno dal
perfezionamento, anche per il destinatario, dell'ultima notificazione e, altresì, al decimo giorno dal
deposito del ricorso. Le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della
camera di consiglio”. Quindi venti giorni dal perfezionamento dell’ultima notifica: cioè io notifico il ricorso,
ricevo la notizia di avvenuta notifica (salvo una norma che aiuta nel caso in cui non si sia ancora in possesso
dell’avviso di ricevimento), e posso iniziare a contare venti giorni, decorsi i quali, nella prima udienza utile,
il Consiglio di stato o il TAR fissa la discussione sulla domanda cautelare. Oppure dieci giorni dal deposito
del mio ricorso, perché una volta che io ho questo ricorso notificato con copie delle notifiche avvenute, lo
deposito presso la segreteria del g.a. Ma l’aspetto per noi straordinariamente positivo è le parti possono
depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio. Questi giorni danno
possibilità alle parti avverse di avere contezza del contenuto delle memorie e dei documenti. La norma a cui
facevo riferimento prima, è il 6° comma dell’art. 55: “Ai fini del giudizio cautelare, se la notificazione è
effettuata a mezzo del servizio postale, il ricorrente, se non è ancora in possesso dell'avviso di ricevimento,
può provare la data di perfezionamento della notificazione producendo copia dell'attestazione di consegna
del servizio di monitoraggio della corrispondenza nel sito internet delle poste. È fatta salva la prova
contraria.” Si potevano quindi seguire le raccomandate, ma ormai si fa tutto tramite PEC. Il comma 7
stabilisce: “Nella camera di consiglio le parti possono costituirsi e i difensori sono sentiti ove ne facciano
richiesta. La trattazione si svolge oralmente e in modo sintetico.” Al comma 8 è previsto: “Il collegio, per
gravi ed eccezionali ragioni, può autorizzare la produzione in camera di consiglio di documenti, con
consegna di copia alle altre parti fino all'inizio della discussione.” E’ chiaro che rientra anche quel discorso
della produzione alla stessa udienza di discussione, qui ci devono essere gravi ed eccezionali ragioni che
sono espressamente autorizzate dal collegio e che permettono di produrre i documenti fino all’inizio della
discussione.
Ed ecco il c.d. fumus boni iuris di cui vi ho parlato e che è stato positivizzato nella norma, sin dalla legge
205/2000 per la verità, alla fine di un rilevante processo giurisprudenziale. Comma 9: “L'ordinanza
cautelare motiva in ordine alla valutazione del pregiudizio allegato e indica i profili che, ad un sommario
esame, inducono ad una ragionevole previsione sull'esito del ricorso.” L’ordinanza cautelare motiva, cioè
deve spiegare quanto ha stabilito l’accoglimento o il non accoglimento della misura cautelare, in ordine alla
valutazione del pregiudizio allegato. Cioè deve esternare le ragioni dell’accoglimento o del non
accoglimento, in relazione a come il giudice ha valutato il pregiudizio allegato, che è un dei presupposti per
la concessione della misura. E indica quei profili (attinenti ai motivi di diritto), che solo al seguito di un
sommario esame, inducono ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso. Ossia l’ accoglimento della
domanda deve motivare le ragioni ordine alle quali il giudice ha considerato il pregiudizio allegato
meritevole di considerazione, perché trattasi di un pregiudizio grave ed irreparabile che deve essere valutato
e deve indicare quei profili e quei motivi che ictu oculi lo inducono a pensare che il ricorso non sia
manifestamente infondato. La stessa cosa in caso di non accoglimento, cioè l’ordinanza cautelare quando
motiva di non accogliere, deve motivare dicendo che il pregiudizio non deve essere tenuto in considerazione,
cioè che il giudice non ritiene di dover valutare questo nocumento che sta patendo il ricorrente a causa del
provvedimento impegnato e anche che il ricorso, ad un sommario esame, sembra non manifestamente
fondato. E’ un esame anticipatorio che non fa presumere che la valutazione finale, che scaturisce dalla
sentenza definitiva di merito, non sia della stessa stregua.

L’aspetto che è seguito da tutti i TAR è statuito nel comma 10, perché ormai nella udienza cautelare molte
volte si dice che il g.a. utilizzi quello che statuisce quella disposizione: “Il tribunale amministrativo
regionale, in sede cautelare, se ritiene che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente –
cioè che il ricorso sia fondato e che il ricorrente abbia ragione - e tutelabili adeguatamente con la sollecita
definizione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data della discussione del ricorso nel
merito. Nello stesso senso può provvedere il Consiglio di Stato, motivando sulle ragioni per cui ritiene di
riformare l'ordinanza cautelare di primo grado; in tal caso, la pronuncia di appello è trasmessa al tribunale
amministrativo regionale per la sollecita fissazione dell'udienza di merito.” Il giudice fissa la data della
discussione già nell’ordinanza collegiale e questa è una cosa molto importante perché anche l’ordinanza
cautelare diventa un’anticipazione effettiva di una udienza che chiaramente non si procrastinerà lontano nel
tempo, perché già nella parte discussa in sede cautelare, c’è stata una più attenta valutazione delle
argomentazioni addotte da parte ricorrente. E’ un fissare con ordinanza collegiale in sede cautelare già la
data di discussione dell’udienza di merito, cosa che prima non era assolutamente possibile in quanto a
seguite dell’emanazione dell’ordinanza si poteva aspettare anche anni e quindi l’eccessiva durata del
processo amministrativo poteva andare a danno della parte vittoriosa.

Al comma 11: “ L'ordinanza con cui è disposta una misura cautelare fissa la data di discussione del
ricorso nel merito. In caso di mancata fissazione dell'udienza, il Consiglio di Stato, se conferma in appello
la misura cautelare, dispone che il tribunale amministrativo regionale provveda alla fissazione della stessa
con priorità. A tal fine l'ordinanza è trasmessa a cura della segreteria al primo giudice.” Al comma 12: “In
sede di esame della domanda cautelare il collegio adotta, su istanza di parte, i provvedimenti necessari per
assicurare la completezza dell'istruttoria e l'integrità del contraddittorio.” Questo perché in sede di esame il
g.a. può adottare tutti i provvedimenti affinché l’istruttoria che seguirà sia completa e il contraddittorio sia
integro.

Questa norma leggiamola in combinato disposto con l’art. 60: “In sede di decisione della domanda
cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, il collegio,
accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria – qui vedete non adotta dei provvedimenti
perché il contraddittorio sia completo successivamente e perché l’istruttoria sia adeguata, ma il collegio
verifica in camera di consiglio che. in quel momento in cui si sta discutendo della misura cautelare, il
contraddittorio sia completo, cioè che tutte le parti che devono essere presenti, son presenti, che c’è stato un
scambio di documenti, che tutti siano a conoscenza di quello che dicono le parti avverse e quindi l’istruttoria
non ha bisogno più di verificazioni, di schiarimenti, di acquisizioni di documenti. Tutto è compiuto. Quindi il
giudice può verificare, in camera di consiglio in sede cautelare, che non c’è più nulla da istruire
sull’argomento e - sentite sul punto le parti costituite – questo è importante, perchè il g.a. deve avere la loro
opinione -, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, salvo che una
delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza,
ovvero regolamento di giurisdizione. – Sono tutte situazioni che bloccano la definizione del giudizio già in
sede cautelare. - Se la parte dichiara che intende proporre regolamento di competenza o di giurisdizione, il
giudice assegna un termine non superiore a trenta giorni. Ove ne ricorrano i presupposti, il collegio dispone
l'integrazione del contraddittorio o il rinvio per consentire la proposizione di motivi aggiunti, ricorso
incidentale, regolamento di competenza o di giurisdizione e fissa contestualmente la data per il prosieguo
della trattazione. Allora a parte il fatto che una delle parti intenda proporre un qualcosa di nuovo rispetto alla
situazione che si è instaurata in camera di consiglio, soffermiamoci sull’incipit, cioè che il collegio verifica
in camera di consiglio che il contraddittorio è completo, l’istruttoria è definita, le parti sono informate e sono
d’accordo e definisce il giudizio con una sentenza in forma semplificata. Vi ricordate quando abbiamo
parlato di sentenza in forma semplificata? Art. 117, ricorso avverso il silenzio: 2° co Il ricorso è deciso con
sentenza in forma semplificata e in caso di totale o parziale accoglimento il giudice ordina
all'amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni. Perché qui la
sentenza è in forma semplificata? Perché il giudice non deve fare una sentenza doppia, non deve ripercorrere
la giurisprudenza, gli orientamenti giurisprudenziali, le argomentazioni, le posizioni in dottrina. Il g.a. deve
accertare se la p.a. aveva il dovere di provvedere e non lo ha fatto. Non deve essere una sentenza
approfondita, la sentenza in forma semplificata richiama il fatto controverso, un principio di diritto che è
stato violato e a seguito di questi accertamenti, il g.a. emana il provvedimento. A volte ho visto sentenze in
forma semplificata di due pagine, tre pagine comprensive del fatto controverso, quindi una cosa molto
veloce. E allora così come questo ricorso, l’articolo 60 stabilisce che quando il collegio accerta la
completezza del contraddittorio, dell’istruttoria, che le parti siano state sentite e siano d’accordo, definisce il
giudizio con sentenza in forma semplificata, come dire accolgo il ricorso perché A B C. Non c’è nulla da
argomentare in maniera approfondita. L’aspetto positivo di questa norma è che il giudice definisce sentite
sul punto le parti costituite, questo è forse l’unico adempimento processuale che merito attenzione, perché
cosa succede se il giudice non osserva questo dato posto dalla norma? La violazione di questo adempimento
processuale determina l’annullabilità della sentenza, perché è chiaro che tutti le parti hanno diritto di difesa
e anche se si ha una camera di consiglio molto particolare perché non è in pubblica presenza, le parti devono
poter esporre le loro ragioni se le ritengono necessarie per non far proseguire l’udienza e per definire il
giudizio con una sentenza, oppure possono dire la loro per accettare la definizione in forma semplificata. Il
giudice di appello, se viene violato questo adempimento, può annullare con rinvio al TAR per mancanza del
contraddittorio sancito dall’art. 105 c.p.a. Bisogna prestare attenzione a che le parti siano sul punto sentite e
che diano la loro disponibilità.

Ritornando all’art. 55, comma 11: “L'ordinanza con cui è disposta una misura cautelare fissa la data di
discussione del ricorso nel merito.” L’art. 71 comma 5 del c.p.a. statuisce: “Il decreto di fissazione è
comunicato a cura dell'ufficio di segreteria, almeno sessanta giorni prima dell'udienza fissata, sia al
ricorrente che alle parti costituite in giudizio. Tale termine è ridotto a quarantacinque giorni, su accordo
delle parti, se l'udienza di merito è fissata a seguito di rinuncia alla definizione autonoma della domanda
cautelare.” Quindi la camera di consiglio, all’interno della quale si discute la misura cautelare, è considerata
un’importante aula per l’integrazione del contraddittorio, per l’acquisizione istruttoria, per la fissazione
dell’udienza di trattazione E in questo modo si dice che è residuale la segnalazione dell’urgenza del ricorso
con una apposita istanza di prelievo prevista all’art. 71 comma 2, che la segreteria porta all’attenzione del
suo presidente. Quindi si tratta di una discussione che si fa quando si voglia ottenere un provvedimento ad
hoc ad opera dell’intero collegio.
-Misura cautelare monocratica in causa (art. 56)

Oggi come vi dicevo c’è anche la cautela della cautela, cioè il fatto che la misura cautelare possa essere
richiesta addirittura prima dei venti giorni di perfezionamento della notificazione, prima dei dieci giorni
successivi al deposito del ricorso principale, e quindi c’è una riduzione rilevantissima dei tempi di inizio
della trattazione della misura cautelare. Questo viene sancito dall’art. 56. E’ una grande conquista questa, ma
anche ciò che è previsto successivamente dall’art. 61 (misura cautelare ante causam). Vediamo la differenza
tra la richiesta di una misura cautelare all’interno del giudizio oppure prima dell’instaurazione del giudizio,
sulla stregua di quanto avviene nel processo civile.

Art. 56: “1. Prima della trattazione della domanda cautelare da parte del collegio, in caso di estrema
gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio, il
ricorrente può, con la domanda cautelare o con distinto ricorso notificato alle controparti, chiedere al
presidente del tribunale amministrativo regionale, o della sezione cui il ricorso è assegnato, di disporre
misure cautelari provvisorie.” Vedete stiamo parlando di una richiesta di misura cautelare all’interno di un
giudizio, il “ricorrente” può con la domanda cautelare, oppure con un distinto ricorso notificato alle
controparti, chiedere misure cautelari provvisorie. Il giudizio è già instaurato, è un ricorso che si appoggia su
un ricorso principale. Anche qui: “La domanda cautelare è improcedibile finché non è presentata l'istanza di
fissazione d'udienza per il merito, salvo che essa debba essere fissata d'ufficio.” Anche qui: “2. Il presidente
o un magistrato da lui delegato verifica che la notificazione del ricorso si sia perfezionata nei confronti dei
destinatari o almeno della parte pubblica e di uno dei controinteressati e provvede con decreto motivato non
impugnabile.” Ecco perché si ha in causa, perché è necessario che si instauri il contraddittorio paritario fra
tutte le parti, che quantomeno ci sia la parte pubblica e uno dei controinteressati. Continuando: “Qualora
l'esigenza cautelare non consenta l'accertamento del perfezionamento delle notificazioni, per cause non
imputabili al ricorrente, il presidente può comunque provvedere, fatto salvo il potere di revoca. Ove ritenuto
necessario il presidente, fuori udienza e senza formalità, sente, anche separatamente, le parti che si siano
rese disponibili prima dell'emanazione del decreto.” Anche qui viene richiamato il 2° comma dell’art. 55:
“3. Qualora dalla decisione sulla domanda cautelare derivino effetti irreversibili, il presidente può
subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare alla prestazione di una cauzione, anche
mediante fideiussione, determinata con riguardo all'entità degli effetti irreversibili che possono prodursi per
le parti e i terzi.”

Comma 4:”Il decreto, nel quale deve essere comunque indicata la camera di consiglio di cui all'articolo 55,
comma 5, in caso di accoglimento è efficace sino a detta camera di consiglio.” Cosa vuol dire? La camera di
consiglio di cui all’art. 55, è quella in cui si discute la misura cautelare collegiale. In caso di accoglimento, il
decreto monocratico del presidente del tribunale, è efficace sino a questa camera di consiglio. Ecco perché
cautela della cautela. La misura cautelare collegiale è efficace fino alla sentenza di merito, la misura
cautelare monocratica ha un tempo di efficacia più ristretto. Continuando: il decreto perde efficacia, se il
collegio non provvede sulla domanda cautelare nella camera di consiglio di cui al periodo precedente. Fino
a quando conserva efficacia, il decreto è sempre revocabile o modificabile su istanza di parte notificata.
Quindi se il collegio, durante la camera di consiglio per discutere la misura cautelare collegiale, non concede
tale misura, il decreto presidenziale, con il quale è stata accolta la domanda cautelare monocratica perde
efficacia, non produce più effetti giuridici.

-Misura cautelare ante causam (art. 61)

Primo comma: “In caso di eccezionale gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la previa
notificazione del ricorso – quindi non c’è un ricorso e non c’è neanche la domanda di misura cautelare
provvisoria- e la domanda di misure cautelari provvisorie con decreto presidenziale, il soggetto legittimato
al ricorso – non si parla più di ricorrente - può proporre istanza per l'adozione delle misure interinali e
provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di
merito e della domanda cautelare in corso di causa.” La domanda cautelare è sempre in corso di causa,
perché si appoggia al ricorso di merito. Invece, la misura cautelare ante causam si instaura prima di qualsiasi
giudizio, tant’è che il soggetto legittimato a porla in essere, a richiederla, è chiamato soggetto legittimato al
ricorso e non ricorrente. Voi potreste dirmi, una cosa del genere è possibile? Il contraddittorio com’è
salvaguardato? Posto che deve essere sempre garantito dalle parti. E’ garantito nella parte che leggiamo al
secondo comma: “L'istanza – vedete non parla di domanda cautelare in corso di causa, che si appoggia ad
un ricorso di merito – notificata – con questo termine capite come il contraddittorio è garantito - con le
forme prescritte per la notificazione del ricorso, si propone al presidente del tribunale amministrativo
regionale competente per il giudizio. Il presidente o un magistrato da lui delegato, accertato il
perfezionamento della notificazione (di questa istanza) per i destinatari, provvede sull'istanza, sentite, ove
necessario, le parti e omessa ogni altra formalità.” Il presidente fa tutto quello che avrebbe fatto prima, cioè
se si fosse già instaurato il giudizio. Continuando: “Qualora l'esigenza cautelare non consenta
l'accertamento del perfezionamento delle notificazioni, per cause non imputabili al ricorrente – qui si pensa
sia una svista, ma può essere considerato ricorrente in senso lato, nel senso di persona legittimata a ricorrere
- , il presidente può comunque provvedere, fatto salvo il potere di revoca da esercitare nelle forme di cui
all'articolo 56, comma 4, terzo e quarto periodo. Comma 4: “Il decreto che rigetta l'istanza non è
impugnabile; tuttavia la stessa può essere riproposta dopo l'inizio del giudizio di merito con le forme delle
domande cautelari in corso di causa.” Quindi la domanda ante causam può essere riproposta, ma diventa
una domanda cautelare in corso di causa, da presentare sempre al presidente del collegio. Comma 5: “Il
provvedimento di accoglimento è notificato dal richiedente alle altre parti entro il termine perentorio fissato
dal giudice, non superiore a cinque giorni.” Qui vedete che i termini sono molto stringenti. Continuando:
“Qualora dall'esecuzione del provvedimento cautelare emanato ai sensi del presente articolo derivino effetti
irreversibili il presidente può disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, cui
subordinare la concessione della misura cautelare.” ”Il provvedimento di accoglimento perde comunque
effetto ove entro quindici giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda
cautelare (in causa) ed esso non sia depositato nei successivi cinque giorni corredato da istanza di
fissazione di udienza; - non si vuole che la domanda cautelare ante causam viva di vita propria e poi il
giudizio non prosegua, questa garanzia che viene data alla parte si deve poi reggere sull’instaurazione del
ricorso - in ogni caso la misura concessa ai sensi del presente articolo perde effetto con il decorso di
sessanta giorni dalla sua emissione, dopo di che restano efficaci le sole misure cautelari che siano
confermate o disposte in corso di causa.” Vedete la eccezionalità di questa misura cautelare.

Circa la misura cautelare monocratica, si è sempre discusso se il presidente del tribunale, debba motivare in
ordine al c.d. fumus boni iuris. Perché è chiaro che il pregiudizio grave ed irreparabile è alla base della
richiesta di misura cautelare. Riprendiamo un attimo l’art. 56: Prima della trattazione della domanda
cautelare da parte del collegio, in caso di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la
dilazione fino alla data della camera di consiglio, ecc. Questo ci deve far ragionare. E’ chiaro che per la
concessione della misura cautelare è necessaria la valutazione positiva del fumus boni iuris e soprattutto che
questa valutazione si faccia qualora l’adozione della misura monocratica avvenga ad opera del presidente del
tribunale inaudita altera partem, come riferisce l’art. 61 e non sussiste la violazione di questa regola del
processo cautelare, cioè del contraddittorio, in quanto quest’ultimo viene soltanto differito, data l’estrema
gravità ed urgenza. Sicuramente anche il presidente del collegio ha l’onere di motivare in ordine al fumus
boni iuris e lo si legge, circa la misura cautelare monocratica, nel secondo comma dell’art. 56: il presidente
o un magistrato delegato provvede con decreto motivato. Circa, invece, la misura cautelare ante causam è
previsto solo che si provveda con decreto, ma che dovrà comunque identificare la ricorrenza della
eccezionale urgenza e gravità, perché soltanto per questo motivo può esservi un provvedimento del giudice
amministrativo che deve motivare ai sensi dell’art. 3 c.p.a., in quanto il provvedimento decisorio del giudice
deve essere espressamente motivato ed è anche previsto dall’art. 111 Cost. comma 6.
Quindi c’è sempre la valutazione del fumus boni iuris, l’art. 55 prevede che il giudice deve indicare i profili
che ad un sommario esame inducano ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso, l’art. 56 prevede il
decreto motivato, per l’art. 61 si fa riferimento al fatto che tutti i provvedimenti del giudice amministrativo
debbano essere motivati ai sensi dell’art. 3 c.p.a. e 111 Cost.

Un ultimo aspetto vi voglio sottolineare. Vi ho detto che avverso le ordinanze del g.a. di primo grado è
ammesso l’appello. Il c.p.a. parla dell’appello cautelare (articolo 62) contro le ordinanze cautelari da
proporre dinanzi al Consiglio di Stato nel termine di 30 gg dalla notificazione dell’ordinanza o di 60 gg dalla
sua pubblicazione. Prima, nella legge 205/2000, il termine era di 60 gg dalla notificazione dell’ordinanza e di
120 gg dalla sua pubblicazione. Oltre l’appello stabilito dall’art. 62, c’è la possibilità che l’ordinanza
cautelare sia revocata, questo lo stabilisce l’articolo 58, che ha ampliato le ipotesi di revoca e di modifica e
di riproposizione della misura cautelare respinta: Revoca o modifica delle misure cautelari collegiali e
riproposizione della domanda cautelare respinta-> “1. Le parti possono riproporre la domanda cautelare al
collegio o chiedere la revoca o la modifica del provvedimento cautelare collegiale se si verificano
mutamenti nelle circostanze o se allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al
provvedimento cautelare. In tale caso, l'istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a
conoscenza. 2. La revoca può essere altresì richiesta nei casi di cui all'articolo 395 del codice di procedura
civile.” Forse questo è l’unico aggancio in cui vi è un rimando al di fuori del codice del processo
amministrativo. Articolo 395 c.p.c.:

Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in un unico grado, possono essere impugnate per revocazione:

1) se sono l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra;

2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la
parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;

3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre
in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario;

4) se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa.

La revoca va presentata allo stesso giudice che ha adottato l’ordinanza revocanda e se i provvedimenti
cautelari non sono eseguiti, l’articolo 59 c.p.a. prevede che: “Qualora i provvedimenti cautelari non siano
eseguiti, in tutto o in parte, l'interessato, con istanza motivata e notificata alle altre parti, può chiedere al
tribunale amministrativo regionale le opportune misure attuative. Il tribunale esercita i poteri inerenti al
giudizio di ottemperanza di cui al Titolo I del Libro IV e provvede sulle spese. La liquidazione delle spese
operata ai sensi del presente comma prescinde da quella conseguente al giudizio di merito, salvo diversa
statuizione espressa nella sentenza.”

In relazione alla condanna alle spese per la misura cautelare, c’è stata una modifica ad opera della legge
205/2000, perché essa ha stabilito che in caso di rigetto o di dichiarazione di inammissibilità o irricevibilità
della domanda cautelare, il giudice può provvedere in via provvisoria sulle spese del procedimento
cautelare (quindi siamo nell’ipotetico), questo ricalcando l’art. 669 septies del c.p.c. Oggi la situazione è
completamente cambiata, perché l’articolo 57 c.p.a. prevede: “Spese del procedimento cautelare-> Con
l'ordinanza che decide sulla domanda il giudice provvede sulle spese della fase cautelare. La pronuncia
sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa
statuizione espressa nella sentenza di merito.” Il giudice non ha più la possibilità, ma è un suo dovere
regolamentare la sorte delle spese della fase cautelare, indipendentemente dall’esito della domanda cautelare.
Questo ci fa capire come la domanda cautelare sia un fatto a sé, abbiamo una sua autonomia ed
indipendenza, sia pur rappresentando nella sua strumentalità strutturale la stampella del giudice di merito, sia
pur rappresentando nella sia strumentalità funzionale un’anticipazione qualitativa e quantitativa degli effetti
che è possibile ottenere dalla sentenza definitiva di merito. La domanda cautelare è comunque autonoma.
Può essere appellata, in quanto è un’ordinanza che ha contenuto decisorio e pronuncia sulle spese. E la
pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio e l’ordinanza
sulle spese che conclude il procedimento cautelare può rimanere a carico della parte vittoriosa nel merito. Ci
può essere un esisto opposto, in quanto una cosa è il giudizio cautelare e una cosa è il giudice di merito, per
quanto riguarda la condanna alle spese e per quanto riguarda la sua eventuale appellabilità.

TERZO SEMINARIO AMMINISTRATIVO II- 28/11/2020

Oggi facciamo un cappelletto sul T.U. delle società partecipate e poi cerchiamo di introdurre le società in
house. La legge Madia è molto importante nell’ambito del diritto amministrativo soprattutto perché è
intervenuta a modificare vari aspetti del diritto amministrativo e con l’art. 18 è intervenuta anche nel settore
delle società pubbliche. In pratica nell’art. 18, la legge Madia, legge del 2015 n.124, ha stabilito il riordino
della disciplina in materia di partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche (quindi di cosa stiamo
parlando? Stiamo parlando della creazione del T.U. delle società partecipate). Cosa sono le società
partecipate? Ossia quelle società in cui abbiamo le partecipazioni da parte delle P.A. e questo art.18 della
legge Madia reca specifici criteri di delega i quali vanno ad aggiungersi ai criteri generali comuni per
l’esercizio delle tre deleghe degli art 17, 18, 19.

Come sapete questa legge è tanto una legge delega ed in quanto tale deve indicare principi e criteri direttivi
che deve seguire il governo per dare attuazione a quanto previsto nella legge delega attraverso il d. lgs, ma è
anche una legge particolare perché non solo è legge delega in tal senso, ma è anche una legge che è
intervenuta direttamente a modificare…(la prof viene interrotta e riprende il discorso ripetendo alcune cose).

La legge 124 del 2015, nell’ambito che a noi interessa, l’art.18 ha delegato il governo a realizzare il riordino
della disciplina in materia di partecipazioni societarie. Essendo legge delega, nell’art. 18 troviamo i principi
e i criteri direttivi ed in questa legge il legislatore invita il governo a provvedere alla distinzione tra i tipi di
società partecipate dalle P.A. in relazione alle attività svolte, agli interessi pubblici di riferimento, alla misura
e qualità della partecipazione, alla sua natura diretta o indiretta, alle modalità anche se si tratta di società non
solo in house, ma anche le società che sono parzialmente partecipate dalle P.A. e inoltre il legislatore
commissiona al governo di dare la definizione di ciascuna delle tipologie individuate e della relativa
disciplina che è proporzionalmente derogatoria rispetto alla disciplina privatistica. Qual’ era il problema?
Essendo delle società, noi troviamo la disciplina delle società nel c.c. quindi si era creata un po’ di
confusione tanto per il legislatore quanto per i soggetti applicatori di questa legge. Quale disciplina puoi
applicare in determinati casi? Allora ecco che il legislatore ha invitato con questa legge il governo a
realizzare questo T.U. al fine di creare un riordino della disciplina in materia di partecipazioni societarie e
invitando a ridefinire anche le regole, le condizioni ed i limiti per la costituzione di società, per l’assunzione
ed il mantenimento di partecipazioni societarie da parte delle P.A. allo scopo di razionalizzare il sistema nel
suo complesso applicando criteri organizzativi, di economicità ed efficienza. Definizione anche di un preciso
regime di responsabilità degli amministratori, degli enti partecipanti. Per seguirmi meglio pensate all’ AM
Service che eroga il gas a Foggia; quella è una società in house che è partecipata dal Comune. Quindi
pensate a questo rapporto che abbiamo tra P.A. Comune e società partecipata AM Service che eroga un
servizio in sostituzione del Comune, cioè il Comune si avvale di questa società. Dunque pensate a questo
esempio e riconducete queste definizioni che sono state elencate dal legislatore nell’art. 18 dicendo di
definire le regole riguardo anche alla responsabilità degli amministratori o degli enti partecipanti, degli
organi di gestione o di controllo. Questo perché dobbiamo pensare che sono delle società partecipate
pubbliche il che significa che il Comune ha messo dei soldi in quelle società e quei soldi sono pubblici
quindi necessariamente occorre tracciare il flusso di questo denaro attraverso delle apposite regole e sono
necessarie anche delle regole sulla responsabilità che è in capo ai soggetti che maneggiano questi soldi
pubblici essendo amministratori di queste società o gli organi di gestione, di controllo, del personale delle
società partecipate. Individuazione anche dei requisiti di onorabilità dei candidati e dei componenti degli
organi di amministrazione e di controllo societario anche al fine di garantirne l’autonomia rispetto al
Comune ente proprietario. Razionalizzazione e rafforzamento dei criteri pubblicistici per acquisti e
reclutamento del personale.

Qui il legislatore nell’art.18 della legge delega sta invitando il governo a rafforzare e razionalizzare i criteri
pubblicistici per gli acquisti e il reclutamento del personale. Che significa? Che queste società non possono
liberamente acquistare le forniture, i servizi di cui hanno bisogno oppure quando hanno bisogno di lavori,
liberamente da un privato; queste società devono sottostare alle regole pubblicistiche dei contratti pubblici
quindi dell’evidenza pubblica proprio perché si tratta di denaro pubblico e quindi è necessario sapere come si
spende questo denaro. Dunque in queste società vi è una partecipazione pubblica della P.A. e per questo
devono sottostare a determinate regole pubbliche (evidenza pubblica). Per il reclutamento occorre fare un
concorso pubblico, bisogna applicare i principi previsti dal d.lgs. 201 del 2001 che riguarda appunto il
reclutamento di personale nelle P.A.

I principi poiché non abbiamo le regole strette previste per i concorsi pubblici per l’assunzione di dipendenti
pubblici, ma occorre applicare i principi tra i quali ricordiamo quello di trasparenza e di pubblicità; quindi
occorre pubblicare un avviso che dovrà restare pubblico per un termine minimo di 15 giorni, poi queste
società si danno un regolamento e la pubblicazione di esso li auto vincola al rispetto delle regole
pubblicistiche. Hanno anche vincoli alle assunzioni e ai trattamenti retributivi non potendo assumere
chiunque con un trattamento retributivo spropositato perché hanno dei vincoli.

A tal fine sarà necessario rendicontare i risultati economici, dovranno rilevare la determinazione della parte
variabile del compenso anche degli amministratori.

Ancora il legislatore nella legge delega invita il governo alla promozione della trasparenza e dell’efficienza,
attraverso la unificazione, la completezza, la massima intellegibilità dei dati economico-patrimoniali. Vi
anticipo che il decreto trasparenza, 33/2013, è stato esteso anche alle società pubbliche e ciò significa che
queste società, ecco perché forte questa esigenza di rendere trasparente le loro attività perché qui vi è
spendita di denaro pubblico, queste società sono soggette al decreto trasparenza. Se voi andate sul sito
dell’AM Service o di qualunque società partecipata, c’è la sezione amministrazione trasparente potendo
controllare l’attività svolta da quella società, fermo restando che questo controllo può essere svolto anche
attraverso le richieste di accesso civico, civico generalizzato (FOIA) che si applica anche per queste società.
Quindi vedete come il legislatore ha cercato di estendere a queste società dove confluisce i denaro pubblico, i
principi basilari delle P.A. Dunque sono delle società (strumenti privatistici), ma al loro interno transita
denaro pubblico e proprio per questo sono soggette agli obblighi di trasparenza, pubblicità, maggiore
efficienza previsti per le P.A.

La settimana scorsa il dirigente di una società pubblica ha assunto (da un anno) e ha chiesto come mai loro,
essendo privati, devono per forza sottostare alle regole del codice appalti e lei ha risposto che sono privati
per un verso (perché il loro rapporto di lavoro è privato, sono con CCL privato) però sono soggetti agli
obblighi della materia pubblica perché il denaro arriva dal Ministero che è una P.A. Quindi non possono
acquistare prodotti da chiunque, a meno che non si faccia un affidamento diretto rispettando determinati
principi, tipo quello di rotazione, e motivate perché avete acquistato da Tizio piuttosto che da Caio. Quindi la
legge consente in determinate situazioni e con determinati limiti di fare questo affidamento diretto. Quindi
vedete come anche per chi lavora all’interno di queste società diventa difficile capire questa commistione tra
regole pubblicistiche e privatistiche, per questo il T.U. è stato emanato per un riordino. Ricordate però che
questo è un T.U., una raccolta che ci dà i criteri per individuare le regole da applicare; non innova nulla,
realizza solo un riordino delle varie regole esistenti. Questo T.U. è sfociato poi nel d.lgs 175/2016.

Inoltre sempre all’interno di questa legge delega il legislatore ha invitato il governo ad introdurre un sistema
sanzionatorio, anche mediante riduzione dei trasferimenti statali degli Enti Locali, l’introduzione di
strumenti volti a favorire la tutela occupazionale nei processi di ristrutturazione e privatizzazione delle
società, obblighi di rendicontazione perché queste società devono rendicontare alla P.A. su come spendono i
soldi. Conclusosi il procedimento parlamentare concernente l’esame della nuova disciplina sulle società a
partecipazione pubblica, il governo approvò lo schema di d.lgs, in via definitiva il T.U. che entrò in vigore il
23 settembre 2016 e per questo abbiamo il d.lgs 175/2016. Però accade che appena entrato in vigore questo
T.U. successivamente la maggior parte delle leggi ha subito una modifica da opera del d.lgs 100/2017.

Cosa era accaduto? La legge delega prevede anche una tipologia di procedimenti per l’emanazione di questo
d.lgs stabilendo che questo schema di d.lgs venisse trasmesso dal governo al Consiglio di Stato e prevedendo
anche il parere da parte della Conferenza Unificata. Con la presentazione dello schema di d.lgs sul quale
prima della trasmissione alle Camere necessitava dell’intesa della Conferenza Unificata, il Governo
introdusse modifiche al T.U. al fine di risolvere alcune criticità emerse in fase applicativa perché
normalmente così accade spesso. Bisognava sanare il vizio di legittimità contenuto nella legge delega
consistente nella previsione di un parere e non di una intesa da parte della Conferenza Unificata perché era
stata emanata una sentenza della Corte Costituzionale n 251/2016. Il governo ha dato subito seguito a quanto
suggerito dal parere del Consiglio di Stato, pur avendo risposto ad un quesito formulato da un ministro per la
semplificazione e la pubblica amministrazione. In pratica il Consiglio di Stato già nel parere, affermava che
il governo avrebbe dovuto sanare il vizio procedurale, quindi l’intesa e non il mero parere da parte della
Conferenza Unificata, acquisendo tale intesa su provvedimento del suo complesso, dello schema legislativo
in sede di approvazione dei d.lgs correttivi. Cosa era successo? Il governo aveva fatto questo d.lgs però
aveva ottenuto dalla Conferenza Unificata solo un parere, nel frattempo c’era stata la sentenza della Corte
Costituzionale nella quale si era pronunciata sulla legittimità di talune disposizioni della legge Madia recante
delega al governo per la riorganizzazione delle P.A. sulla base di un ricorso della regione Veneto. La
sentenza dichiara l’illegittimità costituzionale della legge Madia nella parte in cui aveva previsto il mero
parere della Conferenza Unificata e non l’intesa in sede di Conferenza Unificata o di Conferenza Stato-
Regioni per taluni decreti legislativi. In pratica in questa legge delega si chiedeva non soltanto che il governo
intervenisse ad emanare il provvedimento, ma prima di arrivare a tale provvedimento definitivo, il governo
doveva avere il parere da parte della Conferenza Unificata o della Conferenza Stato-Regioni perché si tratta
di materie in cui si necessitava di avere questa collaborazione nella elaborazione di un provvedimento
legislativo e quindi fra queste disposizione censurate vi era anche la delega al governo per la redazione al
T.U. in materia di società partecipate da una P.A. Questo principio (di LEALE COLLABORAZIONE tra
governo e Conferenza Stato-Regioni) riguarda in questo caso la definizione degli atti normativi. È un
principio importante perché il governo non decide da solo, ma ha bisogno di questa intesa e quindi, per
evitare che venisse dichiarato illegittimo costituzionalmente il T.U. delle società partecipate, allora subito è
intervenuto il legislatore modificando il d.lgs laddove prevedeva il mero parere, non l’intesa tra governo e
Conferenza Unificata. Tale sentenza della Corte Costituzionale è importante perché ciò che è emerso è il
necessario ricorso a procedure di leale collaborazione; è particolare perché ha imposto il rispetto di tale
principio anche nell’ambito del procedimento di adozione del d.lgs, cioè innova profondamente la pregressa
giurisprudenza con la quale il principio di leale collaborazione non si impone al procedimento
amministrativo, invece qui lo si impone anche in questo caso. Allora ecco come il legislatore per porre
rimedio alle conseguenze derivanti ad una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma, è
intervenuto ed ha emanato il decreto correttivo al T.U. delle società partecipate ed lo ha fatto con il d.lgs
100/2017.
Ricordiamo solo quali sono gli interventi che si sono realizzati con questo decreto; vedremo che è stat
eliminata la parte del parere. Ma è stata anche ampliata la parte di società partecipate (sono state inserite
anche le società consortili). Ricordate che questo T.U. si articola in 4 tipologie di intervento: la prima
riguarda le disposizioni introduttive recanti l’indicazione e l’oggetto, l’ambito di applicazione del T.U., la
formulazione delle definizione, l’individuazione delle società ammesse alla partecipazione pubblica,
l’individuazione delle tipologie di società completata dagli artt.16, 17, 18, dedicati alle società in house, alle
società miste pubblico-private, al procedimento di quotazione di società a controllo pubblico ai mercati
regolamentati; la seconda tipologia riguarda diposizioni volte a stabilire condizioni e limiti delle
partecipazioni pubbliche, nonché a ridefinire le regole per la costituzione di società o per l’assunzione ed il
mantenimento di partecipazioni pubbliche da parte di P.A. ed alienazione di partecipazioni pubbliche; la
terza tipologia riguarda gli organi di amministrazione e controllo delle società a controllo pubblico con
riferimento ai profili della governance societaria, i profili dei componenti degli organi di amministrazione, i
compensi dei membri degli organi sociali, la responsabilità dei rappresentanti e degli enti pubblici
partecipanti, il regime di controllo con riguardo anche all’attivazione del controllo giudiziario, la
prevenzione della crisi di impresa, il controllo ed il monitoraggio da parte del MEF; la quarta tipologia
riguarda le disposizioni volte ad incentivare l’economicità e l’efficienza mediante l’introduzione di
procedure di razionalizzazione periodica, revisione straordinaria e contabilistica, gestione personale e
specifiche norme per la gestione finanziaria Enti Locali. Importante è la promozione della trasparenza. A
conclusione le norme di transizione e coordinamento.

Allora vediamo la prima parte. A chi si applica questo T.U.? I destinatari immediati sono le società
partecipate. Quali tipologie di società? Le norme del T.U. hanno ad oggetto la costituzione di società da parte
di P.A. nonché l’acquisto, il mantenimento, la gestione di partecipazioni da parte delle amministrazioni in
società a totale o parziale partecipazione pubblica che può essere diretta o indiretta, nonché le società
quotate, le società da esse partecipate. Le disposizioni del T.U. si applicano a tali società quotate solo se
espressamente previsto. Ricordate che si applicano alle società partecipate da P.A. Dobbiamo dire cos’è la
partecipazione e a quali società ci si riferisce. Qui bisogna guardare l’art.2 del T.U. perché ci dà le
definizioni. La partecipazione pubblica i cui elementi definitori li troviamo nell’art.2, è ammessa in società
anche consortili o istituite in forma di S.P.A. o S.R.L., anche se in forma cooperativa. Quindi la
partecipazione pubblica è ammessa esclusivamente in S.P.A. o S.R.L, non in società di persone. In merito
all’organo di controllo, nelle S.R.L. a controllo pubblico, l’atto costitutivo deve prevedere comunque la
nomina dell’organo di controllo o di un revisore; nelle S.P.A. a controllo pubblico la revisione legale dei
conti non può essere affidata al collegio sindacale, devono essere 2 organi diversi.

Chiariamo. Se noi andiamo a prendere l’art. 2 delle definizioni vediamo cosa si intende per società. Abbiamo
detto che le società sono disciplinate dal c.c. aventi ad oggetto anche lo svolgimento di attività consortili. Ma
se guardiamo il c.c., il libro V opera una fondamentale distinzione tra società di persone e società di capitali.
Quindi le P.A. possono essere titolari di partecipazioni solo in società di capitali, non sono ammesse le
società semplici perché le società semplici sono caratterizzate dalla partecipazione personale che è
incompatibile con la figura del socio pubblico, ecco perché. La definizione è stato poi riformulata dal d.lgs
100 , ricomprendendo altresì gli organismi societari che hanno come oggetto sociale lo svolgimento di
attività consortili disciplinate dall’art.2615 ter del c.c. Quindi vedete il richiamo al c.c. proprio perché il T.U.
sta facendo un riordino della disciplina. Quindi quando c’è una disposizione non difforme dal c.c.,
applichiamo il c.c. e per il resto si applica la disciplina del T.U.

Le 2 discipline convivono. L’art. 3 del T.U. dispone che le P.A. possono partecipare esclusivamente a
determinati organismi societari e abbiamo specificato società di capitali. Ma chi sono le amministrazioni
pubbliche? Tali sono quelle definite al d.lgs 165/2001. Abbiamo detto che queste amministrazioni pubbliche
partecipano nelle società di capitali; ma cosa significa partecipare? La partecipazione è la titolarità di
rapporti comportanti la qualità di socio in società o la titolarità di strumenti finanziari che attribuiscono diritti
amministrativi. Ricordate che tale definizione la trovate sempre nell’art.2 del T.U. Ma che significa titolarità
di strumenti finanziari o della qualità di socio? La titolarità di strumenti finanziari conferisci al suo
possessore la titolarità di diritti amministrativi i quali riguardano la possibilità di partecipare
all’amministrazione della società, alla formazione della volontà sociale (il diritto di intervenire nelle
assemblee, il diritto di voto, il diritto di chiedere agli amministratori la convocazione o il rinvio
dell’assemblea dei soci). È all’interno dell’assemblea dei soci che si decide, il diritto per gli
assenti/dissenzienti di impugnare le deliberazioni dell’assemblea invalide, il diritto di denunciare al collegio
sindacale i fatti censurabili. È in questo che si realizza la partecipazione. Quindi società a partecipazione
pubblica è la società a controllo pubblico, nonché le altre società partecipate direttamente da amministrazioni
pubbliche o da società a controllo pubblico in relazione all’entità della partecipazione si distinguono in
totalmente pubbliche (con unico o più soci pubblici), miste a prevalenza pubblica ( partecipazione
maggioritaria del pubblico ed il privato è scelto con gare pubbliche) e miste a prevalenza privata
(partecipazione maggioritaria del privato). Cosa si intende per società a partecipazione pubblica? Ogni
società partecipata direttamente da P.A. o partecipata da società soggette a controllo pubblico e qui abbiamo
partecipazione indiretta (es. a Foggia il Comune controlla completamente AM Gas che a sua volta controlla
AM Service = partecipazione indiretta del Comune in AM Service). Quindi per società a partecipazione
pubblica abbiamo ogni società che è partecipata direttamente da P.A. o società sottoposte a controllo
pubblico (partecipazione indiretta). L’art. 2, importante perché definitorio, richiama l’art. del c.c. che
descrive la situazione di controllo (art.2359 c.c.) [ovvero anche alle ipotesi in cui per le decisioni finanziare o
anche strategiche relative all’attività, si richiede, in relazione a norme di legge o di statuto, il consenso
unanime delle parti che condividono il controllo].

Eravamo rimasti alla nozione di controllo (art.2359 c.c.). Cerchiamo di capire dal c.c. cosa sia il controllo e
come si articola all’interno di queste società da parte delle P.A. Come ci siamo detti il T.U. è un riordino
della disciplina e quindi necessariamente deve rinviare alle norme del c.c. in materia di società. Quindi
nell’art. 2 essenziale per le nostre definizioni, nella definizione di controllo si rinvia all’art. 2359. Ma cosa
prescrive questo articolo? A norma dell’art. 2359 sono considerate controllate le società nelle quali un’altra
società

(la P.A. in questo caso) dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria, ecco la
partecipazione, o di un numero di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante ( ecco il controllo).
Situazione che si configura anche in presenza di particolari vincoli contrattuali. Quindi l’art.2359, oltre alla
fattispecie del controllo, contempla anche quella delle società collegate sulle quali un’altra società esercita
un’influenza notevole. Ora il T.U, quando ci dà la definizione di controllo, richiama in toto l’art.2359 e non
le situazioni contemplate nell’art.2359 c.1, 2; dunque non distingue tra i commi dell’art. quindi noi dobbiamo
applicare la nozione totale dell’art.2359. Quindi non possiamo escludere a priori l’intenzione di voler far
rientrare nella definizione anche i casi in cui la P.A. sia in grado di esercitare sulla società un’influenza
notevole. A l c.2 dell’art.1 del T.U. si ribadiscono le finalità del provvedimento già enunciate nella legge
delega (l’efficienza, la gestione delle partecipazioni pubbliche, la tutela, la promozione della concorrenza e
del mercato, la razionalizzazione e riduzione della spesa). Quindi ecco tu P.A. puoi partecipare nelle società,
ma a che scopo? Attraverso la realizzazione di determinate finalità. Lo stesso legislatore ci sta dicendo al c.3
dell’art. 1 che, per quanto non derogato dal T.U. in materia di società partecipate, continuano ad applicarsi
alle società a partecipazione pubblica le disposizioni del c.c. Dunque il c.c. costituisce la legge generale delle
società ed il T.U. contiene norme speciali che richiamano le norme generali del diritto privato. Ma quando si
parla di norme generali del diritto privato non sorgono dubbi interpretativi? In quanto la norma generale è il
c.c. e tutte le altre norme che regolano i rapporti tra privati sono speciali. Forse allora il legislatore con la
locuzione in esame voleva fare riferimento a tutte le altre norme che regolano i rapporti tra privati, ad es. la
legge fallimentare. Quindi se questa era la finalità il legislatore avrebbe dovuto utilizzare una dicitura diversa
(norme di diritto privato e no norme generali di diritto privato). Allora cosa emerge in questo quadro? Quello
che dobbiamo ricordarci è che dalla disciplina delle partecipazioni pubbliche emerge un quadro normativo
che è composto da un ampio novero di disposizione intervenute soprattutto negli ultimi anni che hanno
introdotto delle specialità nella disciplina delle società a partecipazione pubblica rispetto alla disciplina
generale delle società. La cornice normativa resta quella delineata dal c.c. Il c.c. disciplina anche il rapporto
che c’è tra ente socio e società partecipata ed i relativi poteri di controllo. Quindi dobbiamo ricordare che noi
abbiamo il T.U., la norma generale per quanto non derogata dal T.U. è il c.c. e poi alle stesse società si
applicano le altre norme generali quali potrebbe essere la legge fallimentare.

Questo è stato anche affermato dalla Corte dei Conti in una deliberazione del 2015 in cui la stessa ha chiarito
che la soggezione delle società pubbliche alle regole del c.c. è aderente al principio di economicità
dell’azione amministrativa (principio che negli ultimi anni è stato introdotto con modifiche costituzionali
nell’art. 97 della Cost.). Inoltre è coerente con la tutela della concorrenza in quanto la prevalenza nel mercato
del diritto civile postula l’eliminazione del regime di esclusiva e la piena espansione della concorrenza. Alla
disciplina civilistica si è sovrapposta nel corso degli anni una serie di disposizioni di carattere speciale
introdotte con successivi interventi legislativi, quindi è accaduto che il quadro normativo è diventato
complesso in quanto la necessità di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ha indotto
a creare stringenti misure di contenimento e di controllo finanziario sulle società a partecipazione pubblica,
soggetti che pur avendo una veste giuridica privatistica, perseguono interessi pubblici e svolgono attività di
natura pubblicistica essendo destinatarie di questi trasferimenti e sovvenzioni, di somme pubbliche. Quindi
questo è il quadro normativo che emerge oggi. L’art. 1 del T.U. prevede che restino ferme le specifiche
disposizioni relative alle singole società, nonché le disposizioni di legge riguardanti la partecipazione di una
P.A. anche nella fondazione di enti associativi diversi dalle società; quindi con le altre disposizioni di legge
in cui abbiamo una partecipazione dello Stato non all’interno delle società perché tale T.U. si applica solo
alle partecipazioni all’interno di società di capitali. Però l’art. 1 fa salve anche le partecipazioni di una P.A.
in una fondazione o enti associativi diversi dalle società.

Il c.5 dell’art.1 prevede che le disposizioni del T.U. si applicano soltanto laddove sia espressamente previsto
alle società quotate partecipate, salvo che siano controllate o partecipate da amministrazioni pubbliche. Quali
sono? Sono quelle società a partecipazione pubblica che emettono azioni quotate nei mercati regolamentari.

Ora noi abbiamo detto in cosa si estrinseca la partecipazione, a cosa si applica questo T.U., ma abbiamo
parlato anche di controllo richiamando l’art.2359 del c.c. Ora vediamo che tipi di controllo può esercitare
una P.A. all’interno di una società. Si parla di CONTROLLO ANALOGO ovvero quella situazione in cui
una p.a. esercita su una società un controllo analogo a quello che esercita sui suoi servizi, realizzando
un’influenza determinante, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società
controllata. Tale controllo può essere esercitato anche da una persona giuridica diversa a sua volta controllata
dall’amministrazione partecipante (CONTROLLO A CASCATA). Questa è la medesima definizione
contenuta nella Direttiva Appalti 2014/24/UE; perché ve lo sto specificando? Perché il controllo analogo è
uno dei requisiti previsti per la società in house e l’art. 5 del Codice Appalti disciplina i requisiti delle società
in House prevedendo appunto la nozione di controllo analogo. Ma il controllo può essere anche
CONGIUNTO (Comune e Regione), quindi noi abbiamo una situazione in cui la P.A. esercita
congiuntamente ad un’altra amministrazione un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi su di
una società. Infatti se noi prendiamo l’art.5 c. 5 del Codice Appalti elenca le condizioni che devono essere
congiuntamente soddisfatte per concretizzare la fattispecie del controllo congiunto, anche se c’è da dire che
nella pratica ci sono problemi interpretativi su come deve essere esercitato questo controllo congiunto. In
sostanza gli organi decisionali della persona giuridica controllata devono essere composti da rappresentanti
di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Che significa? Che se io, Comune
o Regione, devo esercitare un controllo sulla società X, la società X che ha un CdA, potrà essere controllata
attraverso la nomina dei membri del CdA da parte delle amministrazioni che la controllano. Le
amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono così in grado di esercitare un’influenza determinante
sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica. La persona giuridica
controllata non persegue dunque interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti
aggiudicatori controllanti. In sostanza allora con il controllo analogo si esercita un controllo effettivo e
strutturale sui soggetti delle in house da parte dell’ente pubblico.

La Corte Costituzionale ha asserito che il controllo analogo si configura in mancanza di un rapporto


contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante e affidatario, c’è un rapporto interorganico nel senso che la
società in house è la longa manus dell’amministrazione che la partecipa ed in sostanza il rapporto che si
instaura tra la P.A. e la società in house controllata è di tipo interorganico, è interno non esterno. Se io faccio
una gara per un servizio X e vince il soggetto Y; in questo caso tra l’amministrazione ed il soggetto Y non si
instaura un rapporto intersoggettivo perché tale soggetto è terzo rispetto all’amministrazione. Se invece non
ho bisogno di fare la gara e faccio direttamente un affidamento su una società controllata da me come P.A.,
in questo caso si tratta di un rapporto interorganico perché quella società è totalmente controllata da me.

E la stessa Corte Costituzionale ci dice quando c’è questo controllo che è dato proprio dall’esistenza di un
rapporto interorganico; ciò non significa che siano annullati tutti i poteri gestionali dell’affidatario della
società in house, ma nella possibilità di un’influenza determinante incompatibile con il rispetto
dell’autonomia gestionale, senza distinguere tra decisioni di ordinaria e straordinaria amministrazione, in
coerenza con la giurisprudenza comunitaria. Ciò significa che non abbiamo annullato i poteri gestionali
dell’affidatario della società in house, ma sappiamo che l’influenza determinante è esercitata dalla società
pubblica che la controlla, quindi è vero che tu ti gestisci e la società si gestisce i vari rapporti tra i propri
dipendenti ecc.. in autonomia, ma le decisioni principali, il programmatico viene approvato dalla società che
la partecipa.

La Corte di Giustizia ha poi positivizzato nell’art. 12 della Direttiva Appalti tale definizione di controllo
analogo: “si ritiene che l’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un controllo
analogo a quello esercitato sui propri servizi, qualora eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi
strategici, sia sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere
esercitato da una persona giuridica diversa a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione
aggiudicatrice.” Tale definizione è ripresa sia nell’art. 5 del Codice Appalti, sia nell’art.2 del T.U. in esame.

Quindi i controlli devono essere esercitato contemporaneamente sugli organi (controllo strutturale) e sugli
atti e i comportamenti della società; quindi si configura un esercizio di poteri pubblicistici più intensi di
quelli spettanti al socio in base al regime civilistico al punto che tutte le decisioni più importanti devono
essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante. Nella pratica accade che, non potendo l’ente
pubblico essere sempre presente, questi nomina un membro del CdA e attraverso tali membri gestisce le
attività principali, però, è vero che questi membri sono di espressione politica perché nominati dall’ente, ma
è anche vero che questi organi devono rendicontare le loro attività all’ente, devono approvare il bilancio e
riunirsi con l’ente nell’assemblea dei soci, devono rendicontare all’ente gli investimenti che intendono
effettuare, quindi le decisioni più importanti devono essere poste sempre al vaglio preventivo dell’ente
affidante. Vi sono dunque una serie di strumenti, disciplinati anche dal c.c., che permettono
all’amministrazione pubblica di vigilare sulle attività realizzate dalle società in cui partecipano perché
altrimenti sfuggirebbero al controllo dell’amministrazione se non ci fossero queste nomine perché
l’amministrazione non avrebbe sotto controllo le società. Quindi abbiamo detto che l’atto costitutivo, lo
statuto delle società a controllo pubblico anche a responsabilità limitata devono prevedere la nomina
dell’organo di controllo e di un revisore dei conti (collegio sindacale), invece nelle S.P.A. a controllo
pubblico la competenza sulla revisione dei conti non può essere affidata al collegio sindacale in quanto
essendo nominato dagli stessi soci, non assicura la terzietà nell’esercizio della sua funzione.

LIMITI ALLE PARTECIPAZIONI PUBBLICHE -> L’art. 4 del T.U. fissa il divieto generale per le
amministrazioni pubbliche di costituire anche indirettamente società aventi per oggetto attività di produzione
di beni e servizi non necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, nonché di acquisire o
mantenere partecipazioni anche di minoranza in tali società. Io P.A. posso partecipare ad una società che
comunque realizza una parte dell’interesse di cui io sono portatore (es. l’erogazione del gas). Devo
raggiungere le finalità che deve soddisfare quell’ente nei limiti di tale principio quindi l’art.4 elenca le
finalità perseguibili dall’amministrazione attraverso la società partecipata (es. il trasporto pubblico urbano,
produzione di un servizio di interesse generale, ecc..) ciò perché se tali servizi sono offerti da un privato,
questo può porre dei limiti, può imporre un prezzo alto , quindi non dare la possibilità agli indigenti di
usufruire di quel mezzo di trasporto. In questo rinveniamo l’interesse dell’ente (es. comune) di partecipare ad
una società di trasporti che possa garantire il trasporto a tutti i soggetti indistintamente e possa far sì che si
abbia l’accesso agevolato a questo servizio. Io Comune non posso partecipare ad una società di trasporti che
applichi un prezzo altissimo che non permetta a tutti di accedere al servizio.

Si pensi anche alla progettazione e realizzazione di un’opera pubblica. Io Comune posso partecipare ad una
società per la realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra P.A. (es.
estensione del tratto ferroviario), alla organizzazione e gestione di un servizio di interesse generale attraverso
anche un contratto di partnerariato con un soggetto privato che viene selezionato con procedure pubbliche.

Autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente. Servizi di committenza compresi le attività di


committenza ausiliare apprestate a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.

Infine devo motivare. Come il legislatore esercita il controllo anche sulla P.A. che partecipa di una società
pubblica? Attraverso la motivazione dei loro provvedimenti amministrativi (la determina); la delibera
consiliare in cui si stabilisce che il comune vuole partecipare all’AM Service deve essere motivata.
L’interesse è quello di erogare il gas a tutti. Ecco deve emergere l’interesse e la motivazione con riferimento
alla necessità della società per il perseguimento della finalità istituzionale e devo, inoltre, motivare la
sostenibilità finanziaria e l’economicità dell’azione amministrativa.

Si tratta in sostanza dell’applicazione dell’art. 1 della l. 241/1990 che impone il rispetto dei principi di
economicità, efficacia, pubblicità, trasparenza, proporzionalità per regolare l’esercizio dell’azione
amministrativa. Abbiamo tutti gli strumenti, ma il legislatore purtroppo interviene tutti i giorni ad emanare
leggi per imbrigliare la P.A., ma in realtà abbiamo già tutti gli strumenti. Non c’è bisogno di intervenire
continuamente per stabilire come la P.A. e ed i privati debbano comportarsi. Basta il principio. Tu P.A. devi
esercitare la tua azione sulla base di questi principi (economicità, efficienza, pubblicità, trasparenza,
proporzionalità). Dunque l’art.5 del T.U. in materia di società partecipate impone il rispetto dei principi
generali prevedendo anche l’adozione del metodo partecipativo delle popolazioni interessate. Gli enti locali
sottopongono lo schema di atto deliberativo, atto che deve essere motivato, anche a forme di consultazione
pubblica, quindi il popolo può partecipare perché si tratta di interessi pubblici che la P.A. ci deve dare, ci
deve garantire. Dunque la norma prevede inoltre che debba essere data comunicazione, ecco il controllo.

LIMITI DI PARTECIPAZIONE (Art.4); COME POSSO PARTECIPARE (Art.5)-> delibera e motivazione,


ma la norma prevede anche che debba essere data comunicazione alla Corte dei Conti a fini conoscitivi
perché essa comprenda che la P.A. interessata ha adottato l’atto deliberativo nel rispetto dei principi di
economicità e all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato perché si renda conto che sempre la P.A.
interessata non ha violato i principi in materia di concorrenza e mercato affinché questa valuti gli aspetti che
possono causare distorsioni sulla concorrenza. Io lo affido a Tizio però poi nel mercato ci sono anche Tizio e
Caio che offrono lo stesso servizio anche a prezzo più basso dunque io P.A. devo stare attenta perché se devo
partecipare devo soggiacere a determinati limiti e devo dimostrare che la partecipazione in quella società mi
soddisfa anche il principio dell’economicità e inoltre non determina una distorsione della concorrenza.

Purtroppo però, in merito all’eventuale esito negativo di questi controlli, ad esempio un eventuale esito
negativo potrebbe produrre un eventuale giudizio di responsabilità contabile: ad esempio in caso di danno
causato da cattiva gestione delle società a partecipazione pubblica, le Sezioni Unite della Cassazione
configurarono due diverse responsabilità nel 2016 :

 ente partecipante per omesso controllo con giurisdizione della Corte dei Conti, danno provocato
quindi alle finanze pubbliche;
 amministratore, condotte illecite per danno provocato al patrimonio della società con giurisdizione
civile  bisogna stare attenti, sono soldi nostri, sono soldi pubblici, bisogna ben motivare.
Art. 6: elementi basilari dell’organizzazione, gestione società a controllo pubblico, gli atti conseguenti alla
costituzione di questa società, l’acquisto di partecipazioni, la gestione di queste partecipazioni e anche la
possibilità di vendere le partecipazioni.

La gestione tramite nomina degli amministratori, si segnalano dinanzi la Corte di Cassazione del 2016, che
ha stabilito che: “Le azioni concernenti la nomina o la revoca di amministratori e sindaci delle società a
partecipazione pubblica, sono sottoposti alla giurisdizione del giudice ordinario, anche nel caso in cui le
società stesse siano costituite a seconda del così detto modello “in house””. Rientriamo sempre nelle norme
civilistiche e l’applicazione delle norme civilistiche della mancata degenerazione delle norme civilistiche, a
chi viene affidata? Al nostro giudice per eccellenza, al giudice ordinario; diverso il caso in cui si tratta di
società in house, dove la giurisdizione per danno erariale è della corte dei conti.

C’è anche la possibilità di due ipotesi di responsabilità:

1. Responsabilità erariale: dinanzi Corte dei conti;


2. Responsabilità per condotte illecite: dinanzi al giudice ordinario e dimostrare il danno provocato
al patrimonio della società.
Vi segnalo inoltre che oltre i requisiti previsti dallo statuto, dalle norme del T.U. società partecipate, l’art. 11
disciplina anche i requisiti: nomine per potere esercitare questo controllo: nomina dei membri del CDA,
amministratore unico, delle s.r.l., viene effettuata dagli organi che la controllano.

L’ art. 11: disciplinai requisiti onorabilità, i requisiti dei componenti degli organi amministrativi; non si può
nominare chiunque, è di controllo alle società di controllo pubblico. Nella scelta degli amministratori della
società si intende che sia rispettato il principio di equilibrio di genere nella misura di almeno 1/3.
[digressione personale: “un mese fa ho assistito in assemblea di soci alla nomina del collegio sindacale di
una società partecipata, una s.r.l., e il ministero ha nominato i membri del collegio sindacale e nel rispetto
di questo principio di equilibrio di genere, ha nominato un membro donna e due uomini, sono tre in totale.
Ha nominato anche tanti membri effettivi, quanti membri supplenti. Siccome parliamo di ministeri,
normalmente viene affidata la nomina di due membri, si mettono d’accordo il Ministero e il MEF (Ministro
dell’economia e finanze) per la nomina, di solito due dal ministero del socio che partecipa alla società e uno
dal MEF, per controllare la spendita del denaro pubblico. Qui invece abbiamo due nominati dal MEF e uno
dal socio unico, nel rispetto del principio di equilibrio di genere”.]

La nomina di questi organi di controllo è importante, perché tramite questi organi che poi
l’amministrazione controllante esercita questo controllo, ai quali si aggiunge tutta una serie di adempimenti
che devono essere fatti dalle società di rendicontazione nei confronti dell’amministrazione che la controlla.

L’art. 11 dice anche che l’organo amministrativo delle società a controllo pubblico è costituito di norma da
un amministratore unico, ma per legge questa figura è prevista per le s.r.l., mentre se siamo fuori dalle s.r.l.
c’è la possibilità di nominare un CDA, ricorrere quindi ad una diversa forma di governance, fermo restando
la possibilità da parte della società interessata di stabilire con delibera da trasmettersi alla Corte dei Conti o
al MEF, di ricorrere alla forma di governance. Per la società partecipata, con forma di s.r.l.,
l’amministrazione deve essere affidata ad un amministratore unico.
L’art. 11 è importante anche perché possiamo vedere i compensi, l’amministratore ha si un ruolo importante,
poteri decisori, però non è che possono essere previsti compensi illimitati; l’art. 11 prevede dei limiti al
compenso: dipende dall’appartenenza ad una delle 5 fasce individuate dal decreto del MEF, per le società
controllate e la regione di enti locali il decreto adottato con l’intesa della conferenza unificata, il limite
massimo del trattamento economico annuo omnicomprensivo non può andare oltre i €240.000 a lordo annui.

Ma possiamo nominare qualunque soggetto “amministratore di queste società partecipate”? No, gli
amministratori di queste società non possono essere dipendenti dell’amministrazione controllante o
vigilante, qualora siano i dipendenti, hanno l’obbligo di riversare i relativi compensi alla società di
appartenenza.

Per quanto concerne le società a partecipazione pubblica, ma non a controllo pubblico, l’amministrazione
titolare di una partecipazione che supera il 10%, potrà proporre alla società l’introduzione di misure
analoghe a quelle previste in materia dei compensi anche per queste nomine si applicano i principi
generali di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, pensiamo ad esempio un soggetto che ha un
incarico politico, un deputato, sicuramente non può essere nominato amministratore unico di una società
partecipata  L’amministrazione deve stare attenta nelle nomine di questi soggetti e deve anche motivare la
scelta dell’indicazione di un determinato soggetto che poi andrà a svolgere la mansione di amministratore
unico, di membro del cda, di revisore legale dei conti o far parte del collegio sindacale.

RESPONSABILITA’ ERARIALE NELLE SOCIETA’ PARTECIPATE

Per la prima volta è disciplinata la responsabilità erariale in capo ai soggetti amministratori dipendenti delle
società in house, perché prima non c’era disciplina, ora nell’art. 12 T.U. delle società partecipate.

La norma in esame individua due diverse tipologie di responsabilità: civile e contabile, della società e dei
componenti degli organi societari.

 Responsabilità civile: nei confronti dei componenti degli organi societari per le responsabilità
previste dal codice civile, qualora abbiano causato un danno patrimoniale alla società;
 Responsabilità contabile: per danni erariali causati dagli amministratori e dai dipendenti delle
società in house, società cioè totalmente partecipate dall’amministrazione pubblica e che hanno
determinati requisiti.
Art. 12 c2: dà la definizione di danno erariale, per la prima volta si ha questa definizione, di solito si trova
sempre nelle giurisprudenza della Corte dei Conti.

Testo articolo: “Costituisce danno erariale il danno patrimoniale o non patrimoniale”, pensate al danno
all’immagine dell’amministrazione, continua “subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno
conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti, o comunque dei titolari del
potere di decidere per essi, che nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave
pregiudicato il valore della partecipazione” ci dà la nozione di danno erariale questo articolo, ma questa
responsabilità si estrinseca solo laddove viene provato nesso causale tra la condotta dell’amministratore
unico della società partecipata e il danno che si è provocato all’erario; ma io amministratore devo aver agito
con dolo o colpa grave, processo si svolge dinanzi la Corte dei Conti, il processo è similare rispetto al penale,
perché l’azione di responsabilità erariale viene esercitata dal p.m. che fa l’atto di citazione a me (?) e
all’amministratore unico, lo cita a comparire dinanzi la Corte dei Conti, quindi non abbiamo un privato che
cita ma è il p.m..

Il p.m. deve dare la prova del nesso di causalità, ma anche dell’elemento soggettivo, quindi che
l’amministratore unico ha, con dolo o colpa grave, provocato quel danno.
L’art. 12 si riduce a quanto affermato dalla Corte di Cassazione S.S. U.U. già a partire dal 2009, di recente
anche nel 2016, in senso conforme, da ultimo anche le S.S.U.U. del 2020, dove si ribadisce lo stesso
concetto.

La S.S. U.U. del 2020 ha affermato che: “La cognizione in ordine all’azione di responsabilità, promossa nei
confronti degli organi di gestione e di controllo di società di capitali partecipate da enti pubblici, spetta alla
corte dei conti solo nel caso in cui tali società abbiano, al momento delle condotte ritenute illecite, tutti i
requisiti previsti per essere definite società in house, i quali devono risultare dalle disposizioni statutarie, in
vigore all’epoca in cui si è commesso il fatto, non avendo alcun rilievo la loro ricorrenza in fatto, essendo a
riguardo anche se l’ente privato societario rimane pur sempre centro d’imputazione di rapporti e posizioni
giuridiche soggettive diverse dall’ente partecipante”  nonostante la società abbia una sua autonomia, si
applicano le norme di diritto privato, ma se ci sono i caratteri della società in house, quale longa manus
dell’amministrazione, è stato esercitato un danno nei confronti dell’erario, la competenza della
responsabilità è della Corte dei Conti.

In questa ordinanza del 2020, la Corte di Cassazione dice che: “Anche se l’ente privato societario rimane pur
sempre centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverse dall’ente partecipante,
che siano resi manifesti nei rapporti interni ed esterni, il carattere istituzionalmente servente della società in
house, la sua fisionomia di mera articolazione della p.a. da cui promana, in contrapposizione a quella di
soggetto giuridico esterno e autonomo della p.a., fa si che le condotte ritenute illecite soggiacciono alla
giurisdizione della corte dei conti”, vengono ripresi concetti già detti.

E’ vero noi parliamo di società su privato, ma comunque si usano solti pubblici, ecco che ci sono tutta una
serie di controlli che devono essere effettuati e se sbagli ci sono responsabilità, e se sei società in house la
responsabilità è erariale dinanzi alla Corte dei Conti.

Se sbagli c’è il controllo giudiziario ex art 13 T.U.S.P. : “ciascuna amministrazione pubblica socia,
indipendentemente dalla quota di partecipazione nella società, può presentare denuncia di grave
irregolarità al Tribunale”. Occhio società pubblica, non sei libera perché stai maneggiando denaro pubblico,
e l’amministrazione pubblica socia può attivare il controllo giudiziario con l’art. 13.

Si è vero che c’è responsabilità erariale solo per società in house, ma è anche vero che, io p.a. che controllo
la società, posso attivare il controllo giudiziario.

COME QUESTE SOCIETA’ A CONTROLLO PUBBLICO DEVONO GESTIRE IL PERSONALE?

Art. 19 T.U.S.P. : “Salvo specifiche disposizioni recate nel provvedimento, i rapporti di lavoro siano
disciplinati alle medesime disposizioni che si applicano al settore privato”  Il rapporto di lavoro è
disciplinato dal CCNL che si applica per la tipologia di società all’interno della quale la p.a. partecipa,
essendo società in cui confluisce il denaro pubblico, queste devono gestire il loro personale entro determinati
limiti e nel rispetto di determinati principi che sono previsti all’art. 19.

Naturalmente, i rapporti di lavoro sono regolati dalle disposizioni che regolano il settore privato: ad esempio
per la società in house del Comune di Foggia AMSERVICE, c’è il contratto collettivo che riguarda il gas, c’è
un CC specifico, che non è il CCN dei dipendenti pubblici, ma ogni società a seconda dell’attività che eroga
ha una tipologia specifica di contratto collettivo nazionale a cui aderisce. Se andiamo nel sito di una
società partecipata, nella sezione “amministrazione trasparente” c’è l’organizzazione, si vede la tipologia di
CCNL che si applica alle società.

RAPPORTO DÌ LAVORO E’ GESTITO DALLA DISCIPLINA PRIVATISTICA, MENTRE PER il


RECLUTAMENTO (modalità di assunzione del personale all’interno di queste società) art. 19
T.U.S.P. il reclutamento si attua tramite il rispetto dei principi per l’accesso alle p.a..
Rapporto di lavoro : privato

Reclutamento: principi di accesso alle p.a., uno dei principi cardine per accedere al reclutamento: tramite
concorsi pubblici.

Art. 19 richiama art. 35 del d. lgs. 165/2001, laddove prevede:

 il principio della pubblicità nelle selezioni: adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a
verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti;
 rispetto alla pari opportunità;
 decentramento delle procedure di reclutamento;
 composizione della commissione con soggetti esperti nella materia oggetto di concorso, scelti tra
funzionari dell’amministrazione, docenti, che non siano componenti dell’organo di direzione politica
dell’amministrazione, che non ricoprono cariche politiche, perché altrimenti non si avrebbe
l’imparzialità della commissione che deve selezionare il personale.
Art. 19 molto importante : se vogliamo partecipare a dei concorsi pubblici, possiamo andare sul sito del
Comune di Foggia ad esempio per visualizzare la lista delle singole società partecipate, andare sul sito delle
singole società per vedere se ci sono concorsi attivi per la selezione bisogna rispettare i principi di accesso
alle p.a., devono quindi pubblicare l’avviso pubblico  procedura più semplice rispetto ad un concorso
pubblico, forma di reclutamento è più semplificata.

Di solito, siccome non si sanno queste cose, è raro che partecipano dei soggetti esterni come quando ci sono
dei concorsi pubblici a cui partecipano migliaia di persone. Se uno ha tempo si mette a spulciare nei siti delle
società partecipate che hanno obbligo di rispettare l’art. 35 d.lgs. 165/2001, c’è chance di vincere perché
pochi sanno e pochi partecipano. Anche la procedura deve rispettare determinati principi oltre la pubblicità e
la trasparenza, anche nella selezione :tramite la nomina di una commissione, nominata nel rispetto di
professionisti, esperti nella materia oggetto di selezione del concorso, ovviamente non possono partecipare
organi di partecipazione politica dell’amministrazione, ma devono essere soggetti che non ricoprono cariche
politiche, se no sarebbe inficiata la scelta dei soggetti partecipanti.

Attività più snella: non ci sono quiz perché partecipano in pochi, che di solito nei concorsi pubblici quando
si supera un certo numero di partecipanti (25), si fanno quiz preselettivi, dopo averli superati ci sono le
prove scritte. Mentre nelle società partecipate è più snella la procedura, di solito partecipano poche persone,
quindi non si fanno quasi mai i quiz e la prova scritta, soprattutto quando si richiedono posizioni non di
vertice, dirigenziale e di responsabilità nella società; si può partecipare quindi a questo concorso anche a
livello C, poi all’interno poter crescere e fare carriera. Purtroppo sono delle società partecipate, ci sono molti
dipendenti con angoscia quando c’è scadenza delle convenzioni con le amministrazioni di avere rinnovo o
meno, anche se c’è contratto a tempo indeterminato, siccome i soldi che conferiscono sono soldi pubblici,
dipende sempre dalla scelta dell’amministrazione se avere ancora la partecipazione nella società o continuare
a far si che quella società eroghi in toto il servizio pubblico, ma normalmente i rapporti tra società pubbliche
e amministrazioni continuano nel tempo. Questa potrebbe essere un’idea per chi vuole trovare un posto di
lavoro e non affrontare lungaggini e le migliaia di persone che partecipano nei concorsi pubblici.

Nel T.U.S.P., è inserito l’esempio delle società in house, ovvero le società con partecipazione totalitaria dalla
p.a., però le società partecipate sono anche quelle con partecipazione mista (pubblico-privato), art 17 che
richiede che nelle società miste, istituite per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica o per un
servizio di interesse generale, avente ad oggetto esclusivo l’attività inerente all’appalto o alla concessione, la
quota di partecipazione del privato non deve essere inferiore al 30%. Il privato, che partecipa in questa
società, deve essere selezionato tramite la procedura di evidenza pubblica, ovvero tramite l’appalto 
sottoscrizione del privato e contestualmente l’affidamento del contratto di appalto di concessione.
La durata della partecipazione del privato nella società non può essere superiore alla durata dell’appalto o
della concessione, lo statuto deve prevedere meccanismi idonei a determinare lo scioglimento del rapporto
societario in caso di eventuale risoluzione del contratto di servizio.

Anche queste società sono sottoposte all’obbligo di trasparenza, infatti l’art. 22 T.U.S.P. prevede che le
società in controllo pubblico, così come le p.a., sono sottoposte al principio di pubblicità e trasparenza
previsto dal decreto trasparenza 33/2013.

L’ANAC ha emanato infatti una determinazione nel 2017, nella quale ha previsto delle linee guida per
l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione società e enti controllati e
partecipanti alle p.a. o da enti pubblici economici  anche per queste società bisogna rispettare gli obblighi
di pubblicazione, c’è una tabella dove sono previsti quali documenti devono essere pubblicati nell’home
page della società in amministrazione trasparente ed entro quale termine questi documenti vanno pubblicati.

Alla fine del T.U.P.S. ci sono le clausole di salvaguardia , così come in tutti i decreti legislativi, e l’elenco
delle norme che sono state abrogate.

PICCOLA SUMMA DI TUTTA LA LEZIONE

Con legge Madia del 2015 si è cercato di effettuare il riordino della disciplina delle società partecipate. Il
riordino della disciplina implica il fatto che all’interno di questo T.U.S.P. abbiamo norme specifiche per le
società partecipate, al di fuori delle quali si applicano la norma generale del codice civile e le eventuali
norme generali previste per le società, ad esempio la legge fallimentare.

A chi si applica il T.U.S.P.? A tutte le p.a., richiamo al d.lgs. 165 art. 1, che intendono partecipare in
società di capitali, no società di persona.

All’interno di questa società come viene realizzata la partecipazione? Tramite titolo di determinati .. (non
continua la frase), diritto di voto, diritto di partecipare all’assemblea.

Come si esprime la partecipazione? Può essere diretta, ad esempio il comune che partecipa alla società,
oppure indiretta: comune che partecipa alla società A, che a sua volta partecipa ad una società B, quindi il
comune indirettamente partecipa alla società B.

Come si esercita controllo?

 Tramite la nomina dei membri del collegio sindacale e delle s.r.l.;


 attraverso la nomina degli organi di controllo nelle società di capitali;
 spa: tramite la nomina dei membri del cda;
 nomina amministratore unico nelle s.r.l., da parte dell’amministrazione che la controlla.
Perché? Perché questi organi sono la governance della società, organi che decidono, così l’amministrazione
ha un’influenza determinante per le decisioni più importanti della società.

Diverse tipologie società :

 società a parecipazione interamente pubblica;


 Società mista : privato-pubblico;
 Società a prevalenza pubblica;
 Società a prevalenza privata.

SOCIETA’ IN HOUSE
Un’importante società, dove ci sono maggiori controlli, è la società in house: società a controllo pubblico,
dove sono titolari di affidamenti diretti di contratti pubblici.

L’art. 16 T.U.S.P. richiede, in accordo con la direttiva europea appalti n.14/2014, che per ricevere
affidamenti diretti di contratti pubblici delle amministrazioni che esercitano su di esse un controllo analogo
a quelle società, non deve esserci partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prevista a norma di
legge e che avvenga in forme che non comportano un potere di controllo privati, o un potere di veto privati
non devono esercitare alcuna influenza determinante su società controllata.

Gli statuti di queste società prevedono che oltre l’80% del loro fatturato sia effettuato nei confronti
dell’amministrazione che la partecipa, quindi effettuato nello svolgimento di compiti ad essa affidati
dall’amministrazione pubblica. La produzione ulteriore rispetto a questo limite di fatturato, è consentita solo
a condizione che la stessa permetta di conseguire economia di scala o altri recuperi di efficienza su
complesso dell’attività principale delle società.

Cos’è la società in house? Affidamento diretto: il comune che ha partecipazione totalitaria nella società in
house, ha affidato direttamente un servizio a questa società, totalmente senza gara, non ne ha necessità di
farla. L’affido in house è l’affidamento senza gara di un contratto da parte della p.a.

Ciò che caratterizza l’istituto è la disapplicazione di uno dei principi fondamentali di stampo europeo che
reggono la scelta del contraente da parte delle p.a., ossia il principio di concorrenza. Si deroga al principio
di concorrenza e si affida direttamente ad una società l’erogazione del gas o il servizio di trasporto urbano,
ad esempio.

Queste società nascono dalle sentenze della corte di giustizia, creazione in primis giurisprudenziale, e poi
si è concretizzata nel T.U.S.P. dove si ha la definizione normativa della “società in house”, così come
nell’art. 5 del codice dei contratti pubblici a seguito della direttiva appalti  PER LA PRIMA VOLTA SI
E’ AVUTA LA NORMATIZZAZIONE DELLE SOCIETA’ IN HOUSE, CHE SONO DÌ
CREAZIONE GIURISPRUDENZIALE.

Secondo la Corte di Giustizia, l’amministrazione può affidare l’erogazione di un servizio o la realizzazione


di un’opera in via diretta, ossia senza ricorrere alla procedura di evidenza pubblica. Quando l’operatore
affidatario non si configura soggetto terzo, ma si atteggia alla stregua di una propria articolazione interna,
infatti quando l’amministrazione partecipa alla società in house, questa società diviene un tutt’uno con
l’amministrazione, è un rapporto inter-organico, non è un rapporto intersoggettivo esterno
(amministrazione-società x esterna scelta per realizzazione di un’opera).

Si ha un tutt’uno, non vi è gara, l’amministrazione va direttamente nella società che la partecipa, attraverso
una convenzione si stabilisce quali sono le attività che deve erogare la società che la partecipa, quindi la
società diviene un’articolazione interna della p.a. che la partecipa  ecco perché quei limiti stringenti
per la selezione, la responsabilità per danno erariale all’art.12 solo per le società in house.

Tale situazione ricorre in presenza di tre requisiti, che erano stati già individuati dalla Corte di Giustizia a
partire dal 1999:

1. Controllo analogo a quello operato sui propri servizi interni, da parte dell’amministrazione
committente;
2. Partecipazione pubblica totalitaria della società attuatrice;
3. Destinazione prevalente dell’attività svolta dalla società attuatrice a favore dell’amministrazione
committente.
La giurisprudenza della Corte di giustizia ha chiarito anche cos’è il controllo analogo, ma noi già ce lo siamo
detti e anche del controllo previsto dal codice civile.

Controllo analogo: la possibilità di determinare gli obiettivi strategici, le decisioni significative della società
in house, il quale perciò deve risultare “privo” di autonomia gestionale, anche se di fatto ce l’ha autonomia
gestionale, perché deve gestire rapporti con i propri dipendenti. Ma le decisioni più importanti, sono presi
dall’amministrazione che la partecipa, il controllo deve essere effettivo, strutturale e funzionale. Si esula dai
poteri ordinari dei soci pubblici, la verifica deve compiersi in concreto, in base alle previsioni contenute
nello statuto della società.

Ma l’amministrazione come fa a gestire tutto questo?

Prima degli interventi legislativi che si sono avuti con la direttiva appalti che poi sono stati trasfusi nel
codice appalti, quindi nel T.U.S.P.; nella giurisprudenza comunitaria affermava che per potersi configurare la
società in house, la società affidataria deve essere a partecipazione pubblica totalitaria, superando così i
vecchi orientamenti che ritenevano sufficiente la partecipazione maggioritaria; partecipazione privata anche
minoritaria. L

La giurisprudenza comunitaria, prima della direttiva appalti del 2014, affermava che non era possibile che
all’interno di questa società in house potesse partecipare il privato, perché la sua partecipazione ha interesse
egoistico da seguire, non ha interesse pubblicistico dell’amministrazione, quindi la partecipazione privata
confliggeva con l’interesse pubblicistico dell’ente, da qui la necessità di ritenere che la partecipazione fosse
totalmente pubblica.

Si richiedeva un ulteriore requisito: quando il soggetto in house svolge la parte più importante della propria
attività in favore del soggetto che la controlla, non significa che la società debba svolgere solamente attività
con i soggetti controllanti, ma che la diversa attività eventualmente svolta deve essere marginale, residuale.
La Corte di Giustizia ha affermato che per capire se l’impresa svolga la parte più importante della propria
attività nei confronti dell’ente pubblico occorre verificare: se le sue prestazioni vengano destinate in via
principale all’affidante, e che ogni altra attività abbia carattere marginale  VERIFICA EMPIRICA,
CASO PER CASO, non era indicata ancora una percentuale.

Fino a quando, arriva la direttiva del 2014 sui contratti pubblici, dove si considerava la produzione di servizi
anche tramite società in house come modalità organizzativa a tutti gli effetti consentiti dal diritto europeo, a
cui le amministrazioni possono ricorrere in alternativa alle esternalizzazioni: è un rapporto inter-organico, no
intersoggetivo, l’amministrazione può partecipare purché la società persegua l’interesse di cui
l’amministrazione è titolare.

Destinazione prevalente dell’attività svolta da queste società a favore dell’amministrazione


committente : le direttive europee confermano la posizione della Corte di giustizia, secondo cui il controllo
analogo ricorre qualora l’amministrazione eserciti un’influenza determinante, sia sugli obiettivi strategici,
che sule decisioni significative della persona giuridica controllata. Ma è previsto inoltre che tale controllo
può essere esercitato congiuntamente con un’altra p.a., a cascata (comune – società A – società B);
Amministrazione capofila che esercita un controllo analogo su un ente che a sua volta esercita un controllo
analogo in un altro organismo  CONTROLLO A CASCATA INDIRETTO.

Però le direttive appalti del 2014 recepiscono in toto giurisprudenza le varie forme in house.

MODIFICA: nelle direttive però è previsto che vi partecipano anche i privati, quindi viene superata la regola
della necessaria partecipazione totalitaria da parte dell’amministrazione pubblica, si consente l’affidamento
diretto, quando la società a partecipazione è partecipata anche da privati, però a delle condizioni : le forme di
partecipazione private siano obbligatorie ai sensi delle disposizioni di legge, siano conformi ai trattati, non
comportino il controllo o il potere diretto o un’influenza dominante dei privati sulla società  PRIVATI
POSSONO PARTECIPARE IN DICHIARAZIONE DÌ LEGGE, MA NO INFLUENZA
DOMINANTE SULLA SOCIETA’ PARTECIPATA  direttive prevedono che le società in house
devono svolgere e prevedono inoltre la percentuale.

Con nuove direttive:

 Possibilità di partecipazione del privato nella società in house partecipata dall’amministrazione,


purché la partecipazione sia disciplinata dal legislatore, e che il privato non eserciti alcun potere di
veto, controllo, decisionale;
 Altra novità: prevista la percentuale dell’attività che deve essere svolta a favore dell’ente
partecipante. Si supera orientamento precedente del controllo caso per caso che l’attività prevalente
della società fosse a favore dell’amministrazione che la controlla; ora il legislatore europeo ha
prevista la percentuale: la società in house deve svolgere in favore dell’amministrazione
controllante oltre l’80% dell’attività: 81%  INTRODOTTO UN CRITERIO
QUANTUTATIVO PER individuare l’ATTIVITA’ PREVALENTE che la società IN HOUSE
deve svolgere a favore dell’amministrazione che la controlla, in sostituzione del CRITERIO
QUALITATIVO, cui aveva fatto ricorso la giurisprudenza. Ci deve essere almeno l’81%, il resto a
favore del privato.
[Esempio: Pensate, io società erogo il servizio di analisi antidoping al ministero dello sport, nell’81% è
fatturata al ministro dello sport, il restante lo fatturo ai privati, faccio antidoping anche per associazioni
sportive che vogliono controllare professionisti  si ha un risultato tangibile, è più facile verificare attività
prevalente svolta, rispetto a casistica precedente dove si verificava caso per caso. Quant’era l’attività
prevalente? Prima si aveva un criterio qualitativo interpretativo, diverso dal criterio quantitativo che si ha
adesso.]

Con il d.lgs. 50/2016 che ha introdotto il codice appalti, il legislatore ha dedicato all’istituto delle società in
house due articoli: art 5 e art 192, i quali hanno due collocazioni diverse. L’art. 5 nella prima parte del
codice, l’art. 192 alla fine del codice.

Art. 192: viene inserito in un titolo dedicato al partenariato pubblico privato, a contraente generale, alle altre
modalità di affidamento; forse perché voleva disciplinare gli aspetti procedimentali delle società in house.

Art. 5: nel titolo che disciplina le esclusioni del codice appalti, esclusione però non significa che non si
applica il codice appalti, ma vuol dire che si applicano i principi generali del codice. Ci sono i requisiti, se
sussistono noi siamo di fronte ad una società partecipata, ma che si qualifica come “in house”. Questi
requisiti sono elencati anche nell’art. 6 del T.U.S.P..

In relazione al requisito del controllo analogo, questo articolo prevede che l’amministrazione giudicatrice o
l’ente giudicatore esercita sulla persona giuridica, di cui trattasi, un controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi  in sostanza si è approdati che qualora eserciti influenze determinanti sia sugli obiettivi
strategici che sulle decisioni più importanti della società. Si recepiscono tutte le eccezioni del controllo
analogo e del controllo a cascata, indiretta, capovolto, frazionato.

Ricordatevi : La novità è data dalla partecipazione dei privati nei limiti e l’altra novità è data
dall’introduzione del criterio quantitativo dell’80% dell’attività svolta prevalentemente dalla società
nei confronti dell’amministrazione che la partecipa.

L’amministrazione pubblica per poter partecipare deve motivare la partecipazione all’interno di queste
società, la motivano con il provvedimento, quale atto principe dell’amministrazione, che può avere la
qualifica di delibera, determinazione e qualsiasi altra denominazione.
In sostanza un provvedimento amministrativo che deve essere MOTIVATO, come tutti i provvedimenti
amministrativi  per partecipare alla società in house o in altre società che vengono definite “società
partecipate”. Devo dimostrare che sono nei limiti previsti dall’art.4 del T.U.S.P., e sto partecipando in una
società per garantire l’erogazione e la soddisfazione dell’interesse pubblico, di cui io amministrazione sono
titolare.

Se partecipo in una società in house, dal momento che la partecipazione dell’amministrazione è alta, quasi
totalitaria o totalitaria, devo dare nel provvedimento la motivazione perché sto ricorrendo alla società in
house, devo motivare che non c’è nel mercato nessun’altra società che mi dà quel servizio ad un prezzo
economico inferiore, principio di economicità.

Art. 192 del codice dei contratti pubblici : “Ai fini dell’affidamento dell’in house di un contratto avente ad
oggetto servizi, che sono disponibili sul mercato, in ragione di concorrenza, effettuano la valutazione sulla
congruità economica dell’offerta dei soggetti in house”  Io comune sto partecipando nella società di
trasporti perché questa società me lo fornisce ad un costo inferiore rispetto al mercato, devo dare atto della
valutazione della congruità economica dell’offerta del soggetto in house, e devo anche motivare dei benefici
che ha la collettività di questa forma di gestione, anche con riferimento ad obbiettivi di universalità e
socialità (servizio reso a tutti indistintamente, no discriminazione, ci deve essere socialità, tutti devono
potervi accedere), di efficienza, di economicità, di qualità di servizio, nonché dell’impiego ottimale delle
risorse pubbliche ECCO COM’è IMPORTANTE la PROCEDIMENTALIZZAZIONE
DELL’AFFIDAMENTO IN HOUSE DISCIPLINATO ALL’ART. 192 del codice dei contratti
pubblici.

3/12

La professoressa prima di iniziare la lezione ha comunicato che probabilmente il corso potrebbe finire
anche la prima settimana di gennaio, l’ultima lezione sarà quindi quella del 7/01 mentre la prima data
d’esame è il 20/01.

GLI ATTI IMPUGNABILI

Posto che abbiamo parlato delle azioni e delle misure cautelari, parliamo della categoria degli atti
impugnabili ossia gli atti che, per espressa volontà legislativa, sono sottratti a qualsiasi sindacabilità ad
opera del G.A.

Ritorniamo all’art. 7 del d.Lgs. n. 104/2010 alias Codice del processo amministrativo:

1. Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi
legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il
mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti
riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche
amministrazioni.Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del
potere politico.

L’art. 7, che come noto riguardala giurisdizione amministrativa, nel co 1 dopo aver definito l’ambito della
giurisdizione del giudice amministrativo – si è detto come in questo comma la platea degli ambiti di
giurisdizione si è notevolmente dilatata prevedendo che le controversie conosciute dal GA hanno a che fare
con i provvedimenti della PA, con gli atti ed oggi anche con gli accordi e, soprattutto, con i
comportamenti il cui termine non deve essere avulso, cioè indicato in maniera isolata, ma nel parlare di una
controversia del G.A. che si appunta su un comportamento della PA bisogna aggiungere che
riguarda“comportamentiriconducibile anche mediatamente o indirettamente all’esercizio di un potere
autoritativo della PA”; questo perché se non c’è il nesso, la connessione tra interesse legittimo e diritti
soggettivi ma c’è il mero comportamento non ci può essere, sicuramente, la giurisdizione del GA ma ci sarà
soltanto la giurisdizione del GO – prosegue individuando gli atti sottratti alla cognizione del GA. Infatti,
oltre questo primo periodo di questoco 1, vediamo che questo continua con un ulteriore periodo, molto
discusso e dibattuto anche di recente (ecco perché parlarne in maniera molto approfondita, analizzando anche
alcune sentenze della Corte costituzionale che hanno esplicitato questa norma):

NON SONO IMPUGNABILI GLI ATTI O I PROVVEDIMENTI emanati dal governo nell’esercizio del
potere politico.

Questa è una norma che recita che esiste una categoria di atti che sono sottratti alla cognizione del
GAossia gli atti che sono emanati dal governo nell’esercizio del potere politico, i quali sono comunque
provvedimenti o atti amministrativo – posto che vi ricordiate che il governo è organo di indirizzo politico per
eccellenza e che gli organi di indirizzo politico insieme agli organi di gestione amministrativa sono
comunque organi della PA e che fanno parte dei poteri della PA. Allora questa norma, art.7,co1 del C.p.a,
che afferma l’insindacabilità dell’atto politico – perché atto emanato dal governo nell’esercizio del
potere politico – potrebbe sembrare in contrasto con il disposto dell’art.113 della Cost. il quale recita:

1. Contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei
diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
Sembra che una legge, un atto avente valore di legge quale il d.lgs., ponga una norma in palese contrasto con
una disposizione costituzionale e questo non può essere perché se ci fosse un contrasto con una norma
costituzionale, sappiamo bene, che questa norma sarebbe già stata rimessione come giudizio alla Corte
costituzionale che l’avrebbe espunta dal d. lgs. 102/2010. Ciò, tutt’oggi, non è avvenutoma non solo non è
avvenuto ma l’origine di questa norma trova il suo fondamento, la “primigenia formulazione di questo
disposto”, in una antica norma del 1889 – anno in cui è stata istituita la IVSezione del Consiglio di stato – e
la legge di riferimento è stata la legge 31 marzo 1889 n. 5992; legge con la quale si stava istituendo il GA,
giudice speciale, che avrebbe dovuto sindacare un potere che derivava le sue prerogative, privilegi e
caratteristiche dal potere sovrano e quindi ci voleva un giudice ad hoc per sindacare un potere pubblico con
dei grossi privilegi che gli derivavano dal fatto di essere propri del princeps, del sovrano (imperatività,
esecutorietà, esecutività erano tutte caratteristiche del potere sovrano che nel passaggio dallo stato assoluto
allo stato di diritto ha ereditato la PA; quindi, siccome non si voleva lasciare un vuoto di tutela per quelle
controversie che riguardasse il rapporto tra i privati cittadini e la PA, che ereditavano questi privilegi del
potere sovrano, si è creato un giudice ad hoc con delle caratteristiche, principi ed un bagaglio culturale –
derivante dal fatto di essere fino a quel momento consulente della corona e della stessa PA – suoi propri) . In
tale legge, che istituiva il GA, l’art.24,co2 conteneva la seguente frase:

Il ricorso non è ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati dal governo nell’esercizio del potere
politico.

È una norma straordinariamente assurda, come per dire: intanto si è creato il GA ma già ti dico che questo
non potrà mai sindacare una parte di atti ossia quelli che emana il governo nell’esercizio del potere
politico. Siamo nel 1889, prima dell’art.113 cost e prima di una rivoluzione importante ed espressione di
massima democrazia come ha apportato la nostra Carta costituzionale, prima di un grande processo di
giuridicizzazione del potere della PA ed insieme del potere politico; pensate come una stessa legge potesse
contenere da un lato una nuova figura di giudice – anche con aspetto atipico, il cd “Giano Bifronte” del GA
che da una parte è giudice e da una parte è consulente della PA – dall’atro potesse contenere una deroga di
atti che erano sottratti al suo grande potere.

Quindi, questa norma è stata straordinariamente importante e lo stesso articolo 24, co2 è stato poi trasfuso,
recepito, nel r.d. del 1907 con cui era stata istituita la V sezione del Consiglio di stato – con il quale al GA è
stata attribuita la giurisdizione di merito (in questo processo di individuazione delle varie Sezioni, ad ogni
Sezione gli si attribuiva una particolare sede giurisdizionale) – nell’art. 22. Non solo ma la stessa norma è
stata trasfusa, diventando norma definitiva e non più oggetto di modifiche se non di recente ad opera del
C.p.a., ed è diventato l’31 del TU delle leggi sul Consiglio di Stato (26 giugno 1924, n. 1054); questo è
stato vigente come normativa dal 1924 fino al 16 settembre 2010, quando è entrato in vigore il C.p.a. Quindi,
l’art. 31 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 è diventato il secondo periodo dell’art. 7, co 1 del d.lgs.
104/2010.

Dal lontano 1889 abbiamo una categoria di atti che, per disposto normativo, sono sottratti a qualsiasi
controllo del GA e questa norma ha resistito tanto tempo nonostante sia passato oltre 1 secolo di storia
caratterizzata con l’entrata in vigore della Carta costituzionale del 1948 e del suo importante art. 113 che
stabilisce che contro gli atti della PA è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi ed
addirittura non è ammessa un’esclusione per categoria degli atti.

Come si spiega la norma dell’art.7 del d.lgs. 104/2010 con l’attuale disposizione della carta costituzionale?
Alla fine di questa giornata vi dirò come il GA si comporta e qual è l’opinione delle leggi che con recenti
pronunce dellaCorte costituzionale ha stabilito delle importanti categorie degli atti politici.

La Corte costituzionale con un’importante pronuncia, n. 81/2012, ha attribuito la natura di atto politico
ad un atto che come privati cittadini viviamo quotidianamente, ossia tutti abbiamo sentito parlare
delle nomine o delle revoche di assessori comunali disposti dal sindaco come ausilio del suo mandato;
l’atto con il quale il sindaco nomina o revoca l’assessore comunale è un atto tipicamente politico
secondo la Corte.

Su questo arriveremo a stabilire perché mai, secondo la Corte costituzionale, questa tipologia di atti è stata
definita dal giudice atto politico.

La prof nel 2008, 4 anni prima della sentenza, ha scritto un lavoro nel quale analizzando la giurisprudenza
del GA ha dato contezza al fatto che esistevano due orientamenti, nel GA, diametralmente opposti:

- uno più “rivoluzionario”, più al passo dei tempi, secondo il quale anche l’atto di nomina e revoca è
un atto amministrativo tout court e perciò sottoposto a controllo del GA ma soprattutto è un atto che
ha bisogno di una congrua motivazione come afferma l’art. 3 della l.241/1990 – secondo cui tutti gli
atti della PA devono essere motivati e la motivazione deve esternare il percorso logico che ha posto
la PA per arrivare al determinato contenuto del suo provvedimento; attraverso la motivazione si
analizza il percorso logico/giuridico che ha posto in essere la PA per arrivare ad un determinato
provvedimento.
(Analizzando l’atto di nomina e revoca la prof ha dato conto che esistevano due orientamenti del
GA: uno che stabiliva che questo atto fosse un atto amministrativo e quindi sottoponibile al
sindacato del GA e per tanto che abbisognava di una motivazione come affermato dall’art.3)
- Un altro indirizzo che, al pari di quanto dirà la Corte costituzionale nel 2012, considera l’atto di
nomina e revoca dell’assessore comunale un vero e proprio atto politico. E con il discorso che
affronteremo andremo meglio a capire tale indirizzo.
In questa sentenza della Corte aspetto interessante è che la stessa indica oggi quali possono essere gli atti
politici, dice che sono atti sicuramente politici ad esempio:

- La legge = atto politico per eccellenza


- Gli atti aventi valore di legge
- La nomina dei senatori a vita e dei giudici costituzionali
- Gli atti di concessione di grazia e di commisurazione delle pene
- L’elezione del presidente della Repubblica e dei membri del CSM
- Lo scioglimento delle camere
- La nomina dei ministri
Perché la corte da questa indicazione di atti?

Perché l’insindacabilità di questa categoria di possibili atti politici, secondo la corte risulta ampiamente
giustificata anche sul piano costituzionale dall’esigenza di assicurare il principio di separazione dei poteri e
quindi dalla necessità di tutelare la funzione prettamente amministrativa dalla funzione prettamente politica
del governo; questo perché quando il GA sindaca il potere della PA non va a violare il principio della
tripartizione dei poteri perché non si va ad ingerire nella scelta che spetta alla PA ma quando il GA sindaca il
potere esecutivo – potere esecutivo amministrativo – va a verificare se la PA si è comportata legittimamente
prima di adottare il provvedimento finale che rappresenta il proprium del suo potere e al contempo la
risultanza del percorso logico/giuridico di cui si è parlato prima. In questo caso non si verifica proprio
l’ingerenza del GA e quindi la violazione del principio della tripartizione dei poteri quando il GA va a
sindacare il potere esecutivo. Quindi il principio della tripartizione dei poteri in questo caso è ampiamente
tutelato e rispettato.

Perché invece l’atto politico non consente il rispetto del principio della tripartizione dei poteri?

Nel risponde a questo quesito è agevole la lettura di Guicciardi, infatti ci fa capire che la differenza tra atto
politico e atto della PA è il seguente:

- Atto della PA è l’atto che pone in essere un PA che è tesa e tende al perseguimento dei fini
imposti dalla legge – principio di legalità. I fini pubblici che la PA deve perseguire sono quelli che
sono ad essa attribuiti dalla legge; la PA non può scegliere i fini e non può scegliere gli interessi da
perseguire, la PA non gode della cd autonomia contrattuale.In questo il diritto amministrativo si
differenzia dal diritto privato; non c’è autonomia contrattuale la PA non deve scegliere di interessi da
perseguire come, invece, farebbe un privato quando stipula i contratti, i negozi giuridici. (il privato
nel comprare un’auto non deve motivare perché lo fa mentre la PA deve motivare la sua scelta
perché il fine pubblico perseguito con quell’acquisto è il fine pubblico attribuitoli dalla legge)
- Atto politico è un atto libero nel fine; un atto immesso in questa libertà del fine – come se la PA
fosse libera di agire = libero arbitrio che applicato al concetto di PA, che in quanto tale deve
garantire un aspetto di giustizia sostanziale, vuol dire che in questa libertà di arbitrio che essa ha,
quindi attività politica pura, è possibile rilevare un’assenza di sindacato giurisdizionale. Se ci fosse
un sindacato non ci potrebbe essere una libertà della PA.
È necessario però vedere la nozione di atto politico in questa libertà di fine perché, oggi, si è detto
che una possibile categoria di atti politici sono quelli elencati prima che sono degli atti che non
possono ingerirsi in alcun modo in un sindacato del GA perché altrimenti sarebbero degli atti
passibili di una ingerenza, seppur lieve ed esterna, ossia quello che si dice sindacato estrinseco.
Quando diciamo che l’atto politico è atto libero nel fine, vuol dire che non c’è nessun parametro di
riferimento a cui ancorare un, seppur minimo, giudizio o sindacato che dir si voglia.

Quindi direi di focalizzare 3 nozioni di atto; ossia oggi esistono 3 categorie di atti che riguardano i pubblici
poteri (elencazione che segue una scala di maggiore libertà):

- Atti amministrativi, quegli atti che sono dotati dei caratteri straordinari di: autoritatività,
esecutività, imperatività, esecutorietà, cautela. Sono degli atti tipici, nominativi e speciali e che, in
quanto espressione di un pubblico potere di una funzione amministrativa, sono sottoposti al
sindacato di legittimità del GA sotto il profilo di: violazione di legge, incompetenza ed eccesso di
potere.
- Atti di alta amministrazione, atti che godono di una maggiore libertà rispetto ai primi. In questa
formulazione c’è un qualcosa di più importante; l’amministrazione per particolari interessi, per
particolari categorie di atti che riguardano interessi superiori (anche se non vi è una scala di valori
per contraddistinguere un interesse meritevole o no di considerazione) – categoria di atti nei quali
possiamo ad es. annoverare le nomine governative, fiduciarie e che si fanno negli apparati delle PA,
intuitus personae – che sono sempre atti amministrativi e perciò sottoposte alle regole del sindacato
del GA; e allora che differenza c’è con la categoria di “atti base”? Gli atti di alta amministrazione
proprio perché rientrano in una peculiare categoria di provvedimenti in cui la PA pone in essere delle
scelte particolari attinenti alla cosa pubblica può motivare in maniera più semplice, si dice con una
motivazione meno analitica, più leggera, meno pregnante. Di converso se c’è la motivazione, seppur
minima, ci sarà anche il sindacato del GA che atterrà ad un ambito di motivazione veramente esigua
ragion per cui molte volte il GA, investito della questione di illegittimità dell’atto, giunge alla
conclusione di non ravvisare l’illegittimità in un tal provvedimento perché appunto rientrante nella
categoria degli atti di alta amministrazione – come per dire che rientra in un provvedimento della
PA, in cui anche se c’è un motivazione flebile, non fa niente perché il GA considera questo supremo
potere della PA che per alcune scelte, soprattutto in riferimento ad alcune nomine, pone in essere
degli atti con una motivazione più leggera. A volte il giudice ne ravvisa l’illegittimità quando ci
sono dei macroscopici motivi che riguardano ad es. la ragionevolezza, dell’adeguatezza, della
coerenza; canoni che derivano direttamente dall’art. 97 della Cost. – principio di imparzialità e
buon andamento della PA. Il GA difronte a degli atti di alta amministrazione andrà a sindacare
nella parte in cui, seconda la giurisprudenza, saranno in contrasto con questi super principi, definiti
dalla prof. Sovrastruttura di sintesi cioè dei parametri del sindacato degli atti di alta amministrazione
che sono direttamente previsti dall’art.97 della costituzione. Il corollario di questa considerazione è
che a sostegno di questi atti sarà sufficiente una motivazione particolarmente semplificata.
Sono atti molto spesso connotati dal carattere della generalità che non sono capaci
direttamente di ledere un soggetto singolo e quindi capaci di incidere sulla sfera dei singoli.
- Atto politici, sono atti collocati sul podio di questa ascesa ed allora la nozione di atto politico
diventa particolarmente importante in quanto la nozione di atto politico ci fa capire che non c’è
bisogno di alcunché. Qui c’è bisogno di una dichiarazione, dicasi atto politico, che pone in essere la
stessa PA quando emana dei provvedimenti; basta che la PA li denomini come atto politico
oppure dica che trattasi di un atto, come dice l’art.7 del C.p.a., emanato dal governo
nell’esercizio del potere politico e allora basta questa dichiarazione per dire che tale atto è
sottratto al controllo del GA.
Tuttavia, già all’inizio di questo discorso si è arrivati alla conclusione ma è opportuno che si parli di tutta la
storia perché, attraverso tale ricostruzione, è possibile capire come nel tempo sono intervenuti i tanti istituti
studiati ed atti a definire tale categoria di atti non sindacabili.

È possibile dire atti non impugnabili?

Posto che l’art. 113 dice che non possono essere alcune categorie di atti sottratte alla canoscenza del GA;
quindi, una cosa è dire non sindacabile e un’altra è dire non impugnabili. E vedremo cosa è più giusto dire:
tutti gli atti di tutte e 3 le categorie sono impugnabile, anche la categoria degli atti politici e spiegheremo il
perché. Questo perché i motivi di impugnazione degli atti sono: violazione di legge, vizio di incompetenza
ed eccesso di potere; quindi, sicuramente gli atti amministrativi base sono impugnabili, gli atti di alta
amministrazione sono impugnabili per tutti e 3 i vizi però le figure sintomatiche dell’eccesso di potere si
riducono vertiginosamente anche perché non c’è bisogno di una motivazione ordinaria ma di una
motivazione particolarmente semplificata e perciò in correlazione la figura sintomatica si riduce relativa
all’omessa o non completa motivazione. In un atto di alta amministrazione non ci potrebbe essere come
figura sintomatica dell’eccesso di potere la mancanza di analitica motivazione ed è dunque una figura in
meno. Sotto il profilo della discrezionalità, vediamo che qui è più ampia la discrezionalità tant’è che si
definisce alta amministrazione. Quindi la seconda categoria di atti sarà impugnabile sempre ed anche
sindacabile, anche se il GA avrà meno strumenti per creare le figure sintomatiche di eccesso di potere.
L’atto politico è un atto, al pari degli altri due, è impugnabile cioè posso ravvisarne un vizio di
incompetenza, violazione di legge (è il parametro formale a determinare l’impugnativa) ma sicuramente non
sarà sindacabile per quanto riguarda il procedimento, il fattore sostanziale, perché è un atto completamente
libero nel fine ed è un atto avente valore di legge che contiene una norma di scopo ed, infatti, la Corte
costituzionale lo ha considerato come atto avente valore di legge ed in cui vi è un vincolo teleologico – pone
una regola di scopo, una regola giuridica ed è come se fosse un atto di indirizzo politico e con il quale la PA
politica, nel rispetto dell’interesse pubblico generale, nei vari livelli di governo specifica il fine pubblico che
deve essere perseguito e perciò il GA non mi può dire se quel fine o no è legittimo, se così fosse il giudice
violerebbe il principio della tripartizione dei poteri ed ecco perché si dice che per disposto normativo quella
categoria di atti non ammette il ricorso al GA. Come fa il GA a stabilire se quel fine è giusto o me? Non può
perché stabilire ciò è riservato al proprium della PA. Questo è il merito amministrativo che ora è
mascherato con la nozione di potere politico. Se mascheriamo il merito puro con la nozione di potere
politico abbiamo rispettato la disposizione del C.p.a. art.7 ma non abbiamo scoperto una categoria che
si sottrae a qualsiasi sindacato del GA; quando la corte dice “sono atti sucidamente politici: la legge,
atti aventi valore di legge” sta riguardando la scelta di un fine, si sta ingerendo in una attività che è
propria soltanto ad alcuni organi costituzionali. Quando io passo dall’organo costituzionale a quello
amministrativo, sto toccando il merito perché li non ci si può entrare perché è un organi di rilevanza
costituzionale; quando creo un vincolo di scopo, atti di indirizzo politico, ci sono degli atti che vengono posti
in essere, nozione di atti politici che possono essere impugnati davanti al GA ma che non c’è un sindacato
totale ma un sindacato molto differente e sicuramente particolare non solo per il tipo di sindacato ma anche
dalla particolarità di questo atto che pone delle norme di scopo. A volte questi atti di indirizzo politico son
atti che non sono immediatamente lesivi delle situazioni giuridiche soggettive di privati, alcuni per ledere il
privato hanno bisogno delle norme attuative – come i regolamenti, norme di carattere generale che per poter
spiegare i loro effetti hanno bisogno di norme attuative che spiegano nei confronti dei terzi quella loro
efficacia precettiva. Quindi l’atto di indirizzo politico è quell’atto che ho considerato un atto tout court
amministrativo ma che è all’interno vuoto e che per produrre gli effetti giuridici deve essere riempito di
contenuti dalla norma applicativa ed ecco perché, a volte, si dice che non si può impugnare soltanto la
delibera del consiglio comunale che ha individuato nella sua funzione di indirizzo delle zone sottoposte a
vincolo paesaggistico; fin quando non c’è l’atto di gestione amministrativa del dirigente che mi espropria il
mio bene e che mi dichiara che su quel bene insiste la funzione sociale di costruzione di un parco pubblico o
di una scuola pubblica cioè fin quando non c’è la dichiarazione di pubblica utilità io non sono leso. Quindi
non è che l’atto di indirizzo, a volte tout court, mi crea direttamente dei danni ma bisogna aspettare
l’applicazione concreta degli effetti ad opera degli atti cd attuativi gestionali.

Per arrivare alla sentenza del 2012 occorre fare una carrellata di nozioni.

Si è detto che alla nozione di atto politico si è imposta all’attenzione con l’art.31 del r.d.del 1924 che ha
riconfermato nella sua previsione normativa quanto il legislatore aveva originariamente precisato nell’art. 24
della legge istitutiva della IV sezione del consiglio di stato. La norma diceva che non era ammesso il
sindacato giurisdizionale nei confronti dell’atto e del provvedimento emanato dal governo nell’esercizio del
potere politico ma non dava un contenuto a questi atti; diceva soltanto che tutto ciò che era stato emanato dal
governo nel suo esercizio del potere politico era sottratto per disposto normativo ad un controllo del GA. A
questo proposito bisogna dire che ci sono state varie teorie nel corso degli anni fino ad arrivare ad una tappa
storica del ’48 con l’entrata in vigore della costituzione ma fino ad arrivare alla teoria del Guicciardi del
1937 e prima di questa vi sono stata tante altre teorie che furono dirette ad individuare, sotto vari profili
chiaramente diverse, gli elementi che caratterizzavano la categoria di atto politico. Vi indico soltanto i
maggiori:

- Il primo ordinamento faceva riferimento al movente soggettivo. Era una teoria che si impose
nell’ordinamento italiano sull’influenza di quanto statuiva sul punto la dottrina francese e secondo
cui non solo gli atti politici non costituiva una categoria diversa degli atti amministrativi ma anzi lo
stesso atto poteva considerarsi come atto amministrativo oppure atto politico a seconda che la
sua emanazione fosse riferibile o meno a motivi di carattere politico. Bisognava fare riferimento
al motivo, allo scopo, alla causa – vi furonotante teorie dirette ad individuare la causa, i motivi e poi
lo scopo – e chiaramente l’indagine sulla natura del movente, della causa era compiuta dallo stesso
giudice che avrebbe compiuto il controllo sull’atto; in questo e in questo modo il giudice si poteva
avvalere di questo come strumento di politica giurisprudenziale per accaparrarsi un suo ambito nei
suoi rapporti con il governo che era sempre più apicale. Considerate che questa teoria nasce
all’indomani delregime fascistacon una grande concezione autoritaria dello stato; in questo contesto
attraverso questa teoria il governo riusciva a sottrarre al sindacato del GAqualsiasi atto che faceva
rilevale la presenza di motivi o finalità politiche. Questa teoria per tanto si sviluppò in situazione di
debolezza della giustizia amministrativa che cerca di accaparrarsi ambiti nei confronti del potere
“sovrano” sempre autoritativo, mentre il potere esecutivo era il potere di grande irruenza.
- Questa teoria fu accantonata e sostituita da un’altra teorica che considerava la natura intrinseca del
provvedimento come decisiva per la qualificazione giuridica di atto politico. Si cercò con la natura
dell’atto di individuare un criterio il più possibile oggettivo. Perché si considerò la natura dell’atto
come criterio oggettivo? Perché si operò una separazione, che abbiamo anche oggi, traattività di
governo e attività di amministrazione. Questa teoria non ha retto nel corso degli anni non ha retto
anche perché con l’emanazione della costituzione ci fu il fatto di considerare l’attività
amministrativa, comunque, sottostante al sindacato del GA.
Le prime teorie, della natura politica, della causa dell’atto, dei motivi politici, sono tutte teorie che
cercavano di dare una qualificazione oggettiva dell’atto politico facendo tutte riferimento a questa
finalità che sottraeva il governo, molto potente del periodo fascista, a disporre che un atto – qualsiasi
esso fosse e soltanto perché avesse questa natura, causa politica – per sua semplice dichiarazione poteva
essere tolto dall’ingerenza dell’organo giudiziario.

Però nel ‘37 entrò come orientamento, che suscitò tantissimo seguito, la teoria del Guicciardi con il suo
scritto “L’atto politico”, pubblicato in archivio di diritto pubblico, con cui il Guicciardi dopo aver
rievocato le principali costruzioni e le teorie delle principali dottrine francese e italiana, atte a dare una
definizione di atto politico, costruì il suo ragionamento mediante l’analisi congiunta di due articoli del
TU sulle leggi del consiglio di stato:

- Art. 26 che si riferiva agli atti emanati da un’autorità amministrativa o da un corpo amministrativo
deliberante; articolo per il quale era stato creato il GA che era chiamato sui ricorsi avverso atti
amministrativi posti in essere da un’autorità amministrativa o da un corpo amministrativo
deliberante.
- Art. 31 che parlava degli atti emanati dal governo nell’esercizio del suo potere politico.
Dunque, l’art. 26 era per dire che questi atti erano sottoposti al sindacato del GA e l’articolo 31 era per dire
quali atti erano sottratti al sindacato del GA; uno stesso corpo normativo, una stessa legge contiene due
norme che contengono disposizioni diametralmente opposte. Ed il confine fra questi due atti per Guicciardi
era che:

- L’atto amministrativo, di cui all’art. 26, era un atto amministrativo discrezionale cioè posto in essere
dalla PA nell’esercizio della sua attività più o meno discrezionale e a seconda di questa
discrezionalità si aveva un sindacato piò o meno maggiore del GA, fino ad effettuare un sindacato di
mera verifica della legalità formale ossia quando vi era poca discrezionalità perché era tutta attività
amministrativa vincolata; in ogni caso il sindacato del GA c’era che effettuava o un riscontro di mera
legalità formale o un riscontro volto alla verifica della legittimità sostanziale.
Dall’atro lato vi era una attività libera nei fini che dava contezza del fatto che in quei tipi di atti che si
consideravano secondo il Guicciardi presuntivamente e, comunque, legittimi – perché si diceva che il
governo, espressione di forza e potere, potesse porre in essere degli atti liberi dai fini e che non siano validi e
presuntivamente legittimi e conformi alla legalità di allora – sono tutti atti legittimamente corretti e giusti e
con cui il governo decide i fini che esso vuole e specifica all’interno dell’interesse pubblico generale il fine
concreto, precipuo che intende di volta in volta realizzare e sono atti sottratti a qualsiasi controllo del GA.

All’indomani della costituzione occorreva operare un’analisi congiunta di questa impostazione di Guicciardi
e l’art. 113 della costituzione. Senza, tuttavia, stabilire le varie discussioni che si sono avute arriviamo ad un
punto fermo: la nozione di atto politico e accettiamo quello che Guicciardi ha detto e che possiamo ancora
considerare giusto ed impostazione condivisibile in un mutato contesto giuridico sociale, cioè quello dello
Stato repubblicano con l’entrata in vigore della costituzione.

In uno Stato sottoposto ad un processo di giuridicizzazione sempre più elevato come si coglie la ancora
attualità di questo pensiero di Guicciardi di “atto politico = atto libero nei fini = atto presuntivamente
valido”? come si spiega che in un contesto in cui si dice che tutti gli atti della PA, intesa anche come
amministrazione politica, devono essere sottoposti ad un controllo giurisdizionale?

Vediamo quali sono gli atti politici che possiamo attuare. Qui c’è da fare un discorso riguardante la
differenza, già studiate in amministrativo 1, tra: attività di indirizzo politico e attività di gestione
amministrativa. Non riprendiamo però i discorsi che ritroviamo sul testo di amministrativo laddove si è fatta
la differenza tra attività vincolata – discrezionale, attività di conservazione – trasformazione e la differenza
tra attività di indirizzo – gestione; all’interno di quella parte di manuale in cui è scritto che l’attività di
gestione si differenzia dall’attività di indirizzo in quanto quest’ultima pone degli obiettivi, delle regole e
degli scopi da perseguire lasciando all’interno di questo procedimento volto all’indicazione di fini una libertà
e addirittura un’assenza di procedimento e la cui assenza, volutamente prevista dal legislatore politico, deve
essere riempita dall’atto di gestione amministrativa. Cioè l’assenza di procedimento deveessere riempita
dall’atto del dirigente e che pone in essere l’attività amministrativa tesa al raggiungimento dello scopo
dell’interesse pubblico posto in essere dall’atto di indirizzo politico.

Nel corso di diritto amministrativo 1 si è visto come un tempo non era così la differenza tra la politica e
l’amministrazione; un tempo non c’era questo modello di direzione ma c’era un modello gerarchico
funzionale, piramidale e cioè l’organo politico era sovraordinato all’organo dirigenziale che era sottordinatoe
quindi c’era il potere di un comando che deve essere eseguito dall’organo dirigenziale.

Quando c’è stato il passaggio da una pubblica amministrazione cd privatizzata, e questo lo si deve al d.lgs. n.
29/93, abbiamo una rivoluzione nell’organizzazione delle PA perché si toglie il modello gerarchico
piramidale e lo si sostituisce con un modello direzionale. Non vi è più una sovraordinazione dell’organo
politico rispetto all’organo gestionale dirigenziale ma c’è un organo di direzione politica che detta appunto
un indirizzo. Il vecchio atto politico del Guicciardi cambia aspetto e si evolve, si trasforma in una chiave
moderna, come definito dalla prof nel suo lavoro del 2008 in cui ha scritto che l’atto politico si evolve nel
corso degli anni in un contesto storico completamento mutato rispetto a quello che ha visto la sua origine ,
un modello che ha visto una democratizzazione degli apparati e delle scelte politiche in cui non c’è un
regime accentratore. Molti dicono che l’era attuale è molto simile al regime fascista ma assolutamente no,
perché diversi sono i valori che stanno alla base delle scelte di allora e di adesso, oggi se si vede un
movimento di accentramento delle scelte politiche lo si fa per la tutela di un interesse supremo e preminente
quale quello della salute pubblica. Mentre un tempo l’atto politico si dispiegava in quanto c’era un potere al
governo che voleva, per volontà tutta sua, sottrarre degli atti al sindacato del GA; per es. le dichiarazioni di
guerra erano sottratte a tale sindacato e considerati atti politici perché si dispiegavano e si spiegavano in un
contesto particolare dato dal regime politico di allora ma questi atti politici non hanno più ragione di esistere
ora. Vediamo come i vecchi atti politici e quali sono diventati oggi i nuovi atti di indirizzo politici che
potrebbero avere la veste degli atti politici di allora e cioè l’atto con il quale il potere politico pone un
vincolo di scopo, pone un qualcosa libero nel fine. La norma di riferimento la troviamo nel d.lgs. n.
165/2001, ossia le norme generali sull’ordinamento del lavoro e le dipendenze delle PA, e che ha modificato
in maniera rivoluzionaria il rapporto di lavoro del personale alle dipendenze delle PA e lo ha cioè
privatizzato – privatizzarlo significa che il rapporto tra le PA può essere parificato sotto tanti aspetti al lavoro
presso le imprese private, questo perché si sono mutuati anche degli schemi e moduli privatistici tipiche delle
società privati e si sono applicati ai modelli pubblici. Un rapporto che è stato completamento rivoluzionato è
stato l’istituto dei rapporti tra organo amministrativo e organo dirigenziali. Prima di questa rivoluzione il
rapporto tra questi due organi era improntato ad un modello organizzativo gerarchico ed oggi il rapporto è
improntato sul modello organizzativo della direzione.

Siccome dobbiamo parlare degli atti dell’organo politico, vediamo cosa fa oggi l’organo politico e quali sono
i suoi tipici atti che può porre in essere in esecuzione del suo potere politico e vediamo quello che può fare
oggi l’organo politico, a qualunque livello di governo istituzionale – questo perché l’organo di governo a
qualsiasi livello istituzionale è posto sullo stesso piano, ossia non c’è un rapporto di sovra ordinazione tra
stato, regioni, comuni secondo la norma dell’art. 114 cost. – che distingue la sua attività da quella degli
organi di direzione amministrativa alias i dirigenti. La norma di riferimento la troviamo nell’art. 4 del d. lgs.
n. 165/2001 rubricato: “Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità”.

Con la lettura della norma vediamo se possiamo considerare gli attuali atti posti in essere dagli organi politici
– gli atti di indirizzo politico - alla stregua degli atti politici di una volta e se li possiamo far rientrare nelle
disposizioni di cui all’art.7, ovvero gli atti non impugnabili gli atti e i provvedimenti emanati nell’esercizio
del potere politico.

Gli organi di governo esercitano le funzioni d’indirizzo politico amministrativo definendo gli obiettivi e i
programmi da attuare e adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento delle funzioni e verificano
rispondenze dei risultati dell’attività amministrativa e la gestione in indirizzi impartiti.

Quindi questa è una norma di carattere generale. Stabilisce in via generale e astratta quali sono gli atti e in
cosa consistono gli atti propri degli organi di governo: gli atti con i quali questi soggetti a qualunque livello
di governo, ripeto,statale,provinciale,regionale, comunale ecc. che fanno? Individuano e definiscono gli
obiettivi. E cosa sono gli obiettivi? I fini da raggiungere. Definire cosa vuol dire? Puntualizzare lo specifico
interesse pubblico da conseguire, il concreto scopo da perseguire. Definiscono quindi questi obiettivi e
programmi che sono da realizzare , da attuare. Ma chi li realizza? Loro? No. Ma li porranno in essere coloro
che pongono in essere l’attività amministrativa gestionale cioè quella con la quale si riempirà di contenuti
l’atto d’indirizzo poitico volutamente lasciato vuoto dall’organo di governo legislatore. Io lo definisco
legislatore l’organo di governo perchè quando uno mi dice l’organo di governo, quando pone in essere tutti
questi benedetti decreti legge che ormai prendono il posto delle leggi ordinarie, non stanno ponendo delle
norme giuridiche? Non stanno prendendo il posto del legislatore? Addirittura si è passati dalla legge
ordinaria all’ultilizzo spropositato di decreti legge e decrei legislativi. Oggi si è passati, ancora
peggio,all’utilizzo spropositato di dpcm per consentire in maniera velocissima la realizzazione di scelte
operative urgenti che possono essere realizate in maniera velocissima proprio perchè poste in essere da un
solo soggetto. Quindi pensate, la differenza ,dalla legge ordinaria ad un uso assurdo di decreti legge e decreti
legislativi . e oggi ad uso spropositato di dpcm questo perchè l’organo di governo sta prendendo le cesti del
legislatore e quindi ,dice la norma, quando l’organo esercita la funzione d’indirizzo politico amministrativo,
ma che amministrativo? Di amministartivo ha poco! Ha più la fattispecie, la fattezza dell’organo legislativa
per eccellenza. Ecco perchè,a mio avviso. L’atto di indirizzo politico, l’atto con cui si pongono i fini, è molto
più simileall’atto regolamentare ,l’atto legislativo vero e proprio e non l’atto amministrativo tout court.
Perchè un atto che si prospetta come, pensate, ad un atto vuoto di contenuto, pone solo il fine da raggiungere,
come se fosse indicato: il soggetto che lo deve porre in essere, come lo deve porre in essere,cioè nel rispetto
di alcune norme di carattere formale. E con questo atto ,’organo di governo, seguendo poche e stringate
regole formali del decreto legge e legislativo o nel dpcm c’è poco di regole formali, c’è il risultato che è
importante. È il vincolo di scopo che dev’esserfatto. E allora si dice : e poi questi programmi saranno attuati
e posti in essere,riempiti di contenuto , dagli organi di gestione amministrativa. Vedete, questi che fanno?
Verificano se l’attività amministrativa posta ine ssere risponde ai risultati, agli indirizzi che ha impartito
l’organo di governo quindi fa da indicatore del fine e controllore del risultato. Ecco perchè si dice che i
dirigenti (unica figura che pone in essere la vera e propria attività amministrativa per eccellenza,perchè
questa spetta solo all’organo amministrativo tout cout, burocratico. Quest’attività amministrativa non spetta
più all’organo di governo-legslatore perchè quest’ultimo pone il fine però poi deve dire al dirigente riempi tu
di contenuti questa norma vuota). Ora, a inizio corso dicemmo che gli strumenti per risolvere le emergenze e
le situazioni eccezionali di grande gravità erano i dpcm e le ordinanze regionali però si stava facendo un uso
spropositato di dpcm e un uso molto limitato delle ordinanze . adesso la situazione si sta ribaltando: le
ordinanze , quali valvola di sfogo della discrezionalità amministrativa , in quanto atti amministrativi atipici,
(perchè possono avere il contenuto che vogliono, basta che servono a risolvere l’emergenza.. non hanno fine
non hanno contenuto) sono libere. In esse infatti,purchè siano poste in essere da soggetti quali sindaci,
prefetti o presidente di rgione (quindi la tipicità sta solo con riferiemnto al soggetto agente) , per il resto le
ordinanze possono essere libere in tutto e sono i classici provvedimenti extra ordinem che possono non
seguire regole di evidenza pubblica,non devono seguire regole ordinarie a cui sono tenute tutte le
amministrazioni di gestione della cosa pubblica, addirittura potrebbero andare contro l’ordine costituito della
società civile, ma a mioa vviso, siccome non possiamo essere governati da persone che possono abusare di
questa libertà somma loro conferita, qui rientra il buonsenso di Giandomenico Romagnosi: tutti i pubblici
amministartori prima di essere tali devono essere uomini giusti , saggi, che sappiano comportarsi nella cosa
pubblica come bonus pater familias quindi saggezza,ragionevolezza,giustezza. Però vedete le ordinanze di
necessità e urgenza di amministrativo hanno solo il rispetto della regola del soggetto che le può porre in
essere. Quindi si sta andando verso strumenti giuridici che consentono questa libertà e in questa libertà i
guard reil che vi dicevo tempo fa sono ora molto più ampi ma sempre ci sono questi guard rail che
corrispondono al rispetto di regole come la proporzionalità,equità,ragionevolezza,opportunità, saggezza.
Quindi in questo processo di libertà dell’atto di indirizzo politico(,dell’ordinanza di necessità e urgenza,del
dpcm) , si definiscono gli obiettivi e programmi e si controlla che questi siano raggiunti. Oggi noi leggiamo
quest’art 4 e vediamo che prospetta un’elenco meramente semplificativo non tassativo perchè vedete come si
conclude ‘anche per gli altri atti indicati dal decreto’. Come per dire vi do un’idea di atti che sono tipici di
espressione dle potere politico ma sappiate che non sono gli unici. Anzi, non sono proprio gli unici! E
vedete, quali sono atti d’indirizzo politico che possono porre in essere oggi gli organi politici per eccellenza?
qui si comprende che una tipica attività d’indirizzo politico è l’attività con la quale il governo pone in essere
l regola generale di attività diretta alla realizzazione del fine ed è una rgola che diventa molto simile alla
norma giuridica perchè la direttiva in genere ma soprattutto un atto normativo contiene al suo interno una
vera e propria norma di azione che definisce un fine . quindi questa regola generale e valevole per
l’ordinamento è tipica dell’atto normativo e degli atti d’indirizzo politico che interpretano e applicano l’atto
normativo. Vedeteha la valenza astratta che a volte non ha capacità giuridica immediata ma a volte ce l’ha
addirittura l’atto applicativo della norma regolamentare. E questo è un primo tipo di atto che può porre in
essere l’organo di governo. Un’altro tipo di atto? Quello con cui si definisce l’obiettivo, il programma,
facciamo un esempio? : il piano regolatore generale del comune (prg) oppure quando si fanno i programmi
nelle università o i peg cioè i piani economici di gestione . sono tanti! Quindi questi hanno efficacia
immediata o hanno bisogno degli atti di gestione, applicativo? Sicuramente hanno bisogno dell’atto
applicativo perchè poi introuducano una lesione immediata (salvo alcune eccezioni). Altro atto d’indirizzo
politico? :quello con cui vengono individuate le risolse umane,materiali,economiche da destinare alle finalità
e la loro ripartizione tra gli uffici cioè quanto personale dev’essere assegnato ad es per realizzare un
determinato programma . quindi a qualunque livello di governo quando c’è una ripartizione delle risorse
umane cioè del personale , per realizare dei programmi, questo è un atto libero nel fine ed è chiaro che
dev’essere proporzionato agli obiettivi da raggiungere. Come dico sempre io, non c’è nulla di più semplice
per una p.a. motivare il perhè in un’assegnazione si assegna x per realizzare y. Basta motivare e quello è
un’atto d’indirizzo politico. La norma poi alla lettera d dice: definire i criteri generali in materia di ausili a
terzi e la detrminazione di tariffe, canoni, oneri.. quindi quando si pgano le tasse inerenti i rifiti, la casa..
queste sono tutte scelte politiche. La scelta indica che c’è una libertà nel fine perhè io posso dire che posso
ora, per tamponare l’emergnza, porre la cassa patrimoniale ad es. Questi sono atti politici. Sono scelte . atti
liberi nel fine. (come dice Ricciardi) E leggiamo ancora, lettera e : le nomine ,le designazioni e atti analoghi
ad essere attribuiti da specifiche disposizion iecc ( io considererei queste rientranti nella categoria di atti di
alta amministrazione più che d’indirizzo politico tout court) (dopo la pausa analizziamo la differenza). il
secondo comma poi ci da contenzza di quello che invece viene realizzato, cioè riempie di contenuto l’atto
d’indirizzo politico. Vedete cosa dice: ai dirigenti spetta : l’adozione degli atti amministrativi compresi tutti
quelli che impegnano l’amministrazione verso l’interno, nonchè la gestione finanziaria, tecnica ,
amministrativa mediante autonomi poteri di gestione delle risorse umane, strumentali e di controllo ed essi
sono responsabili in via esclusiva, dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati. Il politico
invece oggi, alla luce di ciò che è indicato a scopo meramente semplificativo dalla lettera a e g ha soltanto
responsabilità politica e non ha responsabilità amministrativa perxhè non entra nel’attuazione d’indicazione
di scopo, di obiettivi. Oggi l’unico soggetto responsabile in via amministrativa, secondo la norma, è solo e
desclusivamente il dirigente ed è per questo che oggi c’è la responsabilità dirigenziale o di risultato. Ormai
ci sono nuclei che valutano risultati in base alle indicazioni impartite quindi c’è un controllo del risultato.
C’è una verifica ex post, non c’è in modo pressante tale verifica. Mentre nel rapporto gerarchico piramidale
c’è una verifica costante e puntuale del superiore gerarchico. Qui il dirigente è libero e sarà valutato in
relazione al risultato conseguito.

Prendiamo per qualche minuto il decreto 165/2001 e chiudiamo il discorso. Dobbiamo correlare l’art 4 di
questa normativa in materia di rapporto di lavoro pubblico all’art 14 del decreto 165/2001. Cosa dice l’art
14? Questo recita la stessa rubrica ‘indirizzo politico amministrativo’ non dice funzioni ma riguarda sempre
l’ambito degli atti d’indirizzo politico ed è una norma che è come se rappresentasse la consecutio temporis
dell’art 4 perchè appunto il ministro esercita le funzioni di cui all’art 4 co 1, a tal fine ogni anno,entro 10
giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio ( che si fa alla fine dell’anno) anche sulla base delle
proposte dei dirigenti, che devono attuare un continuo ,logico e funzionale tra l’attività di diritto e l’attività di
gestione (cioè devono poter aiutare gli organi politici nella indicazione delle direttive, dei programmi
finanziari e il ministro,l’organo per eccellenza fa delle attività proprio come estrinsecazione della sua
funzione d’indirizzo politico e amministratico e quindi fissa obiettivi,programmi ecc.. lettera b effettua
l’assegnazione di dirigenti delle risorse di cui all’art 4 .poi il secondo comma 2 dice che l’organo di governo
anche a livello locale può avvalersi di uffici di diretta collaborazione ecc (questa è una norma di carattere
tecnico se volete leggerla leggetela da soli.) Poi c’è il terzo comma. Questo forse è il più importante: ‘ il
ministro (cioè l’organo di governo) non può revocare,riformare,riservare o avocare a sè o altrimeni adottare
provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti. Questa ragazzi è una grande conquista della rivoluzione
operata da questo testo normativo perchè tutte queste possibilità cioè la revoca,riforma avocazione ecc
(avocare cioè prendere in capo,in caso di inerzia del soggetto competente,un soggetto più in alto in grado che
espleta le funzioni del soggetto sottordinato che invece sarebbe competente). Quindi l’avocazione d l’idea di
un cambiamento a livello organizzativo che disciplina i rapporti tra politica e amministrazione. Se prima di
questa riforma il modello era quello gerarchico piramidale in cui esistevano gli istituti della riserva,
avocazione ecc da parte del superiore gerarchico ministro nei confronti del sottostante gerarchico dirigente,
oggi questo non è possibile. C’è una distinzione funzionale a livello di competenze. Competenze d’indirizzo
politico amministrativo in capo all’organo di governo. Le competenze di gestione amministrativa e
attuazione di indirizzi posti in essere dagli organi di governo.

La norma prosegue. In caso d’inerzia o ritardo, il ministro può fissare un termine perentorio entro il quale il
dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti. Quindi fa una diffida. Dice ‘ oh guarda tizio che siamo
sullo stesso piano, c’è un rapporto di direzione non c’è più un rapporto gerarchico. Tu ti devi attenere alla
realizzazione di indirizzi che ti pongo in essere. Anche perchè il più delle volte i dirigenti sono quelli di
fiducia, quelli che riempiono gli uffici rimasti spogli a seguito della fine di un mandato politico e l’inizio di
quello successivo. Quindi lo ‘spolssis ‘ (?) vuol dire il riempire gli uffici spogli con il nuovo personale di
fiducia all’inizio di un nuovo mandato politico. Per lo più il dirigente pubblico oggi è un dirigente di fiducia
anche se stanno ritornando in auge i concorsi pubblici per i dirigenti di ruolo delle amministrazioni. Quindi
vedete in caso d’inerzia il ministro fissa u termine entro il quale sollecita il dirigente competente ad adottare
gli atti e i provvedimenti amministrativi. Quindi se vogliamo una sorta di diffida da parte del ministro. Ma
qualora l’inerzia permanga o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente
competente,che determinino pregiudizio per l’interesse pubblico, oltre ad attivarsi un provvediemnto
disciplinare che porta anche alla mancata reiterazione del l’incarico per lo stesso dirigente, dice la norma, il
ministro può nominare ,salvo i casi di urgenza ,un commissario ad acta, dandone comunicazione al
presidente del consiglio dei ministri del relativo provvedimento. Questo cosa vuol dire? Che oggi più che ma
è riconosciuta questa differenziazione delle funzioni posto che anche se c’è una inerzia e anche se questa
pregiudica l’interesse pubblico, non è più possibile l’avocazione delle funzioni dirigenziali nin capo
all’organo di governo perchè completamente non competente. Non può farlo, non può ingerirsi
assolutamente. C’è una distinzione netta . è come se ci fosse una separazione di poteri che esiste nell’ambito
dei poteri( potere giudiziario non può inserirsi nel potere della p.a. perchè il giudice non può ripetere
l’adozione dell’atto posto in essere dalla p.a.) la stessa cosa tra politica e amministrazione. Il politico non
può ripetere il comportamento, non può adottare un provvedimento amministrativo ma può solo nominare un
commissario ad acta che si pone al posto del dirigente inadempiente e questo per sottolineare che oggi più
che mai c’è questa distinzione di ruoli, distinzione per competenze funzionali tra gli organi d’indirizzo
politico e l’organo di gestione e dirigenziale. Il primo è tenuto alla fissazione di questi obiettivi,porre in
essere atti che sono molto più simili a quelli atti normativi e non agli atti amministrativi tout court . l’atto del
dirigente è invece quell’atto che riempie di contenuto l’atto d’indirizzo (normativo) e che è diretto a
dispiegare gli effetti giuridici nei confronti dei terzi. Ecco perchè si dice che bisogna , nel caso in cui un
terzo riceva un documento da un atto del dirigente , è chiaro che il dirigente risponde ad un atto di direttiva e
quindi si devono impugnare congiuntamente. Sono pochi gli atti d’indirizzo che spiegano gli effetti
direttamente nelle situazioni giuridiche dei terzi.

Detto questo, prendiamo il discorso riguardante la sentenza della corte costituzionale . molto importante.
Questa sentenza parte da un’affermazione il cui sunto è che l’art 7 stabilisce una categoria di atti sottratti a
qualsiasi impugnativa. Mentre la norma di cui all’art 24 stabiliva che il ricorso non è ammesso se trattassi di
atti o provv emanati dal governo nell’esercizio del suo potere politico, l’art 7 dice che ‘non sono
impugnabili’.. vedete il discorso si basa sul ricorso, sull’impugnativa, mai sul sindacato. Io quando dico che,
la categoria dell’atto politico è speciale perchè è sottratto a qualsiasi sindacatogiurisdizionale, commetto un
errore. Ciè lo dico per farvi capire l’essenza dell’istituto però al termine della lezione capiremo che qui il
problema è il sindacato e il controllo e non invece quello dell’impugnativa. Perchè? Gli atti sono atti
amministrativi che vedremo non risentono di un controllo giurisdizionale perchè riguardanola scelta politica,
sono atti liberi nel fine e quindi non devono sottostare a controlli giurisdizionali . quando dico che non sono
impugnabili do a loro una limitazione del sindacato evidente perchè impedisco l’impugnativa ma
l’impugnativa si può fare per motivi attinenti la legittimità. Quindi a mio avviso era l’insindacbilità che
doveva essere posta in luce dalla norma non l’impugnativa. Quest’ultima infatti riduce l’essenza della
previsione cioè la liberta del fine che fa sì che sia evidente come il potere della p.a. non può essere sottoposto
agli altri due poteri dello stato cioè legislativo e giudiziario. L’impugnativa invece da una limitazione
dell’ambito del possibile sindacat e si riduce alla presentazione di possibili vizi atinenti il procedimento, la
forma. Il legislatore quindi ha voluto utilizzare questo termine meno incisivo e meno evidente. Però il
problema è che , lo vedremo, non si può consentire una ingerenza del potere giudiziario nei confronti del
potere esecutivo.
Questa norma quindi va a toccare il principio della separazione dei poteri e l’atto politico. L’atto politico è
quell’atto che contiene una direttiva generale con cui si delineano gli obiettivi programmatici dell’attività
pubblica e quindi vi ho detto che difficilmente questo può rivelarsi immediatament lesivo della posizione dei
singoli mentre più facilmente sarà possibile riconoscere l’interesse ad agire cioè l’interesse che giustifica la
proposizione del ricorso con riferimento agli atti che sono attuativi dell’atto di indirizzo politico quindi atti
del dirigente. E abbiamo detto che.. ah ragazzi tutto questo lo ha detto la Corte vi sto facendo un sunto. Nella
sentenza si legge che la stessa corte riconosce che la nozione di atto politico ha interessata anche la dottrina
italiana che si è sofermata sull’orientamento dello scopo politico ad esempio.. però questa teoria non ha
aiutato perchè ha solo spostato l’attenzione dal tema dell’atto al tema dello scopo ma non ne ha dato una
qualificazione sostanziale. Si è altresì fatto riferimento ad un ulteriore orientamento secondo cui bisognava
individuare caso per caso le caratteristiche che consentivano di ricondurre un provvedimento all’inteno della
categoria degli atti politici. Anche questo è stato però considerato inaccettabile perchè dava luogo ad
incertezze,imprevedibilità sul piano dell’effettività della tutela. Potevano cambiare fattori sociali e ambientali
ad esempio, non c’era un’impostazione univoca. Poi la corte da conto di un indirizzo importante: è inutile
scomodare la nozione di atto politico se questo attiene al merito. Però siccome il legislatore lo utilizza
utilizziamolo pure noi. Ma questa impostazione che ultilizza il legislatore perchè la utilizza? Perchè il
legislatore a mio avviso ha sposato l’orientamente che considera qualificabile come atto politico l’atto che
abbia due requisiti ioè uno soggettivo e uno oggettivo. Quello soggettivo richiede che l’atto per essere
definito politico dev’essere emanato dal governo o comunque da uno dei supremi organi dello stato
individuati dalla costituzione. Ma c’era il titolo quinto che però non era ancora riformato quindi ragazzi il
governo di un tempo era il governo centrale,quindi non si riconosceva tale l’atto politico emanato
dall’organo di governo degli enti locali. L’altro requisito era quello oggettivo cioè quelo in base l quale l’atto
doveva essere espressione di un potere che si definiva politico in quanto affondava le radici nella
costituzione e garantiva la funzione di cura di interessi statali supremi e unitari. Quindi meritevoli di supreme
considerazioni dello stato inteso nella sua unità. Non vi sembra di sentire cose che anche oggi sono presenti
in molti dpcm? Supreme esigenze funzionali a garantire , tutelare ecc. stato inteso nella sua unitarietà anche
se poi c’è una differenziazione a livello delle regioni ma inteso comunque nella totalità. Dpcm impone una
regola. si legge che l’atto amministartivo generale e quello di alta amministrazione è vincolato al
soddisfacimento di un interess pubblico individuato dalla legge. Se è un atto amministrativo, che non è
libero nel fine, l’atto di alta amministrazione ha comunque un interesse pubblico individuato dalla legge
(principio di legalità) quindi dice l’atto di alta amministrazione si connota rispetto agli altri atti ammiistrativi
generali per una più ampia discrezionalità amministrativa e per l’impronta fiduciaria però ciò non toglie che
essi siano vincolati al perseguimento di un interesse pubblico e che quindi siano sindacabili. Ma come sono
sindacabili ragazzi questi atti di alta amministrazione? Il sidacato del giudice amministrativo relativo a tali
atti avviene in un ambito ristretto perchè sono censurabili ,secondo la giurisprudenza maggioritario, solo se
questi atti di alta amministrazione (norme fiduciarie,nomine .. ricordate l’elenco dell’art 4 alla lettera e..
designazioni ecc) quando contrastano con i canoni di ragionevolezza, adeguatezza, coerenza che
rappresentano parametri e che derivano dal principio di buon andamento delle p.a. quindi questi atti di alta
amministrazione che richiedono una motivazione non analitica comunque sono censurabili seppur questa
attiene a quei canoni che derivano dall’art 97. Inoltre secondo questa corte ci sono alcuni atti di nomina che
sono definiti comunque come atti di alta amministrazione. Dice la cort : posto che questo è l’attoo di alta
amministrazione, quali sono gli atti sicuramente politici? Pone questa esemplificazione : sono politici la
legge che è l’atto politico pr eccellenza,gli atti aventi valore di legge, la nomina dei senatori a vita dei giudici
costituzionali, gli atti di concessione di grazia, l’elezione del pdr ....

Tutto questo fa da corollario al caso dibattutto dalla sentenza 81/2012 cioè l’atto di nomina e revoca
dell’assessore comunale ex art 46 co 4 del testo unico degli enti locali (TU 267/2000) .

In realtà,oggi prevale la tesi della natura amministrativa che l’atto con il quale il sindaco nomina o revoca
un’assessore comunale è un atto di alta amministrazione. Ciò perchè l’atto di revoca non è libero nel fine
essendo volto al miglioramento della compagine di ausilio del sindaco preposto alla cura di un interesse
pubblico a monte previsto. Previsto dalla norma. Ciò implica, secndo la giurisprudenza, la necessità di
rispettare i requisiti di professionalità. Io non posso fare una nomina così .. ma devo nominar una persona
che mi dia garanzia di professionalità e dare comunicazione di avvio del procedimento perchè trattasi
comunque di un atto amministrativo quindi ci sono le regoleche presiedono l’esercizio del potere ad esempio
l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento. La natura amministrativa dell’atto e quindi
l’assenza di libertà nei fini risulta ancora piiù evidente se si ha riguardo a nomine che devono tener conto di
alcuni vincoli giuridici ciè le c.d. quote rosa. Perchè qual’era il caso di specie risolto dalla sentenza? Ora ve
lo leggo.

Però ripetiamo, finora abbiamo visto che c’era una giurisprudenza protesa a riconoscere l’atto con il quale un
sindaco nomina o revoca un’assessore come un vero e proprio atto di alta amministrazione ( sindacato è
ammesso solo per ipotesi macroscopicamente di legittimità) e si faceva riferimento al fatto che la nomina
rispettasse alcuni vncoli giuridici come le quote rosa. Tuttavia la corte con sent 81/2012 ha riconosciuto la
natura politica della decisione dell’atto di nomina precisando che: ‘gli spazi della discrezionalità politica
trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento tanto a livello costituzionale
quanto a livello legislativo. e Quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve
attenersi, in ossequio al principio dello stato di diritto’. Quindi è un atto politico anche se ha questi vincoli
perchè sono delle predeterminazioni di canoni di legalità. E il rispetto di questi vinvoli costituisce un
requisito di legittimità di validità dell’atto sindacabile nelle sedi appropriate . quindi in questo caso la
sentenza sposa la ricostruzione dell’atto di nomina come atto politico. Sapete, ve lo dico velocemente perche
devo portarvi il discorso su un ulteriore profilo: la vicenda da cui aveva preso le mosse questo conflitto di
attribuzione deciso dalla corte è piuttosto interessante. Quale incarico di nomina riguardava questa sentenza?
Riguardava il fatto che il presidente della giunta regionale della campania, con diversi decreti aveva
provveduto alla nomina dei porpri assessori in palese violazione delle disposizioni legislative a garanzia
della parità di genere. In particolare era stato violato l’art 46 comma 3 dello statuto della regione campania
che impone il pieno rispetto dell’equilibrata presenza di donne e uomini nella giunta. Allora su questo ricorso
di un’esponente di sesso femminile, il tar prima e il consiglio di stato dopo avevano tutti e due annullato uno
dei due decreti e confermato poi in appello la decisione seppur limitandosi la censura all’ultimo dei
porvvedimenti di nomina cioè a quello che , nel sostituire l’assessore con altro sempre di sesso maschile, ha
reiterato il disequilibrio già precedentemente verificatosi. La regione campania ha poi inoltrato ricorso alla
corte costituzionale per conflitto d’attribuzioni sull’assunto dell’assoluta insindacabilità , ragazzi, del
provvedimento di nomina dell’assessore regionale, in qaunto atto politico, ai sensi dell’art 7 c.p.a.
riproduttivo del celebre art 31 del TU del 1924 n 1054. Ok? Su questo si è pronunciata la corte con
l’indicazione che prima vi ho dato. Adesso prendendo il mio lavoro del 2008, che non era andato molto
lontano da questa impostazione, intitolato l’atto politico nel governo degli enti locali, io ho preso proprio ad
indagine la qualifica o meno di atto politico in riferimento all’atto di revoca dell’incarico di assessore di ente
e ho dato evidenza a come due importanti pronunce di quel periodo, una del consiglio di stato e una del tar,
avevano dato impostazioni diametralmente opposte. Mentre nel 2007 il consiglio di stato considera questo
atto come NON un atto politico. Il giudice amministrativo di primo grado cioè il tar della liguria nel 2004
ritiene che anche gli atti di nomina e connessi provvedimenti assumono natura politica. Perchè illistro queste
due sentenze? Perchè entrambi i ragionamenti sono validi!! Io dico sempre che quando affronterete l’esame
d’avvocato, anche se voi non avete centrato l’argomento, anche se farete un parere e darete una soluzione
che non è quella giusta, sarete comunque apprezzati se date una soluzione che fate vostra e che motivate e la
giustificate in relazione al caso. Questo perchè difronte ad una stessa situazine addirittura giudice
amministrativo di diverso grado ha dato impostazione opposta ma condivisibile. Il consiglio di stato ritiene
che ciò che potrebbe far propendere a favore dell natura di atto politico dell’atto di revoca è il nuovo ruolo
che ha ssunto il sindaco e la giunta regionale oggi. Il nuovo ruolo. A seguito della riforma del titolo quinto, si
possono ritenere politici gli atti emanati da tali organi che sono preposti all’indirizzo e alla direzione al
massimo livello dell’amministrazione comunale, tuttavia, dice il consiglio di stato ,nonostante un
rafforzamento della posizione del sindaco e dei suoi collaboratori, non può predicarsi la natura di organi di
rilievo costituzionale in quanto la determinazione di questi organi, appartiene in via esclusiva alla
legislazione statale e non sono fissati direttamente dalla costituzione. Quindi il consiglio dice : il sindaco del
comune, come il consiglio della giunta comunale, non sono organi di rilievo costituzionale,come invece lo
sono le regioni e pertanto l’atto sindacale di revoca di un assessore non è un atto libero nella scelta dei fini
in quanto la sua finalità ultima è fissata dalla legge . e questa consiste nel miglioramento della compagine di
ausilio del sindaco nell’amministrazione dell’ente locale pertanto è ammissibile la sua impugnativa davanti
al giudice amministrativo in quanto posto in essere da un organo della p.a. e nell’esercizio di un suo potere
amministrativo seppur ampiamente discrezionale come atto di alta amministrazione. Avete capito? Non è
un atto libero nel fine dice il consiglio, è un atto che deve sottostare ad una finalità ultima fissata dalla legge
e cioè il miglioramento della compagine del sindaco nell’amministrazione lovale. E pertanto perchè ha
questo fine è un atto di alta amministrazione sindacabile davanti al giudice amministrativo seppur attraverso
quell’angusto,ristretto sindacato giurisdizionale. Di contrario avviso è stata la sentenza del tar. Essa fa un
lungo excursus storico e dice che nell’ottica dell’equiparazione degli organi di governo di cui all’art 114 cost
sono atti di natura politica anche gli atti di nomina e connessi provvedimenti di revoca dei componenti della
giunta comunale. Gli assessore operano quali componenti dell’organo che deve individuare e attuare gli
obiettivi politici. Ne deriva che anche l’atto di revoca appare nesso nell’esercizio delle funzioni d’indirizzo
politico. Quindi gli atti emanati sono considerati veri e propri atti politici sottratti per dettato di legge al
sindacato giurisdizionale proprio perchè il sindaco insieme agli assessori o collaboratori della sua compagine
politica, individuano gli obiettivi politici quindi sindacie assessori sono organi che seppur non hanno rilievo
costituzionale sono degli organi che individuano e creano i fini. Loro stabiliscono gli scopi. E quindi ‘atto
con cui si nomina x o si revoca y è un atto politico. Che dite ragazzi? Fate vostro questo ragionamento e non
necessariamente dovete sposare uno dei due orientamenti. L’importante è che sappiate i concetti a
fondamento di ciò.

IV SEMINARIO 5/12
Quest’oggi faremo un approfondimento di diritto amministrativo su un istituto che è molto importante e che
interessa in maniera particolare il processo amministrativo sotto più punti di vista. L’oggetto della lezione di
oggi è l’astreinte (in italiano sta per “penalità di mora”) parola di derivazione francese che fa riferimento
ad un istituto peculiare del processo amministrativo che è appunto una somma, una sanzione di carattere
pecuniario che viene applicata dal giudice amministrativo in presenza di determinate condizioni e che ha un
carattere sostanzialmente progressivo. Una sanzione pecuniaria che viene applicata in caso di inadempimento
da parte dell’amministrazione, a seguito di una sentenza di merito pronunciata dal giudice amministrativo.
Chiaramente è fondamentale inquadrare questo istituto perché la penalità di mora attiene ad una
particolare fase del giudizio amministrativo che è quello del giudizio di ottemperanza (giudizio
particolare che ha tutta una serie di particolarità che poi caratterizzano il processo amministrativo). Il
giudizio di ottemperanza è essenzialmente uno strumento che consente al giudice che ha pronunciato la
sentenza all’esito del processo amministrativo di verificare l’attuazione, da parte dell’amministrazione, di
quanto prescritto nella sentenza. Bisogna immaginare infatti che non tutte le sentenze soddisfino l’interesse
del ricorrente. Chiaramente una sentenza di annullamento di un provvedimento amministrativo
annulla ex tunc gli effetti del provvedimento e l’interesse del ricorrente è immediatamente soddisfatto. Ma a
volte ci sono delle sentenze che presuppongono una fase proattiva da parte dell’amministrazione, cioè un
comportamento dell’amministrazione atto ad adempiere, a conformarsi quanto statuito dal giudice. E’ chiaro
che in tutti questi casi l’interesse del ricorrente vittorioso, eventualmente l’esito dei due gradi di giudizio, è
quello che l’amministrazione rispetti quanto previsto dal giudice e questo non sempre avviene nella nostra
pubblica amministrazione perché non tutte le pubbliche amministrazioni sono particolarmente solerti. Quindi
in questo contesto si inserisce il giudizio di ottemperanza, particolare rimedio che consente al giudice che ha
pronunciato la sentenza di verificare se effettivamente l’amministrazione ha posto in essere tutti quei
comportamenti necessari per rispettare quanto prescritto dal giudice.
Il giudizio di ottemperanza ha una sua storia: in realtà inizialmente era riconosciuto soltanto come giudizio
peculiare riservato al giudice ordinario che poi invece, a partire da una storica sentenza del 1928, è stato
riconosciuto invece anche in ambito amministrativo come appunto strumento idoneo a garantire
l’esecuzione del giudicato. L’elaborazione del giudizio di ottemperanza, in realtà, è soprattutto di carattere
giurisprudenziale. Nel senso che anche la legge istitutiva dei TAR, il Testo Unico del Consiglio di Stato non
contenevano tantissime disposizioni su quello che era il giudizio di ottemperanza. L’elaborazione pretoria, la
giurisprudenza nel corso degli anni ha sempre più sviluppato e applicato il giudizio di ottemperanza anche
nell’ambito amministrativo fino a concretizzarlo e applicarlo nell’ambito del processo amministrativo. In
linea generale se vogliamo quindi trovare delle caratteristiche diciamo principali a quello che è il giudizio di
ottemperanza, sicuramente a parte l'ipotesi di ottemperanza tipica, come l‘ottemperanza per chiarimenti, ciò
che si presuppone nell’ambito del giudizio di ottemperanza è che vi sia una sentenza passata in giudicato, la
richiesta di questa sentenza nei confronti dell’amministrazione di porre in essere un comportamento e poi di
adottare un provvedimento per dare attuazione a quanto stabilito dal giudice e chiaramente l‘inadempimento
da parte dell’amministrazione. Quindi in presenza di queste situazioni, può essere esperita l’azione di
ottemperanza che abbiamo detto ha la caratteristica di andare a consentire il rispetto del giudicato da parte
della pubblica amministrazione. Bene, in questo senso potete vedere nella slide questo momento, una piccola
sintesi di quelle che sono le ipotesi del giudizio di ottemperanza: cioè l‘azione di ottemperanza può essere
proposta essenzialmente per conseguire o l’attuazione di sentenze o altri provvedimenti equiparabili alle
sentenze o in realtà in generale di tutti quei provvedimenti per i quali è previsto il merito dell’ottemperanza.
Quindi tutte quelle sentenze che devono essere eseguite dall’amministrazione e che non vengono eseguite.
Ma può essere anche esperito anche poi per ottenere la condanna al pagamento di somme a titolo di
rivalutazioni e interessi (se ad esempio la condanna prevede un’obbligazione pecuniaria possono nel tempo
formarsi degli interessi dal momento in cui l‘obbligazione non viene subito adempiuta da parte
dell’amministrazione). Ma non solo, il giudizio di ottemperanza è anche esperibile nel momento in cui il
ricorrente vittorioso, a seguito di sentenze del giudice amministrativo, abbai interesse ad ottenere il
risarcimento dei danni connessi all’inadempimento da parte dell’amministrazione. Quindi ad ottenere
sostanzialmente quelli che sono i danni che magari sono potuti derivare dall’inattuazione della sentenza da
parte dell’amministrazione. Ma l‘azione di ottemperanza può essere anche esperita quando sia necessario
ottenere, da parte del ricorrente, la declaratoria di quelli che sono atti emanati dall’amministrazione in
violazione del giudicato. Perché può anche accadere, come abbiamo visto che a seguito di una sentenza
emanata dal giudice amministrativo, la pubblica amministrazione poi in realtà emani un atto che sia di fatto
contrario a quanto previsto dal giudice: ecco, anche in questo caso, il ricorrente vittorioso ha la possibilità di
esperire il giudizio di ottemperanza. Poi infine arriviamo a quell’ipotesi, diciamo particolare e che esula un
po' da quelle che abbiamo visto sinora, che è la cosiddetta ottemperanza per chiarimenti che
effettivamente si caratterizza per avere delle caratteristiche diverse: perché in realtà configura un'ipotesi di
ottemperanza che viene utilizzata quando ci sono delle incertezze in ordine alle modalità di adempimento
della sentenza (il che significa quindi che ad esempio se la sentenza del giudice non è chiara sotto alcuni
profili, perchè magari non è chiaro quale è il provvedimento che deve adottare l'amministrazione, ebbene
tutti questi casi c'è questo peculiare ipotesi di giudizio di ottemperanza che consente di richiedere dei
chiarimenti, proprio di interrogare il giudice in ordine a quelle che sono le modalità di attuazione del
provvedimento della pronuncia giudiziale). E’ chiaro quindi che, alla luce di questo sintetico esame del
giudizio di ottemperanza, quello che ci interessa sostanzialmente vedere è che questo è un rimedio presente
nel caso del processo amministrativo per consentire al giudice di rendere effettiva poi quella che è la tutela
giurisdizionale. Perché se la fase di merito si caratterizza in linea generale per un potere limitato al giudice di
intervenire su quello che è il potere discrezionale dell’amministrazione, al contrario, vuoi nel giudizio di
ottemperanza, dovete immaginare che il potere del giudice si amplia. Quest’ultimo si amplia perché
deve andare a verificare se l‘amministrazione sta dando attuazione a quanto prescritto dal giudice e
nel farlo può prevedere una serie una serie di rimedi: nomina di un commissario ad acta che si
sostituisce all’amministrazione al fine di adempiere a quanto previsto oppure l’istituto della penalità
di mora. La penalità di mora è uno strumento particolare perché può essere essenzialmente utilizzato dal
giudice, nell’ambito del giudizio di ottemperanza, per indurre l’amministrazione ad adempiere a quanto
prescritto nella sentenza. Quindi sostanzialmente è una misura di coercizione indiretta: è una misura che
deve indurre l'amministrazione ad adempiere, sotto pena del pagamento di una sanzione pecuniaria.
Può tornare utile fare una piccola analisi storica di questo istituto per inquadrarlo. Istituto di derivazione
francese, nato in realtà per controbilanciare quella che è stata l’impostazione dell’ordinamento francese
improntata sulla cosiddetta “incoercibilità delle obbligazioni di fare e non fare”: cioè sostanzialmente
l’impronta liberale che caratterizzava l’ordinamento francese, aveva necessità di controbilanciare questa
incoercibilità, così che si è reso necessario prevedere uno strumento che potesse garantire un’adeguata tutela
dinanzi al giudice. Così è stato previsto quindi questo strumento che aveva lo scopo di indurre
l’adempimento in linea generale del privato e poi vedremo come si è voluto nel corso del tempo anche nei
confronti dell'amministrazione. Quindi questa diciamo è l'origine, lo scopo per cui è stato introdotto
nell'ordinamento francese. Però in realtà nella storia c’è stata già traccia di un istituto simile alla penalità di
mora: perché già nel diritto romano classico in alcune pronunce (o condanne) nei confronti dei cittadini a
rilasciare un fondo oppure a realizzare un opus, già si erano viste delle pronunce tese a prevedere il difetto,
quindi in caso di inadempimento del soggetto condannato, questi dovesse sostanzialmente versare una
somma pari al valore del fondo o dell’opus in alternativa. Quindi vediamo già qui una forte caratteristica
sanzionatoria dell’istituto, quindi già nel diritto romano aveva un suo antenato. In realtà, nel diritto romano,
questo istituto veniva applicato in generale un po' sia alle obbligazioni fungibili che infungibili, quindi non
c'era una distinzione. Di questo istituto, che non può essere pienamente sovrapposto a quella che poi è la
penalità di mora come la conosciamo noi e come è stata introdotta nell’ordinamento francese, possiamo
trovare degli antenati sia nel diritto romano classico che nel medioevo con la precisazione però che nel
medioevo era un rimedio utilizzabile solo ed esclusivamente nella misura in cui l’interesse del creditore non
poteva essere soddisfatto attraverso l’esecuzione (quando si trattava sostanzialmente di obblighi infungibili).
La sentenza che ha dato origine poi alla penalità di mora, come la conosciamo nel nostro ordinamento
e in linea generale nell’ordinamento francese, è una sentenza del tribunale di Cry del 1811: con la quale
sostanzialmente il giudice condannò il soccombente a compiere una pubblica ritrattazione (quindi ecco
vediamo la condanna) sotto pena di dover pagare 3 franchi per ogni giorno di ritardo nell’ inadempimento.
Quindi è chiaro come vediamo da un lato la sanzione, quindi in questa decisione del tribunale di Cry era la
pubblica ritrattazione e dall'altra la minaccia di un qualcosa di diverso. Cioè nel momento
dell'inadempimento la condanna a pagare una sanzione pecuniaria, i 3 franchi per ogni giorno di ritardo, che
come quindi potete immaginare, ha un contenuto progressivo perché tende nel tempo ad aumentare. Perché
chiaramente 3 franchi per ogni giorno di ritardo significa accumulare un debito da parte del cittadino privato
nel corso del tempo. Quindi sentenza di Cry, che è una sentenza diretta ad un cittadino privato, quindi
penalità di mora che nasce sostanzialmente come una sanzione volta a declinarsi come una pena privata
posta nei confronti di un cittadino. Ebbene questa stessa penalità di mora poi trova ingresso
nell’ordinamento francese con una legge dell’1972, che individua l’astreinte come una sanzione oggetto di
condanna che ha carattere accessorio perché l’adempimento non estingue sostanzialmente l'obbligazione
principale, cioè resta ferma quella che è l'applicazione principale ma accanto all’obbligazione principale
viene individuata questa particolare sanzione. Abbiamo detto derivazione francese, ci sono degli antenati
anche nel diritto romano classico del medioevo ma adesso andiamo a vedere poi quando trova ingresso nel
nostro ordinamento.
Nel nostro ordinamento, in realtà, la sua vera introduzione è legata alla legge 18 giugno 2009 n. 69, che
sostanzialmente ha introdotto nel codice di procedura civile l’articolo 614 bis che sostanzialmente è
proprio l’astreinte in ambito però civile. In realtà questo non significa che prima di questa data non c'era
traccia nel nostro ordinamento dell'istituto della penalità di mora: se guardiamo ad esempio il progetto
Carnelutti, che in realtà poi non è stato veramente preso in considerazione poi per il codice di procedura
civile odierno, c‘era l‘art 667 che affermava testualmente che se l'obbligo consiste nel fare o non fare il
creditore può chiedere che il debitore sia condannato a pagargli una pena pecuniaria per ogni giorno di
ritardo nell’ adempimento a partire dal giorno stabilito dal giudice. Quindi vediamo già una traccia di
penalità di mora nel nostro ordinamento, già nel 1923 all'epoca del progetto Carnelutti. E poi questa stessa
esposizione la ritroviamo anche nel disegno di legge reale del 1975, quindi effettivamente c'è già una
conoscenza dell’istituto che però a guardare, diciamo il dato legislativo, viene accolto soltanto nel 2009
perché con la legge 2009 viene prodotto l’articolo 614 bis che introduce la penalità di mora del nostro
ordinamento in maniera particolare, prima di tutto nel processo civile quale misura di coercizione indiretta.
Essenzialmente da al giudice il potere di indurre all’adempimento dell'obbligazione sotto ovviamente la
possibilità di essere applicata una pena di carattere pecuniario in caso di inadempimento. Ebbene l'articolo
614 bis consente al giudice di applicare questa penalità però a patto che vi siano sostanzialmente due
condizioni. Innanzitutto nel determinare l’ammontare di questa misura coercitiva è necessario tenere conto di
tutta una serie di parametri definiti dall’art. 614-bis (valore della controversia, la natura della controversia, la
tipologia e la durata, il danno quantificato prevedibile. Tutta una serie di parametri che devono guidare
l'identificazione di questa penalità di mora). Poi è necessario che ciò non risulti manifestamente iniquo,
quindi chiaramente non si può dar luogo a una sanzione, in questo caso configurata come penalità di mora,
che risulti palesemente iniqua rispetto al giudizio. Queste chiaramente sono le caratteristiche della penalità di
mora nell’ambito del processo civile.
Nell'ambito invece del processo amministrativo, l'introduzione della penalità di mora si deve poi al
D.lgs. 2 luglio 2010 n. 104 che chiaramente introduce l’art. 114 co. 4 lett. E del codice processo
amministrativo. Questo è il dato normativo in cui troviamo chiaramente la definizione della misura
coercitiva indiretta dalla penalità di mora. La penalità di mora può essere definita come una condanna
pecuniaria che chiaramente ha un contenuto accessorio ed eventuale che viene sostanzialmente fissata intanto
per un giorno (perché già con il tribunale di Cry ma in generale ciò che caratterizza oggi i nostri giudici, si
individua una somma di denaro che viene applicata e che ha un contenuto progressivo perché tende ad
aumentare ogni giorno). È una sanzione che si cumula alla domanda principale che sostanzialmente deve
trovare applicazione nel momento in cui non c'è un adempimento da parte dell'amministrazione. In questo
senso può tornarci sicuramente utile a questo punto leggere il dato normativo. L’articolo 114 co. 4 lett. E del
codice processo amministrativo quindi prevede espressamente che in caso di accoglimento del
ricorso (attenzione che qui stiamo parlando di ricorso in ottemperanza) salvo che ciò sia manifestamente
iniquo (quindi anche qui ritroviamo la caratteristica del 614 bis del codice procedura civile) il giudice ha la
possibilità di fissare, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o
inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato. Quindi è chiaro che la
somma di denaro in questo senso, la sanzione di carattere pecuniario ha una duplice funzione: da un lato
serve appunto ad indurre l'amministrazione ad adempiere sotto pena di una sanzione pecuniaria, dall'altro
però al momento in cui l'amministrazione non adempie diventa una vera e propria sanzione perché
ovviamente deve essere applicata e quindi deve essere pagata da parte dell'amministrazione. Uno dei temi
che più hanno sostanzialmente riguardato l’astreinte, almeno in sede amministrativa, è stata la questione di
interrogarsi se potesse essere applicata o meno anche la misura della penalità di mora anche nel caso di
obbligazioni pecuniarie. Perché l'articolo del codice di procedura civile in realtà non prevede la possibilità di
utilizzare la penalità di mora nel caso di obbligazioni pecuniarie, se la condanna ha ad oggetto
un’obbligazione pecuniaria non è possibile utilizzare l’istituto della penalità di mora. Invece nel codice
processo amministrativo non c'è questo limite perché al contrario la possibilità di applicare la penalità di
mora sussiste anche in caso di obbligazioni pecuniarie: cioè in aggiunta all’ obbligazione pecuniaria,
eventualmente l’amministrazione è tenuta corrispondere al soggetto vittorioso, c'è anche la possibilità per il
giudice di determinare e applicare una sanzione a titolo di penalità di mora . Questo significa che se
guardiamo i due istituti, in queste prime caratterizzazioni generali dei due istituti in sede civile e in
sede amministrativa, vediamo effettivamente l'elemento differente è proprio questa applicabilità anche
alle obbligazioni pecuniarie. In realtà se vogliamo estendere la nostra vista a quello che è il codice di
giustizia amministrativa francese, anche per capire poi come si è declinato differentemente nei due
ordinamenti nonostante l'origine francese, vediamo ad esempio nel codice del processo di giustizia
amministrativa francese la penalità di mora innanzitutto è applicabile anche d’ufficio del giudice (mentre
nell'articolo 114 si parla di una richiesta di parte, quindi impone comunque una richiesta della parte.) E poi in
secondo luogo c'è un'altra grande differenza, ovvero che nel codice giustizia amministrativa l’istituto della
penalità di mora non viene previsto nell'ambito del giudizio di ottemperanza (peculiarità del nostro codice
del processo) ma nell'ambito giudizio di merito: cioè il giudice, all’esito del giudizio di merito, di cognizione
si pronuncia anche eventualmente sull'applicazione dell'istituto della penalità di mora. Una cosa che invece
nel caso del processo amministrativo non è così perchè ovviamente noi siamo nell'ambito del giudizio di
ottemperanza, il che presuppone chiaramente già un giudicato, presuppone già ricorso al rimedio
dell’ottemperanza per ottenere l'attuazione del giudicato e quindi quanto è statuito dal giudice. Come vi
dicevo un rimedio di questo genere, un rimedio di coercizione indiretta, ha proprio lo scopo di facilitare
l’adempimento da parte dell'amministrazione perché, come vi dicevo, non ci sono soltanto le sentenze
cosiddette di carattere demolitorio (che quindi prevedono l'annullamento di un provvedimento e la pretesa
del ricorrente attualmente vittorioso che risulta soddisfatta immediatamente) ma vi sono anche delle ipotesi
in cui è necessario un comportamento proattivo da parte dell'amministrazione cui si parla in questo caso di
effetto conformativo della sentenza. In tutti questi casi diventa necessario assicurare dei rimedi che
consentano al ricorrente di soddisfare la propria pretesa, motivo per cui chiaramente vengono previsti tutta
una serie di rimedi (istituto della penalità di mora, nomina del commissario ad acta) che servono
effettivamente proprio a completare questo quadro.
Passiamo ora alle caratteristiche principali di questo istituto. C’è stata una sentenza del Consiglio di Stato,
Adunanza plenaria, n. 15 del 26 giugno 2014 che ha ricostruito un po' la natura dell’astreinte. Abbiamo
già detto che si tratta di un istituto applicabile a tutte le statuizioni previste dall’art. 112 codice processo
amministrativo, quindi anche quelle a contenuto patrimoniale. Abbiamo detto che ciò che differenzia
l’astreinte in sede giurisdizionale amministrativa da quella civile è l'estensione della prima anche
all’obbligazione pecuniarie e abbiamo detto che ha natura ambivalente, perché da un lato è proiettata dal
futuro, c'è l'obiettivo di indurre l'amministrazione con una funzione compulsoria all'adempimento della
sentenza, ma dall'altro viene applicata soltanto nel momento in cui l’inadempimento si sia concretizzato e sia
stato accertato in sede di ottemperanza. Infine si aggiunge e non si sostituisce all'eventuale risarcimento dei
danni. Come vi dicevo, dall’inadempimento dell’amministrazione può anche derivare un tan per il ricorrente
vittorioso, per il privato, motivo per cui in questi casi il soggetto ha anche la possibilità di richiedere un
risarcimento dei danni che però va in un'altra direzione, cioè si muove parallelamente rispetto alla penalità di
mora che, come dice la parola stessa, sicuramente ci dice il percorso, excursus storico che abbiamo fatto fino
ad ora, ha chiaramente una natura sanzionatoria.
Analizziamo ora una delle questioni per tanto tempo irrisolte della penalità di mora relative al
momento di decorrenza (compreso che l’istituto ha quindi una natura prettamente compulsoria, finalizzata
ad indurre l’amministrazione ad adempiere a quanto statuito dal giudice amministrativo). Il problema si è
posto perché ci si è chieste sostanzialmente se questa penalità di mora dovesse essere applicata dal momento
in cui si concretizzava l’inadempimento ed era questo accertato nell’ambito del giudizio di ottemperanza o se
invece la decorrenza della penalità di mora potesse partire sostanzialmente da prima, anche dal momento in
cui l’amministrazione non ha effettivamente adempiuto a prescindere poi dall’intervenuta sentenza del
giudice amministrativo. Sul punto si sono formati due orientamenti nella giurisprudenza che fino al
2015 si sono sviluppati entrambi: perché c'era chi sosteneva che la penalità di mora dovesse essere applicata
dal momento in cui veniva adottata la decisione in sede di ottemperanza, e quindi a seguito
dell'inadempimento successivo alla sentenza di ottemperanza, individuare lì il momento di decorrenza della
penalità di mora e chi invece riteneva che questa potesse essere applicata anche nel periodo antecedente. Sul
punto in particolare ci fu una sentenza del Tar Lazio che prevedeva essenzialmente la possibilità di applicare
la penalità di mora anche agli inadempimenti pregressi che quindi erano stati sia accertati in sede
ottemperanza ma che facevano riferimento ad un periodo precedente al giudizio di ottemperanza.
Ebbene, sul punto dinanzi a questi due orientamenti, poi è intervenuto il Consiglio di Stato con una
sentenza del 2015 che invece ha privilegiato quella che è l’opzione poi che è stata infine adottato dal
dato normativo: ovvero l’inapplicabilità dell’astreinte agli adempimenti progressi. Cioè l’applicabilità
dell’astreinte vale soltanto per quanto riguarda gli adempimenti successivi all’accertamento in sede di
ottemperanza. È una sentenza molto importante perché ha effettivamente chiarito questo elemento e da qui
poi è intervenuta la legge con la legge stabilità del 2016 (legge n.208/2015) che ha introdotto un ulteriore
periodo all'articolo 114 co. 4 lett. E del codice del processo amministrativo che è quello relativo all’istituto
della penalità di mora, prevedendo sostanzialmente che la penalità di mora decorre dal giorno della
comunicazione, notificazione dell’ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza. Ciò
significa che nel momento in cui viene accertato l’inadempimento dell'amministrazione, pubblicata
sentenza, notificata sentenza e decisa applicabilità della penalità di mora, ecco da quel momento il
perdurare dell’inadempimento da luogo al calcolo della penalità di mora. A questo punto possiamo
arrivare a quella che è la sentenza che ci interessa affrontare. Una sentenza che è molto importante, una
sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del maggio 2019 che ha sostanzialmente cambiato la
visione di questo istituto, con riferimento al momento successivo della sua statuizione. Si è intervenuti su
quello che riguarda la modificabilità delle astreintes che come avete visto sono essenzialmente un importo a
carattere progressivo, che possono essere oggetto di una rivisitazione, di una modifica. Ed è proprio questo
l'oggetto della Adunanza plenaria. (Per farvi capire l'importanza di questa di questa sentenza basti soltanto
evidenziarvi che questa sentenza del maggio 2019 poi è stata oggetto della prova dell'esame di magistratura
del giugno 2019, quindi a neanche un mese dalla sua pubblicazione. Nel giugno del 2019 la terza prova del
concorso magistratura, la traccia di diritto amministrativo aveva ad oggetto proprio la natura degli aspetti e in
maniera particolare la modificabilità delle astreintes nell'ambito del giudizio di ottemperanza.) Si tratta di
una sentenza che veramente ha cambiato la concezione di questo istituto, intervenendo su un segmento
preciso che è quello successivo alla sua applicazione, alla sua decisione da parte del giudice che è molto
importante.Cerchiamo di fare una breve sintesi del fatto che poi ha dato origine a questa sentenza,
inquadrando la vicenda da un punto di vista fattuale. La vicenda che ha dato origine a questa sentenza è del
2005 e riguardava sostanzialmente una gara indetta da Roma capitale, quindi l'amministrazione romana, con
riferimento alla gestione di un impianto sportivo per la durata di 33 anni. Era stata indetta questa gara da
parte dell'amministrazione, all’esito della gara era stato individuato come soggetto vincitore un’impresa, un
soggetto partecipante che noi identificheremo come società Alfa. Ebbene, la seconda classificata, società che
noi riconosciamo come società Beta, impugnava gli esiti dell'aggiudicazione nell'ambito di un normale
processo amministrativo che si è essenzialmente concretizzato in due gradi di giudizio e che ha portato poi,
in ultima analisi, il Consiglio di Stato con una sentenza del 2009 (sent. 1134/2009) a pronunciarsi sulla
questione imponendo all'amministrazione di rinnovare la fase di valutazione delle offerte, della gara e
l'esclusione di quella che era stata la prima aggiudicataria. Il Consiglio di Stato dà ragione alla seconda
classificata. Impone all'amministrazione di escludere quella che originariamente aveva vinto e ordina la
rinnovazione della valutazione di tutte le offerte, ordina che la gara venga rifatta con riferimento alla fase di
valutazione dell'offerte. Ovviamente sentenza nel 2009, il comune non ottempera a questa descrizione (ecco
che comprendiamo l'utilità dell'ottemperanza) quindi non rispetta quanto statuito dal giudice. Quindi il
secondo classificato, che era risultato vittorioso all’esito dei 2 gradi di giudizio, adisce nuovamente il
Consiglio di Stato, questa volta in sede di ottemperanza, lo fa sostanzialmente per chiedere
all'amministrazione di verificare perché l'amministrazione non abbia eseguito quanto prescritto nella
sentenza. Il giudice, quindi, in questa sede di ottemperanza con una sentenza del 2010, fissa un termine di 60
giorni per l’adempimento da parte dell'amministrazione, poi nomina al contempo un commissario ad
acta che quindi avrebbe sostituito l’amministrazione nell’ottemperare sostanzialmente al provvedimento del
giudice. A quel punto, quindi, il comune cosa fa? Completa la gara perché ovviamente, a seguito soprattutto
dell’ottemperanza ottenuta a completare la gara e questa volta la aggiudica all’originario secondo
concorrente che, come abbiamo visto, era risultato vittorioso all’esito di due gradi di giudizio, quindi questa
volta assegna la gara a Beta. Ebbene, nell’assegnare la gara a Beta, provvede quindi ad aggiudicare la
gestione di questo impianto sportivo a Beta. Se non fosse poi che però, in un successivo momento ancora,
l’amministrazione di Roma capitale torna sui suoi passi e revoca l’aggiudicazione che aveva invece
realizzato nei confronti di Beta. Quest’ultimo per l'ennesima volta si rivolge al Consiglio di Stato per far
constatare quello che era il contrasto tra il giudicato, che aveva quindi imposto all'amministrazione di
svolgere la gara, di assegnare la gestione del campo sportivo, e quello che è stato il provvedimento di
annullamento di revoca dell'aggiudicazione da parte dell'amministrazione. Nel 2011 il Consiglio di Stato
con una nuova decisione di ottemperanza non si limita ad ordinare all'amministrazione di fare tutto
ciò che è necessario per garantire l’effettiva disponibilità del dell'impianto in capo ovviamente alla
società Beta, con quella stessa sentenza del 2011 va ad applicare la penalità di mora (quindi ecco qui
che arriva la penalità di mora.). Applica la penalità di mora e in questa sentenza del 2011 va anche a
qualificarla e la qualifica come una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, modellata sulla falsa
riga dell’istituto francese dell’astreinte che mira a vincere la resistenza del debitore che, come abbiamo visto
nel caso di specie era ormai accertata, inducendolo ad adempiere all’obbligazione sancita suo carico
dall’ordine del giudice. Nel pronunciare questa sentenza il Consiglio di Stato ci dice chiaramente che la
penalità di mora ha una finalità sanzionatoria non risarcitoria, perché non mira sostanzialmente a
riparare il pregiudizio che è stato cagionato dalla non esecuzione della sentenza che invece, come
abbiamo detto prima, sarà oggetto di un separato giudizio per risarcimento dei danni ma mira a
sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria da parte dell'amministrazione e al contempo a
stimolare quindi l’adempimento. E quindi qui troviamo perfettamente quelli che sono i caratteri
dell’astreinte che ci siamo detti finora. L'amministrazione va oltre e va anche indicare in cosa consiste questa
penalità. Ebbene in quell'occasione il Consiglio di Stato prevede espressamente che la misura sia
commisurata al canone di concessione di quello spazio che è pari a 300 € al giorno, cioè essenzialmente la
penalità di mora in caso di inadempimento che l'amministrazione avrebbe dovuto pagare era pari a 300 €.
Non solo non è soltanto tre 300 € al giorno per ogni giorno di inadempimento, quindi come potrete
immaginare già di per sè va ad aumentare progressivamente, ma addirittura aggiunge che in caso di
perdurante inadempimento per 15 giorni, dopo 15 giorni, quello stesso importo di 300 € sarebbe aumentato
della metà. Quindi da 300 € al giorno diventano 450 allo scadere dei primi 15 giorni di inottemperanza. Ma
questo non vale come regola nei primi 15 giorni ma questa sentenza del Consiglio di Stato del 2011 va a dire
invece che la penalità di mora sarebbe stata aumentata ogni 15 giorni in questo modo, quindi questo significa
che progressivamente si sarebbe passati da 300 € a 450 € a 675 € nei 15 giorni ancora successivi e così via.
Potete immaginare questa impostazione a quali conseguenze potrebbe portare: in maniera particolare ad un
aumento costante della somma che in caso di inadempimento potrebbe paradossalmente arrivare all'infinito.
Ed effettivamente questo è quello che in astratto poi vedremo. È accaduto, ma questo è quello che è in
astratto si è realizzato con questa sentenza, perché nella sentenza il Consiglio di Stato non ha definito una
misura massima, ha semplicemente indicato questo criterio di calcolo che è quello 300 al giorno con la
maggiorazione del 50% in più ogni 15 giorni. Quindi di fatto l'aumento progressivo sarebbe stato
sostanzialmente infinito. (Paradossalmente se l'amministrazione non avesse ottemperato per quarant'anni
questo avrebbe dato spazio ad un risarcimento che anche con due calcoli ad occhio sarebbe stato altissimo
Ragionando, immaginate cosa significa nell'arco di un anno, un aumento di ogni 15 giorni e per ogni
giorno.). Bene questa pronuncia, chiaramente sembra dare delle indicazioni all'amministrazione perché
chiaramente statuisce una penalità di mora, prescrive un adempimento ma al tempo stesso indica l'entità della
penalità di mora che deve essere versata nell’ interesse del ricorrente vittorioso. Ebbene l'amministrazione,
dopo aver però riscontrato alcune difficoltà nell’adempiere a questa sentenza, perché chiaramente si
trattava di somme cospicue, avanza una richiesta di chiarimenti al giudice (ottemperanza per
chiarimenti). Chiede in maniera particolare la possibilità di revisionare la quantità delle somme dovute alla
società Beta. Perché in maniera particolare, poi nel caso di specie, c'erano delle ragioni legate alla non
imputabilità del ritardo dell'esecuzione della sentenza, ragioni specifiche che secondo l'amministrazione
giustificavano una rivalutazione, una modifica di queste somme. Ebbene, il Consiglio di Stato con
un'ordinanza del 2017 (quindi pensate bene, siamo partiti con la vicenda del 2005, arriviamo nel 2017) dice
chiaramente che inammissibile la riforma delle somme quantificate a titolo di penalità di mora: nel momento
in cui quelle somme sono definite in questo modo dal giudice in sede di ottemperanza, quindi con quel
calcolo che abbiamo visto prima, queste non possono essere modificate. E poi individua anche un arco
temporale entro cui sostanzialmente l'amministrazione sarebbe stata ritenuta inadempiente, quindi fissava a
quel momento un periodo preciso entro cui sarebbe stato adempiente e al contempo evidenziava che
l’importo minimo della somma che avrebbe dovuto percepire Beta sarebbe stato pari a 675.000 €. Quindi
capite bene che siamo arrivati ad una somma già di per sé alta. Ciò detto quindi siamo è arrivati a questa
prima richiesta di chiarimenti da parte dell'amministrazione, che già era nel 2017 davanti alla difficoltà di
rispettare quanto statuito dal giudice in ordine a questa penalità di mora. Ma successivamente viene poi
proposto un altro discorso in ottemperanza perché ancora una volta la società Beta chiede la nomina
di un commissario ad acta perché non è chiaro qual è la somma che effettivamente le spetta a titolo di
penalità di mora. Siamo partiti da un giudizio che aveva ad oggetto la gestione di un impianto sportivo e
siamo arrivati a parlare di una società che poi, peraltro, nel caso di specie era un’associazione sportiva, siamo
finiti a parlare di importi altissimi che comunque sarebbero spettati al soggetto vittorioso all’esito dei primi 2
gradi di giudizio. E quindi cosa si fa in questo caso? Non si chiede un altro giudizio di ottemperanza per
avere effettivamente queste somme? E’ chiaro di sì perché ormai siamo arrivati nel 2018 e quindi Beta
ricorre ancora una volta al giudice amministrativo per chiedere la nomina di un commissario ad acta e per
ottenere una pronuncia sulla esatta liquidazione delle somme dovute a titolo di penalità di mora. Nel fare
però questa richiesta c'è una particolarità: nel fare queta richiesta la società Beta va a quantificare quale era,
secondo la sua visione, l’importo che le spettava a titolo di penalità di mora, fissando questo importo in 15
milioni. importo che non era il reale frutto del calcolo come era stato stabilito nella sentenza del 2011 poiché
quel calcolo dato dalla sentenza del 2011 avrebbe portato ad una somma ben più alta, pari a 7 miliardi e
mezzo di euro. La società Beta nell’adire nuovamente Il Consiglio di Stato limita sostanzialmente la
propria pretesa a 15 milioni. A seguito di questa ennesima richiesta di 15 milioni, il Consiglio di Stato
questa volta, siamo arrivati al 4 Marzo 2019, si interroga chiaramente su quelle che sono le caratteristiche
della penalità di mora. Perché ho dimenticato di dirvi, a seguito di questo ennesimo giudizio di ottemperanza,
il Consiglio di Stato nel 2018 nominava il nuovo commissario ad acta e precisava l’importo massimo della
penalità di mora. Sostanzialmente cosa va fatto? Aveva accolto la richiesta della società Beta. Quindi aveva
fissato nel 2018 l’importo a 15 milioni che era la pretesa richiesta dalla società Beta. Il commissario a d
acta nominato questa volta per il pagamento di questa somma abnorme di 15 milioni di euro adisce il giudice
dell’ottemperanza questa volta per dei chiarimenti. Chiede effettivamente come avrebbe dovuto assolvere i
propri compiti, tenendo conto che addirittura i calcoli come statuito nella sentenza del 2011 avrebbero
portato nel corso del tempo all’applicazione di una penalità di mora pari a 7 miliardi e mezzo. Davanti a
questa ennesima richiesta il Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 1457 del marzo 2019 si pone degli
interrogativi e sceglie di interpellare l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che può essere interpellata
quando sussistono delle probabilità che si formi un contrasto di giudicato sulle questioni di interpretazione di
diritto, delle norme. Quindi il Consiglio di Stato, dinanzi a questa situazione in cui oltre la sovrapposizione
di tante sentenze non era chiara neanche la questione di fatto, con questa ordinanza pone due quesiti
precisi all’Adunanza Plenaria: se e in quali termini sia possibile, in sede di ottemperanza di chiarimenti,
modificare la statuizione relativa alla penalità di mora e in secondo luogo chiede se e in che misura questa
modifica possa, non soltanto essere prevista, ma addirittura incidere sui crediti già maturati. Nel fare questa
remissione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato poi evidenzia anche che l’esecuzione della sentenza
ormai aveva portato a questa cifra iperbolica che, a giudizio del Consiglio di Stato, eccede manifestamente
ogni relazione rispetto al ritardo dell’inadempimento. Tecnicamente l’astreinte ha una natura sanzionatoria,
un rimedio compulsorio atto a facilitare l’adempimento dell’amministrazione. Sembra dunque paradossale
che un rimedio di carattere accessorio, teso a sollecitare l’adempimento possa portare poi a delle sanzioni che
arrivano a delle cifre del genere sebbene siano giustificate dall’inadempimento.
Questi due interrogativi danno vita a quella che poi è la sentenza dell’Adunanza Plenaria la n.7 del 9
maggio 2019. Questa sentenza si compone di varie parti. Il Collegio, nel caso di questa sentenza, prima di
enunciare quelli che sono i principi, va a svolgere una riflessione di carattere giuridico che parte
dall’inquadramento della penalità di mora nel contesto dell’ordinamento giuridico italiano e poi si
sviluppa con riferimento al tema della modificabilità in astratto dell’astreinte in sede di ottemperanza per
poi arrivare a definire se la modifica dell’ottemperanza può avere carattere retroattivo. Quindi arriva
poi a fornire la risposta che interessa. Sul tema della natura della penalità di mora possiamo dire che
questa sentenza ha in linea generale ripreso quanto affermato in un’altra Plenaria (quella del 2014) del
Consiglio di Stato nella quale sostanzialmente si evidenzia la natura bivalente dell’astreinte. In altri termini,
in questo quadro l’Adunanza Plenaria ribadisce che si tratta di un precetto giudiziale che ha da un lato una
funzione preventiva di carattere dissuasivo, a evitare l’inadempimento dell’amministrazione ma dall’altro ha
un contenuto repressivo poiché ha un contenuto pecuniario volto a punire l’amministrazione per
inadempimento. In questa analisi l’Adunanza Plenaria ribadisce anche che l’astreinte nell’ambito del
processo amministrativo è sovrapponibile a quella in sede civile configurandosi una differenza soltanto per
quanto riguarda le obbligazioni pecuniarie. Non si può estendere l’astreinte in sede civile.
Quindi abbiamo visto come dopo aver fatto un cappello introduttivo sulla natura del’ astreinte,
inquadrandola nell’ordinamento italiano sulla base di quelli che erano stati i principi espressi dall’adunanza
plenaria 2014, il collegio evidenzia che il problema posto dall’ordinanza di remissione, in questo caso
specifico, di questo bando di gara, è di questa penalità di mora che aveva raggiunto cifre iperboliche, non sta
tanto nella natura della penalità di mora quanto più sul rapporto, cioè tra le misure coercitive dirette come la
penalità di mora e gli strumenti processuali attraverso cui sono applicate, nella specie giudizio di
ottemperanza. Di conseguenza su un altro aspetto, ovvero sul regime di stabilità di quelle che sono le
decisioni emanate con questi strumenti processuali e quindi in sede di giudizio di ottemperanza. In questo
senso l’adunanza plenaria fa un'altra riflessione. Quindi dopo aver analizzato l’astreinte, nel definire la
natura dello strumento processuale con cui si applica la penalità di mora, fa delle riflessioni sulla natura
giuridica della sentenza adottata all’esito del giudizio di ottemperanza. A questo punto, il consiglio fa un
analisi della natura del giudizio di ottemperanza e mette in evidenza come questo giudizio ha un carattere
composito, nel senso che si caratterizza per la presenza di rimedi che sono diretti all’esecuzione giudiziale in
maniera espressa ma è caratterizzata anche da elementi di carattere surrogatorio che prevede la possibilità di
nomina di un commissario ad acta che può sostituire la pa nell’adozione del provvedimento o
nell’esecuzione del giudicato oppure strumenti come la penalità di mora che in particolare hanno la
caratteristica di essere statuizione di carattere accessorio e quindi sono svincolate da quella caratteristica di
immodificabile cristallizzazione che riguarda il giudicato. Se il giudicato è qualcosa di immodificabile, che si
cristallizzata nel tempo e nel diritto, bene, ciò che viene deciso in sede di ottemperanza in merito alle
sanzioni accessorie non ha questa immodificabilità. Perché si tratta di strumenti che hanno come finalità
quello di rafforzare la tutela della parte processuale all’esito del giudizio di cognizione per assicurare
l’effettività della tutela, cioè per consentire alla parte che ha avuto ragione all’esito del giudizio un effettiva
tutele. Quindi proprio da questo principio di effettività deriva la necessità di confrontare la decisione della
decisione accessoria rispetto all’evoluzione dei fatti. Nel giudizio di ottemperanza, le statuizioni accessorie
meramente strumentali sono oggetto di una rivalutazione nel corso del tempo. Questo è un principio
importante perché ci dice che qualsiasi sopravvenienza può determinare una modifica delle statuizioni
accessorie attraverso i rimedi come la richiesta di chiarimenti si può ottenere una modificazione di queste
statuizioni accessorie. Questa è una novità importante che però, dice il consiglio di stato, caratterizza proprio
il processo di ottemperanza. Strumenti come la richiesta di chiarimenti o come il reclamo avverso gli atti del
commissario ad acta sono strumenti idonei che il legislatore avrebbe previsto proprio per ovviare a questo
problema, per dare al giudice gli strumenti per tener conto di eventuali sopravvenienze nella fase attuativa
del giudicato. Se non si prevedesse questo, si finirebbe per sostenere che il giudice è sostanzialmente privo
di poteri necessari per verificare nel tempo l’attuazione effettiva del giudicato perché una volta statuita la
penalità di mora sarebbe svincolato dal verificare eventuali sopravvenienze, il che però contraddice la natura
stessa dello strumento che si vuole assicurare con la penalità di mora. Ora trattiamo degli aspetti finali di cui
si è occupata l’adunanza plenaria prima di arrivare ai principi. Precisazione: la penalità di mora rappresenta
un incentivo a comportarsi bene attraverso la minaccia di una sanzione pecuniaria che aumenta in maniera
progressiva con il passar del tempo.

Quindi, visto che nella prima parte della sentenza l’adunanza plenaria ha ricostruito la natura la funzione
dell’ astreinte ha dato una serie di indicazioni su quelle che sono le caratteristiche dell’astreinte riprendendo
a sua volta un precedente orientamento del 2014 e poi ha fatto un piccolo passaggio sui rimedi previsti nel
giudizio del ottemperanza. In maniera particolare, evidenziando che è proprio del giudizio del ottemperanza
l’assoggettabilità alle sopravvenienze . A questo punto l’adunanza plenaria arriva al dunque, e quindi si
pone essenzialmente due domande che poi saranno appunto quelle da cui deriveranno i principi espressi al
termine e in conclusione della sentenza. Si chiedono essenzialmente due cose:

- la prima è e se è modificabile l’astreinte in sede di ottemperanza e lo fa chiedendosi, non se è modificabile


l’ astreinte, come abbiamo visto prima in caso di sopravvenienza, ma se è modificabile in generale, quindi se
modificabile, in linea generale, a prescindere da sopravvenienza .

-la seconda riguarda la possibilità di modificare l’ astreinte con un effetto retroattivo quindi non solo
prevedere una modifica di originarie selezioni con riferimento alla penalità di mora ma di prevederle anche
con efficacia ex tunch cioè debiti maturati su crediti che in teoria dovrebbero essere consolidati .

Come abbiamo detto prima, ovvero nella prima parte dell’analisi della sentenza dell’ adunanza plenaria, in
linea generale, abbiamo detto che in presenza di sopravvenienze possono contarsi luogo ad una rivisitazione
di quanto è statuito in sede di ottemperanza. Però l’ adunanza plenaria a questa domanda invece, se a
prescindere dalle sopravvenienze sia possibile, rispondere negativamente escludendo quindi che in linea di
principio la statuizione sulla penalità di mora possa essere semplicemente rimessa in discussione ad opera del
giudice del ottemperanza perché chiaramente, un ipotesi di questo genere in maniera cosi semplice, potrebbe
dar luogo a delle conseguenze negative, pensate ad esempio ai procedimenti di esecuzione forzata, voi avete
fatto procedura civile, quindi a tutti i procedimenti di esecuzione forzata che magari il creditore ha dato
luogo a seguito di una pronuncia sulla definizione dell’ astreinte e quindi dei procedimenti a di dimore
avviati nei confronti dell’amministrazione per la discussione del credito, è chiaro che in questa chiave
l’ipotesi di una modifica da parte dell’amministrazione, da parte del giudice, di quelle che sono state già gli
importi dell’ astreinte non può essere ammessa in maniera cosi semplice. Lo ripetiamo non in virtù del
giudicato cioè di quel carattere immutabile che contraddistingue le sentenze di merito, di cui ci siamo detti
prima, perché come abbiamo detti prima, proprio la premessa di questo discorso fatto dalla adunanza
plenaria e che in realtà nella prospettiva del consiglio di Stato, la fase, questa e sanzioni accessorie applicate
al termine del giudizio del ottemperanza sono suscettibili all’adeguamento quindi la ragione di questa
impossibilita di modificare in maniera cosi semplice e senza problemi l’entità della penalità dimora già
decisa, non deriva appunto dal carattere del giudicato ma quanto più per l’esigenza della certezza e della
stabilità di questa pena , di questa penalità di mora cioè, non dimentichiamoci, che parliamo di una sanzione
che ha quindi una finalità di una pena anche se peculiare, quindi chiaramente diciamo che in linea di
principio, l’ adunanza plenaria ritiene che di base in ragione di queste finalità non possa pensarsi/ ipotizzarsi
una modifica semplice, cosi, in assenza di qualunque altro elemento. Al tempo stesso, dice l’adunanza
questo non esclude che, in qualche modo, sia modificabile, perché proprio la natura dell’ astreinte vuole che
in un qualche modo questa possa essere soggetta a delle modifiche, e ciò deriva proprio dalla natura
ambivalente (vi ricordate quando abbiamo detto che la penalità di mora è da un lato proiettata al futuro e
dall’altro sanziona) quindi questo significa che un evento sopravvenuto di base può modificare la sanzione e
su questo non ci piove. La possibilità di modificare l’ astreinte deriva anche dalla presenza di alcuni criteri
che devono essere presi in considerazione nella definizione dell’ astreinte, e qui, l’ adunanza plenaria del
consiglio di Stato torna al parallelismo con la procedura civile e raffronta il dato formativo dell’articolo 114
del codice del cpa che è relativo all’ astreinte con l’articolo 614 bis del cpc che disciplina l’astreinte in sede
civile. Questo articolo prevede espressamente che la astreinte debba essere parametrata sulla base di una
serie di criteri, parametri che sono specificamente indicati dall’articolo 614 bis che sono :il valore della
controversia, la natura della prestazione , il danno quantificato prevedibile e con ogni alta circostanza utile.
L’adunanza plenaria nell’evidenziare l’esistenza di questi criteri dice chiaramente non è l’assenza di questi
criteri nella norma del cpa non indica che questi criteri non debbano essere rispettati ma al contrario
trattandosi di un istituto che è mutuato dall’esperienza del processo civile questi criteri valgono a maggior
ragione nel caso del cpa. Quindi, non si può fare a meno di considerare questi criteri come un elemento di
guida nella statuizione della penalità dimora. L’adunanza plenaria aggiunge che non solo questi criteri
vengono applicati ma l’art 114 del cpa aggiunge un elemento cioè richiede una non manifesta iniquità che è
vero che nel 614 bis è previsto in un inciso ( tranne che ciò non sia manifestamente iniquo ) qui invece è
previsto come una valutazione richiesta di non manifesta iniquità che aggiunge qualcosa in più e addirittura
secondo questa prospettiva del consiglio di Stato l’importanza ancora maggiore che assumono i parametri
nella definizione dell’ astreinte è di non manifesta iniquità assumono ancora un’importanza maggiore nel
caso del processo amministrativo perché in questo processo il creditore vittorioso ( l’impresa Beta) ha
sempre la possibilità di essere soddisfatto nelle sue pretese attraverso la nomina del commissario ad Acta.
Questo già evidenzia l’esistenza di un rimedio alternativo che fa affievolire l’utilità e l’importanza di un
rimedio come la penalità di mora. Concretamente ciò significa che la quantificazione della penalità di mora
può essere sottoposta ad una rivisitazione alla luce di questi criteri che sono fondamentali per garantire la
strumentalità della penalità di mora rispetto a quello che è poi è l’adempimento. L’adunanza plenaria dice ad
esempio la quantificazione della astreinte può essere anche sottoposta a un vizio di valutazione in ordine alla
non manifesta iniquità in presenza dell’alternativa surrogatoria che quindi rappresentata dalla nomina di un
commissario ad Acta può costituire un alternativa . Quindi si può valutare ad esempio l’iniquità della misura
dell’ astreinte in presenza di un commissario ad Acta che si sostituisce alla pa che ha comunque posto in
essere quello che era necessario per la soddisfazione dell’interesse del ricorrente vittorioso . Molto
banalmente è possibile fare una valutazione a prescindere dalle eventuali sopravvenienze tenga conto
dell’applicazione dell’ astreinte , e quindi trattandosi di un rimedio che deve rispettare determinati criteri ben
può accadere che nell’applicazione di questi criteri nel corso del tempo ritorna necessario, nel corso del
tempo, possa ritornare necessario verificare effettivo rispetto della penalità dimora cosi come statuita
rispetto a quei criteri. Nel caso di specie è quello che è avvenuto proprio nel processo amministrativo che
abbiamo visto adesso, effettivamente siamo partiti da una penalità dimora che è possibile definire per lo più
congrua e siamo arrivati a cifre altissime come sette miliardi e mezzo che chiaramente sono lontanissime da
quella che è la caratteristiche della penalità dimora non può passare da una decisione necessaria alla pa per
adempiere a un credito altissimo arriviamo di conseguenza arriviamo ad ipotizzare sopravvenienze ad
ipotizzare la possibilità di discutere l’importo dell’ astreinte. Arriviamo al nocciolo della questione, a se è
possibile ipotizzare una modifica dell’ astreinte in assenza di sopravvenienza. A questo punto il consiglio di
stato da una risposta positiva perché è necessario verificare il rispetto di questi parametri alla luce di un
importo massimo perché non si può pensare di arrivare a somme infinite. Con riferimento al caso di specie,
l’adunanza plenaria evidenzia l’assenza di un limite massimo perché l’importo definito nella sentenza del
2011 non era stato indicato un tetto massimo ma si limitava a fare solo il calcolo. Questo dato, secondo
l’adunanza plenaria , non è sufficiente perché non può essere consentito un trasferimento ingiustificato di
ricchezze. Se la penalità dimora perde ogni legame con i parametri e non ha un limite massimo, ecco che, in
questi casi, ci troviamo di fronte alla necessità di impedire l’arricchimento del creditore. La fonte principale
per capire se si tratta di un trasferimento ingiustificato di ricchezza sono questi criteri la sentenza
dell’adunanza plenaria aggiunge un ulteriore elemento, ovvero fa una riflessione relativa alla natura della
penalità a quelli che sono i parametri che devono essere rispettati dal giudice nell’applicazione di una
sanzione e su questo cita la giurisprudenza che a partire da quella Engel si è formata nell’ambito della Corte
EDU e che riguarda la quantificazione e applicazione della pena che benché riguardino ambiti penali si
applica a tutto ciò che riguarda in generale l’applicazione della pena. Il consiglio di stato riprende questi
principi espressi dalla corte EDU che si improntano sui parametri della legalità di garanzia della regola di
diritto e li usa per dimostrare che ancora di più nel caso della penalità dimora devono essere rispettati si
tratta di giurisprudenza che dice nell’ambito penale che la classificazione del massimo edittale che deve
essere prefissato e determinato in virtù di principi di chiarezza prevedibilità e intellegibilità della regola di
diritto tali principi espressi in materia penale si applicano anche in questo caso per una pena pecuniaria. Da
qui non solo l’onere per il giudice di calcolare come è stato fatto nella sentenza ma non si può limitare a
questo , il giudice per non sfociare nella manifesta iniquità ma è tenuto anche a definire il limite massimo
perché in assenza di questo limite vengono meno il rispetto di questi criteri di determinazione di questa
penalità di mora ( perché la natura sanzionatoria di questo istituto impone il rispetto di questi principi).
Comunque l’attenzione verso questo tetto massimo non deve essere manifestamente iniqua, in questo senso
vengono in aiuto i parametri, è importante fissare un tetto. Non dobbiamo dimenticare che per struttura
dell’ottemperanza, il ricorrente vittorioso ha sempre la possibilità di utilizzare il rimedio del commissario ad
Acta (soggetto che agisce per conto della pa) . Questo impedisce di pensare a sanzioni di un importo cosi
elevato: in questa analisi il consiglio di stato riconosce un presidio di garanzia a prescindere dalle eventuali
sopravvenienze ipotizzabile nel giudizio di Ottemperanza. In questi casi il problema è a monte nella mancata
parametrazione della penalità dimora in base ai criteri per l’assenza del tetto massimo ma anche se fosse
stato fissato un tetto massimo la manifesta iniquità di esso potrebbe essere contestata se non rapportata ai
parametri. Altrimenti sarebbe impossibile valutare la non manifesta iniquità e si darebbe al giudice di
ottemperanza il potere di definire la penalità dimora e di non avere nessuno strumento per modificare quelle
impostazioni. Se la pa resta inerte questo porta all’assurda conclusione che la sanzione sia ingiustificata e
che non si possa modificare questa impostazione quindi in buona sostanza l’importo massimo è
nell’impostazione della adunanza plenaria diventa un profilo essenziale .Per cui il giudice in sede di
ottemperanza quando determina l’astreinte deve sempre porsi il problema del valore massimo non può solo
prosi il problema di quantificarla in astratto anche prevedendo un aumento progressivo. Quindi una sentenza
che non fissa quel massimo sia previsto dal cpc sia previsto dal cpa crea un arricchimento sproporzionato e
ingiusto a donno di una controparte e in favore di un’altra. Quindi sono due le argomentazioni: da un lato, il
rispetto dei parametri e dall’altro l’arricchimento ingiustificato. Questo significa che dove il giudice decida
di fissare un tetto massimo può comunque essere richiesta una valutazione di non manifesta iniquità . Perché
non parliamo di elementi immutabili, cristallizzati ma parliamo di un elemento che può essere oggetto di
rivisitazione in maniera particolare con riferimento all’istituto della penalità di mora il rimedio previsto per
una valutazione di carattere equitativo in ordine alla penalità di mora già applicata diventa quello dei
chiarimenti (ottemperanza per chiarimenti che è un rimedio che consente di avere chiarimenti in ordine alle
modalità di ottemperanza e quindi nel caso della penalità di mora consente di verificare, di compiere una
valutazione di carattere equitativo in ordine alla penalità di mora anche perché soprattutto se non è stato
fissato un importo massimo diventa necessario andarlo a compiere). Questo è l’iter argomentativo seguito
dall’adunanza plenaria che si conclude con due principi di fondo ( leggere slide i principi espressi
dall’adunanza plenaria). Il primo principio esprime ben chiaro il limite della manifesta iniquità dove ci siano
sopravvenienze fattuali o giuridiche e dimostrino questa manifesta iniquità è possibile in sede di
ottemperanza richiedere la modifica della statuizione relativa alla penalità di mora. Il secondo principio è
quello relativo alla revisione di ex tunc che può comportare qualche problema ulteriore, è chiaro che a
prescindere dalle sopravvenienze un eventuale decisione del giudice porta a modificare una statuizione che è
stata conosciuta, si è consolidata e ha prodotto degli effetti è evidente che può portare a delle conseguenze.
Anche rispetto a questo problema l’adunanza plenaria esprime questo principio che abbiamo visto poco fa.
Salvo il caso delle sopravvenienze, in linea generale non è possibile la revisione ex tunc dei criteri di
determinazione dell’astreinte dettati in una precedente sentenza di ottemperanza, cosi da incidere su crediti a
titolo di penalità già maturati dalla parte beneficiata. In linea di principio, ammettere una cosa del genere
significherebbe incidere sulla certezza della sanzione e sui principi ad essa correlati. Però viene ancora
evidenziato che, ove il giudice di ottemperanza abbia esplicitamente fissato a causa dell’indeterminata
progressività del criterio del tetto massimo della penalità e la vicenda successiva alla determinazione abbia
fatto emergere a causa della mancanza del tetto la manifesta iniquità, quest’ultima può essere individuata in
sede di chiarimenti con principale riferimento, tra i parametri indicati nell’art 614 bis cpa, al danno da ritardo
nell’esecuzione del giudicato. Qui troviamo un altro elemento molto importante perché co dice che c’è un
eccezione alla regola per cui non è possibile la revisione ex tunc dei criteri di determinazione della astreinte e
ci dice che questo di per se può essere oggetto di revisione quando non è esplicitamente fissato il tetto
massimo, perché in questo caso il rischio è quello di violare la regola di equità previsto dalla norma. Ci dice
anche che la sede di questa modifica è il giudizio di ottemperanza in sede di chiarimenti. E ci dice anche che
nell’individuazione di questo tetto massimo, in generale, e l’eventuale rivisitazione dell’importo il principio
che deve essere seguito in sede di chiarimenti da parte del giudice tra quelli indicati dall’614 bis cpc è il
danno da ritardo nell’esecuzione del giudicato, cioè l’elemento che deve essere preso in considerazione,
anche l’ambito della definizione, applicazione e importi della penalità di mora è il danno da ritardo
nell’esecuzione del giudicato. Dalla mancata esecuzione del giudicato possono derivare dei danni. Pensate
all’azienda che partecipa e vince la gara, fa una serie di acquisti per far fronte agli impegni e all’incarico
ottenuto. Pensate a tutti i danni che può subire questa impresa nonostante la vittoria poi la pa non dia seguito
a quella stessa gara. È chiaro che questo si può tradurre in danni per le spese sostenute ma anche in tantissimi
ipotetici danni di immagine. È chiaro che poi nell’ambito dei danni sia per tutto il discorso relativo alla
prova. Su questo so seguono i parametri dell’onere della prova. Quello che è importante è con quest’ultima
parte del principio l’adunanza plenaria ci dice che tra i criteri tra quelli che devono essere considerati per
l’individuazione della manifesta equità/iniquità della penalità di mora è, tra quelli indicati nel 614 bis cpc, il
danno da ritardo nell’esecuzione del giudicato. A questo punto abbiamo quindi visto che i due principi
dell’adunanza plenaria che poi hanno rimesso la palla al giudice di ottemperanza che in sede di chiarimenti
sarà chiamato a revisionare gli importi. Se vi faccio la domanda: questa sentenza del 2011 ha fissato la
penalità di mora a 300 euro al giorno con un aumento progressivo, che cosa manca? Manca il tetto massimo
ed è questo che alla luce dei principi dell’adunanza plenaria è fondamentale perché questo è il parametro per
misurare la sanzione e quindi a causa di questa mancanza noi possiamo ritoccare i criteri stabiliti in sede di
ottemperanza. Precisazione: vale SOLO per il giudizio di ottemperanza e la penalità di mora.

LEZIONE del 10/12/2020 AMMINISTRATIVO II

Oggi affronteremo il GIUDIZIO D’APPELLO, uno dei mezzi di impugnazione previsti specificatamente
all’art. 100 del d.lgs. 104/2010, ossia il codice del processo amministrativo, primo ed unico codice. Grazie
a questo d.lgs. si sono riunite tutta una serie di articoli che disciplinano il GIUDIZIO AMMINISTRATIVO,
anche se questo non è un codice come il c.p.c. o il c.p.p., quindi un codice completo, bensì è un codice che si
completa attraverso il RINVIO. Anche per le norme che disciplinano l’appello avremo sia il RINVIO
INTERNO (alle stesse norme del codice), sia il RINVIO ESTERNO (alle norme al di fuori del codice,
normalmente il c.p.c.), richiamo agli articoli 38 -39 c.p.a.

E’ importante il rinvio esterno al c.p.c. per la ricostruzione di tutta la riesamina del diritto amministrativo, ma
anche nella riesamina dell’appello.

Art. 39 c.p.a. “1. Per quanto non disciplinato dal presente codice si applicano le disposizioni del codice
di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali.
2. Le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di
procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile.” 
per un avvocato, le modalità di notificazione e anche i termini entro i quali bisogna notificare l’atto, sono
degli incubi perché se la notificazione è nulla o non è stato notificato nei termini previsti dalla legge, ci si
gioca il ricorso, la possibilità di difendere il cliente e quindi si potrebbe andare incontro a delle sanzioni
disciplinari.

La norma di rinvio prevede un giudizio di compatibilità: se non si trova la norma che disciplina ad esempio
le notifiche nelle impugnazioni (c.2), bisogna andare a vedere le norme nel c.p.c..
C.1 : “si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di
principi generali.”  il legislatore, tramite la preposizione disgiuntiva “o”, sembra richiedere ai fini
dell’applicabilità della norma del c.p.c., della sussistenza in via alternativa della compatibilità tra la norma
da applicare e il destinatario dell’applicazione, ovvero del fatto che la norma costituisca espressione di un
principio generale.

A fronte di una ricostruzione coerente con il dato testuale, diretta a richiedere la sussistenza in via alternativa
dei due presupposti, cioè l’alternatività della compatibilità della disciplina o espressione di principi generali.
Si sono creati diversi orientamenti: c’è chi ritiene che entrambi i limiti devono essere coesistere al fine di
consentire l’applicazione della norma del c.p.c., quindi si sostiene che questa “o” sia in realtà una “e” 
entrambe le condizioni devono sussistere per l’applicazione delle norme del c.p.c. .

Il giudizio di compatibilità costituisce invece un limite dell’applicazione della norma del c.p.c., ed è
variamente usato dal legislatore al fine di limitare l’estensione di norme che hanno di per sé portata generale,
quindi una naturale forza espansiva.

Per valutare se un determinato articolo debba o meno trovare applicazione al processo amministrativo,
l’interprete deve svolgere un giudizio valutativo di non contraddittorietà della norma, con le
caratteristiche della materia di un determinato atto da attuarsi in concreto e di volta in volta si dovrà valutare
se quella norma è applicabile o no al codice di giustizia amministrativa.

Il rinvio ci permette di avere una visione completa di ogni istituto.

APPELLO

Nel nostro sistema di giustizia amministrativa, vige in via generale, a partire dal 1971, la regola del doppio
grado di giurisdizione. Perché dal 1971? I tribunali amministrativi regionali (T.A.R.) non esistevano prima
degli anni ’70, vengono aboliti gli organi di “giustizia amministrativa” tramite la legge di abolizione del
contenzioso amministrativo, per poi dare avvio alla nascita di strutture che potessero garantire attraverso
l’imparzialità e la terzietà, la tutela dell’interesse legittimo. Solo negli anni ’70 nascono i T.A.R., in ogni
singola regione, salvo alcune eccezioni, infatti alcune regioni hanno più sedi di T.A.R.. Ad esempio la Puglia
ha sia la sede di Bari che la sede di Lecce, così anche nel Lazio, dove ci sono più sedi a Roma.

Non c’è più quale giudice unico il Consiglio di Stato, quindi a seguito dell’istituzione dei T.A.R., il
Consiglio di Stato che fino agli anni ’70 era giudice unico, è diventato giudice di secondo grado, ovvero
giudice d’appello. Nell’ambito del diritto amministrativo non era scontato come nel processo civile e nel
processo penale avere un secondo grado, perché fino agli anni ’70 avevamo un unico giudice, che era il
Consiglio di Stato; dagli anni ’70 in poi invece, con l’istituzione dei T.A.R., il Consiglio di Stato diviene
giudice di secondo grado  si riconosce maggior tutela al cittadino a fronte delle lesioni derivanti dai
provvedimenti o dai comportamenti meramente legati al potere della p.a. .

Il sistema del doppio grado di giurisdizione presenta una particolarità per la Regione Sicilia: il giudice di
secondo grado è il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, ciò è confermato anche
dall’art. 100 c.p.a.: “Avverso le sentenze dei tribunali amministrativi regionali è ammesso appello al
Consiglio di Stato, ferma restando la competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana per gli appelli proposti contro le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia .”
solo per i T.A.R. della regione Sicilia, è previsto l’appello innanzi alla Corte di Giustizia Amministrativa
(C.G.A.).

Agli artt. 100 e seguenti vi è la disciplina specifica relativa all’appello.

Diverso il caso degli artt. 91 ss: disciplina generale dell’impugnazione.


Negli anni ‘70 nasce il TAR che si affianca ad un Consiglio di Stato, quale giudice di secondo grado, ci fa
pensare ad sistema amministrativo dove diventa vigente il doppio grado di giurisdizione, che potrebbe dirsi
anche costituzionalizzato perché se si legge l’art. 125 c2 Cost: “Nella Regione sono istituiti organi di
giustizia amministrativa di primo grado secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica.”  non
è così scontato dire che il doppio grado di giurisdizione è costituzionalizzato in questo articolo, perché dalla
lettura non si evince esplicitamente che il Consiglio di Stato è organo di secondo grado, ma c’è scritto invece
che all’interno delle singole regioni ci sono organi di giustizia amministrativa di primo grado.

Molto si è discusso sul valore e sul significato da attribuire a questa norma costituzionale, in particolare
sull’avvenuta costituzionalizzazione del principio del doppio grado di giurisdizione, per lo meno nell’ambito
della giustizia amministrativa.

In tal proposito, ci sono state diverse tesi:

1. Tesi maggioritaria: tesi affermativa: l’art. 125c2 costituzionalizza il principio di secondo grado
di giurisdizione nella giustizia amministrativa, perché laddove la norma disciplina che gli organi
di giustizia amministrativa sono organi di primo grado istituiti presso le regioni, nel riservare
espressamente questa qualifica di “primo grado”, implicitamente afferma l’esistenza del secondo
grado, se no non avrebbe precisato.
Il legislatore sottolinea “primo grado”, quindi secondo questa tesi affermativa, la qualifica di “organi
di primo grado” porta a concludere che, per il cittadino è prevista una tutela in duplice grado nei
confronti degli atti e delle attività della p.a.  pensiero molto forte. Pensate che c’è tutela effettiva
nei confronti del cittadino, che se no avrebbe dovuto subire le sentenze del tribunale amministrativo,
invece il Consiglio di Stato molte volte riforma e annulla le sentenze dei TAR. Si dà un’ulteriore
chance al cittadino che subisce una sentenza illegittima, di avere tutela dinanzi ad un organo
superiore di giustizia, ovvero il Consiglio di stato.
2. Tesi negazionista: nega che l’art. 125 c2 Cost. abbia costituzionalizzato il principio del doppio
grado di giurisdizione, perché afferma che questo articolo nulla dispone per il secondo grado,
limitandosi a prevedere il primo grado. A questa obiezione si può rispondere, affermando che il
silenzio del legislatore nel non prevedere la costituzionalizzazione del secondo grado di giudizio,
non può ricavarsi che il legislatore non abbia inteso costituzionalizzare il giudizio di secondo grado,
il silenzio è giustificabile perché il secondo grado è implicito nella locuzione “primo grado”.
Giustificato anche dall’esistenza di altre norme costituzionali relative alla funzione giurisdizionale
del Consiglio di Stato.  se l’art. 125 c2 prevede che devono essere istituiti organi di primo grado
nell’ambito delle Regioni, allora il legislatore ha implicitamente riconosciuto il secondo grado, ma
anche attraverso altri art della Cost: artt. 111,101.
3. Tesi intermedia: muovendo dalla collocazione dell’art.125 nella Costituzione nel TITOLO V,
che si riferisce alle autonomie locali, ha ipotizzato che il doppio grado varrebbe solo per l’attività
amministrativa che si esplica a livello regionale, non anche a livello statale. Tesi forzata.
ORIENTAMENTO PIU’ SEGUITO DALLA DOTTRINA E DALLA GIURISPRUDENZA:
RICONOSCERE IL DOPPIO GRADO DÌ GIURISDIZIONE, RICONOSCERE IL VALORE DÌ
PRINCIPIO COSTITUZIONALE AL PRINCIPIO DÌ DOPPIO GRADO NELLA GIUSTIZIA
AMMINISTRATIVA  da qui la conseguenza che il legislatore non potrebbe tornare indietro privando di
garanzie il cittadino, ovvero privandolo del doppio grado.

Se si riconosce questo valore costituzionale del principio del doppio grado di giurisdizione, non si può
più eliminare, ormai esiste nel nostro ordinamento e ha valenza costituzionale, si dovrebbe modificare
la Costituzione.

Disciplina del c.p.a. in relazione alle impugnazioni, in particolare l’APPELLO : LIBRO III, dedicato alle
impugnazioni, artt. 100-105. Si estende anche alla disciplina generale delle impugnazioni negli artt.91-99 .
Questa non è una disciplina esaustiva, perché mancano alcune norme, e per queste bisognerà applicare sia il
rinvio interno (art. 38 c.p.a.) sia il rinvio esterno ( richiamo al c.p.c., secondo quanto previsto dall’art.39
c.p.a.).

Ad oggi la disciplina dell’appello e delle impugnazioni non è più una scarna, prima la disciplina era fatte
dalle sentenze, non c’era un codice del processo amministrativo, ma era tutta opera pretoria della
giurisprudenza, attraverso l’applicazione delle disposizioni del c.p.c.

CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DELL’ APPELLO

L’art. 91 disciplina i mezzi di impugnazione, il titolo I le impugnazioni in generale.

Quali sono i mezzi d’impugnazione delle sentenze? L’ appello, la revocazione, l’opposizione di terzo, il
ricorso per Cassazione solo per motivi di giurisdizione.

Mentre nel giudizio ordinario si ha impugnazione innanzi alla Corte d’appello, impugnabili innanzi alla
Corte di Cassazione, nella giusta amministrativa non si può impugnare la sentenza del Consiglio di stato
innanzi alla Corte di Cassazione non ci sono i normali tre gradi di giudizio, ci sono i due gradi di giudizio.

Si può andare davanti la Corte di Cassazione per le sentenze del Consiglio di Stato (richiamo art. 111 Cost),
solo per motivi inerenti la giurisdizione, non si può sindacare, le sentenze del Consiglio di Stato passano in
giudicato e rimangono quelle; tranne se vogliamo fare una revocatoria, ma il ricorso per Cassazione
ammesso solo per motivi inerenti alla giurisdizione.

L’art. 91 indica quindi i mezzi di impugnazione che costituiscono gli strumenti di controllo.

I mezzi di impugnazione permettono di controllare la validità e la giustizia della sentenza, si distinguono in:

o Mezzi di impugnazione ordinari: impediscono il formarsi del giudicato formale (appello,


Ricorso per Cassazione, revocazione ordinaria);
o Mezzi di impugnazione straordinari: esperibili nei confronti di una sentenza passata in
giudicato (opposizione di terzo, revocazione straordinaria).
Abbiamo dei termini per impugnare le sentenze o le ordinanze, i provvedimenti del giudice, se non
utilizziamo questi strumenti per far rivedere quella sentenza che per noi è ingiusta, non lo possiamo più fare
se non nei termini previsti dalla legge, la sentenza passa così in giudicato e non è più toccabile.

Se l’avvocato si gioca il termine, si gioca la possibilità di difendere il soggetto, sia in primo che in secondo
grado. Perché? Si ha il così detto “passaggio in giudicato”  provvedimento non può essere più toccato,
salvo ipotesi di opposizione di terzo e di revocazione straordinaria.

Altra distinzione tra i mezzi di impugnazione:

o Mezzi eliminatori: tendenti solo ad annullare la sentenza, ad esempio la revocazione e il


ricorso per Cassazione;
o Mezzi rinnovatori: carattere tipico dell’appello è essere un’impugnazione di tipo
rinnovatoria, vi è un concreto riesame del giudizio. Vi rientrano l’appello e l’opposizione di
terzo.
Attraverso le impugnazioni può essere edotto, a seconda dei casi:

o l’errore in procedendo: violazione della legge processuale, tale da rendere la sentenza


invalida;
o l’errore in iudicando: errore di giudizio.
Non costituisce un mezzo di impugnazione la procedura per la correzione degli errori materiali della
sentenza, disciplinato all’ art. 86 c.p.a.. Può succedere ad esempio che il giudice sbagli un numero o il nome
di un soggetto, si chiede così al giudice di correggere l’errore materiale della sentenza;

Libro III, nella parte dedicata alle impugnazioni, non vi è una specifica disciplina per le impugnazioni. C’è
solo il riferimento al RINVIO INTERNO (art. 38) e RINVIO ESTERNO (art.39) che rendono applicabili
ai giudizi di impugnazione le disposizioni previste per il rinvio interno, per il giudizio di primo grado, e le
disposizioni del c.p.c. in quanto compatibili per il rinvio esterno.

Art.38: “Il processo amministrativo si svolge secondo le disposizioni del Libro II che, se non espressamente
derogate, si applicano anche alle impugnazioni e ai riti speciali.”  Si completa così la disciplina delle
impugnazioni, le differenze tra il processo civile e il processo amministrativo sono decisamente attenuate, la
ragione di ciò deve essere individuata nel comune scopo dei mezzi di impugnazione di far fronte
all’ingiustizia e all’invalidità della sentenza, restando indifferente la diversità del diritto sostanziale che
giustifica una diversità  far si che un giudice diverso possa valutare la stessa questione trattata dal giudice
di primo grado, quindi avere la giustizia. I principi generali sono gli stessi nel processo civile e
amministrativo: verificare ingiustizia e invalidità della sentenza. Resta indifferente la diversità del diritto
sostanziale che giustifica una differente giurisdizione.

E’ vero che si va innanzi la Corte d’Appello per la tutela del diritto soggettivo, e innanzi al Consiglio di Stato
per la tutela dell’interesse legittimo.

Art. 39 : Rinvio esterno: “Il processo amministrativo si svolge secondo le disposizioni del Libro II che, se
non espressamente derogate, si applicano anche alle impugnazioni e ai riti speciali.” questo articolo trova
piena applicazione per le impugnazioni, proprio perché non c’è diversità sostanziale tra le impugnazioni del
processo civile e le impugnazioni del processo amministrativo.

E’ stato affermato che si applicano nel processo amministrativo, tutte quelle disposizioni contenute del c.p.c.
ed espressioni di principi generali: come la definizione di cosa giudicata formale, la quiescenza, l’effetto
espansivo.

L’art. 91 non menziona il regolamento di competenza come mezzo di impugnazione, e che l’esclusione non
è giustificata poiché in alcune ipotesi, previste dall’art.16 si è in presenza di un vero e proprio mezzo di
impugnazione. A differenza del c.p.c. all’art. 323, l’art. 91 c.p.a. non prevede il regolamento di competenza,
che troviamo disciplinato all’art. 16 c.p.a..

L’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere
compiuto in base al principio dell’apparenza: riferimento esclusivo alla qualificazione dell’azione effettuata
del giudice nello stesso provvedimento, ponendo in ogni caso al giudice ad quem di esercitare il potere di
qualificazione che non sia stato esercitato dal giudice a quo (primo giudice), non solo ai fini del merito ma
anche nell’ammissibilità della stessa impugnazione.

Inoltre, la verifica dell’impugnabilità va fatta in osservanza al principio di prevalenza della sostanza sulla
forma  per stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, occorre aver riguardo
non alla forma adottata dal giudice, bensì al suo contenuto.

E’ importante anche la legittimazione ad impugnare: spetta a coloro i quali sono stati parti del giudizio
conclusosi con la sentenza sottoposta ad impugnazione, ad eccezione dell’opposizione di terzo che può
essere proposta dal terzo estraneo al giudizio.

E’ necessaria la sussistenza dell‘interesse all’impugnazione: che naturalmente manca in capo alla parte
vittoriosa in primo grado. Interesse ad impugnare sta in capo alla parte soccombente, ma anche in capo alla
parte vittoriosa in parte, qui la parte avrà interesse ad impugnare il capo della sentenza che la vede
soccombente.

SUMMA PRIMA PARTE LEZIONE

Il nostro codice del procedimento amministrativo non è completo in relazione alla disciplina che oggi ci
interessa, ma anche in relazione ad altri istituti che vedremo, in quanto non è il codice come il cpc, o il c.c. di
stampo napoleonico, questo invece è un codice snello in quanto si riempie attraverso l’opera del rinvio
(interno:art. 38 – esterno: art. 39). Qual’ora noi dovessimo usare un istituto disciplinato nel c.p.a. e ci
rendiamo conto che non è completo, possiamo completarlo tramite le norme del rinvio.

Ad esempio tutte le disposizioni dell’appello, come la memoria, il deposito documenti  qui non abbiamo la
disciplina specifica, quindi tramite rinvio interno si fa riferimento alle norme del giudizio di primo grado, si
applicano allo stesso modo. Oppure ad esempio non vi è la disciplina della cosa giudicata, la quiescenza, la
cosa giudicata formale, ecc si fa il rinvio esterno alle norme del c.p.c..

Il principio del doppio grado di giurisdizione trova disciplina oggi negli artt. 91 ss d.lgs- 104/2010 (c.p.a.),
ma soprattutto l’orientamento maggioritario è quello di riconoscere la costituzionalizzazione di questo
principio nella giustizia amministrativa, il che comporta che domani il legislatore ordinario non può
eliminare la possibilità di appellare le sentenze di primo grado, bisogna intervenire con una procedura più
aggravata che riguarda la modifica della Costituzione.

La disciplina dell’appello: è un mezzo di impugnazione; abbiamo visto cos’è il mezzo di impugnazione;


cosa significa impugnare: strumento di controllo della validità e della giustizia delle sentenze, dei
provvedimenti del giudice di primo grado.

o Mezzo d’impugnazione ordinario: impedisce il passaggio in giudicato;


o Mezzo d’impugnazione straordinario: in casi eccezionali come nella opposizione di terzo e nella
revocazione straordinaria, per una sentenza passata in giudicato.
Il mezzo d’impugnazione può essere:

o Eliminatorio: eliminare del tutto il provvedimento;


o Rinnovatorio: riesaminare la sentenza nel giudizio.

Per l’impugnabilità: vale il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, ai fini di stabilire se un
provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, non interessa la denominazione utilizzata ma il
contenuto del provvedimento.

Per impugnare occorre la legittimazione ad impugnare: spetta a chi subisce la sentenza o il provvedimento
di primo grado, ovviamente ci deve anche essere l’interesse all’impugnazione, che manca alla parte che ha
vinto in toto in primo grado.

TERMINI PER IMPUGNARE

All’appello si applicano i principi generali delle impugnazioni ex artt. 91-99 c.p.a.  ciò che è importante
nella pratica per l’avvocato sono i TERMINI PER IMPUGNARE: art. 92 “Salvo quanto diversamente
previsto da speciali disposizioni di legge, le impugnazioni si propongono con ricorso e devono essere
notificate entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla notificazione della sentenza. ”:
modalità tramite cui si può fare l’appello, ovvero il ricorso, va notificato alla parte e poi va depositato.
Devono essere notificate entro il termine perentorio di 60 giorni decorrenti dalla notificazione della
sentenza. Ci sono quindi 60 giorni per impugnare, se c’è stata notificata dalla controparte.

Esempio concreto : Supponiamo che io agisco in giudizio, tramite un ricorso contro la graduatoria di un
concorso per un posto e io sono arrivata seconda, ho interesse ad impugnare la graduatoria facendo
Se la sentenza viene notificata dal Ministero, che si costituisce per esso dall’Avvocatura generale (perché
tutte le p.a. sono rappresentate dall’Avvocatura generale), i termini per impugnare decorrono dal giorno
della notificazione della sentenza e ho 60 giorni, se invece non viene notificata il termine è di 6 mesi dalla
pubblicazione della sentenza per impugnare.

I termini sono perentori: se non si impugna nei 60 giorni decorrenti dalla notificazione, la sentenza passa in
giudicato e non si può più chiedere giustizia in merito a quel caso.

Per i casi di revocazione i termini sono diversi, si richiama la disciplina del c.p.c..

Art. 92c3 : “. In difetto della notificazione della sentenza, l'appello, la revocazione di cui ai numeri 4 e 5
dell'articolo 395 del codice di procedura civile e il ricorso per cassazione devono essere notificati entro sei
mesi dalla pubblicazione della sentenza.” io ho il termine perentorio di 6 mesi se non mi viene notificata, che
decorrono dal giorno della pubblicazione della sentenza.

Art. 92c4: “La disposizione di cui al comma 3 non si applica quando la parte che non si è costituita in
giudizio dimostri di non aver avuto conoscenza del processo a causa della nullità del ricorso o della sua
notificazione.”

SE SI HA NOTIFICAZIONE IL TERMINE PER IMPUGNARE È DI 60 GIORNI (termine


BREVE),SE NON VIENE NOTIFICATA HA 6 MESI DALLA PUBBLICAZIONE della sentenza
(termine LUNGO). : Termini ordinari dell’appello.

Il termine breve delle impugnazioni (60 giorni), tranne ipotesi di durata minore espressamente previsti (20
giorni dell’art. 131: - procedimento d’appello per le operazioni elettorali di Comuni, province, Regioni; 5
giorni dell’art. 132: procedimento d’appello per le operazioni elettorali del Parlamento Europeo) decorre in
caso di notificazione della sentenza  per tale deve intendersi quella compiuta dall’ufficio giudiziario su
istanza di parte.

Ciò che è importante è che ciò avviene per scelta della parte, se l’altra parte vittoriosa vuole mettermi “nelle
condizioni svantaggiose” subito notifica la sentenza, così io ho solo 60 giorni per impugnare, non c’è il
termine lungo di 6 mesi. Normalmente chi vince fa così, notifica quindi la sentenza. E’ idonea la
notificazione effettuata dal legale della parte alla controparte.

Nel processo amministrativo il termine breve di impugnazione decorre dalla notificazione della sentenza di
primo grado, dunque in virtù del rinvio esterno art. 39 c2 che disciplina la notificazione e si rifà alle forme
prescritte dal c.p.c.  si devono rispettare le formalità prescritte nel c.p.c..

IMPUGNAZIONI : vige la regola dell’unitarietà del termine d’impugnazione  la notifica della sentenza,
eseguita ad istanza di una sola delle parti, segna nei confronti della stessa e della parte destinataria della
notificazione, l’inizio della decorrenza del termine breve per la proposizione dell’impugnazione, contro tutte
le altre parti. Se abbiamo più parti, ad esempio nel precedente caso interviene il terzo contro-interessato che
era terzo in graduatoria, se la notifica viene fatta anche ad una sola delle parti, il termine decorre nel
momento in cui non è necessario .. (non termina la frase per una CHIAMATA).

L’art.92 è fondamentale per l’operato del diritto e noi abbiamo due termini: termine breve e termine lungo. Il
termine breve è di 60 giorni dalla notificazione della sentenza, il termine lungo è di 6 mesi dalla
pubblicazione della sentenza. L’impugnazione deve essere notificata. Ciò che ci interessa è anche conoscere
il luogo della notificazione e a chi notificare. Fermo restando che la parte che ha vinto ci notifica la sentenza,
così comincia a decorrere il termine breve per impugnare, termine per noi sfavorevole perché abbiamo solo
60 giorni per impugnare. Dopo dobbiamo capire il luogo di notificazione e qui soccorre l’art.93 per cui
l’impugnazione deve essere notificata nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto dalla parte nell’atto di
notificazione della sentenza o, in difetto, presso il difensore o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto
per il giudizio e risultante dalla sentenza. Che significa? La prima regola è quella per cui se la parte che ha
notificato la sentenza, ha anche indicato, all’atto di notificazione, la propria residenza o ha eletto il domicilio,
la notificazione dell’impugnazione deve essere eseguita alla parte personalmente ed esclusivamente nella
residenza dichiarata o nel domicilio eletto. Oppure, la cosa più semplice per noi avvocati, andiamo a vedere
chi è l’avvocato che si è costituito per quella parte e quindi noi la notifichiamo alla parte che si è costituita
attraverso l’avvocato che l’ha difesa. L’art. 92 vi fa anche l’ipotesi qualora la notificazione abbia avuto esito
negativo perché il domiciliatario si è trasferito senza notificare una formale comun comunicazione alle altre
parti, la parte che intende proporre impugnazione può presentare al presidente del TAR o al presidente del
Consiglio di Stato, un’istanza corredata da attestazione dell’omessa notificazione per la fissazione di un
termine perentorio per il completamento della notificazione o per la rinnovazione dell’impugnazione e vi
posso dire che il problema della notificazione è davvero un problema arduo per il lavoro dell’avvocato però
vedremo in una sentenza di un TAR abbiamo già direttamente la parte che, oltre ad indicare l’oggetto, la
sentenza, il numero di r.g., nel contro, dove si indicano le persone contro cui è stato effettuato il ricorso e qui
andiamo a vedere, se si sono costituiti, l’eventuale residenza indicata o il domicilio dichiarato. Dunque già
possiamo capire a chi fare la notifica del ricorso.
Quindi l’art.93 è un’altra norma importante. Importante è anche il deposito perché noi abbiamo preparato
ricorso in appello, abbiamo rispettato il termini perché siamo al 58esimo giorno, procediamo con le notifiche
oggi anche tramite PEC per gli avvocati e le amministrazioni o con l’ufficiale giudiziario e la facciamo alle
parti che abbiamo già individuato nel contro della sentenza (art.93), dopodiché dobbiamo mettere in
calendario anche la scadenza del deposito nella segreteria del giudice adito del ricorso di tutti gli atti che noi
vogliamo che il giudice dell’appello possa conoscere. È obbligatorio nel giudizio di appello mettere anche
tutti gli atti del giudizio di primo grado ed in primis cosa è obbligatorio mettere? La sentenza perché noi
stiamo appellando la sentenza. Quindi il primo atto che farà parte del nostro elenco documenti è appunto la
sentenza di impugnazione e poi trasferiamo tutto il giudizio di primo grado. Tale deposito si deve fare nel
termine di 30 giorni dall’ultima notificazione. Che significa? Noi abbiamo notificato il ricorso a Tizio, Caio
e Sempronio, se lo facciamo con PEC ci deve arrivare la ricevuta di consegna della PEC oppure se lo
facciamo con l’ufficiale giudiziario, con la raccomandata ci deve arrivare l’esito dell’ufficiale giudiziario,
oppure la possiamo fare anche tramite posta se siamo autorizzati dall’ordine degli avvocati ad avere il
registro delle notificazioni e in questo caso quando ci arriverà la ricevuta della raccomandata. Il termine però
decorre dall’ultima che mi è arrivata. Unitamente alla copia della sentenza impugnata dobbiamo dare la
prova delle eseguite notificazioni, ecco perché si dice dall’ultima notificazione. Il termine di decadenza
previsto per il deposito dell’impugnazione, decorre dal perfezionamento dell’ultima notificazione. Nel
processo civile, invece, vige una regola diversa che fa decorrere il termine di costituzione dalla prima
notificazione. In relazione al deposito dell’impugnazione il codice dispone novativamente che
all’impugnante è sufficiente produrre una copia anche non autentica della sentenza impugnata, in
considerazione dell’estrema semplicità di reperirne il testo sul sito ufficiale della giustizia amministrativa; il
che fa presumere con ragionevole certezza che il testo prodotto sia conforme a quello reale.
L’art. 94, nel disporre che nel giudizio di appello unitamente all’atto di gravame con la prova delle eseguite
notificazioni, deve essere depositata anche una copia della sentenza impugnata, non richiede che si tratti
necessariamente di copia autentica della stessa come invece prevede il codice di procedura civile; il che
esclude che nel processo amministrativo l’omesso deposito di copia autenticata possa determinare
l’improcedibilità o meglio l’inammissibilità del gravame. Tuttavia è stato anche ritenuto che sono
inammissibili i motivi aggiunti proposti nel giudizio di appello avverso la sentenza di primo grado dopo che
l’impugnazione del dispositivo non sia stata depositata in giudizio copia anche informale della sentenza
impugnata, anche separatamente rispetto al deposito del ricorso dei motivi aggiunti. Al che nel termine
perentorio di 30 giorni dall’ultima notificazione del ricorso utilizzato nel rito abbreviato, trattandosi di
un’omissione che non permette al giudice dell’appello di conoscere il decisum del giudice di primo grado, né
rileva il fatto che sia stato proposto appello avverso il dispositivo della sentenza di primo grado, atteso che
esso svolge, ai sensi dell’art.119 c. 6, una funzione essenzialmente cautelare concernente la sola esecutività
delle statuizioni del giudice di primo grado, con la conseguenza esaurisce i propri effetti all’interno della fase
cautelare, sicché deve ritenersi procedibile solo qualora sia seguito dalla rituale proposizione di motivi
aggiunti. Invece oggetto dell’appello è la sentenza completa di tutti i suoi elementi costitutivi tra i quali i
motivi su cui essa si fonda che svolgono il duplice compito di far conoscere agli interessati le ragioni della
decisione e di consentire al giudice dell’impugnazione il controllo sia quanto alla conformità del comando
contenuto nel dispositivo alle norme sostanziali e del rito. La sentenza integrale diventa strumento
indispensabile nella concreta e specifica riferibilità delle censure svolte avverso i diversi capi della sentenza
gravata, atteso che l’appello di primo grado e precisare i motivi per i quali la decisione impugnata sarebbe
erronea ed illegittima.
Il mancato rispetto del termine di deposito del ricorso comporta l’improcedibilità del relativo appello che
peraltro può essere reiterato se ancora in termini. Quindi nell’art.94 voi trovate scritto che nei giudizi di
appello, di revocazione, di opposizione ai terzi, il ricorso deve essere notificato nella segreteria del giudice
adito a pena di decadenza entro 30 giorni dall’ultima notificazione, unitamente ad una copia della sentenza
impugnata alla prova delle eseguite notificazioni. Questo è quello che trovate nell’art. 94 e vi ho detto quale
sia la motivazione; perché dobbiamo procedere al deposito di questi atti e soprattutto al deposito della
sentenza? Perché è l’atto di cui noi chiediamo al giudice il riesame. Quindi quando si fa il deposito del
ricorso, si fa un indice (lo chiamiamo foliario) all’interno del quale noi scriviamo: “ricorso in appello della
sentenza n…. del TAR Puglia”, n.1 è il nostro ricorso con la prova delle notifiche e quindi la ricevuta della
raccomandata e facciamo le copie e le depositiamo ; dopodiché dobbiamo depositare la sentenza che è
oggetto della nostra impugnazione e poi depositiamo tutto il fascicolo di primo grado, così il giudice del
riesame ha la visione completa delle cose, ha la visione completa della documentazione, di tutto ciò che è
stato svolto in primo grado e potrà andare ad esaminare le censure che noi andiamo a rilevare avverso la
sentenza perché stiamo chiedendo al giudice di secondo grado in appello, quindi al Consigli di Stato, di
rivalutare quelle decisioni che sono state cristallizzate nella sentenza di primo grado e dobbiamo effettuare il
deposito entro 30 giorni dall’ultima notificazione. Questo che significa? Che se noi non rispettiamo anche
qui questi termini, il ricorso è improcedibile, quindi vedete quanto sono importanti i termini nel processo.
Dobbiamo rispettare il termine per l’appello e se non lo facciamo la sentenza passa in giudicato e non
possiamo più far nulla contro quella sentenza, salvo le ipotesi eccezionali di revocazione straordinaria.
Abbiamo fatto il ricorso e lo abbiamo fatto nei termini, abbiamo notificato nei termini, ma ci siamo
dimenticati il termine per il deposito; in questo caso il mancato rispetto del termine del deposito del ricorso,
dopo tutto il lavoraccio, comporta l’improcedibilità del relativo appello che può essere ritualmente reiterato
solo se siamo nei termini, se non siamo nei termini non possiamo più reiterarlo l’appello. Dunque vedete
come sono importanti i termini.
Invece la mancata tempestiva costituzione in giudizio è motivo di decadenza e non di improcedibilità come
accade nel processo civile.
Ora andiamo a vedere le parti. Chi può impugnare la sentenza? La può impugnare chi non è vittorioso in
primo grado. La sentenza è impugnata dalle parti che hanno interesse a contraddire quello che è stato
indicato nella sentenza dal giudice di primo grado. L’art.95 vi dice che l’impugnazione deve essere notificata
a pena di inammissibilità nei termini previsti dall’art.92 da una delle parti interessate a contraddire. Se la
sentenza non è stata impugnata nei confronti di tutte le parti, il giudice può ordinare l’integrazione del
contraddittorio. L’impugnazione è dichiarata improcedibile se nessuna delle parti provvede all’integrazione
del contraddittorio nel termine fissato dal giudice. Anche il Consiglio di Stato, se riconosce che
l’impugnazione è manifestatamente irricevibile, improcedibile, inammissibile o infondata, può non ordinare
l’integrazione del contraddittorio quando l’impugnazione delle altre parti è preclusa o esclusa. E queste sono
appunto le parti del giudizio, chi ha interesse.
Poi abbiamo impugnazioni avverso la medesima sentenza. L’art.96 dice che tutte le impugnazioni, se sono
proposte separatamente, ma riguardano la stessa sentenza, vengono riunite in un unico processo. Poi se
scorrete con gli articoli abbiamo l’intervento nel giudizio di impugnazione; può intervenire nel processo di
impugnazione, sempre con un atto notificato a tutte le parti, chiunque vi abbia interesse a prenderne parte
con un atto di intervento che può essere ad opponendum o ad adiuvandum, quindi un terzo che si oppone
all’impugnazione della sentenza oppure un terzo che interviene ad adiuvandum e quindi ad aiutare chi ha
impugnato la sentenza, ha lo stesso interesse di chi impugna la sentenza. Finalmente arriviamo all’art. 100
del titolo II che disciplina l’appellabilità delle sentenze dei TAR. L’art. 100 prevede infatti che avverso le
sentenze dei TAR è ammesso appello al Consiglio di Stato, fermo restando la competenza del Consiglio di
Giustizia Amministrativa per la regione Sicilia, per gli appelli proposti contro le sentenze del TAR Sicilia.
L’art.100 non è altro che l’affermazione legislativa del principio del doppio grado di giurisdizione che oggi
troviamo costituzionalizzato nell’art.125 c.2 Cost.
Ora vediamo la NATURA ed i CARATTERI dell’appello. Una prima caratteristica è quella di essere un
mezzo di impugnazione di tipo rinnovatorio perché noi stiamo chiedendo al Consiglio di Stato di riesaminare
la posizione del giudice di primo grado, quindi stiamo chiedendo di rivedere e di esprimersi in modo diverso
rispetto al giudice di primo grado sulla stessa questione. Ora alcuni dicono che più che di mezzo
rinnovatorio, si tratti di un rimedio di giustizia perché in questo caso stiamo chiedendo giustizia da un
giudice su una sentenza pronunciata in primo grado, ma sostanzialmente è la stessa cosa perché attraverso
l’appello è possibile richiedere un diverso giudizio, un riesame della stessa questione su cui si è pronunciato
un altro giudice che è il TAR. Che abbia carattere rinnovatorio lo vediamo anche all’art.105 per i casi di
rinvio del Consiglio di Stato al giudice di primo grado. Il Consiglio di Stato giudica nel merito; la funzione
ad essi attribuita è quella di rinnovare il giudizio sulla medesima controversia già esaminata dal giudice di
primo grado. Dunque l’appello nel nostro sistema di giustizia ha il carattere di mezzo di impugnazione
rinnovatorio perché il Consiglio di Stato giudica nel merito, quindi entra nella stessa questione giudicata dal
giudice di primo grado e ci sta riesaminando la situazione; ma è anche un rimedio a carattere impugnatorio
perché è uno strumento di impugnazione. Ma che significa impugnatorio? E lo abbiamo detto perché è lo
strumento che permette il riesame critico della sentenza di un altro giudice perché la sentenza del tribunale di
primo grado è erronea ed illegittima, perché ha dimenticato di valutare l’esistenza del titolo. Quindi ecco
come la formulazione delle motivazioni nel ricorso che faremo al Consiglio di Stato in appello. È anche un
rimedio in funzione di legalità perché attraverso il doppio grado di giurisdizione stiamo chiedendo di
rivedere l’applicazione delle norme ad un altro giudice sulla medesima questione. Quindi è lo strumento che
permette di censurare i vizi della sentenza di primo grado che per l’appellante sono da rivalutare in capo ad
un altro giudice, appunto il Consiglio di Stato.
Come facciamo a fare questo ricorso? L’art. 101 individua il contenuto del nostro ricorso. Il ricorso in
appello deve contenere l’indicazione del ricorrente. Quindi l’incipit del ricorso è “Consiglio di Stato. Ricorso
per la sig.ra Y , c.f. …(individuazione del ricorrente), difesa dall’avvocato X con studio in via…”. Dopo
l’individuazione del ricorrente bisogna indicare contro chi stiamo facendo ricorso, le parti contro cui si
impugna, normalmente la parte amministrativa che deve essere individuata e deve essere indicata la difesa ad
opera dell’Avvocatura dello Stato. “Avverso la sentenza della decisione n. … emanata dal TAR …
depositata e pubblicata in data … (importante perché da qui decorrono i giorni per impugnare) oppure
notificata in data… “. In seguito dobbiamo riportare l’esposizione sommaria dei fatti, cioè ciò che è accaduto
nel fatto del giudizio di primo grado. Inoltre diamo atto che nel corso del giudizio si sono presentate delle
memorie, che avverso queste memorie si è eccepito, che la commissione non aveva tenuto in considerazione
di un determinato titolo, che nonostante ciò il giudice di primo grado ha ritenuto di dover accogliere le
censure mosse dalla controparte e quindi di rigettare il ricorso. P.Q.R. si chiede di annullare la sentenza di
primo grado. L’art, infatti afferma che dopo l’esposizione sommaria dei fatti, devono essere riportate le
specifiche censure che riguardano i capi della sentenza gravata, le conclusioni, la sottoscrizione del
ricorrente se sta in giudizio personalmente o per mezzo del suo difensore. In questo caso però il difensore
deve avere la procura speciale rilasciata unitamente a quella per il giudizio di primo grado. Il difensore deve
essere un soggetto abilitato alla giurisdizione superiore, quindi un cassazionista, per poter appunto difendere;
deve essere iscritto all’albo delle giurisdizioni superiori. Nell’art. 101 andiamo a vedere il ricorso del
contenuto in appello.
Per riassumere abbiamo detto che l’appello ha funzione rinnovatoria, perché permettiamo ad un altro giudice
di riesaminare la stessa questione esaminata dal giudice di primo grado; impugnatoria perché ci permette di
riesaminare in modo critico la sentenza del giudice di primo grado ai fini del suo annullamento e poi
abbiamo visto quale sia il contenuto del ricorso d’appello. Dunque lo strumento attraverso il quale si può
impugnare una sentenza di II grado è, nel nostro caso, l’appello e l’appello si propone attraverso il ricorso,
ma entro che termine? TERMINE BREVE -> 60 giorni; TERMINE LUNGO -> 6 mesi. Breve perché? È
arrivata la notifica della sentenza alla parte e quindi dalla notifica decorrono 60 giorni; lungo perché? perché
non mi è arrivata la notifica, ma mi è arrivata la data di pubblicazione della sentenza (all’avvocato arrivano
tutte le comunicazioni). Per impugnare devo avere un interesse e devo farlo nei confronti di tutti i capi della
sentenza se li ritengo tutti negativi perché altrimenti passano in giudicato. Vi ho detto anche che bisogna
stare attenti al termine per il deposito e qui abbiamo 30 giorni dall’ultima notificazione. Abbiamo precisato
anche quale deve essere il contenuto del ricorso (Consiglio di Stato, indicazione del ricorrente e del suo
difensore, indicazione della controparte difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, indicazione della
sentenza impugnata, esposizione sommaria dei fatti, censure mosse alla sentenza impugnata ossia i motivi
dell’appello distinti in base ai capi cui si riferiscono, conclusioni con richiesta di annullamento della sentenza
di I grado). Abbiamo detto che l’appello ha carattere rinnovatorio ed impugnatorio, ma ha anche effetto
devolutivo cioè l’effetto di trasferimento al giudice di II grado della stessa controversia dal giudice di I
grado; peraltro anche per il processo amministrativo vige il principio dispositivo nel senso che le parti
possono disporre della controversia, ma l’effetto devolutivo si produce nei limiti del thema decidendum così
come fissato dall’attività delle parti. Quindi io con l’appello devolvo, trasferisco al giudice di II grado tutta la
controversia, ossia tutto il fascicolo poi però abbiamo anche un effetto dispositivo perché io parte dispongo
nel ricorso di ciò della controversia su cui voglio che il giudice del Consiglio di Stato si pronunci perché
dispongo della controversia ed indico il thema decidendum. Ovviamente, nonostante il principio dispositivo,
la portata dell’effetto devolutivo non può travalicare i confini della controversia fissati in primo grado.
Certamente non si possono proporre domande nuove dinanzi al giudice di II grado, cioè non posso usare
l’appello per domande che mi sono dimenticato di proporre in I grado. Vi è il divieto di IUS NOVORUM, di
ampliamento del thema decidendum nel giudizio di II grado, sia proponendo nuovi motivi, sia ampliando i
motivi precedentemente dedotti.
In pratica come sarà strutturato l’appello? Un normale foglio word dove dovremo però trattenerci perché ci
sono dei limiti redazionali previsti dal presidente del Consiglio di Stato per la redazione dell’appello.
RIPETIZIONE SCHEMA DI RICORSO
Alla fine si deposita il ricorso con i documenti come indicati nell’indice del fascicolo redatto. Nel ricorso
dobbiamo anche indicare il contributo unificato che andremo a versare per il ricorso. In calce al ricorso si
appone il mandato ed in questo caso abbiamo la procura speciale di un avvocato autorizzato a difendere
davanti alle giurisdizioni superiori e abbiamo la relazioni di notifica con la prova di notifica che dovrà essere
depositata con il ricorso assieme al fascicolo di I grado. Ecco che abbiamo dato applicazione a ciò che
abbiamo detto finora (i termini per impugnare, i contenuti dell’appello, gli effetti dell’appello).
Possiamo dire che l’appello è un rimedio generale perché ci permette di impugnare tutte le sentenze del
giudice di I grado, siano esse sentenze del rito o sentenze di merito. Che significa? Che se il giudice di I
grado si è pronunciato solo sul rito perché ha ritenuto il mio ricorso improcedibile o inammissibile, io posso
impugnare davanti al Consiglio di Stato dicendo che non è vero che il mio ricorso è improcedibile perché è
nei termini. Può anche succedere che anche per impugnare un provvedimento, noi abbiamo anche lì i termini
per impugnare e se io non ho rispettato il termine di 60 giorni per impugnare il provvedimento dalla sua
conoscenza o non ho rispettato i termini dimezzati, il giudice mi può dire che il ricorso è improcedibile o
inammissibile. Allora io cosa faccio? Vado davanti al giudice di II grado ad asserisco che non è vero
allegando la prova che il ricorso è stato fatto nei termini e quindi posso andare ad impugnare una sentenza
anche qualora questa si sia pronunciata solo sul rito e non è scesa nel merito. Dunque ne consegue che
l’appello è un rimedio generale e che tutte le sentenze del giudice di I grado, sia di rito che di merito,
possono essere oggetto di impugnazione. La regola va dunque specificata. Possono essere oggetto di appello
tutte le decisioni del giudice di I grado che, indipendentemente dalla loro qualificazione, presentano un
contenuto decisorio. Non possono essere oggetto di appello tutte le decisioni che, ancorchè denominate
sentenze, non hanno un contenuto decisorio. Poi vedrete con la prof. Fanti che sono impugnabili anche le
ordinanze cautelari che sono adottate dal giudice di I grado, proprio a motivo del loro contenuto. Anche le
ordinanze cautelari hanno un contenuto decisorio. Come si pronuncia il giudice sulla tutela cautelare che
chiedo con il ricorso principale? Con ordinanza. Con la stessa ordinanza il giudice può anche decidere di non
accogliere la tutela cautelare perché ritiene che non ci sono i presupposti, allora in questo caso siccome si
tratta di un’ordinanza che comunque si è pronunciata, che ha un contenuto decisorio, può essere impugnata
dinanzi al Consiglio di Stato. Abbiamo parlato anche della legittimazione ad impugnare (chi può proporre
l’appello – le parti contro cui si è pronunciata la sentenza di I grado, quindi tutte le parti necessarie che
hanno avuto da quella sentenza un esito sfavorevole). La parte vittoriosa non impugna, anzi spera che
nessuno impugni cosicché la sentenza passi subito in giudicato. Ma è anche vero che io posso essere
vittorioso solo a metà perché magari il giudice per una parte ha ritenuto di dover accogliere i miei motivi, per
un’altra parte ha ritenuto di non accoglierli; allora posso impugnare una parte della sentenza che a me è
sfavorevole oppure non la impugno perché sono comunque vittoriosa. Qualora la controparte che invece ha
avuto un esito negativo dalla sentenza, la impugna facendo ricorso in appello, io che posso costituirmi, mi
notifica il ricorso ed in questo caso posso fare, una volta costituitomi in giudizio, un appello incidentale, cioè
un autonomo appello su quelle parti della sentenza che per me non sono pienamente satisfattive. Però in
questo caso il mio appello si chiama incidentale perché dipende dal giudizio principale; quindi se il giudizio
principale è inammissibile, anche il mio appello incidentale lo sarà. Quindi l’appello incidentale è un appello
strettamente dipendente dall’appello principale; fino a quando questo non viene proposto, non vi è ragione
per proporre appello incidentale. Se l’appello principale viene proposto, ma successivamente interviene la
rinuncia, non vi è ragione di una pronuncia sull’appello incidentale. Questo giustifica la peculiare disciplina
che il codice ha dettato in relazione all’appello incidentale, infatti se andiamo a vedere l’art. 96 c. 4 ->
IMPUGNAZIONE AVVERSO LA MEDESIMA SENTENZA:” Tutte le impugnazioni proposte
separatamente avverso la medesima sentenza, devono essere riunite in un unico processo. Possono essere
proposte impugnazioni incidentali. L’impugnazione incidentale può essere proposta verso qualsiasi capo di
sentenza e deve essere proposta dalla parte entro 60 giorni dalla notificazione della sentenza o, se anteriore,
entro 60 giorni dalla prima notificazione nei suoi confronti di altre impugnazioni. Con l’impugnazione
incidentale, proposta ai sensi dell’art. 334 del c.p.c., possono essere impugnati anche capi autonomi della
sentenza, tuttavia se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale perde
efficacia “( perché non avrebbe più senso; ecco perché incidentale, perché dipende dalle sorti
dell’impugnazione principale).
Nell’ambito della tipologia delle sentenze del giudice d’appello, vi sono le sentenze che decidono la
controversia nel merito; quindi come si può pronunciare il giudice dell’appello? Con sentenze di
accoglimento o di rigetto del ricorso. Ora in relazione al rigetto è possibile che in sede d’appello la sentenza
del giudice di II grado corregga il quadro motivazionale della sentenza del giudice di I grado, però senza che
venga modificato l’esito; la sentenza è sempre di rigetto però il giudice di II grado può modificare le
motivazioni del giudice di I grado. Ad esempio io, Consiglio di Stato, ravviso una carenza di motivazione
della sentenza impugnata e provvedo ad integrare la motivazione, ma rigetto lo stesso. Se la sentenza invece
è di accoglimento, siccome la sentenza di I grado è immediatamente esecutiva a meno che non si chieda la
sospensione cautelare e dunque ha una sua operatività, il giudice d’appello dovrà in senso logico procedere
ad eliminare la sentenza di I grado e poi adottare la sentenza che decide nel merito della controversia.
IPOTESI DI RINVIO AL GIUDICE DI PRIMO GRADO (art.105 – annullamento della sentenza con rinvio)
-> il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di I grado soltanto se è mancato il contraddittorio nel
giudizio di I grado. Questo è un principio fondamentale che deve essere rispettato nell’ambito del processo.
Oppure è stato leso il diritto di difesa delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza o riforma la
sentenza o l’ordinanza che ha declinato la giurisdizione, o ha pronunciato sulla competenza, o ha dichiarato
l’estinzione del giudizio. Quindi il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di I grado in questi casi; le
parti devono riassumere il processo. Vedete poi come l’incombenza ricade sulla parte e questa è un’altra
attenzione che deve fare l’avvocato: “le parti devono riassumere il processo con ricorso notificato nel
termine perentorio di 90 giorni dalla notifica o, se anteriore, dalla comunicazione della sentenza o
dell’ordinanza”. Vedete è rimesso alla parte l’obbligo di riassumere il processo con ricorso notificato nei
termini perentori di 90 giorni.
Non abbiamo visto la parte che riguarda lo svolgimento del giudizio (ripetizione di tutti gli argomenti trattati
fin ora).
Come si svolge questo giudizio in appello? Abbiamo visto il ricorso, il deposito, la costituzione, gli
appellanti possono costituirsi in giudizio nel termine di 60 giorni che decorrono dalla notifica della sentenza
e questo si ricava dall’art. 46 del c.p.a. poiché qui opera il rinvio interno nel senso che, nell’ambito della
disciplina dell’appello, non abbiamo le norme specifiche dello svolgimento del giudizio; per lo svolgimento
del giudizio dobbiamo fare riferimento alle norme che disciplinano lo svolgimento del giudizio di I grado.
Quindi la costituzione delle parti avviene nel termine di 60 giorni che decorrono dalla notifica della sentenza
come si ricava dall’art.96 del codice che si applica in virtù del rinvio interno, presentando memoria di
costituzione. Tuttavia possiamo dire che questo termine non sia perentorio perché io parte resistente posso
anche non costituirmi nel termine di 60 giorni, posso anche costituirmi in udienza; tuttavia diciamo che è
perentorio se la parte che si vuole costituire, voglia proporre eccezioni non esaminate o dichiarate assorbite
in I grado e deve farlo con memorie che devono essere depositate nel termine previsto per la costituzione in
giudizio a pena di decadenza. Quindi in questo caso il termine per la costituzione è da intendersi come
perentorio. Per quanto attiene all’intervento di altre parti si rinvia, con rinvio interno, all’art. 45 del codice.
Poi abbiamo lo svolgimento del giudizio così come si svolge il giudizio di I grado (costituzione delle parti, si
avrà la comunicazione dell’udienza, le parti si presenteranno all’udienza, l’udienza di discussione è pubblica,
prima dell’udienza verranno depositate le memorie, gli atti di replica, gli scritti difensivi, dopo il deposito vi
è l’udienza di discussione e poi il giudice si pronuncerà).
Il processo amministrativo è un processo molto celere, molto meno formalistico rispetto ad un giudice civile,
poi vedrete con la pratica che il giudizio civile ha molte eccezioni soprattutto processuali perché è molto
complicato.
Per quanto riguarda i termini la cosa da ricordare è che in relazione ai termini processuali vi è un articolo nel
c.p.a. (art.119), dalla struttura molto complessa, il quale disciplina un elenco di controversie per le quali i
termini del giudizio sono dimezzati (es. controversie in materia di appalti pubblici, contratti pubblici,
procedure di osservazione o occupazione delle aree destinate alla realizzazione di opere pubbliche o di
pubblica utilità, impianti di generazione di energia elettrica) sono tutte cause specificatamente elencate
nell’art.119 dove, in relazione alle suddette controversie, tutti i termini ordinari sono dimezzati e dunque
anche quelli del giudizio di appello, salvo nei giudizi di I grado, quelli per la notificazione del ricorso
introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché quelli relativi all’’appello cautelare. Il resto
dei termini è dimezzato. Che significa? Che io posso fare riscorso, salvo per il ricorso principale, sempre nei
60giorni, poi però ho i termini dimezzati quindi se devo presentare le repliche devo farlo 10 giorni prima
dell’udienza. Quindi vengono dimezzati i termini per il deposito di memorie, documenti e repliche.
Quindi noi abbiamo che le parti possono produrre documenti fino a 40 giorni liberi dalla data dell’udienza, le
memorie fino a 30 giorni liberi e presentare repliche ai nuovi documenti e alle nuove memorie a 20 giorni;
questi termini, che troviamo nell’art.73, vengono dimezzati. Poi il giudizio impugnatorio segue in generale la
stessa disciplina prevista per il giudizio di I grado e poi ricordatevi che c’è questa tipologia di controversie,
disciplinata dall’art. 119 c.p.a., che i termini ordinari del giudizio sono dimezzati ad eccezione del termine di
proposizione del ricorso principale.
Poi abbiamo l’art.120 che sono disposizioni specifiche inerenti l’art.119 c.1 lettera a che disciplina le
procedure di affidamento nell’ambito dei contratti pubblici. Quindi la cosa che dobbiamo ricordarci è che per
questa categoria di procedure abbiamo il dimezzamento dei termini proprio perché il legislatore, tenendo in
considerazione l’interesse pubblico sotteso a queste procedure, ha voluto una giustizia più celere. Ora
certamente da un lato si potrebbe porre il problema per cui la giustizia celere non è una vera e propri a
giustizia; diciamo che in questo caso sì perché alla fine con l’affidamento e le procedure di gara si hanno
comunque tutti i documenti e quindi il giudice può esaminare tutti i documenti, quindi si rispetta anche se i
termini sono dimezzati, comunque si ha una visione totale della causa.
In conclusione possiamo dire che l’appello è la possibilità di vedersi riesaminare la controversia da 2 giudici
diversi, quindi dovete vederla nel senso della possibilità di chiedere ulteriore giustizia.

Seminario 12/12
Principi comunitari
Il seminario odierno è un seminario storico. Il titolo che tradizionalmente viene dato a questo seminario è
“principi amministrativi dell’ordinamento comunitario” e già nel titolo bisogna fare una precisazione e cioè
che l’ aggettivo amministrativi va indicato tra parentesi perchè i principi amministrativi dell’ ordinamento
comunitario, di cui ci occuperemo oggi, sono principi che si applicano al diritto amministrativo ma non solo
al diritto amministrativo. Ad esempio uno dei tre principi che esamineremo è il legittimo affidamento che nel
nostro paese ha avuto la prima applicazione a livello legislativo nello statuto del contribuente e quindi si
tratta di una norma che riguarda il diritto tributario italiano .
Il punto di partenza del seminario di oggi è rappresentato dalla lettura del 1comma art.1 l.241/1990 (legge sul
procedimento amministrativo) e conoscere bene questa legge è il presupposto per conoscere tutti gli altri
istituti di diritto amministrativo.
Art.1 comm.1: L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di
economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla
presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti , nonché dai principi
dell'ordinamento comunitario.
Ciò che a noi preme sottolineare è l ultima parte della norma dove si fa riferimento ai principi
dell’ordinamento comunitario “l’attività amministrativa è retta dai principi dell’ordinamento comunitario”.
Si tratta di principi a cui sia le pubbliche amministrazioni costituzionalmente intese
(università,regioni,comuni e vari dicasteri presenti nel governo) sono tenute ad attenersi però sappiamo bene
che il diritto amministrativo è diventato sempre piu complesso negli anni e per questo anche i privati
svolgono funzioni amministrative e anche loro devono rispettare non solo i principi espressamente indicati al
comm.1 (economicità,efficacia,imparzialità,pubblicità e trasparenza) ma anche i principi dell’ordinamento
comunitario.
Norma di riferimento:
Art.1 comm1 ter l.241 : I soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto
dei criteri e dei principi di cui al comma 1, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le
pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge.
È importante fare un riferimento relativamente ai soggetti del diritto amministrativo ovvero tradizionalmente
quando ci si affaccia allo studio del diritto amministrativo ci viene detto che i protagonisti sono da un lato la
p.a (titolare di una situazione giuridica che prende il nome di potere amministrativo) e dall’altro lato abbiamo
il privato (titolare di una situazone giuridica soggettiva opposta al potere che è l’interesse legittimo) .
Oggi, in relazione alla complessità a cui precedentemente alludevo, non è piu sufficente parlare di p.a da un
lato e cittadino dall altro (potere e interesse legittimo). Per questo una parte della dottrina, guidata dal prof.
Foglieri ,ha enucleato la nozione di rapporto giuridico amministrativo che comporta centri attivi e centri
passavi di interesse. Tra i centri attivi non c è solo la p.a ma anche questi soggetti privati che sono richiamati
all’interno del comm.1ter art.1 l.241 che svolgono funzioni amministrative. Così come nei centri passavi non
abbiamo più solo l’interesse legittimo ma anche l’ interesse procedimentale. L’interesse procedimentale ha
ad oggetto il rispetto delle regole procedimentali indipendentemente dalle spettanze in relazione al bene della
vita; io privato posso anche non avere il diritto di ottenere quel provvedimento amministrativo ma se la p.a
non rispetta le regole procedimentali (ad esempio non conclude il procedimento entro 30 giorni )
indipendentemente dalla spettanza al bene delle vita, ho diritto ad essere risarcito o indennizzato secondo
quanto previsto dall’art2bis l.241/1990
Per quanto riguarda il centro passivo di interessi accanto all’ interesse legittimo e all interesse
procedimentale c’è anche il diritto soggettivo.
Ad esempio: in una procedura ad evidenza pubblica per quanto rigurda i contratti pubblici,viene stipulato il
contratto tra la p.a e il privato e non si può più parlare di interesse legittimo del privato circa la possibilit à di
vincere quella gara di appalto ma una volta che il contratto viene concluso si parla di diritto soggettivo. Il
codice dei contratti pubblici ci dice che i rapporti tra privato e p.a sono retti da norme codicistiche.
Ciò ci consente di capire come i principi amministrativi dell’ordinamento comunitario riguardano non
soltanto le p.a costituzionalmente intese ma anche i soggetti privati che svolgono funzioni amministrative.
La disciplina dell art1. l.214/1990 non contenteva nella formula originaria il riferimento ai principi
dell’ordinameno comunitario. Ragione di ordine storico perchè la legge è stata approvata nel 1990 cioè in un
periodo in cui il processo di integrazione a livello europeo era ancora in una fase embrionale. Uno degli
impulsi piu significativi al processo di integrazione a livello europeo si è avuto con il trattato di Maastricht
stipulato nel 1992 e entrato in vigore nel 1993. Era impensabile che il legislatroee del 1990 potesse fare
riferimento ai principi dell ordinamento comunitario perchè questi principi non erano ancora percepiti a
livello comunitario.
L’aggiunta all’interno del comm.1 art.1 l.241 circa il riferimento ai principi dell ordinamento comunitario si
è avuto solo dopo con la legge n.15/2005 che è intervenuta su più parti della l.241 prevedendo anche gli
articoli 21bis-21nonies (che disciplinano gli istituti di autotutela) ed ha introdotto all’interno della legge sul
procedimento amministrativo il riferimento ai principi dell’ordinamento comunitario. Per qualcuno questo
riferimento potrebbe essere pleonastico e sarebbe giusto perchè comunque i rapporti tra diritto italiano e
diritto comunitario si basano sul “principio del primato” e le norme dell’UE e i principi hanno un efficacia
diretta e una diretta applicabilità anche all’ interno dei singoli ordinamenti nazionali o come è piu opportuno
dire: le norme di diritto comunitario,sulla base del primato, si collocano tra le fonti in una posizione
sovraordinata rispetto alle fonti primarie ( legge formale ordinaria,atti aventi forza di legge,referendum
abrogativo e legge regionale) .
Domanda: si puo parlare del principio di prevalenza oltre che del primato?
Risposta: si,tradizionalmente anche la corte di giustizia quando si è occupata del punto ha parlato di principio
del primato però è evidente come anche il principio di prevalenza possa essere un sinonimo del principio del
primato per quanto riguarda i rapporti tra diritto UE e diritto interno.
I principi dell’ ordinamento comunitario sono in una posizione sovraordinata rispetto alle norme di diritto
interno,tuttavia la scelta del legislatore del 2005 di menzionare all’interno dell’art.1 comm1 l.241 i principi
dell’ ordinamento comunitario è frutto (secondo l’amministrativista Vincenzo Cerulli Irelli) di una scelta
ordinamentale ben precisa finalizzata a sottoporre il diritto amministrativo alla signoria del diritto
comunitario. Progressivamente il processo di integrazione a livello europeo va avanti e quindi il dritto
amministrativo è sempre piu esposto ad interferenze comunitarie. Bisogna capire come sono stati elaborati
questi principi dell’ordinamento comunitario e come sono stati poi recepiti a livello dei singoli paesi che
fanno parte dell’ue.
La dottrina per spiegare questo effetto fa riferimento ad un moto circolare secondo il quale i principi nascono
a livello nazionale e provengono dalle esperienze giuridiche dei paesi che fanno parte dell ’unione europea.
E’ facilmente comprensibile che l’apporto da parte di alcuni pesi è maggiore di altri ( es: esperienza giurdica
in germania,italia e inghilterra ha un ruolo piu profondo e signficiativo rispetto all esperienza giuridica
polacca,rumena,portoghese) . Ciò che deve essere sottolineato è che i principi amministrativi
dell’ordinamento comunitario nascono a livello nazionale e poi vengono comunitarizzati e recepiti a livello
europeo e in questa attività di recepimento un ruolo importante è svoltono dall’attività interpretativa della
corte di giustizia dell’UE.
Come accade spesso questi principi vengono anche cristallizzati nei trattati istitutivi dell UE (TUE e TFUE) .
I principi nascono a livello nazionale e una volta comunitarizzati con l attivit à interpretativa della Corte di
giustizia ritornano a livello nazionale con un impronta comunitaria molto significativa.
Prima di analizzare i principi è importante capire il ruolo dei principi aldilà del diritto amministrativo.
Funziona che viene svolta non solo per il dritto amministrativo.
Il ruolo dei principi è colmare le lacune che l’ordinamento presenta e questa funzione si può cogliere in tutti i
rami dell’ ordinamento giuridico
Es 1: il principio di buona fede per il dritto privato che in materia di contratti riguarda tutte le fasi del
contratto (trattative ,stipula del contratto,esecuzione del contratto e attività interpretativa del contratto) .
Es 2 : si pensi al principio di colpevolezza per il diritto penale (parte generale) ed è uno dei criteri di
imputazione soggettiva del reato è la responsabilità oggettiva (art42 comm3 cp.) che prevede attribuzione di
un fatto ad un determinato soggetto sulla base di un mero nesso di causalità tra condotta e evento. Si è
piu volte detto che la responsabilità oggettiva contrasta con il principio di colpevolezza, che si ricava dai
comm.1/3 art.27cost , e per evitare declaratorie di illegittimità costituzionale per tutte quelle fattispecie di
responsabilità oggettiva disciplinate dal codice penale e dalla legislazione extra-codicistica , si è pensato di
interpretare le ipotesi di responsabilità oggettiva e colmare le lacune dei principi interpretando le ipotesi di
responsabilità oggettiva alla luce del principio di colpevolezza e renderle compatibili con la costituzione e si
è detto che l’evento deve essere prevedibile in concreto dal soggetto agente .
Focalizziamo l’attenzione su 3 principi :
Propozionalità
Precauzione
Legittimo affidamento
I primi due principi sono molto attuali alla luce del contesto epidemiologico in cui ci troviamo ( quando
Conte illustra le misure restrittive fa riferimento al principio di proporzionalità) . Questi principi sono
rilevanti nel contesto attuale.
Per ragioni di ordine e importanza partiamo dal PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’:
Origini: la dottrina maggioritaria ritiene che un ruolo significativo nell’elaborazione di questo principio sia
stata svolto dall’ esperienza giuridica tedesca.
Caso guida (caso Kreuzberg) : riguarda un negozio tedesco che vendeva alcolici senza regolare licenza e
una volta scoperto l’illecito l’autorità amministrativa competente dispose come sanzione la chiusura del
negozio.
Il provvedimento amministrativo della polizia fu oggetto di impugnazione davanti alle autorità competenti e
a conclusione del procedimento la corte amministrativa prussiana dichiarò illegittimo il provvedimento
amministrativo di chiusura della polizia perchè violava il principio di proporzionalità e secondo la corte
amministrativa prussiana si poteva adottare un provvedimento meno restrittivo rispetto a quello che è stato
adottato dall’ autorita di polizia competente.
Storicamente siamo nel 1882.
Il provvedimento venne dichiarato illegittimo e emerge un aspetto molto significativo ovvero che attraverso
il principio di proporzionalitàà si può sindacare le scelte discrezionali dell’’autorità di polizia e attualizzando
possiamo dire “scelte discrezionali della P.A” . Un ruolo
significativo è stata svolto dall’esperienza giuridica tedesca. Questo anche in riferimento al moto circolare la
nascita del principio di proporzionalità che avviene a livello nazionale e avviene in uno dei paesi che fa parte
dell’UE (germania)
La dottrina e la giurisprudenza tedesca ci hanno dato una struttura del principio di proporzionalita che si
articola in 3 elementi :

• idoneità/congiuità

• necessità

• adeguatezza/proporzionalità in senso stretto

Idoneità/ conguità: si fa riferimento alla scelta tra piu mezzi rispetto allo scopo da perseguire. C’è un
obiettivo da raggiungere e un interesse da tutelare e la p.a attraverso questo primo criterio individua i mezzi
che astrattamente parlando possono essere utilizzati per perseguire nel miglior modo possibile quell’interesse
pubblico.
Necessità: si fa riferimento all’individuazione tra i piu mezzi precedentemente elencati del mezzo che appare
piu idoneo per perseguire l’interesse pubblico. Ovviamente se il mezzo individuato è unico,il criterio della
necessità perde rilevanza.
Adeguatezza/ proporzionalità in senso stretto: ha ad oggetto il corretto bilanciamento tra i diversi interessi
coinvolti ( int. pubblico primario,interesse pubblico secondario e interessi dei privati)
Es: con le misure restrittive che a livello governativo vengono progressivamente adottate l’interesse pubblico
è la tutela diritto alla salute (diritto fondamentale dell’individuo ai sensi dell art.32cost) ma accanto al diritto
alla salute ci sono interessi secondarti come la tutela dell economia e interessi privati come le limitazioni
personali e alla libertà di circolazione e soggiorno che però sono necessarie per l interesse pubblico primario
ovvero la tutela del diritto alla salute.
Questa è la struttura del principio di proporzionalità che nasce a livello nazionale e il secondo step poi
avviene con la comunitarizzazione che è avvenuta attraverso l attività interpretativa da parte della Corte di
giustizia dell UE
Moto circolare: riguarda l’elaborazione dei principi dell ordinamento comunitario. I principi nascono a
livello nazionale e vengono comunitarizzati attraverso l’attivita interpretativa della corte di giustizia dell’UE
e poi una volta comunitarizzati ritornano a livello nazionale. Es: il principio di proporzionalità nasce a livello
nazionale in germania,viene comunitarizzato a livello europeo e ritorna a livello nazionale. Ritorna
nell’ordinamento giuridico in cui è nato,ordinamento tedesco, ma ritorna con l’impronta delle istituzioni
comunitarie e di un loro riferimento all’interno dei trattati istitutivi dell’UE.
Secondo step: comunitarizzazione dei principi
Leggiamo il modo in cui questo prncipio è stato spiegato dalla corte di giustizia dell’UE:
le autorità sia comunitarie che nazionali nell’adozione di decisione sia mediante atti normativi sia mediante
atti ammministrativi non possono imporre obblighi o restrizioni alla libertà del cittadino tutelate dal diritto
comunitario (libertà tutelate a livello comunitario) in misura superiore cioè sproporzionata a quella
strettamente necessaria per raggiungimento dello scopo pubblico preferissato. Se è possibile la scelta tra più
misure idonee e adeguate si deve ricorrere a quella meno restrittiva per gli interessati in modo che gli
inconvenienti causati non sia sproporzionati rispetto alle finalità perseguite.
La corte di giustizia dell’UE offre una propria definizione e finisce per ribadire quanto precedentemente
esposto da parte dell’esperienza giuridica tedesca. Poi è importante sottolineare come a livello comunitario si
è andati oltre perchè questo pricnipio si è cristallizzato anche nei trattati istitutivi dell’UE .
Comunitarizzazione : fa riferimento al recepimento di principi che nascono a livello nazionale da parte delle
istituzioni comunitarie e da parte della corte di giustizia che li interpreta e ha il compito primario di garantire
la corretta e uniforme interpretazione dei trattati; la comunitarizzazione avviene anche attraverso l’adozione
degli atti comunitari che devono tener conto di questi principi. La comunitarizzazione fa riferimento al
recepimento di questi principi che vengono trasposti dall’ordinamento nazionale dove nascono
all’ordinamento comunitario.
Questo principio è stato richiamato anche nei trattati istitutivi dell’UE.
In particolare Art. 5 sul trattato sull’UE:
1. La delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di attribuzione. L’esercizio delle
competenze dell’Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità.
2. In virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le
sono attribuite dagli Stati membri nei trattati, per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi
competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri.
3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione
interviene, soltanto se e
in quanto, gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati
membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti
dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell’Unione applicano il
principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di
proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la
procedura prevista in detto protocollo.
4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell’Unione si limitano a
quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Le istituzioni dell’Unione applicano il
principio di proporzionalità conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di
proporzionalità.
PS: paragrafo 4 è il piu importante
Quindi c’è prima la nascita a livello nazionale,poi la comunitarizzazione attraverso l’attività interpretativa
della corte di giustizia.
Ultimo step è rappresentato dal recepimento del principio all’ interno dei trattati che comporta
inevitabilmente la sua trasposizione a livello nazionale ,nel nostro caso attraverso il richiamo al comm.1
Art.1 della l.241 ma più in generale attraverso il principio del primato.
Come si è gia detto secondo la dottrina prevalente il principio di proporzionalità nasce nell’ordinamento
giuridico tedesco tuttavia un altra parte della dottrina di cui fa parte la prof. Fanti che ha scritto sul tema una
monografia nel 2013 (titolo: dimensioni della proporzionalità ) in cui mette in evidenza come è possibile
individuare un altra origine del principio. A sua vedutà la paternità si puo attribuire a Giandomenco
Romagnosi che è il primo amministrativista italiano e scrisse un opera “Principi fondamentali di dirtto
amministrativo onde tesserne le istituzioni” opera del 1814 che fu poi stampata nel 1832.
Il titolo dell opera è già emblamtico ed è evidente come l’obiettivo dell’ autore è quello di dettare una serie
di principi generali che possano contribuire alla formazione scientifica di una disciplina che è appunto il
diritto amministrativo.
Romagnosi fu il primo a parlare di proporzionalità in un epoca in cui il diritto amministtativo si trovava
ancora in una fase embrionale. Diritto amministrativo è una scienza giuridica molto recente che è nata a
partire dalla fine del 1700 e l’espressione “diritto amministrativo”comparve per la prima volta nel 1798 nel
programma di studio di un professore che operava nelle scuole di un dipartimento della Francia centrale,è
quindi una scienza recente il che non significa che il diritto amministrativo prima non esistesse,anche in
epoca romana c’erano regole per disciplinare i rapporti tra cittadini/ sudditi e pubblica amministrazione.
( Vittorio Emanuele Orlando è un epoca successiva e rientra tra la fine dell ’800 e i giuristi che hanno
contribuito alla formazione scientifica si dividono in pre orlandiani e post ordandiani. Vittorio emanuele
orlando ha svolto una sorte di sparti acque tra le due epoche. Prima di Vittorio Emanuele Orlando prevale
una concezione più privatistica del diritto amministrativo e dopo emerge invece una concezione più
pubblicistica del diritto orlandiano )
Con Romagnosi siamo prima di Vittorio Emanuele Orlando e siamo all’inizio del 1800 e tra i principi
enucleati all interno dell sua opera abbiamo il principio di proporzionalità .
Riferimenti contenuti nell’opera ( par. 16 capo terzo del libro primo) :
-necessità di far prevalere la cosa pubblica rispetto a quella privata entro i limiti della vera necessit à ovvero
far prevalere la cosa pubblica a quella privato con il minimo sacrificio della privata proprietà e libertà
–la prevalenza della cosa pubblica o privata non colpisce il fine ma il semplicemente mezzo
Questi riferimenti nell’ opera ci permettono di capire come il diritto amministrativo sia nato in italia con
Romagnosi e l’esperienza tedesca poi è stata molto significativa.
Per concludere è importante capire le attuali applicazioni del principio di proporzionalità:
secondo la tesi prevalente la violazione del principio di proporzioanlità è una delle figure sintomatiche
dell’eccesso di potere. Eccesso di potere che è uno dei tre vizi di illegittimità dell’atto amministrativo
accanto alla violazione di legge e incompetenza relativa e cioè cause di annullabilità dell atto amministrativo,
ai sensi dell’ art21octies l. n241. La violazione del principio di proporzionalita da luogo all’illegittimità del
provvedimento amministrativo che,se riscontrata in sede giurisdizionale, comporta una sentenza costitutiva
di annullamento. Tra le sentenza che il giudice può emanare, ai senti dell art.34 comm1 lettera a del d.lsg
104/2010, ci sono le sentenza costitutive che annullano in tutto o in parte il provvedimento amministrativo.
Domande: riguardo alla comunitarizzazione del principio di proporzionalità lei ha detto che le comunità non
possono imporre litimitazione in misura superiore a cosa?
La corte di giustizia nel definire il principio di proporzionalità, leggo testualmente:
le autorità sia comunitarie che nazionali nell’adozione di decisione sia mediante atti normativi sia mediante
atti ammministrativi non possono imporre obblighi o restrizioni alla libertà del cittadino tutelate dal diritto
comunitario (libertà tutelate a livello comunitario) in misura superiore cioè sproporzionata a quella
strettamente necessaria per raggiungimento dello scopo pubblico preferissato. Se è possibile la scelta tra più
misure idonee e adeguate si deve ricorrere a quella meno restrittiva per gli interessati in modo che gli
inconvenienti causati non sia sproporzionati rispetto alle finalità perseguite.
E quindi le misure non devono essere spoporzionate rispetto alle finalità che sono perseguite da parte delle
istituzioni comunitarie ovvero le istitutuzioni nazionali. Questo è il riferimento giurisprudenziale delle Corte.
Art5 ha recepito a livello comunitario.
Domanda: rigurardo il principio del primato, riguardo la proporzionalità,riguarda il problema delle fonti del
problema dell ordinamento giuridico?
Risposta: Il principio del primato è un probolema che si pone rispetto alla fonti e le sentenza della Corte di
giustizia europea e le sentenze della Corte Costituzionale che si sono occupate dei rapporti tra diritti UE e
diritto nazionale si sono occupate del principio del primato e hanno ad oggetto il problema delle fonti e
come si articolano i rapporti tra un atto dell’unione europea e un atto di diritto interno.
Il principio del primato ha per oggetto le fonti.
Domanda: lei prima ha detto che nel caso in cui la p.a emana un provvedimento affetto da incompetenza
assoluta questo sarà nullo e mi chiedo in quel caso nei confronti della p.a c e un diritto soggettivo e non un
interesse legittimo?
Risposta: questa riflessione ha animato la giurisprudenza negli anni ’50-’60 per quanto riguarda il tentativo
di fare chiarezza sul tema di riparto di giurisdizione. Oggi sappiamo che il riparto di giurisdizione tra GA e
GO verte sul criterio della causa petendi che è stato definito del petitum sostanziale nel concordato
giurisprudenziale del 1930 tra consiglio di stato e corte di cassazione. Di fatto oggi il criterio di riparto di
giurisdizione si fonda sul criterio del petitum sostanziale e sul criterio della causa petendi. Si è detto che
come ci si pone il problema riguardo la nullità ed è proprio per questo che ci si è detto che nelle ipotesi di
incompetenza assoluta o di carenza di potere in astratto o difetto assoluto di attribuzione siamo in presenza di
un diritto soggettivo e la competenza è del giudice ordinario; mentre nelle
ipotesi di incompetenza relativa o carenza di potere in concreto è competente il GA. Oggi le cose
vanno diversamente perchè l’azione di nullità è un’azione che troviamo espressamente menzionata nel
codice del processo amministrativo e davanti ad un provvedimento amministrativo nullo il giudice munito di
giurisdizione è il giudice amministrativo, questo perchè il criterio di riparto basato sulla causa petendi di
fatto viene svuotato attraverso l’istituto della giurisdizione esclusiva e quindi con l’attribuzione di una serie
di competenze al GA vertenti su diritti soggettivi, è evidente come non sempre il criterio della causa petendi
viene rispettato.
Quindi si,formalmente siamo in presenza di un diritto soggettivo il che non esclude che la giurisdizione spetti
al giudice ordinario sulla base della giurisdizione esclusiva.

domanda : il principio di proporzionalità riprende anche i principi di efficacia ed efficienza?


risposta: assolutamente si
Precisazione della domanda riguardante la nullità: in ipotesi di carenza di potere in astratto, quando manca
del tutto il potere alla p.a. competente è il giudice ordinario, non il giudice amministrativo!!!!
Questo perchè mancando la norma attributiva del potere, non c’è la degradazione del diritto soggettivo in
interesse legittimo. Resta la distinzione tra carenza di potere in astratto e carenza di potere in concreto,
tuttavia carenza di potere in astratto oppure incompetenza assoluta g.o., carenza di potere in concreto g.o.

PRINCIPIO DI PRECAUZIONE
È interessante esaminare questo principio alla luce della situazione epidemiologica in cui stiamo vivendo, di
fatto tutte le misure restrittive prese a livello internazionale, prese a livello nazionale e poi anche a livello
locale, si ispirano al principio di precauzione, che è in stretta correlazione con il principio di proporzionalità.
Il principio di precauzione, che poi è strettamente correlato con il principio di prevenzione, fa riferimento
alle ipotesi in cui di fronte a delle situaizoni eccezionali, di fronte a delle situaizoni di urgenza, le autorità
competenti sono chiamate ad adottare delle misure restrittive.
Qual è il problema del principio di precauzione, che emerge oggi con tutta le sue problematiche? Molto
spesso, quando gli organi politici devono prendere le decisioni, i politici non hanno le competenze idonee per
poter capire quale misura prendere per combattere quel problema e quindi ci si affida a dei soggetti tecnici.
Come sappiamo, il Governo, quando si è presentata l’epidemia da Sars Covid-19, ha nominato un comitato
tecnico-scientifico, un determinato gruppo di persone con determinate competenze in ambito scientifico,
medico, chimico e così via, per assistere il Governo in questa fase molto complicata. Il Governo, sulla base
delle indicazioni fornite dal comitato tecnico-scientifico che ha detto il Covid si trasmette principalmente
attraverso le particelle acquose che emettiamo mentre parliamo, ha imposto come misura l’obbligo di
utilizzare nei luoghi affollati la mascherina. Qual è il problema di tale principio? Molto spesso, le indicazioni
fornite dalle scienze di riferimento sono delle indicazioni non certe, il problema è quello di prendere delle
misure che siano sproporzionate rispetto agli obiettivi da perseguire. C’è un nesso inscindibile tra
precauzione e proporzione.
Cerchiamo di ricostruire l’origine storica del principio di precauzione: tale principio di afferma nell’ ‘800 in
Inghilterra, a seguito di un contenzioso che si è sviluppato a causa di un’epidemia di colera che si è diffusa
in tutto il Paese. Le autorità del posto adottarono delle misure per fronteggiare questa epidemia e si sviluppò
un sindacato attorno a questi provvedimenti che aveva ad oggetto il principio di precauzione.
Nella elaborazione di questo principio, un ruolo significativo è stato svolto dall’esperienza giuridica tedesca,
la Germania è stato il primo Paese a diffondere l’importanza del principio di prevenzione nell’ambito
internazionalistico, e in particolar modo la Germania ha affrontato il tema relativamente a due fenomeni: il
fenomeno delle piogge acide ed il fenomeno dell’inquinamento del mare del nord. La Germania non soltanto
è stato uno dei primi Paesi ad aver introdotto a livello legislativo il principio di precauzione all’interno
dell’ordinamento giuridico, ma lo ha anche diffuso nell’ambito internazionalistico.
Due documenti vanno ricordati: Il Preambolo alla Dichiarazione della prima conferenza internazionale sulla
protezione del mare del nord e soprattutto la Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo. Storicamente
siamo negli 70 del ‘900, poi questo principio è stato comunitarizzato, è stato recepito nell’ambito
comunitario ed è stato oggetto di uno specifico inserimento all’interno dei Trattati istitutivi dell’UE, ci
riferiamo all’ art. 191, par. 2, TFUE—> La politica dell’Unione in materia ambientale mira ad un elevato
livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della
precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni
causati all’ambiente, nonché sul principio del chi inquina paga.
È evidente come il principio di precauzione è stato comunitarizzato ed una delle sue principali applicazioni a
livello pratico è proprio in materia di ambiente. La Germania lo ha enucleato per quanto riguarda i fenomeni
delle piogge acide e dell’inquinamento del mare del nord, l’ UE lo ha richiamato nell’ambito della tutela
all’ambiente e come vedremo lo stesso accade nel nostro ordinamento giuridico. In realtà, all’interno della
Costituzione manca una norma che tuteli la salute ambientale, tuttavia la tutela dell’ambiente è fatta derivare
dall’art. 32 della Cost., che tutela il diritto alla salute come diritto fondamentale dell’individuo, è evidente
come tale diritto è tutelato se viviamo in un ambiente salubre, se l’ambiente non è salubre il diritto alla salute
viene continuamente leso.
Nell’ambito delle fonti primarie, un riferimento al principio di precauzione lo ritroviamo all’interno del
codice dell’ambiente, d. lgs. 152/2006, che lo richiama negli artt. 301/308/309.
Il principio di precauzione nasce a livello nazionale, ruolo fondamentale è svolto dapprima dall’esperienza
giuridica inglese e poi dall’esperienza giuridica tedesca, poi è stato comunitarizzato attraverso l’art. 191,,
par. 2 del TFUE, e poi nel nostro ordinamento giuridico è ricavabile, in via interpretativa, dall’art. 32, ma è
stato recepito proprio grazie al d. lgs. 152/2006.
In precedenza, i due settori in cui il principio di precauzione mostra la sua interferenza maggiormente
significativo è l’ambito del diritto alla salute e l’ambito ambientale.
Per quanto riguarda il principio di precauzione, si possono individuare tre versioni:
1. Visione massimalista—> è quella più drastica. Nel momento in cui c’è una situazione di pericolo
bisogna avere tolleranza zero, bisogna adottare le misure più drastiche per combattere quel tipo di
problema. Ad es., una delle prime misure che l’Italia ha adottato per combattere l’epidemia da Covid-19,
quando si riteneva che il problema riguardasse soltanto la Cina, è stata quella di prevedere misure di
controlli per quanto riguarda passeggeri provenienti dalla Cina ovvero di vietare agli aerei che
provenivano dalle zone più a rischio di atterrare nel nostro Paese. È evidente come, in base alla
situazione attuale in cui in Italia non vi erano casi di Covid-19, il Governo, alla luce del principio di
precauzione e del principio di proporzionalità prese questa decisione. Secondo la versione massimalista,
il Governo avrebbe dovuto agire in modo più drastico: ad es. imponendo un lockdown a livello
nazionale. Qualcuno potrebbe dire: con il senno di poi, sarebbe stato opportuno. Però è evidente come le
misure vanno prese in base alla situazione a quel tempo presente, e la situazione non permetteva
l’adozione di misure così drastiche che sarebbero state sproporzionate e che sarebbero state soggette ad
un sindacato giurisdizionale ed eventualmente ad annullamento del giudice competente. La visione
massimalista va respinta.
2. Visione minimalista—> è l’opposto di quella massimalista ed al pari di quest’ultima va respinta.
Secondo tale visione bisogna intervenire soltanto quando c’è la prova del danno (quando il danno viene
provato), quindi il Governo avrebbe dovuto imporre delle restrizioni soltanto quando, ad es., le terapie
intensive erano al collasso nel nostro Paese. Anche questa accezione è certamente da respingere, perchè
in questo modo si possono arrecare del danni irreversibili e di conseguenza anche una possibilità di
tutelare adeguatamente il diritto alla salute.
3. Visione mediana—> si preferisce questa visione, tale per cui bisogna andare ad adottare quelle che sono
le misure proporzionate rispetto alla situazione attuale. È evidente come la scelta del Governo, nel
gennaio 2020, di imporre come unica misura la chiusura degli aeroporti italiani agli aerei provenienti
dalla Cina è stata la scelta più idonea alla situazione che in quel momento era presente.
Questo è il problema del principio di precauzione: le conoscenze posso essere limitate o per situazioni di
carattere oggettivo, perchè ancora non si sapeva che il virus circolava da tempo in Italia, o anche in base alla
scienza di riferimento perchè a quel tempo ancora non si conosceva il virus, la carica virale che determinava
il ricordo ad un certo tipo di cura piuttosto che ad un’altra.
È interessante analizzare il principio di precauzione non solo per la sua inscindibilità rispetto al principio di
proporzionalità, ma ancora oggi, alla luce della situazione attuale, è importante come principio la conoscere e
da sapere.

IL PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO


Tale principio è collegato a scelte precedentemente fatte dalla p.a., ovvero nel momento il cui la pubblica
amministrazione compie delle scelte non può deludere, non può porsi in contrasto rispetto all’affidamento
che altri hanno fatto per quanto riguarda le scelte precedentemente prese dalla p.a.
(Il principio del l.a. riguarda l’impossibilità in capo alla p.a. di pregiudicare il legittimo affidamento che i
privati hanno riposto per quanto riguarda decisioni e scelte precedentemente prese dalla p.a.—> questa è la
seconda definizione che viene data dal dottore).
Per quanto riguarda le origini storiche, il principio del legittimo affidamento è un precipitato del principio di
buona fede, che in ambito contrattuale ha una delle sue nell’art. 1337 c.c., ai sensi del quale le parti, nello
svolgimento delle trattative e della formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede.
Quindi il principio del l.a. è ricompresi nel principio di buona fede per quanto riguarda il diritto privato, per
quel che riguarda il diritto pubblico, e in particola modo il diritto amministrativo, il principio del l.a. ha avuto
un suo primo riconoscimento grazie all’attività interpretativa svolta dalla IV sez. del Consiglio di Stato. La
IV sez., istituita dalla l. 5992/1889, è stata, di fatto, la prima sez. del Consiglio di Stato a svolgere funzioni
giurisdizionali, in quanto le altre tre anno svolto e continuano ancora ad oggi a svolgere funzioni consultive,
anche se di fatto la III sez. svolge anche funzioni giurisdizionale ed anche la II sta iniziando a svolgerle.
Nell’elaborazione storica del principio del l.a. un ruolo significativo è stato svolto dalla giurisprudenza del
Consiglio di Stato italiano, ci riferiamo in particolar modo alle sentenze n. 70 e 427 del 1894, in cui il
Consiglio di stato ha affermato l’obbligo per la p.a. di rispettare le posizioni legittimamente acquistate,
ovvero di non imporre ai privati, destinatari degli atti amministrativi, condizioni più di quelle
precedentemente stabilite.
(Queste due sentenza hanno dato luogo ad una prima enucleazione del principio del legittimo affidamento
all’interno del nostro ordinamento, soprattutto circa la connessione di questo principio con l’istituto
dell’autotutela).
Più specificatamente in tema di annullamento d’ufficio di atti amministrativi, la giurisprudenza del Consiglio
di Stato ha affermato che per procedere con l’esercizio di tale potere di autotutela non sia sufficiente il
generico riferimento al ripristino del principio di legalità, ma sia necessario dimostrare l’esistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale che postuli l’annullamento dell’atto.
Questa è la storia del principio del legittimo affidamento, che ha poi subito un processo di
comunitarizzazione e il riferimento normativo in base al quale è stato recepito a livello comunitario, la
cosiddetta base giuridica, è l’art. 340 del TFU.
È interessante mettere in evidenza le attuali applicazioni del principio del l.a. Abbiamo detto che tale
principio ha ricevuto la prima applicazione, nel nostro ordinamento giuridico, nell’ambito dell’ordinamento
tributario con la legge n. 212/2000 (c.d. Statuto dei contribuenti).
Art. 10, l. 212/2000—> Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente.
comma 2: Non sono irrogate sanzioni ne' richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia
conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente
modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a
seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa.
La norma in questione ci dice che se a sbagliare è la pubblica amministrazione non ne risponde il privato in
termini di azioni ovvero di interessi moratori.
In conclusione, è interessante mettere in luce quelle che sono le attuali applicazioni del principio del l.a.,
queste si hanno in ambito di autotutela, i due principali istituiti, in ambito di autotutela, sono la revoca del
provvedimento amministrativo (art. 21 quinquies della l. 241/1990) e l’annullamento d’ufficio (21 nonies
della l. 241/1990).

LA REVOCA
Art. 21 quinquies
1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non
prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di
autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico
originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte
dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la
inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in
danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro
indennizzo.
Dalla lettura di questo comma vediamo come si atteggia la tutela del privato in termini di legittimo
affidamento. In primo luogo, la norma ci dice che la p.a. non può revocare ad nutum il provvedimento
amministrativo, ma devono sussistere particolari condizioni che possono portare alla revoca del prov. amm. e
quindi si parla di: sopravvenuti motivi di pubblico interesse, mutamento della situazione di fatto non
prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o di una nuova valutazione dell’interesse pubblico
originario da parte della p.a.
I motivi, quindi, che possono portare alla revoca del prov. amm. sono limitati e in secondo luogo la tutela del
legittimo affidamento si esprime garantendo al privato il diritto ad essere indennizzato, (vedi secondo
capoverso, se la revoca comporta pregiudizi…).
Da un lato, i motivi sono tassativi, anche se concedono una ampia discrezionalità in capo alla p.a., dall’altro,
se il privato ha subito un pregiudizio ha diritto ad essere indennizzato.

L’ANNULLAMENTO D’UFFICIO
Art. 21 nonies
1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies (ci riferiamo alle ipotesi di
incompetenza relativa, violazione di legge ed eccesso di potere), esclusi i casi di cui al medesimo
articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento
dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi
in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20 (silenzio assenso), e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo
previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato
annullamento del provvedimento illegittimo.
Mentre per quanto riguarda la revoca il legittimo affidamento del privato è tutelato attraverso i motivi ed il
diritto ad essere indennizzato, per quanto riguarda l’annullamento d’ufficio, la tutela del privato si esprime
attraverso le ipotesi che possono dar luogo ad annullamento d’ufficio, siamo in presenza di un prov.
illegittimo adottato dalla p.a., inoltre devono sussistere ragioni di interesse pubblico, l’annullamento non può
avvenire sempre, ma entro un termine ragionevole, non superiore a diciotto mesi, e bilanciando tutti quelli
che sono gli interessi coinvolti, sia l’interesse pubblico primario ma anche gli interessi dei destinatari e dei
controinteressati del provvedimento amministrativo.

DOMANDA: Tornando al principio di proporzionalità, può essere nascosto dalla discrezionalità


amministrativa? Dato che l'adeguatezza che è uno dei criteri del principio di proporzionalit à, si basa su una
valutazione degli interessi proprio come la discrezionalità amministrativa, la linea di confine tra
discrezionalità amministrativa e principio di proporzionalità non risulta essere molto sottile? E quindi
l'eccesso di potere potrebbe in qualche modo prevalere sulla proporzionalità?
RISPOSTA: Il merito del principio di proporzionalità è quello di sindacare le scelte discrezionali della p.a.
perchè nelle ipotesi di attività vincolata, se la legge prevede che la p.a. mi deve rilasciare un determinato
documento sussistendo determinati requisiti, se tali requisiti sussistono, la p.a. deve rilasciare il
provvedimento. Il problema si pone nelle ipotesi di attività discrezionale, dove la p.a. compie una scelta.
L’eccesso di potere potrebbe prevalere sulla proporzionalità? La violazione del principio di proporzionalità è
una delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere, poi in sede probatoria dimostrare che ci sia stata una
violazione del principio di proporzionalità è davvero complicato.

PRINCIPIO DI LEGALITÀ: è sempre una domanda


Tale principio vale per tutto l’ordinamento giuridico, per il diritto amministrativo si traduce in una
sottoesposizione del diritto amministrativo alla legge.
Tra gli articolanti del principio di proporzionalità c’è il principio di riserva di legge, che ci consente di capire
qual è la legge idonea ad intervenire per disciplinare un determinato aspetto.

Lezione del 17

La scorsa settimana l’avvocato russo ha parlato dell’appello.

Oggi parleremo della fase decisoria e cosa succede quando le sentenze acquistano efficacia di cosa giudicata.
Dobbiamo parlare del giudicato amministrativo, ma per parlare dell’efficacia del giudicato dobbiamo prima
parlare delle tipologie di sentenze che può emanare il giudice amministrativo. Distinguiamo:

1. Le sentenze di rito
2. Le sentenze interlocutorie
3. Le sentenze di merito
Le prime due provvedono solo sul processo (per es. sono quelle sentenze con le quali il giudice
amministrativo dispone i mezzi istruttori o sentenze interlocutorie dove il ga chiede alla pa dei chiarimenti)

Poi abbiamo le sentenze di merito che si dividono in

4. le sentenze definitive🡪 sono le sentenze che definiscono la controversia


5. sentenze non definitive🡪 sono quelle che comunque decidono nel merito ma o accolgono o
respingono una o tutte le domande che sono cumulate all’interno di un unico processo però non
definiscono la controversia (per es decidono respingendo o accogliendo un’eccezione sollevata da
una delle parti )
distinguiamo inoltre:

6. Sentenze endoprocessuali🡪 sono quelle che riguardano il rito cioè quelle che si esauriscono
nell’ambito del processo definendo per es accogliendo l’eccezione di una delle parti
7. Sentenze extraprocessuali🡪 sono delle vere e proprie sentenze di merito che sono identificate come
sentenze che producono effetti sia all’interno del processo che nella realtà materiale.
Quale res giudicata può provenire da una sentenza del ga?

Gli effetti del giudicato amministrativo si dividono in 3 tipologie:


8. L’effetto costitutivo di annullamento🡪 consiste nell’eliminazione dell atto impugnato
9. Effetto conformativo🡪 che è collegato alla permanenza in capo all’amministrazione soccombente
del potere/dovere di emanare un nuovo provvedimento amministrativo che si conformi al precedente
giudicato costitutivo di annullamento.
10. L’effetto ripristinatorio🡪 quello che comporta la retrodatazione dell’annullamento giurisdizionale
dal quale deriva l’obbligo dell’amministrazione di ripristinare in favore del ricorrente vittorioso la
situazione che esisteva di fatto e di diritto prima dell’emanazione dell’atto di annullamento
L’effetto costitutivo di annullamento è presente in tutte le sentenze di annullamento mentre l’effetto
conformativo e l’effetto ripristinatorio sono soltanto degli effetti eventuali, e quindi che possono verificarsi
solo se ci sono alcune condizioni.

L’effetto ripristinatorio si può verificare solo quando è possibile ripristinare lo stato di fatto e di diritto
precedenti alla sentenza di annullamento (se è stato emanato un decreto di esproprio e il ga lo ha ritenuto
illegittimo e quindi c’è l’annullamento del decreto di espropriazione ma non è sicuro che si verifichi l’effetto
ripristinatorio perchè ad es la casa oggetto di esproprio è stata abbattuta dalla pa in questo caso l’effetto
ripristinatorio non ci può essere)

L’effetto conformativo si verifica quando non ci siano quelle sentenze autoesecutive cioè quelle sentenze che
impongono una futura azione alla pa a cui la pa deve attenersi.

Vediamo ora cosa si intende per giudicato amministrativo

Vediamo il dlg.104/2010 e vediamo che nel codice manca una norma che si occupa del giudicato
amministrativo e questo istituto noi lo troviamo all'interno del diritto processuale civile e gli art di
riferimento sono 2: articolo 124 cpc 🡪 definizione di giudicato formale e art 2909 🡪 definizione di giudicato
sostanziale materiale.

Cosa si intende per cosa giudicata? Per cosa giudicata si intende una pronuncia del ga giurisdizionale che
non è piu soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione (o perchè sono decorsi i termini per il loro
esperimento oppure sono stati esperiti i mezzi di impugnazione ma questi sono stati proposti senza successo
e quindi non è più possibile contestare quanto affermato nella sentenza)

Le pronunce giurisdizionali passate in giudicato diventano intangibili.

Nei confronti della sentenza del ga passata in giudicato è possibile esperire delle azioni straordinarie che
sono: RICORSO PER REVOCAZIONE (nei casi previsti dall’art 395 cpc n 1-2-3-6) e L’OPPOSIZIONE DI
TERZO

In questo caso il giudicato formale statuisce la cd IRRIPETIBILITà DELLA CONTROVERSIA, impedisce


che si formino nuove contestazioni relativamente a quanto è stato oggetto della controversia.

Il giudicato formale🡪 rappresenta l’intangibilità della sentenza del ga e soprattutto comporta la cd.
L’irripetibilità della controversia.

Il giudicato sostanziale invece indica incontrovertibilità dell’accertamento contenuto nella sentenza che passa
in giudicato, accertamento che fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa.

Il giudicato sostanziale diventa incontrovertibile e diventa intangibile all’interno delle parti del giudizio gi
eredi e gli aventi causa. Quindi vedete l’art 2909 cristallizza il giudicato sostanziale e quindi questo si puo
ritenere efficacia soggettiva del giudicato amministrativo materiale.
Di recente sulla questione è intervenuta un'importante sentenza della adunanza plenaria del consiglio di stato
sentenze n4 del 27/02/2019 che viene reiterata in una sentenza gemella n 5 del 27/02/2019 queste 2 sent
chiariscono la regola degli effetti soggettivi che nascono dalla sentenza del giudice amministrativo,

sono due sentenze gemelle che hanno ad oggetto due questioni diverse ma nella motivazione sono uguali. In
queste due sentenze l’adunanza plenaria si occupa degli effetti costitutivi di annullamento e degli effetti del
giudicato amministrativo nei confronti dei terzi. Il giudicato amm viene sottoposto alle stesse regole del cpc
e quindi il GIUDICATO OPERA SOLO INTER PARTES, le parti, gli eredi e gli aventi causa.

Nella sent n 4 si legge “I casi di giudicato con effetti ultra partes sono eccezionali e si giustificano in ragione
dell’inscindibilità degli effetti dell’atto o dell’inscindibilità del vizio dedotto” si dice che ci sono delle
situazioni eccezionali in cui è possibile che gli effetti del giudicato amministrativo vadano oltre la regola
dell’art 2909 e quindi produce i suoi effetti ultra partes in ragione dell'inscindibilità degli effetti o del vizio
dedotto. La sentenza continua “l’indivisibilità degli effetti del giudicato presuppone l’esistenza di un legame
altrettanto inscindibile fra le posizione dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile, logicamente, ancor
prima che giuridicamente, che l’atto annullato possa continuare ad esistere per quei destinatari che non lo
hanno impugnato

L’adunanza poi indica dei casi in cui il giudicato possa produrre i suoi effetti ultra partes richiamando quanto
sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza

11. L’annullamento di un regolamento


12. Annullamento di atto plurimo inscindibile (es decreto di esproprio di un bene in comunione)
13. L’annullamento di un atto plurimo scindibile, se il ricorso viene accolto per un vizio comune alla
posizione di tutti i destinatari (il decreto di approvazione di una graduatoria concorsuale che viene
travolto da un vizio comune) che cosa succede se viene annullata la graduatoria? L’annullamento
produce effetti ultra partes anche nei confronti di quei soggetti che non hanno promosso l’azione di
annullamento
14. L’annullamento di un atto che provvede unitariamente nei confronti di un complesso di soggetti (es
il decreto di scioglimento di un consiglio comunale)
L’annullamento produce effetti ultra partes mentre l’inscindibilità riguarda solo l’effetto caducatorio, di
annullamento (e non anche per l’effetto conformatorio e ripristinatorio) perché solo in riferimento a tale
effetto si crea la situazione di incompatibilità logica che un atto inscindibile possa non esistere per alcuni e
continuare ad esistere per altri.

Continuiamo il discorso di prima.

Ci siamo fermati dicendo che ci sono delle eccezioni in quanto gli effetti del giudicato amministrativo che, ai
sensi dell’art. 2909, fanno stato tra le parti, gli eredi e gli aventi causa si riferiscono anche ad altri soggetti
che inter partes l’Adunanza plenaria ricorda come ci siano dei provvedimenti amministrativi il cui
annullamento produce questi effetti al di fuori dei soggetti direttamente coinvolti nella fattispecie processuale
e traduce, questa situazione che deriva dalla inscindibilità vuoi del provvedimento amministrativo vuoi del
vizio rilevato riguarda solamente l’effetto di annullamento, quindi l’effetto demolitorio perché rispetto a
questo unico effetto si crea quella situazione di incompatibilità logica, aspetto più importante della Sentenza,
che un atto inscindibile possa non esistere per uno e continuare ad esistere per altri soggetti. Quindi
l’efficacia dell’annullamento può essere prospettata anche al di fuori della specifica fattispecie
processuale. Ma la sentenza prosegue, avviandosi alla conclusione con l’indicazione del principio di diritto,
in carattere corsivo: «ben diverso è il discorso per ciò che concerne gli ulteriori effetti del giudicato
amministrativo, non soltanto quello ripristinatorio e conformativa ma soprattutto quello di accertamento
della pretesa o l’effetto ordinatorio – per cui il giudice ordine un qualcosa alla PA – art.2 del d.lgs 241
L’adunanza plenaria prosegue dicendo che secondo un risalente e consolidato orientamento della
giurisprudenza, al quale si schiera anche l’adunanza plenaria, gli effetti di accertamento di una pretesa e,
conseguenzialmente a tale accertamento, quello ordinatorio e conformativo operano soltanto inter-
partes essendo soltanto le parti legittimate a far valere la violazione di obblighi conformativi o
dell’accertamento della pretesa contenuta nel giudicato; cioè soltanto le parti del processo sono
legittimate a far valere o la violazione di un obbligo conformativo o l’accertamento della pretesa
contenuta nel giudicato.

Questa ipotesi eccezionale della estensione del giudicato a soggetti intra partes riguarda soltanto l’efficacia
cassatoria, caducatoria della sentenza del giudice amministrativo.

Alla luce di tutto quanto detto il consiglio di stato afferma il principio di diritto:

il giudicato amministrativo ha di regola effetti limitati alle parti del giudizio e non produce effetti a favore
dei cointeressati che non abbiano tempestivamente impugnato.

Dunque, perché ci sia l’applicazione degli effetti giuridici di un giudicato amministrativo bisogna proporre
ricorso perché, dice la norma, il giudicato amministrativo fa stato soltanto fra le parti del giudizio oppure può
essere estesa agli eredi, agli aventi causa delle parti del giudizio ma non può avere efficacia esterna – non
produce effetti a favore dei cointeressati che non abbiano tempestivamente impugnato. I casi di estensione
del giudicato inter partes sono eccezionali e si giustificano in ragione della inscindibilità degli effetti
dell’atto o dell’inscindibilità del vizio dedotto, in particolare ricordate bene quell’aspetto dell’annullamento
di una graduatoria per un vizio che ne stravolge l’intera graduatoria oppure l’annullamento di un atto del
consiglio comunale; in particolare si legge in questo principio di diritto: l’indivisibilità degli effetti del
giudicato presuppone l’esistenza di un legame altrettanto indivisibile tra le posizione dei destinatari in
modo da rendere inconcepibile, ancor prima logicamente che giuridicamente, che l’atto possa continuare
ad esistere per i destinatari che non lo hanno impugnato. Vedete che c’è questa incompatibilità che fa si
che non possa verificarsi mai che l’atto per alcuni sia annullata e per altri no. Per tale ragione deve
escludersi che l’indivisibilità possa operare per gli effetti diversi degli effetti demolitori e quindi per gli
effetti conformati, ordinatori, additivi o gli accertamenti della pretesa che opera soltanto nei confronti
delle parti del processo.

Il principio di diritto:

Il giudicato amministrativo ha di regola effetti limitati alle parti del giudizio e non produce effetti a favore
dei cointeressati che non abbiamo tempestivamente impugnato. I casi di giudicato con effetti ultra partes
sono eccezionali e si giustificano in ragione dell’inscindibilità degli effetti dell’atto o dell’inscindibilità del
vizio dedotto: in particolare, l’indivisibilità degli effetti del giudicato presuppone l’esistenza di un legame
altrettanto inscindibile fra le posizione dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile, logicamente,
ancor prima che giuridicamente, che l’atto annullato possa continuare ad esistere per quei destinatari che
non lo hanno impugnato. Per tali ragioni deve escludersi che l’indivisibilità possa operare con riferimento
a effetti del giudicato diversi da quelli caducanti e, quindi, per gli effetti conformativi, ordinatori, additivi
o di accertamento della fondatezza della pretesa azionata, che operano solo nei confronti delle parti del
giudizio.

Quindi se volessimo riassumere questo principio fondamentale espresso dall’adunanza plenaria:

l’efficacia soggettiva del giudicato amministrativo fa sempre stato tra le parti ai sensi dell’art.2909 c,c,;
quindi soltanto chi impugna un provvedimento amministrativo o lo pone in azione davanti al giudice
amministrativo può ottenere l’efficacia soggettiva del giudicato amministrativo. Ci sono delle ipotesi in cui
eccezionalmente soltanto l’efficacia costitutiva di annullamento può, in maniera eccezionale esplicare i suoi
effetti ultra partes e cioè al di fuori delle parti del giudizio e quindi anche a coloro che non hanno impugnato
il provvedimento e chiesto ed ottenuto l’annullamento. Vi sono, quindi, ipotesi in cui o l’inscindibilità degli
effetti dell’atto o l’inscindibilità del vizio evidenziato dal giudice fanno si che, in pochi casi, l’efficacia
soggettiva del giudicato amministrativo produca gli effetti anche nei confronti dei soggetti che non sono stati
parte del giudizio, anche contro la regola dell’art. 2909 – perché in questi casi l’indivisibilità degli effetti
del giudicato presuppone l’esistenza di un legame altrettanto indivisibile tra le posizioni dei destinatari
in modo da rendere inconcepibile che l’atto annullato possa continuare ad esistere per i destinatari che non
hanno impugnato ma l’estensione del giudicato inter partes si ha solamente per l’efficacia costitutiva di
annullamento e mai per gli effetti del giudicato diversi da quelli caducanti e, quindi, per gli effetti
conformativi, ordinatori, additivi o di accertamento della fondatezza della pretesa azionata, che
operano solo nei confronti delle parti del giudizio e che esplicano i loro effetti soltanto all’interno della
fattispecie processuale e nei confronti di coloro che hanno azionato un atto giurisdizionale davanti al
giudice competente, GA.

Questo è un discorso relativo all’efficacia soggettiva del giudicato.

Riassumendo:

 Cosa giudicata si riferisce ad una situazione di immodificabilità, incontrovertibilità di un


provvedimento del giudice. Quando si verifica questa situazione di immodificabilità di quanto
statuito dal GA? O quando sono stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione o quando, per il decorso
dei termini, gli stessi mezzi non sono più esperibili od ancora quando non è intervenuto per sua
scelta ossia quando le parti hanno accettato quella situazione ma l’accettazione della situazione
significa che non siano stati esperiti i mezzi di impugnazione o non sono state accolte dal giudice.
 Giudicato in senso formale è quello che ereditiamo dall’art.324 cpc
 Giudicato in senso sostanziale è rinvenibile nell’art.2909 con tutte le eccezioni viste.
Qual è la ratio alla base del giudicato amministrativo?

La ratio è la stessa ossia la certezza dei rapporti giuridici, questa richiede che il provvedimento del giudice
che statuisce su una determinata controversia sia, anche solo parzialmente, definitivo oppure non più
suscettibile di modifica perché la PA deve avere la certezza della definitività della questione; quindi, il
giudicato amministrativo, anche con il passare di poco tempo, diventa cosa giudicata per garantire questa
certezza. Naturalmente il giudicato comporta quanto agli effetti l’incontrovertibilità della regola dettata dal
giudice nella sentenza in relazione a quella determinata fattispecie processuale concreta; naturalmente
l’incontrovertibilità non significa l’immodificabilità degli effetti giuridici ma impossibilità di porre a
riesame, ad una nuova valutazione la decisone salvo che non sopraggiungano motivi ed elementi nuovi da
modificare. Quindi incontrovertibilità vuol dire impossibilità di porre la decisione ad un nuovo riesame salvo
che non sopraggiungano motivi nuovi.

Un altro effetto che deriva dal giudicato è l’effetto che si dice preclusivo per le parti di chiedere al giudice
di pronunciarsi di nuovo sulla medesima fattispecie/questione, la regola conosciuta come il ne bis in
idem.

Si è detto prima che cosa si intende per cosa giudicata formale ossia quel fenomeno della incontrovertibilità
della sentenza come atto e quindi l’impossibilità di porre ad un nuovo riesame la sessione e si è detto che la
sentenza passa in cosa giudicata formale, ex art. 324 cpc, quando non è più soggetta né a regolamento di
incompetenza né a mezzi di impugnazione ordinaria – ricorso in appello – e tanto meno ai rimedi straordinari
– ricorso per revocazione di cui ai motivi dei n. 4/5 dell’art. 395 e ricorso per cassazione.

L’art. 324 cpc, se vogliamo, correla la cosa giudicata formale alla consumazione del potere di impugnazione;
quando si consuma il potere di impugnazione di una determinata statuizione giurisdizionale si ha il
giudicato formale e quindi si considera la sentenza, indipendentemente dal suo contenuto processuale
o di merito, passata in giudicata e contro la quale non è più possibile esercitare il potere di
impugnazione. Questo è possibile sia per mancato esercizio nei termini di legge e sia perché si è esaurito il
potere stesso, impossibilità di porre a riesame una decisione perché non si può chiedere al giudice di
pronunciarsi nuovamente sulla stessa questione.

Il passaggio in giudicato implica una modifica della situazione giuridica della sentenza che consiste nel
passaggio dalla situazione di sentenza soggetta ai mezzi ordinari di impugnazione alla situazione di una
sentenza che diventa non più impugnabile; sentenza che diventa nel suo contenuto, statuizione,
incontrovertibile, inoppugnabile. Nel caso della sentenza della Corte di cass tale modifica non può
verificarsi non essendo tali sentenze soggetto ai mezzi ordinari di impugnazione tanto che la
revocazione, come si vedrà nel testo e nella parte scritta dalla prof, per errori di fatto ai sensi dell’art. 395, n.
4 cpc perde, nei confronti della sentenza della Corte di cass, la natura ordinaria di mezzo di impugnazione
per assumere la natura di mezzo di impugnazione straordinario.

Ricapitolando i provvedimenti idonei al passaggio in giudicato, abbiamo detto quali sono le sentenze che
possono passare in giudicato e il perché a queste sentenze si applicano queste due distinzioni di giudicato
formale e sostanziale; le sentenze sono:

 Le sentenze di rito
 Le sentenze di merito
 Le sentenze definitive
 Le sentenze non definitive
Ricordate la differenza tra le sentenze di rito e di merito, di merito definitive e non definitive.

Possono passare in giudicato sia le sentenze di primo grado che quelle di secondo grado; contro queste
ultime qualora non siano più possibile proporre i rispettivi mezzi di impugnazione ossia i rimedi
straordinari. Possono passare in giudicati anche i provvedimenti diversi dalle sentenze che sono in
conclusione ad un procedimento sommario o ad un rito semplificato, si pensi ai provvedimenti cautelari
o ai provvedimenti formali.

Qui l’audio della prof è saltato dal min---- al min 28:30.

Tra le tipologie dei provvedimenti che possono essere idonee a passare in giudicato ci sono i provvedimenti,
diversi dalle sentenze, che chiudono e rappresentano una res iudicata per un procedimento vuoi che sia di
carattere sommario, semplificato o che sia di carattere cautelare (ricordiamo che le ordinande cautelari
possono passare in giudicato quando non è esperito appello avverso il provvedimento cautelare).

Dice la corte di cassazione che la sentenza di primo grado passa in giudicato se proposto appello viene
dichiarata l’inammissibilità o improcedibilità dell’appello stesso e la sentenza che rigetta il ricorso in
cassazione fa passare in giudicato la sentenza di appello o quella di primo grado impugnata. Quindi sono
delle disposizioni processuali che statuiscono anche il passaggio in giudicato qualora ci sia l’inammissibilità
o l’irricevibilità di un mezzo di impugnazione.

Cosa si intende per giudicato interno ed esterno?

 Giudicato interno: è il giudicato che si forma all’interno del processo e a conclusione del quale
è pronunciata la sentenza; tale giudicato spiega gli effetti tra le parti che sono parte di quella
fattispecie processuale e dunque non spiega gli effetti all’esterno ed in un diverso processo. Si
forma all’interno di quella fattispecie processuale che è a conclusione di un giudizio nella quale
è stata pronunciata la sentenza.
 Giudicato esterno: è un giudicato che si è formato all’interno di un processo diverso da quello a
conclusione del quale è stata pronunciata la sentenza; tale giudicato opera all’interno di
processi diversi che si sono istaurati tra le medesime parti – una parte può così richiamare un
giudicato che si è formato al difuori di quel determinato rapporto processuale, in un diverso
processo – in questo caso si parla di giudicato esterno.
Entrambi i giudicati sono rilevabili d’ufficio dal giudice e anche in cassazione; inoltre, il giudicato esterno è
rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità, dunque in cassazione purché risulti da atti già prodotti nei
precedenti giudizi di merito non essendo possibile la loro produzione per la prima volta in cassazione.

Per quanto riguarda il contrasto tra giudicati, nel caso che vi siano più giudicati in contrasto tra di loro, ai
fini di stabilire quale dovrà prevalere l’uno sugli altri si applica il criterio cronologico in base al quale
qualora sulla medesima questione si siano formati giudicati differenti e contrastanti tra di loro il
secondo giudicato prevale, in ogni caso, sul primo sempre se la seconda sentenza contraria ad altra
sentenza precedente non sia stata sottoposta a revocazione. Nel caso tale sentenza sia soggetta a
revocazione occorre aspettare il giudizio di revocazione e nel caso venisse revocata la seconda sentenza,
prevale la prima sentenza.

Per la seconda parte vi proporrei qualcosa che non si trova nel libro e che di recente e stata sottoposta
all’Adunanza plenaria e di cui siamo in attesa del responso dell’organo di giustizia amministrativa.

La questione è questa:

il consiglio di stato, sez IV, con ordinanza datata 10 novembre 2020 n. 6925 ha devoluto all’adunanza
plenaria la seguente questione:

la nomina di un commissario ad acta fa venir meno il potere di provvedere in capo alla PA oppure è fatto
sempre salvo il potere della PA di provvedere? Nel caso provveda come si pone questo secondo atto nei
confronti dell’atto emanato dal commissario ad acta?

Com’è stato detto quando c’è la nomina di un commissario ad acta succede che quest’ultimo, nominato
all’interno di un giudizio di ottemperanza, si sostituisce alla PA. Allora la questione che ha posto il consiglio
di stato è molto interessante.

Chiudiamo il discorso di oggi con questa interessante ordinanza. Ripeto: la sez. IV del Consiglio di Stato con
questa ordinanza 10 novembre 2020 n. 6925 pone questo quesito. Vi ricordate che cosa dice l’art. 99 terzo
comma del codice del processo amministrativo? Riporto testualmente il primo comma dell’art: “La sezione
cui è assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare
luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o d'ufficio può rimettere
il ricorso all'esame dell'adunanza plenaria...”
E anche il secondo comma dice: “Prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta
delle parti o d'ufficio, può deferire all'adunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di
massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali.” Questo deferimento
che andremo a vedere è perché sul punto ci sono attualmente due opposti orientamenti giurisprudenziali. E
qual è la questione? Prima di tutto andiamo a leggere la norma di riferimento in tema di commissario ad acta.
La norma di riferimento è l’art. 117 terzo comma. Se vi ricordate quando avete parlato del ricorso avverso
il silenzio, quest’ultimo si studia analizzando la norma di carattere procedimentale (art. 2 l.241/1990 nella
sua interezza), analizzando l’art. 31 del cpa che parla dell’azione avverso il silenzio della pubblica
amministrazione e poi analizzando l’art.117 che parla proprio del procedimento di carattere tecnico
processuale del ricorso avverso il silenzio. Vi ricordate l’art. 117 che abbiamo analizzato insieme cosa
recita? Questo ricorso è proposto anche senza una previa diffida (perché ormai abbiamo l’art.2 che stabilisce
che la pubblica amministrazione ha l’obbligo di provvedere entro 30 giorni), poi come atto notificato nel
termine di cui all’art. 31 co.2. Qual è il termine entro cui io posso proporre azione avverso il silenzio?
L’azione può essere proposta fintanto che perduri l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla
scadenza del termine di conclusione del procedimento. Riprendiamo l’art. 117 terzo comma. Questo art.
dice che il ricorso è deciso con la sentenza in forma semplificata e “il giudice nomina, ove occorra, il
commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte
interessata.” Questo commissario ad acta cosa può fare? Si sostituisce alla pubblica amministrazione
rimasta inerte. Cosa deferisce questa sezione IV del consiglio di stato novembre 2020? Dice che vanno
rimesse due questioni all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. La prima: se la nomina del commissario
ad acta oppure il suo insediamento comportino (per l’amministrazione soccombente, che è rimasta inerte in
questo giudizio) la perdita del potere di provvedere sull’originaria istanza (di fronte al quale la pa appunto è
rimasta inerte) e dunque se l’amministrazione possa provvedere tardivamente rispetto al termine fissato dal
giudice amministrativo fino a quando il commissario ad acta eserciti il potere conferitogli. E nell’ipotesi
affermativa, cioè, quale sia il regime giuridico degli atti del commissario ad acta che non abbia tenuto conto
dell’atto tardivo e rimane un atto piuttosto incoerente. Quindi comporta la nomina del commissario ad acta
la perdita del potere di provvedere sull’originaria istanza? Oppure l’amministrazione può provvedere
tardivamente rispetto al termine fissato dal GA fino a quando il commissario ad acta eserciti il potere a lui
conferitoli? Ed in questo caso se ci sono due atti, che regime giuridico si applica all’atto del commissario
ad acta che non tenga conto del provvedimento tardivo della PA ed emani un atto in contrasto con tale
provvedimento tardivo? Inoltre, per il caso in cui si ritenga sussista, a partire da una certa data,
esclusivamente il potere del commissario ad acta – nominato per sostituire – qual è il regime giuridico
dell’atto emanato tardivamente dalla PA?

Quindi per la prima questione è se perde la PA questo potere di provvedere qualora il commissario ad acta
sia stato nominato e si sia già insediato e quale sia il regime giuridico dell’atto del commissario ad acta
qualora la PA provveda e l’atto del commissario ad acta sia incoerente con il provvedimento, seppur tardivo,
emanato dalla PA.

La seconda questione è: qualora, invece, si consideri che l’unico potere che sia possibile che esista in questo
momento del processo sia quello del commissario ad acta, qual è il regime giuridico del provvedimento
adottato dalla PA?

Andiamo a vedere quali sono i due orientamenti secondo questa importante ordinanza dell’adunanza
plenaria.

- Secondo il 1° orientamento, secondo una prima risalente impostazione, il podere/dovere della PA di


dare attuazione alla pronuncia viene meno già dopo l nomina del commissario ad acta.
- Per un altro orientamento, dice il consigli di stato maggioritario nella giurisprudenza più recente, il
cd esautoramento dell’organo di inottemperanza ossia il venir meno del potere in capo
all’organo inadempiente si verificherebbe solo con l’operatività della investitura del commissario
o, dopo il suo insediamento, che attuerebbe il definitivo trasferimento del numus pubblico dall’ente
che ne è titolare per legge a quello che ne viene titolare in ragione della sentenza del GA.
Questo è un orientamento “mediato” perché un orientamento ci dice che la PA non ha più alcun
potere di provvedere dopo la nomina del commissario ad acta mentre l’altro ci dice che la PA si
svuota del potere di provvedere solo laddove diviene operativa l’atto di investitura del commissario
ad acta cioè dopo che si trasferisce il numus pubblico – potere di provvedere – dall’ente che ne è
titolare per legge a quello che ne diviene titolare in ragione della sentenza del GA.
Qui ci sono delle sfumature. La giurisprudenza successiva si chiede quale sia il momento
dell’insediamento? Secondo la quale si intende come momento dell’insediamento il momento nel
quale viene redatto il verbale di induzione. Altra giurisprudenza dice che l’insediamento del
commissario ad acta – nella duplice veste di ausiliario del giudice e di organo straordinario di
amministrazione adempiente – è surrogata prima quest’ultima della potestà di provvedere.

Invece, un altro orientamento – se volgiamo un terzo ma che la iv sezione riconoscere essere una
giurisprudenza recente ma meno seguita – dice: la competenza del commissario a provvedere rimane
concorrente con quella della PA, la quale continua ad operare nell’ambito delle attribuzioni che la
legge le riconosce e che non prevede che vengano estinte con l’insediamento del commissario.

Gli ordinamenti secondo questa ordinanza sono addirittura 3:

1. 1° orientamento che dice che la nomina del commissario ad acta priva del tutto
l’amministrazione nel provvedere dal momento della nomina.
2. 2° orientamento a metà dice che l’amministrazione viene si privata del potere di provvedere ma
non direttamente con la nomina del commissario bensì quando vi è l’insediamento del
commissario. Questo si ha quando c’è il verbale di immissione, momento successivo alla nomina,
oppure quando c’è il trasferimento delle funzioni del numus dal soggetto PA al commissario per
effetto di questa sentenza che si deve rispettare.
3. Altro orientamento dice che la PA continua ad avere l’obbligo di provvedere concorrente a tale
potere che non può essere disconosciuto, neanche con un atto di insediamento e che considera
la PA sempre e comunque titolare del potere/dovere di provvedere, in questo caso si
assisterebbe ad una situazione di concorrenza tra PA – inadempiente o che provvede
tardivamente- e l’atto posto in essere dal commissario ad acta.
Tutto questo si riversa sul regime giuridico degli atti adottati:

1. I primi due orientamenti, dice il consiglio di stato, prospettano una soluzione analoga tale per cui
il regime giuridico dell’atto adottato dalla PA, qualora si definisca che l’amministrazione
ravversi (??) il suo modo di provvedere o con la nomina o con l’atto di affidamento e quell’atto
eventualmente posto in esse è considerato NULLO.
2. Per quanto riguarda l’orientamento che prevede la situazione di concorrenza – che la PA continua a
conservare il suo potere e quindi si consideri un potere concorrente PA e commissario ad acta – di
per sé non risulta viziato l’atto con cui la PA competente emani il provvedimento e dunque non può
essere considerato atto nullo; dice questo, per un ragionamento al quale la prof si sente di
condividere, perché c’è il principio di legalità che, dice la sentenza, legato all’art. 97 della
costituzione che individua la competenza della autorità amministrativa che hanno il potere/dovere di
esaminare le istanze sottoposte al suo esame. L’art. 97 stabilisce che solo una disposizione di legge o
una sentenza del giudice, di per se basata sulla legge, può incidere sull’ambito di questa competenza
che non può essere fatta fuori. Il GA in seguito alla nomina del commissario ad acta può incidere
si anche decidendo nel senso che l’organo amministrativo costituzionalmente competente,
superata una certa data e dopo la nomina del commissario ad acta, non possa più provvedere
però in assenza di una chiara ed univoca determinazione del GA sulla perdita del potere
dell’organo ordinariamente competente si può continuare a considerare ancora persistente la
competenza attribuita in via ordinaria dalla legge alla PA, rispettando così il principio di
legalità dell’art. 6 sulle competenze, nonché soprattutto il principio di certezze dei rapporti di
diritto pubblico.
Quindi se non c’è una espressa previsione in capo al GA nella sua sentenza che dice “dal momento stesso
della nomina o dal momento stesso dell’insediamento l’amministrazione non può più provvedere”, rimane
questa possibilità della PA. Inoltre, il consiglio di stato ribadendo questo potere che dovrebbe permanere, se
non vi è una chiara disposizione da parte della legge o una chiara statuizione del GA, pone la giustificazione
che si violerebbe il principio della responsabilità dei titolari dei pubblici uffici in connessione con l’art.28, il
quale si riflette nella individuazione dei loro doveri e nelle conseguenze delle loro violazioni. I funzionari
sono responsabilmente tenuti all’adozione di un provvedimento amministrativo.
Risolvendo questa questione dice il consiglio di stato che si potrebbe risolvere affermando che: salvo una
diversa e chiara e univoca statuizione del giudice, che ha nominato il commissario, l’organo
istituzionalmente competente possa e debba provvedere. Del resto, ogni possibile divergenza o mancata
collaborazione tra questi e il consiglio di stato può essere rapidamente risolta mediante la richiesta di
chiarimenti al GA. Il consiglio di stato dice che per il caso in cui si ritenga che l’organo istituzionalmente
competente perda i suoi poteri/doveri a seguito della nomina o dell’insediamento del commissario, il GA
dubita fortemente che l’atto tardivo da parte dell’organo istituzionalmente competente si possa considerare
nulla. Il consiglio di stato sta prendendo una posizione e dice: se si dovesse seguire il primo orientamento
dubito fortemente che i provvedimenti posti in essere dalla PA, seppur tardivamente, possa considerarsi atto
nullo, perché il difetto delle attribuzioni, art.21 septies, riguarda i casi in cui una determinata autorità
amministrativa non può emanare provvedimento perché non ne ha alcuna attribuzione in materia – è carente
di potere. Il difetto assoluto di potere è quando la PA non ha il potere.

Bene diverso, dice il Collegio, è il caso in esame in cui si è rifatto il potere dovere della PA di concludere il
procedimento, come ribadito dal GA però in questo caso, siccome non lo si può esercitare o lo si fa
tardivamente, l’esercizio tardivo non fa si che l’atto venga considerato nullo. Il decorso del termine per
l’esercizio del potere pubblico non comporta la perdita del potere medesimo, potendosi considerare
l’annullabilità dell’atto quantomeno quanto il termine si consideri perentorio. Quindi, il Consiglio dice
che sotto tale aspetto l’atto tardivo dell’organo costituzionalmente competente potrebbe essere
adeguatamente esaminato nella ordinaria sede di giurisdizione di legittimità, a seguito di un tempestivo
ricorso, non potendo vulnerarsi – ledersi – il principio di certezza dei rapporti di diritto pubblico per il
fatto in se che vi sia stata la nomina o l’insediamento del commissario.

Vedete che già questo consiglio di stato prende posizione e per tale consiglio è possibile l’ipotesi in cui la
PA, nonostante vi sia la nomina o l’insediamento del commissario ad acta, continui a potere esercitare questo
suo potere/dovere di emanare provvedimento, seppur tardiva, e nel caso lo emani non è da considerarsi nulla
ma quantomeno annullabile e magari sottoposto ad una dedita impugnativa – magari entro 60 gg – per
rilevarne dei motivi eventualmente di contrasto con il precedente atto (ad opera del commissario ad acta che
lo ha emanato su espresso sua statuizione dall’organo giurisdizionale). Ecco perché l’emanazione terza,
nell’ultima parte della statuizione, dice i corsi di diritto sono due; il collegio ritiene che per definire il
giudizio occorrerà investire l’adunanza plenaria sui seguenti requisiti:

1. Se la nomina del commissario ad acta o il suo insediamento comportino che la PA comportino per la
PA soccombente, ne giudizio proposto avverso il suo silenzio, la perdita del potere di provvedere
sulla originaria istanza e dunque che l’amministrazione possa provvedere tardivamente rispetto al
termine fissato dal GA e fino a quando il commissario ad acta eserciti il potere conferitoli.
2. Oppure, per il caso in cui ritenga che sussista, a partire da una certa data, esclusivamente il potere del
commissario ad acta quale sia il potere giuridico dell’atto emanato tardivamente.
La sentenza conclude che valuterà l’adunanza plenaria se per la soluzione di tali quesiti occorra
affrontare anche le questioni che possono sorgere quanto la nomina del commissario ad acta sia
disposta non con sentenza che si sia pronunciata sul silenzio della PA ma con una sentenza di
cognizione, nella quale il giudice conosce della fondatezza della pretesa dell’istanza, anche di
annullamento dell’atto impugnato (art.34 co 1, lett. E) oppure con una sentenza regia nell’esercizio di
una giurisdizione di merito di cui all’art.114, co 4, lett. B del cpa e cioè la sentenza del giudizio di
ottemperanza.

La prof consiglia di scaricare la sentenza: Consiglio di stato, sez.IV, ordinanza n.6925 del 10.11.2020.

Questa sentenza ricollega tutti gli istituti.


SEMINARIO DEL 19/12 (N.B. NELLO STUDIO DI QUESTO SEMINARIO CONSULTATE LE NORME
INDICATE NEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI “GATTI”)

Oggi parleremo del codice degli appalti. Cosa sono gli appalti, cosa sono i contratti pubblici e della legge di
semplificazione per l’emergenza covid-19.
Cosa sono i contratti pubblici? Sono i contratti stipulati tra i privati e la pa, e quindi la pa attraverso la stipula
del contratto si mette nella stessa posizione del privato, ma a differenza di un contratto tra privati dove si
persegue un interesse privato ( es. io voglio acquistare un motorino) nei contratti pubblici si persegue un
INTERESSE PUBBLICISTICO che è lo stesso interesse che la legge ha conferito a quella determinata pa (si
pensi ad es all’interesse pubblico che deve perseguire l’università che è quello della ricerca e quindi non
potrebbe partecipare ad una gara per lo smaltimento rifiuti). L’interesse pubblico quindi viene individuato
dal legislatore il quale fa si che quella pa pongo in essere tutti una serie di atti volti a soddisfare l’interesse
pubblico.
Nel nuovo codice appalti (dlgs 50/2016) per individuare questo codice si è utilizzata la locuzione codice dei
contratti pubblici e non piu la locuzione “codice degli appalti pubblici” perché la novità è stata prevista dalle
direttive europee che hanno introdotto in questo nuovo codice anche la disciplina relativa alla concessioni e
non solo gli appalti. Qual è la differenza tra concessione e appalto? Mentre con l’appalto noi realizziamo un
contratto tra due soggetti (da un lato la pa e dall’altro l’operatore economico) e la pa remunera l’operatore
economico, mentre nelle concessioni la pa concede, attraverso il contratto, all’operatore economico la
possibilità di esercitare determinate attività (pensate alle concessioni balneari in questo caso pero l’operatore
economico non viene pagato dalla pa ma da terzi cioe da noi che andiamo al lido, ed è l’operatore economico
che si assume il rischio di impresa).
Nel contratto pubblico come abbiamo detto c’è la stipula di un contratto tra pa e privato ma la pa non puo
scegliere liberamente il privato ma c’è una fase che viene definita PROCEDURA AD EVIDENZA
PUBBLICA quindi attraverso questa procedura si perviene alla stipula del contratto con l’operatore
economico, perche questa procedura permette alla pa di scegliere con determinati criteri previsti dal codice
dei contratti pubblici l’operatore economico. La pa deve rispettare il principio della concorrenza (deve far si
che tutti possano partecipare a questa procedura senza agevolare alcun soggetto che ha un legame di
conoscenza con la pa). Con il recepimento delle direttive europee 23/24/25 del 2014 è stato previsto il
principio di rotazione, che è un principio che deve essere necessariamente applicato e molte volte l’ANAC
sanziona le pa che non lo applicano perche questo è un principio che deve essere per forza rispettato nelle
procedure di affidamento diretto.
la direttiva 2014/23 UE è la direttiva che prevede le concessioni e poi abbiamo la direttiva 2014/24 relativa
ai contratti pubblici e la direttiva 2014/25 che riguarda i settori speciali, a seguito di quest’ultima direttiva
(nella quale è stato previsto un termine per il recepimento di 2 anni dalla sua emanazione) il legislatore
italiano adotta tale direttiva con il dlgs 50/2016 formato da 220 articoli e 25 allegati.
Il legislatore italiano con questo decreto si è adattato al problema del soft-law (ossia al problema relativo
alle norme prive di efficacia vincolante diretta), pero appena usci il codice dei contratti pubblici ci furono
varie critiche perche in effetti questo codice cosi soft non era, infatti per riempire questo codice si
richiamano le linee guida, i decreti ministeriali, subito dopo il codice c’è stato un decreto correttivo 56/2017,
poi è intervenuto la legge di bilancio del 2019 poi il decreto sblocca-cantieri poi la legge di conversione del
decreto sblocca-cantieri poi il decreto semplificazioni 2020 poi la legge 120/2020 di conversione del decreto
semplificazioni poi la legge europea 2020, quindi come vedete il quadro non è tanto leggere, softt, ma è
diventato molto complicato perche questo codice si riempie di contenuto attraverso tutti questi atti.
La legge 120/2020 che reca numerosi correttivi si adi carattere transitorio che di carattere transitivo è
intervenuta nella disciplina dei contratti pubblici nell’intento di dare un’accellerazione nelle procedure di
affidamento, sono state quindi previste delle deroghe al codice dei contratti pubblici per ampliare l’utilizzo di
procedure semplificate per quei contratti di importo inferiore alle cd. Soglie comunitarie.
Inoltre alcune norme del dpr 207/2010 previsto per il vecchio codice degli appalti, in assenza di un
regolamento attuativo del nuovo codice degli appalti, sono rimaste in vigore.
Ci si è chiesti poi se le linee guida dell’anac sono vincolanti oppure no e si è detto che mentre le linee guida
vincolanti sono quelle richiamate nelle norme del codice degli appalti e servono per integrare la disposizione
normativa , mentre le linee guida non vincolati vengono richiamate dalle norme del codice ma la norma è
completa, suggeriscono come potrebbe comportarsi la stazione appaltante quindi non la vincolano.
le linee guida sono atti amministrativi generali, sono atti di regolazione.
Successivamente ad una pronuncia del consiglio di stato si è detto che le linee guida non hanno natura
normativa in quanto non rientrano delle fonti del diritto italiani.
Tra le modifiche del dlgs 50/2016 recate dalla legge 55/2019 ricordiamo l’adozione entro 180 giorni
dall’entrata in vigore di una legge di un regolamento unico (sono passati anni e questo regolamento non è
stato ancora adottato) questo regolamento dovrebbe prevedere delle disposizioni di esecuzione, di attuazione
del codice dei contratti con le quali viene superato il problema della soft-law pero nelle more è stato
precisato che restano in vigore le linee guida ANAC e i decreti attuativi del mit.
Dall’entrata in vigore del regolamento dovrebbero cessare di avere efficacia le line guida sulle materie
specifiche disciplinate dal regolamento e quelle che saranno in contrasto con il regolamento.
Questo regolamento conterrà delle norme sui compiti del rup (responsabile unico del procedimento)
Il rup deve essere sempre presente in ogni procedura perche è il responsabile di tutta la procedura e viene
individuato solitamente dalla stazione appaltante.
I compiti del rup sono previsti all’art 31 del dlgs 50/2016 integrato con le line guida dell’anac.
Il regolamento unico deve occuparsi di tutte le fasi precedenti (che tra l’altro devono essere pubbliche) alla
stipula del contratto ma anche delle fasi successive di esecuzione del contratto. Quindi noi abbiamo due fasi
che vengono affidate a due giudici diversi:
1) la prima fase di procedura ad evidenza pubblica che termina con l’aggiudicazione spetta al giudice
amministrativo
2) Nella seconda fase dalla stipula del contratto in poi tutte le controversie relative alla fase di
esecuzione del contratto sono affidate al giudice ordinario.
Le società in house devono rispettare il codice dei contratti pubblici perche il socio è una pa quindi devono
dare evidenza di come spendono i soldi pubblici.
L’art 3 del codice prevede un elenco di soggetti che devono rispettare il codice dei contratti pubblici ad es:
le imprese pubbliche, gli organismi di diritto pubblico ecc.
all art 3 dls 50/2016 lettera “t” vediamo che per «imprese pubbliche» s’intendono, le imprese sulle quali le
amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un'influenza dominante o
perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che
disciplinano dette imprese. L'influenza dominante è presunta quando le amministrazioni aggiudicatrici,
direttamente o indirettamente, riguardo all'impresa, alternativamente o cumulativamente:
1) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto;
2) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall'impresa;
3) possono designare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza
dell'impresa
la stazione appaltante non puo procedere alla stipula del contratto prima di 35 giorni perche ci possono essere
altri operatori intenzionati a fare ricorso impugnando la determina di aggiudicazione e i termini per
impugnare questa determina sono di 30 giorni dal ricorso e i 5 giorni perche dalla determina di
aggiudicazione decorrono 5 giorni per comunicare a tutti i partecipanti dell’avvenuta giudicazione quindi la
stazione appaltante deve comunicare a tutti entro 5 giorni che ha vinto la gara e chi non ha vinto la gara
potrebbe avere interesse ad impugnare la determina di aggiudicazione e quindi per tutelare la stazione
appaltante è stato previsto il divieto di stipula del contratto prima dei 35 giorni dalla determina di
aggiudicazione.
Quello che fino ad ora è da ricordare è il quadro normativo composto dal codice dei contratti pubblici e dal
decreto legislativo in attuazione delle direttive europee. Il codice dei contratti pubblici richiedeva per
l’attuazione, l’adozione di un regolamento: questo doveva essere emanato 180 giorni successivi
all’emanazione del codice, ma purtroppo non è ancora stato emanato. Esso consta di 220 articoli più 25
allegati ma non è completo in quanto necessita, per il suo completamento, di un rinvio alla linee giuda
dell’anac e ai decreti ministeriali: da ciò, se ne deduce che la stazione appaltante può avere una visione
completa della disciplina della procedura di evidenza pubblica solo se prende in considerazione anche le
linee guida dell’anac e i decreti del MIT (ministero delle infrastrutture e dei trasporti). Per quanto riguarda le
linee guida, si era posto in dottrina il problema della loro natura giuridica in quanto, nel nostro ordinamento,
manca un riferimento alle linee guida come fonti normative. Pertanto, sono stati necessari degli interventi
interpretativi del Consiglio di Stato grazie ai quali è stato chiarito che le linee guida non sono assolutamente
dei regolamenti, e quindi degli atti normativi, ma sono solamente degli atti amministrativi generali o, anmche
detti, atti di regolazione generali. Tali linee guida possono essere vincolanti o meno: in passato, quando
l’anac non specificava quali linee guida fossero vincolanti, per guidare le stazioni appaltanti, si era affermata
l’idea, la quale è rimasta, che le linee guida fossero vincolanti solo nel caso in cui andassero a riempire la
normativa del codice dei contratti pubblici che le richiamava. In più, come già detto, tale codice è stato
chiamato codice dei contratti pubblici e non solo codice degli appalti perché, per la prima volta, è presente la
disciplina delle concessioni e perché, con l’attuazione di tale codice, le stazioni appaltanti iniziano a
stipulare contratti pubblici, i quali sono tali perché con essi le stazioni appaltanti perseguono l’interesse
pubblico adottando una specifica procedura ad evidenza pubblica. La procedura di evidenza pubblica è
chiamata così perché è caratterizzata da fasi che devono essere necessariamente pubbliche, ossia trasparenti,
nel rispetto del principio del casa di vetro enunciato da Filippo Turati. Infatti, tale procedura deve essere
limpida in tutti i suoi aspetti per poter dare perfetta attuazione ad un altro principio che governa l’intero
codice dei contratti pubblici, ossia il principio di concorrenza, elaborato per la prima volta dal legislatore
europeo. Prima della sua affermazione a livello europeo, il principio che governava l’intero codice dei
contratti pubblici era quello della contabilità perché la disciplina dei contratti pubblici era collocata nelle
legge della contabilità dello stato: ciò fa capire che, in passato, l’interesse cardine da perseguire con tale
disciplina era quello dell’economicità, dell’affidamento della commessa pubblica. Oggi, invece, pur
rimanendo il principio dell’economicità uno dei principi da perseguire, quello cardine è sicuramente il
principio della concorrenza ed infatti, con la nuova normativa in tema di contratti pubblici, si deve garantire
anche la partecipazione delle piccole e medie imprese in maniera tale che queste possano essere riconosciute,
al fianco delle grandi imprese, come affidatarie delle commesse pubbliche. La PA controlla tutto il sistema
dei contratti pubblici attraverso la programmazione, la quale è disciplinata dall’art.21 del codice dei contratti
pubblici. Tale programmazione si divide in una programmazione biennale per i servizi e per le forniture ed
una programmazione triennale per i lavori pubblici. Essa viene pubblicata sui siti delle stazioni appaltanti:
nella home page, infatti, si potrà verificare tutti gli approvvigionamenti che l’amministrazione, nel rispetto
del decreto trasparenza 33/2013, ha intenzione di fare di adottare nel biennio e tutti i lavori pubblici che ha
intenzione di porre in essere nel triennio; inoltre, si potranno vedere tutte le procedure aperte, negoziate o di
affidamento diretto (un esempio, possono essere le società in house perché, in questo caso la stazione
appaltante non ha necessità di chiedere a più operatori le offerte per pervenire ad un approvvigionamento, ma
può andare da un solo operatore economico purché motivi il suo affidamento a tale operatore - es. è
affidabile, è esperto nel campo, ecc…- e rispetti il principio di rotazione; ovviamente, bisogna ricordare che
l’affidamento diretto poteva essere realizzato, secondo la precedente normativa comunitaria, solo se la
prestazione non era superiore a 40.000 euro, con la l.120/20, una legga si semplificazione adottata in questo
periodo emergenziale, la soglia è stata innalzata a 75.000 euro per semplificare le attività della PA il cui
importo sia inferiore a tale cifra) che l’amministrazione adotta. Prima di addentrarsi nell’analisi delle varie
procedure di gare, è necessario considerare i principi che le regolano. L’art. 30 del codice dei contratti
pubblici infatti afferma quanto segue:
1. L’affidamento e l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni, ai sensi del
presente codice garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi di
economicità, efficacia, tempestività e correttezza. Nell’affidamento degli appalti e delle concessioni,
le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera concorrenza, non discriminazione,
trasparenza, proporzionalità, nonchè di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice. Il
principio di economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle
norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonchè
alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo
sostenibile, anche dal punto di vista energetico.

Qui emerge come il principio di economicità non sia più il principale regolatore della disciplina in questione,
ma possa essere scavalcato da altri principi che servono per soddisfare delle esigenze maggiormente
preminenti come le esigenze sociali.

2. Le stazioni appaltanti non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo
scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici o, nelle procedure di
aggiudicazione delle concessioni, compresa la stima del valore, taluni lavori, forniture o servizi.

Da questo comma risulta la preminenza del principio di concorrenza che impedisce alle imprese di adottare
dei comportamenti discriminatori. Oltre a tale principio, la procedura di affidamento deve essere guidata
anche dal principio di rotazione. Tale principio può essere spiegato con un esempio. Un’amministrazione nel
mese di marzo acquista 600 pc da un determinato fornitore; successivamente, scoppia una pandemia e
l’amministrazione necessita di altri pc da distribuire ai propri dipendente: in questo caso, gli altri pc non
potrà acquistarli dallo stesso fornitore a cui si è rivolto precedentemente, ma dovrà rivolgersi ad un altro per
permettere a tutti di vedersi assegnate delle commesse pubbliche. Può capitare però che una determinata
disposizione normativa conceda ad un comune di rivolgersi anche nei confronti dello stesso fornitore purché
dia una motivazione congrua della sua scelta. Questa deroga deve essere applicata con cautela perché
comporta non solo una violazione del principio di rotazione, ma anche dei principi dei par condicio e favor
partecipationis, introdotti e difesi soprattutto dall’anac per evitare degli affidamenti diretti scorretti, rivolti
sempre ai medesimi operatori del mercato. Pertanto, la regola è sempre il rispetto del principio di rotazione il
quale può essere derogato solo eccezionalmente. A seguito di alcune sentenze, une delle ultime è quella del
TAR LAZIO, è stato previsto, però, che il principio di rotazione non debba essere rispettato qualora, anche
quando si fa una procedura di affidamento diretto, venga presentato dalla stazione appaltante un avviso
pubblico (es. il Comune fa un avviso nel quale si afferma di voler affidare l’incarico di fornire una certa
quantità di pc a qualunque operatore economico che voglia partecipare al bando informale indetto dallo
stesso comune): in questo caso, non opera il principio di rotazione, anche se si tratta di affidamento diretto,
perché si è dato, mediante l’avviso, la possibilità a tutti di partecipare a tale procedura.

Una volta fissati questi principi, bisogna passare all’art.35. L’art. 35 del codice fissa le soglie di rilevanza
comunitaria, modificate ogni due o tre anni attraverso provvedimenti dell’unione europea, utili per scegliere
la procedura da adottare o per regolare le pubblicazioni. Tale articolo è molto importante per gli operatori
perché stabilisce come si calcola la soglia e quanto sia l’importo di rilevanza comunitaria. Tale articolo
afferma quanto segue: (basta ricordarne qualcuno)

1.(Ai fini dell’applicazione del presente codice, le soglie di rilevanza comunitaria sono:))
a) euro 5.225.000 per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni;
b) euro 135.000 per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di
progettazione aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali
indicate nell’allegato III;
c) euro 209.000 per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di
progettazione aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali
3. Le soglie di cui al presente articolo sono periodicamente rideterminate con provvedimento della
Commissione europea, che trova diretta applicazione alla data di entrata in vigore a seguito della
pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Il comma più importante di questo articolo però è il quarto perché ci spiega come calcolare tali soglie.

4.Il calcolo del valore stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture è basato
sull’importo totale pagabile, al netto dell’IVA, valutato dall’amministrazione aggiudicatrice o
dall’ente aggiudicatore. Il calcolo tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi
forma di eventuali opzioni o rinnovi del contratto esplicitamente stabiliti nei documenti di gara.
Quando l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore prevedono premi o pagamenti per i
candidati o gli offerenti, ne tengono conto nel calcolo del valore stimato dell’appalto.

In pratica, per fare un esempio, se un comune vuole acquistare dei pc, deve tener conto della somma che
vuole spendere per l’acquisto di questi pc: cioè deve guardare al suo piano di programmazione biennale e
verificare l’importo che è stato previsto per l’acquisto dei pc. Se, per esempio, è stato previsto un importo
pari a 10.000 euro, questi sono al netto dell’IVA e non prevedono il rinnovo della fornitura perché se fosse
previsto anche il rinnovo la soglia non sarebbe più di 10.000, ma di 10.000 euro più la somma, per esempio
10.000, destinata al rinnovo. Una volta individuata tale soglia di 20.000, bisogna capire quale procedura
applicare in relazione ad essa. Tale indicazione viene fornita dall’art.36 del codice che disciplina i contratti
sotto soglia (tale articolo, prima era regolato dal dl.50/2016, mentre oggi è soggetto ad una deroga introdotta
dall’art. 1 del dl. 16 luglio 2020 n.76 del decreto semplificazione tramutato nella l.120 del 2020). Tale
articolo, secondo la precedente formulazione, al secondo comma afferma:

2. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 37 e 38 e salva la possibilità di ricorrere alle procedure
ordinarie, le stazioni appaltanti procedono all'affidamento di lavori, servizi e forniture di importo inferiore
alle soglie di cui all'articolo 35, secondo le seguenti modalità:

a) per affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, mediante affidamento diretto anche senza previa
consultazione di due o più operatori economici o per i lavori in amministrazione diretta. La pubblicazione
dell’avviso sui risultati della procedura di affidamento non è obbligatoria;
(comma così modificato dall'art. 1, comma 5-bis, legge n. 120 del 2020)
b) per affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle
soglie di cui all’articolo 35 per le forniture e i servizi, mediante affidamento diretto previa valutazione di tre
preventivi, ove esistenti, per i lavori, e, per i servizi e le forniture, di almeno cinque operatori economici
individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un
criterio di rotazione degli inviti. I lavori possono essere eseguiti anche in amministrazione diretta, fatto salvo
l’acquisto e il noleggio di mezzi, per i quali si applica comunque la procedura di cui al periodo precedente.
L’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l’indicazione anche dei soggetti invitati;
c) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro, mediante la
procedura negoziata di cui all’articolo 63 previa consultazione, ove esistenti, di almeno dieci operatori
economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o
tramite elenchi di operatori economici. L’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene
l’indicazione anche dei soggetti invitati;
c-bis) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiore a 1.000.000 di euro,
mediante la procedura negoziata di cui all’articolo 63 previa consultazione, ove esistenti, di almeno quindici
operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di
mercato o tramite elenchi di operatori economici. L’avviso sui risultati della procedura di affidamento
contiene l’indicazione anche dei soggetti invitati;
d) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 di euro e fino alle soglie di cui
all’articolo 35, mediante ricorso alle procedure di cui all’articolo 60, fatto salvo quanto previsto dall’articolo
97, comma 8.
(lettere b), c) e d), così sostituite dall'art. 1, comma 20, lettera h), della legge n. 55 del 2019)

Il caso di specie che abbiamo proposto prima come esempio rientra nella lettera a che parla dell’affidamento
diretto secondo cui non è necessario rivolgersi a due o più operatori per l’approvvigionamento purchè tale
affidamento sia motivato. Riprendendo l’esempio di prima, avendo la stazione appaltante 20.000 euro, essa
può chiedere all’affidatario un’offerta, la quale può essere anche inferiore rispetto a 20.000 euro. Una volta
presentata l’offerta, la stazione appaltante con determina affida la fornitura dei pc all’affidatario. La
determina a contrarre o anche detto decreto a contrarre è il provvedimento con cui inizia la procedura di
affidamento: nella determina, vengono indicati gli elementi essenziali del contratto, la procedura di evidenza
pubblica da adottare, la regolarità del DURC (deve essere in regola con il versamento dei contributi ai
lavoratori), mancanza di annotazioni presso l’anac e i criteri di selezione dell’offerta e degli operatori
economici (tale indicazione non viene riporta qualora la procedura di evidenzia pubblica venga condotta con
l’affidamento diretto poiché vi è soltanto un operatore a cui si chiede l’offerta. I criteri per la selezione
dell’operatore economico sono fissati dall’art.80 e 83 del codice in cui si afferma che un operatore
economico per partecipare ad una procedura di evidenza pubblica deve possedere sia dei requisiti generali
fissati dal codice sia dei requisiti speciali richiesti, nello specifico, dalla stazione appaltante (es. si vede se ha
fornito pc a determinate PA). Nello specifico, l’articolo 84, che disciplina i requisiti tecnico-professionali,
afferma al primo comma che i criteri di selezione riguardano esclusivamente:

a) i requisiti di idoneità professionale;


b) la capacità economica e finanziaria;
c) le capacità tecniche e professionali.

L’articolo 80, invece, afferma che alcuni criteri generali da considerare per selezionare l’operatore
economico siano ad esempio: a) delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416, 416-bis del codice
penale ovvero delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis;b) delitti,
consumati o tentati, di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-
bis, 353, 353-bis, 354, 355 e 356 del codice penale nonché all’articolo 2635 del codice civile;b-bis) false
comunicazioni sociali di cui agli articoli 2621 e 2622 del codice civile; c) frode; d) delitti, consumati o
tentati, commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, e di eversione dell'ordine costituzionale
reati terroristici o reati connessi alle attività terroristiche. Tutte le condizioni disciplinate da questo articolo
devono essere attestate dall’operatore mediante un’autocertificazione, se l’affidamento è al di sotto di 5.000
euro, o mediante il DGUE –DOCUMENTO DI GARA UNICO EUROPEO – che è una summa di
dichiarazioni che dovrà fare l’operatore economico in maniera tale che la stazione appaltante possa verificare
la presenza sia i requisiti generali sia di quelli di carattere tecnico-professionale, ove questi siano richiesti. I
criteri di selezione dell’offerta, invece, sono disciplinati dall’art.95 e sono: il criterio del prezzo più basso e il
criterio dell’offerta più vantaggiosa. Il precedente codice de lise sui contratti pubblici poneva sullo stesso
piano il criterio del prezzo più basso (si individua l’operatore economico che offre il criterio più basso; qui si
prendono in considerazione solo i criteri quantitativi) e il criterio dell’offerta più vantaggiosa (è una
valutazione tecnica dell’offerta che si divide in due parti: una parte tecnica in base alla quale si richiedono
una serie di requisiti, indicati pubblicamente nel bando di gara, a cui la stazione appaltante darà un
punteggio, e una parte economica in base alla quale si valuterà l’offerta mediante un punteggio; in questo
caso, verrà nominata una commissione che affiancherà il RUP – RESPONSABILE UNICO DEL
PROCEDIMENTO – o il dirigente della sezione appalti in maniera tale da individuare l’operatore verso il
quale direzionare l’affidamento; con questo meccanismo si prendono in considerazione anche i criteri
qualitativi dell’offerta). Col nuovo codice, i due criteri non sono più posti sullo stesso piano, ma è il
legislatore a prescrivere quali appalti siano regolati secondo il criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa (es. questo deve essere utilizzato nei contratti ad alto contenuto di manodopera come nei
contratti per assumere una ditta di pulizie) ed quali secondo il criterio del prezzo più basso. Da ciò, si
comprende ancora una volta che il nuovo codice non pone in primo piano il criterio dell’economicità, ma
tiene più conto dei criteri qualitativi dell’offerta. Una volta evidenziati tutti gli elementi che deve contenere
una determina, si deve analizzare l’esempio dell’acquisto dei pc alla luce dell’art. 32, 2 comma, l.50/16 il
quale afferma:

2.Prima dell’avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti, in
conformità ai propri ordinamenti, decretano o determinano di contrarre, individuando gli elementi
essenziali del contratto e i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte. Nella procedura
di cui all'articolo 36, comma 2, lettere a) e b), la stazione appaltante può procedere ad affidamento
diretto tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga, in modo semplificato (nel caso di
specie la determina era semplificata), l’oggetto dell’affidamento (pc), l’importo (20.000 euro), il
fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale (è
necessaria l’autodichiarazione che attesti la presenza dei requisiti indicati dall’art. 80) nonché il
possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti.

Nel caso di specie quindi analizzato, la procedura di affidamento si concretizza in un unico atto, ossia la
determina semplificata, perché, come si è visto, si rientra nella fattispecie segnalata dall’art.36 lettera a e si è
sotto la soglia di rilevanza comunitaria.

Curiosità. Esistono poi delle white list che si trovano delle prefetture, in cui sono riportati degli operatori
economici che possono svolgere determinati lavori per i quali: queste vengono utilizzate per particolari gare
in cui è richiesta l’iscrizione a tale lista. Se si parla di appalti che superano i 150.000 euro la stazione
appaltante deve richiedere la certificazione antimafia alla prefettura che attesti la mancanza di contatti con
associazioni mafiosi.

La disciplina prevista dall’art.36, che parla delle procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici
durante il periodo emergenziale in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia, è stata però
in parte modificata dalla l.120 del 2020, la quale al primo comma afferma:

1. Al fine di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché
al fine di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e
dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19, in deroga agli articoli 36, comma 2, e 157, comma 2, del
decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante Codice dei contratti pubblici, si applicano le procedure di
affidamento di cui ai commi 2, 3 e 4, qualora la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento
equivalente sia adottato entro il 31 dicembre 2021. In tali casi, salve le ipotesi in cui la procedura sia sospesa
per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria, l’aggiudicazione o l’individuazione definitiva del
contraente avviene entro il termine di due mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento
(questo termine è fondamentale perché dà effettività alla semplificazione delle procedure di affidamento che
si voleva raggiungere con tale legge: infatti pone un limite al RUP, il quale se non agisce tempestivamente,
potrà subire delle sanzioni per danno erariale), aumentati a quattro mesi nei casi di cui al comma 2, lettera b).
Il mancato rispetto dei termini di cui al secondo periodo, la mancata tempestiva stipulazione del contratto e il
tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso possono essere valutati ai fini della responsabilità del responsabile
unico del procedimento per danno erariale e, qualora imputabili all’operatore economico (anche questo
rischia delle sanzioni e delle segnalazioni all’anac che gli impediranno di partecipare ad altri bandi),
costituiscono causa di esclusione dell’operatore dalla procedura o di risoluzione del contratto per
inadempimento che viene senza indugio dichiarata dalla stazione appaltante e opera di diritto.

La procedura così come modificata quindi risulta più veloce e semplice di una procedura aperta in cui ci
sono più adempimenti, più fasi che caratterizzano la procedura ad evidenza pubblica e più tempi per le
pubblicazioni. Pertanto, la l.120/2020 ha un certo impatto sia per le stazioni appaltanti, per i quali l’attività
viene notevolmente semplificata, sia per gli operatori economici, i quali possono vedersi affidati delle
commesse in tempi molto brevi. Se pur questo sia vero, le amministrazioni non sono agevolate tanto quanto
si potrebbe credere perché vi sono una serie di adempimenti che devono essere svolti prima di poter dare
efficacia al contratto di affidamento: ciò comporta un allungamento dei tempi per le stazioni appaltanti la
quali, prima di poter affidare una determinata commessa, devono svolgere una serie di verifiche previste dal
codice dei contratti pubblici. Queste verifiche, se si tratta di contratti sotto soglia, vengono effettuate
mediante delle PEC che vengono inviate agli organi competenti, come ad esempio ai tribunali (in questo
caso, serve per verificare i certificati del casellario giudiziario) o all’agenzia delle entrate (per verificare che
la stazione appaltante sia in regole con tutti i pagamenti dovuti). Il problema è che tali organi non rispondono
sempre in tempi celeri. Per ovviare a tale difficoltà, è stato previsto che, per procedere alla stipula del
contratto di affidamento, si possa far riferimento ad una clausola di riserva, la quale prevede la risoluzione
del contratto qualora le verifiche effettuate dalla stazione appaltante siano negative e l’esecuzione anticipata
del contratto a prescindere dall’esistenza delle condizioni fissate all’art. 8 comma 1 del codice dei contratti
pubblici revisionato dalla l.120/2020. Tale articolo afferma:

1. In relazione alle procedure pendenti disciplinate dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, i cui bandi o
avvisi, con i quali si indice una gara, sono già stati pubblicati alla data di entrata in vigore del presente
decreto, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla
medesima data, siano già stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi, ma non siano scaduti i
relativi termini, e in ogni caso per le procedure disciplinate dal medesimo decreto legislativo avviate a
decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2021:

a) è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel caso di servizi e forniture, l’esecuzione
del contratto in via d’urgenza ai sensi dell’articolo 32, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016, nelle
more della verifica dei requisiti di cui all’articolo 80 del medesimo decreto legislativo, nonché dei requisiti di
qualificazione previsti per la partecipazione alla procedura;
b) le stazioni appaltanti possono prevedere, a pena di esclusione dalla procedura, l’obbligo per l’operatore
economico di procedere alla visita dei luoghi, nonché alla consultazione sul posto dei documenti di gara e
relativi allegati ai sensi e per gli effetti dell’articolo 79, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del
2016 esclusivamente laddove detto adempimento sia strettamente indispensabile in ragione della tipologia,
del contenuto o della complessità dell’appalto da affidare;
c) in relazione alle procedure ordinarie, si applicano le riduzioni dei termini procedimentali per ragioni di
urgenza di cui agli articoli 60, comma 3, 61, comma 6, 62 comma 5, 74, commi 2 e 3, del decreto legislativo
n. 50 del 2016. Nella motivazione del provvedimento che dispone la riduzione dei termini non è necessario
dar conto delle ragioni di urgenza, che si considerano comunque sussistenti;
d) le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture possono essere avviate anche in mancanza di una
specifica previsione nei documenti di programmazione di cui all’articolo 21 del decreto legislativo n. 50 del
2016, già adottati, a condizione che entro trenta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto si provveda ad un aggiornamento in conseguenza degli effetti
dell’emergenza da COVID-19.

Soprattutto la lettera a di questo articolo è fondamentale perché comporta che le stazioni appaltanti non
debbano attendere l’esito delle verifiche: esse possono già stipulare il contratto e dare esecuzione allo stesso
in via d’urgenza. Infatti, tale lettera richiama l’art. 32 comma 8 (questo è stato temporaneamente sospeso a
causa dell’emergenza sanitaria per rendere più celere la disciplina) affermando che, oltre ai casi
espressamente previsti da tale articolo il quale ammette l’esecuzione anticipata dei lavori, servizi e forniture
in determinati casi tassativi (L’esecuzione d’urgenza di cui al presente comma è ammessa esclusivamente
nelle ipotesi di eventi oggettivamente imprevedibili, per ovviare a situazioni di pericolo per persone, animali
o cose, ovvero per l’igiene e la salute pubblica, ovvero per il patrimonio storico, artistico, culturale ovvero
nei casi in cui la mancata esecuzione immediata della prestazione dedotta nella gara determinerebbe un grave
danno all'interesse pubblico che è destinata a soddisfare, ivi compresa la perdita di finanziamenti
comunitari.), la stazione appaltante potrà stipulare già il contratto e darvi esecuzione nelle more delle
verifiche dei requisiti di cui all’art.80 del codice. Ciò è importante sia per la staziona appaltante perché può
iniziare i suoi lavori, sia per gli operatori economici che si vedranno subito retribuiti per le prestazioni
effettuate.

Non bisogna mai dimenticarsi che tutta la procedura formale fino a qui delineata non sempre frena la
corruzione delle PA.

ULTIMA LEZIONE DIRITTO AMMINISTRATIVO

Il nostro corso si è soffermato sull’oggetto di tutela che traspare dall’art. 113 della cost. “Contro gli atti della
Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi
dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.” Questo è stato l’oggetto del nostro corso fin
ad oggi. Abbiamo approfondito il discorso della tutela giurisdizionale che ciascun cittadino titolare di un
diritto soggettivo o interesse legittimo può ottenere contro gli atti e provvedimenti di un pubblico potere. La
cost. parla di p.a. ma io preferisco “pubblico potere” perché il pubblico potere può essere esercitato non solo
da una p.a. ma anche da un privato titolare di un pubblico potere per atto di concessione o convenzione. Se
vogliamo tirare le somme di tutte le lezioni che sono state fatte fin ad oggi dobbiamo dire che qualora il
privato sia titolare di un:

- diritto soggettivo  chiederà tutela al g.o. e la p.a. non sarà titolare di un potere ma sarà titolare di un
comportamento, cioè agirà come se fosse un soggetto privato, si porrà su un piano paritario con il privato,
quindi un rapporto paritetico. Il g.o. sindacherà la lesione del diritto soggettivo e la conoscenza dell’atto
amministrativo potrà essere sindacata non in modo diretto ma indiretto e qualora la consideri non conforme a
legge disapplicherà l’efficacia dell’atto accertato non conforme a legge, cosa significa? Che l’atto
amministrativo verrà privato dei suoi effetti giuridici ma limitatamente alla fattispecie processuale davanti al
giudice dedotta. Al contrario, cioè se conforme a legge, allora lo applicherà. La disapplicazione è diversa
dall’annullamento perché ha efficacia erga omnes.

- interesse legittimo  quindi il privato si scontra con un potere pubblico e quindi la giurisdizione sarà del
g.a. con tutto quello che è stato argomentato. Oggi la disciplina è regolata dal d.lgs. 104/2010 (c.p.a.).

Quindi chiudendo questo discorso sulla tutela giurisdizionale potremmo dire che la dicotomia g.o e g.a. la
possiamo incasellare nella dicotomia carenza di potere e cattivo uso del potere.

Possiamo dire che il primo argomento che abbiamo studiato è stato l’origine della giustizia amministrativa in
Italia, poi ci siamo soffermati sulle diverse sedi e forme di tutela giurisdizionale per poi passare a parlare
delle azioni che possono essere esperite dal privato davanti al g.a. L’azione madre è l’azione costitutiva di
annullamento, inoltre se parlate degli interessi legittimi pretensivi non potete non parlare della nuova azione
che si prospetta a tutela piena degli int. Leg. Pretensivi ossia l’azione di adempimento. Altra azione
innovativa è l’azione risarcitoria, che però ha delle pecche tra cui tempo entro cui può essere esercitata (120
giorni). Altra azione è l’azione avverso il silenzio (art.31). L’azione di accertamento di un provvedimento
nullo, è stata introdotta dalla giurisprudenza e poi recepito dal c.p.a.

Connesse alle varie azioni ci sono le tipologie di sentenze che può adottare il g.a., proprio per garantire il
massimo della tutela, il g.a. può anche convertire le azioni ed emanare una sentenza diversa da quella
richiesta dal privato. Quindi può cambiare le azioni d’ufficio per dare maggior soddisfazione al privato. Ma
prima di arrivare alle sentenza dovete analizzare i poteri che possono essere esercitati dal g.a. sotto il profilo
dell’istruttoria probatoria e soprattutto i poteri cautelari (giudizio cautelare).

Poi per concludere abbiamo parlato del giudizio di ottemperanza, il g.a. ha poteri incisivi sul provvedimento
amministrativo.
Tutto questo per dirvi che in tutto ciò si sostanzia la tutela giurisdizionale. Ma oggi noi dovremmo chiudere
il corso parlando di un altro tipo di tutela: la tutela giustiziale amministrativa. È la tutela che un soggetto
può ottenere rivolgendosi non ad un giudice ma alla stessa p.a. per la riforma di un provv amministrativo che
si ritiene illegittimo. Questo istituto si chiama autodichia cioè una tutela amministrativa. Non confondete
l’autodichia con l’autotutela amministrativa, perché l’autotutela è una cosa diversa, vi ricordate è un potere
che ha la p.a. di autodifendersi, di riesaminare una illegittimità che affliggeva un suo provvedimento, è come
se fosse lo ius penitendi. Questo è importante e potrebbe essere una domanda d’esame “differenza tra
autodichia e autotutela (ripassatela da amministrativo 1)”. L’autotutela è l’esercizio di uno ius penitendi che
ha la p.a. di ritornare sui suoi passi e di riesaminare, di depurare un precedente atto amministrativo attraverso
l’annullamento o la revoca o il riesame o la ratifica ecc... a volte la p.a. può essere anche spinta ad effettuare
ciò e in tal caso si parla di autodichia, es un soggetto si rivolge alla p.a. per ottenere la rimozione
dell’illegittimità di un provv amministrativo. Qual è la caratteristica di questa azione giustiziale? È la
conclusione in tempi molto rapidi, ci sono tempi limitati per la proponibilità di queste azioni. La differenza
rispetto all’autotutela è che nell’azione giustiziale c’è un esame doveroso che richiede la valutazione di un
interesse pubblico che è del tutto assente nei confronti dell’autorità tenuta a decidere sui ricorsi. Quindi sono
dei mezzi rapidi, gratuiti, che non richiedono la corresponsione di un contributo unificato importante, e
soprattutto non è richiesta la presenza di un avvocato iscritto negli albi professionali. E anche qui i ricorsi
che possono essere azionati sono degli strumenti di tutela qualificati cioè sono fatti per tutelare sia diritti
soggettivi che interessi legittimi. Chi può esperire questi ricorsi amministrativi non giurisdizionali? È
necessaria una legittimazione ad agir,e che non spetta a qualsiasi cittadino ma solo a chi faccia valere un
diritto soggettivo o un interesse legittimo qualificato, cioè è necessario un interesse attuale diretto e concreto
a proporre un ricorso amministrativo. Anche qui c’è una spessa somiglianza con l’istituto del ricorso
giurisdizionale perché le autorità competenti adita dal privato a seguito di questo ricorso nel decidere il
ricorso stesso deve attenersi al ricorso e non può introdurre d’ufficio motivi nuovi che sono diversi e ulteriori
rispetto a quelli contenuti nel ricorso. Anche qui vale il principio dispositivo o principio della domanda. La
legge di riferimento di questi ricorsi amministrativi è il DPR 24 novembre 1971 n 1199 ‘Semplificazione dei
procedimenti in materia di ricorsi amministrativi’. In questo decreto del presidente della repubblica sono
indicati 4 tipi di ricorsi:

-ricorso gerarchico proprio

-ricorso gerarchico improprio

-ricorso in opposizione

-ricorso straordinario

Se vogliamo operare un’ulteriore distinzione questi 4 tipi di ricorsi amministrativi si distinguono in ricorsi di
tipo ordinario e quelli di tipo straordinario.

-ricorsi ordinari ( quelle esperiti avverso provvedimenti non definitivi che possono essere impugnati di fronte
ad un autorità gerarchicamente sovraordinata e che quindi sono emanati da organi che vedono al di sopra un
superiore gerarchico)

-ricorsi straordinari ( è tra i 4 il ricorso straordinario al capo dello stato che in alternatività con il ricorso
giurisdizionale può essere esperito soltanto contro atti amministrativi definitivi cioè emanati da organi che
non hanno superiori gerarchici)

Vediamo i ricorsi ordinari, cioè quelli esperiti contro provvedimenti non definitivi, sia per far valere diritti
soggettivi sia per far valere interessi legittimi sono i ricorsi gerarchici propri e impropri e quelli in
opposizione. Sono quelli che si risolvono nell’ambito del settore amministrativo cui appartiene l’autorità che
ha emanato l’atto impugnato e determinano la pronuncia dell’ultima parola da parte dell’autorità
amministrativa. Mentre l’unico ricorso straordinario è il ricorso al presidente della repubblica e può essere
esperito solo contro provvedimenti definitivi e si risolvono al di fuori del settore amministrativo cui
appartiene l’autorità che ha emanato l’atto. Questo ricorso viene spedito al presidente dalla repubblica,
quindi a un settore amministrativo diverso rispetto a quello cui appartiene l’autorità che ha emanato l’atto. In
questo caso c’è una tutela esterna rispetto al settore amministrativo dell’autorità che ha emanato l’atto. La
peculiarità del ricorso straordinario, rispetto al ricorso ordinario, è che questo può essere esperito SOLO per
motivi di legittimità (violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza). I ricorsi ordinari possono essere
esperiti non soltanto per motivi di legittimità ma anche di merito. L’atto non definitivo può essere modificato
da un’autorità superiore gerarchicamente che può riformare l’atto amministrativo non definitivo. È chiaro
che qui vengono esperiti ricorsi amministrativi per vizi anche di merito cioè quei vizi che attengono il cuore
della scelta, sotto il profilo dell’opportunità della decisione, sotto il profilo della congruità e convenienza
della decisione. In questi casi l’autorità superiore può addirittura ritornare sulla scelta operata e riformarla
sotto il profilo dell’opportunità, della congruità della convenienza della scelta, oltre che depurarla da un vizio
di legittimità. Mentre il ricorso straordinario può essere esperito solo contro un provvedimento definitivo che
ha raggiunto la definitività dell’oggetto della decisione sotto il profilo della convenienza, della congruità
dell’opportunità. Quindi non può essere esperito un ricorso straordinario per motivi di merito perché il
merito è già ampiamente assodato, chiuso, definito. Il ricorso straordinario può essere esperito solo per vizi
di legittimità. La differenza è anche sotto il profilo dei termini. I ricorsi ordinari si esperiscono entro il
termine di 30 giorni. Il ricorso straordinario entro il termine di 120 giorni.

Inoltre, i ricorsi amministrativi possono distinguersi in ricorsi impugnatori( che hanno ad oggetto un atto
amministrativo ritenuto lesivo) e non impugnatori ( hanno ad oggetto un mero comportamento della PA o la
costituzione o modificazione di un rapporto giuridico in cui è coinvolta la PA e che hanno quindi un carattere
eccezionale e atipico -> esempio di ricorso non impugnatori è il ricorso alle commissioni di vigilanza per
l’edilizia economica popolare quella cioè effettuata per venire incontro a cittadini meno abbienti e queste
commissioni individuano gli aventi diritto ad ottenere questi alloggi popolari, se vengono formate delle
graduatorie c’è la commissione che vigila sulle assegnazioni e quindi si può fare un ricorso a queste
commissioni che deve vigilare sulla correttezza di queste assegnazioni e quindi sui rapporti giuridici in cui
sia coinvolta una PA che assegna questi alloggi).

RICORSO GERARCHICO

Il ricorso gerarchico è quello strumento di tutela amministrativo e giustiziale con il quale il destinatario di un
provvedimento amministrativo che non lo soddisfa può rivolgersi all’autorità gerarchicamente superiore a
quella che ha emanato il provvedimento stesso. Che vuol dire gerarchicamente superiore? Il rapporto di
gerarchia lo ricordate dai modelli organizzativi della PA. Il rapporto di gerarchia si ha quando all’interno di
una PA, un organo sovraordinato ha poteri di comando, di controllo sull’operato, di sostituzione, di
avocazione delle funzioni dell’organo sottostante. Il rapporto di gerarchia era quello che esisteva prima della
riforma del pubblica impiego, dlg 29 del ’93, tra il potere politico e quello amministrativo dirigenziale
(rapporto gerarchico). Io mi ricordo una norma contenuta in un DPR del ’72 che prevedeva proprio la
possibilità che avverso gli atti dei dirigenti si proponesse ricorso gerarchico all’organo politico. Questo
accadeva proprio perché il dirigente era sott ordinato rispetto all’organo politico. Prima della riforma del ’93
quindi il ricorso gerarchico era uno di quelli più utilizzati nelle PA perché era il ricorso che si espletava
avverso gli atti dei dirigenti e dinanzi agli organi politici correlati. Una volta che il rapporto di gerarchia è
venuto meno all’interno delle PA E una volta che gli atti del dirigente sono diventati atti definitivi, perché
non c’è un soggetto sopra il dirigente cui inoltrare un ricorso gerarchico, capite bene che questo ricorso è
divenuto poco utilizzato nelle PA, quasi se vogliamo sparito. Si usa più il ricorso gerarghico improprio che
quello proprio. Proprio perche nelle pubbliche ammistrazioni manca questo rapporto di gerarchia tra l
autorità che ha emanato l’atto e una possibile autorità superiore rispetto a quella che ha emanato l’atto.
Questo ormai è diventato un ricorso poco utilizzato, solo in alcune peculiari pubbliche amministrazioni
(es:amm. militare) . E’ un ricorso amministrativo che comunque esiste e la norma è ancora vigente e
vedremo che la disciplina del ricorso gerarghico si applica al ricorso in opposizione e quindi è un istituto che
potrete conoscere. Il ricorso gerarghico è esperibile solo verso atti amministrativi non definitivi, atti emanati
da organi che non hanno un superiore gerarchico e questo dpr.n1199/1971 prevede che sia rivolto all’organo
immediatamente superiore a quello che ha emanato il provvedimento da impugnare e che sia proposto sia a
tutela dei diritti soggettivi che a tutela di interessi legittimi. Si possono far valere in questo ricorso sia vizi di
legittimità che vizi di merito.

La norma dice: “ l’errata identificazione dell’autorità adita non comporta l’inammissibilità del ricorso” . Il
ricorso deve essere proposto nel termine di 30 giorni dalla data della notificazione o della comunicazione in
via amministrativa dell’atto impugnato da quando l’interessato ne abbia avuto piena conoscenza. ( art.2) .

Art 2 3comm: i ricorsi rivolti nel temrine prescritto ad organi diversi da quello competente ma appartenente
alla medesima amministrazione, non sono soggetti a dichirazioni di irricevibilità e i ricorsi stessi sono
trasmetti sul sito all’organo competente.

Non è necessario, diversamente dal ricorso giurisdizionale, nel ricorso gerarchico notificare o comunicare il
ricorso anche al controinteressato.

 Il controinteressato è colui che vanta un interesse uguale o contrario a quello del ricorrente. Uguale
perchè si appunta il suo interesse al medesimo provvedimento. Contrario perchè mentre il ricorrente
vorrebbe la sua caducazione, il controinteressato si costituisce perchè vorrebbe la conservazione del
provvedimento.
Mentre nel processo amministrativo, l’omessa notificazione ad almeno uno dei controinteressati, fa si che il
ricorso sia dichiarato inammissibile perche non si instaura il contraddittorio. Nel ricorso gerarghico non deve
essere obbligatoriamente notificato e comunicato al controinteressato , il quale però se ne viene a conoscenza
in altra via può presentare memorie nel termine di 20 giorni. (art.4)

E’ molto importante il termine entro il quale la p.a adita deve pronunciarsi, ci dice l’art. 6.

Art.6 dpr.n 1199/1971 : decorso il termine di 90 giorni dalla data di presentazione del ricorso,senza che l
organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti e contro il
provvedimento impugnato è esperibile il ricorso all’autorità giurisdizionale competente o quella straordinaria
del presidente della repubblica.

Domanda: quale dei silenzi che conosciamo si applica in questo caso?

Ricordiamo i silenzi che la p.a può manifestare : silenzi significativi e silenzi inadempimento.

In questo caso si ha silenzio diniego, o meglio rigetto. Cioè un silenzio a cui viene dato valore di rigetto, di
non accoglimento di questa volontà impugnatoria propria del ricorrente e questo silenzio rigetto può essere
impugnato davanti al giudice amministrativo nel successivo termine di 60 giorni e detto termine è perentorio
nel caso di lesione di interessi legittimi ma come è stato anche indicato , per quanto riguarda la lesione di
diritti soggettivi, in questo caso possono valere le regole delle prescrizione. Contrariamente alla regola del
silenzio la decisione deve essumere la forma scritta.

Il ricorso giurisdizionale avverso la decisione assunta su ricorso gerarghico non può contenere motivi di
legittimità diversi rispetto a quelli prospettati in sede gerarchica e le censure di merito non sono reiterabili.
Questo perchè davanti al g.a non possono essere prospettati riti di merito,possono essere prospettati soltanto
vizi di legittimità. Non posso chiedere al giudice di rivedere nel merito una decisione assunta. Qualora le
decisione di rigetto del ricorso gerarchico venga posta necessariamente in forma scritta dalla p.a,io posso
impugnare nel termine di 60 giorni questo rigetto della decisione del ricorso gerarchico davanti al g.a ma
posso addurre solo motivi di legittimità cioè motivi prospettati in sede gerarchica.

Possono verificarsi alcune peculiarità in questo ricorso ormai poco utilizzato nella prassi amministrativa .

Può accadere che dopo la presentazione del ricorso dinanzi al TAR, un ricorso quindi giurisdizionale avverso
il silenzio, sia poi emanata la decisione su ricorso gerarchico. ( la p.a se non provvede entro 90 giorni si
forma il silenzio rigetto e quindi contro questo silenzio rigetto si può adire il g.a )

Cosa accade se una volta adito un ricorso giurisdizionale avverso il silenzio rigetto della decisione del
ricorso gerarchico , la p.a provvede sul ricorso gerarchico?

Dobbiamo analizzare i diversi scenari che si possono prospettare :

1) La decisione della p.a respinge il ricorso gerarchico : in questo caso la difesa era presentare un
ricorso al TAR. Ma in questo caso non è necessario presentare un nuovo ricorso giurisdizionale
perchè già l’avevo inoltrato avverso il silenzio rigetto. Questo però non è precluso o vietato ed è
possibile comunque un ulteriore ricorso giurisdizionale che sarà riunito con quello precedente con il
quale il ricorrente aveva chiesto l’illegittimità della decisione perchè emanata dopo il termine di 90
giorni. Quindi di solito non si fa, ma nel caso in cui si voglia comunque fare un ulteriore ricorso al
TAR sarebbe riunito con quello precedente avverso il silenzio rigetto.
2) La decisione sul ricorso gerarchico accoglie il ricorso e quindi riforma l’atto amministrativo
impugnato. Se accoglie il ricorso, accoglie la tesi del ricorrente.
In questo caso il ricorso giurisdizionale non ha più ragione di esistere, in quanto è stato riformato
l’atto impugnato e se ne dovrà dichiarare l’improcedibilità per cessazione della materia del
contendere.

Però ci potrebbe essere la figura del controinteressato che può intralciare la decisione e potrebbe
dedurre la non tempestività della decisione e proporre a sua volta impugnazione verso una decisione
avvenuta oltre il tempo di 90 giorni. Potrebbe accadere che dopo la presentazione del ricorso
gerarchico, il ricorrente proponga ricorso al TAR, in questo caso prevale quest’ultimo e il ricorso
gerarchico non sarà deciso.
Ancora, potrebbe accadere che dopo la presentazione del ricorso gerarchico, altri controinteressati si
rivolgano al TAR, perchè il ricorrente può decidere di effettuare il ricorso all’autorità
gerarchicamente superiore ma qualora ci siano dei controinteressati potrebbero rivolgersi
direttamente al TAR attaverso un ricorso giurisdizionale. In questo caso l’autorità amministrativa
adita, dovrà comunicare questa notizia al ricorrente gerarchico il quale dovrà riassumere il ricorso
gerarchico all’interno del ricorso giurisdizionale e effettuare ricorso davanti al TAR entro il termine
perentorio di 30 giorni.

Questo è il ricorso gerarchico proprio che si fa dinanzi all’autorità gerarchicamente superiore rispetto
a quella che ha emanato l’atto.

L’art.1 comm.2 : contro gli atti amministrativi dei ministri,di enti pubblici e di organi collegiali è
ammesso il ricorso da parte di chi vi abbia interessi nei casi, nei limiti e con le modalità previste
dalla legge o dagli ordinamenti dei singoli enti.

Questa norma indirettamente ci da l’idea che ci sia un altro ricorso gerarchico che si chiama ricorso
gerarchico improprio.
Ricorso gerarchico improprio : è quello che oggi più che mai si va espandendo a seguito di una
riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni.
Il ricorso gerarchico improprio implica che ci sia una relazione tra una autorità interna e una autorità
esterna nel senso che l autorità interna non può sostituirsi alla seconda che però riveste un ruolo
generico di preminenza o di vigilanza rispetto all’autorita interna che ha emanato l’atto. In
pratica si struttura come un ricorso gerarchico vero e proprio ma questo ricorso gerarchico improprio
ha caratteristiche di eccezionalità e particolarità perche non può aver luogo se non nei casi stabiliti
dalla legge e dinanzi a organi indicati dalla legge stessa. Per questo motivo questa figura di
impugnazione viene chiamata ricorso gerarchico improprio o atipico e la parte in questo caso può far
valere sia vizi di legittimità sia vizi di merito così come prescritto dalla normativa di riferimento
(articoli del dpr.1199/1971). Vedete come il ricorso gerarchico improprio è esperibile verso gli atti
amministrativi dei ministri,degli enti pubblici o di organi collegiali.
Quindi a chi può essere proposto?
- A un organo individuale avverso atti di organi collegiali
- Ad un organo collegiale avverso atti di organi individuali
- Ad organi statati avverso atti di altri enti pubblici statati
- Ad organi stati avverso organi diversi

Es: qualche anno fa ho visto un ricorso al rettore dell’università avverso un atto emanato dal
consiglio di dipartimento; in questo caso è un ricorso gerarchico di tipo improprio, preposto ad un
organo individuale avverso un organo collegiale. Si applica la normativa di riferimento del
dpr.1199/1971.

Nel ricorso gerarchico improprio viene adita una autorità amministrativa che non si trova in un
rapporto gerarchico con l’organo che ha emanato il provvedimento che si reputa lesivo per il
ricorrente ma è comunque collocata nell ambito della sua amministrazione.

Es. rettore dell’università : consiglio di dipartimento

Tanta dottrina ammette questo ricorso gerarchico impoprio solo nell’ambito di un’ identica
amministrazione o nell ambito di amministrazioni riconducibili ad enti diversi che sono però legate
fra loro da rapporti funzionali; non invece nell ambito di amministrazioni diverse caratterizzate
reciprocamente da posizioni di autonomia costituzionalmente garantite ( es: rapporti tra enti
locali,regioni e stato) .

La decisione del ricorso in questo caso si struttura nella disciplina degli art. 1 ; art. 2 con il rispetto
dei termini di 90 giorni ; l’istruttoria che può vedere anche la presentazione di memorie avverse
anche da parte dei possibili controinteressati non notiziati e poi questa decisione che deve essere
motivata e emanata dall’organo che è stato adito e che se non viene emanata nel termine di 90 giorni
si provoca la fictio iuris del silenzio rigetto. Si applica una stessa misura che abbiamo gia conosciuto
nel processo giurisdizionale e cioè la sospensione dell’ esecuzione.

Art3: D'ufficio o su domanda del ricorrente proposta nello stesso ricorso o in successiva istanza da
presentarsi nei modi previsti dall'art 2, secondo comma, l'organo decidente può sospendere per gravi
motivi l'esecuzione dell'atto impugnato.

In queste poche righe vediamo la stessa dicitura che abbiamo gia analizzato per quanto riguarda la
misura cautelare nel processo amministrativo.

Quei gravi motivi rappresentano il periculum in mora : pregiudizio economico che può subire il
privato che può chiedere la sospensione dell’efficacia del provvedimento e questa richiesta può
essere fatta o nel ricorso stesso o con una successivo ricorso o istanza da presentare con le stesse
modalità della domanda principale ovvero con il ricorso principale nel processo amministrativo. Qui
non c’è questa valutazione del fumus boni iuris, c’è solo una valutazione dei gravi motivi (periculum
in mora). Non c’è una valutazione del fumus boni iuris perchè dati i tempi stringenti, la rapidità della
decisione, quando l’autorità deve pronunciarsi sulla questione lo fa soprattutto in relazione alla
domanda principale e la sospensione viene fatta solo se vengono ravvisati quei presupposti riguardati
i gravi motivi.

Questa disciplina del ricorso gerarchico proprio e improprio si applica pedissequamente al ricorso in
opposizione il cui articolo di riferimento è l’ art.7

Art.7 : Nei casi previsti dalla legge, il ricorso in opposizione è presentato all'organo che ha emanato
l'atto impugnato. Per quanto non espressamente previsto dalla legge, valgono, in quanto applicabili,
le norme contenute nel capo I del presente decreto.

Cioè al ricorso in opposizione si applica la stessa disciplina del ricorso gerarchico proprio o anche
improprio. Il ricorso in opposizione è analogo al ricorso gerarchico in quanto a forma, termini e
motivi di impugnativa (vizi di legittimità, vizi di merito) e lo si impugna davanti allo stesso organo
che ha emanato l’atto. Non è un istituto di carattere generale ma è ammesso nelle sole ipotesi
tassativamente previste dalla legge (numero chiuso di fattispecie in cui può essere esperito) .

Ratio della sua eccezionalità dipende dal fatto che l’autorità che l ha adottato non è più idonea a
sindacare sulla legittimità del proprio operato e si restringe ad un numero limitato di casi.

Anche in questo caso i termini per la proponibilità sono di 30 giorni dalla comunicazione e
conoscenza del provvedimento; di questa conoscenza deve essere data comunicazione ai
controinteressati che sono ammessi sempre a proporre osservazioni e ulteriori documenti entro il
termine di 20 giorni e anche in questo caso è previsto che l’istruttoria debba concludersi entro il
termine di 90 giorni dalla presentazione del ricorso in opposizione e decorso tale termine il ricorso si
intende respinto e si forma il silenzio rigetto con la possibilità di impugnativa o dinanzi al TAR
(ricorso giurisdizionale ) o con l’eccezionale ricorso al capo dello stato.

Ripetiamo il concetto: il privato presenta un ricordo gerarchico (proprio o improprio) e noi


sappiamo che la p.a deve pronunciarsi entro 90 giorni altrimenti si forma il silenzio rigetto. Dopo il
silenzio rigetto il ricorrente può presentare ricorso giurisdizionale avverso il silenzio rigetto e lo fa
dinanzi al TAR. Mentre il privato presenta il ricorso al tar, la p.a emana il provvedimento fuori
tempo e in questo caso si possono verificare due ipotesi :

1) Che la p.a respinga il ricorso gerarchico : in questo caso non occorre un nuovo ricorso
giurisdizionale al TAR anche se comunque non è vietato, in questo caso si riassumono tutti e due
i ricorsi .
2) La p.a accoglie il ricorso e emana una pronuncia che accolga il mio ricorso gerarchico e accoglie
il mio motivo : il ricorso giurisdizionale in questo caso non ha più ragione di esistere e cessa la
materia del contendere. Il g.a dovrà dichiarare “l improcedibilità per sopraggiunta carenza di
interesse” .

Nel caso in cui il controinteressato potrebbe dedurre la non tempestività della decisione (oltre
i 90giorni) e impugna la decisione con cui la p.a accoglie il ricorso e quindi potrebbe accadere
che dopo la presentazione del ricorso gerarchico il controinteressato proponga ricorso al TAR e
ci sia un altra possibilità. In questa ipotesi l’autorità adita dovrà comunicare questa notizia di
questo successivo ricorso del controinteressato ( che ha impugnato la decisione di accoglimento
del ricorso gerarchico tardiva) al ricorrente gerarchico, il quale potrà riassumenere ricorso
davanti al TAR entro il termine di 30 giorni.
L ipotesi si ha se il ricorso gerarchico è stato accolto e il ricorso gerarchico del ricorrente
diventa improcedibile e non ha piu ragione di esistere perchè la p.a ha accolto i motivi di diritto
del ricorrente. Il problema è che un eventuale figura del controinteressato potrebbe impugnare la
decisione di accoglimento di ricorso gerarchico perchè tardiva e in questo caso si fa un ricorso
davanti al TAR , ad opera del controinteressato che in questo caso diventa ricorrente e l’autorità
amministrativa deve comunicare al ricorrente gerarchico questo nuovo ricorso straordinario
cosicchè il ricorrente gerarchico fa di nuovo una costituzione in giudizio dal punto di vista
processuale, rimanendo però i motivi di diritto del ricorso gerarchico.

Ricorso straordinario al capo dello Stato ( art.8-art.15 del dpr.1199/1971)

E’ forse il ricorso più importante rispetto agli altri due che non sono molto usati.
Il ricorso straordinario al capo dello stato è un ricorso che ha un orgine antichissima e che un
tempo era il ricorso al Re, il ricorso con il quale il suddito si rivolgeva al sovrano per ottenere
una giustizia amministrativa. Ad oggi questo ricorso amministrativo offre delle garanzie anche
molto più rilevanti, in quanto il capo dello Stato firma e sottoscrive la decisione che viene
sostanzialmente assunta dal consiglio di stato. La garanzia maggiore deriva dal fatto che
l’organo del consiglio di stato prende la decisione che però formalmente viene sottoscritta e
firmata dal presidente della Repubblica.

Art8: Contro gli atti amministrativi definitivi è ammesso ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica per motivi di legittimità da parte di chi vi abbia interesse.

Quando l'atto sia stato impugnato con ricorso giurisdizionale, non è ammesso il ricorso straordinario da parte
dello stesso interessato .
-Solo contro gli atti definitivi che non hanno possibilità di essere modificati da un autorità gerarchimente
sovraordinata. Essendo l’atto definitivo il ricorso straordinario può essere esperito solo per motivi di
legittimità e non per motivi di merito. Non può essere oggetto di una modifica sostanziale per l oggetto o il
contenuto del provvedimento ma solo come si è arrivato a quel provvedimento. I motivi di legittimità
possono riguardare solo la fase procedimentale. La legitimatio ad esperire un ricorso può essere fatta valere
solo da chi dimostra di avere un interesse diretto,attuale e concreto ad avere una decisione di annullamento di
questo provvedimento amministrativo ritenuto lesivo e non può essere esperito da un quisque de populo.

Come si vede dal 2 comm, il ricorso è caratterizzato dal principio della alternatività. Una volta che sia stata
scelta la via giurisdizionale o la via amministrativa non è possibile tornare indietro e rivolgersi ad un altro
organo. E’ quindi un rimedio ammissibile proprio perchè frutto di una scelta consapevole del cittadino che
nonostante la garanzia che deriva dalla costituzione di avere una tutela giurisdizionale, preferisce rivolgersi
all’autorità amministrativa. Piuttosto che rivolgersi ad un avvocato per il ricorso al TAR, può sottoscrivere
egli stesso il ricorso straordinario e non ha bisogno di una difesa legale. Se c’è un conflitto tra le due
esigenze prevale la tutela in sede giurisdizionale e nei confronti del ricorrente,la proposizione del ricorso
giurisdizionale che impedisce il ricorso straordinario ,si verifica se si è perfezionata la fattispecie costitutiva
del rapporto giurisdizionale. Cioè il ricorso giurisdizionale deve essere non solo notificato ma deve essere
anche depositato. Una volta che il ricorso giurisdizionale sia stato notificato e anche depositato, non può più
essere esperito ricorso straordinario al capo dello stato. Fino a quando non c’è il deposito e il
perfezionamento della fattispecie costitutiva del rapporto processulae, io posso sempre scegliere la strada del
ricorso straordinario.
La norma dice che non sempre si può scegliere la strada del ricorso straordinario perchè è ammesso solo per
atti definitivi e a volte ci sono espressamente delle disposizioni di legge che in maniera diretta escludono
alcune controversie dall’ esperimento del ricorso straordinario al capo dello stato. Possiamo dire che il
ricorso straordinario al capo dello stato è si un rimedio amministrativo importante che si pone in maniera
alternativa al ricorso giurisdizionale, ma non sempre può essere esperito in primo luogo perchè può essere
esperito solo nei confronti di atti definitivi e poi perchè ci sono alcune leggi che espressamente esclusono la
possibilità di esperire un ricorso amministrativo di questo tipo per alcune determinate controversie.

Atti amministrativi definitivi :

(ci sono alcune sentenze del 1998 che hanno ampliato la platea degli atti amministrativi definitivi che sono
oggetto di impugnativa per mezzo del ricorso al capo dello Stato)

Sono impugnabili davanti al presidente della Repubblica tutti gli atti delle autorità statati,regionali, locali ad
eccezione per gli atti delle province autonome di Bolzano ai sensi delle norme di attuazione dello statuto
speciale. Ancora,sono impugnabili gli atti delle autorità amministrative indipendenti,degli enti istituzionali e
del parastato. Con espresso riferimento all’impugnazione degli atti delle autorità indipendenti, proponibilità
del ricorso straordinario è stato riconosciuta da un importante pronuncia della commissione speciale del
consiglio di stato (29Maggio/1998) che ha considerato all’interno della platea degli atti definitivi anche gli
atti delle autorità amministrative indipendenti.

Per quanto riguarda la possibilità di tutela, questo ricorso è possibile che venga proposto sia a tutela delle
posizioni soggettive di interessi legittimi e sia di diritti soggettivi e sono proponibili solo vizi attinenti alla
legittimità del procedimento di adozione del provvedimento che si impugna e mai il cuore della scelta
assunta e del contenuto del provvedimento che si reputa lesivo. Questo ricorso straordinario del capo dello
stato oggi può essere esperito anche avverso i provvedimenti definitivi dei dirigenti generali delle p.a dello
stato perchè è venuta meno la possibilità di ricorso gerarchico al ministro. Prima vigeva un rapporto di
gerarchia tra ministro e dirigente generale ma oggi questo rapporto gerarchico piramidale è venuto meno e si
parla di un rapporto di direzione tra ministro e dirigente generale dello stato; quindi avverso l’atto del
dirigente generale dello stato è possibile proporre ricorso straordinario al capo dello stato.

I tempi sono più lunghi e vengono indicati dall art.9

Art.9 : Il ricorso deve essere proposto nel termine di 120 giorni dalla data della notificazione o della
comunicazione dell'atto impugnato o da quando l'interessato ne abbia avuto piena conoscenza.

Per “proposto” si intende tanto la notifica alle parti quanto il deposito del ricorso; deve intendersi come un
momento di perfezionamento del rapporto di tutela amministrativa.

La norma dice anche che i controinteressanti e l amministrazione possono chiedere, nel termine di 60 giorni
dalla notifica del ricorso,che il ricorso sia trasposto / trasferito dinanzi al TAR.

Possibilità di proporre un ricorso incidentale e la norma dice che anche in questo caso possiamo vedere come
in questo procedimento è ammessa la domanda di misure cautelari che viene esaminata e decisa dal ministro
sempre dietro parere della sezione del consiglio di stato che è tenuta ad esprimerlo. Sulla funzione del
consiglio di stato c’è una norma ad hoc.

Oggi in base all art.69 della l. N.69/2009 è possibile sollevare anche all’interno di un ricorso straordinario al
capo dello stato, questioni di legittimità comunitaria con rimessione degli atti alla corte di giustizia dell’UE e
questioni di legittimità costituzionale dinanzi alla corte costituzionale.
Vediamo l’istruttoria che deve essere espletata dal ministro competente per materia e al quale ministro gli
atti vanno trasmessi dall’autorità emanante il provvedimento impugnato e se ciò non avviene il ricorrente
può sostituirsi ( trascorsi 120 giorni) ad esse e al ministro, depositantando copia del ricorso direttamente
dinanzi al consiglio di stato. Una volta completata l’istruttoria il ricorso viene trasmesso al consiglio di stato,
il quale esprime il parere in sede consultiva e questo parere è obbligatorio e vincolante. Gli articoli di
riferimento solo art.11 ; art. 12 ; art.13 .

Art.12 ( quello che più risente delle novità per quanto riguarda il processo amministrativo) :

Il parere sul ricorso straordinario è espresso dalla sezione o dalla commissione speciale, alla quale il ricorso è
assegnato.
La sezione o la commissione speciale, se rileva che il punto di diritto sottoposto al loro esame ha dato luogo
o possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali, può rimettere il ricorso all'Adunanza generale.
Prima dell'espressione del parere il presidente del Consiglio di Stato può deferire alla Adunanza generale
qualunque ricorso che renda necessaria la risoluzione di questioni di massima di particolare importanza. Nei
casi previsti nei due commi precedenti l'Adunanza generale esprime il parere su preavviso della sezione o
della commissione speciale, alla quale il ricorso è assegnato.

Adunanza generale: è il complesso dell’autorità del consiglio di stato in sede consultiva. Mentre l’adunanza
plenaria è il massimo organo di giustizia amministrativa, l adunanza generale è il massimo organo di
consulenza giuridica in capo al consiglio di stato.

Si riconosce una funziona nomofilattica all’adunanza generale perché, prima dell’espressione del parere, il
presidente del consiglio di stato può deferire all’adunanza generale qualunque ricorso. Essa deve garantire
un’unicità dei pareri e di giudizi.

Anche in questo caso la rimessione può avvenire o da parte della sezione semplice o da parte del consiglio di
stato e l’adunanza generale esprimerà il parere su preavviso della sezione della commissione speciale a cui il
ricorso è assegnato. Il parere espresso si configura, anche se non chiarito nella norma, come uno stare
decisis: ciò è implicito nell’affermazione “La sezione o la commissione speciale, se rileva che il punto di
diritto sottoposto al loro esame ha dato luogo o possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali, può rimettere il
ricorso all'Adunanza generale”. In pratica, l’adunanza generale si comporta come un’adunanza plenaria con
una funziona di nomofilachia perché dirime un contrasto giurisprudenziale in ordine ad un quesito, un parere,
una richiesta di consulenza legale o giuridica necessaria per la risoluzione di una controversia in via
amministrativa. Infine, dopo il parere, la norma afferma che il capo dello stato può emanare la decisione: il
presidente della repubblica, infatti, dovrà emanare una decisione obbligatoriamente conforme al parere del
consiglio di stato e che ottenga il visto della corte dei conti. La disciplina precedente in tema di ricorso
straordinario prevedeva che il ministro competente, qualora ritenesse di non poter emanare una decisione
conforme al parere, potesse proporre al consiglio dei ministri una decisione difforme. Ciò veniva però
concesso in relazione al carattere amministrativo del rimedio e della sua configurazione come rimedio extra
ordinem: la scelta di configurare la possibilità di presentare al consiglio dei ministri una decisione difforme
serviva per trasferire il ricorso dalla sfera amministrativa alla sfera di alta amministrazione in cui non è
ammesso alcun sindacato in sede giurisdizionale per via di una scelta puramente politica. Questa sistema
richiedeva poi che il decreto del presidente fosse conforme alla deliberazione del consiglio dei ministri. Per
una serie di motivi, il meccanismo appena delineato non fu mai applicato, se non forse in unico caso. La
legge 69/2009 ha oggi eliminato definitivamente questo sistema prevedendo oggi la soluzione seguente: il
ministro competente deve sempre oggi presentare al presidente della repubblica la decisione del ricorso in
assoluta conformità a quanto statuito dal consiglio di stato favorendo una visione sempre più giustiziale del
rimedio e non più politica (la visione politica vigeva con il sistema precedente, dove non vi era un regime di
imparzialità e di terzietà, che dava la possibilità al consiglio dei ministri di discostarsi dal parere del
consiglio di stato). In questo caso particolare, la decisione del capo dello stato può essere impugnata. In
realtà, di solito, la decisione del capo dello stato non può essere impugnata in virtù del principio di
alternatività (se io vado dal capo dello stato anziché al TAR, è perché almeno in teoria le decisioni non
dovrebbero essere impugnabili). Nello caso particolare però, la decisione del capo di stato ha una natura
amministrativa e non si sottrae all’art. 113 della costituzione che sancisce il principio secondo cui tutti gli atti
della pa sono sottoposti al controllo dinanzi agli organi di giustizia amministrativa ordinari per la tutela dei
diritti soggettivi o degli interessi legittimi. Per questi motivi, la decisione è impugnabile dinanzi al TAR, ma
è impugnabile solo per vizi o errori in procedendo (nelle procedure) che sono successivi all’espressione del
parere vincolante del consiglio di stato. Forse, l’unica possibilità di impugnazione vera e propria si ha
quando dei soggetti siano stati pretermessi dal procedimento del ricorso straordinario perché ad essi non è
stato notificato il ricorso: in questo caso, essi potranno dedurre tutte le censure formali e sostanziali
presentando un ricorso non solo legato a dei visi di legittimità. Inoltre, è possibile che il decreto del
presidente della repubblica venga impugnato anche per revocazione nei casi previsti dell’art. 395 del codice
civile, quindi con la stessa procedura del ricorso introduttivo. Tale articolo afferma:

Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in un unico grado (1), possono essere impugnate per
revocazione:

1) se sono l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra (2);

2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la
parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;

3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre
in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario;

4) se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo
errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa,
oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno
quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare
(3);

5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata [324], purché
non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;

6) se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

Inoltre, il codice del processo amministrativo fa un unico rifermento al ricorso straordinario prendendo in
considerazione il decreto legislativo 104 del 2010 art. 7 che ha ad oggetto l’ambito della giurisdizione
amministrativa. L’ultimo comma di tale articolo afferma: " Il ricorso straordinario è ammesso unicamente
per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa." Qui si fa un espresso richiamo alla
alternatività del ricorso strairodinario che è ammesso in maniera alternativa per tutte quelle controversie che
potrebbero essere devolute alla giurisdizione amministrativa in termini decadenziali molto brevi, ossia 60
giorni per il giudice amministrativo e 120 per il presidente della repubblica. In più, si nota l’equiparazione
del ricorso straordinario dinanzi al capo dello stato con la giurisdizione amministrativa ed essa sottolinea
ancora una volta la natura giurisdizionale del decreto presidenziale.

Dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, la dottrina, ma anche in giurisprudenza,
hanno affermato che si fosse verificata una giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario, ossia che si
fosse finalmente riconosciuta una natura giurisdizionale al ricorso. L’attuale e quasi totale equiparazione, in
termini di funzioni e compiti, del ricorso dinanzi al presidente della repubblica con il ricorso dinanzi al
giudice amministrativo si è affermata per una serie di motivi: prima di tutto, per l’autorevolezza dell’organo
che decide il ricorso, ossia il consiglio di stato, e poi per la forza giuridica del provvedimento. In più, con la
legge 69/2009, è stata prevista la possibilità, prima inesistente, di rimettere le questioni di legittimità
costituzionale o di legittimità comunitaria rispettivamente alla Corte Costituzionale e alla Corte di giustizia:
quindi, in tutto e per tutto, sia la procedura amministrativa dinanzi al presidente della repubblica sia la
procedura giurisdizionale dinanzi al TAR stanno acquisendo una assimilazione. Tale equiparazione è ancor
più visibile in quanto il procedimento di esecuzione delle sentenze amministrative è adottabile anche per le
decisioni assunte dal capo dello stato secondo l’art.112 cpa nel quale si afferma che l’azione di ottemperanza
può essere proposta per ottenere l’esecuzione delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti
ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento
dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione. Da tale affermazione si
comprende che sono stati finalmente eliminati tutti gli ostacoli formali che impedivano l’attuazione
giurisdizionale delle decisioni del capo dello stato. Infatti, a seguito del ricorso straordinario dinanzi al capo
dello stato, scatta sempre l’obbligo in capo alla pa di conformarsi ad una decisione formalmente di natura
amministrativa, la quale, per il solo fatto che sottostà al giudizio di ottemperanza, fa assumere al ricorso
straordinario dinanzi al capo dello stato una natura sostanzialmente giurisdizionale.

Tutto ciò che è stato analizzato fino ad ora, ossia il ricorso straordinario dinanzi al capo dello stato, è
disciplinato dagli articoli 8. 13, 14 del dpr n.1199 del 1971. Oltre a questa normativa datata, anche se ancora
attuale, si deve aggiungere la normativa recente presente nel codice del processo amministrativo. Nel cpa, gli
articoli che riguardano il ricorso straordinario al capo dello stato sono: art. 7 ultimo comma, art. 48, art. 112
(prima analizzato), art. 113.

Prendendo in considerazione prima l’art.48 del cpa, si nota che anche in questo caso si fa riferimento alla
natura sostanzialmente giurisdizionale del ricorso straordinario dinanzi al capo dello stato. Tale articolo
afferma:

1. Qualora la parte nei cui confronti sia stato proposto ricorso straordinario ai sensi degli articoli 8 e seguenti
del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, proponga opposizione, il giudizio
segue dinanzi al tribunale amministrativo regionale se il ricorrente, entro il termine perentorio di sessanta
giorni dal ricevimento dell'atto di opposizione, deposita nella relativa segreteria l'atto di costituzione in
giudizio, dandone avviso mediante notificazione alle altre parti.

2. Le pronunce sull'istanza cautelare rese in sede straordinaria perdono efficacia alla scadenza del
sessantesimo giorno successivo alla data di deposito dell'atto di costituzione in giudizio previsto dal comma
1. Il ricorrente può comunque riproporre l'istanza cautelare al tribunale amministrativo regionale.

3. Qualora l'opposizione sia inammissibile, il tribunale amministrativo regionale dispone la restituzione del
fascicolo per la prosecuzione del giudizio in sede straordinaria.

Qui vi è una correlazione intrinseca tra il ricorso giurisdizionale e il ricorso processuale e lo si comprende
dal fatto che l’opposizione della parte nei cui confronti sia stato proposto il ricorso straordinario viene
presentata al TAR e segue le regole del procedimento amministrativo tout court; in più dalla strumentalità
dell’istanza cautelare che ha un’efficacia transitoria, interinale e che cessa alla scadenza del 60esimo giorno;
in più dal fatto che il ricorrente può riproporre l'istanza cautelare al tribunale amministrativo regionale; in più
dal fatto che, qualora l'opposizione sia inammissibile, il tribunale amministrativo regionale dispone la
restituzione del fascicolo per la prosecuzione del giudizio in sede straordinaria. Da ciò si comprende che vi
sia un interfacciarsi costante tra il ricorso straordinario e quello processuale.

Un altro articolo che manifesta questo connubio è l’art. 113 del cpa il quale afferma:
1. Il ricorso si propone, nel caso di cui all'articolo 112, comma 2, lettere a) e b), al giudice che ha emesso il
provvedimento della cui ottemperanza si tratta; la competenza è del tribunale amministrativo regionale anche
per i suoi provvedimenti confermati in appello con motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e
conformativo dei provvedimenti di primo grado.

2. Nei casi di cui all'articolo 112, comma 2, lettere c), d) ed e), il ricorso si propone al tribunale
amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta
l'ottemperanza.

(leggere per sicurezza le lettere dell’articolo 112 a cui si fa riferimento)

Se è vero che nella disciplina recente si nota ugualmente il legame tra il ricorso straordinario e quello
processuale, gli articoli del dpr. 1199/71 sono più sintomatici. Si ricordi l’art. 8:

1. Contro gli atti amministrativi definitivi è ammesso ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per
motivi di legittimità da parte di chi vi abbia interesse.

2. Quando l'atto sia stato impugnato con ricorso giurisdizionale, non è ammesso il ricorso straordinario da
parte dello stesso interessato.

Da ciò, si comprende che il primo elemento a favore della natura non amministrativa, ma giurisdizionale del
ricorso è l’alternatività.

Uno degli articoli più importanti del dpr 1199/71 è l’art. 13 il quale scandisce la disciplina del parere sul
ricorso straordinario. Esso è importante perché si nota che, sebbene il ricorso sia di natura amministrativa, la
procedimentalizzazione dei momenti è propria di un ricorso giurisdizionale. Tale articolo afferma:

1. L'organo – sarebbe quello competente ad esprimere il parere sul ricorso straordinario, ossia una sezione
consultiva del consiglio di stato - al quale è assegnato il ricorso, se riconosce che l'istruttoria è incompleta o
che i fatti affermati nell'atto impugnato sono in contraddizione con i documenti - sembrano i poteri istruttori
del giudice amministrativo studiati in sede giurisdizionale di legittimità, vi è un’analogia che permette al
consiglio di stato in sede consultiva di fare propri i poteri istruttori che potrebbe esperire in relazione ad un
giudizio vero e proprio -, può richiedere al Ministero competente nuovi chiarimenti o documenti ovvero
ordinare al Ministero medesimo di disporre nuove verificazioni, autorizzando le parti ad assistervi ed a
produrre nuovi documenti. Se il ricorso sia stato notificati ad alcuni soltanto dei controinteressati, manda
allo stesso Ministero di ordinare l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri secondo le
modalità previste nell'art. 9, quinto comma. Se ritiene che il ricorso non possa essere deciso
indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale che non risulti
manifestamente infondata, sospende l'espressione del parere e, riferendo i termini e i motivi della questione,
ordina alla segreteria l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi e per gli effetti di
cui agli articoli 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché la notifica del provvedimento ai
soggetti ivi indicati. Se l'istruttoria è completa e il contraddittorio è regolare, esprime parere:

a) per la dichiarazione di inammissibilità, se riconosce che il ricorso non poteva essere proposto, salva la
facoltà dell'assegnazione di un breve termine per presentare all'organo competente il ricorso proposto, per
errore ritenuto scusabile, contro atti non definitivi;
b) per l'assegnazione al ricorrente di un termine per la regolarizzazione, se ravvisa una irregolarità sanabile,
e, se questi non vi provvede, per la dichiarazione di improcedibilità del ricorso;
c) per la reiezione, se riconosce infondato il ricorso;
d) per accoglimento e la rimessione degli atti all'organo competente, se riconosce fondato il ricorso per il
motivo di incompetenza;
e) per l'accoglimento, salvo gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, se riconosce fondato il ricorso
per altri motivi di legittimità.
Le ipotesi elencate dimostrano anch’esse grande analogia con il processo amministrativo. Giusto per fare un
esempio, con la lettera a si richiama l’istituto dell’errore scusabile, istituto prettamente processuale, che nella
l. 241/90 appare nell’art. 3 ultimo comma (In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il
termine e l’autorità competente cui è possibile ricorrere.). Tale istituto era molto usato in passato e prevedeva
che, nel caso in cui la pa non avesse indicato l’autorità competente o il termine entro il quale ricorrere, il
ricorrente potesse essere rimesso nei termini in virtù dell’errore scusabile in base al quale si scusava il
soggetto che non fosse stato adeguatamente informato dalla pa dandogli un’altra chance processuale.

Anche l’articolo 14 del dpr 1199/71 si intravede una natura sostanzialmente giurisdizionale del ricorso
straordinario. Tale articolo afferma:

1. La decisione del ricorso straordinario è adottata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta
del Ministero competente.
(comma così modificato dalla legge n. 69 del 2009 che ha previsto che non vi sia più la possibilità,
prettamente politica, di discostarsi dal parere del consiglio di stato)

2. (comma soppresso dalla legge n. 69 del 2009)

3. Qualora il decreto di decisione del ricorso straordinario pronunci l'annullamento di atti amministrativi
generali a contenuto normativo, del decreto stesso deve essere data, a cura dell'Amministrazione interessata,
nel termine di trenta giorni dalla emanazione, pubblicità nelle medesime forme di pubblicazione degli atti
annullati.

4. Nel caso di omissione da parte dell'amministrazione, può provvedervi la parte interessata, ma le spese
sono a carico dell'amministrazione stessa. Come a dire che la parte soccombente paga anche le spese di
natura amministrativa come se fossero di natura processuale.

A risolvere definitivamente il problema della natura sostanzialmente giurisdizionale del ricorso straordinario
è intervenuta l’Adunanza plenaria del consiglio di stato con due pronunce gemelle con le quali ha sancito,
anche se non espressamente, due principi di diritto di fondamentale importanza che hanno assunto oggi
un’efficacia vincolante nonché una funzione nomofilattica. Le pronunce gemelle sono le n. 9 e 10 del 6
maggio del 2013. Esse hanno risolto un contrasto giurisprudenziale che vedeva da tanto tempo, in giustizia
amministrativa, contrapporsi due schieramenti: l’uno che sosteneva la natura prettamente amministrativa del
ricorso e l’altro che sosteneva la natura sostanzialmente giurisdizionale del ricorso straordinario. Il primo
principio di diritto sancito è il seguente: il decreto del presidente della repubblica ha una natura
giurisdizionale. Il secondo è il seguente: l’esecuzione della decreto del capo dello stato avviene con giudizio
di ottemperanza in unico grado dinanzi al consiglio di stato. E’ poi per le stesse ragioni che, con un
orientamento innovativo e sulla base delle caratteristiche del ricorso straordinario molto simili alle
caratteristiche del processo amministrativo, le giurisprudenza ha ammesso che avverso la decisione del
ricorso straordinario è possibile l’esperimento del ricorso alle sezioni unite della corte di cassazione per
questioni di giurisdizione. Si veda sul punto Corte di cassazione sezioni unite 14 maggio 2014 n. 10414. Tale
sentenza ha affermato che il ricorso per questioni di giurisdizione può essere proposto soltanto se nel corso
del procedimento del ricorso straordinario la questione di giurisdizione è stata sollevata ed è stata affrontata
in analogia a quanto previsto dall’art. 9 del codice del processo per i giudizi amministrativi. In questo modo,
vi è stato un ampliamento dei rimedi avverso il ricorso straordinario al capo dello stato. Inoltre, tale ricorso
straordinario è simile all’impugnazione che può essere proposta al presidente della regione siciliana solo nei
confronti degli atti amministrativi regionali. in questo caso, deve trattarsi di atti emanati direttamente da
organi regionali o da organi dipendenti o controllati dall’amministrazione regionale nell’esercizio di una
potestà amministrativa propria di quella regione. Quindi, vi è un criterio della territorialità limitato alla
regione sicilia. Il ricorso, analogo al ricorso dinanzi al capo dello stato, viene deciso dal presidente della
regione su proposta dell’assessore competente e sempre previo parere del consiglio di giustizia
amministrativa per la regione sicilia, giudice di appello per le controversie emanate dai TAR siciliani.
Diversamente dal ricorso dinanzi al capo di stato, è possibile che il presidente della regione si discosti dal
parere del consiglio di giustizia amministrativa su richiesta dell’assessore regionale sempre previa
deliberazione della giunta regionale.

Possiamo concludere con alcune riflessioni. Si è detto che il ricorso straordinario è un rimedio alternativo
alla giustizia vera e propria. Alcuni rimedi amministrativi sono applicati ben poco oggi per la scarsa
possibilità che hanno di offrire una tutela effettiva, come ad esempio il ricorso gerarchico improprio. Vi è
stato un grande ritorno al ricorso al capo dello stato perché si stanno prospettando dei nuovi istituti di
derivazione europea. Un esempio è costituito dagli ADR- alternative dispute risolution -. Essi sono degli
strumenti alternativi delle controversie, nati nell’ambito della disciplina del consumatore e oggi molto in
voga, che dovrebbero servire per garantire una più rapida ed effettiva tutela dei diritti ed una maggiore
imparzialità. Tra questi strumenti, il ricorso straordinario al capo dello stato si configura come uno degli
ADR per eccellenza, anche se non è munito della celerità della decisione finale che invece di solito
caratterizza gli istituti degli ADR e presenta molto caratteristiche del processo amministrativo.

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