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La battaglia di San Romano

La tavola della Battaglia di San Romano faceva parte di un ciclo di tre dipinti che celebrava la
vittoria di Firenze sulle truppe senesi e sull’alleanza guidata dal duca di Milano, nella battaglia di
San Romano (Pisa) nel 1432; questa vittoria fu un avvenimento cruciale per la storia e la politica
di entrambe le città rivali.
Nel pannello, Niccolò da Tolentino, a capo dell’esercito orentino, fu rappresentato mentre con
l’asta riesci a disarcionare Bernardino della Carda, il condottiero alla guida delle truppe avversarie,
mentre intorno infuria la battaglia. La direzione delle aste e delle balestre fanno intuire l’esito dello
scontro.
La tavola degli U zi fu l’episodio centrale della sequenza narrativa, che iniziava con la
ra gurazione della Battaglia di San Romano, che oggi si trova alla National Gallery a Londra, e si
conclude con l’attacco di Michelotto da Cotignola, alleato dei orentini, illustrato nel pannello del
Museo del Louvre a Parigi. Il ciclo decorativo fu commissionato da Lionardo Bartolini Salimbeni,
un importante politico orentino della metà del XV secolo, per il proprio palazzo a Firenze pochi
anni dopo l’epica impresa. All’inizio le tavole avevano la forma arcuata nella parte superiore, per
inserirsi fra le arcate di una sala coperta con volta a peducci. Gli eredi di Lionardo Bartolini
cedettero poi i dipinti a Lorenzo il Magni co, che li fece collocare nel odierno Palazzo De Medici,
facendo modi care la forma probabilmente a Paolo Uccello, che rmò la tavola proprio agli U zi.
L’autore aggiunse anche delle integrazioni agli angoli che mostrano la ra gurazione di fronde di
arance, le “mala medica” emblema della famiglia Medici.

La descrizione e lo stile
Nella tavola viene ra gurato un condottiero senese che viene sbalzato da cavallo; con il punto
focale di fuga sul cavallo bianco del comandante, che occupa il primo piano. La gamba tesa di
Bernardino, il comandante, la lancia che lo colpisce e una cornice geometrica a forma di
triangolo, che sembra cristallizzare e congelare l'eccitazione della scena, facendo sparire ogni
dramma e violenza. È proprio questo contrasto tra movimento e immobilità, che risulta dal
rapporto tra le gure e la rete prospettica, che è all'origine della bellezza della tavola, contrasto
che troviamo nelle masse dei cavalli in movimento, con le zampe sollevate che sembra non
debbano mai più toccare il suolo che sono ridotte a volumi geometrici puri, con colori irreali (rosa,
bianco, blu) distribuiti in ampie zone piane e disposti uno accanto all'altro secondo precise
corrispondenze cromatiche. I cavalieri sembrano più manichini in armatura, completamente
chiusini esse, anziché uomini reali in grado di muoversi e agire: all'atmosfera abesca della scena
contribuisce anche il fatto che il volto di pochissimi di loro è visibile e sembrano muoversi come
marionette. Per la resa delle armature e dei nimenti Paolo Uccello impiegò una cospicua quantità
di foglia metallica, che doveva originariamente conferire al dipinto grande ricchezza e brillantezza
cromatica, di cui si conservano solo alcune tracce. Nel terreno, oltre alla griglia di lance, alle armi
e agli scudi, si trovano anche dei cavalli abbattuti. scorciati in posizioni ardite: nonostante l'uso
rigoroso della prospettiva e le ampie vedute paesaggistiche. la scena trasmette l'impressione di
preziosità bidimensionale tipica degli arazzi, e il linguaggio di Paolo Uccello appare ancora
largamente in debito con la cultura tardo-gotica.

Nello sfondo è presente una siepe di cespugli oriti, curata con grande attenzione ai dettagli
naturalistici, in cui giovani che non sanno nemmeno cosa sta succedendo in primo piano
praticano la caccia con balestre e lance.
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