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LA MORTE CELLULARE

La morte di singole cellule o di gruppi di cellule non costituisce sempre un danno per l’organismo,
ma bensì un evento ad esso utile sia durante lo sviluppo intrauterino per la rimozione di cellule in
eccesso, sia a sviluppo ultimato per l’eliminazione di cellule alterate. La ricerca scientifica è riuscita
a dimostrare che esistono tre principali modalità attraverso cui una o più cellule possono morire:
o La necrosi, che si verifica quando uno o più gruppi di cellule risultano privati delle funzioni
metaboliche necessarie per la sopravvivenza in conseguenza di insulti accidentali,
traumatici, o patologici, subìti da alcune o da tutte le molecole cellulari, con conseguente
impossibilità della fornitura energetica indispensabile per l’espletamento delle funzioni
vitali
o L’apoptosi, che al contrario della necrosi è un processo attivo che le cellule svolgono
disponendo di energia ed attuando un complesso piano di reazioni biochimiche che
culmina nell’autodistruzione cellulare
o L’autofagia, attuata dalle cellule per l’eliminazione di molecole e di organuli cellulari
danneggiati ma che, se seguita da insuccesso, prelude alla morte cellulare per apoptosi o
necrosi

STORIA DELLA MORTE CELLULARE

▪ 1800: si effettuano le prime osservazioni sulla morte cellulare


▪ 1908: Elia Mechnikov ottiene il premio Nobel per la fagocitosi 🡪

Elia Metchnikoff (1845-1916) fu un biologo ed immunologo russo di origine ebraica. Non appena
ebbe preso la laurea in Biologia specializzandosi in Zoologia e Protozoologia, effettuò numerosi
viaggi all’estero con il desiderio di soddisfare la sua illimitata sete di conoscenza. Nel 1864,
dapprima si recò in Germania, ad Heligoland, già nota come città dedita alle ricerche sulla fauna
marina, mentre nel 1865 studiò l’epidemia di colera che infuriò a Napoli. Nel 1882, mentre si
trovava a Messina, scoprì i macrofagi (che chiamò fagociti) mentre eseguiva degli esperimenti sulle
larve di stelle marine: per sperimentare su questo tipo di larve, inserì al loro interno delle piccole
spine e scoprì delle cellule inusuali che andavano a circondarle. Inoltre, sapendo che quando si
verifica una infiammazione in animali muniti di sistema vascolare i leucociti fuoriescono dai loro
vettori sanguigni, giunse alla conclusione che questi leucociti potevano attaccare e digerire i batteri
che penetravano nell’organismo. La sua teoria che certe cellule del sangue potessero ingerire e
distruggere organismi pericolosi come i batteri incontrò lo scetticismo di grandi scienziati, a partire
da Louis Pasteur e Paul Ehrlich, ma alla fine gli permise di vincere il premio Nobel per la Medicina
nel 1908.

▪ 1930-1940: primi studi sulla metamorfosi


▪ 1948-1949: morte cellulare nell’arto di un pulcino
▪ 1955: inizio studio lisosomi
▪ 1964-1966: descrizione della necrosi
▪ 1971: viene coniato il termine “apoptosi”
▪ 1977: vengono trovati i geni specifici per la morte cellulare nel verme nematode
▪ 1980-1982: scoperta ced-3 (principale pro-apoptotico) e frammentazione a “scala” del DNA
▪ 1989-1991: individuati i geni dell’apoptosi, incluso BCL-2, p53…

LA NECROSI

È la morte cellulare accidentale, che si svolge passivamente perché la cellula la subisce senza
essere in grado di contrastarla, ed è provocata da severi insulti ambientali od endogeni: queste
alterazioni biochimiche si associano spesso a modificazioni morfologiche progressivamente
ingravescenti che finiscono col determinare la completa disorganizzazione dell’architettura
cellulare; in breve, la cellula si rigonfia rapidamente fino ad esplodere ed a rilasciare all’esterno i
suoi costituenti.
In particolare, tra le alterazioni in grado di innescare una risposta necrotica, si contano una serie di
modificazioni concatenate fra loro, al centro delle quali si colloca il danno subìto dai mitocondri,
che si presenta sotto l’aspetto morfologico con il loro rigonfiamento fino all’assunzione di una
forma sferica, e sotto l’aspetto biochimico con l’alterazione della fosforilazione ossidativa, che
provoca la riduzione della sintesi di ATP:
▪ DANNO MITOCONDRIALE E DEFICIT DI ATP: il deficit di ATP si riflette immediatamente in un
deficit energetico, che riduce o blocca la possibilità della cellula di effettuare sia i processi
di biosintesi che i processi degradativi delle molecole. Le cellule possono adattarsi
all’avversa situazione di deficienza di ossigeno attivando la glicolisi anaerobia: la scomparsa
dei depositi di glicogeno e l'accumulo di acido lattico, che provoca uno stato di acidosi
rappresentano, difatti, uno dei segni precoci della morte cellulare per necrosi.

▪ ALTERAZIONI DELL’OMEOSTASI IONICA TRA INTERNO ED ESTERNO DELLA CELLULA: tra gli
effetti indotti dal deficit di ATP, i primi a manifestarsi sono quelli causati dal ridotto o
mancato funzionamento dei numerosi meccanismi ATP-dipendenti preposti al
mantenimento dell’omeostasi ionica della cellula. Si verifica così il blocco della pompa
ionica Na+/K+ - ATP dipendente presente nella membrana plasmatica cellulare, che diventa
responsabile della fuoriuscita dalla cellula di potassio e della contemporanea penetrazione
intracellulare di sodio. L’accumulo intracellulare di questo catione provoca richiamo di
acqua al fine di ristabilire una condizione di isoosmolarità che conseguentemente
determina il rigonfiamento del citoplasma, aggravato dall’accumulo di acido lattico per
glicolisi anaerobia, ma anche dal fatto che, al fine di ridurre l’eccesso di H+, la pompa
Na+/H+ espelle H+ ed importa Na+.

▪ ACCUMULO INTRACELLULARE DI CALCIO: all’accumulo intracellulare di Na+ si aggiunge


quello di Ca2+, che subentra sia perché questo catione viene rilasciato dai mitocondri sotto
ischemia-anossia, sia perché, in conseguenza dell’aumentata concentrazione intracellulare
di Na+, si attiva la pompa Na+/Ca2+, che espelle sodio e richiama calcio e, infine, anche
perché, a causa del deficit di ATP sono inibite tutte le pompe ATP dipendenti che
provvedono a far fuoriuscire il calcio. L’alterata omeostasi del calcio rappresenta l’evento
determinante la transizione dalla fase di reversibilità a quella di irreversibilità perché
l’aumento del calcio citosolico determina l’attivazione del metabolismo perossidativo che
produce varie specie molecolari molto reattive e responsabili della comparsa di imponenti
alterazioni fisico-chimiche a carico delle membrane lipidiche, e di danni strutturali alle
proteine e agli acidi nucleici. Non viene risparmiato nemmeno il citoscheletro che va
incontro ad una super-contrazione che può provocare addirittura una disorganizzazione di
vari compartimenti cellulari.
La necrosi, quindi, comporta solo l’arresto delle funzioni vitali, cioè delle funzioni metaboliche, ma
anche le alterazioni successive consistenti in processi di lisi e di distruzione dei costituenti cellulari.
Ad essa è inoltre associata spesso la reazione flogistica, che subentra sia per azione diretta degli
agenti responsabili della necrosi, sia per la presenza dei detriti cellulari che sono riconosciuti dai
recettori delle cellule dell’immunità innata e dell’infiammazione.
Quindi, a tutte le lesioni necrotiche fa seguito una reazione infiammatoria che ha il duplice fine di
rimuovere i detriti cellulari e di dare l’avvio al processo riparativo: il quadro flogistico post-
necrotico è caratteristico di questo tipo di morte cellulare perché non si verifica nel caso della
morte cellulare programmata, dato che in essa l’evento letale non coinvolge gruppi cellulari ma si
svolge in maniera asincrona su cellule isolate. Le cellule necrotiche rilasciano una serie di molecole
definite allarmine, che vengono incluse tra le cosiddette DAMP (Damage Associated Molecular
Patterns), vale a dire i profili molecolari associati al danno che sono riconosciuti dai recettori
espressi dalle cellule dell’immunità innata e dell’infiammazione. Il loro riconoscimento è seguito
dalla trasduzione di un segnale, che innesca una risposta infiammatoria.

L’APOPTOSI

Consiste nel suicidio cellulare geneticamente controllato, scoperto da S. Brenner, R. Horvitz e J.


Sulston (Nobel 2002), che si differenzia dalla necrosi per una serie di aspetti:
1. È un fenomeno geneticamente programmato, che richiede fornitura energetica, sintesi di
RNA e di proteine
2. Coinvolge non solo le cellule che hanno subìto un danno, ma anche cellule sane, come
avviene:
- durante la differenziazione cellulare e la morfogenesi (es. morte delle cellule che
formano la membrana interdigitale e che conferiscono all’estremità l’aspetto di una
pinna in modo da consentire l’individuale possibilità di movimento alle dita)
- durante la vita post-natatale, per l’eliminazione delle cellule senescenti e dei linfociti
autoreattivi nonché per il mantenimento di un numero costante di cellule nei vari
tessuti durante il processo riparativo che comporta rimodellamento tissutale (es.
regressione della ghiandola mammaria dopo l’allattamento, sfaldamento
dell’endometrio all’inizio del ciclo mestruale, formazione delle connessioni sinaptiche tra
i neuroni…)
3. Non si associa alla reazione infiammatoria
La morte cellulare programmata è da considerare in prima istanza un evento fisiologico, perché
l’eliminazione di alcune cellule dell’organismo può riuscire utile ai fini della sopravvivenza di
questo, come avviene, per esempio, durante la vita intrauterina con la distruzione delle cellule
formate in eccesso durante l’organogenesi, e la vita adulta con l’eliminazione dei cloni linfocitari
autoreattivi o di cellule infettate da virus o trasformate da agenti cancerogeni. Inoltre, la
disregolazione della morte cellulare programmata porta a manifestazioni patologiche sia nel caso
che essa sia eccessiva, come nell’Alzheimer o Parkinson, sia che essa sia insufficiente, come nel
caso delle cellule neoplastiche o della persistenza di alcuni residui embrionali.
Sotto l’aspetto morfologico, la cellula apoptotica si presenta inizialmente con un volume inferiore
a quello normale in conseguenza dell’efflusso di acqua, ed arrotondata, con riduzione o perdita
delle strutture di superficie, e assottigliamento delle giunzioni cellulari associato al distacco delle
cellule vicine e con estrusione di alcuni prolungamenti citoplasmatici sotto forma di vescicole. In
una fase più avanzata del processo, si hanno la condensazione del citoplasma e il compattamento
degli organuli citoplasmatici, addensamento della cromatina nucleare e successiva
frammentazione. Infine, tutta la cellula si frammenta formando numerosi corpuscoli, definiti corpi
apoptotici, rivestiti da membrana plasmatica ed includenti residui nucleari. Il processo si conclude
con la fagocitosi dei corpi apoptotici, operata dai macrofagi tramite fosfatidilserina, i quali
esprimono i recettori che riconoscono alcune molecole esposte sulla membrana che riveste i corpi
stessi. L’immediata rimozione dei residui cellulari apoptotici impedisce l’instaurarsi della risposta
infiammatoria.
Il termine APOPTOSI, che in greco antico indica la caduta dei petali da un fiore o delle foglie di una
pianta, venne coniato proprio perché il processo di morte cellulare programmata culmina con il
distacco dalla cellula dei suddetti corpuscoli. Esso è frequentemente usato come sinonimo di
morte cellulare programmata, anche se in realtà indica soltanto la modalità con cui questa si
conclude. Inoltre, la cellula impiega 2-4 ore per compiere il suicidio, che viene attuato attraverso
una serie di eventi biochimici facenti riferimento ad una via intrinseca e ad una via estrinseca.

LA VIA ESTRINSECA ed INTRINSECA

Sono le vie della apoptosi che la cellula segue quando i fattori che inducono la morte cellulare
provengono rispettivamente dall’esterno (es. ormoni, citochine, virus, temperatura elevata…) o
dall’interno di essa. La sequenza di eventi che culminano nella formazione e liberazione dei corpi
apoptotici si svolge attraverso tre fasi sequenziali: l’induzione, l’esecuzione, e la disgregazione.
1. Fase di induzione 🡪 i principali stimoli che innescano la via estrinseca sono forniti dalle
citochine proapoptotiche, cioè molecole appartenenti alla famiglia del Tumor Necrosis
Factor (TNF), generalmente espresse sulla superficie dei macrofagi e di alcuni linfociti, delle
quali le più conosciute sono il TNF-alfa, il TNF-beta, ed il Fas ligando, che interagiscono con
specifici recettori transmembranacei espressi sulla superficie della cellula bersaglio, e
definiti recettori di morte (Death Receptors = DR), quali ad esempio il TNF-R1, il TNF-R2 ed
il Fas. Nella via estrinseca, l’interazione tra i ligandi e i recettori di morte determina una
modificazione conformazionale nella porzione intracitoplasmatica di questi, che li rende
capaci di reclutare proteine adattattrici e di interagire con esse, come nel caso delle FADD
(Fas Associated Death Domain) per un recettore Fas, e TRADD (TNFR Adaptor Death
Domain) per un recettore TNF-R1.

Le proteine adattatrici, a loro volta, reclutano molte molecole di una proteina, la


procaspasi 8, che vengono attivate per autoproteolisi a caspasi 8, acquisendo attività
proteolitica. La caspasi 8, una volta attivata, agisce proteoliticamente sulla procaspasi 10
attivandola ed insieme a questa attiva le procaspasi effettrici 3, 6, 7, che agiscono da
caspasi esecutrici. Ma oltre ad attivare le procaspasi effettrici 3, 6, 7, la caspasi 8 agisce
proteoliticamente sulla proteina proapoptotica Bid, appartenente alla famiglia BCL-2.

In particolare, la caspasi esecutrice 3 attiva una DNAsi definita CAD la quale, divenuta
libera, trasloca nel nucleo, dove procede alla degradazione del DNA. Inoltre, la caspasi 3
interferisce con l’attività del citoscheletro alterandola e dando inizio alla cascata enzimatica
delle caspasi, che comporta l’attacco ad una lunga serie di substrati intracellulari che
culminerà con la morte della cellula in conseguenza della inattivazione o distruzione di
numerosi costituenti cellulari membranacei, citosolici e nucleari, che si appalesa con un
sovvertimento della morfologia e delle funzioni cellulari.
La via intrinseca è innescata da vari tipi di danno cellulare, di cui i principali sono la
mancanza prolungata di fattori di crescita (fattori di sopravvivenza) e la presenza di danni
al DNA avvenuti durante la sua replicazione. Difatti, nella mancanza prolungata di fattori di
crescita non si verifica la fosforilazione di una proteina citosolica proapoptotica definita
BAD che, restando così libera, trasloca sulla membrana mitocondriale dove, in associazione
ad altre proteine proapoptotiche (quali BID, BAX, e BAK) esercita la sua azione
permeabilizzante che permette il rilascio di costituenti mitocondriali tra cui il citocromo C. Il
processo è facilitato dalla contemporanea inattivazione di proteine antiapoptotiche come
BCL-2: il bilancio proteine apoptotiche/proteine antiapoptotiche risulta, quindi, cruciale per
il destino cellulare, nel senso che se prevalgono le proapoptotiche la cellula muore, mentre
se prevalgono le antiapoptotiche essa sopravvive. La prevalenza dell’uno o dell’altro tipo di
proteine dipende dal tipo di segnali che vengono generati: se i segnali di sopravvivenza
superano i segnali di morte, le proteine apoptotiche come BAX o BAK vengono bloccate
dalle proteine antiapoptotiche BCL-2, mentre nel caso contrario, cioè se prevalgono i
segnali di morte le proteine proapoptotiche BAX e affini possono formare degli oligomeri
che permettono direttamente o indirettamente la fuoriuscita di fattori in grado di innescare
l’apoptosi.

Nel caso del danneggiamento del DNA, invece, la cellula riceve segnali che attivano la
proteina p53, che è il prodotto del gene oncosoppressone P53, la quale determina l’arresto
del ciclo cellulare in modo da consentire durante la sosta l’intervento dei meccanismi di
riparazione. Se questi non raggiungono lo scopo di restaurare l’integrità del DNA, la stessa
proteina p53, che è un fattore di trascrizione, trasloca nel nucleo dove attiva alcuni geni
proapoptotici, come bax che codifica per la proteina BAX, la quale raggiunge i mitocondri
dove partecipa alla permeabilizzazione della membrana mitocondriale. È per l’appunto
nell’induzione del danno mitocondriale che si verifica la convergenza tra la via estrinseca ed
intrinseca.

2. Fase di esecuzione 🡪 tutte le proteine attivate nella fase di induzione hanno come principali
bersagli i mitocondri e il nucleo. Nel loro insieme queste molecole concorrono a provocare
nella membrana mitocondriale modificazioni strutturali e della composizione lipidica che
diventano responsabili della distruzione del potenziale di membrana e dell’apertura di
megapori attraverso i quali vengono rilasciati costituenti essenziali di questi organuli
cellulari.

Il citocromo C, detto anche APAF-2 (Apoptosis Protease Activating Factor), fuoriuscito dal
mitocondrio attraverso i megapori della membrana, si lega ad una proteina citoplasmatica
definita Apaf-1, inducendo in essa una modificazione conformazionale che la rende capace
di legare l’ATP e di interagire con altre sei molecole Apaf-1 formando un complesso
multimolecolare eptamerico (di sette molecole), definito apoptosoma. Appena formato,
l’apoptosoma recluta la procaspasi 9, che viene attivata a caspasi 9, la quale attiva la
procaspasi 3 ed altre caspasi esecutrici amplificando il processo. Tra le altre molecole
coinvolte si ricordano la proteina AIF (Apoptosis Inducing Factor), e la proteina
Smac/Diablo perché l’una e l’altra giocano un ruolo importante nel controllo dell’apoptosi:
AIF, difatti, oltre ad incrementare il rilascio del citocromo C dai mitocondri, trasloca nel
nucleo dove induce la condensazione della cromatina ed, inoltre, attiva alcune caspasi.

3. Fase di degradazione 🡪 la frammentazione del DNA costituisce il fenomeno culminante


dell’apoptosi nelle cellule che effettuano questo processo. Essa è operata da alcune
endonucleasi quali DNasi I, DNasi II, che vengono attivate da caspasi. Le endonucleasi
spezzano i due filamenti della doppia elica del DNA in maniera irreversibile e specifica, con
conseguente produzione di frammenti costituiti da 180-200 coppie di basi. Questo tipo di
frammentazione, evidenziabile con particolari metodi, permette di distinguere i residui di
DNA formati nell’apoptosi da quelli che si formano nella necrosi o per azione di enzimi di
restrizione.
QUINDI…

APOPTOSI NECROSI
Cellula si raggrinza ma gli organelli sono Cellula si rigonfia e gli organelli ne risultano
indenni; la cromatina si addensa, il nucleo danneggiati
collassa e si frammenta in modo regolare
La membrana protrude ma rimane intatta La membrana si rompe
Si formano i corpi apoptotici È coinvolta la regione e non la singola cellula
Fagociti locali inglobano i residui e così non c’è Cellula lisa innescando la risposta
reazione tissutale infiammatoria infiammatoria
DNA risulta frammentato selettivamente DNA risulta frammentato randomicamente
ATP è richiesto ATP è rilasciato

Inoltre, è importante ricordare che soltanto in tempi più recenti l’apoptosi è stata declinata nella
piroptosi, la morte cellulare programmata e mediata dalle caspasi 1 e 11, e dall’inflammosoma,
complessi di macromolecole che si assemblano in risposta a pattern molecolari associati al danno;
determina morte cellulare ed è associata alla produzione di IL1-beta e IL-18. La piroptosi, così
come la necrosi, attiva la risposta infiammatoria che peggiora il danno, incrementando la necrosi
cellulare.
RUOLO DELLA APOPTOSI NELLA TUMORIGENESI

Una delle più importanti acquisizioni dell’oncologia moderna è la descrizione della cancerogenesi
come processo che si svolge in più stadi, che devono essere attraversati in sequenza per svincolare
la cellula trasformata dai diversi meccanismi di controllo messi in opera dall’organismo. Esistono
però vari fattori che possono accelerare il percorso verso lo sviluppo di neoplasie e tra questi
figurano fattori esogeni (sostanze mutanti, virus oncogeni) e fattori endogeni (mutazioni a carico
di geni soppressori dei tumori, minore efficienza dei meccanismi di riparazione del DNA e
dell’apoptosi). Il coinvolgimento primitivo di alterazioni dell’apoptosi è dimostrato solo in rari
pazienti con mutazione germ-line della proteina p53, che non sono in grado di attivare
correttamente i processi di riparazione del DNA in seguito a danni genetici. Soggetti con tale deficit
hanno un rischio aumentato di sviluppare diversi tumori (sarcomi, cancro della mammella e tumori
del SNC) anche in età precoce, e di sviluppare seconde neoplasie dopo essere stati curati per
tumore in età pediatrica. Molto più frequente è ritrovare alterazioni dell’apoptosi come evento
tardivo nella sequenza di mutazioni che si presentano in cellule neoplastiche. In questi casi la
perdita del controllo apoptotico permette la sopravvivenza di cellule geneticamente alterate e
diminuisce la loro risposta ai farmaci antineoplastici. Dal punto di vista clinico, l’overespressione
del Bcl-2 è un fattore prognostico negativo nel neuroblastoma. Anche lo studio della p53 può
essere usato nella stadiazione tumorale: la maggior parte delle mutazioni a suo carico porta infatti
alla produzione di una proteina non funzionale che può essere dosata in grande quantità in liquidi
biologici (per esempio nel liquido intestinale in caso di carcinoma del colon).

MALATTIE ASSOCIATE A DEREGOLAZIONE DELL’APOPTOSI

o Aumento apoptosi: AIDS, malattie neurodegenerative, Alzheimer, Parkinson, Huntington


o Inibizione apoptosi: cancro, linfoma follicolare, carcinomi per mutazioni p53, malattie
autoimmuni, lupus eritematoso sistemico, infezioni virali, herpesvirus, adenovirus

L’APOPTOSI E I TRAPIANTI

Per quanto riguarda la condizione del trapianto, si ricorda che alcuni rigetti sono impediti
fisiologicamente dal fatto che determinati organi risultano immunologicamente privilegiati. Tra
questi si citano gli occhi, i testicoli, la placenta, l’utero e il cervello, la cui over-espressione
superficiale di Fas-ligando indurebbe apoptosi in linfociti che esprimono Fas e che perciò non
potrebbero più innescare una risposta immunitaria. È per questo che si è pensato ad una possibile
terapia contro il rigetto inducendo la produzione di Fas-ligando in tanti altri tessuti per abbassare
così la risposta immunologica.

I SUPERANTIGENI

Sono molecole che mandano in cortocircuito il sistema immunitario attivando massivamente i


linfociti T: questa “iperisposta” influisce sulla autoimmunità, poiché vengono attivati i T
auto-reagenti che attaccano le cellule self. È possibile che questi superantigeni inducano anche
l’apoptosi.

L’AUTOFAGIA

È anch’essa un processo fisiologico che letteralmente significa “mangiare se stesso”;


contrariamente dalla necrosi e dalla apoptosi, è indirizzato più al fine della sopravvivenza della
cellula che non a quello della sua morte. L’autofagia, infatti, protegge le cellule dalla morte
cellulare programmata, favorendo l’eliminazione di molecole cellulari danneggiate o usurate, quali
ad esempio proteine e acidi nucleici, in attesa che si attui la sostituzione delle stesse e solo se
questo fine non si realizza essa avvia le cellule all’apoptosi o induce essa stessa un ulteriore tipo di
morte cellulare, la morte autofagica, che differisce dalla apoptosi perché è caspasi-indipendente,
essendo verosimilmente indotta o dall’eccessiva formazione delle tipiche strutture autofagiche, i
cosiddetti autofagosomi o fagolisosomi, o dall’eccessivo rilascio nel citoplasma di enzimi
lisosomiali.
L’autofagia è quindi utilizzata dalle cellule per il normale ricambio delle molecole endogene
quando esse risultano alterate dall’usura, e anche per l’eliminazione di microorganismi penetrati in
sede intracellulare. Le molecole e gli organuli alterati vengono riconosciuti e trasportati attraverso
diverse vie degradative ai lisosomi, dove vengono attaccate dagli enzimi lisosomiali.
L’autofagia nella fase di induzione si realizza con la formazione nel citoplasma di una membrana
derivata dal reticolo endoplasmatico liscio, che avviluppa il materiale da digerire inglobandolo in
un vacuolo definito autofagosoma, il quale, dopo la sua formazione, si fonde con un lisosoma
formando il fagolisosoma o autolisosoma, che è la vera vescicola dove avviene la digestione del
materiale ad opera degli enzimi lisosomiali.

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