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Lezione 18 Immunologia
IL LINFOCITA B
I processi maturativi dei linfociti B hanno:
Fase antigene indipendente in cui l’antigene non è minimamente coinvolto,
Fase antigene dipendenti. Infatti nel momento in cui devono svilupparsi le risposte immunitarie, la
loro attivazione è strettamente dipendente dall’interazione con i linfociti T e quindi con gli antigeni.
Gli eventi antigene dipendenti regolati da cellule T helper follicolari e regolatorie e avvengono
all’interno degli organi linfatici secondari, linfonodi e milza: è fondamentale che l’attivazione dei
linfociti B naive avvenga all’interno di questi distretti altrimenti si ha un’attivazione incompleta e delle
volte deleteria.
Gli anticorpi sono oggetto di studio sin dal XIX secolo, quando chiaro il loro ruolo cardine all'interno
dell'immunità. Inizialmente si pensava che queste glicoproteine fossero prodotte dal fegato ma nel 1954
Bruce Glick, studiando la borsa di Fabrizio del pollo, scoprì la presenza di cellule, che vennero nominate
linfociti B, atte alla produzione degli anticorpi. Il vantaggio della borsa di Fabrizio è che si tratta di un piccolo
sacchettino, posto vicino alla cloaca, facilmente asportabile tramite bursectomia.
In seguito alla bursectomia si notò il pollo non era più in grado di produrre una risposta immunitaria nei
confronti della Salmonella; si concluse, dunque, che la borsa di Fabrizio era l'organo del pollo dove avveniva
la differenziazione dei precursori in linfociti B, i quali si incaricavano di produrre immunoglobuline.
Nell'uomo, la differenziazione (e precedentemente anche la produzione dei precursori) dei linfociti B avviene
nel midollo osseo (bone marrow, inzia anch'esso per B) che quindi risulta omologo alla borsa di Fabrizio nei
volatili.
In realtà la produzione e la maturazione dei linfociti B non avviene solo all'interno del midollo osseo in quanto,
il feto presenta i linfociti B intorno al 4^-5^ mese (quindi ben prima di quelli T), quando il midollo non è ancora
sviluppato. Si capisce quindi che vi devono essere altri organi in grado di supplire a questa funzione.
Tali organi sono:
il fegato
la milza
peculiarità:
1. sono prodotte dal fegato fetale
2. se inserite nel midollo osseo di feto o adulto differenziano come cellule B normali
3. una buona frazione di B CD5+ rimangono in questo stato senza bisogno di essere rinnovate poiché
tali cloni presentano un'emivita pari alla durata della vita dell'organismo in quanto sono in grado di
replicarsi autonomamente. (dall’Abbas: queste cellule si trovano nel peritoneo e nelle mucose)
Normalmente una cellula B non produce anticorpi se non è attivata e trasformata in plasmacellule, tuttavia,
una cellula CD5+ ha la capacità di produrre costitutivamente immunoglobuline, senza precedente interazione
con l'antigene. Queste cellule B CD5+ presentano comunque un BCR generato casualmente da fenomeni di
riarrangiamento genico e sono tutte cellule IgM e IgD che rilasciano anticorpi solubili prevalentemente di tipo
IgM. Queste cellule non vanno incontro a fenomeni di ipermutazione somatica e switch isotipico e quindi non
possono cambiare classe di anticorpo secreto e nemmeno aumentarne l'affinità per il ligando, producono
costitutivamente IgM. Proprio per questa produzione continua di immunoglobuline anche in assenza di
stimolazione, queste cellule vengono definite linfociti B dell'immunità innata.
Le IgM da esse prodotte vanno a costituire il pool di immunoglobuline che sono presenti nel nostro organismo
già a livello fetale o poco dopo la nascita quando non è ancora avvenuto alcun contatto con antigeni non self.
Queste IgM sono presenti nel siero in concentrazione assai bassa e presentano una bassissima affinità per
qualunque ligando benché abbiano la potenzialità di legarsi a quasi tutti gli antigenI non self possibili; questo
implica che tali IgM non sono in grado di debellare da sole una eventuale infezione ma grazie alla loro elevata
affinità per il complemento possono scatenare una risposta di tipo infiammatorio. Frammenti proteici del
complemento come C3a e C5a sono, infatti, importanti elementi pro-infiammatori: presentano capacità
chemiotattiche, possono legare le cellule B attraverso CD21, possono attivare le cellule dendritiche, C5a può
indurre i mastociti al rilascio di TNFα e alla degranulazione dell'istamina.
1. regola la costruzione del BCR che è un processo che avviene autonomamente all'interno della cellula
2. favorisce l'esclusione allelica: permette che una cellula possa riarrangiare solamente un allele
3. elimina i cloni B autoreattivi come la selezione negativa che avviene nel timo per i linfociti T. Le cellule
autoreattive con affinità molto alta per gli antigeni self sono indotte alla apoptosi, mentre le cellule
con affinità meno elevate sono indotte a fare editing delle regioni variabili delle catene leggere,
cambiando in questo modo specificità.
4. facilita la fuoriuscita delle B mature naive bloccando al suo interno tutte le cellule B che non hanno
ancora completato il processo maturativo
5. Accoglie e supporta le plasmacellule a lunga vita. La cellula B matura naive a livello del centro
germinativo nel linfonodo, dopo il contatto con l'antigene, va incontro a differenziazione con
produzione anche di plasmacellule a lunga vita. Queste plasmacellule a lunga vita hanno la funzione
di secernere anticorpi e quindi, a differenza delle T attivate che si spostano verso il tessuto infiammato
per riconoscere il proprio antigene, è inutile che vadano nel sito infiammatorio dove creerebbero solo
problemi; inoltre, le plasmacellule a lunga vita non possono rimanere nemmeno nel linfonodo poichè
questo si andrebbe ad espandere e non potrebbe mai più tornare nella sua conformazione iniziale a
causa dell'accumulo di tali cellule. Il sito in cui le plasmacellule a lunga vita si vanno a installare è
quindi il midollo osseo che rilascia molecole chemoattrattive nei loro confronti come CCL12; nel
midollo vi è il microambiente adatto a supportare le plasmacellule a lunga vita in quanto sono
presenti citochine come BAFF in grado di supportare il trofismo e la vita di questi elementi cellulari.
Alterazioni a carico del microambiente midollare possono portare allo sviluppo di patologie come
plasmocitomi o mielomi multipli; molte terapie per tali neoplasie non sono rivolte contro il
plasmocitoma o il mieloma stesso con la finalità di eliminare le cellule mutate ma tentano di alterare
i segnali del midollo osseo di modo non sia più permessa la sopravvivenza della cellula tumorale; ad
esempio una terapia utilizza un farmaco anti-BAFF che è va ad interferire con BAFF, che ha un ruolo
centrale nella sopravvivenza delle cellule tumorali ma non viene prodotto dalle plasmacellule.
All'interno del midollo osseo l’emivita delle plasmacellule a lunga vita dipende dall'interazione con
cellule dell'immunità innata, in particolare l'interazione con gli eosinofili (questa interazione è
responsabile
anche del supporto della cellula mielomatosa).
Il midollo osseo presenta delle nicchie che costituiscono le zone di maturazione delle cellule B e contengono
le cosiddette cellule stromali; queste cellule stromali hanno la stessa funzione nel midollo osseo delle
epiteliali timiche ossia quella di nursery-cells per i linfociti in maturazione. La cellula stromale presenta un
rapporto assai stretto con la cellula staminale ematopoietica e ne favorisce il self-renewal1; la cellula stromale,
inoltre, favorisce la corretta maturazione dei vari precursori della cellula B e fornisce il supporto dove esporre
gli antigeni self (nel contesto di MHC I) per poter selezionare negativamente le B autoreattive.
Oltre alle cellule stromali, un ruolo importante è ricoperto dai macrofagi e dai neutrofili che hanno la funzione
di mantenere la popolazione B attiva e in espansione quando serve attraverso il rilascio di citochine come la
IL-6 rilasciata dai neutrofili presenti in quel momento nel midollo osseo.
In sintesi, nel midollo osseo abbiamo:
cellule staminali: con funzione di nursery e supporto alle cellule B
macrofagi e neutrofili: con funzione di favorire l'espansione e la maturazione delle cellule B quando
serve
Solo le cellule B mature naive possono fuoriuscire nel torrente ematico dal midollo osseo.
Tutto questo processo di maturazione avviene a stretto contatto con la cellula stromale la quale si occupa di
inviare alla cellula in maturazione tutta una serie di segnali, modulati in base alla fase maturativa della cellula
stessa, atti all'espressione o al blocco di determinati geni.
Affinchè vi possa essere una corretta maturazione delle cellule B si deve venire a stabilire, prima di tutto,
una forte interazione tra cellula staminale e cellula stromale. Questa interazione è garantita dall'espressione
stromale di una proteina VCAM-1 che permette di legare l'integrina VLA4 presente a livello della cellula
staminale (VCAM in questo caso partecipa ad un'adesione eterofilica, ma può legare altre molecole VCAM-1
in adesione omofilica). Il legame VCAM1 - VLA4 viene mantenuto anche tra cellula stromale e cellula early-
pro B ma a questo si associa un'ulteriore interazione sempre tra cellula stromale e cellula B in maturazione;
ovvero la interazione tra lo STEM CELL FACTOR (SCF), rilasciato nel microambiente da parte dalla cellula
stromale o legato alla sua membrana, e il recettore c-KIT nella early pro-B (quasi tutte le cellule mieloidi
esprimono c-KIT durante il loro processo maturativo per poi perderlo quando diventano mature;
soltanto mastociti e basofili lo conservano).
Il segnale SCF-cKIT ha la
funzione di indurre il
riarrangiamento D-J della
catena pesante nonchè quello,
assieme ai segnali che giungono
attraverso VLA4, di iniziare
l'espressione della catena α del
recettore per IL-7.
L'IL-7 viene sempre fornita dalla
cellula stromale e, legandosi al
suo recettore, induce la fine
dell'espressione di c-KIT e VLA4,
l'espansione delle cellule che hanno riarrangiato correttamente la loro catena pesante e la maturazione a
cellula large pre-B.
La large pre-B inizia ad esprimere in membrana un pre-BCR formato da catene pesanti correttamente
riarrangiate e catene leggere surrogate, formate da un dominio VpreB e uno λ5. Nello step sucessivo della
cellula small pre-B il surrogato della catena leggera viene sostituito dalla catena leggera vera e propria che è
stata appena riarrangiata; in questa fase si iniziano a riconoscere gli antigeni self esposti dalla stromale e si
ha la cosiddetta selezione negativa.
Si giunge, quindi, all'espressione in membrana di BCR costituiti esclusivamente da IgM e si passa alla fase del
linfocita B immaturo (nella fase di linfocita B immaturo la cellula B non è più adesa alle cellule stromali);
infine, con l'espressione anche di IgD come BCR in membrana il linfocita diventerà un linfocita B maturo naive.
Clinica time: Conoscendo il processo maturativo è possibile delineare un profilo delle cellule nelle varie fasi
della maturazione, così nel caso delle immunodeficienze si è riusciti a definire il punto di arresto del processo
per capirne il difetto ed eventualmente intervenire nel qual caso fosse correggibile. Questo è possibile in
quanto per alcuni dei deficit di particolari molecole o di fattori che permettono la differenziazione delle cellule
B esistono delle terapie genetiche oppure terapie sostitutive, in alcuni casi applicabili al paziente, in altri no.
La cellula pro-B esprime CD45RB (B220 nel topo), importante marcatore per questa linea linfocitaria, ma non
è ancora totalmente commited alla differenziazione in cellula B: infatti qualora il processo di maturazione sia
interrotto per deficit della catena alpha per IL-7R essa può, seppur con grande difficoltà, andare a
differenziarsi in cellula pro-T. A partire dalle cellule early pro-B, si ha l'espressione del fattore di trascrizione
Pax 5, secondo marcatore della linea B e fondamentale nella transizione da cellula pro-B in pre-B. Un topo
knock-out per Pax 5 presenta un accumulo di cellule pro-B che diventeranno Pro-T a livello midollare.
Tutti i passaggi maturativi che avvengono poi sono caratterizzati dall espressione di particolari fattori di
trascrizione; la gran parte di queste molecole sono sia marcatori di patologie emolinfoproliferative sia
eventuali target di small molecules per il controllo delle patologie neoplastiche e per l'indirizzamento del
sistema immunitario in modo tale da favorire quello che può essere un'immunosoppressione o
immunoregolazione (a seconda che si voglia sopprimere una fase autoimmunitaria o favorire una fase
antitumorale del sistema immune). Inoltre va considerato che alcuni di questi fattori sono univochi, quindi
espressi soltanto in uno specifico stadio della maturazione, come FLT-3 nella cellula Po-B, mentre altri
possono essere presenti in diversi momenti: per esempio i geni RAG1 e RAG2 sono espressi sia nel momento
di passaggio della cellula da staminale a Pro-B ma possono venire riespressi in caso sia necessario il re-editing
delle catene leggere del BCR nella cellula B immatura.
Nel corso della maturazione il marker più facile da seguire è il recettore di membrana: la cellula pro-B non ha
ancora iniziato a riarrangiare l’immunoglobulina di membrana, in particolare il gene della catena pesante,
però esprime già sulla sua superficie l’apparato di trasmissione del segnale: quindi presenterà gli eterodimeri
Gβ e Gα (che sono l’equivalente di epsilon e delta, quindi con code citosoliche con domini ITAM e del CD3
della cellula T). Gβ e Gα nella fase pre-B si associano alla catena pesante a sua volta associata al surrogato
della catena leggera, andoando a formare il pre-recettore della cellula B. Questo pre-recettore non è soltanto
funzionale all’associazione del complesso di membrana, e quindi alla valutazione che tutte le proteine siano
funzionali e Iα, Iβ e catena pesante siano correttamente assemblate, ma è uno specchio fondamentale per la
riespansione della cellula (=se questo recettore non è correttamente assemblato e funzionale non vi è
espansione della cellula).
Prima ancora di riarrangiare il suo recettore la cellula Pro-B deve valutare se è in grado di trasportarlo in
membrana e di farlo funzionare: Galfa e Gbeta compaiono sulla superficie della cellula pro-B e vie è
produzione della catena pesante che permane però nel citosol; successivamente la cellula diventa pre-B e
riarrangia la catena pesante e la espone in membrana associata a Vpre-B e λ5. Questo recettore farlocco,
detto pre-B receptor, è portato in membrana da Galfa e Gbeta. I peptidi che mimano la catena leggera sono
molto importanti: un individuo che non esprime lamda5 ha un'immunodeficenza B grave, quindi non ha
nessuna cellula B e non ha produzione anticorpale.
La cellula da pro-B a pre-B non si espande e la dimensione si mantiene costante, ma quando termina il
riarrangiamento (corretto) della catena pesante la cellula inizia a riespandersi: ha fatto correttamente il suo
lavoro (=ha ottenuto una catena pesante che è correttamente riarrangiata) e quindi aumenta di numero in
modo tale che quel riarrangiamento che è stato produttivo venga mantenuto in più cellule figlie, esse
riarrangeranno indipendentemente soltanto la catena leggera risultando quindi, alla fine del processo, diverse
l’una dall’altra.
Nella fase di cellula pre-B, l’interazione con ligandi (espressi sulle cellule presenti nel microambiente del
midollo) che legano il pre-B e λ5 hanno la funzione di permettere l’assemblaggio corretto del recettore di
membrana; λ5 è un surrogato della catena leggera e funzionano anche come target per i suddetti ligandi.
Questi ligandi permettono un signaling che porta a:
espansione della cellula pre-B
esclusione allelica, impedendo il riarrangiamento di V-J sull’allele che non è arrangiato
inizio del riarrangiamento del primo allele dell’altra catena K leggera.
La cellula a questo punto evolverà in una cellula immatura la quale, a seconda della forza di interazione con i
possibili ligandi, potrà essere indotta a morire oppure andare incontro ad un simil processo di attivazione che
la farà sopravvivere. L’intensità del segnale nella fase di cellula matura permette di indurre un
differenziamento della cellula (sempre che questa sia indotta a sopravvivere, cosa che avviene nel caso tale
cellula non presenti un’elevata affinità), verso due grandi tipi cellulari che sono le:
Cellule follicolari
Cellule B1, che hanno simil-vita equivalente a quelle che derivavano invece dal fegato fetale.
Quindi il risultato del processo di maturazione antigene-indipendente prevede l’assemblaggio di:
1. un recettore di membrana mancante dell’immunoglobulina
2. un pre-BCR in cui la catena pesante è associata ad un surrogato di catena leggera (λ5),
3. un recettore della cellula B vero e proprio (BCR) che sarà presente nella forma immatura soltanto
come IgM,
4. un BCR nelle forme IgM e IgD. Questa cellula IgM-IgD positiva è un cellula B matura quindi prona
attivarsi e ad andare incontro a maturazione verso plasmacellule (nel caso incontri l’antigene in
condizioni funzionali perché l’attivazione possa avvenire).
Le cellule B naive mature, così come le cellule T naive mature, ricircolano attraverso quelli che sono gli spazi
paracorticali degli infundiboli all’interno delle stazioni linfonodali o delle stazioni linfatiche secondarie alla
ricerca di un antigene che le stimoli, e soprattutto del microambiente adeguato che permetta la corretta
attivazione.
L’evento di riconoscimento dell’antigene self da parte della cellula B può portare a 3 diversi eventi:
1. La cellula può riconoscere l’antigene self e andare incontro ad apoptosi, ed è l’evento che
normalmente ci aspettiamo avvenga, evitando in questo modo di produrre l’anticorpo e dare origine
a patologie di tipo autommunitario.
AIRE: fattore di trascrizione che permette l’espressione di geni non timo specifici
2
2. Molte di queste cellule che riconoscono il self vanno incontro ad anergia, la stessa condizione vista
per le cellule T, che prevede una riduzione dell’espressione in membrana del BCR, la cellula risulterà
dunque più difficilmente stimolabile.
3. La terza situazione a cui questa interazione può portare è la sopravvivenza della cellula B,
accompagnata però da modificazioni che rendono la cellula non più potenzialmente pericolosa per
l’organismo.
Approfondiamo le tre condizioni: qual è la tipologia di segnale che la cellula B riceve per andare incontro ad
apoptosi? Quando si parla di attivazione del sistema immunitario, indipendentemente dal recettore
immunologico (quindi sia del TCR che del BCR, ma anche di recettori per l’interleuchina 2) bisogna tenere in
considerazione che stimolando le singole cellule fornendo loro il ligando fisiologico a quantità scalari, si
avranno dei segnali gradualmente più forti; lo stesso risultato lo si può ottenere anche attraverso qualsiasi
meccanismo che permetta il trigger, l’aggregazione in membrana del recettore. Supponiamo di prendere
qualcosa che permetta l’aggregazione delle immunoglobuline di membrana, quindi prendiamo un anticorpo
che faccia cross link tra due immunoglobuline: i recettori sono aggregati gli uni con gli altri e questo dà un
segnale molto potente. Se noi però non ci accontentiamo e vogliamo aumentare ulteriormente questo
segnale dobbiamo indurre la polarizzazione di tutti i recettori di membrana della cellula B attraverso un
supporto che leghi le immunoglobuline di membrana, in questo modo tutti i recettori saranno vicini tra di
loro e si creerà un ammasso di recettori da cui partirà il segnale, che risulterà quindi massimale. Una
condizione del genere si verifica nel caso in cui l’anticorpo espresso sulla superficie della membrana della
cellula immatura leghi un antigene che sia multivalente, che funge in questo caso da supporto solido. Questo
permette alla cellula di riconoscere con molti recettori quello che è espresso sul supporto e permette di
aggregare i recettori uno dopo l’altro. Questo segnale massimale porterà la cellula all’apoptosi. Un esempio
di questo tipo di antigene può essere l’MHC di classe I presente su tutte le cellule nucleate: una cellula B che
ha un anticorpo che riconosca un epitopo espresso da MHC di classe I sarà stimolata da un fortissimo segnale
da parte di tutte le cellule presenti in quel microambiente, questo determinerà una fortissima aggregazione
con conseguente apoptosi. Non esistono patologie autoimmunitarie di anticorpi anti-MHC nell’uomo,
appunto perché è un segnale talmente forte che le cellule che possono essere stimolate vengono tutte indotte
a morte. Quindi in questo caso come con le cellule T abbiamo una tolleranza periferica nei confronti
dell’antigene per delezione clonale (selezione negativa).
La seconda tipologia di antigeni che possono causare aggregazione recettoriale tale da generare un segnale
molto forte, sono solubili, danno origine a delle aggregazioni polivalenti, cioè più recettori sono aggregati ma
in maniera dimerica, non si ha un capping tutto da un lato come può avvenire nel caso di un recettore che sia
solido, quindi l’intensità del segnale è meno forte. Questo essere meno forte, unito al fatto che il segnale non
è dato contemporaneamente ma sequenzialmente, porta ad anergia e a una migrazione di queste cellule in
periferia.
La cellula B diventa anergica attraverso un processo di down modulazione dell’espressione del BCR, la densità
recettoriale sulla membrana quindi si riduce e nel caso questa cellula incontrasse l’antigene ce ne dovrebbe
essere tantissimo affinché il segnale possa partire. Infatti se la densità recettoriale sulla superficie della cellula
è molto bassa la possibilità che due anticorpi si avvicinino tra di loro riconoscendo epitopi presenti su di un
antigene che ne permetta l’aggregazione diventa molto bassa. La densità del recettore su di una cellula B
naive può essere paragonata a quella delle nostre braccia alzate sparse all’interno dell’intero comune di Udine
e dei paesi limitrofi. In queste condizioni sarebbe possibile che due di noi recettori si incontrassero nel
bloccare un antigene, ma se la densità si dimezzasse questo sarebbe ancora più difficile, quindi i recettori
dovrebbero essere presenti in maggior numero affinché due possano interagire con lo stesso antigene. Fuor
di metafora, questa è la differenza tra una cellula B normale e una che va incontro ad anergia, diventa più
difficile da stimolare perché statisticamente diventa più difficile che due recettori interagiscano con il
medesimo antigene. I due recettori infatti devono legarsi contemporaneamente allo stesso antigene affinché
il segnale sia sufficiente ad indurre l’attivazione e la conseguente trasmissione. Nel caso invece sia uno il
recettore che si associa all’antigene, il segnale risulta essere insufficiente e la cellula non si attiverà. La cellula
anergica può essere attivata da una concentrazione elevatissima di antigene; ha una soglia di attivazione
impostata in base alla quantità di antigene con cui interagisce in questa fase di selezione, che è a sua volta
regolata in base alle quantità ematiche di questo Ag-self.
Nel caso in cui il recettore venga occupato da un epitopo singolo, ma che questo non determini aggregazione
di nessuna immunoglobulina, si ha quella che viene definita una ignoranza clonale, cioè l’antigene non è tale
per sua costituzione da poter dare origine a un’aggregazione, e quindi ad un segnale; perciò benché esista il
clone in grado di riconoscere l’antigene stesso, quel clone ignorerà l’antigene in quanto esso non è in grado
di dare un’aggregazione. Questo avviene soprattutto quando gli antigeni sono molto piccoli, dunque quando
non possono essere in grado di dare aggregazione perché sulla loro superficie esiste un unico epitopo
(antigene monoepitopico) che da solo non è in grado di dare un’attivazione cellulare in quando l’occupazione
recettoriale non permette l’aggregazione tra due immunoglobuline di membrana.
Lo stesso dicasi nel caso non vi sia nessuna interazione, in questo caso la cellula matura dà origine a quelle
che possono essere considerate le cellule follicolari. Quindi a seconda della forza dell’interazione fra antigene
e BCR, la cellula B andrà incontro ad un destino diverso.
Nel caso il segnale generatosi dall’interazione risulti essere molto forte, la cellula potrebbe, anziché andare
incontro a morte per apoptosi, riesprimere i geni RAG. La riespressione di questi geni RAG comporta il
riarrangiamento dell’allele della catena leggera che è ancora disponibile, quindi se la maturazione è stata
fruttuosa quando il primo allele K è stato riarrangiato, se il riconoscimento dell’antigene ha portato quella
cellula a riesprimere i RAG si ha il re-editing della catena leggera, che cambiando va a modificare la specificità
del recettore.
1. Se anche questa nuova specificità riconosce ancora l’autoantigene allora il destino di tale cellula
condurrà definitivamente alla delezione.
2. Se invece questa correzione impedisce l’attivazione in seguito al riconoscimento dell’autoantigene
allora la cellula potrà sopravvivere.
3. Se però c’è un’interazione intermedia (quindi il segnale generato dall’interazione con l’autoantigene
è sì diminuito, ma non abbastanza) la cellula va incontro ad anergia oppure a maturazione di tipo B1.
Quest’ultimo caso consiste nell’espressione di un CD5 di membrana, inoltre la cellula non andrà più
incontro a morte nel breve periodo perché aumenterà la sua emivita e sarà in grado di autoreplicarsi,
potendo quindi perpetuare la sua specificità attraverso una generazione di cellule da lei prodotte.
Questa cellula produrrà quindi costitutivamente IgM anti-self, le quali però saranno diluite con le altre
IgM naturali e quindi non risulteranno dannose per l’organismo.
4. Nel caso la forza d’interazione sia bassissima o addirittura nulla, avremo una maturazione della cellula
come linfocita follicolare (o B2), importante per le risposte acquisite, esse sono le cellule che, quando
incontrano l’antigene in presenza delle cellule T, fanno ipermutazione e switch dell’isotipo. (Esiste
una ulteriore popolazione di linfociti B: i linfociti della zona marginale, che si trovano nella milza e nei
linfonodi e che sono coinvolti nel controllo della produzione di IgM naturali e nella attivazione del
sistema immunitario).
TIPOLOGIE DI CELLULE B
Ci sono vari gruppi di cellule B, i principali sono: cellule B1, che nel topo e nell’uomo sono tutte caratterizzate
dall’espressione di un marker specifico, il CD5, e le cellule B2, CD5 negative.
Le CD5/B1 derivano dal del fegato fetale, oppure da cellule B stimolate da un antigene di tipo multivalente;
sono cellule che producono IgM a bassa affinità, ma non saranno mai in grado di migliorare la loro affinità e
nemmeno di rispondere all’antigene con risposta T-dipendente.
Il 99,9% delle leucemie linfatiche croniche ha origine da queste cellule CD5 positive, infatti il loro marker è
ritrovabile anche nei cloni patologici. La cellula leucemica è capace di self-renewal, quindi si replica
lentamente, come le CD5+, e va difficilmente in apoptosi in quanto ha alterato i meccanismi che comandano
questo processo.
Le CD5+ normalmente hanno un’emivita media di circa un anno, quindi annualmente si ha replicazione
seguita dalla la morte di una parte di questa popolazione, garantendo la conservazione del pool recettoriale.
In caso di alterazione dei meccanismi di apoptosi di questa popolazione la duplicazione annuale porta ad un
aumento delle cellule con conseguenti linfocitosi e leucemia linfatica cronica. Questa patologia nel 60% dei
casi non causa particolari problematiche e dà aspettativa di vita uguale a quella del paziente sano, tuttavia
nel restante 40% dei casi risulta molto aggressiva e in pochi mesi può portare alla morte, soprattutto nelle
forme più giovanili.
Qual è la differenza principale tra cellule B1 e B2, quindi tra cellule CD5+ e CD5-? Nella ontogenesi compaiono
prima le B1, addirittura già nel fegato fetale, le B2 sono prodotte dal midollo osseo e compaiono molto più
tardivamente: nell’uomo le prime B-2 si possono riscontrare attorno all’ottavo mese, e sono le cellule B la cui
produzione prosegue nel corso di tutta la vita adulta. Le B1 hanno solo le IgM di membrana, non presentano
le IgD, le B2 invece hanno sia IgM che IgD (le B1 fenotipicamente possono ricordare la cellula B immatura, ma
si tratta di cellule effettorie in grado di produrre immunoglobuline).
La maturazione delle B1 inizia nel fegato fetale, inoltre la popolazione viene mantenuta dal self-renewal, cioè
la sua replicazione molto lenta, e il pool viene arricchito da quelle cellule B che maturano nel midollo osseo
e che, dopo l’incontro con un antigene multivalente, fanno re-editing della catena leggera.
Le B1 sono caratterizzate dalla produzione di anticorpi a prescindere dall’interazione con l’antigene: sono
responsabili di quel titolo di IgM che ognuno di noi possiede a prescindere dall’incontro con l’antigene; un
soggetto che vive in ambiente sterile ha le stesse quantità sieriche di IgM naturali di un soggetto che vive in
un ambiente non sterile.
Riassuntino:
Cellule CD5+/B1: derivano dal fegato fetale, dove non subiscono un particolare processo di selezione
quindi vengono eliminate soltanto le cellule ad altissima affinità per antigeni self. Sono cellule
effettorie, quindi la loro azione è Th indipendente e non subiscono ricombinazione né ipermutazione,
ma producono costitutivamente IgM a bassa affinità (in questo pool sono presenti anche IgM rivolte
verso antigeni self, ma la bassa affinità di queste immunoglobuline le rende poco pericolose). Questo
meccanismo di azione fa sì che queste cellule non siano in grado di sviluppare memoria e siano per
questo considerate parte della immunità innata (tanto che le IgM da esse prodotte vengono definite
anticorpi naturali e sono presenti anche in cavie vissute in ambienti completamente sterili). Sono in
grado di autoreplicarsi molto lentamente (emivita di 1 anno) e la popolazione può essere
ulteriormente aumentata da cellule B che in seguito all’incontro con l’antigene multivalente fanno re-
editing della catena leggera. Gli anticorpi prodotti da queste cellule sono frequentemente rivolti verso
antigeni lipidici o glucidici.
Cellule CD5-/B2/Follicolari: vengono prodotte nel midollo osseo, dove subiscono un processo
maturativo che le porta ad esprimere sulla membrana sia IgM sia IgD. Queste cellule circolano nel
sistema linfatico e vengono attivate dall’interazione con l’antigene, prevalentemente proteico,
associata all’interazione con i linfociti Th che ne indirizza la ricombinazione e l’ipermutazione. Quindi,
una volta attivate, sono in grado di produrre tutte le tipologie di immunoglobuline ad alta affinità e
sono in grado di sviluppare memoria.
La popolazione delle cellule B comprende anche altre tipologie di cellule oltre a quelle citate: infatti le
cellule B1 e B2 possono ulteriormente essere suddivise in sottopopolazioni distinte per la tipologia e la
densità di marker espressi:
CD19: controllato dal gene Pax5 e per questo presente su tutti gli stadi maturativi delle cellule B
eccetto le plasmacellule (le plasmacellule sono caratterizzate dall’espressione di CD38 e CD138). Le
cellule B1 hanno una alta espressione di CD19 (high), mentre le cellule B2 ne hanno una
espressione intermedia (mid). Poi le cellule B1 si distinguono in base all’espressione di CD5: le B1a
sono CD5+, mentre le B1b sono CD5-. Queste due tipologie di cellule B1 hanno una risposta diversa
agli antigeni timo-dipendenti e possono avere funzioni regolatorie
CD20: anch’esso presente in tutti gli stadi maturativi tranne che sulle plasmacellule e talmente
specifico della cellula B, che viene utilizzato come target nelle terapie di rimozione delle cellule B.
Infatti la terapia classica per le leucemie neoplastiche, o anche per altre patologie in cui sono
coinvolte le cellule B, è l’uso di un anticorpo monoclonale (Rituximab) che identifica le cellule che
esprimono CD20 e le uccide. Quando questo anticorpo viene utilizzato contro il lupus eritematoso
sistemico, in alcuni soggetti aggrava la malattia invece di sedarla, in quanto vengono eliminate
anche le cellule B regolatorie/soppressive (tra l’altro questo permise di identificare la popolazione
delle B regolatorie).
CD21: marker caratteristico, insieme al CD1d high, delle cellule B2 della zona marginale. Le cellule
della zona marginale sono localizzate nella milza, prevalentemente nelle vicinanze del seno
marginale3, sede anche di linfociti B1, e nei linfonodi. Somigliano alle B1 in quanto in risposte T-
indipendenti si differenziano in plasmacellule a vita breve che secernono IgM; per questo
comportamento anche queste cellule vengono considerate facenti parte della immunità innata.
CD1d: permette la differenziazione delle cellule B2 in cellule follicolari, che ne hanno una
espressione intermedia (mid), e cellule della zona marginale, che ne hanno una espressione
elevata (high)
3
La zona marginale è la regione periferica dei follicoli linfatici della milza, contiene macrofagi ed è
particolarmente efficiente nel captare gli antigeni polisaccaridici. Tali antigeni possono persistere per
periodi prolungati sulla superficie dei macrofagi di questa zona, dove sono riconosciuti dai linfociti B, o
possono essere trasportati nei follicoli.
Le cellule follicolari rappresentano circa il 70% delle cellule B, le cellule B della zona marginale il 15%, le cellule
B1 il 3%, mentre il restante 12% è composto da cellule regolatorie che possono appartenere a un qualsiasi di
questi sottotipi ma hanno la peculiarità di esprimere IL-10.
Quindi accanto a queste due popolazioni appena descritte ne troviamo una terza categoria: le cellule B
regolatorie. Queste cellule una volta riconosciuto l’antigene, non produce immunoglobuline, bensì rilascia IL-
10; questa popolazione ha quindi funzione analoga ai linfociti T regolatori, si occupa di modulare e spegnere
le risposte immunitarie. La derivazione delle cellule B regolatorie costituisce un quesito a cui oggigiorno non
si ha una risposta univoca, però due ipotesi sembrano le più plausibili:
1. Prima ipotesi: stimolazione cronica del BCR. Infatti in vitro qualsiasi cellula B stimolata
continuativamente con l’antigene per cui essa è specifica inizia a produrre IL-10 (parliamo di diversi
round di stimolazione della durata di una decina di giorni)
2. Seconda ipotesi: derivazione dalla zona marginale. Questa ipotesi avvalorata dal fatto che su di esse
troviamo dei marcatori specifici di questa zona.
Nella zona marginale non sono presenti solo i linfociti B della zona marginale, ma anche delle cellule B della
memoria che ricircolano attraverso il centro germinativo in presenza di antigene. Sembra quindi che questa
popolazione regolatoria, che deriva da questa stessa zona, abbia la funzione di regolare il trafficking delle
cellule di memoria in modo tale che se non si attivino erroneamente nei confronti di autoantigeni o al di fuori
della risposta immunitaria. Le cellule B regolatorie sono inoltre importanti per controllare l’espansione
immunitaria nel corso della risposta e per favorirne lo spegnimento una volta eliminati gli elementi estranei.
La cellula B immatura termina il suo processo di maturazione arrivando ad esprimere in membrana IgM e IgD
e lascia il midollo per circolare nei distretti periferici alla ricerca del suo antigene (può farlo anche perché la
selezione ha garantito che non riconosca antigeni self e quindi non rappresenta una minaccia per l’organismo).
La cellula B matura esprime IgD attraverso un diverso utilizzo dei siti di poliadenilazione in quanto nell’RNA
IgH esiste ancora sia la regione costante della IgM sia la regione costante della IgD: a seconda delle
stimolazioni la cellula sceglie quale sito di poliadenilazione utilizzare, se quello che si trova al 3’ di µ oppure
quello che si trova al 3’ di δ e a seconda dell’utilizzo la cellula può esprimere solo IgM, solo IgD o entrambe:
Espressione solo di IgD a livello della mucosa bronchiale
Espressione di IgM e IgD in quasi tutte le cellule mature
Espressione solo di IgM nelle cellule della marginal zone
Esperimento 1:
1. Creazione di un primo topo transgenico che produce costitutivamente il lisozima del bianco dell’uovo
della gallina (HEL = hen-egg white lysozyme), privato della parte enzimatica, quindi un antigene non
caratteristico della sua specie ma del tutto innocuo.
1. Nel topo normale, non transgenico nessuna cellula si colora di verde, ossia nessuna lega HEL, in
quanto dato l’elevato numero di cellule è statisticamente impossibile che si riesca a individuare l’unica
che casualmente ha l’anticorpo anti-HEL (la possibilità che questo evento avvenga è di 1/5 milioni).
L’assenza di anticorpi HEL si nota dal fatto che non ci sono aree blu nel primo grafico.
2. Nel topo transgenico per anticorpi anti-HEL, si nota che tutte le cellule B hanno IgM e hanno anche
legato il lisozima. Nel siero si trovano alte concentrazioni di anticorpi anti-HEL. Ovviamente questo è
un topo transgenico: produce gli anticorpi per qualcosa con cui non verrà in contatto a meno che non
gli venga iniettato.
3. Nel topo doppio transgenico che esprime sia HEL sia anticorpi anti-HEL tutta la popolazione B ha un
livello di IgM molto più basso e continua a legare lisozima. Le cellule che legano HEL, un antigene self,
non sono completamente eliminate dall’organismo, ma sono in uno stato di anergia con ridotta
espressione del recettore IgM a bassa affinità (vi è un titolo anticorpale4 molto basso). I segnali che
questo recettore riesce a trasmettere vengono bloccanti la cellula. Studiando la popolazione di cellule
B in grado di riconoscere l’autoantigene HEL risulta che:
Cellule B1: rilasciano solo una piccola quantità di IgM contro HEL, tuttavia questi anticorpi
4
Titolo anticorpale: l'inverso della più bassa concentrazione (o della più alta diluizione) del siero del
paziente che mantiene attività rilevabile nei confronti di un antigene noto
Secondo esperimento:
1. Creazione di un topo transgenico che esprime l’aplotipo Kb
per MHCI a livello epatico, mentre esprime l’aplotipo Kd
negli altri tessuti. Si può indurre le cellule del fegato ad
esprimere questo aplotipo posizionando la catena α di tale
molecola MHC sotto il promotore dell’albumina: in questo
modo questa catena alfa sarà espressa ogni volta che verrà
prodotta l’albumina. L’albumina viene prodotta solo dagli
epatociti, quindi anche la catena α dell’aplotipo Kb sarà
presente solo a livello epatico
2. Creazione di un topo transgenico di aplotipo Kd che
esprime anticorpi anti-Kb.
3. Analisi della progenie F1 con MHCI Kb a livello epatico e
anticorpi anti-b attraverso la citofluorimetria e il Plot
bidimensionale
Dove si trova allora la componente responsabile dell’autoimmunità
o della tolleranza?
Analizzando con la citofluorimetria e il plot bidimensionale il midollo osseo nel topo doppio transgenico e nel
topo transgenico con Kb non si trova nessuna classe I di tipo Kb. Il topo che esprime anticorpi contro Kb
presenta IgM contro questo antigene nella milza, nel midollo osseo e nei linfonodi, quindi in tutto il suo
organismo.
Il topo doppio transgenico, che esprime Kb a livello del fegato ma che possiede anche l’anticorpo anti-b,
presenta questi anticorpi nel midollo osseo, ma non nei linfonodi. Ciò è dovuto al fatto che il midollo osseo
rilascia cellule B immature che, transitando nell’organismo, incontrano l’antigene MHCI Kb nel fegato prima
di completare la loro maturazione diventando naive. In altre parole il processo di maturazione e di transizione
di una cellula B immatura IgM+ a cellula B naive avviene nelle ore successive al rilascio dal midollo: vi è quindi
una finestra di tempo all’interno della quale la cellula B, se stimolata in periferia, va incontro ad apoptosi.
In realtà vi sono diverse possibilità in base alla forza del segnale che la cellula riceve del recettore, e quindi
dall’antigene self, e dal microambiente:
Incontro con antigene multivalente: l’antigene causa aggregazione dei recettori di membrana con una
stimolazione massimale, la cellula è indotta all’apoptosi
Incontro con antigene polivalente: l’antigene causa la polarizzazione dei recettori in più parti della
membrana, ma essendo questi lontani tra loro la stimolazione è meno intensa; la cellula può andare in
apoptosi ma può anche andare in anergia, inducendo uno stato di tolleranza
Durante l’infiammazione la cellula autoreattiva non viene deleta, ma viene addirittura espansa nel
linfonodo per poter sfruttare le citochine infiammatorie da essa prodotta per favorire l’espansione delle
cellule che diventeranno effettorie. Questa cellula che riconosce il self sarà inibita dalle cellule regolatorie
in modo che non crei danno
Definizioni dall’Abbas:
Tolleranza Centrale: forma di tolleranza indotta negli organi linfoidi primari a seguito del
riconoscimento di antigeni autologhi da parte di linfociti autoreattivi immaturi, che porta alla loro
morte o inattivazione.
Tolleranza Periferica: mancata responsività fisiologica ad antigeni self presenti nei tessuti secondari
ma solitamente non negli organi linfoidi primari; è indotta dal riconoscimento degli antigeni self in
assenza di livelli adeguati dei costimolatori necessari per l’attivazione dei linfociti (o dalla persistente
e ripetuta stimolazione da parte di tali antigeni)
CELLULE B TRANSIZIONALI
Le cellule B uscite dal midollo ed entrate in circolo presentano come marker di membrana CD24 e CD38
espressi in gran quantità; queste cellule sono, quindi, dette CD24++ e CD38++ e sono definite cellule
transizionali perché non sono più cellule antigene indipendenti, in quanto possiedono recettori di membrana
che possono legarlo, ma non sono ancora cellule che possono dare una risposta immunitaria (quindi non sono
ancora B naive) perché esprimono soltanto IgM. Sono cellule che possono ancora andare incontro a morte
cellulare poiché esprimono dei marcatori di apoptosi e per questo necessitano di segnali minimali che
permettono loro la sopravvivenza. Questi segnali minimali sono dati per le cellule transizionali dall'ambiente
in cui verranno a trovarsi, ovvero il linfonodo o la polpa bianca della milza. Nel linfonodo o nella milza queste
cellule B transizionali possono dare origine al follicolo primario, maturando a cellule B naive follicolari,
oppure si possono disporre nella zona marginale e dare origine alle cellule B naive della zona marginale (le
cellule B transizionali che si dispongono nella zona marginale sono CD21+ e CD23+).
Lo spostamento di queste cellule transizionali dal circolo al linfonodo è determinato dalle citochine e
chemochine, riconosciute da specifici recettori di membrana denominati CXCR5, che veicolano le cellule B
all'interno dei linfonodi (oppure nella milza).
Altra caratteristica della cellula transizionale è la ricchezza di recettori per S1P (sfingosina 1 fosfato), presenti
sulla superficie della cellula B e che determinano la sua presenza in circolo; se la cellula B perde il recettore
per S1P viene veicolata all'interno del linfonodo grazie a CXCR5, se nel linfonodo esprime di nuovo questo
stesso recettore viene portata in circolo.
Per una corretta attivazione le cellule B non possono meramente riconoscere l'antigene solubile grazie al
proprio BCR ma è fondamentale che via sia una interazione anche con le cellule T CD4+, precedentemente
attivate dall'interazione con lo stesso antigene, mediante il legame MHC-TCR e CD40-CD40L. Affinché avvenga
questo, le cellule B e le cellule T in alcuni momenti devono trovarsi insieme nella zona paracorticale del
linfonodo; in questo caso entrambi i tipi di cellule esprimono lo stesso recettore CXCR5 che le veicola nello
stesso posto.
Dopo l'interazione le due cellule si dividono: una grande frazione delle cellule T attivate perde l'espressione
di CXCR5 e si allontana dalla paracorticale mentre le cellule B possono esprimere, assieme a CXCR5, un
secondo chemorecettore che le porta all'interno del follicolo, se esse hanno il destino di entrare nel follicolo;
vedremo, infatti, che non tutte le cellule B che interagiscono con i T CD4+ entrano nel follicolo e questo sarà
alla base della differenziazione in plasmacellule a corta vita o di plasmacellule a lunga vita. Una piccola
frazione delle cellule T che hanno avuto l'interazione mantiene CXCR5 e segue le cellule B nel follicolo dove
continueranno a sorvegliare la corretta maturazione di queste ultime.
In poche parole, il tipo di immunoglobulina prodotta da una singola cellula B è selezionata dall'antigene (solo
la cellula B con recettore specifico per l'antigene verrà selezionata a produrre anticorpi) mentre tutto il
processo di differenziamento è regolato dall'interazione tra T e B (in realtà nella paracorticale non è sempre
necessaria la presenza di un linfocita T ma, come vedremo poi, alcune cellule B possono attivarsi anche in
presenza di un particolare microambiente citochinico.
La cellula B naive è una cellula che non ha ancora interagito con l’antigene quindi non completamente
effettoria; l’esposizione all’antigene scatena un’ulteriore differenziazione che porta la cellula B a diventare
plasmacellula o cellula di memoria.
La cellula B circola all’interno del linfonodo: vi entra attraverso le venule ad endotelio alto (HEV) trovandosi
all’interno della zona paracorticali, dove sono presenti anche le cellule dendritiche che presentano l’antigene
alle cellule T (è la zona in cui le T cells vengono attivate e diventano T effettorie). Nel linfonodo la cellula B
può incontrare l’antigene: l’antigene può essere libero oppure all’interno di un immunocomplesso, quindi
coniugato alle IgM della risposta naturale, presente sulla superficie delle cellule dendritiche.
Quindi l’anticorpo di membrana della cellula B capta questo antigene, lo endocita e lo presenta in MHCII per
le T attivate. La cellula B, stimolata dal legame con l’antigene, si sposta nella zona corticale del linfonodo,
all’interno del follicolo, dove interagisce con il Th che ne induce la proliferazione (questa proliferazione è così
intensa che cambia la morfologia del follicolo: da primario, praticamente invisibile, a secondario che è
apprezzabile persino a occhio nudo il più delle volte).
RISPOSTE TIMO-DIPENDENTI
L’attivazione delle cellule B richiede il contatto con l’antigene attraverso il recettore di membrana, allo stesso
modo dev’esserci una selezione clonale, ovvero dev’essere selezionato il clone che risponde all’antigene
specifico. Mentre nella risposta T-indipendente l’intero pool delle cellule B va incontro ad espansione, non
aumentando né l’efficacia né la specificità di ciò che viene prodotto, in questo caso il contatto con l’antigene
seleziona il clone più efficace che darà la risposta e tutte le cellule B che non hanno recettore specifico per
quell’antigene non verranno coinvolte. In questo processo di attivazione e maturazione intervengono anche
delle cellule T CD4+. Vi è un primo contatto tra cellula B, antigene e cellula T nello spazio paracorticale del
linfonodo, ma l’interazione tra la cellula T e la cellula B prosegue: la cellula T segue la B all’interno del follicolo
e in questa sede si differenzia in T helper follicolare. Questa cellula T follicolare induce l’aumento della
specificità degli anticorpi e la selezione dell’isotipo nelle cellule B che sono già state prestimolate e che sono
transitate all’interno del follicolo. Nel follicolo, che da primario diventa secondario, la cellula B matura
incontra sia l’antigene sia una cellula T follicolare che indurrà ipermutazione e switch isotipico (che sarà IgG
o IgA a seconda dello stimolo fornito dalla cellula T). A questo punto la cellula B diventerà plasmacellula, non
esprimerà più l’anticorpo di membrana e inizierà la produzione di anticorpi responsabili della risposta
adattativa.
La presenza di un follicolo, che normalmente è quasi invisibile, si evidenzia esponendo un linfonodo ad
antigeni: si svilupperanno in breve tempo follicoli più grossi. Una zona di particolare importanza all’interno
del linfonodo è il seno sottocapsulare: è una struttura essenziale per la risposta immunitaria tanto che se
esso viene intasato la risposta non si ottiene. Infatti il seno permette la redistribuzione dell’antigene a tutto il
linfonodo a partire da uno qualsiasi dei capillari che vi entrano. Dal seno sottocapsulare si dipartono una serie
di tubuli diretti all’ilo (evidenziabili colorando le fibre collagene con orientamento seno-ileare) che
permettono la percolazione della linfa, che dopo essere filtrata viene concentrata nella zona paracorticale. I
linfociti T e B vengono attratti verso la stessa zona paracorticale per chemiotassi. Si ottiene quindi la
convergenza degli antigeni che possono scatenare la risposta immunitaria e delle cellule responsabili della
stessa: la cellula dendritica capta l’antigene e lo presenta alla cellula T che poi va a coadiuvare l’attivazione e
la maturazione della cellula B preattivata dall’antigene attraverso il BCR. Una volta che il contatto tra cellule
B e antigene è avvenuto esse migrano nei follicoli secondari. Il follicolo secondario svilluppa al suo interno un
centro germinativo dove avremo il recicling tra cellule della memoria e cellule sottoposte a ipermutazione
(fintanto che è presente l’antigene).
Tutti questi passaggi sono stimolati e condizionati dalle citochine presenti nel microambiente
1. Citochine che stimolano la proliferazione:
IL-2: la cellula B esprime un recettore a media-alta affinità per questa citochina prodotta
tipicamente dalle Th1
IL-4: il primo ad essere stato identificato, tanto che viene chiamato B cell profactor
IL-10
Il recettore CD40 comunica alla cellula B di iniziare le operazioni di cambio di isotipo e di miglioramento
dell’affinità, ma la tipologia di catena pesante che verrà espressa dipende dalle citochine presenti, prodotte
dai Th1 o Th2 (la cellula B può essere stimolata nell’ambito di una risposta cellulo-mediata, infatti la
produzione di anticorpi contro un virus è utile a prevenire un’infezione virale successiva dallo stesso patogeno)
2. Citochine che stimolano lo switch isotipico:
IL-4: citochina caratteristica della risposta Th2, induce lo switch ad IgE (inibito dall’IFNγ
prodotto durante le risposte Th1)
lL-10 e TGF-β: entrambi inducono risposte di tipo IgA. Il fatto che citochine quale l’IL-10 siano
soppressive per le cellule T, ma favoriscano lo switch isopitico nelle B, ha una sua rilevanza,
infatti lo switch ad IgA è importante nelle risposte mucosali, dove è preferibile non avere
risposte cellulo-mediate per evitare lesioni alla mucosa con danno fibrotico.
Il segnale che le cellule B ricevono dalle citochine per lo switch isotipico è specifico per una sede anatomica:
per esempio il TGFβ induce la produzione di IgA se la cellula B si trova nel linfonodo, ma non se la cellula si
trova nel tratto intestinale (in quella sede lo switch a IgA è indotto dalle citochine IL-6, IL-4 e IL-5).
La cellula B stimolata comincerà la produzione di anticorpi che verranno rilasciati in circolo svolgendo varie
funzioni, tra le quali:
Legare tossine, virus o altri patogeni impedendone l’interazione con i tessuti dell’ospite.
Rimuove tossine che hanno legato recettori sul tessuto bersaglio per competizione col sito di
legame.
Opsonizzazione e attivazione del complemento.
L’attività del complemento in vivo non è così spinta come in vitro poiché causerebbe una lisi massiva dei
patogeni, che a sua volta rilascerebbe in circolo grandi quantità di antigeni che possono essere simili ad
antigeni self causando una reazione autoimmune. L’attività limitata del complemento è sufficiente ad attirare
i fagociti che adopereranno una corretta presentazione dell’antigene.
Il riconoscimento dell’antigene da parte delle cellule fagocitiche viene mediato dalle immunoglobuline
tramite recettori Fc di membrana.
2. La seconda strada consiste in una differenziazione a livello del follicolo primario nel linfonodo. Questo
follicolo primario diventa follicolo secondario all'interno del quale si sviluppa un centro germinativo. Il
centro germinativo si può a sua volta suddividere in una zona scura e in una zona chiara. Nella zona scura
vi è la presenza di cellule B che sono altamente proliferanti, caratterizzate da un nucleo leggermente più
grande e volume citoplasmatico minore, le quali una volta addensate una vicina all'altra vanno a formare
la parte più scura del centro germinativo. Il nome che viene dato a queste cellule in attiva proliferazione
all'interno del follicolo è centroblasto. Il centroblasto è una cellula dedifferenziata in attiva replicazione
e non esprime più il recettore per l'antigene (BCR) in quanto questo verrà cambiato nel processo di
ipermutazione e di switch isotipico. Inoltre, poiché è stata attivata e selezionata dal antigene, ha una
ridotta espressione del recettore IgD. Una volta superata la fase di proliferazione la cellula si sposta
portandosi nella zona chiara e assume in nome di centrocita. Il centrocita non possiede più l'attività
replicativa del centroblasto, riesprime un recettore solitamente di singolo isotipo, non esprime più il
5
Cft con quanto scritto più avanti riguardo ai fattori di trascrizione!
In questo processo, la regione VDJ riarrangiata del gene della catena pesante è traslocata dalla sua posizione
originale e si dispone davanti a una regione C diversa da quella precedente, con delezione del DNA
cromosomico interposto. Bisogna sottolineare che si possono avere più switch ripetuti nel tempo, nel senso
che una volta che lo stimolo ha portato allo switch per le IgG3 può esserci un secondo stimolo che porta allo
switch verso IgA o IgE. Certamente la cellula che esprimerà IgE ad esempio non potrà più fare uno switch
verso IgG in quanto le regioni di DNA a monte della regione di switch della catena costante ε sono state ormai
delete dal cromosoma. Chiaramente la ricombinazione all'interno delle zone costanti riguarda soltanto la
catena pesante in quanto la catena leggera rimane invariata dal punto di vista isotipico nel corso delle risposte
in quanto lo switch tra κ e λ non porta nessun vantaggio funzionale alle immunoglobuline.
La scelta di una regione C particolare per la ricombinazione non è casuale ma è regolata dalle citochine che
sono prodotte dalle cellule T helper e da altre cellule durante la risposta immunitaria. Citochine diverse
inducono o inibiscono lo scambio verso classi diverse di anticorpi. In realtà molto dell'effetto inibitorio è
probabilmente il risultato dello switch diretto ad una classe diversa con conseguente delezione del DNA
codificante per classi che si trovavano a monte.
3. sindrome da iper-IgM. La sindrome da iper-IgM può avere varie cause, tutte connesse a difetti degli
enzimi coinvolti nei processi di ipermutazione e switch isotipico; la causa più frequente è il deficit di
CD40L sulle T helper che serve a segnalare alle cellule B di fare ipermutazione e switch isotipico.
Mancando il CD40-ligando, proteina codificata da un gene localizzato sul cromosoma X, la cellula B
non fa ipermutazione e il soggetto ha alti livelli di IgM perché le sue cellule non sono in grado di
compiere lo switch isotipico.
6. Infezione da HIV. L'infezione da HIV è una patologia molto importante dal punto di vista
immunologico. L'aspetto patologico del virus è dato prevalentemente da NEF, una proteina
regolatoria virale di HIV-1 che agisce spegnendo l'attivazione delle cellule T helper le quali, non
essendo più in grado di interagire con le cellule B presenti nel linfonodo, non permettono
l'espressione di AID e l'attivazione delle B stesse (per questo motivo che nei pazienti HIV+ si nota una
mancanza dei follicoli germinativi nei linfonodi). Di per sé, contrariamente al pensar comune,
l'infezione da HIV non è una patologia mortale, tuttavia la sua alta pericolosità è data
dall'immunodeficienza acquisita che essa provoca. Nel paziente che soffre di AIDS si possono
facilmente installare infezioni opportunistiche che il sistema immunitario non riesce a fronteggiare,
mancando di tutto quell'apparato d'attivazione delle cellule T helper e delle cellule B; è stato visto
che la prima causa di morte nei pazienti HIV+ è la co-infezione dovuta al mycobacterium tubercolosis.
I linfociti B nella zona paracorticale interagiscono con l'antigene e con il linfocita T helper attivato che
riconosce lo stesso antigene: questa doppia interazione induce una attivazione delle cellule B che si
differenziano prima in plasmablasti e successivamente in plasmacellule a corta vita con la capacità di
secernere IgM. La differenziazione in plasmacellule a corta vita è una differenziazione che avviene in seguito
a stimoli piuttosto carenti e che non sempre coinvolgono il linfocita T helper; è stato visto che una cellula B
nella paracorticale può dare origine alla plasmacellula a corta vita anche interagendo semplicemente con
l'antigene tramite il suo BCR, con l'LPS tramite il suo TLR4 e con interleuchine quali IL-2 e IL-4. Ad ogni modo
queste plasmacellule a corta vita provengono da cellule B che non sono andate incontro nè a ipermutazione
somatica, nè a switch isotipico e per questo sono le prime plasmacellule a differenziarsi; esse si installano a
livello dell'ilo linfonodale e presentano una emivita di circa un paio di settimane. Sono le plasmacellule
caratteristiche della risposta immunitaria di tipo primario.
Sempre nella risposta primaria, tuttavia, inizia la differenziazione, più lenta, delle cellule B in plasmacellule a
lunga vita e in cellule B di memoria; queste plasmacellule cominciano a produrre anticorpi dopo circa 3
settimane dall'infezione da parte del patogeno con antigene T dipendente, quando ormai l'agente patogeno
è debellato o sta venendo debellato; le palsmacellule a lunga vita serviranno quindi per poter rispondere
efficacemente e immediatamente a una seconda infezione da parte dello stesso patogeno.
Quando i linfociti B, che hanno riconosciuto ed endocitato l'antigene, interagiscono con i T helper effettori, a
livello follicolare si viene a generare un processo di differenziazione cellulare B che porta alla genesi di
plasmacellule a lunga vita o cellule B di memoria. Prima di tutto le cellule B prolifera e si espande e dà origine
alla zona scura del follicolo secondario producendo tutta una serie di sottocloni (centroblasti) ognuno dei
quali ha subito un processo di ipermutazione somatica, mediata da AID, indipendente. Ognuna di queste
cellule avrà un recettore modificato rispetto alla cellula madre: questo recettore può avere avuto un
miglioramento dell’affinità oppure un peggioramento. All’interno della zona scura del centro germinativo non
vi è possibilità di verifica che un clone abbia migliorato o peggiorato la sua affinità e dunque tutte le cellule
che fuoriescono dalla zona scura del centro germinativo esprimono geni apoptotici, rendendosi prone
all’autoeliminazione. Soltanto quelle che hanno migliorato l’affinità e quindi avranno un segnale di
sopravvivenza dato da un’interazione forte con una particolare cellula della zona chiara, la cellula follicolare
dendritica, andranno incontro a espansione clonale senza ipermutazione, mentre le cellule che presentano
un'interazione debole o assente verranno indotte all'apoptosi.
Quindi, queste cellule B che si sono espanse entrano, successivamente, all'interno della zona chiara del
follicolo dove sono presenti le cellule follicolari dendritiche (FDC). Queste cellule sono ricche di recettori per
il complemento come CR1 e di recettori per gli Fc; esse sono quindi perfette per legare immunocomplessi,
chiamati iccosomi, formati da antigeni, anticorpi e frammenti del complemento. Le cellule follicolari
dendritiche non esprimono MHCII e non sono in grado di fagocitare o endocitare questi immunocomplessi
ma li mantengono esposti in membrana, fungendo da supporto per essi. La cellula B, in seguito
all'ipermutazione somatica, incontra la FDC e dà origine ad una competizione per l'epitopo antigenico.
L'antigene si trova inizialmente legato all'anticorpo che proviene dal clone madre delle cellule in maturazione
a formare un immunocomplesso legato alla FDC, se la cellula B è andata incontro a una ipermutazione
favorevole riesce ad interagire in maniera più forte con l'epitopo antigenico e scalzarlo dal suo legame con
l'anticorpo dell'immunocomplesso. Se la cellula non ha migliorato l'affinità in seguito all'ipermutazione o se
l'ha peggiorata, allora la cellula B non riuscirà a scalzare l'antigene e verrà indotta in apoptosi. La cellula B che
entra nella zona chiara è prona all'apoptosi in quanto sovraesprime CD95/Fas, recettore pro apoptotico, e
diminuisce contestualmente l'espressione di BCL-2, recettore antiapoptotico; nella zona chiara la cellula B
interagisce con una particolare cellula T che prendo il nome di linfocita T follicolare che presenta sulla
membrana il CD95L/FasL. Quando una cellula B NON riesce a sottrarre l'antigene alle FDC interagisce con il
linfocita T follicolare attraverso il legame CD95-CD95L e viene indotta a morte; al contrario, quando una cellula
B riesce a sottrarre l'antigene alle FDC, lo processa e lo espone nel contesto di MHC II al linfocita T follicolare
che instaura il legame MHC II-TCR e CD40-CD40L e permette la sopravvivenza di tale linfocita B nonché lo
switch isotipico e l'ulteriore espansione di tale clone cellulare.
Inoltre, la stessa cellula follicolare dendritica (FDC), insieme al linfocita Th follicolare, mediante la liberazione
di citochine come IL-21 inducono l’espressione nel linfocita B destinato a sopravvivere e differenziarsi di BCL6,
un repressore della trascrizione che è un importante marcatore della differenziazione a plasmacellula,
essendo un inibitore di PAX5, espresso solo sulle cellule B non terminalmente differenziate; BCL6, un
repressore della trascrizione che è un importante marcatore della differenziazione a plasmacellula, essendo
un inibitore di PAX5, espresso solo sulle cellule B non terminalmente differenziate; BCL6, in aggiunta, è in
grado di stimolare il fattore di trascrizione BLIMP-1 che è il responsabile della differenziazione delle cellule
B in plasmacellule a lunga vita.
NB: Anche quest’anno il prof ha indicato Bcl-6 come un fattore presente nelle cellule che si differenzieranno
in plasmacellule a lunga vita; secondo l’Abbas però Bcl-6 impedisce che le cellule in proliferazione si
differenzino in plasmacellule ed è soppreso, insieme a Pax5, da Blimp-1 che invece induce la
differenziazione in plasmacellule. Bcl-6 ha la funzione di coadiuvare la proliferazione dei linfociti B nei
centri germinativi sopprimendo l’espressione degli inibitori delle chinasi ciclina-dipendenti e sopprimento
p53, che normalmente arresterebbe il ciclo cellulare e indurrebbe la morte in risposta al danno al DNA e
quindi impedirebbe il riarragiamento e l’ipermutazione somatica.
Oltre ad esprimere BCL6, la cellula B viene indotta ad esprimere sia TLR4, che lega LPS, sia TLR3 che lega le
sequenze CpG tipicamente presenti nel genoma virale. La funzione dell'espressione di questi Toll-like è
principalmente quella di potenziare la quantità di anticorpo rilasciato dalle plasmacellule. Il processo di
differenziazione si conclude, infine, con la formazione di una plasmacellula a lunga vita che diventa
effettivamente a lunga vita solamente quando si installa a livello di una nicchia nel midollo osseo; la cellula B
può anche differenziarsi in cellula B di memoria che rientra in circolo o si sposta a livello della zona marginale
del follicolo per andare incontro a un ulteriore processo differenziativo.
Ora poniamoci, però, una domanda. Abbiamo visto che la superficie della dendritica follicolare è in grado di
legare immunocomplessi; questi immunocomplessi sono formati da antigeni, frammenti del complemento e
soprattutto anticorpi. Se si tratta di una risposta primaria, da dove arrivano questi anticorpi in grado di legarsi
all'antigene e dare immunocomplessi? In questo entrano in gioco quelle IgM prodotte dai linfociti B
dell'immunità innata in modo costitutivo. Queste IgM presentano un'affinità bassa per l'antigene e non sono
nemmeno in grado di legare il recettore per le Fc (in quanto presentano tutti gli Fc occupati ad interagire tra
loro tramite la catena joining), tuttavia sono in grado sia di formare ottimi immunocomplessi, grazie alla loro
elevata avidità di legame, sia di attivare il complemento che permetterà all'immunocomplesso di legarsi alla
FDC; in sintesi, gli immunocomplessi delle risposte primarie sono dati da qualche anticorpo naturale che ha
riconosciuto a bassa affinità ma ad alta avidità l’antigene e che ha attivato il complemento il quale, poi, ha
permesso di legare il tutto alla FDC, mediante il recettore CR1.
PLASMACELLULE
Esistono due tipi di plasmacellula.
Plasmacellula a corta vita: è responsabile della produzione di anticorpi nella risposta in atto. La
plasmacellula a corta vita è tipica della risposta primaria e la sua localizzazione comune è a livello
dell’ilo linfonodale. Causa il picco di anticorpi della risposta immunitaria.
Plasmacellula a lunga vita: si localizza a livello del midollo osseo e la sua emivita dura anni (anche
per l’intero corso della vita dell’individuo). È responsabile del titolo anticorpale.
Alcuni marcatori specifici possono marcare la cellula B durante tutta la fase maturativa, come ad esempio
CD20 o CD19. Questi marker li troviamo dalla cellula preB alla cellula B di memoria, quindi durante tutto il
percorso maturativo la cellula continua a presentare questi marker. Se voglio sapere la percentuale di cellule
B rispetto alle altre cellule presenti nel sangue periferico devo innanzitutto colorare il marker CD45, che è
presente sull’intero pool leucocitario, e poi anche il marker CD19 (o CD20), infine confronto i risultati. Tali
marker possono essere sfruttati nelle terapie contro particolari tipi di linfomi B: sfrutto degli anticorpi mirati
a CD19 o a CD20 per aggredire il tumore il quale regredisce in poco tempo (in questo tipo di terapia bisogna
prestare molta attenzione alla lisi delle cellule B, che causa un rilascio in circolo di quantità massive di
citochine). I plasmocitomi (tumore delle plasmacellule) sono insensibili a questa terapia perché le
plasmacellule non presentano marcatori di membrana CD19 o CD20, a riprova della completa differenziazione
che le plasmacellule compiono per diventare tali (fabbriche di anticorpi).
o Th17 ma mantengono il loro pathway differenziativo fino a diventare T helper follicolari del sottotipo 1,
piuttosto che 2, piuttosto che 17. Le cellule T naive circolanti, per giungere nella paracorticale del linfonodo,
esprimono il CXCR5 e il CCR7; qui interagiscono con l'antigene presentato loro dalle cellule dendritiche e, da
cellule Th0 prive di un proprio destino differenziativo, diventano cellule Th1, Th2, TH17 o Treg in grado di
interagire nella paracorticale con la cellula B che qui si trova, perdendo successivamente l'espressione di
CXCR5 e ri-acquisendo la capacità di lasciare il linfonodo e rientrare in circolo. Una parte di queste cellule T
helper1, 2, 17 etc, tuttavia, continua l'espressione di CXCR5 e per questo motivo tali cellule non possono
lasciare il linfonodo e sono destinate a continuare a differenziarsi verso cellule T helper follicolari che avranno
il destino di interagire una seconda volta con le cellule B (dopo la precedente interazione nella paracorticale).
Le cellule T follicolari mantengono, tuttavia, lo stesso sottotipo delle cellule T helper che si sono differenziate
contestualmente ad esse di modo che, se vi è una risposta Th1 o Th2 a livello periferico, vi sarà allo stesso
modo una risposta Th1 o Th2 a livello follicolare nel linfonodo; viene mantenuta una sincronia tra tipo di
risposta periferica e risposta umorale, indotta da Tfh, nel linfonodo.
A differenze dalle Thelper da cui deriva, la cellula T follicolare esprime fattori di trascrizione specifici some
MAV o STAT3 e sulla membrana presenta tutta una serie di molecole per l'interazione con la cellula B che la
T helper non esprime; uno dei legami più importanti che si vengono ad instaurare tra cellula T follicolare e
cellula B è quello che si viene a stabilire tra la molecola costimolatoria ICOS, espressa costitutivamente sulle
celle T follicolari e il suo ligando ICOSL, espresso sulle cellule B. La funzione di questo legame è quello di
permettere la sopravvivenza delle follicolari e contestualmente l'espansione e lo switch isotipico nelle
cellule B.
La cellula T follicolare inizia poi a rilasciare una serie di citochine utili a sé stessa, ma in realtà utili anche alla
cellula B, come l’interleuchina 21, che viene rilasciata anche dalle cellule follicolari dendritiche; IL-21 è un
fattore di sopravvivenza per le follicolari dendritiche e indirizza la differenziazione delle B verso le
plasmacellule. La cellula dendritica follicolare può indurre la T helper follicolare a produrre IL-21 attraverso
una interazione omofilica di SLAM, recettore che presentano un particolare dominio ITSM6 che, attraverso la
proteina adattatrice SAP, interagisce con una tirosina chinasi avviando la trasmissione del segnale.
La seconda interazione tra la cellula B e la T helper avviene a livello del centro germinativo del follicolo ed è
possibile in quanto, in seguito alla prima interazione nella paracorticale, le cellule T helper erano state indotte
a non esprimere più CCR7.
Quindi la cellula B si sposta all’interno del centro germinativo, dove incontra la T follicolare alla quale aveva
impedito l'espressione del CCR7.
Come ultima funzione la cellula T follicolare helper indicherà il destino alla cellula B: diventare plasmacellula
a lunga vita oppure diventare una cellula B di memoria.
6
ITMS (immunoreceptor tyrosine-based switch motif): è un dominio caratterizzato dalla presenza di una
tirosina all’interno di una sequenza amminoacidica TxYxxV/I. Solitamente SLAM presenta associata alla
tirosina dell’ITMS la tirosina fosfatasi SH2, ma in caso di interazione con un altro recettore SLAM il dominio
ITMS lega SAP e questa proteina adattatrice permette il collegamento a una tirosina chinasi con funzione
attivatoria.
Ad esempio nel LES (lupus eritematoso sistemico) vi è un aumento delle cellule ICOS+ tanto che le troviamo
facilmente anche in periferia. La presenza anormale di queste cellule ICOS positive in periferia può facilmente
dare origine a una risposta autoimmunitaria anticorpale nei confronti di quegli antigeni self presenti nel luogo
di una determinata infiammazione; questo antigene self, infatti, normalmente verrebbe presentato in
periferia con una funzione tollerogenica ma, in presenza di cellule T CD4+ e ICOS+ diventa una risposta
autoimmunitaria. Sono stati sviluppati degli anticorpi che hanno la funzione di bloccare ICOS e calmare la
reazione nei pazienti con il lupus.
Un altro esempio può essere ricercato nell' ALUS (sindrome autoimmunitaria linfoproliferativa); in questo
caso non ho una iperattivazione di ICOS, bensì ho una espressione carente sulle cellule T helper follicolari di
CD95L che, fisiologicamente, ha la funzione di legarsi con il CD95 espresso sulle cellule B che sono andate
incontro a una ipermutazione sfavorevole e indurne l'apoptosi. Una mancata interazione CD95-CD95L induce
una iperproliferazione di cellule B che porterà due conseguenze:
1. la risposta immunitaria contro l'antigene risulterà inefficace in quanto non vengono selezionate
quelle cellule B che hanno migliorato l’affinità nei confronti dell’antigene, ma tutte le cellule B, sia
quelle che hanno migliorato il recettore, sia quelle che l’hanno peggiorato. Ne deriva che il repertorio
non ha subito miglioramento, ma solo aumento del numero di anticorpi e delle cellule che li
producono: la qualità di quegli anticorpi rimane invariata.
2. si genererà una risposta autoimmunitaria in quanto le cellule B andate incontro a ipermutazione e
proliferazione hanno generato recettori che non sono selezionati per l’antigene, ma sono mantenuti,
e quindi, tra di essi, vi possono essere anche cellule B con recettori in grado di riconoscere strutture
self e in grado di produrre autoanticorpi responsabili della sindrome autoimmunitaria.
La disregolazione di molecole come ICOS e non solo non genera esclusivamente patologie da iperattivazione
del sistema immunitario (come le patologie autoimmunitarie) ma può generare anche patologie come
immunodeficienze o tumori.
Quindi se ci sono cellule T che mancano nel fornire segnali come ICOS (ma anche CD28 o altri) si hanno dei
difetti dal punto di vista immunitario; ad esempio si può dare origine alla sindrome di immunodeficienza da
deficit di ICOS che sfavorisce la maturazione delle B a cellule di memoria e plasmacellule. La mancanza di
ICOS sulle follicolari fa diminuire la possibilità di una risposta immunitaria efficiente.
Queste immunodeficienze sono strettamente connesse alla genesi di tumori per i quali sono state proposte
terapie in grado di agire proprio su molecole come ICOS di modo da riattivare il sistema immunitario e
rispondere alla cellula neoplastica. Sono state sviluppate molecole in grado di stabilizzare le interazioni, come
ICOS-ICOSL, quando esse sono troppo labili, stimolare le risposte da parte di recettori attivatori la risposta
immunitaria o inibire le risposte da parte di recettori inibitori la risposta immunitaria stessa. Queste terapie,
rivolte a riattivare il sistema immunitario, sono particolarmente utili ed efficaci ma possono presentare un
altro lato della medaglia, ossia quello di indurre risposte autoimmunitarie nei confronti di particolari antigeni
self.