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LEZIONE 2

Possiamo notare le riflessioni di Pascoli nei confronti del poema dantesco La Commedia. Alla Commedia
Pascoli dedicò alcuni saggi critici:

1. Minerva Oscura, 1898


2. Sotto il velame, 1900
3. La mirabile visione, 1902.
Nella sua considerazione del poema dantesco Pascoli si addentrò in una rete complessa di simboli e
allegorie e interpretò proprio il viaggio del poeta personaggio come un grande viaggio allegorico
sostanzialmente finalizzato alla morte e alla rinascita una situazione in cui lo stesso Pascoli provò a
riconoscersi.
Pascoli definì Dante il poeta del mistero e sostenne che nel poema dantesco vi sono “due dee per
ogni parola e due rappresentazioni per ogni immagine…a lungo”: sono delle considerazioni fatte in
relazione al poema dantesco ma in realtà qui Pascoli sta parlando della propria poesia, si parla di
polisemia (cioè ci sono due idee per ogni parola), si parla di dialettica fra determinato e
indeterminato (cioè una visione che è immediatamente percepibile e una che invece è più lontana),
un elemento che è immediatamente visibile e un elemento che è nascosto, che è lontano. Nella
considerazione della poesia di Dante lo stesso Pascoli ci da delle informazioni utili per poter
decodificare la forte componente simbolica della sua poesia. La presenza del simbolo in Pascoli è
sicuramente centrale. Per capire più approfonditamente l’atteggiamento di Pascoli nei confronti
della propria poesia, e nei confronti della tradizione poetica precedente e quindi in funzione di una
tradizione poetica del 900, molte informazioni utili ci possono derivare da qualche considerazione
in più sulla raccolta Myricae. La raccolta Myricae è del 1891 anche se poi nella sua prima veste vide
nove edizioni, quindi abbiamo già considerato ieri il testo Lavandare che appartiene di fatto alla
terza edizione di Myricae. È una raccolta che parte nel 1891 e poi si sviluppa negli anni successivi.
Uno degli aspetti interessanti della raccolta che ci possono dare già delle indicazioni è proprio lo
stesso titolo. Myricae sono piccoli arbusti comuni prevalentemente sulle spiagge. È un titolo che nel
suo contenuto ci da due importanti informazioni sulla cultura pascoliana stessa. Questo titolo in
questa forma ci da due informazioni importanti sulla sua formazione, conoscenza, sulla sua
dimensione poetica. Prima di tutto dal punto di vista contenutistico la conoscenza di fiori, piante, di
quel contesto vegetale proprio della campagna in cui il poeta trascorse l’infanzia, quindi riferimento
diretto alla dimensione rurale proiettata dal poeta soprattutto nella fase infantile. L’altra grande
informazione che ci da questo titolo è proprio quella della formazione classica di Pascoli stesso
perché per dare titolo alla sua raccolta P. ricorre a un verso delle bucoliche di Virgilio, al secondo
verso della quarta bucolica. Questo verso verrà messo anche in epigrafe alla raccolta stessa. Queste
due informazioni ci delineano quella zona di manovra di Pascoli, ci danno subito già due coordinate
importanti della sua dimensione poetica: cioè quella di una poesia orientata nell’ambiente agreste,
ma una poesia che si riferisce ad oggetti quotidiani, temi semplici, quotidiani, temi collegati alla
campagna, alle stagioni, al lavoro dei campi, tutto quello che riguarda la situazione rurale agreste.
Poesia dimessa per argomento e stile. Sottolineamo il ricorrere di elementi proprio perché nella
poesia di pascoli i temi sono piuttosto statici, nel senso che sono questi sono i temi che vengono
per lo più trattati. Sono i motivi centrali che sono riconoscibili nella sua poesia, poesia che si colloca
soprattutto in questi contesti (contesti agresti) e che poi si collega a immagini ricorrenti come
immagini di lutto, la tendenza a richiamarsi alla tomba, al camposanto, a richiamare quell’elemento
centrale che è stato determinante nell’infanzia di Pascoli stesso (la morte del padre, evento tragico
che ha distrutto la stabilità del suo nido familiare originario). Tema della morte molto presente a
richiamare il trauma che sarà poi rintracciabile spesso nella poesia di Pascoli. Un altro tema
ricorrente in connessione con le contestualizzazioni viste è il tema della memoria o il tema del
dolore, sono temi che si associano in maniera armonica alla contestualizzazione della campagna
della quale risuonano suoni, voci ed elementi che assieme alla dimensione visisva rappresentano un
punto essenziale per la realizzazione poetica di Pascoli stesso. la contestualizzazione rurale di fatto
rappresenta una caratteristica fondamentale e ci fa capire che questa ricerca del nido, dell’area
limitata e sicura ricostruita anche nella realtà da P. stesso, questa dimensione rappresenta sì la
ricerca di un certo tipo di luogo, ma anche la scelta di rinunciare ad un altro luogo. È l’opposizione
che si crea tra la campagna interpretata da P. come luogo sicuro, della tranquillità e della pace e la
città (siamo verso la fine dell’800 e si va verso la città inizio 900 con tutta la sua direzione intrapresa
verso la modernizzazione, si delinea quella città che poi sarà determinante nei romanzi moderni del
900 in cui la città assume una funzione determinante nella dimensione individuale del
personaggio). Questa dimensione di città da P. viene rifiutata: c’è una fuga sostanziale dalla città,
dalla metropoli che poi sarà teatro di molte vicende dei personaggi della poesia di inizio 900, rifiuto
della metropoli che a P. appare mostruosa, metropoli da cui è necessario fuggire per rifugiarsi in
campagna. Questo è un dato effettivo, c’è una comprensione ancora maggiore della portata di
questa soluzione poetica proprio se consideriamo come lo stesso P. nella sua nozione biografica
privata poi si è comportato da questo punto di vista. Ecco quindi la grande insisitenza della poesia
pascoliana su questi aspetti della campagna, cioè su quegli aspetti che sono tipici di una situazione
rurale che si sta perdendo nella dimensione urbana. Pensiamo all’attenzione nei confronti degli
oggetti, l’attenzione nei confronti delle figure umili, ma anche l’attenzione sulle stagioni, sulle ore
del giorno e su tutti quegli elementi che scandiscono la vita nei campi e non sono quelli gli elementi
che invece scandiscono la vita nelle città votata ad altri ritmi, ad un altro modo di concepire non
solo il tempo, ma anche le attività, le occupazioni e le stesse professioni con una maggiore
modernizzazione della città abbiamo una progressiva perdita di quei punti di riferimento che
rimangono attivi e ben presenti solo nella campagna. Questa concezione della città da cui P. fugge
non solo nella sua poesia, ma anche nella sua dimensione biografica sarà completamente opposta
in D’Annunzio che cercherà la città proprio perché l’attenzione nei confronti della vita stessa sarà
completamente diversa rispetto a questo atteggiamento pascoliano, ci sarà la ricerca della
modernità e del contesto proprio di questo fine di secolo e inizio novecento. Le poesie di Myricae
sono apparentemente semplici: la semplicità che pare caratterizzare i testi di questa raccolta è solo
apparente perché la scelta di temi umili e oggetti semplici, in realtà poi si sposa non solo con
l’impiego di strumenti poetici tutt’altro che semplici, ma richiede dal punto di vista della decodifica
un’azione da parte del lettore tutt’altro che semplice è quella dimensione del non
immediatamente visibile che è parte integrante della poesia di P. questo anche per sottolineare che
ci sono differenze nette rispetto a soluzioni simili di contestualizzazione della poesia. Si parla di
un’ambientazione rurale, agreste. Si parla di quadri nella campgana. Questi scenari sono stati
oggetto anche di altre operazioni di tipo letterario. Pensiamo per esempio all’Idillio arcadico, quindi
all’interpretazione da parte dell’Arcadia di quadri naturali in cui evadere e visti sostanizlamente in
una sorta di incanto fine a se stesso, una sorta di rappresentazione finalizzata a se stessa. La
dimensione della rappresentazione campestre di P. non è così: non è assolutamente riconducibile a
un quadro di maniera proprio della tradizione arcadica. Allo stesso modo questo interesse nei
confronti della dimensione rurale non è ascrivibile neanche a quella corrente letteraria che proprio
in questi anni vedeva per esempio Verga pubblicare Novelle intitolate Vita dei campi oppure
Novelle rusticane. Ancora nel modo in cui Pascoli coglie la dimensione campestre non si tratta di
uno sguardo asismilabile al verismo, quindi non ha nessun intento di denuncia sociale come doveva
essere per gli scrittori del naturalismo francese o del verismo italiano. Quindi questa dimensione di
attenzione nei confronti del mondo campestre, si stacca da possibili riferimenti a interpretazioni
antecedenti o contemporanee. Né una trattazione fine a se stessa della dimensione campestre, né
un intento sociale di denuncia sulla linea del verismo. La rappresentazione campestre di Pascoli è lo
scenario in cui il poeta proietta le sue angosce, le sue inquietudini, i suoi ricordi stessi. Quindi sotto
questo punto di vista i dati realistici e riconoscibili nel quadro campestre realizzato da P. sono
fortemente caricati di valore simbolico. È importante sottolineare questa diversa attitudine proprio
perché anche in questo sta uno degli aspetti che proiettano Myricae verso il 900, anche questo
contatto che c’è tra la dimensione inquieta dell’individuo proiettata sul contesto circostante. C’è
uno scarto con la tradizione precedente , con la tradizione lirica italiana alta. C’è un forte stacco
proprio per l’impiego di oggetti che entrano in questo caso con P. stesso nell’area della
versificazione, prima non erano considerati degni di essere oggetto di poesia, oggetti umili, del
quotidiano (e questo contribuisce allo scarto con la tradizione precedente). C’è la forte carica
simbolica che costituisce un altro elemento di novità nella dimensione della poesia di P. però non
sono solo questi gli elementi che ci consentono di collocare la raccolta Myricae più nella sensibilità
novecentesca, nonostante l’effettiva data di composizione e di pubblicazione (anni 90 dell’800). È
importante sottolineare che la grande novità della poesia pascoliana sta nell’assenza della sua
poesia di elementi riconducibili sia al romanticismo (quindi sia all’età romantica) che riconducibili al
positivismo. Quindi nella sua poesia l’elemento centrale che segna la novità di questa raccolta e la
proietta verso la sensibilità novecentesca è proprio la amncanza di riferimenti a questi contesti che
erano tipicamente ottocenteschi (cioè il contesto romantico e positivsta). Non c’è nella poesia di P.
la certezza razionale, la fiducia delle scienze. Questo è un aspetto importante perché rappresenta il
discrimine nelle fonti del tempo immediatamente precedente a P. che colloca la raccolta proprio
nel contesto novecentesco. Altro elemento è lo stacco che si realizza nel momento in cui P.
recupera le forme della tradizione poetica ma le reinterpreta. Si parla di accordo eretico accordo
con la scelta delle strutture del verso, ma anche una interpretazione sostanzialmente volta a
infrangere l’unità e la solidità di queste normative. Quindi una situazione che vede P. recuperare
elementi del passato, ma reinterpretarli in un modo completamente nuovo. Questa novità che è
propria dei temi anche nei toni della sua poesia viene poi a confermarsi anche nella struttura,
anche nella gestione strutturale della poesia stessa. Elementi significativi per indicare questo
elemento di novità prima di tutto le poesie di P. sono brevi, quindi la brevità è uno degli elementi
dignificativi proprio perché la poesia non è più intesa con l’intento di argomentare, di esortare, di
convincere, di razzionalizzare, la poesia è più vista come un quadro, un’illuminazione istantanea,
un’impressione.ecco dunque che la brevità rappresenta un aspetto importante della soluzione
poetica pascoliana. Poesia che non è più destinata alle grandi esortazioni anche in linea con la
tradizione lirica risorgimentale poco precedente che puntava ad una estensione della struttura
poetica tale perché ci potesse essere una argomentazione, una concettualizzazione della poesia
stessa. Non solo breve ma anche strutturata in modo diverso: la brevità come uno degli elementi
caratteristici, ma anche una diversa gestione dell’argomentazione, cioè della struttura della poesia
stessa decadono molti nessi di tipo logico, decadono molte linee di sviluppo della poesia di tipo
razionale. La poesia di Pascoli non è più data sulla subordinazione di concetti, ma più sulla
coordinazione, quindi più giustapposizone di elementi che non subordinazione. Al discorso
razionale si sostitusice prevalentemente la musicalità, il ritmo cioè la volontà di rompere nella
struttura compositiva la rigidità dei nessi logici, dei nessi di casua-effetto, privilegiando la
coordinazione. Qualche considerazione interessante sulla base dell’osservazione di G. Contini,
possiamo farla sul linguaggio stesso di P, anche questo interpretato in modo particolare.
Contini individua nel linguaggio poetico di Pascoli tre livelli espressivi: il primo livello è quello
grammaticale, il secondo livello è quello pregrammaticale o agrammaticale e il terzo livello è quello
post grammaticale. È un’interessante analisi proprio per individuare un diverso uso dei codici
linguistici da parte di P. nella sua poesia: il primo livello è quello che si riferisce alla lingua che
utilizziamo normalmente per la comunicazione, quindi alla lingua come strumento codificato da
delle regole, codificato in una forma disciplinata, il livello pregrammaticale riguarda soprattutto gli
elementi onomatopeici, cioè il largo uso che viene fatto da Pascoli per la realizzazione linguistica di
suoni e di quello che poi sarà oggetto di sistematizzazione anche per altre correnti, soprattutto per
futuristi, dadaisti (P. apre la strada all’impiego dell’onomatopea, del fonosimbolismo nella poesia
stessa). Quindi questo secondo livello è importante perché poi lo ritroviamo anche in altri contesti.
Il terzo livello è quello che è stato definito come post grammaticale è l’osservazione dell’impiego
nella poesia di P. di codici spesso riferiti o derivati a gerghi, quindi l’impiego di termini derivati da
lingue speciali, lingue gergali. Ne abbiamo avuto l’esempio in Lavandare: anche il temrine maggese
fa parte di un linguaggio tecnico proprio della dimensione campestre e peràò viene inserito nel
contesto poetico diretto. Quindi l’impiego di termini derivati da lingue techiche rappresenta uno
degli aspetti interessanti della dimensione linguistica di Pascoli stesso. ne abbiamo un esempio
particolamente interessante anche in un testo che appartiene alla raccolta di Primi Poemetti, 1904
e che si intitola Italy in cui il poeta riproduce il linguaggio ibrido di quell’italiano americanizzato di
un emigrante che torna dall’America nella sue terra d’origine. Ed ecco che quindi appaiono diversi
termini che sono a metà tra l’originale americano e una italianizzazione, ad esempio gelati che sono
detti scrima (dall’inglese ice cream), la nave a vapore diventa stima (dall’americano stimer). Quindi
abbiamo un impiego particoalre di questa ulteriore declinazione del linguaggio. Da ultimo
considerazione della struttura metrica della poesia stessa: abbiamo detto già che Pascoli riprende
gli strumenti della metrica tradizionale ma li reinterpreta, P. adotta una soluzione diversa rispetto a
quello che poi faranno ad esempio i futuristi o lo stesso Ungaretti. Pascoli sceglie non di rifiutare la
metrica tradizionale, sceglie di recuperarla ma infrangendola. Sceglie una linea un po’ più soffice
nello stacco dalla generazione precedente, quindi è un rifiuto della metrica tradizionale
sostanzialmente molto sofr. Anche questo elemento di innovazione è molto importante. Pascoli
tende a frantumare il verso tradizionale. Direzione per l’interpetazione della poesia di Pascoli molto
attiva nel paragone con un personaggio per molti versi in opposizione a P. stesso e cioè G.
d’Annunzio.
Anche nel caso di D’Annunzio è importante collegare la sua produzione letteraria alla sua
dimensione biografica. Anche in questo caso dovremmo individuare alcune coordinate della sua
vita perchè uno degli aspetti fondamentali di D’Annunzio sarà quello di collegare la propria vita
all’arte, cioè di fare della vita di un’opera d’arte. La connessione fra vita e arte l’abbiamo già trovata
nelle osservazioni fatte rispetto a Pascoli anche in quel caso gli elementi biografici
determinavano delle scelte in ambito artistico. Anche con d’Annunzio la connessione tra vita e arte
sarà determinante, anche se in un modo completamente diverso.
Gabriele d’Annunzio nasce nel 1863 a Pescara in una famiglia della borghesia. D’annunzio si forma
in uno dei più prestigiosi collegi d’Italia d’allora e cioè il Collegio Cicognini di Prato. Fin da scolaro
mostrava quelle doti che poi vedremo affinarsi nel proseguo della sua formazione e della sua
carriera letteraria, quindi grandi abilità linguistiche, grande attenzione verso la dimensione
letteraria. Fin da piccolo dimostrava un temperamento molto indipendente e quindi già fin da
piccolo presentava quella grande fiducia nelle proprie possibilità di successo e quella volontà di
primeggiare. Importante è sottolineare che anche negli anni del colleggio durante le vacanze estive
sviluppava una diretta connessione con l’ambiente naturale dell’Abruzzo. La terra d’Abruzzo
rimarrà per sempre uno dei riferimenti diretti di cui avremmo riscontri precisi e forti nel contesto
poetico. La prima pubblicazione di d’Annunzio risale al 1879 quindi a 16 anni prima pubblicazione
è un piccolo libretto di poesia intitolato Primo Vero quindi all’inizio della primavera, pubblicazione
avvenuta a Chieti con spese del padre che citiamo perché rappresenta un esempio tipico della
considerazione di alcune caratteristiche che saranno poi centrali nella sue gestione dell’esperienza
letteraria. Per sottolineare l’uscita del suo libretto di poesie decise di far pervenire ai giornali la
notizia della propria morte (già a 16 anni!!). Secondo la sua visione questo avrebbe dovuto dargli
visibilità, quindi è un primo esempio ancora precoce di quella comprensione dei meccanismi nn
solo della letteratura ma anche del mercato che cominciavano a regolare la diffusione e la
divulgazione della letteratura stessa. È un piccolo aneddoto che ci fa capire come fin da subito fosse
netta l’attenzione nei confronti di meccanismi non direttamente letterari ma collegati alla
promozione della propria attività letteraria. Terminato il collegio D’Annunzio si trasferisce a Roma
per frequentare l’università. Non a caso la ricerca è quella della grande città, della dimensione
mondana di una Roma che rappresentava un centro attivo in quegli anni sia dal punto di vista
letterario-editoriale, era una città che offriva occasioni particolari per la vita mondana. Era quella
stessa città da cui fuggiva Pascoli. Se da un lato P. cercava anche a livello biografico la dimensione
campestre, D’Annunzio fin da subito si immerge nel contesto urbano della vita mondana e lavora in
questi anni romani e collabora a cronaca bizantina e alla tribuna. (vero e proprio impiego da
giornalista) nel 1882 esce la seconda raccolta di poesie pubblicato presso SOmmaruga nel 1882 dal
titolo Canto novo. In questi anni romani in qualità di recensore della tribuna, si accostava anche ai
grandi maestri europei della modernità: entrava in contatto con i testi di Mallarmè, di Zolà e
Bodeleure. Già si delineava in lui quella tendenza, quella volontà di rappresentare una sorta di
alfiere della cultura cosmopolita, quindi la volontà di contaminare codici, esperienze e dimensioni
letterarie diverse. Quest sono tutti elementi che saranno funzionali per l’individuazione
dell’abitudine letteraria e poetica di D’Annunzio. Un’altra data che sottolineiamo è il 1889 quando
lasciato l’impiego giornalistico e ritiratosi in Abruzzo lavora al romanzo il Piacere che esce nel 1889.
È un romanzo nel quale confluisce tutta la sua esperienza mondana maturata nei salotti aristocratici
della capitale ed è anche l’occasione per sottolineare una prima netta connessione tra la vita di d?
annnzio e la sua opera: sostanzialmente è vero che le vicende del personaggio del Piacere risentono
della vita mondana dei salotti della capitale, ma è anche vero che gli stessi personaggi del Piacere
rappresentano anche una sorta di modello per l’autore stesso, cioè è vero che i personaggi
riflettono le esperienze biografiche di d’Annunzio, ma è altrettanto vero che d’Annunzio vivrà come
vivevano i suoi personaggi nei suoi romanzi. Ecco quindi che l’intento d’annunziano è proprio quello
di trasferire la vita da dendi del personaggio del piacere nella propria persona e vivere in un modo
dedito alla vita mondana, alla dissolutezza.
Nel 1891 d’Annunzio si trasferisce a Napoli per sfuggire ai creditori che lo incalzavano per la
tendenza a creare debiti . a Napoli riprende l’attività giornalistica e pubblica nel 1892 il romanzo
l’Innocente. Nel corso del suo soggiorno napoletano, anchein questo caso frequentò salotti artistici
partenopei e anche in questo caso entrò in contatti con aspetti artistici non solo letterari
internazionali, ad esempio approfondì la conoscenza della musica di Richard Vargner (?).
Citiamo la pubblicazione dell’Innocente perché proprio in questi anni l’innocente veniva tradotto in
francese da parte di Jorge Herell, importante perché grazie a questa traduzione d’Annunzio fa il suo
ingresso sulla scena letteraria parigina. La scena parigina sarà per d’Annunzio uno dei centri focali,
una sorta di seconda patria anche negli anni a seguire.
Tra 1892 e 1893 pubblica le Elegie Romani, le Odi avali, il poema paradisiaco.
Negli anni 90 ci sono due eventi importanti per la biografia di d’Annunzio: da un lato l’incontro con
la filosofia di Nietzche, dall’altro lato il sodalizio personale e artistico con Eleonora Duse, più grande
attrice teatrale del tempo. Sottolineiamo questi due aspetti perché saranno interessanti l’uno per
questioni di tipo contenutistico e l’altro perché rappresentò un periodo molto produttivo per la
dimensione artistica a tutto tondo di d’Annunzio stesso. uno degli aspetti importanti negli anni 90
fu anche l’entrata nella sfera politica già con l’incontro con la filosofia di Nietzche d’Annunzio si
avvicinò alla potenza del mito quindi al tentativo di ripristinare alcuni elementi tanto la magia delle
favole antiche, recupero del mito in funzione di un’azione diretta nei confronti della modernità. La
sua attività politica fu caratterizzata da questo particolare atteggiamento: fare in modo che la
propria parola passi alla realizzazione di miti, di immagini, alla proiezione di alcune idee nella
modernità stessa. Nel 1897 viene eletto nelle file dell’estrema destra e si fece portatore di questo
ideale eroico della stirpe, quindi la volontà di riportare con forza e convinzione alcune idee in un
contesto italiano che a lui appariva piuttosto fiacco, interpretava l’attività politica cercando di
assumere la funzione di quello che deve dare la direzione, quindi del grande oratore che deve
convincere le folle, quindi l’estetizzazione della politica. È uno dei casi in cui la parola, quindi anche
l’arte, diventa azione. La parola diventa azione, cioè deve trasformare la vita politica in un contesto
di esaltazione della forza, scenografico (??). ci sarà sempre questa connessione fra la dimensione
artistica che emerge dalle prove letterarie di d’Annunzio e la loro proiezione in un contesto di
azione, di applicazione di queste idee nella vita concreta. L’idea è che nella produzione di
d’Annunzio ci sia sempre una connessione diretta fra la poesia e la materialità, cioè la concretezza
della vita del contesto. Questo aspetto è importante perché in Pascoli abbiamo visto una situazione
diversa presenza dimessa del contesto ambientale, degli elementi della vita quotidiana. Con
d’Annunzio la connessione fra la parola e realtà sarà molto più orientata all’aspetto concreto,
materiale. Questo aspetto rientra nella dimensione biografica di D’annunzio che vive secondo le
linee dei nuovi impulsi della modernità, quindi secondo gli entusiasmi giovanili in una epoca che
stava cambiando, che si stava staccando dagli ideali di fine ottocento più prientati verso una sobria
razionalità. All’inizio del novecento l’idea è cavalcare l’entusiasmo.
Nel 1909 compì la sua prima esperienza di volo (per sottolineare aspetti che rappresentano la sua
biografia la concretizzazione diretta di quegli ideali che poi lui proietterà nella sua produzione
letteraria). Nel 1910 lo ritroviamo ancora a scappare dai creditori: lascia l’Italia e si rifugia a Parigi
dove resta 5 anni. Anche in questo caso spostamento dovuto a necessità pratiche, verso una
grande città che veniva considerata come una seconda patria. A causa delle sue difficoltà
economiche D’Annunzio anche in Francia deve ricominciare a lavorare per i giornali: riprende la
collaborazione con il Corriere della Sera e in questi anni si occupa di queste attività di tipo
giornalistico. Un momento importante è rappresentato dalla guerra: nel 1914 si realizza questo
nuovo scenario e un po’ ovunque: a Parigi come a Vienna, Berlino e Roma si scatena questo
entusiasmo nei confronti della patria, dell’impegno guerriero. Quando d’Annunzio è a Parigi e
assiste allo spettacolo della Francia che resisteva all’avanzata tedesca, assiste anche all’incendio
della cattedrale di Reime, quindi vive in prima persona gli errori della guerra. Però per la sua
accezione, in linea con alcune tendenze di primo novecento, vede anche nella guerra una scossa
eletrizzante di vitalità e giovinezza. Quindi si schiera a favore dell’intervento dell’Italia in guerra
accanto alla Francia: la guerra incontrata in prima persona diventa oggetto della sua attenzione. Nel
maggio del 1915 d’Annunzio rientra in Italia e svolge questa sua attività di grande retore, di capo
che parla alla folla di quelle che lui stesso definì delle orazioni (rievocando la dimensione latina di
questo genere, famosa è l’Orazione di Quarto presso Genova), dimostrano questa sua volontà a far
si che la parola divenga azione, dimostrando questa tendenza all’estetizzazione della politica a cui
abbiamo fatto cenno in precedenza. Nel contesto bellico lui partecipa direttamente: si arruola come
volontario e partecipa a spericolate imprese aeree e marine: in un incidente di volo perse l’uso
dell’occhio destro. Anche questa cosa non lo dissuase dal continuare a osare, ad agire direttamente
in forma di manifestazione di grande audacia. Ricordiamo alcune delle sue imprese come la famosa
beffa di Buccari: incursione notturna nella baia di Buccari in Croazia oppure ancora il volo su Vienna
con il lancio dei manifesti che invitavano il nemico alla resa. Il d’Annunzio poeta viaggia sempre in
parallelo al d’Annunzio d’azione: considera queste diverse manifestazioni della propria persona
come elemetni costituitivi di un unico grande personaggio. Con la conclusione del conflitto ci fu
anche la questione di Fiume in relazione al problema del fatto che Fiume è una città di lingua
italiana e veniva destinata a far parte della Jugoslavia sulla base degli accordi della Conferenza di
Parigi del 1919. In conseguenza a questa risoluzione ecco un’altra delle azioni del d’Annunzio attivo,
del d’Annunzio soldato: il 12 serttembre 1919 d’Annunzio entrava a Fiume con una legione di
volontari dichiarando l’annessione di Fiume all’Italia. Questa situazione creò una situazione
imbarazzante dal punto di vista diplomatico sul piano internazionale: questa azione si concluse con
una risoluzione politica anche se non fu priva di conseguenze. Dopo queste vicende, gli ultimi anni
di d’Annunzio furono trascorsi nella sua villa di Gardone Riviera sul Lago di Garda che sarebbe
diventata il Vittoriale degli Italiani. È una sorta di Esilio dorato quello di d’Annunzio al Vittoriale, ma
anche una sorta di autocelebrazione del personaggio stesso: il Vittoriale viene nel corso degli anni
trasformato da d’Annunzio stesso in una sorta di museo mausoleo in cui il poeta riunì le varie
immagini d’arte cercando di vivere come postero, oppure come re sepolto con i suoi tesori. Nella
casa museo d’Annunzio morirà nel 1938 al tavolo da lavoro.
È un periodo in cui d’Annunzio si rende portavoce di cambiamento: l’Italia si stava trasformando.
Quindi la modernizzazione, l’avanzamento della tecnologia (quindi possibilità in più della
comunicazione stessa) e quella stessa evoluzione tecnologico-industriale che modificava il rapporto
fra città e campagna. È quello stesso quadro che abbiamo individuato riferendoci a Pascoli, ma la
realtà di d’Annunzio è completamente diversa: in Pascoli abbiamo un rifiuto dell’evoluzione dei
tempi, dall’altra parte d’Annunzio si renderà portavoce di questa nuova tendenza, di questa linea in
cui vengono meno i vecchi valori di riferimento. Tempo determinato da ritmi e rapporti diversi fra
città e persone, tra contesti urbani e percezione dell’individuo stesso. veniva alla ribalta una nuova
generazione, di figli della borghesia (d’annunzio stesso) che però si orientavano ad altro rispetto a
quello che era stato il centro dell’attenzione dei loro padri, figli della borghesia dediti soprattutto
all’arte, aditi di esperienze eccentriche. È questo il clima in cui d’Annunzio si fa interprete con alcuni
elementi chiavi con il disprezzo della vita d’ogni giorno, della quotidianità che P. ricercava invece,
oppure con la predicazione del piacere, con l’inno all’immaturità, alla dissipazione. Sono tutte
queste spinte che sono parte di una nuova attitudine che si stava diffondendo all’inizio del 900,
quindi la tendenza anche per questi figli della borghesia a spezzare l’unità della coscienza borghesa
in una sorta di collezione di frammenti di vita esaltanti ed effimere, riconoscendo nel mondo
borghese qualcosa di noioso, basso.

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