Possiamo notare le riflessioni di Pascoli nei confronti del poema dantesco La Commedia. Alla Commedia Pascoli dedicò alcuni saggi critici:
1. Minerva Oscura, 1898
2. Sotto il velame, 1900 3. La mirabile visione, 1902. Nella sua considerazione del poema dantesco Pascoli si addentrò in una rete complessa di simboli e allegorie e interpretò proprio il viaggio del poeta personaggio come un grande viaggio allegorico sostanzialmente finalizzato alla morte e alla rinascita una situazione in cui lo stesso Pascoli provò a riconoscersi. Pascoli definì Dante il poeta del mistero e sostenne che nel poema dantesco vi sono “due dee per ogni parola e due rappresentazioni per ogni immagine…a lungo”: sono delle considerazioni fatte in relazione al poema dantesco ma in realtà qui Pascoli sta parlando della propria poesia, si parla di polisemia (cioè ci sono due idee per ogni parola), si parla di dialettica fra determinato e indeterminato (cioè una visione che è immediatamente percepibile e una che invece è più lontana), un elemento che è immediatamente visibile e un elemento che è nascosto, che è lontano. Nella considerazione della poesia di Dante lo stesso Pascoli ci da delle informazioni utili per poter decodificare la forte componente simbolica della sua poesia. La presenza del simbolo in Pascoli è sicuramente centrale. Per capire più approfonditamente l’atteggiamento di Pascoli nei confronti della propria poesia, e nei confronti della tradizione poetica precedente e quindi in funzione di una tradizione poetica del 900, molte informazioni utili ci possono derivare da qualche considerazione in più sulla raccolta Myricae. La raccolta Myricae è del 1891 anche se poi nella sua prima veste vide nove edizioni, quindi abbiamo già considerato ieri il testo Lavandare che appartiene di fatto alla terza edizione di Myricae. È una raccolta che parte nel 1891 e poi si sviluppa negli anni successivi. Uno degli aspetti interessanti della raccolta che ci possono dare già delle indicazioni è proprio lo stesso titolo. Myricae sono piccoli arbusti comuni prevalentemente sulle spiagge. È un titolo che nel suo contenuto ci da due importanti informazioni sulla cultura pascoliana stessa. Questo titolo in questa forma ci da due informazioni importanti sulla sua formazione, conoscenza, sulla sua dimensione poetica. Prima di tutto dal punto di vista contenutistico la conoscenza di fiori, piante, di quel contesto vegetale proprio della campagna in cui il poeta trascorse l’infanzia, quindi riferimento diretto alla dimensione rurale proiettata dal poeta soprattutto nella fase infantile. L’altra grande informazione che ci da questo titolo è proprio quella della formazione classica di Pascoli stesso perché per dare titolo alla sua raccolta P. ricorre a un verso delle bucoliche di Virgilio, al secondo verso della quarta bucolica. Questo verso verrà messo anche in epigrafe alla raccolta stessa. Queste due informazioni ci delineano quella zona di manovra di Pascoli, ci danno subito già due coordinate importanti della sua dimensione poetica: cioè quella di una poesia orientata nell’ambiente agreste, ma una poesia che si riferisce ad oggetti quotidiani, temi semplici, quotidiani, temi collegati alla campagna, alle stagioni, al lavoro dei campi, tutto quello che riguarda la situazione rurale agreste. Poesia dimessa per argomento e stile. Sottolineamo il ricorrere di elementi proprio perché nella poesia di pascoli i temi sono piuttosto statici, nel senso che sono questi sono i temi che vengono per lo più trattati. Sono i motivi centrali che sono riconoscibili nella sua poesia, poesia che si colloca soprattutto in questi contesti (contesti agresti) e che poi si collega a immagini ricorrenti come immagini di lutto, la tendenza a richiamarsi alla tomba, al camposanto, a richiamare quell’elemento centrale che è stato determinante nell’infanzia di Pascoli stesso (la morte del padre, evento tragico che ha distrutto la stabilità del suo nido familiare originario). Tema della morte molto presente a richiamare il trauma che sarà poi rintracciabile spesso nella poesia di Pascoli. Un altro tema ricorrente in connessione con le contestualizzazioni viste è il tema della memoria o il tema del dolore, sono temi che si associano in maniera armonica alla contestualizzazione della campagna della quale risuonano suoni, voci ed elementi che assieme alla dimensione visisva rappresentano un punto essenziale per la realizzazione poetica di Pascoli stesso. la contestualizzazione rurale di fatto rappresenta una caratteristica fondamentale e ci fa capire che questa ricerca del nido, dell’area limitata e sicura ricostruita anche nella realtà da P. stesso, questa dimensione rappresenta sì la ricerca di un certo tipo di luogo, ma anche la scelta di rinunciare ad un altro luogo. È l’opposizione che si crea tra la campagna interpretata da P. come luogo sicuro, della tranquillità e della pace e la città (siamo verso la fine dell’800 e si va verso la città inizio 900 con tutta la sua direzione intrapresa verso la modernizzazione, si delinea quella città che poi sarà determinante nei romanzi moderni del 900 in cui la città assume una funzione determinante nella dimensione individuale del personaggio). Questa dimensione di città da P. viene rifiutata: c’è una fuga sostanziale dalla città, dalla metropoli che poi sarà teatro di molte vicende dei personaggi della poesia di inizio 900, rifiuto della metropoli che a P. appare mostruosa, metropoli da cui è necessario fuggire per rifugiarsi in campagna. Questo è un dato effettivo, c’è una comprensione ancora maggiore della portata di questa soluzione poetica proprio se consideriamo come lo stesso P. nella sua nozione biografica privata poi si è comportato da questo punto di vista. Ecco quindi la grande insisitenza della poesia pascoliana su questi aspetti della campagna, cioè su quegli aspetti che sono tipici di una situazione rurale che si sta perdendo nella dimensione urbana. Pensiamo all’attenzione nei confronti degli oggetti, l’attenzione nei confronti delle figure umili, ma anche l’attenzione sulle stagioni, sulle ore del giorno e su tutti quegli elementi che scandiscono la vita nei campi e non sono quelli gli elementi che invece scandiscono la vita nelle città votata ad altri ritmi, ad un altro modo di concepire non solo il tempo, ma anche le attività, le occupazioni e le stesse professioni con una maggiore modernizzazione della città abbiamo una progressiva perdita di quei punti di riferimento che rimangono attivi e ben presenti solo nella campagna. Questa concezione della città da cui P. fugge non solo nella sua poesia, ma anche nella sua dimensione biografica sarà completamente opposta in D’Annunzio che cercherà la città proprio perché l’attenzione nei confronti della vita stessa sarà completamente diversa rispetto a questo atteggiamento pascoliano, ci sarà la ricerca della modernità e del contesto proprio di questo fine di secolo e inizio novecento. Le poesie di Myricae sono apparentemente semplici: la semplicità che pare caratterizzare i testi di questa raccolta è solo apparente perché la scelta di temi umili e oggetti semplici, in realtà poi si sposa non solo con l’impiego di strumenti poetici tutt’altro che semplici, ma richiede dal punto di vista della decodifica un’azione da parte del lettore tutt’altro che semplice è quella dimensione del non immediatamente visibile che è parte integrante della poesia di P. questo anche per sottolineare che ci sono differenze nette rispetto a soluzioni simili di contestualizzazione della poesia. Si parla di un’ambientazione rurale, agreste. Si parla di quadri nella campgana. Questi scenari sono stati oggetto anche di altre operazioni di tipo letterario. Pensiamo per esempio all’Idillio arcadico, quindi all’interpretazione da parte dell’Arcadia di quadri naturali in cui evadere e visti sostanizlamente in una sorta di incanto fine a se stesso, una sorta di rappresentazione finalizzata a se stessa. La dimensione della rappresentazione campestre di P. non è così: non è assolutamente riconducibile a un quadro di maniera proprio della tradizione arcadica. Allo stesso modo questo interesse nei confronti della dimensione rurale non è ascrivibile neanche a quella corrente letteraria che proprio in questi anni vedeva per esempio Verga pubblicare Novelle intitolate Vita dei campi oppure Novelle rusticane. Ancora nel modo in cui Pascoli coglie la dimensione campestre non si tratta di uno sguardo asismilabile al verismo, quindi non ha nessun intento di denuncia sociale come doveva essere per gli scrittori del naturalismo francese o del verismo italiano. Quindi questa dimensione di attenzione nei confronti del mondo campestre, si stacca da possibili riferimenti a interpretazioni antecedenti o contemporanee. Né una trattazione fine a se stessa della dimensione campestre, né un intento sociale di denuncia sulla linea del verismo. La rappresentazione campestre di Pascoli è lo scenario in cui il poeta proietta le sue angosce, le sue inquietudini, i suoi ricordi stessi. Quindi sotto questo punto di vista i dati realistici e riconoscibili nel quadro campestre realizzato da P. sono fortemente caricati di valore simbolico. È importante sottolineare questa diversa attitudine proprio perché anche in questo sta uno degli aspetti che proiettano Myricae verso il 900, anche questo contatto che c’è tra la dimensione inquieta dell’individuo proiettata sul contesto circostante. C’è uno scarto con la tradizione precedente , con la tradizione lirica italiana alta. C’è un forte stacco proprio per l’impiego di oggetti che entrano in questo caso con P. stesso nell’area della versificazione, prima non erano considerati degni di essere oggetto di poesia, oggetti umili, del quotidiano (e questo contribuisce allo scarto con la tradizione precedente). C’è la forte carica simbolica che costituisce un altro elemento di novità nella dimensione della poesia di P. però non sono solo questi gli elementi che ci consentono di collocare la raccolta Myricae più nella sensibilità novecentesca, nonostante l’effettiva data di composizione e di pubblicazione (anni 90 dell’800). È importante sottolineare che la grande novità della poesia pascoliana sta nell’assenza della sua poesia di elementi riconducibili sia al romanticismo (quindi sia all’età romantica) che riconducibili al positivismo. Quindi nella sua poesia l’elemento centrale che segna la novità di questa raccolta e la proietta verso la sensibilità novecentesca è proprio la amncanza di riferimenti a questi contesti che erano tipicamente ottocenteschi (cioè il contesto romantico e positivsta). Non c’è nella poesia di P. la certezza razionale, la fiducia delle scienze. Questo è un aspetto importante perché rappresenta il discrimine nelle fonti del tempo immediatamente precedente a P. che colloca la raccolta proprio nel contesto novecentesco. Altro elemento è lo stacco che si realizza nel momento in cui P. recupera le forme della tradizione poetica ma le reinterpreta. Si parla di accordo eretico accordo con la scelta delle strutture del verso, ma anche una interpretazione sostanzialmente volta a infrangere l’unità e la solidità di queste normative. Quindi una situazione che vede P. recuperare elementi del passato, ma reinterpretarli in un modo completamente nuovo. Questa novità che è propria dei temi anche nei toni della sua poesia viene poi a confermarsi anche nella struttura, anche nella gestione strutturale della poesia stessa. Elementi significativi per indicare questo elemento di novità prima di tutto le poesie di P. sono brevi, quindi la brevità è uno degli elementi dignificativi proprio perché la poesia non è più intesa con l’intento di argomentare, di esortare, di convincere, di razzionalizzare, la poesia è più vista come un quadro, un’illuminazione istantanea, un’impressione.ecco dunque che la brevità rappresenta un aspetto importante della soluzione poetica pascoliana. Poesia che non è più destinata alle grandi esortazioni anche in linea con la tradizione lirica risorgimentale poco precedente che puntava ad una estensione della struttura poetica tale perché ci potesse essere una argomentazione, una concettualizzazione della poesia stessa. Non solo breve ma anche strutturata in modo diverso: la brevità come uno degli elementi caratteristici, ma anche una diversa gestione dell’argomentazione, cioè della struttura della poesia stessa decadono molti nessi di tipo logico, decadono molte linee di sviluppo della poesia di tipo razionale. La poesia di Pascoli non è più data sulla subordinazione di concetti, ma più sulla coordinazione, quindi più giustapposizone di elementi che non subordinazione. Al discorso razionale si sostitusice prevalentemente la musicalità, il ritmo cioè la volontà di rompere nella struttura compositiva la rigidità dei nessi logici, dei nessi di casua-effetto, privilegiando la coordinazione. Qualche considerazione interessante sulla base dell’osservazione di G. Contini, possiamo farla sul linguaggio stesso di P, anche questo interpretato in modo particolare. Contini individua nel linguaggio poetico di Pascoli tre livelli espressivi: il primo livello è quello grammaticale, il secondo livello è quello pregrammaticale o agrammaticale e il terzo livello è quello post grammaticale. È un’interessante analisi proprio per individuare un diverso uso dei codici linguistici da parte di P. nella sua poesia: il primo livello è quello che si riferisce alla lingua che utilizziamo normalmente per la comunicazione, quindi alla lingua come strumento codificato da delle regole, codificato in una forma disciplinata, il livello pregrammaticale riguarda soprattutto gli elementi onomatopeici, cioè il largo uso che viene fatto da Pascoli per la realizzazione linguistica di suoni e di quello che poi sarà oggetto di sistematizzazione anche per altre correnti, soprattutto per futuristi, dadaisti (P. apre la strada all’impiego dell’onomatopea, del fonosimbolismo nella poesia stessa). Quindi questo secondo livello è importante perché poi lo ritroviamo anche in altri contesti. Il terzo livello è quello che è stato definito come post grammaticale è l’osservazione dell’impiego nella poesia di P. di codici spesso riferiti o derivati a gerghi, quindi l’impiego di termini derivati da lingue speciali, lingue gergali. Ne abbiamo avuto l’esempio in Lavandare: anche il temrine maggese fa parte di un linguaggio tecnico proprio della dimensione campestre e peràò viene inserito nel contesto poetico diretto. Quindi l’impiego di termini derivati da lingue techiche rappresenta uno degli aspetti interessanti della dimensione linguistica di Pascoli stesso. ne abbiamo un esempio particolamente interessante anche in un testo che appartiene alla raccolta di Primi Poemetti, 1904 e che si intitola Italy in cui il poeta riproduce il linguaggio ibrido di quell’italiano americanizzato di un emigrante che torna dall’America nella sue terra d’origine. Ed ecco che quindi appaiono diversi termini che sono a metà tra l’originale americano e una italianizzazione, ad esempio gelati che sono detti scrima (dall’inglese ice cream), la nave a vapore diventa stima (dall’americano stimer). Quindi abbiamo un impiego particoalre di questa ulteriore declinazione del linguaggio. Da ultimo considerazione della struttura metrica della poesia stessa: abbiamo detto già che Pascoli riprende gli strumenti della metrica tradizionale ma li reinterpreta, P. adotta una soluzione diversa rispetto a quello che poi faranno ad esempio i futuristi o lo stesso Ungaretti. Pascoli sceglie non di rifiutare la metrica tradizionale, sceglie di recuperarla ma infrangendola. Sceglie una linea un po’ più soffice nello stacco dalla generazione precedente, quindi è un rifiuto della metrica tradizionale sostanzialmente molto sofr. Anche questo elemento di innovazione è molto importante. Pascoli tende a frantumare il verso tradizionale. Direzione per l’interpetazione della poesia di Pascoli molto attiva nel paragone con un personaggio per molti versi in opposizione a P. stesso e cioè G. d’Annunzio. Anche nel caso di D’Annunzio è importante collegare la sua produzione letteraria alla sua dimensione biografica. Anche in questo caso dovremmo individuare alcune coordinate della sua vita perchè uno degli aspetti fondamentali di D’Annunzio sarà quello di collegare la propria vita all’arte, cioè di fare della vita di un’opera d’arte. La connessione fra vita e arte l’abbiamo già trovata nelle osservazioni fatte rispetto a Pascoli anche in quel caso gli elementi biografici determinavano delle scelte in ambito artistico. Anche con d’Annunzio la connessione tra vita e arte sarà determinante, anche se in un modo completamente diverso. Gabriele d’Annunzio nasce nel 1863 a Pescara in una famiglia della borghesia. D’annunzio si forma in uno dei più prestigiosi collegi d’Italia d’allora e cioè il Collegio Cicognini di Prato. Fin da scolaro mostrava quelle doti che poi vedremo affinarsi nel proseguo della sua formazione e della sua carriera letteraria, quindi grandi abilità linguistiche, grande attenzione verso la dimensione letteraria. Fin da piccolo dimostrava un temperamento molto indipendente e quindi già fin da piccolo presentava quella grande fiducia nelle proprie possibilità di successo e quella volontà di primeggiare. Importante è sottolineare che anche negli anni del colleggio durante le vacanze estive sviluppava una diretta connessione con l’ambiente naturale dell’Abruzzo. La terra d’Abruzzo rimarrà per sempre uno dei riferimenti diretti di cui avremmo riscontri precisi e forti nel contesto poetico. La prima pubblicazione di d’Annunzio risale al 1879 quindi a 16 anni prima pubblicazione è un piccolo libretto di poesia intitolato Primo Vero quindi all’inizio della primavera, pubblicazione avvenuta a Chieti con spese del padre che citiamo perché rappresenta un esempio tipico della considerazione di alcune caratteristiche che saranno poi centrali nella sue gestione dell’esperienza letteraria. Per sottolineare l’uscita del suo libretto di poesie decise di far pervenire ai giornali la notizia della propria morte (già a 16 anni!!). Secondo la sua visione questo avrebbe dovuto dargli visibilità, quindi è un primo esempio ancora precoce di quella comprensione dei meccanismi nn solo della letteratura ma anche del mercato che cominciavano a regolare la diffusione e la divulgazione della letteratura stessa. È un piccolo aneddoto che ci fa capire come fin da subito fosse netta l’attenzione nei confronti di meccanismi non direttamente letterari ma collegati alla promozione della propria attività letteraria. Terminato il collegio D’Annunzio si trasferisce a Roma per frequentare l’università. Non a caso la ricerca è quella della grande città, della dimensione mondana di una Roma che rappresentava un centro attivo in quegli anni sia dal punto di vista letterario-editoriale, era una città che offriva occasioni particolari per la vita mondana. Era quella stessa città da cui fuggiva Pascoli. Se da un lato P. cercava anche a livello biografico la dimensione campestre, D’Annunzio fin da subito si immerge nel contesto urbano della vita mondana e lavora in questi anni romani e collabora a cronaca bizantina e alla tribuna. (vero e proprio impiego da giornalista) nel 1882 esce la seconda raccolta di poesie pubblicato presso SOmmaruga nel 1882 dal titolo Canto novo. In questi anni romani in qualità di recensore della tribuna, si accostava anche ai grandi maestri europei della modernità: entrava in contatto con i testi di Mallarmè, di Zolà e Bodeleure. Già si delineava in lui quella tendenza, quella volontà di rappresentare una sorta di alfiere della cultura cosmopolita, quindi la volontà di contaminare codici, esperienze e dimensioni letterarie diverse. Quest sono tutti elementi che saranno funzionali per l’individuazione dell’abitudine letteraria e poetica di D’Annunzio. Un’altra data che sottolineiamo è il 1889 quando lasciato l’impiego giornalistico e ritiratosi in Abruzzo lavora al romanzo il Piacere che esce nel 1889. È un romanzo nel quale confluisce tutta la sua esperienza mondana maturata nei salotti aristocratici della capitale ed è anche l’occasione per sottolineare una prima netta connessione tra la vita di d? annnzio e la sua opera: sostanzialmente è vero che le vicende del personaggio del Piacere risentono della vita mondana dei salotti della capitale, ma è anche vero che gli stessi personaggi del Piacere rappresentano anche una sorta di modello per l’autore stesso, cioè è vero che i personaggi riflettono le esperienze biografiche di d’Annunzio, ma è altrettanto vero che d’Annunzio vivrà come vivevano i suoi personaggi nei suoi romanzi. Ecco quindi che l’intento d’annunziano è proprio quello di trasferire la vita da dendi del personaggio del piacere nella propria persona e vivere in un modo dedito alla vita mondana, alla dissolutezza. Nel 1891 d’Annunzio si trasferisce a Napoli per sfuggire ai creditori che lo incalzavano per la tendenza a creare debiti . a Napoli riprende l’attività giornalistica e pubblica nel 1892 il romanzo l’Innocente. Nel corso del suo soggiorno napoletano, anchein questo caso frequentò salotti artistici partenopei e anche in questo caso entrò in contatti con aspetti artistici non solo letterari internazionali, ad esempio approfondì la conoscenza della musica di Richard Vargner (?). Citiamo la pubblicazione dell’Innocente perché proprio in questi anni l’innocente veniva tradotto in francese da parte di Jorge Herell, importante perché grazie a questa traduzione d’Annunzio fa il suo ingresso sulla scena letteraria parigina. La scena parigina sarà per d’Annunzio uno dei centri focali, una sorta di seconda patria anche negli anni a seguire. Tra 1892 e 1893 pubblica le Elegie Romani, le Odi avali, il poema paradisiaco. Negli anni 90 ci sono due eventi importanti per la biografia di d’Annunzio: da un lato l’incontro con la filosofia di Nietzche, dall’altro lato il sodalizio personale e artistico con Eleonora Duse, più grande attrice teatrale del tempo. Sottolineiamo questi due aspetti perché saranno interessanti l’uno per questioni di tipo contenutistico e l’altro perché rappresentò un periodo molto produttivo per la dimensione artistica a tutto tondo di d’Annunzio stesso. uno degli aspetti importanti negli anni 90 fu anche l’entrata nella sfera politica già con l’incontro con la filosofia di Nietzche d’Annunzio si avvicinò alla potenza del mito quindi al tentativo di ripristinare alcuni elementi tanto la magia delle favole antiche, recupero del mito in funzione di un’azione diretta nei confronti della modernità. La sua attività politica fu caratterizzata da questo particolare atteggiamento: fare in modo che la propria parola passi alla realizzazione di miti, di immagini, alla proiezione di alcune idee nella modernità stessa. Nel 1897 viene eletto nelle file dell’estrema destra e si fece portatore di questo ideale eroico della stirpe, quindi la volontà di riportare con forza e convinzione alcune idee in un contesto italiano che a lui appariva piuttosto fiacco, interpretava l’attività politica cercando di assumere la funzione di quello che deve dare la direzione, quindi del grande oratore che deve convincere le folle, quindi l’estetizzazione della politica. È uno dei casi in cui la parola, quindi anche l’arte, diventa azione. La parola diventa azione, cioè deve trasformare la vita politica in un contesto di esaltazione della forza, scenografico (??). ci sarà sempre questa connessione fra la dimensione artistica che emerge dalle prove letterarie di d’Annunzio e la loro proiezione in un contesto di azione, di applicazione di queste idee nella vita concreta. L’idea è che nella produzione di d’Annunzio ci sia sempre una connessione diretta fra la poesia e la materialità, cioè la concretezza della vita del contesto. Questo aspetto è importante perché in Pascoli abbiamo visto una situazione diversa presenza dimessa del contesto ambientale, degli elementi della vita quotidiana. Con d’Annunzio la connessione fra la parola e realtà sarà molto più orientata all’aspetto concreto, materiale. Questo aspetto rientra nella dimensione biografica di D’annunzio che vive secondo le linee dei nuovi impulsi della modernità, quindi secondo gli entusiasmi giovanili in una epoca che stava cambiando, che si stava staccando dagli ideali di fine ottocento più prientati verso una sobria razionalità. All’inizio del novecento l’idea è cavalcare l’entusiasmo. Nel 1909 compì la sua prima esperienza di volo (per sottolineare aspetti che rappresentano la sua biografia la concretizzazione diretta di quegli ideali che poi lui proietterà nella sua produzione letteraria). Nel 1910 lo ritroviamo ancora a scappare dai creditori: lascia l’Italia e si rifugia a Parigi dove resta 5 anni. Anche in questo caso spostamento dovuto a necessità pratiche, verso una grande città che veniva considerata come una seconda patria. A causa delle sue difficoltà economiche D’Annunzio anche in Francia deve ricominciare a lavorare per i giornali: riprende la collaborazione con il Corriere della Sera e in questi anni si occupa di queste attività di tipo giornalistico. Un momento importante è rappresentato dalla guerra: nel 1914 si realizza questo nuovo scenario e un po’ ovunque: a Parigi come a Vienna, Berlino e Roma si scatena questo entusiasmo nei confronti della patria, dell’impegno guerriero. Quando d’Annunzio è a Parigi e assiste allo spettacolo della Francia che resisteva all’avanzata tedesca, assiste anche all’incendio della cattedrale di Reime, quindi vive in prima persona gli errori della guerra. Però per la sua accezione, in linea con alcune tendenze di primo novecento, vede anche nella guerra una scossa eletrizzante di vitalità e giovinezza. Quindi si schiera a favore dell’intervento dell’Italia in guerra accanto alla Francia: la guerra incontrata in prima persona diventa oggetto della sua attenzione. Nel maggio del 1915 d’Annunzio rientra in Italia e svolge questa sua attività di grande retore, di capo che parla alla folla di quelle che lui stesso definì delle orazioni (rievocando la dimensione latina di questo genere, famosa è l’Orazione di Quarto presso Genova), dimostrano questa sua volontà a far si che la parola divenga azione, dimostrando questa tendenza all’estetizzazione della politica a cui abbiamo fatto cenno in precedenza. Nel contesto bellico lui partecipa direttamente: si arruola come volontario e partecipa a spericolate imprese aeree e marine: in un incidente di volo perse l’uso dell’occhio destro. Anche questa cosa non lo dissuase dal continuare a osare, ad agire direttamente in forma di manifestazione di grande audacia. Ricordiamo alcune delle sue imprese come la famosa beffa di Buccari: incursione notturna nella baia di Buccari in Croazia oppure ancora il volo su Vienna con il lancio dei manifesti che invitavano il nemico alla resa. Il d’Annunzio poeta viaggia sempre in parallelo al d’Annunzio d’azione: considera queste diverse manifestazioni della propria persona come elemetni costituitivi di un unico grande personaggio. Con la conclusione del conflitto ci fu anche la questione di Fiume in relazione al problema del fatto che Fiume è una città di lingua italiana e veniva destinata a far parte della Jugoslavia sulla base degli accordi della Conferenza di Parigi del 1919. In conseguenza a questa risoluzione ecco un’altra delle azioni del d’Annunzio attivo, del d’Annunzio soldato: il 12 serttembre 1919 d’Annunzio entrava a Fiume con una legione di volontari dichiarando l’annessione di Fiume all’Italia. Questa situazione creò una situazione imbarazzante dal punto di vista diplomatico sul piano internazionale: questa azione si concluse con una risoluzione politica anche se non fu priva di conseguenze. Dopo queste vicende, gli ultimi anni di d’Annunzio furono trascorsi nella sua villa di Gardone Riviera sul Lago di Garda che sarebbe diventata il Vittoriale degli Italiani. È una sorta di Esilio dorato quello di d’Annunzio al Vittoriale, ma anche una sorta di autocelebrazione del personaggio stesso: il Vittoriale viene nel corso degli anni trasformato da d’Annunzio stesso in una sorta di museo mausoleo in cui il poeta riunì le varie immagini d’arte cercando di vivere come postero, oppure come re sepolto con i suoi tesori. Nella casa museo d’Annunzio morirà nel 1938 al tavolo da lavoro. È un periodo in cui d’Annunzio si rende portavoce di cambiamento: l’Italia si stava trasformando. Quindi la modernizzazione, l’avanzamento della tecnologia (quindi possibilità in più della comunicazione stessa) e quella stessa evoluzione tecnologico-industriale che modificava il rapporto fra città e campagna. È quello stesso quadro che abbiamo individuato riferendoci a Pascoli, ma la realtà di d’Annunzio è completamente diversa: in Pascoli abbiamo un rifiuto dell’evoluzione dei tempi, dall’altra parte d’Annunzio si renderà portavoce di questa nuova tendenza, di questa linea in cui vengono meno i vecchi valori di riferimento. Tempo determinato da ritmi e rapporti diversi fra città e persone, tra contesti urbani e percezione dell’individuo stesso. veniva alla ribalta una nuova generazione, di figli della borghesia (d’annunzio stesso) che però si orientavano ad altro rispetto a quello che era stato il centro dell’attenzione dei loro padri, figli della borghesia dediti soprattutto all’arte, aditi di esperienze eccentriche. È questo il clima in cui d’Annunzio si fa interprete con alcuni elementi chiavi con il disprezzo della vita d’ogni giorno, della quotidianità che P. ricercava invece, oppure con la predicazione del piacere, con l’inno all’immaturità, alla dissipazione. Sono tutte queste spinte che sono parte di una nuova attitudine che si stava diffondendo all’inizio del 900, quindi la tendenza anche per questi figli della borghesia a spezzare l’unità della coscienza borghesa in una sorta di collezione di frammenti di vita esaltanti ed effimere, riconoscendo nel mondo borghese qualcosa di noioso, basso.