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CHIMICA E PROPEDEUTICA BIOCHIMICA

FLAVIA IOVINO POLO B 2016-2017


Prof. Giovanni Li Volti

DISPENSE
Atomo e materia
capitolo 1, 6, 2 e slide “atomo”, “composti chimici”

La chimica è la scienza che si occupa della materia: ne studia le caratteristiche, le proprietà e le


trasformazioni da una forma all'altra.
La materia è tutto ciò che ha massa e occupa spazio.
Si parla di trasformazioni chimiche e fisiche dal momento che la materia ha proprietà sia
chimiche (coinvolte nelle reazioni) che fisiche (densità, colore, stato fisico).

Un elemento è una sostanza costituita da atomi identici tra di loro. Ad oggi sono stati
identificati 118 elementi differenti tra di loro, di questi 88 sono di origine naturale e i
restanti ottenuti in laboratorio.
Un composto è invece una sostanza pura costituita da due o più elementi in un rapporto
stechiometrico ben definito (fisso e costante).
Una miscela è una combinazione di due o più sostanze pure. A differenza di un composto le
sostanze possono essere presenti in qualunque rapporto di peso.
Le miscele possono essere omogenee o eterogenee:
I sistemi omogenei sono costituiti da materia che in ogni sua parte presenta le stesse proprietà
fisiche e non essendoci superfici che separano porzioni di materia con proprietà differenti
presentano la cosiddetta omogeneità.
I sistemi eterogenei sono costituiti da materia separata in più parti dette anche fasi del sistema
con superfici di separazione tra le differenti parti, quindi, tali sistemi si presentano differenti,
oltre che per composizione chimica, anche per la composizione fisica.
Se conosciamo le proprietà fisiche di ogni componente della miscela possiamo utilizzare le
trasformazioni fisiche per separare le singole sostanze pure che la compongono.

Alcuni sistemi si trovano al confine tra le soluzioni e i sistemi eterogenei e vengono classificate
come sistemi colloidali.
Il diametro massimo delle particelle presenti in una soluzione è di circa 1nm, se il diametro
delle particelle è maggiore si parla di colloide. Un sistema colloidale disperde la luce apparendo
torbido, opaco o lattiginoso. Sebbene le particelle colloidali siano grandi esse danno luogo a
dispersioni stabili che non formano fasi separate e, così come le soluzioni, possono esistere in
diversi stati di aggregazione: gas, liquido, solido. Tutti i colloidi mostrano il cosiddetto effetto
Tyndall dovuto alla dispersione della luce ad opera delle particelle colloidali.
Quando la dimensione delle particelle colloidali è maggiore di circa 1000 nm allora il
sistema risulta instabile e dà luogo a più fasi. Questi sistemi sono detti sospensioni.
Le particelle colloidali si trovano in costante movimento caotico detto moto Browniano. Gli urti
continui di questo moto fanno sì che le particelle perpetuino il movimento. Se collidendo tra
loro le particelle di colloide si unissero precipiterebbero nella soluzione, essendo troppo grandi.
Questo viene evitato grazie al fatto che le particelle colloidali posseggono uno strato di
solvente che le avvolge ma anche perché le particelle colloidali, essendo cariche ugualmente in
una soluzione per le forze repulsive, tendono a respingersi senza unirsi.
Una soluzione può essere costituita da un solido o da un gas disciolto in un liquido;
quest'ultimo, che è generalmente presente in maggiore quantità, viene definito solvente e il
solido o gas è detto soluto.
Proprietà delle soluzioni:
– la distribuzione delle particelle è uniforme
– i componenti di una soluzione non si separano nel corso del tempo
– i componenti non si separano attraverso filtrazione
– per un dato soluto e solvente è possibile creare soluzioni in diverse proporzioni
– le soluzioni sono quasi sempre trasparenti (ad eccezione delle soluzioni solide o leghe)
– possono essere separate nei componenti puri sfruttando le proprie caratteristiche fisiche

La solubilità di un solido in un liquido è la massima quantità di soluto che è possibile sciogliere


nel solvente a una data temperatura. Essa è una costante fisica per cui ogni solido ha una
determinata solubilità. Solidi con scarsa solubilità vengono definiti insolubili per il solvente
considerato. Due liquidi completamente solubili tra loro vengono definiti miscibili.
Quando un solvente contiene la massima quantità di soluto allora la soluzione è detta satura.
Qualsiasi soluzione che contiene una minore quantità di soluto è detta insatura.
Una soluzione sovrassatura contiene più soluto di quello che potrebbe normalmente
contenere: si tratta di una soluzione instabile che, se soggetta a perturbazioni, fa precipitare
l'eccesso di soluto.
Quanto più due composti sono simili tanto più facilmente uno può essere solubile nell'altro. In
questo caso la regola è “il simile scioglie il simile”. In termini di polarità, i composti polari si
sciolgono in composti polari e i composti non polari si sciolgono solo in composti non polari.
Il solvente polare più importante è l'acqua.
TEMPERATURA: la solubilità cresce al crescere della temperatura
PRESSIONE: vale la legge di Henry per i gas maggiore è la pressione maggiore è la solubilità

È possibile esprimere concentrazione di una soluzione analizzando la quantità di soluto


disciolta in una data quantità di solvente.
Concentrazione percentuale:
(peso del soluto/volume di soluzione) x100 %
(peso del soluto/peso della soluzione) x100%
(volume del soluto/volume della soluzione) x100%
Molarità M:
moli di soluto/volume della soluzione mol/L
Molalità m:
moli di soluto/peso del solvente mol/kg
Normalità N:
numero di equivalenti di soluto/volume di soluzione eq./L
Frazione molare X:
moli soluto/(moli soluto + moli solvente)
Parti per milione ppm:
grammi soluto/grammi soluzione x 10^6
Parti per miliardo ppb:
grammi soluto/grammi soluzione x 10^9
Spesso si preparano delle soluzioni diluendo soluzioni concentrate invece di pesare
nuovamente il soluto. Durante questa operazioni viene aggiunto esclusivamente solvente per
cui non aumenta il numero di moli del soluto.
Diluizione:
M1x V1= M2x V2
%1x V1= %2x V2

Le soluzioni godono delle proprietà colligative, esse dipendono esclusivamente dal numero
delle particelle disciolte in un solvente e non dalla natura chimica delle particelle di soluto.
Abbassamento del punto di congelamento
Tc2= Tc1 -1,86°C/mol x moli di soluto
Innalzamento del punto di ebollizione
Tb2= Tb1 + 0.51°C/mol x moli di soluto
Tensione di vapore
per la legge di Rault, quando si aggiunge ad un solvente puro un soluto non volatile, la tensione
di vapore del solvente diminuisce proporzionalmente alla concentrazione del soluto aggiunto.
Psolvente = Xa P°solvente
Pressione osmotica
ovvero la pressione che una soluzione genera su una membrana semipermeabile, cresce al
crescere dell'osmolarità della soluzione (il prodotto della molarità M per il numero di particelle
di soluto i ). Due soluzioni che hanno stessa osmolarità sono dette isotoniche. Una soluzione
può essere ipo o ipertonica rispetto ad un'altra.
π = VRT/n = cm RT
La crenatura è quel processo osmotico che raggrinsisce gli eritrociti nel caso in cui essi
venissero posti in una soluzione ipertonica.
Dialisi
osmosi che permette a piccoli ioni di passare tramite la membrana semipermeabile.

L'atomo è la particella più piccola di un elemento.


Contiene le proprietà chimiche dell'elemento stesso. Le modalità di iterazione tra gli atomi
sono responsabili delle proprietà della materia.
Il primo a formulare una teoria atomica fu Dalton, seguendo 5 postulati egli affermò:
1 tutta la materia è costituita da particelle piccolissime ed indivisibili
2 tutti gli atomi di un dato elemento hanno le stesse proprietà chimiche, atomi di elementi
diversi hanno proprietà chimiche differenti
3 nelle comuni reazioni chimiche nessuno degli atomi degli elementi coinvolti può scomparire
o trasformarsi in un atomo di un elemento diverso
4 i composti sono costituiti dalla combinazione di due o più tipi diversi di atomi e il numero di
atomi di ogni elemento presente nel composto non cambia e nella maggior parte dei casi è
espresso da un numero intero
5 una molecola è costituita da due o più atomi saldamente combinati tra di loro che si
comportano come una singola unità.
Negli stessi anni Lavoisier affermò la legge di conservazione della massa: la materia non può
essere nè creata nè distrutta (compatibile con il postulato 1 e 3)
Proust enunciò la legge delle proporzioni definite e costanti: quando due sostanze si
combinano per formare un composto le loro masse si combinano secondo rapporti definiti e
costanti. Se il rapporto tra gli elementi di un composto è fisso (postulato 4) allora anche
quello tra le loro masse lo è.

Gli elementi possono essere presenti in natura come singoli atomi, per questo si parla di
elementi monoatomici. Alcuni elementi come l'ossigeno, l'idrogeno, il fluoro, il bromo, il cloro e
lo iodio vengono trovati solo come specie chimiche biatomiche. Altri elementi hanno molecole
costituite da più atomi come lo zolfo, il fosforo o l'ozono.

Gli atomi in realtà non sono indivisibili ma sono costituiti da particelle ancora più piccole dette
particelle subatomiche:
Il protone ha una carica netta pari a +1 e una massa pari ad 1 uma.
Il neutrone è privo di carica con una massa pari a quella del protone.
Queste particelle sono presenti in un ammasso compatto al centro della struttura atomica in
una zona detta nucleo.
L'elettrone ha una carica netta pari a -1 e una massa 1886 volte minore di quella del
protone e del neutrone.
Si presentano come una nuvola diffusa intorno al nucleo dell'atomo.

Ogni atomo possiede un numero ben definito di particelle subatomiche. Un modo per
descrivere un atomo è quindi quello di utilizzare il numero di massa A pari alla somma del
numero di protoni e neutroni presenti nel nucleo oppure il numero atomico Z pari al numero di
protoni nel nucleo, tale valore è identificativo di un elemento (tutti gli atomi di un elemento
presentano lo stesso numero di protoni). In un atomo neutro che possiede una carica netta
uguale a zero, il numero di elettroni è uguale al numero di protoni cioè c'è un'uguaglianza di
cariche positive e negative.

Esistono atomi di uno stesso elemento con un numero diverso di neutroni: gli isotopi.
Le proprietà chimiche degli isotopi di un'elemento sono uguali a quelle dell'elemento principale
mentre possono differire per le proprietà fisiche come la radioattività.
La maggior parte degli elementi presenti sulla terra è costituita da una miscela di isotopi che si
trovano in rapporto tra di loro pressoché costante, la massa atomica e l'abbondanza isotopica
vengono definite grazie allo spettrometro di massa. Il peso atomico di un elemento è quindi la
media ponderata dei pesi atomici dei suoi isotopi presenti sulla terra. Alcuni elementi come oro,
fluoro e alluminio sono presenti come un unico isotopo sulla terra ed è per questo che i loro
pesi atomici sono molto vicini ad un numero intero.

Negli anni settanta lo scienziato russo Meendelev pubblicò una delle prime tavole periodiche
degli elementi. Egli dispose gli elementi conosciuti in ordine di peso atomico crescente
iniziando dall'idrogeno, si rese conto che così disponendo gli atomi, essi presentavano delle
caratteristiche e peculiarità che venivano a presentarsi con una certa ricorrenza così li dispose
in periodi (righe orizzontali) andando a capo ogni volta che veniva a conoscenza di un elemento
con proprietà simili a quelle dell'idrogeno. Meendelev scoprì ben presto che anche gli elementi
che si trovavano nella stessa colonna verticale presentavano similarità e definì le colonne
gruppi. Diede alle colonne di questa tabella dei numeri e aggiunse la lettera A ad alcune e la
lettera B ad altre. La IUPAC nel 1885 raccomandò un sistema di numerazione alternativo in
cui ai gruppi vennero assegnati numeri da 1 a 18 senza alcuna lettera. Nel sistema
Meendeliano i gruppi A sono conosciuti come gli elementi dei gruppi principali, mentre i gruppi
B vennero definiti elementi di transizione. Gli elementi con numero atomico da 58-71 a
90-103 non vengono inclusi nel corpo principale della tavola ma vengono mostrati
separatamente per renderla più compatta, tali elementi sono definiti di transizione interna.

Esistono tre classi di elementi:


La maggior parte degli elementi che si trovano in natura sono metalli. Tali elementi a
temperatura ambiente sono solidi (con eccezione del mercurio), lucidi ed in grado di condurre
la corrente elettrica. Sono duttili, cioè in grado di sopportare le trasformazioni plastiche e
possono essere ridotti in fili sottili, e malleabili poiché possono anche essere ridotti in lamine
sottili. Sono in grado di formare leghe metalliche e nelle reazioni chimiche generalmente
rilasciano elettroni.
I non metalli sono la seconda classe di elementi, con eccezione dell'idrogeno i 18 non metalli
si trovano nella parte destra della tavola periodica. Ad eccezione della grafite (una forma di
carbonio) non riescono a condurre l'energia elettrica. A temperatura ambiente elementi come il
fosforo e lo iodio sono solidi, il bromo è liquido e gli elementi appartenenti al gruppo 8A, i gas
nobili, si trovano allo stato gassoso.
Gli ultimi 6 elementi della tavola periodica vengono classificati come metalloidi o semimetalli:
boro, silicio, arsenico, antimonio, germanio e tellurio. Questi elementi presentano proprietà per
certi versi simili ai metalli e per altri ai non metalli, alcuni sono lucidi ma non riescono a
condurre l'elettricità ad esempio, l'unico metalloide in grado di condurla è il silicio ma solo se
sottoposto ad elevate differenze di potenziale.

Nei primi anni del XX secolo, grazie alle scoperte dell'elettrone e del protone, Rutherford ed un
gruppo di scienziati che lavoravano con lui formularono il modello atomico. Questi scienziati
bombardarono una sottile lamina d'oro con delle particelle alpha, osservarono che la maggior
parte delle particelle riuscivano ad attraversarla indisturbate e che solo 1 su 8000
rimbalzava in direzione opposta. Grazie a questo esperimento dedussero che l'atomo è per la
maggior parte costituito da spazio vuoto. L'atomo era quindi formato da un nucleo centrale nel
quale risiede quasi la totalità della massa e dagli elettroni che descrivevano delle orbite
ruotando intorno ad esso, similmente al modello planetario. Nonostante Rutherford avesse
introdotto il concetto di nucleo il suo modello si rivelò insoddisfacente: dalla fisica classica e
dall'elettromagnetismo una carica elettrica in movimento (l'elettrone) attirato da una carica
opposta (il nucleo con i protoni) è costretto a precipitare sul nucleo stesso emettendo
radiazioni di tutte le lunghezze d'onda, mentre l'atomo nella realtà è stabile ed emette solo
determinate lunghezze d'onda.
Nel 1913 il fisico danese Bohr si prefisse l'obbiettivo di modificare il modello di Rutherford
per eliminare l'aspetto contraddittorio. Egli si avvalse della teoria dei quanti di Plank per
analizzare l'atomo di idrogeno, il più semplice poiché costituito da un singolo protone nel
nucleo ed un elettrone e che possedeva uno spettro di emissione costituito da poche righe ben
distinte. Studiando l'atomo di idrogeno egli ipotizzò che non tutte le orbite circolari possibili
erano percorribili dagli elettroni ma che essi potessero muoversi solo su quelle che avessero
una definita distanza dal nucleo. Per atomi con più elettroni che si influenzano reciprocamente
il modello atomico di Bohr risultò insufficiente e venne ampliato da Sommerfeld aggiungendo
alle orbite circolari altre orbite quantizzate di forma ellittica in cui il nucleo occupa uno dei due
fuochi.

Ciascun orbitale è descritto da tre numeri quantici


n il numero quantico principale determina l'energia globale di un orbitale e può assumere valori
interi positivi da 1 a 7.
l è il numero quantico secondario e determina la forma dell'orbitale e assume valori da 0 a n-
1.
ml è il numero quantico magnetico, specifica l'orientamento dell'orbitale e i suoi valori vanno da
-l a +l.
esiste un ultimo numero quantico s il numero quantico di spin che rappresenta il verso di
rotazione dell'elettrone in un orbitale e assume valore + o -1/2.
Tutti gli orbitali di tipo s hanno una forma sferica con il nucleo posto al centro, la nuvola
elettronica diventa meno densa man mano che ci si allontana dal centro della sfera e maggiore
è l'energia dell'orbitale s (maggiore è n) maggiore è il diametro della sfera. Gli orbitali p sono 3
per ogni livello energetico orientati lungo i tre assi cartesiani perpendicolarmente uno rispetto
all'altro, la loro forma è simile a quella di una doppia asola con i lobi opposti al nucleo, i lobi
sono separati da un piano nodale e gli elettroni non si trovano mai su di esso. Gli orbitali d sono
5 per ogni livello energetico, quattro di essi hanno quattro lobi mentre il quinto ha una forma
differente, in questo caso i piani nodali sono due e gli elettroni non si trovano in loro
corrispondenza. Gli orbitali f sono 7, quattro hanno otto lobi e gli altri tre sono costutuiti da
due lobi circondati da un anello, in questo caso abbiamo tre piani nodali.
La configurazione elettronica di un atomo è la rappresentazione in quell'atomo degli orbitali
occupati dagli elettroni. Gli orbitali si riempiono progressivamente dal livello a minore energia
(regola di AUF-BAU), non è possibile che più di due elettroni occupino lo stesso orbitale e gli
spin dei due elettroni devono essere opposti (principio di esclusione di Pauli) infine quando gli
elettroni devono riempire un set di orbitali isoenergetici, prima tutti gli orbitali devono essere
riempiti con un solo elettrone e solo dopo inizia l'appaiamento (regola di Hunde).
Tramite il diagramma a caselle degli orbitali può essere rappresentata la configurazione
elettronica degli atomi, essa prevede l'utilizzo di piccoli quadratini che rappresentano l'orbitale e
una piccola freccia all'interno della casella che indica l'elettrone, l'orientamento della freccia il
senso di rotazione. Un modo alternativo per descrivere la configurazione elettronica
fondamentale prevede l'utilizzo del simbolo del gas nobile immediatamente precedente
all'atomo dell'elemento che si sta considerando nella tavola periodica allo scopo di indicare una
configurazione elettronica considerando tutti i gruppi sottostanti pieni.
Le proprietà degli elementi dipendono dalla configurazione elettronica del loro guscio più
esterno per cui i chimici compresero che la periodicità delle proprietà chimico fisiche degli
elementi potesse essere predetta in termini di periodicità della configurazione elettronica allo
stato fondamentale modificandosi in maniera prevedibile muovendosi lungo i gruppi o i periodi
della tavola periodica:
Le dimensioni dell'atomo sono determinate dalla grandezza degli orbitali occupati dagli
elettroni. Lungo il gruppo della tavola periodica gli elettroni vanno a posizionarsi in livelli
energetici sempre maggiori. Gli elettroni dei livelli di energia minore occupano comunque
spazio così gli elettroni di valenza saranno sempre più distanti dal nucleo man mano che si
scende lungo la colonna. Lungo il periodo il livello energetico principale resta costante ma nel
nucleo il numero di protoni aumenta di una unità da sinistra verso destra.
L'energia di ionizzazione è un'altra proprietà periodica degli elementi, quando un atomo perde
un elettrone diventa uno ione, l'energia di ionizzazione indica quanto sia difficile allontanare dal
nucleo l'elettrone più facilmente rimovibile: quanto più difficile sarà tanto più alta è l'energia di
ionizzazione. Le energie di ionizzazione sono sempre positive poiché misurano l'energia che
deve essere fornita nella reazione. Generalmente essa aumenta salendo dal basso verso l'alto
lungo un gruppo considerando che più grande è il diametro di un'atomo tanto è più facile
rimuovere un'elettrone. Lungo un periodo l'energia di ionizzazione aumenta da sinistra verso
destra, infatti, anche se gli elettroni degli elementi di uno stesso periodo occupano lo stesso
livello energetico, il numero di protoni del nucleo aumenta esercitando una forza di attrazione
maggiore sugli elettroni.

Legami ed angoli di legame


capitolo 3 e slide “legami chimici”

Nel 1916 Lewis osservò la mancanza di reattività chimica dei gas nobili, egli affermo che
questa mancanza indicava un alto grado di stabilità della loro configurazione elettronica.
Gli atomi reagiscono in modo da ottenere otto elettroni nel loro guscio di valenza, tale
tendenza prende il nome di regola dell'ottetto. Un atomo con quasi otto elettroni nel gruppo di
valenza tende a guadagnare i mancanti trasformandosi in uno ione carico negativamente detto
anione, un atomo con uno o due elettroni nel guscio più esterno tende a perderli
trasformandosi in uno ione carico positivamente o catione. Quando si forma uno ione il numero
di protoni e neutroni nell'atomo rimane invariato.
La regola dell'ottetto è un buon criterio per comprendere come mai gli elementi dei gruppi da
1A a 7A formano ioni ma non è perfetta: gli ioni dei periodi 1A e 2A con cariche superiori a
+2 sono instabili e non è applicabile agli elementi di transizione. Gli atomi del terzo periodo
possono avere nell'ultimo guscio di valenza più di otto atomi e possono formare più legami
(fosforo, zolfo).
Ci sono grandi differenze tra gli atomi di un elemento e gli atomi del suo ione pertanto devono
essere considerate come specie chimiche a parte.
I nomi degli ioni sono definiti secondo un sistema ideato dalla IUPAC. Un catione monoatomico
si forma quando un metallo perde 1 o 2 elettroni, il nome del catione è uguale al nome del
metallo preceduto dalla parola ione, per gli elementi di transizione il nome del catione deve
essere seguita dalla carica indicata in numero romano, nella nomenclatura tradizionale invece
vengono usati i suffissi -oso per la carica più bassa e -ico per quella più alta. Un anione
monoatomico invece prende il nome aggiungendo la desinenza -uro al nome del non metallo,
gli anioni poliatomici che presentano più di un elemento hanno desinenza -ito o -ato.
Secondo il modello di Lewis del legame chimico, gli atomi sono legati insieme in modo che ogni
atomo coinvolto nel legame acquisti un guscio di valenza con configurazione elettronica uguale
a quella del gas nobile più vicino.
Un atomo può perdere o guadagnare elettroni necessari per ottenere un guscio di valenza
pieno, diventando uno ione. Un legame ionico risulta dalla forza di attrazione elettrostatica tra
un catione e un anione.
Un atomo può condividere elettroni con uno o più atomi per acquisire un guscio di valenza
pieno. Il legame covalente risulta dalla forza di attrazione tra due atomi che condividono una o
più coppie di elettroni. Si forma così una molecola o uno ione poliatomico. Quando i due
elettroni messi in comune provengono da uno solo dei due atomi, il legame si definisce anche
dativo.
Per stabilire se due atomi in un composto sono legati da un legame covalente o ionico bisogna
confrontare l'elettronegatività degli atomi coinvolti. Essa è una misura dell'attrazione che un
atomo ha per gli elettroni che condivide con un altro e venne ideata nel 1930 da Pauling.
L'elettronegatività aumenta da sinistra verso destra lungo un periodo a causa della crescente
carica positiva dei nuclei degli atomi che porta ad una forte attrazione nei confronti degli
elettroni nel guscio di valenza, e dal basso verso l'alto nei gruppi della tavola periodica perchè vi
è una diminuizione della distanza tra il nucleo e gli elettroni di valenza che occupano livelli
energetici più bassi. Si potrebbe paragonare l'andamento dell'elettronegatività a quello
dell'energia di ionizzazione.
I legami ionici si verificano quando la differenza di elettronegatività tra gli atomi è molto alta
>1,9
I legami covalenti quando la differenza è <1,9questi però si dividono ulteriormente in due
categorie legami non polari in cui gli elettroni tra gli atomi sono ripartiti equamente e covalenti
polari in cui sono condivisi in modo disparitario in questo caso l'atomo più elettronegativo
tende ad attrarre maggiormente gli elettroni acquistando una parziale carica negativa, la
separazione delle cariche produce quindi un dipolo disegnato con una freccia la cui punta è
rivolta verso l'atomo che attrae maggiormente gli elettroni (polo negativo) mentre la coda è
rivolta verso il polo positivo.
Le strutture dei composti covalenti possono essere determinate conoscendo 1il numero di
elettroni di valenza di un atomo in base al suo numero atomico, per ogni carica negativa sullo
ione bisogna aggiungere un elettrone per ogni carica positiva bisogna invece eliminarne uno,
2 la connettività degli atomi cioè quale atomo è legato a quale e 3 rappresentarli unendoli
tramite legami (singoli) infine gli elettroni rimasti vengono disposti in modo che ogni atomo
abbia un guscio esterno completo; di solito l'idrogeno deve essere circondato da due elettroni,
carbonio, azoto, ossigeno e gli alogeni da otto elettroni. Gli elettroni di valenza restanti
possono ancora formare legami (elettroni di legame) o restare non condivisi (elettroni di non
legame). Dopo aver rappresentato una struttura di Lewis per verificarla bisogna 4 osservare se
ogni atomo ha una guscio di valenza completo.
In un doppio legame, due atomi condividono due coppie di elettroni, pertanto un doppio
legame si rappresenta con due trattini tra gli atomi legati. I doppi legami sono comuni tra gli
atomi di C, N, O e S.
In un legame triplo, i due atomi condividono tre coppie di elettroni, pertanto un legame triplo si
indica con tre trattini tra gli atomi legati. I legami tripli sono comuni fra gli atomi di C e N.
Pauling propose la teoria della risonanza per spiegare la stabilità delle strutture delle molecole
e degli ioni, secondo tale teoria le strutture che descrivono le molecole e gli ioni sono più di una
e nella realtà la molecola o ione è un ibrido tra queste, ciascuna struttura rappresentata
secondo Lewis è denominata struttura limite di risonanza, il collegamento tra queste strutture
è rappresentato da una freccia a doppia punta. Non bisogna confondere le frecce a doppia
punta con la doppia freccia usata per indicare l'equilibrio chimico: le strutture limite non sono in
equilibrio una con l'altra. L'uso del termine risonanza per questa teoria sembra inoltre suggerire
che i legami e le coppie di elettroni siano in costante moto da una posizione all'altra, nella realtà
questo concetto è del tutto sbagliato, le molecole hanno una e una sola struttura reale
impossibile da rappresentare senza considerare oltre ai legami covalenti tra gli atomi anche dei
legami parziali in cui il doppietto elettronico è condiviso da più coppie di atomi. La risonanza
quando esiste è un fattore stabilizzante, l'ibrido di risonanza è più stabile di una qualunque
struttura limite ipotetica.

E’ possibile predire gli angoli di legame delle molecole utilizzando il modello della repulsione
delle coppie di elettroni nel guscio di valenza (VSEPR, dall'inglese “Valence-Shell Electron-Pair
Repulsion”).
Secondo questo modello, gli elettroni di valenza di un atomo coinvolti nella formazione di
legami singoli, doppi o tripli, oppure non condivisi creano una regione di densità elettronica,
con carica negativa, attorno al nucleo. Dato che cariche uguali si respingono, le varie regioni di
densità elettronica attorno al nucleo sono distribuite in modo che ciascuna sia il più lontano
possibile dalle altre.
Usiamo il modello VSEPR per prevedere la forma di alcune molecole:
1 metano La struttura di Lewis per CH4 si presenta con un atomo di carbonio circondato da
quattro regioni di densità elettronica. Ogni regione contiene una coppia di elettroni che forma
un legame covalente singolo con un atomo di idrogeno. Secondo il modello VSEPR, le quattro
regioni puntano lontano dal carbonio in modo da risultare il più lontano possibile l'una dall'altra.
La separazione massima si verifica quando l'angolo tra le due regioni di densità elettronica è
109.5°. Pertanto, possiamo prevedere che tutti gli angoli di legame H—C—H sono di
109.5° e la forma della molecola è tetraedrica, con ai vertici del tetraedro i 4 H.
2 ammoniaca La struttura di Lewis di NH3 mostra l'azoto circondato da quattro regioni di
densità elettronica. Tre regioni contengono coppie di elettroni singole che formano legami
covalenti con gli atomi di idrogeno. La quarta regione contiene una coppia di elettroni non
condivisa. La geometria di una molecola di ammoniaca è piramidale, cioè la molecola è a forma
di piramide a base triangolare con i tre atomi di idrogeno alla base e il doppietto di elettroni
dell'azoto, non condiviso, al vertice.
Nel modello VSEPR un doppio legame viene considerato come una singola regione di densità
elettronica. Nella formaldeide CH2O, vi sono tre regioni di densità elettronica che circondano
il carbonio. Due regioni contengono singole coppie di elettroni, ognuna delle quali forma un
legame singolo con un idrogeno; la terza regione contiene due coppie di elettroni, che formano
un doppio legame con l'ossigeno;
3 etilene Ogni atomo di carbonio è circondato da tre regioni di densità elettronica, due
contengono coppie di elettroni singole e la terza contiene due coppie di elettroni;
Tre regioni di densità elettronica di un atomo quando si trovano in un piano sono più lontane
tra di loro quando formano angoli di 120°. Pertanto, gli angoli di legame H—C—H e H—C—O
predetti per la formaldeide e gli angoli di legami H—C—H e H—C—C dell'etilene sono tutti di
120°. Inoltre, in ciascuna molecola, tutti gli atomi si trovano su di un piano, quindi, sia la
formaldeide che l'etilene sono molecole planari. La geometria di un atomo circondato da tre
regioni di densità elettronica, come nella formaldeide e nell'etilene, è definita trigonale planare.
Esistono molecole in grado di formare angoli di 180° come l'anidride carbonica o l'acetilene.

Gas, liquidi, solidi e forze intermolecolari


capitolo 5 e slide “stati di aggregazione”

Lo stato fisico della materia dipende dal bilancio tra l'energia cinetica delle particelle e le forze
di attrazione tra le stesse.
Ad alte temperature le molecole possiedono un'elevata energia cinetica e si muovono così
velocemente che le forze di attrazione risultano troppo deboli. Questa situazione è lo stato
gassoso.
A temperature più basse, le molecole si muovono più lentamente e le forae di attrazione tra
esse diventano importanti. A temperature sufficientemente basse un gas di condensa allo stato
liquido. Le molecole allo stato liquido si muovono ancora una rispetto all'altra, ma si spostano
molto più lentamente rispetto allo stato gassoso.
Allo stato solido, ogni molecola ha un certo numero di molecole vicine che resta costante.
Le forze di attrazione tra le molecole sono le stesse nei tre stadi, la differenza sta nel
cambiamento dell'energia cinetica legato alla temperatura.
Non tutte le sostanza possono esistere in tutti gli stati fisici.
Tra tutte le molecole il cui stato fisico non consente di ignorare le interazioni tra di esse, sia che
siano polari o non polari, esistono forze attrattive intermolecolari:
– le forze di dispersione di London che consistono in interazioni elettrostatiche tra dipoli
temporanei indotti; la loro energia varia da 0,001 a 2,0 Kcal/mol a seconda della
massa, della dimensione e della forma delle molecole che interagiscono;
– le interazioni dipolo-dipolo che consiste nell'attrazione tra l'estremità positiva di un
dipolo di una molecola polare e l'estremità negativa di un dipolo di una molecola
identica o differente; la forza di queste interazioni è maggiore rispetto alle precedenti.
– il legame idrogeno che si ha quando l'estremità positiva di un dipolo è un atomo di
idrogeno legato ad un F, O o N (atomi ad alta elettronegatività) e l'estremità negativa
dell'altro dipolo è un altro atomo tra F, O o N. Questa interazione tra dipoli è
particolarmente forte e la sua energia varia da 2 a 10 Kcal/mol.

Osservando il comportamente dei gas in diverse condizioni di temperatura e pressione gli


scienziati hanno stabilito un certo numero di relazioni.
La legge di Boyle afferma che per una certa massa di un gas ideale a temperatura costante, il
volume del gas è inversamente proporzionale alla pressione applicata:
pV = cost p1V1= p2V2
La legge di Charles asserisce che il volume di una quantità fissa di gas ideale, a pressione
costante, è direttamente proporzionale alla sua temperatura assoluta (misurata in gradi Kelvin):
V/T = cost V1/ T1= V2/ T2
La legge di Gay-Lussac afferma che per una quantità fissa di gas, a volume costante, la
pressione è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta:
p/T = cost p1/ T1= p2/ T2
Le tre leggi possono essere combinate ed espresse dalla legge combinata dei gas:
pV/T = cost p1V1/ T1 = p2V2/ T2
La relazione tra il comportamento macroscopico dei gas osservato sperimentalmente e il
comportamento delle singole molecole gassose è spiegato dalla teoria cinetica molecolare:
1 i gas consistono di particelle, atomi o molecole, in continuo movimento rettilineo e
casuale e con velocità diverse;
2 l'energia cinetica media delle particelle di gas è proporzionale alla temperatura; le molecole
collidono tra loro scambiandosi energia cinetica mentre l'energia cinetica totale del gas resta
costante;
3 la maggior parte del volume occupato da un gas è vuoto; non esistono forze attrattive tra le
particelle di un gas;
4 le molecole collidono sulle pareti del recipiente; maggiore è il numero di collisioni per unità
di tempo, maggiore è la pressione; maggiore è l'energia cinetica media delle molecole del gas,
maggiore è la pressione;
Queste sei assunzioni descrivono idealmente le molecole di un gas e le loro iterazioni. Tuttavia,
nei gas reali esistono forza di attrazione e le molecole occupano un certo volume. Il gas
descritto dalla teoria è definito gas perfetto.
La legge di Avogadro descrive la realzione tra la massa di un gas ed il suo volume: uguali volumi
di gas alla stessa temperatura e stessa pressione contengono lo stesso numero di molecole, una
mole qualsiasi gas a TPS occupa un volume di 22,4L.
La legge di Avogadro consente di scrivere una legge per i gas valida per qualsiasi valore di
temperatura, pressione, volume e per qualunque quantità di esso. La legge dei gas ideali:
pV = nRT R =0.082L atm/ mol K =8,31m^3Pa/ mol K costante dei gas ideali
La legge delle pressioni parziali di Dalton asserisce che la pressione totale Ptot di una miscela di
gas è pari alla somma delle pressioni parziali esercitate da ogni singolo gas se fosse presente da
solo nel recipiente:
ptot = p1+ p2+ p3…

I liquidi hanno proprietà di superficie, una delle quali è la tensione superficiale. Essa è collegata
alla forza di attrazione tra le molecole del liquido: l'acqua a causa dei forti legami ad idrogeno
può facilmente far galleggiare un ago d'acciaio sulla sua superficie.
La tensione di vapore ovvero la pressione parziale di un gas in equilibrio con il suo liquido in un
contenitore chiuso. La tensione di vapore dell'acqua nell'atmosfera è espressa come umidità
relativa: la percentuale del rapporto tra la tensione parziale del vapore acqueo nell'aria e la
pressione di vapore dell'acqua all'equilibrio ad una data temperatura.
Il punto di ebollizione è la temperatura alla quale la pressione di vapore di un liquido è uguale
alla pressione atmosferica. Il punto normale di ebollizione viene calcolato alla pressione
costante di 1atm. Il punto di ebollizione di un liquido è influenzato falle forze intermolecolari,
dall'area superficiale delle molecole e dalla forma molecolare di esse.

I solidi hanno una forma regolare che in acluni casi è macroscopicamente evidente.
Essi si dividono in solidi cristallini: in cui atomi o molecole presentano una disposizione
periodica a lungo raggio e possono essere molecolari, ionici, polimerici, a rete covalente
(diamante) e metalllici; e in solidi amorfi: in cui gli atomi non sono disposti con periodicità a
lungo raggio.
Alcuni elementi esistono in forme diverse nello stesso stato fisico. Queste forme presentano
proprietà chimiche e fisiche differenti e vengono dette forme allotropiche. L'esempio più noto
è l'elemento carbonio, che può esistere in più di 40 forme strutturali note, alcune delle quali
cristalline, mentre molte altre amorfe (diamante, grafite, fuliggine).

I cambiamenti di stato sono anche detti cambiamenti di fase.


Una fase è una qualsiasi parte di un sistema che risulti interamente uniforme a livello
macroscopico.
Da solido a liquido fusione, viceversa solidificazione.
Da liquido a gas vaporizzazione, viceversa liquefazione.
Da solido a gas sublimazione, viceversa brinamento.
La quantità di calore necessaria per fondere 1,0g si un solido è detto calore di fusione (cf
ghiaccio = 80cal/g).
La quantità di calore necessaria per vaporizzare 1,0g di un liquido al suo pinto normale di
ebollizione è detta calore di vaporizzazione (cv acqua = 540cal/g).
I dati relativi al riscaldamento di una sostanza vengono mostrati nel grafico che rappresenta la
curva di riscaldamento della sostanza.
È inoltre possibile mostrare tutti i cambiamenti di fase per ogni sostanza sul diagramma di fase:
nell'asse x è riportata la temperatura, la pressione sull'asse y.
Si individuano nel grafico tre aree contrassegnate da diversi colori corrispondenti agli stati
solido, liquido o gassoso. Le linee che separano gli stati contengono i valori di pressione e
temperatura di fusione, vaporizzazione e sublimazione. In un unico punto sul diagramma di
fase, denominato punto triplo, tutte e tre le fasi coesistono (punto triplo acqua T = 0.01°C e
p = 4,58mmHg).

Reazioni chimiche
capitolo 4, 7 e slide “cinetica chimica”, “equilibrio ed enzimi”

In una reazione chimica chiamata anche trasformazione, uno o più reagenti si trasformano in
uno o più prodotti. Le reazioni chimiche vengono scritte sotto forma di equazioni, dalla legge di
conservazione della massa sappiamo infatti che nelle reazioni gli atomi non vengono né
distrutti né creati, semplicemente si trasferiscono da una sostanza all'altra. Tali equazioni
devono essere bilanciate inserendo dei numeri definiti coefficienti stechiometrici davanti ad
ogni sostanza coinvolta nella reazione. Un'equazione bilanciata correttamente è quasi sempre
scritta con i coefficienti espressi dall'insieme più basso di numeri interi.
Il peso formula di un composto è la somma dei pesi atomici, in uma, di tutti gli atomi presenti
nel composto.
Il peso molecolare è il peso formula di un composto covalente.
Gli atomi e le molecole sono così minuscoli che i chimici sono raramente in grado di occuparsi
di essi uno alla volta. Per superare questo problema hanno ideato un'unità chiamata mole
(mol): la quantità di sostanza che contiene tanti atomi, molecole o ioni, quanti ne sono
contenuti in 12g di carbonio12. Il numero di unità di una mole viene chiamato Numero di
Avogadro (6,022 x 10^23) , in onore del fisico italiano Avogadro che per primo
propose il concetto di mole.
La massa molare di ogni sostanza è pari alla massa di una mole di tale sostanza espressa in
grammi, ovvero, il peso formula di un composto espresso in grammi.
Lo studio delle relazioni di massa in una reazione chimica è definita stechiometria.

I reagenti sono frequentemente mescolati in proporzioni molari che differiscono da quelle che
appaiono in un'equazione bilanciata. Spesso accade che mentre un reagente reagisce
completamente, uno o altri reagenti non reagiscano del tutto. Il reagente tra questi che si
consuma del tutto viene definito reagente limitante.

Quando ha luogo una reazione chimica, spesso di ottiene meno prodotto (resa reale) rispetto a
quanto ci si aspetta dai calcoli effettuati in base alla stechiometria di un equazione bilanciata
(resa teorica). La legge di conservazione della massa non viene violata, semplicemente parte
del reagente va incontro a reazioni collaterali non fornendo il prodotto principale. Può essere
calcolata la cosiddetta resa percentuale, rapporto tra la resa reale e quella teorica moltiplicato
per cento, per osservare in che percentuale i reagenti si trasformano in prodotti considerando
che se la resa reale fosse uguale a quella teorica la percentuale sarebbe sempre pari al
100%.
Nelle reazioni chimiche non solo i materiali iniziali si trasformano nei prodotti ma può essere nel
contempo liberato o assorbito calore. Il calore ceduto o acquistato in una reazione chimica è
definito calore di reazione. Una reazione in cui viene liberato calore è detta esotermica; una
reazione è endotermica quando il calore viene assorbito.
La quantità di calore ceduto o assorbito è proporzionale alla quantità del materiale che
reagisce.
Le variazioni di energia che si accompagnano ad una reazione non si limitano al calore. In
alcune reazioni come nelle celle voltaiche l'energia viene liberata sotto forma di elettricità, nella
fotosintesi invece l'energia viene assorbita sotto forma di luce.
Esempio di reazione esotermica: OSSIDAZIONE DEL CARBONIO
C (s) + O2 (g) → CO2 (g) + 94 kcal
Esempio di reazione endotermica: DECOMPOSIZIONE DELL'OSSIDO DI MERCURIO
2HgO (s) + 43 kcal → 2Hg (l) + O2 (g)
Il calore liberato in una reazione di combustione viene definito calore di combustione.
Molti composti ionici sono solubili in acqua ed una delle reazioni chimiche più comune a cui
vanno incontro è la dissociazione in soluzione acquosa. Quando mescoliamo due soluzioni
acquose di due differenti composti ionici può avvenire o meno una reazione tra di essi. Gli ioni
che non reagiscono, non partecipando alla reazione, vengono definiti ioni spettatori, omettendo
questi ultimi si ottiene la cosiddetta equazione ionica netta.
Esempio di reazione ionica:
soluzione 1cloruro di sodio NaCl (s) → Na+ (aq) + Cl- (aq)
soluzione 2 nitrato di argento AgNO3 (s) → Ag+ (aq) + NO3- (aq)
Ag+ (aq) + No3- (aq) + Na+ (aq) + Cl- (aq) → AgCl (s) + Na+ (aq) + NO3- (aq)
Ag+ (aq) + Cl- (aq) → AgCl (s)

Gli ioni reagiscono tra di loro solo quando ha luogo uno di questi eventi:
– i due ioni formano un solido insolubile in acqua
– formano un gas che fuoriesce dalla miscela di reazione sotto forma di bolle
– un acido neutralizza una base
– si ha un fenomeno di ossidoriduzione

L'ossidoriduzione è una delle più importanti e comuni classi di reazione chimiche. L'ossidazione
consiste nella perdita di elettroni mentre la riduzione in un guadagno di elettroni.
Il numero di ossidazione è definito come la carica che ogni atomo avrebbe se tutti gli elettroni
di legame fossero attribuiti
Una reazione di ossidoriduzione spesso chiamata redox è caratterizzata da un trasferimento di
elettroni da una specie chimica all'altra.
Nella combustione i composti o le miscele che bruciano sono ossidati dall'ossigeno:
2Ch4(g) + 3O2(g) → 2CO (g) + 4H2O (g)
Nella respirazione l'ossigeno che si respira ossida i composti carboniosi per produrre anidride
carbonica ed acqua.
Nell'arrugginimento un metallo viene ossidato all'aria:
4Fe (s) + 3O2(g) → 2Fe2O3(s)
Nella sbiancatura dei composti organici vengono trasformati mediante ossidazione in composti
incolori.
Nelle batterie le reazioni che avvengono sono generalmente delle redox.
Reazioni di sintesi:
Na + Cl → NaCl
Decomposizione:
2HgO →2Hg + O2
Spostamento:
Zn + 2HNO3 → H2+ Zn(NO3)2

Alcune reazioni chimiche avvengono lentamente, altre sono molto rapide.


Lo studio delle velocità di reazione si chiama cinetica chimica si occupa di definire quali fattori
la influenzano. La velocità di reazione è definita come la variazione della concentrazione di un
reagente, o di un prodotto, in un intervallo unitario di tempo. La velocità di reazione non è
costante lungo un periodo di tempo, in genere, la variazione di concentrazione inizialmente è
direttamente proporzionale al tempo, la velocità calcolata in questo intervallo è detta velocità
iniziale ed è costante. Successivamente con il consumarsi dei reagenti la velocità diminuisce.
A→B
v = -d[A]/dt = d[B]/dt = mol/(l x s)
La relazione tra concentrazione dei reagenti o prodotti e velocità di reazione si deduce
sperimentalmente attraverso le equazioni di velocità.
Dopo un intervallo di tempo t, la velocità v1 con cui A scompare deve tenere conto della
controreazione che da B porta ad A. Per tale ragione indicando con [A]t e [B]t le
concentrazioni al tempo t, la velocità di reazione al tempo t è:
v1= k1[A]t – k2[B]t
con il procedere della reazione, cioè con l'aumentare di t, il valore del termine k1[A] va
diminuendo perchè diminuisce [A], ed il valore k2[B] va aumentando perchè aumenta la
concentrazione di [B].
Dopo un certo tempo le due velocità si euguagliano:
v = -k[A] = k[B] k = costante di velocità specifica della reazione
Si definisce ordine della reazione rispetto ad un certo componente l'esponente con il quale la
concentrazione di quel componente figura dell'equazione di velocità, è un parametro che viene
definito sperimentalmente e non coincide necessariamente con il coefficiente stechiometrico
della reazione.
La molecolarità di una reazione è data dal numero di atomi, molecole o ioni che ne prendono
parte.
Affinché due molecole o ioni reagiscano tra loro, devono prima entrare in collisione. Quindi A e
B devono essere prima messi in contatto, una volta fatto le molecole che si trovano in costante
movimento collideranno tra loro. La maggior parte delle collisioni non produce una reazione e
solo occasionalmente le collisioni dei reagenti portano alla formazione dei prodotti, in questo
caso si parla di collisione efficace.
Nella maggior parte dei casi affinché una reazione tra i reagenti abbia luogo è necessario che
uno o più legami covalenti siano rotti e questo richiede energia. Questa energia può derivare
dalla collisione tra A e B. L'energia minima necessaria si chiama energia di attivazione.
L'energia di una collisione dipende dalle velocità relative, quindi dalle relative energie cinetiche,
delle molecole che si scontrano e dal relativo angolo d'urto, infatti, anche se le specie chimiche
dei reagenti collidono è possibile che esse non siano correttamente orientate e che la reazione
non avvenga.
La frequenza delle collisioni è un'altro importante fattore addizionale, se il numero delle
collisioni aumenta, aumenta anche la possibilità che un numero maggiore di molecole possieda
la sufficiente energia e la corretta angolazione durante lo scontro.
L'energia di attivazione è inversamente correlata alla velocità della reazione: minore è l'energia
di attivazione più veloce sarà la reazione. Ogni reazione ha un diagramma energetico il cui
culmine della barriera nel diagramma è il cosiddetto stato di transizione, quando i legami
preesistenti sono parzialmente rotti e uno o più nuovi legami sono in fase di formazione.
Anche le reazioni apparentemente più semplici possono avvenire in più stadi, la velocità
complessiva è controllata sempre dallo stadio più lento (che necessita di una maggiore energia
di attivazione).
I fattori che influenzano le energie di attivazione e le velocità di reazione sono:
1 La natura dei reagenti, le reazioni che hanno luogo in soluzioni acquose fra ioni sono
generalmente molto rapide, le reazioni fra molecole con legami covalenti sono più lente.
Quando uno dei reagenti è allo stato solido, la velocità è influenzata dall'area della superficie
del solido. Per le reazioni in fase gassosa un'aumento della pressione determina un'aumento
della velocità di reazione.
2 La concentrazione, esiste una relazione diretta tra concentrazione e velocità di reazione.
3 La temperatura, sia per le reazioni endotermiche che esotermiche determina se aumenta un
aumento della velocità di reazione, un aumento di circa 10°C comporta un raddoppiamento
della velocità di reazione. Tale aumento non è imputabile all'aumento di energia cinetica delle
molecole anche se esso è uno degli effetti l'energia cinetica considerando lo stesso aumento di
10°C provoca un aumento dell'energia cinetica del solo 2%. Piuttosto agisce sulla
distribuzione delle velocità aumentando la percentuale di collisioni efficaci.
V = A/e^(Ea/RT) A = fattore di frequenza di collisione
4 La presenza di un catalizzatore, un catalizzatore è un fattore che in piccole quantità
aumenta la velocità di reazione, quando viene aggiunto ai reagenti esso interagisce con essi
senza subire nessuna trasformazione netta e senza alterare i prodotti di reazione. Le reazioni
biochimiche sono accelerate dalla presenza di catalizzatori biologici: gli enzimi.

Gli equilibri chimici possono essere trattati con una semplice espressione matematica
aA + bB → cC + dD
raggiunto l'equilibrio, è valida la seguente equazione in cui K è la costante di equilibrio:
K = ([C]ˆc [D]^d)/ ([A]^a[B]^b)
il rapporto fra prodotto delle concentrazioni dei prodotti ed il prodotto delle reazioni dei
reagenti in cui ciascun termine è elevato al rispettivo coefficiente stechiometrico dell'equazione
bilanciata.
Nel 1888 Le Chatelier formulò il principio noto come principio di le Chatelier : se una
perturbazione è applicata ad un sistema all'equilibrio, il sistema reagisce in modo da
compensare tale perturbazione:

– Aggiunta o rimozione di un componente alla reazione induce uno spostamento


dell'equilibrio in direzione opposta.
– Variazione della temperatura sposta l'equilibrio di un reazione esotermica verso i
reagenti, di una reazione endotermica verso i prodotti.
– Variazione della pressione un aumento sposta l'equilibrio nella direzione in cui il numero
di moli della specie gassosa è minore, una diminuzione sposta l'equilibrio nella direzione
in cui il numero di moli della specie gassosa è maggiore.
– L'aggiunta di un catalizzatore non ha effetto sulla situazione di equilibrio.

La progressione di una reazione enzimatica viene seguita in base alla formazione del prodotto
della reazione, oppure in base alla scomparsa del suo substrato.
La velocità di reazione enzimatica decresce con il tempo. A tale diminuzione contribuiscono: la
diminuzione della concentrazione del substrato, l'accumulo di prodotto, la denaturazione o la
disattivazione dell'enzima che si accentua con il tempo (temperatura, pH).
Per una determinata concentrazione di substrato, la velocità iniziale di reazione è direttamente
proporzionale alla concentrazione dell'enzima. Ad una data concentrazione dell'enzima, la
variazione del substrato fa variare la velocità di reazione secondo andamento iperbolico (curva
di saturazione), raggiungendo asintoticamente la velocità massimale.
Il peculiare effetto della concentrazione del substrato trova il suo razionale nella teoria di
Michaelis-Menten:
L'enzima, a concentrazione costante, reagisce con il substrato per formare il complesso enzima-
substrato che va incontro ad una trasformazione molecolare che porta alla liberazione del
prodotto ed alla rigenerazione dell'enzima libero. La quantità di prodotto dipende direttamente
dalla concentrazione del complesso enzima-substrato e solo secondariamente dalla
concentrazione del substrato. Essendo l'enzima costante, un aumento del substrato crea un
aumento del complesso solo fino ad una certa concentrazione del substrato in quanto la
quantità dell'enzima è un fattore limitante alla formazione del complesso. A questo livello della
concentrazione del substrato lo stato della reazione viene definito stazionario. L'enzima è
completamente saturato raggiungendo la sua massima azione catalitica.

L'elaborazione matematica di questi concetti ha dato vita all'equazione di Michaelis-Menten:


v0= vmax [S]/(Km +[S])
Km = costante di Michaelis-Menten corrispondente alla quantità di substrato per cui la velocità
è semimassimale.
La costante esprime quantitativamente l'affinità dell'enzima per un dato substrato: minore è il
valore di Km, maggiore è l'affinità.

Equilibrio acido-base ed elettrochimica


capitolo 8, 9 e slide “elettrochimica”, “acido-base”

Nel 1884, il giovane chimico svedese Arrhenius, propose una prima definizione di acido e
base: acido è una sostanza che, in soluzione acquosa, produce ioni H3O+, base è una sostanza
che, in soluzione acquosa, produce ioni OH-.
Secondo tale teoria sono acidi HCl, HNO3, CH3COOH; E basi NaOH e KOH.
Una soluzione viene pertanto definita acida se contiene un eccesso di ioni idrogeno, basica se
contiene un eccesso di ioni idrossido.
Alla teoria di Arrhenius si possono muovere alcuni appunti, infatti, l'attribuzione di una sostanza
alla categoria degli acidi o delle basi è subordinata al fatto di usare come solvente l'acqua. Non
si può parlare di acido o base in un solvente diverso o in assenza di solvente, inoltre alcune
strutture chimiche non prevedono la presenza di ioni idrogeno o idrossido (NH3).

Nel 1923 Bronsted e Lowry, proposero indipendentemente le seguenti definizioni: un acido


è un donatore di protoni, una base un accettore di protoni e una reazione acido-base è una
reazione di trasferimento di protoni.
Secondo Bronsted e Lowry, l'acido può donare solo in presenza di una base che accetti.
Pertanto non esistono acidi e basi come tali, ma solamene coppie di sostanza che in una
reazione possono dare luogo ad una reazione acido-base.
Quando un acido trasferisce un protone ad una base l'acido si converte nella sua base
coniugata. Quando una base accetta un protone si converte nel suo acido coniugato.
Se si indica con :B una generica base e con HA un generico acido, l'equilibrio acido-base può
essere così schematizzato:
HA + :B ← → A- + HB+
dove HB+ è l'acido coniugato di :B e A- la base coniugata di HA.
La teoria di Lewis rappresenta una ulteriore estensione del concetto di acido-base di Bronsted
e Lowry. Egli definisce: acido qualsiasi sostanza in grado di accettare una coppia di elettroni,
base qualsiasi sostanza in grado di cedere una coppia di elettroni non condivisa.
B: + A → B:A
La reazione tra un acido ed una base di Lewis viene rappresentata con frecce curve che partono
dal doppietto elettronico della base e giungono all'orbitale vuoto dell'acido.
Nell'analizzare esempi di coppie acido-base si può affermare che:
– un acido può essere carico positivamente, neutro o negativamente
– una base può avere una carica neutra o negativa
– gli acidi sono classificati come mono, di o triprotici a seconda del numero di protoni che
ciascuno può rilasciare
– numerose molecole e ioni possono agire sia come acido sia come base, una sostanza con
tale caratteristica viene definita anfiprotica
– non tutti gli atomi di idrogeno possono essere scambiati (CH3COOH è un acido
monoprotico)
– esiste una relazione inversa tra la forza di un acido e la forza della sua base coniugata:
più forte è l'acido più debole è la sua base coniugata

Se si misura la conducibilità dell'acqua con stumenti sufficientemente sensibili, si osserva che


l'acqua conduce corrente elettrica. Questo significa che nell'acqua sono presenti degli ioni
anche se in minime quantità:
H2O + H2O → H3O+ + OH-
Si tratta di un normale equilibrio acido-base secondo cui ogni molecola d'acqua si comporta da
acido e un'altra da base.
Questa reazione viene detta di autoionizzazione o autoprotolisi.
La costante di equilibrio per tale reazione può essere espresso come:
Keq [H2O]^2= [H+][OH-] = 10^-14
essendo [H2O] un valore costante esso viene inglobato nella Keq e tale valore viene
denominato prodotto ionico dell'acqua Kw.
Possiamo ritenere la concentrazione degli ioni H+ e quella degli ioni OH- uguali, quindi in acqua
pura si avrà:
[H+] = [OH-] =10^-7
Questa relazione vale non soltanto per l'acqua pura ma per qualunque soluzione acquosa. Se in
acqua viene aggiunta una soluzione che fa aumentare la [H+] o diminuire la [OH-] allora tale
soluzione viene detta acida, viceversa la soluzione sarà basica.
Generalmente in soluzione le concentrazioni degli ioni sono espresse da valori molto piccoli, da
un punto di vista pratico è più conveninete utilizzare un operatore matematico che permette di
operare con numeri più semplici, il pH.
Il pH è il logaritmo decimale negativo della concentrazione di ioni idrogeno.
In modo analogo si può definire il pOH: logaritmo decimale negativo della concentrazione degli
ioni idrossido.
In base alle proprietà dei logaritmi per l'acqua pura è valido:
pOH + pH =14
La scala del pH è compresa tra 0 e 14 ed in base a tale valore una soluzione può essere
neutra se il pH è pari a 7, acida se il pH è minore, basica se il pH è maggiore.
Un acido o una base vengono definiti forti se si dissociano completamente in acqua (tutte le
molecole si sono trasformate in ioni), indipendentemente dalla loro concentrazione, e deboli se
la reazione di dissociazione è reversibile e raggiunge un equilibrio tra specie dissociata e non.
Fra i tanti acidi noti quelli che si comportano come acidi forti sono l'acido perclorico HClO4,
l'acido nitrico HNO3 e HCl, Hbr ed HI. Le basi forti sono tutti gli idrossidi del I e del II gruppo
della tavola periodica.

In una reazione acido-base, l'equilibrio favorisce sempre la reazione dell'acido più forte e della
base più forte per formare l'acido e la base più deboli.
Dal punto di vista quantitativo la forza degli acidi e delle basi è misurata dalla costante acida Ka
o basica Kb: più è elevato il suo valore, tanto è più forte l'acido o la base.
Un generico acido si dissocia con il seguente equilibrio:
HA + H2O → H3O+ + A-
Keq [H2O] = [H3O+][A-]/[HA] [H2O] =1000g/L o 55,49mol/L
Ka = [H3O+][A-]/[HA]
Per gli acidi poliprotici le costanti di dissociazione vengono definite di prima, seconda o terza
dissociazione e per ciascuna di esse la costante ha un valore diverso.
Gli acidi e le basi forti si dissociano completamente e hanno la stessa concentrazione degli ioni
[H+] o [OH-] in soluzione per cui si ha:
pH = -log Ca
pOH = -log Cb
Gli acidi e le basi deboli in soluzione si ionizzano solo parzialmente tendendo a rimanere in
buona parte indissociati.
Il calcolo del pH per un acido debole:
Ka = [H3O+][A-]/[HA]
[H3O+] = [A-] Ka = [H3O+]^2/[HA] [H3O+] = √(Ka Ca)
pH = -log√(Ka Ca)
Analogamente il calcolo del pOH per una base debole:
pOH = -log√(Ka Ca).

Una soluzione che resiste al cambiamento di pH quando piccole quantità di un acido o di una
base vengono aggiunte è detta soluzione tampone. Essa è costituita da una soluzione acquosa
contenente in concentrazioni circa uguali un acido debole e la sua base coniugata.
Ad esempio acido acetico CH3COOH ed acetato di sodio CH3COONa:
in acqua l'acido acetico, essendo debole, si dissocia solo parzialmente mentre il sale si dissocia
completamente. In questo modo la concentrazione di CH3COOH è molto vicina alla
concentrazione della sua base coniugata liberata in soluzione grazie alla dissociazione del sale.
Se si aggiunge un acido forte alla soluzione tampone aumenta la concentrazione degli H3O+,
tale aumento è tuttavia annullato dagli ioni CH3COO- che per ristabilire l'equilibrio diventano
CH3COOH.
CH3COO- + H3O+ → CH3COOH + H2O
Se si aggiunge una base forte alla soluzione, gli ioni OH- neutralizzano gli ioni H3O+ creati dal
tampone però altri se ne formano, per ristabilire l'equilibrio, dalla dissociazione dell'acido
debole della soluzione tampone.
CH3COOH + OH- → CH3COO- + H2O
Il pH di una soluzione tampone è uguale all'equazione di Henderson Hasselbalch:
pH = pKa + log[A-]/[HA]
Per il calcolo del pH valgono anche le seguenti formule:
pH = -log(Ka Ca)/Cs pOH = -log(Kb Cb)/Cs

Il valore medio del pH sanguigno umano è di 7,4. Qualsiasi variazione superiore a 0,10
unità di pH in entrambe le direzioni può causare gravi scompensi. Se il pH è minore di 6,8 o
maggiore di 7,8 potrebbe anche sopraggiungere la morte. Per mantenere il pH costante,
l'organismo utilizza tre sistemi tampone: bicarbonato, fosfato e proteine.
Il tampone carbonato è il più importante: l'anidride carbonica e lo ione bicarbonato
costituiscono una coppia acido-base di Bronsted e Lowry e essendo entrambe presenti nel
sangue in concentrazione significativa costituiscono un sistema tampone per il quale vale la
legge di Henderson Hasselbalch:
pH = pKa + log[HCO3-]/[CO2]
Il rapporto tra [HCO3-] e [CO2] deve essere di 10:1(più efficiente per gli acidi piuttosto
che per le basi perchè l'aggiunte di un'acido riduce il valore di tale rapporto)
Il principale tampone proteico del sangue è costituito dall'emoglobina, contenuta nei globuli
rossi e capace di combinarsi reversibilmente con l'ossigeno. Nell'intervallo fisiologico di pH del
sangue, l'emoglobina si comporta come un acido debole biprotico avente le pKa uguali tra loro
(essendo i gruppi ionizzabili presenti su subunità diverse della proteina che non si influenzano).
Il pKa dell'Hb dipende dal suo stato di ossigenazione:
(H+)2Hb → Hb + 2H+ pKa =7,8
(H+)2HbO2 → HbO2+ 2H+ pKa =7,0
Entrambi gli stadi sono efficienti per il mantenimento del pH sanguigno essendo la pKa
prossima al valore di 7,4.
L'emoglobina ossigenata è però un tampone migliore infatti:
nel sangue venoso, che è più acido, l'Hb è in parte deossigenata con pKa maggiore del pH del
sangue, in questa condizione Hb si combina con H+ opponendosi ad un ulteriore acidificazione
dettata dal rilascio di CO2 da parte dei tessuti;
nel sangue arterioso, che è più basico, l'Hb è completamente ossigenata ad HbO2 ed il suo
pKa è più basso del pH sanguigno, in questo caso il tampone emoglobinico si oppone ad un
ulteriore alcalinizzazione del sangue causata dall'eliminazione respiratoria di CO2.
Il tampone fosfato ha una bassa concentrazione nel sangue ed il suo effetto è pertanto meno
rilevante rispetto al tampone emoglobinico e carbonato. È costituito dallo ione idrogeno
fosfato HPO4 2- e dallo ione diidrogeno fosfato HPO4 – (pKa =7,1). In questo caso per
mantenere il pH il rapporto tra queste sostanze deve essere di 1,6:1.
La determinazione delle concentrazioni di un sostanza in soluzione può essere realizzata con
una tecnica analitica detta titolazione. In una titolazione, si fa reagire un volume noto di una
soluzione a concentrazione nota con un volume noto di una soluzione a concentrazione
incognita. La soluzione a concentrazione incognita può contenere un acido o una base, uno
ione o qualsiasi alra sostanza.
Se conosciamo i rapporti molari e i volumi con cui reagiscono i soluti si può calcolare la
concentrazione della seconda soluzione:
1 si deve conoscere la reazione per determinare il rapporto stechiometrico dei reagenti da
utilizzare nei calcoli;
2 la reazione deve essere rapida e completa;
3 quando i reagenti hanno reagito in modo completo e preciso ci deve essere un cambiamento
di qualche proprietò misurabile della miscela di reazione. Questo punto è il punto di
equivalenza della titolazione.
Per le titolazioni acido base si una il cambiamento improvviso del pH che si verifica e che può
essere enfatizzato dagli indicatori di pH.

L'elettrochimica è lo studio della relazione tra l'elettricità e le reazioni chimiche. Essa include lo
studio sia dei processi spontanei che di quelli non spontanei.
Le reazioni redox sono caratterizzate dal fatto che le specie coinvolte nel trasferimento di
elettroni cambiano stato di ossidazione.
La sostanza che ossida un'altra è detta agente ossidante, tale sostanza si riduce strappando
elettroni alla sostanza che viene ossidata. Un agente riducente cede elettroni ad una sostanza
facendo in modo che questa si riduca. L'agente riducente di conseguenza si ossida.
Per calcolare il numero di ossidazione degli elementi di un composto è bene osservare che:
– gli elementi allo stato neutro, sia monoatomici che poliatomici, hanno n.o.0;
– gli ioni liberi hanno n.o. corrispondente alla loro carica;
– in un composto, l'atomo di H ha sempre n.o. +1, eccetto negli idruri in cui il n.o. è -1;
– in un composto, l'atomo di O ha sempre n.o. -2, eccetto nell'acqua ossigenata, dove è
-1;
– agli altri atomi presenti nel composto di assegna il numero di ossidazione necessario a
bilanciare la carica totale.
Per poter bilanciare un'equazione di ossidoriduzione dobbiamo rispettare la legge di
conservazione della massa ma c'è un nuovo aspetto da considerare: bisogna bilanciare
l'acquisto e la perdita di elettroni.
1Bilanciamento di equazioni con il metodo delle semireazioni (ambiente acido o basico)
2Bilanciamento di equazioni con il metodo degli elettroni
L'energia rilasciata in una reazione redox spontanea può essere utilizzata per ottenere lavoro
elettrico. Una pila è un dispositivo che converte energia chimica in energia elettrica. È utilizzata
tipicamente come generatore di corrente o generatore di tensione per l’alimentazione di circuiti
e dispositivi elettrici. Spesso viene utilizzato il termine batteria o cella galvanica come sinonimo
di “pila”. La pila propriamente detta non è ricaricabile e viene anche detta batteria primaria, per
distinguerla dalla batteria ricaricabile che viene detta batteria secondaria o accumulatore di
carica elettrica. Un insieme di più batterie disposte in serie si definisce pacco batteria.
La pila consente di intercettare e sfruttare il flusso di elettroni tra le due sostanze: questo
flusso genera corrente elettrica continua, il cui potenziale elettrico è funzione delle reazioni
redox che avvengono.
Una pila si scarica quando queste reazioni chimiche raggiungono lo stato di equilibrio.
Nel 1799 Volta riuscì a realizzare la prima pila (oggi detta voltaica) con un supporto in
legno, dischetti di rame e zinco, panno imbevuto di una soluzione acquosa di acido solforico e
due fili di rame.
Lo Zn cede due elettroni e passa da Zn metallico a Zn2+: questi elettroni non passano al Cu,
che serve esclusivamente per creare la differenza di potenziale, ma passano allo ione ossonio
H3O+ . La differenza di potenziale che si misura ai due capi di uno strato Cu-panno-Zn è di
circa 0,7V questo valore equivale, infatti, alla semicoppia Zn/Zn2+ usando come altra
semicoppia H2/H3O+.
Daniell nel 1836 elaborò un dispositivo simile costituito:
L'anodo da una barretta di Zn immersa in una soluzione di ZnSO41M
e il catodo da una barretta di Cu immersa in una soluzione di CuSO41M
I due compartimenti sono collegate da un ponte salino, ovvero un tubo riempito di una
soluzione satura di KNO3.
Alla chiusura del circuito esterno, al catodo avviene la semireazione di riduzione:
Cu2+(aq) + 2 e − → Cu(s) (E° = + 0,34 V)
Ioni Cu2+ scompaiono dalla soluzione e si depositano come metallo sulla lamina
All’anodo avviene la semireazione di ossidazione:
Zn(s) → Zn2+(aq) + 2 e − (E° = − 0,76 V)
Zn metallico si stacca dalla lamina raggiungendo la soluzione come ioni Zn2+
La reazione complessiva è:
Zn(s) + Cu2+(aq) → Zn2+(aq) + Cu(s)
con potenziale teorico ∆E° = E°(Cu2+/Cu)−E°(Zn2+/Zn)=1,10V
Nel comparto catodico mancherebbero cariche positive e nel comparto anodico si avrebbe un
eccesso di cariche positive... Tutto viene compensato dal ponte salino: gli ioni potassio (K+) e
nitrato (NO−3) si spostano raggiungendo rispettivamente il compartimento catodico ed
anodico ristabilendo l’elettroneutralità della soluzione: legge di Kirchoff.

Tra le pile moderne è bene citare:


1Pila di Leclanchè detta pila zinco carbone costituita all'anodo da Zn metallico nella base
inferiore e sulla superficie del cilindro al catodo da una barretta di grafite, immersa nella pasta
con sommità che sporge dalla base superiore del cilindro e internamente pasta gelatinosa di
MnO2 e NH4Cl mista a polvere di carbone.
Zn2+ + 4NH4+ + 4OH− → [Zn(NH3)4]2+ + 4H2O
2La pila alcalina al catodo da MnO2 in polvere a contatto con il contenitore esterno metallico
e inerte, all'anodo Zn polvere attorno ad una barra metallica inerte. Le due polveri sono
immerse in una pasta gelatinosa alcalina di KOH
Zn + MnO2 + H2O → ZnO + Mn(OH)2
3Batteria ad argento in cui l'anodo base superiore è una lastra metallica inerte e la base
inferiore, il catodo, e parete laterale sempre una lastra metallica inerte. All'interno due paste
gelatinose alcaline a base di KOH e contenenti una polvere di Zn e una polvere di Ag2O. Le
due paste sono separate da un separatore permeabile agli ioni.
Zn + Ag2O → ZnO + 2Ag
4Batteria al Litio l'anodo nella base superiore è costituito da una lastra metallica inerte, il
catodo,base inferiore, da un'altra lastra metallica inerte e l'interno più strati di Li immersi in un
solvente organico aprotico che non rilascia H+.
MnO2 + Li → LiMnO2

È possibile costruire una pila utilizzando la stessa specie chimica sia al catodo che all'anodo,
purché sia diversa la loro concentrazione. Una cella basata su questo principio viene definita
pila a concentrazione.

Per spostare elettroni in un conduttore o ioni attraverso una soluzione occorre compiere un
lavoro.
Le cariche elettriche si spostano da un punto a potenziale elettrico più alto ad un punto a
potenziale elettrico più basso. La differenza di potenziale tra due punti o pressione elettrica si
misura in Volt, che nel SI rappresenta l’unità della differenza di potenziale.
Il lavoro necessario per spostare una carica elettrica attraverso un conduttore dipende dalla
quantità di carica spostata e dalla differenza di potenziale elettrico:
L = q ΔV Joule (J)
La costante di Faraday (F) è la quantità di carica portata da una mole di elettroni
Equivale a 9,65 x 104 C (96500 Coulomb)
Il lavoro compiuto da una cella elettroforetica è uguale alla quantità di carica (ovvero alla
costante di Faraday) per la differenza di potenziale (volt)
W = -F ΔV
La cella voltaica perde energia nel compiere questo lavoro, quindi la differenza di potenziale è
negativa perché si spostano dal potenziale più alto a quello più basso:
potenziale finale - potenziale iniziale <0
La massima ΔV tra due elettrodi di una cella voltaica è definita forza elettromotrice (fem) e si
indica con E cella. È possibile scrivere una relazione che definisca il lavoro massimo che una
cella può fornire:
W max = -n F E cella n = numero di elettroni trasferiti
La fem della cella è uguale alla differenza dei potenziali di riduzione dei due elettrodi, ovvero la
differenza tra il potenziale di riduzione del catodo e il potenziale di riduzione dell’anodo:
E cella = E catodo – E anodo
fem standard (E° cella) è la fem di una cella che opera nelle condizioni dello stato standard
prescelto con:
concentrazione dei soluti1M
pressione di ciascun gas1atm
temperatura25°C
Potenziale standard di un elettrodo (E°) è il potenziale di quell’elettrodo nelle
condizioni standard:
concentrazione dei soluti 1M
pressione di ciascun gas 1 atm
temperatura 25°C
Uno dei maggiori risultati dell’elettrochimica è la relazione tra la fem di una cella, la variazione
di energia libera (il lavoro utile massimo che quella reazione può produrre → ΔG = Wmax) e la
costante di equilibrio della reazione di cella.
In una cella voltaica il lavoro è quello elettrico per cui, quando reagenti e prodotti sono nelle
condizioni standard si ha:
ΔG° = -nFE°cella
Le misure della fem di una cella forniscono anche una via per calcolare la costante di equilibrio
della reazione di cella Combinando la relazione con l’equazione ΔG° = - RT lnKeq
e sostituendo i valori delle costanti R e T a 25°C si ottiene:
E°cella = - (RT/nF) lnKeq = -(0.0592/n) logKeq
La dipendenza della fem dalla concentrazione può essere ottenuta dall’equazione che collega la
variazione di energia libera alla concentrazione
La variazione di energia libera ΔG, è legata alla variazione di energia libera standard ΔG°
ΔG = ΔG° + RT ln Q Q = quoziente di reazione, ovvero simile all’espressione della costante di
equilibrio Keq ma in questo caso, le concentrazioni sono quelle presenti nella miscela di
reazione in un dato momento.
Sostituendo ΔG = -nFE nell’equazione ΔG = ΔG° + RT ln Q si ha: risolvendo l’equazione si
ottiene l’Equazione di Nernst.
L’equazione viene di solito rappresentata usando il logaritmo in base 10 a T = 298 K:
Questa equazione semplificata permette di trovare la fem prodotta da una cella in condizioni
non standard o per determinare la concentrazione di un reagente o un prodotto misurando la
fem della cella.
In generale, se le concentrazioni dei reagenti aumentano rispetto a quelle dei prodotti la fem
aumenta, mentre al contrario diminuisce.
Via via che la cella si scarica e i reagenti sono trasformati in prodotti il valore di Q aumenta e il
valore di E diminuisce fino a E = 0.Poiché ΔG = -nFE anche ΔG = 0 quando E = 0, ciò
significa che il sistema è in equilibrio: la reazione della cella è in equilibrio e non avviene più
alcuna reazione, la pila è scarica.

Generalmente si pensa che il cuore sia una pompa meccanica, cioè un muscolo che fa circolare
sangue attraverso una regolare contrazione
Galvani e Volta scoprirono che le contrazioni cardiache sono controllate da fenomeni elettrici.
I segnali elettrici che causano il battito cardiaco sono una combinazione di elettrochimica e
proprietà delle membrane semipermiabili.
Le membrane cellulari hanno permeabilità variabile rispetto a importanti ioni fisiologici (Na+, K+
e Ca2+). Le concentrazioni di questi ioni sono diverse nei fluidi intracellulari (ICF) e nei fluidi
extracellulari (ECF).
Nel muscolo cardiaco le concentrazioni di K+ nell’ICF e nell’ECF di solito sono
rispettivamente:135 mM e 4 mM. Tale differenza di concentrazione genera una cella a
concentrazione. I cambiamenti nelle concentrazioni relative degli ioni nell’ECF e nell’ICF
portano a cambiamenti nella fem della cella voltaica. Le cellule del cuore che governano la
velocità della contrazione cardiaca sono chiamate cellule pacemaker, delle vere e proprie celle
voltaiche.
È possibile usare l'energia elettrica per far avvenire reazioni redox non spontanee.
Un simile processo è chiamato reazione di elettrolisi e ha luogo in una cella elettrolitica. Essa è
composta da due elettrodi immersi in una soluzione o in un sale fuso mentre una batteria o una
sorgente diretta di energia elettrica funge da pompa di elettroni estraendoli da un'elettrodo e
spingendoli verso l'altro.
In una cella galvanica gli elettroni provengono dal polo negativo, quindi, il catodo (dove deve
avvenire la riduzione) è connesso con il polo negativo della batteria. Gli elettroni viaggiano
lungo la cella, arrivano all'anodo, avviene l'ossidazione ed il circuito è completo.

Chimica organica
capitolo 11,12,13,14 e slide “chimica organica”

La chimica organica è la chimica dei composti del carbonio.


I carbonati, il biossido di carbonio e i cianuri metallici sono un'eccezione in quanto vengono
classificati come composti inorganici. Una definizione più corretta sarebbe: la chimica dei
composti contenenti legami carbonio-carbonio.
Il carbonio è l'unico elemento capace di legarsi fortemente con se stesso e formare lunghe
catene e allo stesso tempo capace di legarsi fortemente con elementi non metallici come
idrogeno, ossigeno, azoto e con gli alogeni.
Il termine chimica organica deriva dal fatto che una volta con questo termine venivano definiti
tutti i composti che venivano sintetizzati dagli organismi viventi.
Questa teoria fu abbandonata nel 1828 quando Wholer riuscì ad ottenere l'urea (composto
organico) riscaldando il cianato di ammonio (sale inorganico).
Visto l'elevatissimo numero di composti organici, la chimica organica riveste un ruolo
fondamentale in innumerevoli campi: studio dei viventi, dei processi biologici, sintesi di farmaci,
sintesi dei polimeri.
In passato si assegnavano i nomi alle molecole organiche in base alla loro origine o in base a
certe proprieta. Visto però l'enorme numero di composti organici che sono stati scoperti
successivamente, è stato necessario creare una nomenclatura sistemica che potesse
permettere una facile ed univoca identificazione di ogni molecola organica, la IUPAC definì le
regole generali per la nomenclatura.

Gli idrocarburi sono i composti organici binari, costituiti solo da C e H.


Si suddividono in alifatici: a loro volta saturi (alcani) e insaturi (alcheni ed alchini); ed aromatici.

Negli alcani ogni atomo di carbonio ha ibridazione sp3 ed è legato a 4 atomi di idrogeno
mediante legami di tipo sigma (singoli). La famiglia degli alcani costituisce una serie omologa di
composti in cui ogni membro differisce dal successivo per un numero costante di gruppi CH2
metilene.
Per la nomenclatura IUPAC gli alcani hanno desinenza fissa -ano.
C n H(2n+2) con n ≥1
metano, etano, propano e butano sono i nomi dei primi 4 alcani, dal quinto in poi la radice è il
numero greco di n (pentano, esano, eptano, ottano…).
Quando gli alcani fungono da sostituenti essi vengono nominati sostituendo il suffisso -ano con
il suffisso -il e sono chiamati gruppi alchilici.
La classificazione degli idrogeni di un alcano si basa sul tipo di atomo di carbonio a cui sono
legati. Gli idrogeni legati ad un carbonio primario sono detti primari e così via.
Oltre a formare catene gli atomi di carbonio possono formare degli anelli: i cicloalcani sono
anelli formati da gruppi CH2. La nomenclatura segue le stesse regole adottate per gli alcani ma
si premette il prefisso ciclo- al nome dell'alcano cominciando a numerare dal carbonio sostituito
con la catena più lunga.
1 Gli alcani e i cicloalcani possono essere ossidati, bruciando in presenza di un eccesso di
ossigeno molecolare.
In questa reazione, detta combustione, i composti producono anidride carbonica, acqua ed
energia sotto forma di calore.
2 Possono anche reagire con un alogeno in una reazione, detta di alogenazione, che ha come
risultato lo spostamento di un gruppo sostituente con un alogeno e come ulteriore prodotto di
reazione il corrispondente acido alogenidrico. Per avere luogo le reazioni di alogenazione
necessitano di una fonte di luce o di calore.

Gli alcheni sono idrocarburi alifatici insaturi che presentano uno o più legami doppi tra gli atomi
di carbonio ibridati sp2 presenti nella catena o nell'anello, in questo caso si parla ci
cicloalcheni.
I carboni dei doppi legami hanno il legame sigma carbonio-carbonio, il secondo legame pigreco
invece avviene per accoppiamento di elettroni p. I due orbitali p pertanto devono allinearsi ed il
legame impedisce la rotazione dei due gruppi CH2 che invece potevano ruotare liberamente
negli alcani.
La nomenclatura si definisce similmente a quella degli alcani, in questo caso la desinenza è -ene
e la numerazione della catena viene fatta in modo da indicare l'atomo di carbonio sp2 con il
numero minore.
C n H2n con n ≥ 2
Per i cicloalcheni sostituiti gli atomi di carbonio sp2 dell'anello vengono sempre numerati per
primi in senso orario o antiorario a seconda della posizione dei sostituenti più pesanti.
I gruppi vinilico e allilico (derivati dall'etene e dal propene) sono due sostituenti o gruppi
alchenilici che possono determinare il nome di alcuni composti come il cloruro di vinile o di
allile.
La geometria del doppio legame è indicata con i prefissi cis- e trans-: se due gruppi uguali si
trovano dalla stessa parte dispetto al doppio legame la configurazione è cis-, se si trovano in
parti opposte è trans-.
Gli alchini sono idrocarburi con un legame triplo carbonio-carbonio ed ibridazione sp.
C n H (2n -2) con n ≥ 2
La nomenclatura fa uso del suffisso -ino.
Possono esistere in forme cicliche dette cicloalchini.
Negli alchini i carboni coinvolti nel triplo legame si accoppiano con un legame sigma dell'orbitale
s e due legami pigreco degli orbitali p. La rotazione intorno all'asse carbonio-carbonio è
impedita a temperatura ordinaria dalla presenza di questi legami.
1 Le reazioni tipiche degli alcheni e degli alchini sono le reazioni di addizione elettrofila che
interessano il doppio o il triplo legame. Questo tipo di reazione implica la rottura di un legame
π, generalmente ad opera di un reattivo elettrofilo (ad esempio H+; ioni metallici: Ag+, Hg++,
Pt++; acidi di Lewis: BF3, AlCl3), seguito dall'addizione di un secondo gruppo carico
negativamente. Il legame che si spezza viene rimpiazzato da nuovi legami sigma tra il carbonio
ed il sostituente. Questa reazione avviene in due stadi: il primo in cui l'elettrofilo attacca il
doppio legame, lo spezza, si lega ad uno dei due carboni mentre l'altro diventa un carbocatione
(questo stadio è endotermico ed ha un'elevata energia di attivazione); il secondo stadio in cui il
carbocatione attrae il nucleofilo per formare il legame (stadio più veloce).
La regola di Markovnikov è utile per prevedere il reale prodotto che si ottiene a seguito di una
reazione di addizione elettrofila tra atomi di carbonio di ordini diversi (alcheni asimmetrici): il
gruppo o l'atomo ddi addiziona al carbonio del doppio legame che lega il maggior numero di
atomi di idrogeno così facendo il prodotto è più stabile.
2 L'idrogenazione è la reazione di addizione di una molecola di H2 ad un doppio legame
carbonio-carbonio portando alla formazione di un alcano. Per aumentare la velocità di reazione
si utilizzano catalizzatori come il platino, il palladio, il nichel o si opera ad elevate temperature e
pressioni.
3 L'alogenazione avviene facilmente a temperatura ambiente e non necessita di catalizzatori.
Anche gli alchini possono reagire con gli alogeni a seguito dell'addizione di due molecole di
alogeno ottenendo un tetraloalcano.
4 Idratazione in cui una molecola di acqua si addizione ad un'alchene. Questa reazione richiede
la presenza di H+ o di un acido forte come catalizzatore, il prodotto di reazione è un alcol.

Nella prima parte del diciannovesimo secolo, i chimici cominciarono ad imbattersi in sostanza
organiche dotate di proprietà chimiche del tutto peculiari. Essi chiamarono questi composti
aromatici perchè i primi esempi furono isolati dalle resine odorose di alberi tropicali.
I più comuni composti aromatici sono basati sull'anello esatomico aromatico del benzene.
La prima struttura per il benzene venne proposta da Kekulé nel 1872. Egli ipotizzò che la
struttura fosse costituita dai sei atomi di carbonio posti ai vertici di un esagono laterale e i
doppi legami alternati. Inoltre, nella sua ipotesi i tre doppi legami si sarebbero scambiati
continuamente posizione da creare due strutture limite che non possono essere separate. Da
sola, questa teoria, non era però in grado di spiegare la particolare stabilità dell'anello
aromatico e si vide che anche gli elettroni presenti negli orbitali p giocavano un ruoso
fondamentale.
Affinché un composto organico presenti il carattere aromatico devono essere verificate tre
condizioni:
– il composto deve essere ciclico o formato dall'unione di due o più anelli;
– tutti gli atomi costituenti l'anello o gli anelli devono essere ibridi di tipo sp2;
– il numero di elettroni p deve soddisfare la regola di Huckel: p = 4n + 2 dove n è un
numero intero.

La maggior parte dei composti aromatici più semplici sono considerati anche dal punto di vista
della nomenclatura come derivati dal benzene apponendo al termine -benzene o inserendo
come prefisso del nome del composto benz-.
Per alcuni composti aromatici viene usata invece una nomenclatura tradizionale: toluene,
fenolo, anilina, anisolo.
Quando sull'anello sono presenti due sostituenti in base alla loro relativa posizione si
definiscono 3 forme isomeriche differenti dette orto posizioni1,2, meta1,3 e para1,4.
Se i sostituenti sono tre o più i nomi sono preceduti dal numero dell'atomo di carbonio a cui
sono legati.
Nella nomenclatura IUPAC quando il benzene ha eliminato un idrogeno dal suo anello
sostituendolo con qualunque altro composto alifatico viene definito fenile, fenil-sostituito.
Gli idrocarburi policiclici aromatici derivano dall'unione di due o più anelli aromatici e ne
conservano le stesse caratteristiche distintive. Naftalene, antracene, fenantrene e benzopirene
rispettivamente costituiti da 2,3,4,5anelli di benzene.
1 La reazione tipica dei composti aromatici è quella di sostituzione elettrofila: un atomo di H
viene sostituito da un altro atomo o gruppo di atomi ( Cl2, Br2). Diversamente dalla reazione
degli alcheni, che interessa la rottura del legame carbonio-carbonio, la sostituzione elettrofila
interessa il legame carbonio-idrogeno.
Questa reazione necessita si un catalizzatore come FeCl3 o FeBr3.
2 Nitrazione in cui reagisce con acido nitrico HNO3 per dare nitrobenzene.
3 Solfonazione in cui il benzene reagisce con triossido di zolfo SO3 per fare acido
benzensolfonico.
4 Alchilazione e acilazione.
Un gruppo presente su un anello aromatico esercita un importante effetto su un'ulteriore
reazione di sostituzione:
– se vi è una coppia di elettroni di non legame sull'atomo legato all'anello, il gruppo è
orto-para orientante;
– se vi è una carica positiva intera o parziale sull'atomo legato all'anello, il gruppo è meta
orientante;
– i gruppi alchilici sono orto-para orientanti.
Inoltre un gruppo può attivare o disattivare l'anello favorendo o impedendo un'ulteriore
sostituzione.
Gruppi attivanti: -NH2, -OH, -OR
Gruppi disattivanti: -NO2, -C=O, -SO3H, -NR3+, CCl3, CF3

I composti eterociclici aromatici sono dei composti aromatici in cui uno o più atomi di carbonio
sono stati sostituiti da atomi diversi (eteroatomi).
La piridina, pirimidina, purina, pirrolo, furano sono alcuni esempi.

Gruppi funzionali
capitolo 11,17,19 e slide “aldeidi e chetoni”

Un gruppo funzionale rappresenta un sito di reattività chimica. In qualsiasi composto di trovi,


un gruppo funzionale è coinvolto sempre nelle stesse reazioni chimiche.
Sono, inoltre, le caratteristiche unità funzionali che permettono una classificazione migliore dei
composti organici.
Il gruppo ossidrilico -OH è caratteristico degli alcoli primari, secondari e terziari.
Il gruppo amminico -NH2, caratteristico delle ammine primarie, secondarie e terziarie.
Il gruppo carbonilico -C=O delle aldeidi e dei chetoni.
Il gruppo carbossilico -C=OOH degli acidi carbossilici.
Il gruppo estereo -C=OOR degli esteri.

Un alcol è un composto organico contenente il gruppo ossidrile legato ad un atomo di carbonio


tedraedrico.
Il nome IUPAC di un alcol si ottiene cambiando la desinenza -o dell'alcano corrispondente con
la desinenza -olo. La catena idrocarburica di riferimento viene numerata in modo da assegnare
al carbonio che porta legato l'-OH il numero minore.
Il nome comune si ottiene indicando il gruppo alchilico legato all'-OH preceduto dalla parola
alcol.
Gli alcoli vengono classificati in primari, secondari e terziari a seconda nel numero di gruppi
alchilici legati al carbonio che porta il gruppo -OH.
Se contengono due gruppi ossidrili sono detti dioli, quelli che ne contengono tre trioli.
Composti che contengono gruppi ossidrilici su carboni adiacenti vengono chiamati glicoli.
Gli alcoli sono composti polari in cui l'ossigeno porta una parziale carica negativa mentre il
carbonio e l'idrogeno ad esso legati portano una parziale carica positiva.
Gli alcoli allo stato liquido tendono a legarsi tra loro mediante legami idrogeno. Come
conseguenza di ciò, i loro punti di ebollizione sono maggiori di quelli degli idrocarburi di peso
molecolare simile. Risultano anche più solubili in acqua degli idrocarburi di peso molecolare
simile.
1 La reazione di disidratazione è una comune reazione che avviene quando gli alcoli vengono
riscaldati in presenza di acido solforico o fosforico. I gruppi -OH e -H vengono eliminati da
atomi di carbonio adiacenti in un alcol formando l'alchene corrispondente ed una molecola di
H2O.
2 Ossidazione di un alcol primario porta alla formazione di un'aldeide o di un acido carbossilico
a seconda delle condizioni sperimentali usate (in presenza di acido solforico H2SO4 e
bicromato di potassio K2Cr2O7).
3 Ossidazione di un'alcol secondario porta alla formazione di un chetone.

I fenoli sono composti caratterizzati dal gruppo funzionale ossidrilico legato ad un anello
aromatico.
Il fenolo è un solido a basso punto di fusione poco solubile in acqua.
Gli eteri sono dei composti contenenti un atomo di ossigeno legato a due atomi di carbonio.
La nomenclatura tradizionale si ottiene citando i gruppi legati all'atomo di ossigeno seguiti dalla
parola etere.
Sono composti debolmente polari e la loro temperatura di ebollizione è simile a quella degli
idrocarburi di peso molecolare simile.
Dal momento che, come gli alcoli, formano legami idrogeno con l'acqua sono più solubili degli
idrocarburi corrispondenti.
I tioli sono dei composti organici contenenti il gruppo sulfidrico -SH.
La nomenclatura IUPAC è simile a quella degli alcoli: si aggiunge la desinenza -tiolo al nome
dell'alcano corrispondente. Il legame S-H non è polare quindi le proprietà fisiche dei tioli sono
simili a quelle degli idrocarburi corrispondenti.

Aldeidi e chetoni sono composti che presentano come caratteristica fondamentale la presenza
di un gruppo carbonilico -C=O. I chetoni presentano come sostituenti del carbonio sempre
delle catene R aciliche mentre nelle aldeidi almeno un sostituente deve essere rappresentato da
un idrogeno.
Le aldeidi si trovano pertanto in posizione terminale nella catena mentre i chetoni avranno una
posizione interna o centrale nella catena.
Secondo la nomenclatura IUPAC per ricavare la nomenclatura di aldeidi e chetoni bisogna
apporre come prefisso il numero di atomi di carbonio nella catena, e suffisso -anale per le
aldeidi e -anone per i chetoni.
1 Addizione nucleofila che coinvolge il carbonile che rappresenta l'elettrofilo mascherato e
reagirà con il nucleofilo. In una prima fase il nucleofilo si lega al carbonio del carbonile
rompendo il doppio legame. In una seconda fasa l'ossigeno carico negativamente si comporterà
come una base strappando un protone H+ ad una specie acida HA.
I nucleofili in grado di reagire con il gruppo carbonilico si distinguono in quattro gruppi:
Idrogeno: H-,LiAlH4, NaBH4
Carbonio: ione cianuro, acetiluro, R-Mg-X, enolato CH2- -CH=O
Ossigeno: H-O-H, R-O-H
Azoto: NH3, R-NH2, R-NH-R
Questo tipo di reazione può avvenire in ambiente acido o in presenza di alcol in eccesso per
formare emiacetali e acetali per i composti aldeidici e di emichetali e chetali per i composti
chetonici.
2 Tautomeria cheto-enolica permette la formazione di un chetone partendo da un enolo.
3 Condensazione aldolica e chetolica che consiste nella reazione di due carbonili in presenza di
un catalizzatore basico con formazione di un anione enolato e, a seguito di addizione nucleofila,
di un aldolo (beta-idrossi-aldeide) o di un chetolo (beta-idrossi-chetone).
Queste reazioni si suddividono in:
pure quando due aldeidi o due chetoni uguali reagiscono con una massima resa di un unico
prodotto;
incrociata quando due aldeidi o due chetoni diversi o un aldeide insieme ad un chetone
reagiscono dando origine sia al chetolo che all'aldolo;
orientata quando un aldeide ed un chetone reagiscono ma si blocca il duplice comportamento
del composto, usando un'aldeide che non presenti H in posizione alpha ed un chetone
simmetrico o che presenti un solo H in posizione alpha, in modo tale da limitare la reazione in
una zona specifica del composto;
intramolecolare quando i reagenti sono dei composti dicarbonilici in cui i due C=O sono separati
da una catena lunga abbastanza da permettere una ciclizzazione stabile.
4 Reazione di ossidazione dell'aldeide ad acido carbossilico (usando come agenti ossidanti
K2Cr2O7 o il reattivo di Tollens Ag(NH3)+2).
5.Reazioni di riduzione dell'aldeide ad alcol primario e del chetone al alcol secondario (in
presenza di un catalizzatore metallico).
Accenni di biochimica
capitolo 22,23,24 e slide “metabolismo dei glucidi”

I carboidrati sono i composti chimici più abbondanti nel mondo vegetale. Funzionano da
deposito di energia chimica, come costituenti delle strutture di sostegno di piante o animali a
guscio e sono i componenti essenziali degli acidi nucleici.
Il termine carboidrato significa “idrato del carbonio” e deriva dalla formula Cn (H2O)m.
A livello molecolare, la gran parte dei carboidrati derivano da poliidrossialdeidi o
poliidrossichetoni. I membri più semplici appartenenti alla famiglia dei carboidrati sono i
saccaridi così detti a causa del loro sapore dolce.
Si distinguono in mono, oligo o polisaccaridi a seconda del numero di zuccheri semplici che
contengono.
I monosaccaridi hanno formula generale Cn H(2n) On presentando uno degli atomi di carbonio
combinato ad essere il gruppo carbonilico di un'aldeide o di un chetone.
Nella nomenclatura: il suffisso -oso o -osio indica che la molecola considerata è un carboidrato,
i prefissi tri-, tetr-, pent-, e così via, indicano il numero di atomi di carbonio presenti nella
catena e un ulteriore prefisso (aldo- o cheto-) indica se il saccaride è aldoso o chetoso.
Tra i glucidi più semplici vi sono: il D-glucosio, il D-galattosio ed il D-fruttosio.

Fisher negli ultimi anni dell'800 fece diverse scoperte fondamentali nella chimica dei
carboidrati in particolare per quanto concerne la loro rappresentazione.
Le proiezioni di Fisher sono delle rappresentazioni bidimensionali che mostrano la
configurazione di uno stereocentro (atomo di carbonio legato a quattro molecole differenti)
collegato tramite linee orizzontali a composti che si proiettano in avanti rispetto allo
stereocentro e tramite linee verticali i legami dello stereocentro con le molecole che si
proiettano all'indietro.
Un monosaccaride che ha il penultimo atomo di carbonio con la stessa configurazione della
D-gliceraldeide (il gruppo -OH legato al penultimo atomo di carbonio sulla destra) viene detto
D-monosaccaride; con la stessa configurazione della L-gliceraldeide (con il gruppo -OH legato
al penultimo atomo di carbonio sulla sinistra), L-monosaccaride.
I monosaccaridi possono essere presenti sotto forma ciclica. Questi possono essere
rappresentati attraverso la proiezione di Haworth: l'anello viene rappresentato sul piano e visto
dal bordo, con l'atomo di carbonio anomerico (dello stereocentro) sulla destra e l'atomo di
ossigeno che fa parte dell'anello dietro l'atomo di carbonio anomerico.

L'insieme di un numero ristretto di più monosaccaridi prende il nome di oligosaccaride tra


questi vi sono:
il maltosio costituito da due molecole di glucosio legate mediante legame 1,4 glicosidico,
il saccarosio costituito da glucosio e fruttosio legati mediante legame 1,2 glicosidico, ed il
lattosio costituito da glucosio e galattosio legati mediante legame 1,4glicosidico.
I polisaccaridi sono formati da un insieme di unità saccaridiche.
Quelli di maggiore interesse biochimico sono tre omopolimeri del glucosio.
L'amido è la forma di riserve glucidica vegetale ed una fonte alimentare per l'uomo, è un
polimero formato da molecole di D-glucosio legate. È composto da due polimeri: amilosio ed
amilopectina, il primo composto da catene unite da legami alpha1,4 glicosidici, il secondo
molto ramificato grazie a legami alpha1,6 glicosidici.
Il glicogeno è il polisaccaride di riserva delle cellule animali ed è simile all'amido. La principale
differenza sta nella presenza di una quantità di ramificazioni nettamente maggiore.
La cellulosa è presente nella parete delle cellule vegetali. Essa è un polimero di glucosio in cui i
legami tra i singoli monomeri sono di tipo beta1,4 glicosidici.

Le cellule intestinali sono capaci di assorbire solo i monosaccaridi e i glucidi della dieta devono
essere pertanto completamente demoliti nei loro rispettivi monomeri. La demolizione dei vari
glucidi avviene ad opera di enzimi idrolitici, le glicosidasi, presenti nell'apparato digerente.
Esse più comuni che agiscono sull'amido e sul glicogeno sono le amilasi alpha presenti nella
saliva e nel succo pancreatico. Gli oligosaccaridi prodotti nel lume intestinale vengono
successivamente idrolizzate da disaccaridasi ed oligosaccaridasi intestinali (saccarasi, lattasi e
maltasi).
L'assorbimento dei monosaccaridi avviene attraverso i capillari dei villi della mucosa intestinale
mediante differenti meccanismi:
– assorbimento per diffusione dipendente dai gradienti di concentrazione del glucide tre
lume intestinale, cellule della mucosa e plasma sanguigno;
– trasporto attivo tramite proteine carrier specifiche che non dipende dai gradienti e si
realizza con spesa energetica di ATP.
I monosaccaridi assorbiti attraverso la mucosa giungono per via ematica al fegato dove sono
convertiti ad opera di specifiche isomerasi in glucosio che può essere utilizzato dall'organismo.
Il glucosio a questo punto può viaggiare ancora nel circolo ematico verso cellule e tessuti in un
processo di diffusione facilitata da particolari carrier.
Nel fegato, cervello e negli eritrociti il trasporto del glucosio avviene indipendentemente
dall'insulina mentre nel muscolo e nel tessuto adiposo il trasporto del glucosio è insulino
dipendente.
Quando una molecola di glucosio entra nell'organismo, diverse vie metaboliche possono essere
percorse. In ogni caso il glucosio deve essere prima convertito il glucosio-6-fosfato. Questa
reazione è catalizzata dalla esochinasi e dalla glucochinasi.
La glucochinasi ha un alta Km (costante di Michaelis-Menten) e quindi una bassa affinità per il
glucosio infatti questo enzima è localizzato nel fegato che non necessita di mobilitare molto
glucosio-6-fosfato.
L'esochinasi si trova a livello del cervello e dei muscoli e presenta una bassa Km con relativa alta
affinità per il glucosio: numeroso glucosio viene trasformato in glucosio-6-fosfato per
ricavarne energia.

Le proteine sono macromolecole costituite da amminoacidi legati tra loro da legami peptidici.
Hanno molteplice funzione: strutturare, enzimatica, di trasporto, di protezione ed ormonale.
Gli amminoacidi sono dei composti organici contenenti un gruppo amminico ed un gruppo
carbossilico. Differiscono per la catena laterale che dona all'amminoacido le sue peculiarità.
I 20 amminoacidi comuni presenti nelle proteine sono classificati in base alle catene laterali:
non polari, polari ma neutri, acidi e basici.
Tutti gli amminoacidi biologicamente attivi e che sono presenti nelle proteine e nei tessuti
umani sono L-amminoacidi.
Gli amminoacidi allo stato solido portano sia una carica positiva che una negativa all'interno
della molecola quindi sono degli zwitterioni.
In soluzione acquosa la loro carica varia al variare del pH. Il valore del pH per cui la carica
positiva equipara la carica negativa è detto punto isoelettrico di una proteina o amminoacido.

Gli amminoacidi per condensazione si legano tra loro per formare catene polipeptidiche alla
base delle caratteristiche delle intere proteine. La sequenza di amminoacidi legati forma la
struttura primaria di una proteina.
Le conformazioni ad alpha-elica, beta-foglietto ripiegato o random coil sono le principali
strutture secondarie delle proteine.
La struttura terziaria è data dalla conformazione tridimensionale della molecola proteica
mantenuta da legami intramolecolari come ponti di solfuro o forze intermolecolari.
L'organizzazione delle varie subunità polipeptidiche formanti una proteina aggregate
funzionalmente definiscono in ultimo la sua struttura quaternaria.
Agenti fisici e chimici, come il calore o l'urea possono denaturare le proteine. Alcune
denaturazioni sono reversibili; le proteine chaperon possono invertire la denaturazione.

I lipidi sono sostanza insolubili in acqua.


Vengono classificati in quattro gruppi.
– Grassi: sono formati da acidi grassi e glicerolo. Negli acidi grassi saturi la catena presenta
solo legami singoli e sono normalmente solidi. Quelli instaturi presentano anche doppi
legami carbonio-carbonio nella conformazione -cis e generalmente sono oli.
I sali alcalini degli acidi grassi sono chiamati saponi.
– Lipidi complessi: tra di essi troviamo i fosfolipidi che sono costituiti da un alcol centrale
come il glicerolo o la sfingosina, acidi grassi e un estere fosfato ed i glicolipidi che
contengono nella molecola sfingosina e un acido grasso.
Entrambi sono importanti costituenti delle membrane cellulari.
– Steroidi: il più comune è il colesterolo che rappresenta il composto di partenza per la
sintesi di altri steroidi. Questa molecola è trasportata nel plasma sanguigno da
lipoproteine ad alta densità HDL e a bassa densità LDL verso il fegato dove vengono
utilizzati per sintetizzare sali biliari e ormoni steroidei (testosterone, estradiolo…).
Alti livelli di LDL associati a bassi livelli di HDL sono indice di un trasporto alterato ed un
alto rischio di aterosclerosi.
– Prostaglandine, trombossani e leucotrieni: derivanti dall'acido arachidonico, hanno
l'effetto biologico di far abbassare o alzare la pressione sanguigna, causare infiammazioni
e coagulazione del sangue o ad esempio di indurre il parto. In genere mediano l'azione
ormonale.

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