Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Invece Sebastiano Arturo Luciani [S. A. Luciani, Verso una nuova arte. Il
cinematografo, Roma 1920], non badando evidentemente alla discutibile realtà delle sale
cinematografiche ma considerando la pratica compilativa in sé, si rivela molto più
possibilista sulle potenzialità artistiche di tale tipo di accompagnamento. Il potere
evocativo di un brano conosciuto può essere un valido mezzo per accrescere il valore lirico
di determinate scene:
"In tal caso le musiche sono scelte in modo da rendere, col ricordo delle
parole e delle situazioni per cui sono state originariamente composte, più
evidente il significato di una scena commentatata. Così per una scena
passionale un duo d'amore, per una scena di morte il preludio del 3° atto
della Traviata o il finale della Bohème e così via. Il procedimento sembra poco
artistico, e un musicista che si rispetta non si degnerebbe di fare questo che i
francesi chiamano "pastiche". [...]"
Le implicazioni della pratica compilativa non rivestono solo un interesse storico, in
quanto esistono almeno due aspetti di essa dotati di attualità. Da un lato l'uso di brani di
repertorio è vivo tutt'ora nella produzione cinematografica e televisiva più dozzinale, che
utilizzando una gamma ristretta di situazioni ricorrenti si può servire di un bagaglio limitato
di "musiche d'atmosfera" facilmente inseribili nel film e reperibili in commercio. Dall'altro
l'uso di brani preesistenti, con il potenziale evocativo di cui parla Luciani, si ritrova nelle
colonne sonore volute da registi quali Luchino Visconti (Senso, 1953; Morte a Venezia,
1971), Stanley Kubrick (2001 Odissea nello spazio, 1968; Barry Lindon, 1975), Pier Paolo
Pasolini (Accattone, 1961) ed altri, che se ne sono serviti proprio per innescare meccanismi
di associazioni ed opposizioni in grado di arricchire il senso della pellicola. [...]
La consapevolezza che la realtà musicale abituale del cinema nei primi tre decenni
del secolo era legata ad una prassi inevitabilmente precaria dal punto di vista estetico,
induce a qualche riflessione. Il fervore con cui da alcuni anni si è riscoperta la presenza
della musica nel cinema muto ha avuto come oggetto di attenzione prevalentemente il
contributo al cinema di grandi compositori, già presenti nella Storia della musica, che in
virtù della loro statura artistica già assodata garantivano un oggetto di studio degno di un
approccio di carattere storico-musicologico. Ciò è comprensibile, specialmente in una
tradizione storiografica come quella italiana che tende a privilegiare il "grande evento" e la
"grande personalità" come oggetti principali di interesse. Tali contributi, quelli dei grandi
compositori come Pietro Mascagni, Ilbedrando Pizzetti, Camille Saint-Saëns ecc., erano gli
unici citati in parte anche prima della recente renaissance [...]. La ricerca, la riproposta e lo
studio dei lavori di altri compositori più umili e modesti che hanno scritto partiture
originali per il cinema muto rende però coscienti della scissione esistente fra valore
musicale in sé e congenialità cinematografica di una partitura. Per la nascita di un
linguaggio cinematografico-musicale specifico l'operato di tali musicisti minori non è
dunque meno importante di quello dei grandi. Che il lavoro fosse spesso una
contaminazione di pratiche musicali "dotte" e "volgari", spazianti dalla canzonetta,
all'opera di stampo italiano, al wagnerismo più diluito, non deve togliere nulla all'originalità
dell'operazione, consistente nell'elaborare un linguaggio nuovo anche se costituito su
svariati elementi precedenti. Si può dunque distinguere da un lato l'avvicinamento
saltuario al cinema muto di alcuni compositori attivi e significativi di per sé, e dall'altro il
lavoro di una serie di compositori prettamente cinematografici, spesso dalla personalità
meno marcata. Vi è poi, non ultimo per importanza, l'aspetto della realtà effettiva di gran
parte delle sale di proiezione ordinarie, esclusi i grandi teatri (dove, in occasione delle
prime organizzate con gran pompa, alla musica veniva data un'importanza particolare). In
un cinema normale, non necessariamente di provincia o di infima qualità,
l'accompagnamento sfuggiva di norma a qualsiasi categorizzazione, basato com'era sulla
casualità e la povertà tecnica e stilistica delle esecuzioni. Tuttavia anche lo studio di questo
repertorio si presta ad osservazioni non gratuite sullo studio di quello che prima abbiamo
chiamato "linguaggio cinematografico-musicale specifico". Alcune righe dello scritto di
Ernst Bloch [E. Bloch, Über die Melodie im Kino, in "Die Argonauten" 1913] aiutano a
cogliere bene il problema:
"Si sa che bisogna suonare l'armonium in tremolo quando il figlio di casa si è
suicidato o quando Messina sprofonda nel terremoto. Si è imparato anche a
distinguere tra veloce e lento, tra chiaro e scuro, ma la cosa essenziale è che
la maniera con cui i bravi maestri di paese, dopo le fatiche giornaliere,
possono fantasticare sul loro pianoforte, è stata nel cinema legittimata a
forma d'arte."
Si potrebbe forse vedere dell'ironia in quell'"elevare a forma d'arte" lo
strimpellamento del musicista di sala, ma, fosse anche stata questa l'intenzione di Bloch,
l'espressione assume per noi tutt'altro significato, alla luce dello sviluppo successivo della
musica per film. È infatti interessante vedere come il filosofo recepisca già la nascita di una
serie di "situazioni" cinematografiche musicali che stavano diventando normative nel
codice di accompagnamento internazionale.
Si può dunque ragionevolmente affermare che non solo i contributi dei grandi
musicisti, e non solo quelli dei musicisti minori che hanno scritto partiture originali o
musiche di repertorio, ma anche i contributi della massa quasi anonima di musicanti
cinematografici magari dalla dubbia competenza tecnica appartengono ad una storia della
musica per film. Parimenti, va rilevato che livelli diversi di musica sono convissuti e
convivono nel cinema, importanti rispettivamente per il valore artistico in sé (beninteso,
sempre in riferimento all'unione con le immagini), o per il contributo all'elaborazione di un
idioma cinematografico-musicale specifico, o infine per il semplice costume
cinemtografico-musicale e la ricezione media di questa nuova forma di spettacolo.
La convivenza tra espressioni musicali così diverse rispecchia il destino della stessa
musica novecentesca. La nascita o meglio l'acutizzarsi dello iato fra espressioni musicali
"colte" ed espressioni musicali "volgari", nonché la creazione di generi intermedi e di forme
di interpretazione tra generi musicali diversi, è un fenomeno progressivo del secolo scorso
[XIX secolo], che giunge al suo apice proprio nel periodo della nascita e dello sviluppo del
cinema muto, nei primi anni '20. A partire poi dal 1924 circa, cioè in piena affermazione del
maturo linguaggio cinematografico in alcuni paesi, la diffusione della radio, del disco e
successivamente del cinema sonoro cambiano ulteriormente lo status dell'intero
patrimonio musicale, soggetto da allora alla riproducibilità tecnica che porta qualsiasi
genere, indipendentemente da epoca, stile, "facilità" di fruizione ecc., ad una condizione
"altra" da quella per cui era nato, spesso stravolgendone le caratteristiche. [...]
Le avanguardie del primo dopoguerra hanno contribuito d'altronde con il loro
elitarismo a mantenere in vita la dicotomia tra colto e popolare, esasperando i due termini
tanto da far rientrare nella seconda categoria, per assurdo, anche tutta la musica "colta"
antecedente. Tentativi di coniugare dotto e volgare, come quello del francese "Gruppo dei
Sei" (Georges Auric, Louis Durey, Arthur Honneger, Darius Milhaud, Francis Poulenc,
Germaine Tailleferre) rimangono esperienze circoscritte, poco gravide di conseguenze reali
sul corso della musica successiva. La conseguenza di queste riflessioni deve essere la
consapevolezza che la musica "media" per il cinema è il risultato di una compenetrazione di
operazioni diverse, di stili diversi, di livelli di musica diversi; ferma restando quindi
l'importanza ed il valore estetico dei grandi compositori non va dimenticato che la linea
maestra della musica cinematografica è passata fin dall'inizio per strade più modeste ma
più importanti alla luce degli sviluppi successivi e del cinema inteso come grande industria
dello spettacolo. [...]