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LA FOTOGRAFIA

L'invenzione della fotografia si ha verso la fine del XVIII secolo.


La parola fotografia significa letteralmente "scrittura della luce" (grafia+photo).

Iniziano ad essere messi appunto le prime camere ottiche; create dall'insieme di un


sistema di lenti e specchi, permettevano di ricalcare l'immagine prospettica del soggetto
prescelto, ricavandone una rappresentazione.
Il principale limite era che necessitava dell'intervento manuale.

Abbiamo anche progressi per quanto riguarda le scoperte chimiche.


Si scopre che le immagini si possono imprimere su una superficie e questo porta allo
sviluppo di nuovi studi sulla sensibilità alla luce di determinati materiali che, se esposti e
trattati, si dimostravano in grado di registrare qualsiasi variazione di luminosità.
Quindi sostituendo il vetro una lastra spalmata di qualche sostanza chimica sensibile alla
luce, si poteva far si i che la luce stessa si imprime sula lastra sensibile lasciando
permanentemente l'impronta dell'immagine proiettata dall'obiettivo.

Foro Stenopeico
L'antenato della macchina fotografica era il foro
stenopeico, ovvero un buco su una parete (di solito di
diametro variabile da 1 a 4 cm); attraverso questo foro
la luce poteva entrare nella camera e così facendo essa
proiettava gli oggetti, gli sfondi e in generale proiettava
lo sfondo esterno sulla parete opposta al foro (il
risultato era una proiezione della realtà però
capovolta).

Per verificare la corretta messa a fuoco dell'immagine che viene proiettata bisognava
mettere in rapporto il raggio del foro e la distanza di esso dalla parete opposta.
Questo principio, oltre ad essere l'equivalente dell'obiettivo della macchina fotografica, è lo
stesso meccanismo che avviene nell'occhio umano.

Niépce
Niépce cominciò a studiare i composti fotosensibili e sperimentò una tecnica per
imprimere le immagini su una tavola.

Fu il primo a realizzare una fotografia e mise a punto un


apparecchio che gli permise di realizzarla: il titolo di questa
immagine è "Vista dalla finestra a Le Gras" e per
realizzarla sono state impiegate ben 8 ore.
La realizzazione di questa immagine ha impiegato l'utilizzo
di 2 materiali fondamentali, uno utilizzato per la piastra e il
secondo utilizzato per rendere quest'ultima fotosensibile.

utilizzato per la piastra


Questi materiali sono rispettivamente il peltro (un metallo economico simile all'argento)
e il bitume di giudea (materiale fotosensibile, esso si annerisce una volta che viene
colpito dalla luce).
La qualità dell'immagine è molto bassa, così come la messa fuoco e la nitidezza dei
contorni, in quanto il bitume, se esposto alla luce indurisce e si sbianca.

Daguerre
Niépce ha reso possibile la realizzazione della prima fotografia, ma ha dei difetti.
Uno dei quali era la difficoltà di realizzazione, e non solo per la questione dei materiali, ma
anche del tempo di scatto; i soggetti non sarebbero dovuti muovere per 8 ore.
La persona che sviluppò il primo procedimento fotografico fu Louis Daguerre.

Con il suo Dagherrotipo 1838, riuscì a fare una foto in un tempo che andava
dai 5 ai 10 minuti. Le prime persone vennero immortalate in foto, ma questo
avvenimento fu casuale, infatti durante lo scatto (che immortalava una strada di
Parigi), 2 persone rimasero ferme per tutta la durata dello scatto, erano un
lustratore di scarpe e un suo cliente.

La dagherrotipia
A Daguerre si deve il brevetto di quella rappresentazione fotografica che consisteva nel
impressionare con la luce, di una camera ottica, una lastra di rame argentata (prima
trattata con dei vapori di iodio).

L'argento tendeva così a ossidarsi, quindi diventare più scuro, in presenza della luce; sulla
lastra rimaneva impressa la scena ripresa al negativo, cioè con le zone di luce annerite e le
zone in ombra che rimanevano chiare.
L'impiego di speciali sali di mercurio serviva a invertire l'immagine, cioè riconvertendo gli
scuri in chiari e viceversa e a fissarla, cioè a stabilizzare in modo definitivo i livelli di luce e
di annerimento.

Il limite dell'invenzione è che ogni fotografia una volta invertita e fissata costituiva un vero
e proprio originale e non era più possibile realizzarne delle copie, poiché il negativo
impressionato dalla luce veniva distrutto dai sali di mercurio.

Materiali del Dagherrotipo


I materiali impiegati erano 3, uno per la lastra, uno per renderla fotosensibile e uno per
fissare l'immagine.
Per la lastra veniva utilizzato il rame argentato (non fu impiegato l'argento per motivi di
costi), la lastra veniva trattata con i vapori di iodio per farla diventare fotosensibile, e per
finire, attraverso i sali di mercurio l'immagine veniva fissata sulla lastra (Daguerre scoprì
per puro caso questa proprietà dei sali di mercurio).

Pro e Contro del Dagherrotipo


Il dagherrotipo presentava un bel vantaggio, ovvero che la foto poteva essere eseguita in un
breve periodo di tempo, ma anche un grave problema, ovvero che poteva essere eseguita
una solo foto; quindi risultava monouso.
Giroux
Il cognato di Daguerre costruì e mise in commercio, con enorme successo, un apparecchio
per dagherrotipia che misurava 30x3750 cm, corredato di alcune lastre sensibili e dei
prodotti necessari per la stampa.
Il dagherrotipo permette quindi di uscire dallo studio fotografico e di documentare il
mondo.
Successivamente la fotografia verrà anche utilizzata a scopo scientifico.

Talbot
Talbot mette a punto un negativo realizzato in carta, resa sensibile e traslucida grazie ai
trattamenti chimici e stampabile più di una volta.
Inventa la calotipìa, ovvero una tecnica grazie alle quali si potevano sviluppare le foto in
negativo e questo voleva dire che si sarebbe potuta avere la replica illimitata delle
immagini; per fare questo bastava fotografare nuovamente il negativo per invertire
l'immagine, traducendola così in positivo.
Usa come negativo la lastra stessa, quindi del vetro reso sensibile alla luce dopo essere
stato spalmato con composti chimici a base di albumina.
La luce proveniente dall'obiettivo colpisce lo strato impressionandolo in base all'intensità
luminosa.
Lo sviluppo successivo serve a rendere visibili in negativo le immagini riprese, nelle quali
le ombre appaiono chiare, le luci scure e i toni intermedi in tutta la gamma del chiaroscuro.
Dai negativi si possono poi ricavare diverse stampe su carta chimica preparata, nelle quali
luci e ombre tornano invertirsi.
Per sviluppare una fotografia in negativo si utilizzava una carta ai sali di argento.

Herschel e Muybridge
Nonostante tutte queste migliorie rimasero 2 problemi:
• rendere durature le immagini catturate, che tendevano col nuovo procedimento
rapidamente a sbiadire.
• ridurre i tempi di posa, ancora troppo lunghi per poter utilizzare in maniera pratica la
nuova tecnica.

Il primo problema lo risolse Herschel attraverso l'utilizzo del tisolfato di sodio;


mentre il secondo problema lo risolse Muybridge attraverso l'invenzione
dell'otturatore, che permette di attaccare le immagini anche in centesimi di secondo.

Cavallo al galoppo-Muybridge
Muybridge esegue le prime fotografie di soggetti animali in
movimento, riuscendo a bloccarne e analizzarne le varie fasi.
Per la serie cavallo al galoppo utilizza una batteria di 24
apparecchi fotografici uguali ed equidistanti, montati alla
stessa altezza su treppiedi disposti parallelamente alla pista
che il cavallo avrebbe percorso.
Gli otturatori venivano fatti scattare in sequenza tramite dei
fili strappati dagli zoccoli del cavallo stesso; per poter usare
tempi di esposizione veloci erano impiegate delle nuove
lastre fotografiche nelle quali era stato messo del bromuro
d'argento.
Marey e il fucile fotografico

La fotografia venne utilizzata anche a scopo scientifico,


ricordiamo lo studio sulla corsa dei
cavalli o sul volo degli uccelli.
Al centro degli studi di Marey c'è ancora il movimento,
registrato attraverso quella che sarà nota come crono
fotografia, ossia la fotografia a fotogrammi.
Sottopone un'unica lastra a esposizioni multiple e il risultato
è un'immagine in cui sono riportati in successione é diversi
passaggi che scandiscono il movimento analizzato.

Marey è il creatore del fucile fotografico, che proprio grazie a quest'ultimo fu una
persona di fondamentale importanza per lo sviluppo della progettazione aeronautica
(Marey si basò sul moto di diversi animali, come per esempio il volo degli uccelli).

Fotografia e Pittura
La macchina fotografica svolge il ruolo della pittura (la rappresentazione della realtà) in
maniera più fedele e rapida; al tempo stesso la fotografia non viene considerata un'arte.

Alla fine però entrambe si ritagliano i propri spazi.


- La pittura, non ha più l'obbligo di riprodurre la realtà, poteva partire da dove la
fotografia si fermava, testimoniando impressioni e stati d'animo che il più perfetto
obiettivo di una fotocamera non avrei mai passato a percepire senza l'intuizione
dell'artista.
I pittori a lavoro iniziano a utilizzare la fotografia per le opere; infatti per i pittori utilizzare
la macchina fotografica equivaleva a non dover più pagare i modelli delle loro opere.
- La fotografia deriva dalla pittura molte delle principali regole di composizione di
inquadratura, ponendo attenzione allo studio e al bilanciamento delle luci e delle ombre.

Le prime persone che fecero delle foto a scopo artistico furono Paul Tol Strand e Garry
Winogrand;

Per le riprese in esterni vengono via via sperimentati dei modelli portatili più piccoli e
maneggevoli.

L'IMPRESSIONISMO
Parigi consolida il proprio aspetto borghese e festoso; questo sarà il periodo chiamato Belle
Epoque.
La notte viene rischiarata da un impianto di lampioni a gas tecnologicamente
all'avanguardia che hanno contribuito a consolidare la fama di Parigi come Ville lumière.
È in questa grande città che maturano i presupposti per la più grande novità artistica del
secolo.
Nonostante sia verso il progresso tecnico scientifico e di cultura modesta e conservatrice,
la classe borghese era ancora legata alla produzione artistica di tipo accademico (basata
quindi sul seguire le regole, la bellezza estetica, per niente reale, ma piacevole); gli
impressionisti si scaglieranno contro questo tipo di produzione artistica con
convinzione.
Infatti prediligono produzioni che abbiano un'attinenza sul mondo reale, come un vagone
di terza classe o degli spaccapietre.

Gli impressionisti si concentrano sulla realizzazione di opere dove si vede la vita mondana
e il paesaggio.

Il movimento
L'impressionismo è privo di una base culturale omogenea, in quanto i vari membri
avevano formazione culturale, esperienze artistiche e realtà sociali, abbastanza differenti.
Il movimento non è organizzato, ma si costituisce per aggregazione spontanea, senza
manifesti o teorie che ne spieghino le tematiche o ne indichino le finalità.
I personaggi al suo interno, avevano in comune la voglia di fare e una forte
insofferenza per la pittura ufficiale del tempo.
Iniziarono a riunirsi in un locale parigino: il Cafè Guerbois; il caffè diventa quindi il luogo
di incontro e di confronto.

Le varie abolizioni
L'impressionisti aboliscono quasi totalmente la prospettiva geometrica; non è più
ammesso imprigionare gli spazi della rappresentazione pittorica.
Ciò che più conta è l'impressione che uno stimolo esterno suscita nell'artista, che partendo
dalle proprie sensazioni, opera per arrivare a cogliere la sostanza delle cose e delle
situazioni, nel tentativo di trovare l'impressione pura.

Si ha l'abolizione anche del disegno e delle linee che contornano gli oggetti definendo le
forme volumi.
Per il colore, gli impressionisti tendono ad abolire i forti contrasti chiaroscurali e a
rendere il colore locale, cioè quello proprio dei singoli oggetti, mediante accostamenti di
colori puri.
Nessun colore esiste di per sé ma solo in rapporto agli altri colori che avvicino e intorno,
per cui la definizione del colore locale non può che scaturire dall'interazione di tutti questi
fattori.

La luce
È la luce che determina la percezione dei vari colori, e ogni colore appare più o meno
scuro in relazione alla quantità di luce che lo colpisce e alla presenza o meno di altri
colori che ne esaltino one smorzino la vivacità.

La pittura vuole dare conto di questa variabilità dei colori con immediatezza, cercando di
cogliere un attimo fuggente, ossia le sensazioni di un istante con la precisa consapevolezza
che l'istante successivo potrà generare sensazioni del tutto diverse.
Egli deve essere il più rapido possibile nell'esecuzione del dipinto, così da evitare
che le condizioni che determinano in lui tali impressioni vengano meno.
Le pennellate non sono fluide e lungamente studiate, piuttosto sono pennellate veloci,
tocchi, trattini e picchiettature.

Si usano pochi colori puri e si ha praticamente l'esclusione del nero, non tanto del bianco.

Nel momento in cui l'artista dipinge è interessato alle sensazioni che essa gli
suscita.
Molti pittori impressionisti prediligono dipingere all'aria aperta: affinché i colori possono
rivelare tutte le loro potenzialità occorre che essi siano illuminati dalla luce del giorno, in
quanto è l'unica che può restituire loro quel senso di verità e di brillantezza che solo la
natura possiede.
La realtà è soggetta a un'evoluzione continua e non costituisce uno stato definitivo e
acquisito ma un incessante divenire.

Ciò avviene con la giustapposizione di colori puri che si fondono nella retina dell'occhio
consentendo al cervello di percepirli come colori omogenei di intensità e brillantezza
enormemente superiori a quelle che avrebbero i corrispondenti colori già premiscelati sulla
tavolozza.

Nuove possibilità
I progressi della chimica industriale avevano reso possibile i primi colori a olio in tubetto
metallico, facili da trasportare e immediati da usare sulla tavolozza senza di essi la pittura
alla riaperta non sarebbe stata neanche possibile.
A John Rand, nel 1841, venne l'idea dei tubetti di metallo morbido (gli stessi che
conosciamo).
Fece questo cosi per sostituire certi pacchetti dove venivano fino ad allora
conservati i colori a olio. Una confezione che non riusciva a evitare che seccassero in fretta.
conservanti: acido citrico e aceto; grazie a questa invenzione è ora possibile dipingere
all'aria aperta.
Nascono anche le prime fotografie erotiche.

La prima mostra 1874- 1886


A Parigi vi erano le vostre ufficiali che ospitavano pittura come la pittura accademica e
venivano allestite nei Salon; mentre poi esisteva anche il Salon dei rifiutati, che erano le
mostre dove venivano esposte le opere che non erano accettate nei Salon ufficiali perché
non accademiche.

Consideriamo il 15 aprile 1874: alcuni giovani artisti, le cui opere erano state ripetutamente
rifiutate dalle principali esposizioni ufficiali i Salons, decisero di organizzare una mostra
alternativa dei loro lavori.
Si presentano al pubblico come società anonima degli artisti.
La mostra, che vide esposte 163 opere si risolse in un vero e proprio fallimento.
Il gruppo ebbe infine il nome con il quale sarebbe poi passato alla storia, ossia
impressionisti.
La breve e intensissima stagione impressionista dura sino al 1886, anno dell'ottava e
ultima esposizione.
I contrasti ideologici e le rivalità artistiche avevano portato vari componenti del gruppo a
maturare scelte autonome e a partecipare individualmente ai salons, che piano piano
iniziaci ad accettare anche i loro dipinti.
L'impressionismo non era un movimento destinato a durare a lungo; tutti gli artisti del
gruppo ne avevano piena consapevolezza e ciascuno cercò di dare maggiore consistenza
artistica alla fugacità dell'impressione.

·
stampe giapponesi
All'affermarsi delle teorie impressioniste non è stata estranea anche la diffusione delle
Stampe giapponesi

Do All'afferirai delle teorie impressioniste non è stata estranea anche la diffusione delle
stampe giapponesi.
Queste sono realizzate a più colori con matrici xilografiche in legno.
Tali stampe giunte massicciamente in Europa grazie all'intensificarsi dei commerci con
l'estremo Oriente pur essendo state realizzate artisti contemporanei si ricollegano all'unica
antica tradizione pittorica nipponica dell'ukiyo-e, da sempre più sensibile all'armonia dei
colori e all'accordo delle forme, piuttosto che la definizione dei volumi.

L'uso di un disegno semplice netto, privo di forti interazioni chiaroscurali, la stesura dei
colori in campiture omogenee e smaglianti, rendevano queste stampe estremamente
decorative, poiché ogni soggetto, per quanto reale fosse, veniva immediatamente
trasfigurato in una dimensione immobile e fiabesca, aldilà di qualsiasi possibile
riferimento spaziale o temporale.

Tutti gli impressionisti furono dunque appassionati collezionisti di tali stampe e rimasero
spesso affascinati dal rigore compositivo e dalla incidenza delle giustapposizioni di colore.

I giapponesi non sanno utilizzare la prospettiva, quindi tutte le loro opere sono
bidimensionali. Ma quando iniziano a vedere le opere degli artisti e vogliono attuare anche
loro la prospettiva. Cercano di farlo, ma non sanno le regole matematiche per riuscire
nell'intento.
La cosa che stupisce è che l'arte orientale è così lontana da quella occidentale, che gli
occidentali vedendo opere totalmente diverse dalle e solite, ne rimangono impressionati.

La grande onda di Kanaqawa


Combina l'aspetto terreno, quindi le onde le imbarcazioni, al monte Fiji (simbolo di vita e-
terna, la montagna è considerata sacra).
Il primo piano ha un aspetto dinamico, infatti abbiamo le onde e la nave, in balia della
tempesta; mentre poi abbiamo in lontananza l'aspetto statico, rappresentato quindi dalla
montagna.

ukiyo-e : immagini della vita che passa, del mondo fluttuante, genere fiorito in Giappone
tra l'inizio del XVII e la fine del XIX secolo che per le diceva la rappresentazione di scene di
vita quotidiana del mondo contemporaneo con un taglio ardito è prossimo a quello che
oggi definiamo fotografico.
ÉDUARD MANET
Manet è un pittore, non è un impressionista, ma si può dire però che è il suo precursore e che lo ha
reso possibile.

Ammira molto Delacroix, al quale chiede il permesso di copiare la sua barca di Dante; da questo ne
ricava due diversi dipinti al fine di studiare e comprendere meglio la tecnica dei colori. La prima è
una coppia molto rispettosa dell'originale, mentre nella seconda i colori sono stesi più liberamente,
quasi prefigurando quella che sarà la tecnica prediletta negli anni successivi.

Ritrae personaggi che trova per strada, rappresenta quindi l'opposto delle opere accademiche.
Basta pensare a "il chiterreo" oppure un altro esempio può essere il bevitore di assenzio'; si
sviluppano quindi delle scene senza personaggi aristocratici e religiosi, in più sono opere che non
hanno bisogno di commissioni.

• Nel 1861 conosce Degas, con il quale stringe una profonda amicizia.
• Nel 1869 Manet intensifica la propria produzione all'aria aperta.
• Quando nel 1874 gli impressionisti danno vita alla loro prima esposizione, lui non partecipa
direttamente, ma la sua presenza morale e il suo influsso appaiono indiscutibili.

Colazione sull'erba
Venne esposto nel 1863 nel salone dei rifiutati, e si trovò subito al centro di uno scandalo.

Parigi rimase indignata dal crudo realismo con il quale l'artista aveva realizzato il nudo femminile
in primo piano e i critici lo accusarono essere volgare.

I clamori sono dati dal fatto che il nudo rappresentasse


una ragazza del tempo, non una divinità classica o un
personaggio mitologico.
I due uomini non indossavano vesti classiche, ma costumi
francesi moderni.

Ciò che disturba il pubblico sta nell'attualizzazione del


soggetto, visto che comunque Manet si ispira opere
classiche (il concerto campestre di Tiziano o le incisioni di
Marco Antonio Raimondi, tratte dal giudizio di Paride di
Raffaello).
La gente addirittura andava davanti all'opera per
screditare l'artista e l'opera stessa.

Si rimproverava quindi Manet di aver abbandonato il repertorio della mitologia e


delle allegorie e di aver rappresentato una comune prostituta completamente nuda
fra quelli che sembrano due studenti in vacanza.

La scena è ambientata poco a nord di Parigi, nella radura erbosa di un boschetto; rappresenta una
donna nuda in primo piano (ha posato Victorine Louise Meurent, pittrice e modella prediletta
dell'artista) e accanto a lei è seduto un uomo, uno dei fratelli di Manet, mentre il secondo
personaggio è il futuro cognato di Manet. Una seconda ragazza, più lontananza, si sta lavando in
uno specchio d'acqua. Tra l'altro quest'ultima ragazza è ritenuta fuori dalla prospettiva perché è
troppo grande per stare lì, questo crea problemi e presa in giro ovviamente.

Manet viene criticato dal punto di vista della tecnica pittorica; viene accusato di non aver
saputo usare né la prospettiva né il chiaro scuro.
Si nota come personaggi e sfondo siano trattati in modo diverso, quasi che i primi siano ritagliati e
incollati sul secondo, come se si trattasse di figure prive di un volume di una consistenza propri.
Il senso della profondità prospettica è dato dai piani successivi degli alberi e delle fronde, creando
così zone di luce e di ombra più per sovrapposizione che grazie alla tecnica del chiaro scuro.
I colori sono stesi con pennellate veloci, giustapponendo toni caldi e freddi in modo da creare quel
contrasto simultaneo che li rende reciprocamente più vivaci e squillanti.
L'atmosfera è fresca e luminosa.

Manet si proclama pittore di sensazioni e ciò gli vale a conquistarsi l'ammirazione di


quelli che saranno gli artisti della nuova generazione e che da allora lo
considereranno il vero e proprio ispiratore dell'impressionismo.

Olympia
L'opera è stata realizzata nel(1863), ma venne presentata al Salon del 1865.
Manet si riconferma il portatore indiscusso di un nuovo modo, anti convenzionale, di
fare arte.

Il dipinto rappresenta con realismo una donna nuda semi sdraiata sul letto disfatto, riprendendo
anche il tema della Maya Desnuda di Goya.

Ai piedi della donna vi è un gatto nero (simbolo dei


riti di stregoneria, sfortuna e simbolo
di infedeltà), mentre una domestica di colore
sopraggiunge reggendo un variopinto mazzo
di fiori, dono di qualche ammiratore.

Si critica la scelta del soggetto, visto volgare e


sconveniente perché si trattava di una
prostituta, rappresentata direttamente sul posto di
lavoro; si torna poi sulla tecnica
pittorica, e si accusa l'artista di non saper
modellare i corpi con il chiaroscuro e di usare i
colori in modo primitivo e pasticciato.

Il corpo acerbo e quasi sgraziato della ragazza per la quale posa sempre Victorine, appare privo
delle sinuosità morbide con le quali pittori accademici caratterizzavano tutti nudi femminili.

"Olympia" era molto diffuso come nome d'arte di prostitute e ballerine parigine dell'epoca,
diciamo che questo in aggiunta con quello detto prima è uno schiaffo alla morale borghese.

La forza rivoluzionaria sta nella tecnica di realizzazione.


Il gioco dei contrasti continua e si moltiplica nel resto della composizione.
Sono significative le ricorrenti giustapposizioni di colori caldi e freddi, che sono realizzate con lo
scopo di rafforzarli a vicenda.

Inoltre nel mazzo di fiori Manet è già impressionista: le macchie disordinate e incoerenti di colore,
stese con tocchi rapidi, se osservate da lontano, acquistano nel loro insieme un effetto di
restituzione del vero naturale.
Il bar delle Folies Bergère
Realizzato tra il 1881 al 1882.

Nel 1881 l'artista ne anticipa il tema con un bozza; la tela definitiva fu accettata al Salon del 1882 e
ne costituisce un significativo testamento spirituale.

La pittura è sempre più veloce, ma descrittiva.

L'immagine è piatta, la ragazza ci guarda e dietro vi è un


cappello, che dovrebbe essere Manet/noi.

Sono ripresi e portati al massimo, tutti gli elementi


caratterizzanti della sua pittura:
dall'amore per il quotidiano (la cameriera che fissa
l'osservatore e l'avventore, che si riflette nello specchio
alle sue spalle) al gusto per la natura morta (le bottiglie, la
fruttiera di cristallo e il bicchiere con le rose) dall'uso di
colori piatti e senza chiaroscuro alla scintillante
successione delle luci riflesse.

Attraverso lo specchio, Manet, riesce a mostrare anche il vasto e affollato salone, un locale di
varietà allora molto frequentato dalla borghesia parigina.
I rapidi tocchi di colore osservati dalla giusta distanza, ricostruiscono la descrizione della sala,
gremita di dame e gentiluomini e anche la sua atmosfera chiassosa, inondata dalla luce di globi di
vetro bianco e di lampadari di cristallo; l'atmosfera è rallegrata anche dall'esercizio di un acrobata
al trapezio di cui si vedono i piedi nell'angolo superiore sinistro del dipinto, questo sta significare
che ormai lo spettacolo è tra le persone e non sopra un palco.

Elementi caratterizzanti dell'arte di Manet sono l'immediatezza della visione, la chiarezza


della luce, la semplicità disincantata del soggetto, il realismo del bancone.

Manet è il punto di riferimento per l'intera generazione degli impressionisti, ma


anche per quelle successive, che a lui dava il coraggio di aver spezzato il predominio
della pittura accademica.
CLAUDE MONET
È il più impressionista degli Impressionisti e principale ispiratore della prima mostra nello studio
di Nadar.

Si dimostra molto capace nell'ambito della pittura e la zia riesce a farlo andare a studiare a Parigi; li
frequenta ambienti artistici vicini al più anziano e già noto Manet.
Nel 1861 va in africa e osservazione della luce e dei colori contribuiscono a sviluppare in lui la
passione per la natura.
L'anno dopo torna a Parigi e frequenta il Café Guerbois.

Preferisce la pittura all'aria aperta, piuttosto che l'insegnamento accademico.

Trova stimolanti le sperimentazioni sulla luce e sulla percezione dei colori, come appare in diverse
sue opere (la gazza, immerso nell'atmosfera nevosa o anche Ville di Bordighera, dove notiamo la
vegetazione mediterranea).

L'incontro di Manet e gli altri artisti del Café arricchiscono il bagaglio di esperienze di Monet.
• Si dipinge non si disegna.
• Non c'è il contorno.
• Il colore locale dipende dalla luce e da come viene visto l'oggetto; non c'è un oggetto che ha un
colore di appartenenza perché la luce cambia continuamente (il mondo è in mutamento e non c'è
una verità, per questo motivo non c'è un colore appartenente.
• Si passa da un'arte oggettiva è una soggettiva.
• Visto che la luce cambia, bisogna essere molto veloci a dipingere.
• Abbiamo una composizione retinica.
• Eliminano il nero per le ombre e usano il blu, ma non eliminano il bianco.
• Non abbiamo le linee di contorno e non abbiamo un disegno preparatore.
• Le forme sono create solamente dal colore.
• L'aria è aperta quindi vediamo i paesaggi.

Quelli a seguire sono anni duri per l'artista, lavora tantissimo ma ha davvero poche soddisfazioni e
molte delusioni. Decide di trasferirsi a nord ovest della capitale per dipingere, isolato dal mondo e
dai problemi, immerso completamente nella natura e nelle sensazioni che essa gli suscita.
Dopo il 1880 il successo sembra arrivare.
Monet è ormai l'uomo simbolo dell'Impressionismo e il giusto successore di Manet, già stanco e
malato.
Intorno alla sua casa, a Giverny, si è fatto costruire un giardino dalle dimensioni inimmaginabili.
Decide questo cosi da avere sempre vicino a lui un frammento della natura, cosi da farsi suggerire
atmosfere e sensazioni sempre nuove e diverse.
La casa è quasi un oasi di pace.

Impressione, sole nascente


Le tematiche di Monet appaiono già chiare e delineate.
La tela è stata realizzata nel 1872 e inizialmente non aveva un
titolo fino a quando, per l'esposizione del 1874, gli chiesero il nome
dell'opera, disse di scrivere "impressione".

Non c'è traccia di disegno preparatorio e quindi il colore è steso


direttamente sulla tela, con pennellate brevi e veloci.
A fatica si colgono le immagini delle navi ormeggiate, sulla
sinistra, i cui alberi si riflettono sul mare. A destra si intravedono
gru e altre strutture del porto, mentre due barche a féi che solcano
le acque, appaiono come ombre perlopiù.

Monet vuole trasmettere le sensazioni da lui provate osservando l'aurora sul porto di
Le Havre.
Non vuole descrivere la realtà, ma vuole cogliere l'impressione dell'attimo, diversa e autonoma
rispetto a quella dell'attimo immediatamente precedente o successivo.

L'uso giustapposto di colori caldi e freddi rende in modo suggestivo il senso della nebbia dal del
mattino. Attraverso il suo manto, si fa strada un sole inizialmente debole, i cui primi riflessi
aranciati guizzano sul mare, evidenziati con incisività da pochi e sapienti tocchi di pennello dati a
spessore, come se il colore stesso avesse un proprio volume e una consistenza materica.

Le "serie"
Negli anni novanta, sempre più entusiasmato dai problemi della luce e dalle sensazioni di colore, si
dedica a diverse serie, nelle quali ritrae un medesimo soggetto in decine di tele successive.
Il punto di ripresa è quasi sempre lo stesso, o varia di poco, mentre quello che cambia
completamente sono: condizioni stagionali, atmosferiche e di luce.

Questo per dimostrare che un soggetto possa essere sufficiente a destare nuove, diverse e
infinite sensazioni e emozioni.

Tra il 1890 e il 1891, produce la serie di 25 Pagliai, chiamati anche


"convoni"; a questi sovrappone quella dei 25 Pioppi, sempre nel
1891.
Queste opere sono tutte realizzate in en plein air nel pressi del borgo
di Giverny.
La serie più celebre, sia per ampiezza che tema, è quella formata da
30 tele.
Sono tutte più o meno dello stesso formato e rappresentano la
facciata della cattedrale di Rouen; 26 di queste sono ancora oggi
custodite in vari musei e nelle varie collezioni.

Lo stagno delle ninfee


Come precedentemente già detto, Monet passa gli ultimi anni della sua vita nella casa di
Giverny.
Il giardino di questa casa costituì il principale luogo di incantamento e di ispirazione
dell'artista.

Soprattutto il tema dell'acqua si ricollega ai centinaia di dipinti aventi per soggetto le ninfee.

Ricorrente è il tema dell'acqua, che per sua stessa natura non si acquieta mai,
permettendo agli artisti di sbizzarrirsi nel riprodurre le 1000 possibili increspature
di colore.

Comunque alle ninfee, Monet si dedicò quasi esclusivamente


arrivando a indagarle in ogni stagione con meticolosità quasi
scientifica, prefiggendosi di riprodurre sulla tela ogni varazione
di colore dovuta a anche un minimo cambiamento meteorologico.

Nello stagno delle ninfe, dipinto ne{1899) l'artista rappresenta


anche il ponte di legno in stile giapponese che aveva voluto
all'interno del giardino.
La fredda luce verdastra genera una sensazione di frescura, alla
quale si somma quella originata dall'acqua dello stagno,
punteggiata dallo sgargiante affiorare di ninfee in fiore.
L'atmosfera è quasi quella di una dimensione incantata, nella
quale la realtà non sussiste che come pretesto per dar voce e colore
al mondo delle emozioni.

Monet sottolinea come per lui la pittura non sia una semplice attività artistica, ma
per lui è proprio un'esigenza interiore.
PIERRE AUGUST RENOIR
Renoir è il rappresentante più spontaneo e convinto del movimento.
Amico di Monet, ma hanno interessi diversi.

Renoir non rappresenta i paesaggi, più che altro tende a rappresentare i personaggi.
Diciamo che è un artista importante all'inizio, perché le sue opere sono molto belle, solo che poi
crea delle schifezze. Critica le opere accademiche e poi lui stesso le fa.
Per lui la pittura è gioia di vivere, capacità di stupirsi ogni giorno di fronte alle meraviglie del
creato, voglia di farsi travolgere dalle emozioni e dei colori.
È sempre affascinato dalla luce e dai giochi di colore che essa sa creare.
Rappresenta le cose che non avremmo visto, ad esempio la nascita dello svago.
Relativamente all'esperienza artistica lo entusiasma il ciclo degli affreschi vaticani di Raffaello; ed è
la riflessione sulla saggezza pittorica di Raffaello che mette in crisi la sua visione impressionista
della realtà, nella quale tutto si limita all'apparenza e alla sensazione di un attimo.
Agli inizi del novecento è ormai stimatissimo e affermato anche a livello europeo.
Purtroppo iniziano a manifestarsi i primi sintomi di una malattia che lo porterà alla paralisi
completa degli arti inferiori e alla semi paralisi di quelli superiori.
Nonostante questo la sua produzione è frenetica e oltre che alla pittura si dedicherà poi anche la
scultura.

Ballo al Mouline de la Galette


Realizzato nel(1876) fu presentato l'anno successivo alla terza esposizione impressionista.
Il quadro costituisce uno dei lavori più significativi della maturità artistica di Renoir.

La scena ritratta è quella di un ballo popolare all'aperto, ambientato in un vecchio mulino


abbandonato alle porte di Montmartre.
Il nome del locale fa riferimento ai dolcetti che venivano offerti come consumazione compresa nel
prezzo d'ingresso.
Vari personaggi sono seduti su sedie e panchine fra gli alberi, mentre alcune coppie danzano al
suono di un orchestra sullo sfondo in un'atmosfera di chiassosa allegria.

Per eseguire quest'opera Renoir frequenta per mesi il Mulin,


al fine di entrare meglio in contatto con quell'ambiente. S
L'opera è stata dipinta in parte dal vivo e in parte in
atelier, dove si limita a riorganizzare gli schizzi colti sul
posto. La pittura è veloce e abbozzata.
Tramite un nuovo uso libero del colore, l'artista cerca di
suggerire il senso di movimento, ma anche lo stato d'animo
collettivo e la gioia di un pomeriggio di festa.

Forma e colore diventano un tutt'uno: la prima è costruita


mediante il secondo che a sua volta assume un rilievo diverso
in relazione al contrasto fra luci e ombre e fra toni caldi e
freddi.

Osservando le due coppie danzanti di sinistra si nota come i vestiti delle ragazze spiccano contro gli
abiti maschili per la diversa luminosità. L'apparente casualità della rappresentazione nasconde
un'attenta valutazione compositiva, frutto evidente dello studio dei classici.
Nessun personaggio risulta isolato, in quanto inserito in un determinato gruppo.
L'insieme di questi gruppi determina la profondità prospettica dell'intera scena nella quale il
disegno gioco ormai ruolo estremamente marginale.
Colazione dei canottieri
Il dipinto di grande formato, risalate al 1881, rappresenta una colazione al ristorante la Fournaise.

L'ambiente è meno popolare e i frequentatori sono


soprattutto sportivi che, dopo aver paragonato in canoa, si
concedono svago e riposo insieme ad amici e amiche che
sono venute da accompagnarli.
Arriva la concezione del tempo libero, che prima esisteva
solo per gli aristocratici.
La scena è ambientata nella veranda aperta del locale.
È un un pretesto per la rappresentazione all'aria aperta, che
Renoir abbozza dinanzi agli stessi tavolini ancora ingombri
dei resti del pasto.
La luce chiara del primo pomeriggio estivo innonda la scena
di riflessi aranciati, ai quali fa contrasto cromatico lo sfondo
verdastro della vegetazione palustre.

L'attenzione si concentra soprattutto sui colori, dalla cui attenta giustapposizione


prendono corpo i volumi e la prospettiva.
Anche qui non vi è traccia del disegno, ma le forme emergono chiare distinte, quasi vibranti di un
moto proprio.

L'atmosfera che ne deriva è quella di una straordinaria naturalezza, resa ancora più viva e festosa
dal complesso gioco di sguardi che lega espressivamente tra di loro i vari personaggi.
L'apparecchiatura della tavola costituisce un dipinto nel dipinto.
Si propone una superba natura morta, in essa alla leggerezza delle bottiglie dei cristalli fa riscontro
la massa compatta della frutta e della botticella di cognac.
L'ambientazione all'aperto sulla terrazza prospiciente uno specchio d'acqua è un tema ricorrente
in Renoir in quanto gli permette di giocare con i colori l'atmosfera.
EDGAR DEGAS
La prima formazione pittorica avviene in ambiente accademico e il principale punto di riferimento
è rappresentato inizialmente da Ingres, del quale Degas ammira in primo luogo la straordinaria
purezza del disegno.

Continua lo studio dei classici, ai quali si sente ormai di aggiungere, il romantico Delacroix.

Appare evidente che Degas abbia una personalità artistica molto articolata. Nonostante l'impegno
impressionista, egli rimase sempre un convinto sostenitore del disegno della pittura in atelier;
secondo l'artista anche l'impressione di un istante è così complessa e ricca di significati che
l'immediatezza della pittura all'aria aperta non può che coglierla in modo riduttivo e superficiale.

Alla metà degli anni 60 la sua pittura, pur rimanendo sempre fedele all'ideale del disegno del
lavoro in atelier, si caratterizza non tanto per la volontà di rappresentare le cose o le persone così
come appaiono, ma piuttosto come si conoscono per averli visti tante volte in diversi contesti, al
fine di stregare la realtà, nella consapevolezza che l'artista può riuscire a dare il senso del vero solo
agendo in modo del tutto innaturale.
Gli ultimi anni della vita di Degas sono tristissimi; ormai quasi cieco, viene anche sfrattato dal suo
atelier museo e solo grazie l'interessamento di qualche amico può trovare un nuovo alloggio.
Dei vecchi amici di un tempo c'è solamente Monet, mal fermo e quasi cieco a sua volta.

La lezione di danza

Do È il primo di una fortunata serie di dipinti dedicata alle ballerine.


Contiene in sé già tutti i temi della maturità artistica di Degas, cosi come poi li proporrà anche nei
suoi luminosissimi pastelli.

In questa tela l'artista rappresenta il momento in cui una giovane


ballerina -al centro-sta provando un passo di danza sotto l'occhio
vigile del maestro mentre le altre ragazze, disposte in semicerchio,
osservano attendendo a loro volta il proprio turno.

Il taglio che l'artista impone al dipinto è di tipo fotografico e alcune


figure risultano fuoriuscire parzialmente dall'inquadratura, come in
un'istantanea.
Ciò suggerirebbe una pittura di getto, fatta per cogliere l'impressione
di un momento.
Il grande equilibrio compositivo e gli stessi tempi di realizzazione
(18773-1876) stanno a testimoniare come in realtà l'opera sia frutto
di un difficile immediato lavoro in atelier.

Inoltre ha condotto schizzi preparatori a decine.


I gesti delle ballerine sono indagati con attenzione quasi ossessiva.
Infatti Degas descrive ogni minimo particolare in maniera molto accurata; ad esempio tra le altre
ballerine vi è, quella che osserva, quella che ride e quella che parla con la compagna: come in ogni
aula scolastica quando sul finire della lezione la tua sfera si è più rilassata e informale.
Degas ricostruisce l'atmosfera della sala con una luce morbida che ingentilisce ulteriormente le
movenze delle ragazze.
La fonte principale di luce è fornita da un finestrone fuori dalla scena, che però riflettendo sullo
specchio alla parete di fronte, genera un'altra superficie di luminosità diffusa.
Dal punto di vista tecnico, Degas non rifiuta nel disegno prospettico nella sottolineatura dei
particolari; anche l'abolizione del bianco e del nero in quanto non colori appare qui ampiamente
disattesa. I bianchi sono infatti i tutù delle fanciulle e i neri invece sono i nastrini di raso al collo.
L'Assenzio
Degas è un pittore che non ama i paesaggi né di conseguenza la sua rappresentazione; le sue
ambientazioni infatti fanno riferimento ai parigini.

L'opera realizzata tra il 1875-1876 è ambientata all'interno del caffè e si presenta come una
composizione volutamente squilibrata verso destra, quasi a dare il senso di una visione improvvisa
e casuale.

La scena è costruita in modo estremamente rigoroso: abbiamo una prospettiva obliqua secondo cui
sono orientati i caratteristici tavolini di marmo, quasi come se l'artista volesse introdursi nel locale
seguendo il loro allineamento sghembo.

Il punto di vista è quasi decentrato di un ipotetico osservatore che


stando seduto a un altro tavolo può guardare senza essere visto a sua
volta e riuscire così a cogliere la spontanea naturalezza di ogni azione.
I due personaggi in realtà sono amici del pittore e recita nel ruolo di
due poveracci: una prostituta di periferia è un barbone dall'aria
trasandata.
Dinanzi alla donna vi è un bicchiere verdastro dell'assenzio che dà il
titolo al dipinto, mentre davanti al barbone sta invece un calice di
vino.
Entrambi i personaggi hanno lo sguardo perso nel vuoto, come se
stessero seguendo il filo invisibile dei loro pensieri.
Pur essendo seduti accanto sono fra loro lontanissimi, quasi
a simboleggiare quanto la solitudine possa rendere incapaci
di comunicare.

L'atmosfera del locale è pesante come lo stato d'animo dei due


avventori, imprigionati in uno spazio squallido e angusto.

I
Campo da corsa
Do Quest'opera è stata ultimato solo nel 1887 nonostante gli fosse stata commissionato da un
collezionista oltre 10 anni prima (situazione comunque anomala, in quanto la produzione
impressionista non fu praticamente mai su commissione); l’opera si allaccia alla grande passione di
Degas per il mondo dell’ippica.

La scena è ambientata all'aria aperta, anche se ricostruita in


studio su veloci bozzetti tratti dal vero, è organizzata
prospetticamente per piani paralleli successivi:
dagli spettatori al limite del margine inferiore destro;
al gruppo centrale dei fantini a cavallo;
dal terzo fantino che sopraggiunge al galoppo da sinistra;
alla folla assiepata in lontananza;
dal treno a vapore che passa al margine della pianura, oltre
un campo di papaveri;
fino alle colline all'orizzonte;
che si stagliano contro un cielo appena percorso da qualche
nuvola.

L'inquadratura allude alla volontà di Degas di apparire come un osservatore marginale, mentre in
realtà è perfettamente bilanciata, anche dall'attento uso del colore.

È proprio lo sgargiante abbigliamento dei fantini catturare l'attenzione, contribuendo cosi a


restituire l'impressione di una giornata di divertimento e libertà. La vaporiera all'orizzonte rimanda
con la modernità borghese che viene comunque da lui sembra registrata, pur non essendo
particolarmente amata dall'artista.

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