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Ma c'è un territorio, quello della fotografia che accede alle dimensioni del sogno e dell'immaginario che
inizialmente ed è legato a casi estremi, esempi: Hippolyte Bayard e la sua folle vendetta, l’esasperato sforzo
operativo dei fotomontaggi e l’evasione solitaria di Julia Margaret Cameron. Tutte queste esperienze hanno in
comune la vera è piegato la fotografia a estensioni che sembravano non appartenere le per nascita: li reale, il
fantastico, l'inesistente. Queste, nel corso dell’800 non vengono attribuite come prerogative identitarie alla
fotografia è ancora nel 900 sono considerate come scelte ingenue e fallimentari se inseguite tramite il mezzo
fotografico. Eppure sono proprio queste prime è originario occasioni a scoprire un filone che sarà tra i più utilizzati
dagli artisti nella contemporaneità.
Settore in cui proprio il sogno certificato della fotografia è il motore primario di ogni occasione: la moda. La moda
è per sua definizione l'universo in cui si rispecchiano ambizioni, proiezioni e aspettative vissute come possibile
perché imitabili. Solo nel momento in cui la fotografia ha potuto registrare la realtà con un massimo possibile di
fedeltà e dunque d’immedesimazione, allora la moda ha assunto la sua fisionomia attuale, letteralmente nascendo
dentro la fotografia.
Due donne nude (1850)
Al pari di quella tra fotografia di viaggio e fotografia di paesaggio, anche nella biforcazione che si può individuare
tra fotografia di nudo e fotografia pornografica si trova il dualismo di fondo delle identità della fotografia: quello
tra un’immagine realizzata su presupposti formali e compositivi adeguati all’idea di quadro, e quello in cui emerge
invece la sua forza di prelievo e traccia di realtà. Nel primo caso si può parlare di un’identità prevalentemente, ma
con alcune ragioni e pure con affascinanti eccezioni, ottocentesca; nel secondo caso di un'identità che invece sarà
dominante nelle pratiche artistiche dal 900 in poi.
Il nudo, come il paesaggio, è una categoria classica della tradizione pittorica. Così i fotografi ottocenteschi si
dedicano a questo genere applicando fedelmente le regole degli stilemi dei quadri di nudo che regolarmente
affollano le pareti dei saloni parigini. Una tipologia fotografica come quella del dagherrotipo si mostra assai
predisposta a ospitare nudi fotografici. Su quelle piccole e Preziosi superfici metalliche vengono Infatti ritratte
modelle Di Atelier che si offrono all’occhio del fotografo, e poi del fruitore-voyeur, ricreando un’atmosfera tipica
dell’harem o del boudoir. È evidente che nella testa e negli occhi dei fotografi c'è una lunga tradizione di nudo
accademico, di ispirazione classica. Da sempre il nudo nell'arte, collocato in un'ambientazione lontano dalla
quotidianità, immette l'elemento erotico rendendolo meno provocante perché appunto distante nello spazio e
nel tempo. Finché le figure femminili della fotografia ottocentesca vengono trasfigurate sotto le spoglie di ninfe,
divinità o concubine, e se si adeguano ai codici vigenti di moralità e di decoro e, anzi, proiettando appunto la
sensualità di un mondo altro, ottenendo così il lasciapassare sociale.
In particolare, nella seconda metà dell’800, alcuni laboratori e Atelier di fotografia si specializzano nel genere del
nudo, e ci sono fotografi di nudo che danno vita a solide e durature collaborazioni con famosi pittori
contemporanei in cui forniscono immagini fotografiche a partire dalle quali poter realizzare le loro tele. Le
fotografie di nudo hanno infatti l'obbligo, per poter circolare ed essere esposte, di possedere l'etichetta d'après
nature, perché in questo modo si assicura il fatto che sono studi anatomici d'accademia il cui fine è funzionale alla
realizzazione dei quadri.
Se da un lato la fotografia di nudo insegue la pittura, e come tale viene considerata artistica e tollerata, dall'altro
lato scatta subito e inevitabilmente un meccanismo inarrestabile in cui il confine tra nudo e pornografia si fa
sempre più labile. > diventa finalmente chiaro che si tratta di un corpo nudo fotografato a scopi voyeristici,
scaturendo una fitta produzione di immagini fotografiche dichiaratamente pornografica. >> Chiaramente si
ripropone il bivio di formale e concettuale. La diffusione di fotografie pornografiche è immediata, ma non è poi
così semplice farle circolare perché le giovani modelle che si prestano a posare non devono essere riconosciute.
Così, dopo il retrobottega del laboratorio fotografico, il set ideale diventa naturalmente il bordello.
Ernest Joseph Bellocq è uno dei pochi casi autoriali di fotografia di un bordello che risale ai primi del Novecento,
realizza un discreto numero di lastre riguardanti fotografie di nudo che evidentemente hanno come protagoniste
delle prostitute messe in posa nelle loro stanze.
Il “bordello senza muri"
Già nell'Ottocento la fotografia diviene uno strumento molto utilizzato nei bordelli di mezzo mondo che divengono
cosi dei "bordelli senza muri" (definizione di McLuhan). Le prostitute Ben presto si inpratichiscono esse stesse di
tecnica fotografica diventano fotografe pornografe in proprio. È il caso della torinese Marta detta La Spagnola, che
dopo essere stata a lungo il soggetto prediletto di fotografi che creavano book di immagini da vendere sottobanco
a clienti voglio, si appassiona a tal punto alla fotografia da diventare fotografa
L'interno della Galleria Vittorio Emanuele a Milano (Fratelli Alinari, 1915-20 circa)
Nella 1852 Leopoldo, Giuseppe e Romualdo Alinari aprono nella città di Firenze o un laboratorio fotografico che
dà avvio ad un eccezionale storia l’imprenditoria culturale italiana. La crescente richiesta di immagini di
monumenti da parte dei turisti stranieri, di guide delle città e soprattutto di riproduzioni di opere d'arte, fa intuire
un grande mercato in espansione punto così la Ditta Fratelli Alinari si specializza nella catalogazione delle bellezze
architettoniche e artistiche del territorio italiano. Gli Alinari sono sempre alla ricerca di nuovi metodi e di
sperimentazioni innovative ma sono anche abili nel costruire una rete di rapporti e di relazioni con le istituzioni
museali, e centri culturali e gli altri pionieri della fotografia. La ditta si propone Inoltre come modello per una
nuova organizzazione del lavoro: in sede lavorano una trentina di dipendenti mentre non si contano i
corrispondenti che sono in contatto con loro da ogni parte del mondo.
A Firenze io dibattito sulla cultura fotografica e vivo è alimentato anche dagli Alinari. In particolare è Vittorio, figlio
di Leopoldo, che cura gli aspetti più intellettuali della gestione. È il vero faro dell'imprenditoria culturale Nazionale:
organizza concorsi, collabora con i critici d'arte, intensifica le campagne fotografiche e progetta edizioni legate ai
maggiori capolavori della lettura nazionale.
Lo stile della fotografia degli Alinari persegue un modello di grande precisione e di attenzione massima ai dettagli,
che il più possibile esclude dall'inquadratura ogni elemento accessorio che possa distrarre l'attenzione dall'oggetto
centrale messo a fuoco e comunque secondo rigorose prospettive geometriche. Prediligono la luce diffusa, la
distanza fissa che aiutano a conferire al soggetto un aspetto monumentalizzato. Sono eredi di una cultura liberale
borghese, interpretano alla perfezione lo spirito di fiducia nella scienza e nella tecnica tipico del clima positivista
ottocentesco, convinti e come sono di poter immagazzinare e comunicare in modo obiettivo ciò che vedono ha
milioni di occhi sconosciuti in tutto il mondo. Con il loro modo di fotografare i monumenti e le architetture, gli
Alinari e rafforzano l’idea della realizzazione di un immenso archivio composto di un’infinità di schede che
omaggiano il fotografico come strumento del l’inventariazione del reale, e che sono in grado di far emergere lo
stereotipo.
L’attività di questi fratelli contribuisce perciò a dare unità visiva al paese e ad archiviare la storia e l’arte dell’Italia
in particolare, ma è anche il veicolo virtuale di un viaggio immaginario che tanti nel corso degli anni hanno potuto
fare tramite le loro edizioni e le loro guide. Il loro stile fotografico diventa poi così distintivo e icastico da
trasformarsi in una vera maniera fotografica, riconoscibile è imitabile da schiere di professionisti.
Schedari topografici
Nel 1975 l’International Museum of Photography di Rochester inaugura una storia che mostra curata da William
Jenkins che si intitola New Topographics. Photographs of a Man Altered Landscape. La fotografia dei nuovi
topografici propone un tipo di sguardo sull'ambiente e il paesaggio circostante lontano da tentazioni epiche e
nostalgiche, e piuttosto disincantato nei confronti di uno spazio e modificato e segnato dalla storia umana.
L’antecedente illustre dei 10 autori in mostra viene individuato in Edward Ruscha, che nel suo famosissimo lavoro
del 1962 dal titolo Twenty-six Gasoline Stations ha fotografato le stazioni di servizio incontrate durante un lungo
viaggio americano con uno stile neutro, freddo, impersonale e meccanico. >> nelle immagini dei new topographers
diventano protagonisti e motel, e supermercati, ma anche i bidoni dei rifiuti lungo le strade e gli anonimi grovigli
dei pali del telefono. Lo sguardo che adottano vuole dichiararsi neutro è palesemente opposto alla grandiosità e
al romanticismo tipici di una certa tradizione sia europea che americana sul paesaggio fotografico.
Ritratto di Alice Liddell (Lewis Caroll, 1863)
Lewis Carroll conosce la tecnica fotografica del 1856, da quel momento fino al 1880, quando chiuderà
definitivamente con la fotografia, e gli scatta quasi tremila immagini. La sua produzione rimane Però praticamente
sconosciuta fino a che lo storico Helmut Gernsheim non ritrova i suoi scatti e le pubblica assieme a un diario in
Lewis Carroll photographer.
La particolarità della sua produzione spiega il lungo oscuramento che ha ricevuto insieme alla censura esercitata
su di essa da parte degli eredi che ne hanno distrutto una buona parte. Accanto all’attività di ritrattista che svolgeva
nei confronti di varie personalità della sua schiera di frequentazioni sociali, i soggetti più ricercati di Lewis Carroll
sono infatti delle bambine, nella maggior parte dei casi e figlia di collegio di conoscenti di Oxford. >> il periodo più
intenso e fervido della sua attività fotografica si colloca tra il 1863 e il 1864 quando ero le concepisce e poi pubblica
anche suo capolavoro letterario Alice nel paese delle meraviglie. Del resto pare proprio che il romanzo che l'ha
reso famoso sia scaturito te essendo insieme piccole storielle inventate per distrarre e incantare madri e bambine
che poi, per consuetudine, erano invitate a passare dal suo studio per una seduta di posa fotografica. Il ritratto di
Alice Liddell rappresenta proprio quella Alice del paese delle meraviglie, figlia del decano del college di Christ
Church. A lei Carroll dedica la sua opera più importante e, nell’ultima pagina del manoscritto, incolla il ritratto
fotografico che le ho scattato come un suggello simbolico.
La meraviglia oltre che in Alice sta per lui anche nella fotografia, e la ragione di tanta riconoscenza è in ciò che essa
gli permette di sperimentare concettualmente: quello strumento è una protesi speciale grazie alla quale può,
virtualmente, scrutare, toccare e possedere le bambine che posano per lui. >> Nella pudica e moralista età
vittoriana, un uomo religioso non può trovare di meglio che affidare all’occhio potenziato dell’apparecchio
fotografico il suo rapporto con le bambine. Nelle pose fotografiche le bimbe di Carroll assumono indubbiamente
un aspetto malizioso e demoniaco dovuto probabilmente alla consapevolezza di esibirsi a uno sguardo adulto.
Carroll è insomma un inguaribile voyeur, te come tale non può non cogliere la Altissimo potenziale di incursione
nel mondo altrui di cui la fotografia è capace. In più è ossessionato da un tabù per eccellenza, l’erotismo infantile
e adolescenziale, e di conseguenza non si fa sfuggire l’esperienza sublimata che può, con lo strumento fotografico
tra le mani, vivere in differita.
Voyeur: colui che trova pagamento nell’impadronirsi di informazioni visive che riguardano la vita degli altri, la
definizione è assolutamente sovrapponibile a quella del fotografo. Il voyeurismo fotografico si mette in moto nella
semplice idea del guardare senza essere visti, nel rubare intimità senza essere scoperti, dell'essere testimoni di un
privato che tale dovrebbe rimanere. Questa la più interessante e stimolante dimensione concettuale del
voyeurismo fotografico, che si esplica più in un’esperienza e in una pratica estetica che nella fruizione dell'oggetto
finale. In questo senso è facile condividere l'idea che tutti i fotografi sono dei voyeur a prescindere da ciò che
stanno fotografando. Il principio del voyeurismo fotografico è legato anche alle dinamiche del gossip e al
fenomeno del divismo.
Autoritratto di Alphonse Bertillon in una foto segnaletica di prova (Alphonse Bertillon, 1912)
Quando nel 1839 Arago presente al mondo la scoperta della fotografia, probabilmente non ha piena
consapevolezza di come contemporaneamente egli stia fornendo uno strumento d'ausilio ma soprattutto un
dispositivo fondamentale a sostenere un pensiero filosofico e un sistema di idee. Nel pieno del clima positivista
ottocentesco, la fotografia trova finalmente in Daguerre e Talbot i suoi padri inventori, i quali individuano gli spazi
per presentarla nel mondo della Scienza e della Tecnica. Così il brevetto fotografico e anzitutto visto come uno
strumento al servizio della conoscenza del mondo fondamentale per nuovi traguardi scientifici, sociologici e
antropologici.
Negli stessi anni in cui la fotografia muove i primi passi, un'altra storia sta arrivando a compimento: la fisiognomica,
Lo studio delle corrispondenze tra linee del volto e le indicazioni psicologiche e caratteriali di un soggetto punto è
facile comprendere quale contributo possa aver dato l’arte come strumento per le visualizzazioni delle teorie
fisiognomiche. Dopo secoli di studio, si comincia a parlare sempre meno e nella seconda metà dell'800 si
definiscono nuove scienze e discipline che ne prendono il posto come l'antropologia, la criminologia, la psicologia
e la psicoanalisi. → si può dire che la nascita della fotografia, in quel momento in quel nuovo scenario, non può
fare a meno di proporsi, nettamente in vantaggio rispetto al disegno e alla pittura, come strumento perfetto per
la realizzazione di immagini fedeli al vero, meccaniche automatiche, utilissime per poter studiare il reale. Così
nell’Ottocento la fotografia affronta uno dei suoi capitoli più affascinanti: quello della scheda tour e scientifica
manicomiale, di quella criminale e di quella antropologica-etnologica.
Nel 1851 viene installato il primo laboratorio fotografico di un'istituzione manicomiale, diretta dal dottore inglese
Hugh
Welch Diamond. Un fenomeno quasi mediatico diventano invece le dimostrazioni che tiene il famoso neurologo
Jean Martin Charcot , facendo performare delle isteriche di fronte ai suoi studenti e agli studiosi. Comprendendo
quale forza ha il nuovo mezzo fotografico per la diagnosi, la cura e lo studio delle malattie mentali, Charcot crea
uno dei laboratori fotografici più famosi dell’800. In Italia nel 1878, Augusto Tamburini introduce l’uso del ritratto
fotografico per schedare gli ospiti al manicomio di Reggio Emilia. Già da qualche anno, però, si usava una
schedatura fotografica anche nei due manicomi di Venezia. La schedatura viene fatta per un’esigenza di ordine e
classificazione dei pazienti, ma anche Naturalmente per un tentativo di registrare dunque verificare gli andamenti
della malattia stessa. Nella fotografia che deve completare la scheda nosologica dei malati mentali si predilige uno
sguardo frontale e asettico, uno sfondo neutro, un'impossibilità da cui non possano trapelare sentimenti e
distrazioni. Si deve comunicare che si tratta di scienza e non di arte.
Le stesse identiche neutralità e freddezza vengono adottate nella schedatura poliziesca. Dal 1882 il servizio di
identità giudiziaria della polizia di Parigi mette a punto un sistema globale di classificazione criminale. Fino a che
a inizio 900 saranno introdotte anche le impronte digitali, questo sistema permette ai sistemi sociali di creare un
immenso archivio visivo sulla delinquenza, ma anche di organizzare un sistema di studio, di chiara derivazione
fisiognomica, che deve riconoscere se ci sono continuità visivamente rilevanti e somiglianze di correnti tra varie
famiglia delinquenziali. Su tali terreni dichiaro influsso positivista-deterministico, e con all’eredità di una
formazione da studio di fisiognomica, in Italia aveva già dato il suo contributo Cesare Lombroso che riconosce alla
fotografia un ruolo primario nello studio nella classificazione delle diversità umane, arrivando a costituire uno dei
più affascinanti archivi fotografici ottocenteschi punto da una sua idea nasce nel 1878 in Italia la prima polizia
scientifica.
Un altro aspetto della schedatura scientifica ottocentesca riguarda la campagna fotografica che le potenze
coloniali, la Gran Bretagna prima di tutte, mettono in campo per conoscere, ma anche separare e umiliare, gli
abitanti indigeni delle popolazioni assoggettate. Con uno schema assolutamente omologo a quello delinquenziale.
Sfondi neutri, sguardi apparentemente impassibile, atteggiamenti inespressivi, la stessa pretesa di scientificità
come verso i malati di mente e delinquenti.
Archiviare il volto del mondo
Il capitolo della fotografia scheda ti va manicomiale, criminologica ed è tecnologica lascia nell'arte del Novecento
un patrimonio suggestivo ma anche estremamente delicato da rivisitare. Non è un caso che, tra gli artisti che
hanno utilizzato l'idea dell'identikit è poliziesco, si trovino due "giganti" come Marcel Duchamp e Andy Warhol
cecità no e usano direttamente nei loro lavori la foto scientifico-schedativa ottocentesca.
La grande eredità che passa, transitando dalla dimensione del pratico a quella dell’estetico, dalla schedatura
dell’umanità fatta da me dici, criminology e potenze coloniali del XIX secolo all’arte del Novecento è quella
determinante filosofia del fotografico che esalta l'automatismo del mezzo, la sua distanza dalla definizione
dell'artistico ottocentesca, la sua capacità di straniamento e di congelamento impassibile del reale. Enel questo
senso sono altri due "giganti" che si fanno protagonisti della scena, August Sander e Diane Arbus.