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STORIA DELLA FOTOGRAFIA

La fotografia è quell'arte e tecnologia resa possibile dallo strumento


denominato macchina fotografica o fotocamera, in cui si ottiene
un'immagine statica tramite un processo di registrazione permanente delle
interazioni tra luce e materia, selezionate e proiettate attraverso un sistema
ottico su una superficie fotosensibile.
Con il termine "fotografia" si indicano tanto la tecnica per riprendere le
fotografie, quanto le immagini riprese («fotografie», o «foto»), nonché, per
estensione, il prodotto stampato.
L'estrema versatilità di questa tecnologia ha consentito alla fotografia di
svilupparsi nei campi più diversi delle attività umane come la ricerca
scientifica, l’astronomia, la medicina, il giornalismo, ecc., fino a consacrarla in
alcuni casi come autentica forma d'arte, nonostante il fatto che generalmente
le fotografie non siano direttamente frutto della nostra immaginazione e del
nostro operato, come usualmente lo sono un dipinto o un'illustrazione, ma
sono sempre e comunque il prodotto diretto di una macchina e hanno come
referente, per necessità, il mondo fisico.

Indice

 1Etimologia
 2Storia
 3Tecnica
o 3.1Perfezionamento di tecnologie e materiali
o 3.2Riproduzione dei colori
 4Chimica
o 4.1Processi con l'alogenuro d'argento
o 4.2Processi senza argento
o 4.3Processi per le istantanee
 5Applicazioni scientifiche
o 5.1Generalità
o 5.2Fotografia ultrarapida e stroboscopica
o 5.3Fotografia stereoscopica
o 5.4Fotografia nell'infrarosso e ultravioletto
o 5.5Fotografia aerea e orbitale
o 5.6Fotografia astronomica
o 5.7Fotomicrografia
 6Arte
 7Fotografia digitale e quella analogica
 8Diritto
 9Note
 10Bibliografia
 11Voci correlate
o 11.1Generi
o 11.2Tecniche
 12Altri progetti
 13Collegamenti esterni

Etimologia
Il termine "fotografia" deriva dal greco antico φῶς, φçωτόςç;, phōs,
photos («luce[1]») e γραφία, graphia («scrittura[2]») ovvero "scrittura con la
luce"

Storia

Storia della fotografia.

J. N. Niépce: Vista dalla
finestra a Le Gras, 1826. Il tempo d'esposizione di 8 ore dà l'impressione che
il sole illumini gli edifici sia da destra che da sinistra.
Louis Daguerre: Boulevard du
Temple, 1838. Il tempo di esposizione di 10 minuti rende visibile solo un
uomo che si fa lucidare le scarpe
Il termine fotografia deriva quindi dalla congiunzione di due parole di origine
greca: luce (φçῶς, phṑs) e grafia (γραφή, graphḕ), per
cui fotografia significa "scrittura di luce".[3] La fotografia è opera della luce e
nasce infatti da un principio fisico chiamato diffrazione, che è una sua
proprietà caratteristica. La camera oscura e l'obiettivo stenopeico formano il
sistema più semplice ed elementare della macchina fotografica che racchiude
in sé tutti i principi fisici coinvolti in questa tecnologia. Naturalmente sono stati
necessari i risultati ottenuti sia nel campo dell'ottica, sia in quello
della chimica e lo studio delle sostanze fotosensibili. La prima camera
oscura fu realizzata molto prima che si trovassero dei mezzi chimici per
fissare l'immagine ottica in essa proiettata; il primo ad applicarla in ambito
fotografico fu il francese Joseph Nicéphore Niépce, cui convenzionalmente
viene attribuita l'invenzione della fotografia, anche se studi recenti rivelano
tentativi precedenti, come quello di Thomas Wedgwood.[4][5]
Nel 1813 Niépce iniziò a studiare i possibili perfezionamenti alle
tecniche litografiche, interessandosi poi anche alla registrazione diretta di
immagini sulla lastra litografica senza l'intervento dell'incisore. In
collaborazione con il fratello Claude, Niépce cominciò a studiare la sensibilità
alla luce del cloruro d'argento e nel 1816 ottenne la sua prima immagine
fotografica (che ritraeva un angolo della sua stanza di lavoro) utilizzando un
foglio di carta sensibilizzato, forse, con cloruro d'argento.
L'immagine non poté essere fissata completamente e Niépce fu indotto a
studiare la sensibilità alla luce di altre sostanze, come il bitume di Giudea,
che diventa insolubile in olio di lavanda dopo l'esposizione alla luce.
La prima produzione con la nuova sostanza fotosensibile risale al 1822. Si
tratta di un'incisione su vetro raffigurante papa Pio VII. La riproduzione andò
distrutta poco dopo e la più antica immagine oggi esistente fu ottenuta da
Niépce nel 1826, utilizzando una camera oscura il cui obiettivo era
una lente biconvessa, dotata di diaframma e di un basilare sistema di messa
a fuoco. Niépce chiamò queste immagini eliografie.
Nel 1829 fondò con Louis Daguerre, già noto per il suo diorama, una società
per lo sviluppo delle tecniche fotografiche. Nel 1839 il fisico François
Arago presentò all'Accademia delle scienze francese il brevetto di Daguerre,
chiamato dagherrotipo; la notizia suscitò l'interesse di William Fox Talbot, che
dal 1835 testava un procedimento fotografico, la calotipia, e di John Herschel,
che lavorava, invece, su carta trattata con sali d'argento, utilizzando un
fissaggio a base di tiosolfato sodico.
Nello stesso periodo, a Parigi, Hippolyte Bayard ideò una tecnica usando un
negativo su carta sensibilizzata con ioduro d'argento, dal quale si otteneva
poi una copia positiva. Bayard fu però invitato a terminare gli esperimenti per
evitare una concorrenza con Daguerre.
Lo sviluppo del dagherrotipo fu favorito anche dalla costruzione di apparecchi
speciali dotati di un obiettivo a menisco acromatico ideato
nel 1829 da Charles Chevalier.
Tra il 1840 e il 1870 i processi e i materiali fotografici vengono perfezionati:

 nel 1841 François Antoine Claudet rinnova la ritrattistica


introducendo lastre per dagherrotipia a base di cloruro e ioduro
d'argento, che consentono pose di pochi secondi;
 nel 1851 Frederick Schott Archer propone il procedimento
al collodio che sostituisce la dagherrotipia e la calotipia.
 Tra il 1851 e il 1852 vengono introdotte l'ambrotipia e la ferrotipia,
per ottenere positivi apparenti incollando un negativo su lastra di
vetro a un supporto di carta o panno neri, o di metallo brunito;
 nel 1852 viene istituita a Firenze la più antica azienda al mondo nel
campo della fotografia: la Fratelli Alinari.
 Nel 1857 compare il primo ingranditore a luce solare a opera di J. J.
Woodward;
 nel 1859 R. Bunsen e H. E. Roscoe realizzano le prime istantanee
con lampo al magnesio. Le prime immagini a colori per sintesi
additiva si devono a J. C. Maxwell (1861), mentre quelle per sintesi
sottrattiva sono state introdotte da Louis Ducos du Hauron (1869).
R. L. Maddox porta una novità: le lastre con gelatina animale come
legante.
 Infine, nel 1873 H. Vogel scopre il principio della sensibilizzazione
cromatica e realizza le prime lastre ortocromatiche.
Tecnica
Perfezionamento di tecnologie e materiali
Lo stesso argomento in dettaglio: Macchina fotografica.

Museo nazionale Alinari della fotografia, a Firenze


Gli sforzi furono anche indirizzati al perfezionamento dei materiali sensibili,
dei procedimenti di sviluppo e degli strumenti ottici. Tra le innovazioni più
importanti si ricordano: l'introduzione degli apparecchi fotografici portatili
(1880); l'introduzione delle pellicole in rullo, realizzate per la prima volta da G.
Eastman inizialmente con supporto in carta (1888) e successivamente con
supporto in celluloide (1891).
Nel 1890 F. Hurter e V. C. Driffield iniziarono lo studio sistematico della
sensibilità alla luce delle emulsioni, dando origine alla sensitometria. Un
considerevole miglioramento delle prestazioni degli obiettivi si ebbe nel 1893,
quando H. D. Taylor introdusse un obiettivo anastigmatico (tripletto di Cooke)
con sole tre lenti non collate; tale obiettivo fu perfezionato da P. Rudolph nel
1902 con l'introduzione di un elemento posteriore collato e venne prodotto
l'anno dopo dalla Zeiss, con il nome di Tessar.

Fotocamera reflex Contax-S del 1949


Altri progressi si ebbero con l'introduzione del sistema reflex (1928) e degli
strati antiriflesso sulle superfici esterne delle lenti (che migliorarono
enormemente la trasmissione tra aria e vetro e il contrasto degli obiettivi) e
con il processo Polaroid in bianco e nero (che permetteva di ottenere in pochi
secondi una copia positiva, utilizzando un apparecchio e una pellicola
speciali), introdotto nel 1948 da E. H. Land e successivamente esteso al
colore.
Negli anni sessanta con gli esposimetri incorporati nelle macchine
fotografiche ebbe inizio l'epoca degli automatismi: l'evoluzione tecnologica in
tale campo fu tale che alla fine degli anni ottanta, con la miniaturizzazione dei
circuiti elettronici, la messa a fuoco e l'esposizione diventano completamente
automatiche; inoltre micromotori provvedono al caricamento della pellicola, al
suo avanzamento dopo ogni scatto e al riavvolgimento nel caricatore al
termine dell'uso.
Negli iconici anni ottanta entrarono in produzione macchine per la fotografia
digitale che al posto della pellicola avevano un CCD (Charge Coupled
Device), lo stesso elemento sensibile delle videocamere.
Questo componente era in grado di analizzare l'intensità luminosa e il colore
dei vari punti che costituiscono l'immagine e di trasformarli in segnali elettrici
che venivano poi registrati su un supporto magnetico (nastro o disco) che
poteva contenere alcune decine di immagini. L'immagine registrata poteva
essere immediatamente rivista su un monitor, stampata da un'apposita
stampante, o spedita via cavo o via rete, a qualsiasi distanza.
Macchine di questo tipo venivano usate soprattutto dai fotoreporter, perché
permettevano l'immediata trasmissione delle foto ai giornali, che non hanno
bisogno di immagini ad alta definizione.
L'inconveniente principale della fotografia elettronica era infatti la scarsa
definizione delle immagini, in confronto a quella della fotografia tradizionale.
Notevole diffusione ha avuto l'elaborazione elettronica delle immagini
fotografiche, che, digitalizzate da uno scanner ad alta definizione, possono
essere corrette ed elaborate a piacere (eliminazione di dominanti cromatiche,
modifica dei colori, cancellazione e aggiunta di parti di immagine, fino a
ottenere fotomontaggi quasi perfetti). L'immagine elaborata viene poi
stampata su pellicola, con la stessa definizione dell'originale.
Negli ultimi anni lo sviluppo della fotografia digitale ha avuto implicazioni
incredibili sia nella fase di ripresa delle immagini che in quella di riproduzione.
Da un lato i sofisticati sistemi di esposizione, messa a fuoco, inquadratura e
disponibilità immediata delle immagini in fase di ripresa e dall'altro la loro
elaborazione sul computer hanno ridimensionato il lavoro di camera
oscura per lo sviluppo del negativo e/o della diapositiva e per la loro stampa.
Essa richiedeva lunghe ore al buio, pazienza e risorse economiche, al punto
che grandi fotografi utilizzavano spesso laboratori professionali per le loro
immagini. Oggi il processo è alla portata di tutti grazie alle immagini digitali
che possono essere ritoccate, modificate e trasferite con il computer di casa
propria, avvalendosi di programmi di editing e/o fotoritocco e modalità di
archiviazione di file anziché di voluminosa carta che hanno in gran parte
ridotto la domanda di pellicole e di stampa tradizionale delle foto.
La prima fotografia a colori scattata da
Maxwell nel 1861.
Riproduzione dei colori[
J. T. Seebeck (1810) e J. F. Herschel (1840), H. Becquerel (1848), L. L.
Hill (1850) e Joseph Nicéphore Niépce erano riusciti a ottenere delle
registrazioni instabili di oggetti colorati, probabilmente per un fenomeno di
interferenza all'interno dello strato sensibile. Tale fenomeno venne utilizzato
da Gabriel Lippmann, in un procedimento messo a punto nel 1891,
esponendo, attraverso il supporto di vetro, una lastra fotografica con
l'emulsione a contatto con mercurio.
L'interferenza tra la radiazione incidente e quella riflessa dal mercurio, che
fungeva da specchio, faceva sì che l'emulsione rimanesse impressionata a
diversi livelli di profondità, la distanza fra i quali era funzione della lunghezza
d'onda della radiazione. La lastra, sviluppata e osservata per riflessione,
restituiva un'immagine con i colori naturali. Il procedimento di Lippmann,
sfruttato commercialmente per qualche anno, fu abbandonato per la difficoltà
nella preparazione dei materiali e del loro trattamento.
Nel frattempo James Clerk Maxwell aveva teorizzato i principi della sintesi
additiva dei colori e nel 1855 aveva ottenuto i primi risultati incoraggianti, che
rese pubblici nel 1861. Nel suo procedimento l'oggetto colorato veniva ripreso
su tre diverse lastre attraverso tre filtri di colore blu, verde e rosso; venivano
poi ricavate tre diapositive che, proiettate a registro su uno schermo mediante
tre proiettori muniti degli stessi filtri usati per la ripresa, riproducevano a colori
il soggetto.
Un procedimento simile, che utilizzava i colori blu, giallo e rosso, venne
ideato indipendentemente, nel 1862, da Louis Ducos du Hauron, al quale si
devono anticipazioni per tutti i procedimenti utilizzati fino a oggi. Nel 1868 egli
osservò che un foglio di carta ricoperto di sottili linee adiacenti di colore blu,
verde e giallo, appariva bianco se osservato per trasparenza e grigio se
osservato per riflessione e brevettò un procedimento di fotografia a colori
basato su questo fenomeno.
Il procedimento venne ripreso in considerazione negli ultimi anni del XIX
secolo quando furono disponibili materiali sensibili pancromatici con i quali
era possibile effettuare la ripresa attraverso un reticolo di linee o di granuli di
colore blu, verde e rosso; in seguito all'inversione dell'immagine in bianco e
nero, il complesso immagine-reticolo osservato per trasparenza restituiva i
colori originali.
Sfruttando questo principio i fratelli Lumière realizzarono le
lastre Autochrome, la cui produzione iniziò nel 1907. Materiali simili vennero
prodotti in Germania (Agfacolor) e in Gran Bretagna. Nel 1908 A. K.
Dorian propose di sostituire i reticoli colorati con un insieme di minuscole lenti
ottenute per goffratura sul lato del supporto opposto a quello su cui era stesa
l'emulsione.
Ponendo davanti all'obiettivo un filtro costituito da tre bande colorate,
ciascuna lente proiettava tre immagini, che venivano sovrapposte utilizzando
un proiettore che montava sull'obiettivo lo stesso filtro usato in ripresa. Su
questo principio si basavano i primi materiali Kodacolor, prodotti fino al 1935.
Tutti questi procedimenti non consentivano la produzione di stampe a colori,
se non con mezzi tipografici. L'unico a ottenere copie fotografiche su carta
fu E. Vallot che nel 1895 aveva ripreso un'idea di Louis Ducos du Hauron,
introducendo un procedimento che però, a causa della bassa sensibilità e
della scarsa stabilità dei colori, non ebbe successo commerciale. L'era della
fotografia a colori moderna iniziò nel 1935 con la pellicola per diapositive
Kodachrome, seguita nel 1936 dalla Agfacolor.
La prima richiedeva un trattamento speciale, perché i colori venivano aggiunti
nel corso dello sviluppo. Nella seconda, invece, che è stata la capostipite
delle moderne pellicole per fotografie a colori su carta, tre strati, sensibili
rispettivamente al blu, al verde e al rosso, contenevano anche i coloranti, che
davano origine, durante lo sviluppo, a immagini con i colori complementari
(giallo, magenta e ciano).
L'immagine riacquistava i colori naturali durante lo sviluppo della copia,
stampata su carta il cui strato sensibile aveva una struttura simile. Infine la
Ciba, riprendendo il vecchio procedimento di sbianca dei coloranti contenuti
nei vari strati dell'emulsione, realizzò il sistema Cibachrome, per la stampa di
diapositive.
Chimica

Interno di camera oscura, necessaria per


stampare fotografie utilizzando sostanze chimiche reagenti alla luce
Processi con l'alogenuro d'argento
Quando si sottopone un alogenuro d'argento all'azione della luce, la
radiazione assorbita gli cede l'energia necessaria per scindere il legame tra
l'alogeno e il metallo. Il deposito di argento così formato è tanto più denso
quanto maggiore è l'intensità dell'illuminazione ed è quindi possibile ottenere
con una camera oscura un'immagine negativa del soggetto inquadrato. Tale
annerimento diretto dell'alogenuro, detto effetto print-out, è stato il primo
metodo utilizzato per ottenere delle immagini agli albori della fotografia, ma
aveva l'inconveniente di richiedere tempi di posa lunghissimi.
Fin dai primi tempi della fotografia, però, si scoprì casualmente che non era
necessario attendere la formazione di un'immagine visibile sul materiale
sensibile: anche dopo una breve esposizione era possibile, con un opportuno
trattamento chimico, ottenere un'immagine perfettamente formata. In effetti
anche nel corso di un'esposizione molto breve si verifica la fotolisi
del bromuro di argento in misura tale da formare un'immagine debolissima,
non visibile a occhio nudo (immagine latente), ma sufficiente per provocare
un'alterazione delle caratteristiche chimico-fisiche dell'emulsione.
Trattando questa con particolari sostanze (rivelatore) si ottenne la formazione
dell'immagine visibile, che risultava costituita da un insieme di granuli
d'argento originati dalla riduzione dei singoli cristalli di alogenuro. Sono questi
che conferiscono all'immagine la caratteristica struttura granulosa.
Nell'effetto print-out, l'energia necessaria per la riduzione dell'alogenuro ad
argento metallico è fornita interamente dalla radiazione assorbita
dall'emulsione, mentre nel secondo caso, la radiazione cede solo la piccola
quantità di energia necessaria alla formazione dell'immagine latente.
Il rivelatore fornisce in un secondo tempo la quantità di energia necessaria
per portare a termine il processo, con un effetto di amplificazione di circa un
milione di volte. Dopo la formazione dell'immagine occorre allontanare
l'alogenuro d'argento rimasto inutilizzato (fissaggio), oppure renderlo
insensibile alla luce (stabilizzazione).
Il trattamento di un moderno materiale fotografico in bianco e nero richiede
quindi un bagno di sviluppo e uno di fissaggio, cui si interpone un lavaggio o
un bagno di arresto, e un lavaggio finale prima dell'asciugatura. Il lavaggio
finale, estremamente importante per la conservazione dell'immagine, asporta
ogni traccia dei prodotti chimici impiegati nel corso del trattamento.
Nei materiali a colori (a eccezione della Kodachrome), la formazione dei
coloranti avviene utilizzando uno sviluppo cromogeno che,
contemporaneamente alla riduzione del bromuro impressionato, provoca la
formazione del colore all'interno di ognuno dei tre strati sensibili sovrapposti.
Con i procedimenti accennati si ottiene sempre un'immagine negativa rispetto
all'originale usato per la ripresa o la stampa.
È possibile ottenere direttamente delle immagini positive mediante un
procedimento di inversione nel corso del quale si distrugge l'immagine
negativa e se ne forma una positiva utilizzando l'alogenuro d'argento non
impressionato nel corso dell'esposizione. La distruzione della negativa
avviene per mezzo di un bagno di sbianca che, nel colore, ha anche la
funzione di liberare i coloranti dal deposito opaco d'argento che li maschera.
Il sempre crescente aumento del costo dell'argento ha portato, da un lato,
una notevole diffusione dei procedimenti di recupero di questo dai bagni di
fissaggio, che possono contenere diversi grammi d'argento per litro, e,
dall'altro lato, ha favorito lo sviluppo di procedimenti nuovi o non tradizionali.
Poiché i materiali a sviluppo cromogeno consentono il recupero totale
dell'argento, sono state introdotte pellicole a sviluppo cromogeno anche in
bianco e nero.
Processi senza argento[modifica | modifica wikitesto]
Fin dai primi tempi della fotografia si tentò di impiegare delle sostanze
fotosensibili senza argento, per esempio la carta al ferroprussiato, usata per
la riproduzione di disegni tecnici (cianografia), ma senza grandi successi. Altri
procedimenti di stampa, introdotti nel 1850, furono quelli alla gomma
bicromata e al pigmento, applicati specialmente nel rotocalco.
Tra gli altri procedimenti un tempo applicati o di più recente applicazione si
ricordano:

 la termografia, che si basa sulla proprietà di svariate sostanze di


annerire, fondere o subire altre trasformazioni se sottoposte a
riscaldamento;
 l'elettrografia, il cui principio fu indicato nel 1935 da P. Selenyi e che
ha avuto uno sviluppo eccezionale nel campo della fotoriproduzione
di documenti (in particolare la xerografia);
 la fotopolimerizzazione, che sfrutta la proprietà della luce di
provocare la polimerizzazione di molte sostanze; a questo
procedimento appartiene la resinotipia inventata negli anni venti del
Novecento da Rodolfo Namias;
 il procedimento Kalvar, usato per la produzione di microfilm e di
positivi cinematografici, nel quale l'esposizione alla luce provoca la
decomposizione di una sostanza fotosensibile incorporata in uno
strato plastico con liberazione di bollicine di gas, che rendono opaco
lo strato;
 la fotocromia, che si basa sulla proprietà di alcune sostanze di
cambiare colore sotto l'azione della luce.
Una delle maggiori difficoltà connesse con l'introduzione di nuovi sistemi
fotosensibili era costituita dalla scarsa efficienza con cui, in generale, veniva
registrata l'immagine. L'unico sistema che presenta un fattore di
amplificazione paragonabile a quello basato sugli alogenuri d'argento è la
fotopolimerizzazione, mentre gli altri possiedono una capacità di
amplificazione molte migliaia di volte inferiore. Nei sistemi fotografici
tradizionali, gli alogenuri d'argento non impressionati vengono asportati nel
bagno di fissaggio oppure, nel processo di inversione, vengono utilizzati per
formare un'immagine positiva sul medesimo supporto.
Processi per le istantanee[modifica | modifica wikitesto]
Diversi sono i processi diffusivi nei quali l'alogenuro non impressionato viene
trasformato in un sale solubile che diffonde dal negativo verso un supporto
sul quale viene ridotto ad argento metallico dando luogo alla formazione
dell'immagine positiva. Questo procedimento, descritto per la prima volta nel
1939 e utilizzato inizialmente per materiali da fotoduplicazione, consente la
cosiddetta fotografia istantanea. Le prime applicazioni pratiche si ebbero nel
1948 con il sistema Polaroid in bianco e nero che permetteva di ottenere una
positiva in soli 15 secondi; in seguito fu messo a punto un analogo sistema
per le positive a colori ottenibili in circa un minuto.
Nel procedimento a colori il negativo è costituito da tre strati
di emulsione sensibili alla luce blu, verde e rossa, ai quali sono intercalati
altrettanti strati contenenti tre diversi rivelatori di colore rispettivamente giallo,
magenta e blu-verde.
Un apparecchio
modello anni settanta per immagini fotografiche di rapido sviluppo esposto
al Museo d'arte contemporanea Villa Croce
Dopo l'esposizione il negativo viene portato a contatto con il supporto
destinato a ricevere l'immagine positiva; tra i due si trova un sottile velo di
attivatore alcalino. In presenza dell'attivatore i rivelatori colorati, contenuti
nello strato sviluppatore, riducono il bromuro esposto e rimangono così
immobilizzati nello strato sensibile.
I rivelatori che non hanno reagito, invece, diffondono attraverso il negativo e
lo strato di attivatore fino a raggiungere il supporto, dove si fissano.
Nel 1976 la Kodak lanciò un suo sistema di fotografia istantanea, Kodak
Instant. Le pellicole di questa fotocamera ricalcavano il percorso tracciato
dalla Polaroid, anch'esse autosviluppanti. A differenza delle Polaroid però
erano rettangolari e l'immagine sulla superficie misurava 9 x 6,8 cm. Dopo
aver perso una battaglia di brevetti con la Polaroid Corporation, Kodak ha
lasciato il business Instant Camera il 9 gennaio 1986.
Quest'ultima, nel 1985 presentò una pellicola per diapositive, sia in
bianco/nero che a colori, a sviluppo istantaneo; essa non richiedeva
macchine speciali, ma poteva essere esposta con qualsiasi macchina che
utilizzasse le normali pellicole 135 (formato 24 x 36 mm).
La pellicola a colori, chiamata Polachrome, è in realtà una pellicola in
bianco/nero, filtrata, sia in ripresa che in proiezione, da un fitto reticolo di
linee blu, verde e rosso (secondo il principio già sfruttato dai fratelli Lumière
con le lastre Autochrome). Lo sviluppo viene effettuato sull'intera pellicola, in
un apparecchietto che stende su di essa i prodotti chimici racchiusi in un
contenitore venduto insieme alla pellicola.
Anche la pellicola per stampe a colori immediate è stata notevolmente
perfezionata dalla Polaroid: è stato eliminato il negativo (che doveva essere
gettato, insieme ai residui dei prodotti chimici di sviluppo), e la sensibilità è
stata aumentata a 600 ASA. Lo sviluppo avviene in piena luce, in circa 90
secondi. Alcune pellicole a sviluppo immediato (in bianco e nero e a colori)
possono essere utilizzate, per mezzo di un apposito accessorio, anche su
molti apparecchi professionali e su apparecchiature scientifiche: esse danno
copie formato 8,3 x 10,8 cm, spesso usate per controllare la distribuzione
delle luci e delle ombre prima dello scatto definitivo su pellicola tradizionale.

Applicazioni scientifiche[modifica | modifica wikitesto]


Generalità[modifica | modifica wikitesto]
La natura essenziale della fotografia è proprio quella della documentazione,
in quanto di base la fotografia riprende sempre la realtà dello stato fisico della
materia, attraverso la radiazione fotonica. Questo processo comporta una
netta differenziazione tra una rappresentazione immaginifica e creativa,
sviluppata in un disegno fatto a mano libera (un'opera d'arte dell'uomo) e la
rappresentazione del reale quale immagine fotografica "creata" dalla luce e
ripresa dalla fotocamera. Pensiamo ad esempio se la fotografia del nostro
volto ritratto, che accompagna tutti i nostri documenti personali (Patente di
Guida, Passaporto, Carta d'Identità), fosse creato a mano libera come un
disegno o una pittura. Non avrebbe alcuna validità legale. Per questo la
fotografia si è rivelata uno strumento di sempre maggiore utilità nell'indagine
scientifica, documentaristica e legale. Non solo, essa offre infatti la possibilità
di registrare fenomeni che non possono essere osservati direttamente ad
occhio nudo, come per esempio quelli che si verificano in tempi brevissimi
(fotografia ultrarapida), quelli che avvengono su scala microscopica, quelli
che interessano regioni molto vaste della Terra o dello spazio dell'Universo
(fotografia aerea, orbitale, astronomica) e quelli legati alle radiazioni
elettromagnetiche invisibili all'uomo.
Tra le più importanti applicazioni della fotografia in campo scientifico, si
ricordano la fotografia ultrarapida e stroboscopica, la fotografia
stereoscopica, la fotografia nell'infrarosso e nell'ultravioletto, la fotografia
aerea e orbitale, la fotografia astronomica.
Anche la fotografia a raggi X è una tipologia di fotografia documentaristica
utilizzata in vari campi della ricerca, come la fotografia forense, ecc.
Fotografia ultrarapida e stroboscopica[modifica | modifica wikitesto]
Già nel 1851 W. H. F. Talbot, utilizzando come fonte di luce la scintilla
provocata dalla scarica di una serie di bottiglie di Leida, riuscì a realizzare
delle immagini con un tempo di posa dell'ordine del milionesimo di secondo.
Questa tecnica venne dapprima applicata alla balistica e le prime immagini di
un proiettile in volo risalgono al 1885 e sono dovute a Ernst Mach; nel 1896 si
osservò per la prima volta l'onda d'urto che si propaga insieme a un proiettile
che si muove a elevata velocità.
Nel 1930 H. Edgerton iniziò uno studio sistematico delle possibilità della
fotografia ultrarapida, dedicandosi particolarmente al perfezionamento delle
sorgenti di luce e utilizzando in modo particolare il flash elettronico. In effetti
gli otturatori meccanici non consentono tempi di posa inferiori a qualche
frazione di millesimo di secondo, che permettono la ripresa solamente di
oggetti in movimento relativamente lento.
Le riprese ultrarapide richiedono quindi l'impiego di sorgenti che emettono
lampi di luce particolarmente brevi e intensi senza l'impiego di otturatori,
oppure utilizzando otturatori speciali. Con questi sistemi si ottengono
normalmente tempi di posa dell'ordine del decimilionesimo di secondo e si
possono raggiungere i 5 nanosecondi. Utilizzando per l'illuminazione una
serie di lampi di luce in rapida successione si ottiene sul negativo una serie di
immagini in posizione diversa. È questo il principio su cui si basa la fotografia
stroboscopica, utilizzata per l'analisi dei movimenti.
Fotografia stereoscopica[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Fotocamera
stereoscopica, Stereoscopia e Stereoscopio.
La fotografia riproduce gli oggetti su una superficie piana e l'illusione della
profondità è data esclusivamente dalla prospettiva e dal chiaroscuro. È però
possibile riprodurre l'effetto della visione binoculare osservando
separatamente con i due occhi due immagini riprese da punti posti a distanza
pupillare attraverso l'utilizzo della fotocamera stereoscopica.
La fotografia stereoscopica nasce per interessamento di sir Charles
Wheatstone che nel 1832 realizza il primo stereoscopio a specchi e che, in
seguito alla nascita della fotografia, entra in contatto con William Fox Talbot,
commissionandogli i primi esperimenti di "stereofotografia". Le prime
immagini stereoscopiche vengono realizzate nel 1842 e sono
dei dagherrotipi. In seguito gli stereogrammi verranno confezionati come
positivi su cartoncino, illuminati per riflessioni, su carta sottile e lastre di vetro,
illuminati per trasparenza, e infine, nel XX secolo su diapositiva, trovando
ampia diffusione commerciale.
La fotografia stereoscopica trova svariate applicazioni che vanno dal puro
intrattenimento, alla ricerca scientifica (ad esempio l'osservazione
astronomica), al rilievo fotogrammetrico.
Fotografia nell'infrarosso e ultravioletto[modifica | modifica wikitesto]
Gli alogenuri d'argento possiedono una sensibilità naturale che si estende
nelle zone dell'ultravioletto e del blu ed è limitata solo dall'assorbimento
dell'obiettivo, della gelatina e dell'aria. I comuni obiettivi fotografici
trasmettono l'ultravioletto fino a circa 320 nm, limite oltre il quale occorre
usare obiettivi con lenti in quarzo o fluorite, che trasmettono fino a circa
120 nm. Peraltro, al di sotto dei 200 nm diviene sensibile l'assorbimento
dell'aria, per cui occorre operare in atmosfera d'azoto o, meglio, nel vuoto.
Per evitare la perdita di sensibilità dovuta all'assorbimento della gelatina, si
usano emulsioni con concentrazione di bromuro d'argento molto elevata.
Oltre che per la ripresa diretta di immagini, la radiazione ultravioletta viene
spesso impiegata per eccitare la fluorescenza degli oggetti da fotografare nel
campo del visibile. In questo caso si antepone all'obiettivo un filtro che
blocchi la radiazione ultravioletta riflessa dal soggetto trasmettendo invece la
fluorescenza visibile.
La ripresa viene effettuata con un comune materiale in bianco e nero o, più
spesso, a colori, a causa della vivacità dei colori di fluorescenza. All'altra
estremità dello spettro visibile, la radiazione infrarossa non viene assorbita
dagli alogenuri d'argento e non è quindi in grado di impressionare le
emulsioni fotografiche.
Particolari sensibilizzatori cromatici possono però rendere sensibili i materiali
fotografici anche alla radiazione infrarossa fino a circa 850 nm. L'impiego di
filtri particolari consente di limitare la trasmissione della radiazione visibile, cui
il bromuro d'argento è sensibile, fino a eliminarla completamente con
l'impiego di filtri neri. Esistono anche materiali a colori con uno strato
sensibile all'infrarosso, registrato con un colore convenzionale.
Le riprese nell'infrarosso e nell'ultravioletto interessano principalmente i
campi dell'astrofisica, spettroscopia, mineralogia, criminologia, storia dell'arte,
biologia, medicina, prospezione aerea del suolo, grafo scopia.

Fotografia aerea e orbitale

Immagine ripresa dall'Apollo 17


L'aerofotogrammetria è la tecnica di indagine del terreno che si serve di
macchine fotografiche installate a bordo di aeromobili. Trova applicazioni nel
campo della ricognizione archeologica, delle ricerche geologiche,
in agricoltura per ricavare informazioni sulla natura dei terreni e
sull'estensione delle colture, in campo militare per ottenere informazioni su
obiettivi strategici.
La fotografia orbitale permette la ripresa di immagini da altezze molto
superiori a quelle proprie della fotografia aerea, della quale costituisce
un'estensione, mediante apparecchi posti su veicoli spaziali in orbita intorno
alla Terra. Tra le sue varie applicazioni si ricordano le
indagini meteorologiche, le ricerche sull'inquinamento dei mari, sulle risorse
della Terra. Queste applicazioni sono sempre più raffinate anche grazie allo
sviluppo e all'incrocio di diverse tecniche di ripresa fotografica digitale
incrociate con altri sistemi di rilevazione come il radar.
Esempio di ciò è il satellite Envisat, messo in orbita dall'ESA (Agenzia
Spaziale Europea) che grazie all'incrocio dei dati prodotti dai suoi undici
strumenti permette la realizzazione di immagini satellitari utili per lo studio di
fenomeni come la desertificazione, l'eutrofizzazione dei mari e i cambiamenti
climatici.

Fotografia astronomica
Astrofotografia.
Consiste nella registrazione fotografica delle immagini dei corpi celesti. Tale
tecnica presenta diversi vantaggi rispetto all'osservazione diretta perché
l'emulsione fotografica, esposta per un tempo sufficientemente lungo, viene
impressionata anche da radiazioni visibili di intensità troppo debole per poter
essere percepite dall'occhio umano anche con l'aiuto di potenti telescopi. Il
metodo prevede appositi sistemi di inseguimento che compensano la
rotazione della terra e la conseguente rotazione apparente della volta celeste.
In assenza di questi si ottengono effetti artistici con conseguente strisciata,
centrata a nord, degli astri, o ci si limita a brevi esposizioni a basso
ingrandimento.
Inoltre l'uso di emulsioni particolarmente sensibilizzate permette lo studio di
corpi celesti che emettono radiazioni comprese in zone dello spettro luminoso
in corrispondenza delle quali l'occhio umano non è sensibile. In tempi più
recenti sono stati usati anche sistemi digitali, basati su CCD o CMOS, delle
volte raffreddati a basse temperature per diminuire il rumore termico. Tramite
l'uso di filtri interferenziali, è anche possibile ottenere fotografie solo alla luce
di alcune righe spettrali, ottenendo quindi informazioni sulla composizione
della sorgente. Tuttavia, è possibile ottenere ottime fotografie astronomiche
anche con fotocamere reflex commerciali (in quest'ultimo caso, è consigliato
rimuovere il filtro che copre il sensore in quanto ha una bassa trasmissività
per i fotoni h-alpha, una riga importantissima in astronomia in quanto tutte le
regioni HII emettono in tale banda).
Fotomicrografia
Fotomicrografia.

Cellule viste al microscopio a


fluorescenza, marcate con tre differenti fluorocromi
Consiste nella registrazione fotografica delle immagini di soggetti piccolissimi,
nel caso di microscopia ottica nell'ordine dei micron. Anche qui tale tecnica
presenta diversi vantaggi rispetto all'osservazione diretta perché l'emulsione
fotografica o il sensore digitale, esposti per un tempo sufficientemente lungo,
registrano anche radiazioni di intensità troppo debole per poter essere
percepite dall'occhio umano e, specialmente in caso di tecniche in
fluorescenza, permettono l'arresto tramite tempi di esposizione brevi di
soggetti molto rapidi come protozoi in vivo, o la visualizzazione in porzioni
dello spettro non percepibili dall'occhio eccetera.

Arte
La fotografia cominciò ad acquistare autonomia agli inizi del XX secolo,
mentre le polemiche sui rapporti con l'arte, in seguito indagati con acutezza
da Walter Benjamin, erano vivacissime. In merito alla diatriba, sempre
attuale, una distinzione si può fare tra la fotografia come strumento e la
fotografia come linguaggio. Nel primo caso si sfruttano in quanto tali le
possibilità di riproduzione meccanica delle immagini, nel secondo queste
stesse possibilità vengono utilizzate a fini documentaristici ed espressivi.
Quindi da un lato si possono annoverare i processi di fotoriproduzione,
utilizzati nei settori più diversi, dalla fotomeccanica alla spettroscopia,
dall'altro tutte le utilizzazioni della fotografia per una descrizione, a diversi
livelli di obiettività, di fenomeni scientifici, di avvenimenti, di realtà sociali o di
altri valori umani, figurativi e astratti.
In opposizione ai concetti della foto d'arte, con tutto il corollario dei trucchi di
mestiere, operò agli inizi del XX secolo Alfred Stieglitz, capo del gruppo
statunitense Photo-Secession, esaltando le riprese immediate con piccoli
apparecchi portatili alla ricerca dell'illusione di realtà, cercando il cubismo
nella natura (soggetti disumanizzati, riproduzione del ritmo nella ripetizione di
elementi base, sovrapposizioni, ecc.).
Dal canto suo il tedesco Albert Renger-Patzsch, in polemica con le tesi della
Photo-Secession sostenne, parafrasando Spinoza, che la bellezza del mondo
dipendeva dall'immaginazione dell'uomo e quindi anche dalla scelta che
l'obiettivo faceva del particolare.
Una terza tesi veniva proposta da A. G. Bragaglia, teorizzata nel volume
Fotodinamismo futurista (1911), da fotografi come l'americano Alvin Langdon
Coburn, lo svizzero Christian Schad, l'ungherese László Moholy-
Nagy (del Bauhaus), lo statunitense Man Ray, l'italiano Luigi Veronesi che,
proclamando l'importanza essenziale della "ricerca" riaffermavano o
giungevano all'astrattismo.
Fu questo il punto di partenza di ogni avventura e sperimentazione
fotografica successiva, testimoniate dall'attività di gruppi
come Fotoform (1949), dalle foto di movimento di Gjon Mili, dalla scuola della
candid photography e da tutti gli sperimentatori fluttuanti dalla ricerca del vero
alla sensazione, dal documento alla realizzazione d'arte. In Italia la fotografia
d'arte è chiamata anche fotografia di ricerca e raggiunge il suo apice negli
anni '70-'80. Tra gli autori più significativi di questo genere fotografico vanno
ricordati: Luigi Ghirri, Franco Fontana, Paolo Gioli. Un cenno va fatto anche
per le fotografie di moda e di pubblicità, che adattano alle specifiche funzioni
il patrimonio finora acquisito, trasfondendo nell'immagine, con la suggestione
creativa, il potere o la ricerca della persuasione.
Oggi la fotografia è accettata come una vera e propria forma d'arte. Indicatori
di questo sono il numero crescente di musei, collezioni e strutture di ricerca
per la fotografia, l'aumento di cattedre per la fotografia e, ultimo ma non
meno importante, l'aumento del valore delle fotografie nelle aste d'arte e i
circoli collezionistici. Molte aree tematiche sono state istituite: il paesaggio,
nudo, industriale, fotografia teatrale, e altre ancora.
Un'evoluzione ulteriore della fotografia, limitrofa al cinema, è la multivisione,
basata sulla proiezione di diapositive in dissolvenza incrociata, spesso con un
accompagnamento musicale. Questa tecnica è utilizzata spesso a scopi
didattici o pubblicitari, ma la forte componente creativa e poetica del mezzo
fotografico ha ispirato la creazione in multivisione di autentiche opere d'arte.
La fotografia digitale ha poi ulteriormente variato il contesto mettendo alla
portata di tutti la tecnica delle presentazioni, anch'esse destinate
principalmente a scopi illustrativi, commerciali, didattici, ma passibile di
utilizzo in campo artistico

Fotografia digitale e quella analogica[modifica | modifica wikitesto]

Confronto tra fotografia digitale e analogica [6][7][8][9]


Pro Contro

 Le fotocamere digitali sono  Le fotocamere


Digitale generalmente più leggere digitali di livello
rispetto a quelle a consumer
pellicola, come anche i possono soffrire di
dispositivi mobili. scarsa gamma
dinamica,
 Le schede di scarsa profondità
memoria sono minuscole e di campo e
possono memorizzare acquisizione di
molte più immagini del immagini in
rullino. condizioni di
scarsa
 Le immagini possono illuminazione.
essere visualizzate
immediatamente senza  Costi iniziali più
stamparle. elevati.

 Si possono modificare  I file digitali


molto le immagini acquisite potrebbero non
(anche direttamente sulla avere la trama
fotocamera o sul analogica di una
dispositivo mobile). pellicola da 35
mm o di medio
 Si può scegliere di formato, anche
stampare solo alcune con l'uso di
immagini e altre no. software di foto
editing.
 Le immagini si possono
inviare  Richiede
via internet immediatament competenze
e e salvare su tutti i informatiche per
dispositivi digitali. gestire e
modificare le
immagini.

 Le fotocamere
digitali diventano
obsolete molto più
velocemente di
quelle a pellicola.

 La memoria
digitale può
essere persa;
i backup costanti
sono necessari.
 L'archiviazione
delle foto
analogiche
occupa molto
 Costo iniziale inferiore spazio fisico.
rispetto a una fotocamera
digitale.  A meno che non
si abbia una
 Con una gamma camera oscura, il
dinamica più elevata, la fotografo dipende
pellicola cattura meglio i da un laboratorio
dettagli di bianchi e neri. per sviluppare le
immagini.
 Nessuna alimentazione o
batterie necessarie. I  Non si possono
lunghi viaggi e il freddo vedere le foto
Analogic possono essere limitanti scattate sul rullino
a per le fotocamere digitali. senza stamparle
tutte
 Non richiede competenze
informatiche  Non si possono
modificare le foto
 Le fotocamere analogiche (se non in minima
diventano obsolete molto parte)
meno velocemente di
quelle digitali.  Alla lunga il costo
della stampa e dei
 Non hanno bisogno di rullini è elevato
backup costanti come le
foto digitali.  Un rullino consent
e meno fotografie
rispetto a una
scheda di
memoria digitale
Diritto[modifica | modifica wikitesto]
Diritto della fotografia.

Logo indicante un lavoro protetto da Copyright


Il diritto d'autore considera fotografie ai fini della tutela relativa alle «immagini
di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute
col processo fotografico o con processo analogo» (dalla Legge 22
aprile 1941, n. 633, CAPO V art. 87[10]).
Viene stabilito che «Spetta al fotografo il diritto esclusivo di riproduzione,
diffusione e spaccio della fotografia, salve le disposizioni stabilite dalla
Sezione II del CAPO VI di questo titolo, per ciò che riguarda il ritratto e senza
pregiudizio, riguardo alle fotografie riproducenti opere dell'arte figurativa, dei
diritti di autore sull'opera riprodotta.
Tuttavia se l'opera è stata ottenuta nel corso e nell'adempimento di un
contratto di impiego o di lavoro, entro i limiti dell'oggetto e delle finalità del
contratto, il diritto esclusivo compete al datore di lavoro. La stessa norma si
applica, salvo patto contrario a favore del committente quando si tratti di
fotografia di cose in possesso del committente medesimo e salvo pagamento
a favore del fotografo, da parte di chi utilizza commercialmente la
riproduzione, di un equo corrispettivo. Il Ministro per i beni e le attività culturali
con le norme stabilite dal regolamento, può fissare apposite tariffe per
determinare il compenso dovuto da chi utilizza la fotografia» (dalla Legge 22
aprile 1941, n. 633, CAPO V art. 88[10]).
La durata del diritto del detentore di questo sulla fotografia è di anni venti
(Legge 22 aprile 1941, n. 633, CAPO V art. 92[10]).
Il diritto tutela anche la privacy del soggetto fotografato. Infatti, è permessa la
diffusione di fotografie senza il permesso del soggetto solo nel caso
di personaggio pubblico, inteso come persona che, per lavoro o carica
istituzionale, è noto al pubblico, o nel caso la persona sia ritratta nel corso di
eventi aperti al pubblico (ad esempio se una persona partecipa ad una
manifestazione sportiva). Negli altri casi, il fotografo titolare dell'opera deve
ottenere il permesso (chiamato liberatoria) alla pubblicazione (intesa anche
come esposizione a una mostra) da parte del soggetto[11].

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