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Mario Botta
L’incontro con le opere di Luis Barragán (Guadalajara, 9 marzo 1902 - Città del Messico,
22 novembre 1988) lascia il segno non per le complicità teoriche o per le affinità elettive,
ma per l’intensità delle immagini, per le atmosfere rarefatte, per la luce che accarezza le
grandi superfici colorate, per la semplicità delle componenti, come se fossero racconti
sospesi.
Le rare volte che ho avuto l’opportunità di visitare alcune sue opere a Città del Messico, mi
hanno lasciato ricordi carichi di grandi emozioni e di profonda serenità. Barragán ha una
straordinaria comprensione degli spazi nella loro realtà domestica, dove la presenza
umana diviene la vera chiave di lettura. Gli spazi dell’architetto messicano sono intrecciati
con l’attesa del vivere e il trascorrere del tempo. Ciò che sorprende è la facilità di lettura
delle parti e, nel contempo, silenziosa e accattivante, la magia dell’invenzione
architettonica: elementare, tesa fra il variare del ciclo solare e la permanenza della gravità,
lo scorrere dell’acqua o i leggeri movimenti della vegetazione dell’intorno.
Ordine, luce e colori. Bastano forse queste poche parole per sintetizzare la complessità e
la misura poetica delle sue forme espressive; un linguaggio rarefatto e raffinato che
colpisce il fruitore.
Luis Barragán ha studiato ingegneria a Guadalajara e poi ha viaggiato, incontrato le
Avanguardie artistiche europee, e ha saputo dialogare con loro, ma nel contempo è stato
affascinato dalla grande tradizione rurale latino-americana. Nel suo linguaggio ritroviamo la
limpidezza della luce mediterranea che sopravvive con la perentorietà dei manufatti propri
delle culture primitive. Inoltre, ritroviamo la presenza dell’acqua come elemento
compositivo e progettuale, e un uso al limite dell’impegno “pittorico” di una gamma
cromatica sgargiante per le grandi superfici, quasi fossero opere uscite dal linguaggio
dell’arte concreta (Theo van Doesburg).
Nel centro storico di Tlalpan, un distretto di Città del Messico, la cappella per le suore
cappuccine nasce dal progetto di ampliamento del convento di clausura agli inizi degli anni
Cinquanta. Fu consacrata nel 1960 e conclusa definitivamente nel 1963.
L’architetto interviene all’interno dell’isolato per inserirvi la cappella, con i suoi articolati
volumi. La composizione planimetrica crea un patio-giardino immediatamente all’ingresso
mentre, verso il perimetro esterno del lotto, ridisegna la linea catastale di cinta. Questo
impianto di ricucitura urbana, che separa chiaramente la vita conventuale dagli spazi
cittadini, è una soluzione progettuale di grande qualità: nella cultura architettonica del
nostro tempo è cosa rara trovare proposte capaci di rispondere, al di là delle esigenze
funzionali, anche alla costruzione di nuove immagini della città. Con questa cappella
Barragán realizza un intervento di disarmante bellezza per l’articolazione degli spazi e per
la semplificazione di un progetto di per sé molto complesso.
Lo spazio interno della chiesa è dettato dal rigore geometrico e arricchito dall’atmosfera
generata dalla luce – attraverso la vetrata di Mathias Goeritz – che penetra a lato del
presbiterio e colpisce una grande croce di legno che si innalza dal pavimento. La semplicità
degli arredi liturgici, le grate che filtrano gli spazi di clausura, e la forza cromatica della luce
gialla riflessa dalle pareti, disegnano uno spazio di grande bellezza da fruire nel silenzio
conventuale che avvolge il fedele e il visitatore.
Mário Botta
Ordem, luz e cores. Talvez essas poucas palavras sejam suficientes para resumir a
complexidade e a medida poética de suas formas expressivas; uma linguagem rarefeita e
refinada que impressiona o usuário.
No centro histórico de Tlalpan, bairro da Cidade do México, a capela das capuchinhas nasceu
do projeto de ampliação do convento de clausura no início da década de 1950. Foi consagrado
em 1960 e concluído definitivamente em 1963.
O arquiteto intervém no interior do bloco para inserir a capela, com seus volumes articulados.
A composição planimétrica cria um pátio-jardim logo na entrada enquanto, em direção ao
perímetro externo do lote, redesenha a linha cadastral do limite. Este sistema de remendos
urbanos, que separa claramente a vida conventual dos espaços citadinos, é uma solução
projetual de grande qualidade: na cultura arquitetónica do nosso tempo é raro encontrar
propostas capazes de responder, para além das necessidades funcionais, à construção de
novas imagens de a cidade. Com esta capela Barragán realiza uma intervenção de beleza
desarmante para a articulação dos espaços e para a simplificação de um projeto em si muito
complexo.
O espaço interior da igreja é ditado pelo rigor geométrico e enriquecido pela atmosfera gerada
pela luz – através do vitral de Mathias Goeritz – que penetra na lateral do presbitério e atinge
uma grande cruz de madeira que se eleva do chão. A simplicidade do mobiliário litúrgico, as
grelhas que filtram os espaços fechados e a força cromática da luz amarela refletida nas
paredes, desenham um espaço de grande beleza a ser desfrutado no silêncio conventual que
envolve os fiéis e o visitante.