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STORIA DEL DESIGN

La scuola di Glasgow
Nella seconda metà dell’ottocento la produzione dei mobili si basava per buona parte sulla
ripresa degli Stili storici del passato, condizionati però dallo scadimento del gusto, complice la
stessa industria produttiva con le sue nuove potenzialità tecnologiche, gli oggetti prodotti nel
passato dalla creatività artigiana destinati ad un pubblico selezionato, venivano ora riproposti
con estrema confusione attingendo al romanico, al gotico, al rococò o al ‘500 italiano e
infarcendo con intrusioni nell’esotico e nelle civiltà orientali. Tale profusione di apparati
decorativi non poteva che esercitare effetti deleteri sul pubblico, dis-educando le capacità
critiche e disorientandolo tra il procedere in avanti delle strutture tecnologiche e il rivolgersi
all’indietro nei riferimenti culturali.
In tutta Europa nascono movimenti culturali con ideali di rinnovamento estetico già dalla metà
dell’800 che andarono man mano prendendo forma e maturità. Idea comune era il rifiuto delle
forme del passato, un atteggiamento apertamente ostile nei confronti dei repertori stilistici tipici
dello storicismo eclettico; tale ventata di novità coinvolgeva contemporaneamente tutte le arti.
Charles Rennie Mackintosh, nato a Glasgow il 7 giugno 1868 e morto a Londra il 10 dicembre
1928, architetto, designer e artista, fu una delle figure creative più influenti della Scozia. In
comune con molti dei suoi contemporanei pensava che l’architetto fosse responsabile non solo
del tessuto di un edificio, ma di ogni dettaglio del suo design degli interni. Fu uno dei più
sofisticati esponenti della teoria della stanza come opera d’arte e creò mobili altamente distintivi
di grande raffinatezza formale.
Animatore ed esponente più autorevole del gruppo conosciuto come “La Scuola di Glasgow”,
nella sua visione dell’Art Nouveau, si distinse soprattutto per aver recuperato e reinterpretato i
valori più autentici dell’espressione popolare scozzese e del gusto neogotico, con forte
attenzione verso la sobrietà e semplicità del design giapponese. Nelle arti giapponesi
arredamento e disegni puntavano alla qualità dello spazio, che aveva come principale funzione
l’evocare una sensazione di calma e pace inferiore.
Le sue opere conosciute in tutta Europa ebbero particolare distinzione nella Mostra della
Secessione a Vienna nel 1900 e nella Esposizione di Torino del 1902.
A testimonianza della grande vivacità e capacità creativa del Mackintosh, ancora oggi vengono
proposte copie contemporanee dei Suoi prestigiosi oggetti d’arredamento che il pubblico
continua ad apprezzare.
La Scuola d’Arte di Glasgow è composta da una serie di edifici tra cui il più famoso è quello
progettato dallo stesso Mackintosh, ove era ospitato un museo a Lui dedicato. Ma il 16 giugno
2018 ci fu un incendio. Molto era stato salvato dall’incendio nel 2014, purtroppo nel più recente
tutto l’interno del museo è andato distrutto e ne restano solo i muri perimetrali fortemente
danneggiati.

Gropius
In occasione della mostra "Bauhaus", tenutasi presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna
(GNAM) di Roma tra il 20 novembre e il 5 dicembre 1961, il prof. Emilio Garroni, docente di
filosofia estetica, intervista Walter Gropius che fu il direttore della celeberrima scuola di design
attiva a Weimar negli anni '20. Il brano è tratto dalla trasmissione RAI "Arti e Scienze". Nel filmato,
molto interessante, si riconosce anche lo storico dell'architettura Bruno Zevi.
Il bauhaus è stata la scuola più originale di tutti i tempi: gli allievi cominciavano a prendere
contatto con i materiali più elementari e più stravaganti, si abituavano a capire e a sviluppare le
possibilità dei materiali e costruivano degli oggetti astratti, ma concreti per la produzione. Il
bauhaus dà basi oggettive all’allievo per permettergli di sviluppare un proprio metodo.
Barragàn
Nato a Guadalajara, in Messico, nel 1902, Luis Barragán si laurea in Ingegneria Civile e
Architettura nel 1925. Dopo gli studi intraprende un viaggio di due anni in Europa che sugella
la sua passione per i giardini e il paesaggio. Rimane impressionato, infatti, dai cortili
all'italiana e dai giardini mediterranei, primo fra tutti il Generalife di Granada.
Barragán avvia l’attività di architetto verso la fine degli anni ’20. Nel suo primo decennio
professionale trascorso a Guadalajara, la sua opera resta ancorata all’universo culturale
locale tapatío e al repertorio linguistico dell’architettura mediterranea.
Con il definitivo trasferimento a Città del Messico nel 1936, inizia a sperimentare modelli
razionalisti di derivazione lecorbuseriana, trovando ispirazione nell’International Style.
I cardini della sua ricerca si manifestano a partire dal 1947, con la realizzazione della propria
abitazione-studio e con la decisione di occuparsi prevalentemente di architettura del
paesaggio, realizzando i piani di urbanizzazione per i Jardines del Pedregal di San Angel
(1945), i Jardines del Bosque di Guadalajara (1955) e Los Clubes, ad Atizapán de Zaragoza
(1964). Si tratta di insediamenti abitativi per i quali Luis Barragán, architetto e investitore,
pianifica ville e giardini alle periferie delle città, cercando di integrare il paesaggio quale
elemento compositivo, e di svilupparlo preservando l'integrità del suo ecosistema.
Per la lottizzazione di Los Clubes, insediamento residenziale in campagna con scuderie
annesse, Barragán sceglie colori sgargianti, l’impiego di coperture piane e l’inserto di spazi
recintati. L'intervento più caratteristico è la Fuente de Los Amantes, riconoscibile per la
stereometrica cascata sullo specchio d’acqua, con richiami all'infanzia e alla cultura
popolare messicana.
Stilemi linguistici che attingono dall’architettura tradizionale messicana appaiono anche in
piccole costruzioni civili come l'iconica Casa Gilardi (1980) a Città del Messico (1976-77).
L’abitazione si organizza intorno a un patio dominato da un grande albero di jacaranda ed è
attraversata da un corridoio che distribuisce gli ambienti domestici, aprendosi verso la
piscina annessa alla zona pranzo. Qui i piani di luce, i colori puri nei toni del rosa, blu e rosso
e l’acqua dilatano lo spazio per ricomporsi in una sequenza di frammenti neoplastici e spunti
mistici dalla forte carica emotiva.
Lo studio di Barragán per i volumi verticali culmina nel Faro del Commercio a Monterrey
(1977), progetto in cui due sottili lamine di cemento formano una stele slanciata sul
paesaggio urbano fungendo da centro per la Macroplaza della città di Monterrey e da
landmark nell’ambiente montano.
Nelle Torri del Satellite, realizzate in collaborazione con l’artista Mathias Goeritz a Città del
Messico nel 1957, cinque torri monolitiche, tutte di colori diversi, recuperano la semplicità
volumetrica e cromatica dei pionieri dell’architettura moderna. Un monumento a scala
urbana, capace di segnalare a distanza il nuovo quartiere della città in chiave metafisica.
Luis Barragán riceverà il premio Pritzker nel 1980 per aver saputo trarre ispirazione
dall’architettura popolare caratterizzata da pareti imbiancate a calce, da cortili dai colori
intensi e da elementi compositivi rurali come abbeveratoi, granai e corti di campagna.
Proprio dalla tradizione contadina egli ha voluto restituire, rinnovandolo, un approccio
semplice alla vita, con una dose di raccoglimento e nostalgia.
Malato di Parkinson da svariati anni, Barragán muore il 22 novembre 1988 nella sua casa a
Tacubaya, Città del Messico.
Attraverso i suoi progetti di case, cappelle, piani di urbanizzazione ed edifici urbani, Barragán
esplora le infinite risorse progettuali e cromatiche dello spazio, inseguendo la poetica delle
emozioni.
“Casa-Studio”: Costruita nel 1948, la casa-studio di Luis Barragán fu l’abitazione
dell’architetto messicano fino alla sua morte nel
1988 ed è riconosciuta come una delle opere
significative sia della sua produzione che
dell’architettura del XX secolo, tanto da essere
stata inserita tra i Patrimoni Mondiali
dell’Umanità dall’UNESCO nel 2004. Oggi è un
museo visitabile su appuntamento e uno dei
luoghi più visitati dagli stranieri a Città di
Messico: si trova in una piccola strada di un
quartiere popolare, formato da semplici abitazioni
popolari, ai numeri 12 e 14 della Calle General
Francisco Ramírez. Al 12 c’è l’ingresso dello studio dell’architetto ed al 14 quello della sua
abitazione privata. Benché i due spazi siano divisi, Barragán ha cercato di integrare tra loro
tutto il complesso, uniformando gli spazi e l’estetica delle
stanze. Entrando nella casa dalla strada, il primo ambiente è
un piccolo corridoio illuminato attraverso un vetro giallo che
inonda la stanza con luce calda. In quanto confine tra interno
ed esterno, questo spazio è un luogo di attesa, che prepara
l’utente ad entrare nella casa evidenziando da subito i
materiali impiegati cioè la pietra, il legno e le pareti
imbiancate a calce. All'ingresso vero e proprio, separato dal
precedente ambiente da una porta, dominano i giochi di luce
sulle pareti dipinte in giallo oro e rosa e la scala essenziale e
senza ringhiera.
Uno spazio a doppia altezza ospita lo studio ed il soggiorno,
divisi da alcuni muri bassi che consentono alla travatura di
dare un senso di continuità. Le pareti sono bianche con
piccole porte che conducono ai locali di servizio. La finestra
principale si affaccia sul giardino. Altri spazi al piano terra comprendono sala lettura–
biblioteca e una sala da pranzo dal soffitto basso e una parete fucsia con in mostra ciotole
in ceramica provenienti da tutte le parti del Messico.
La sala da pranzo, il soggiorno, il tinello e la cucina si affacciano tutti sul giardino,
originariamente pensato come un semplice tappeto erboso. Con il tempo Barragán fece
invece crescere un certo numero di piante semi
liberamente, arrivando ad ottenere un ambiente
quasi selvaggio: questo apparente disordine è in
realtà perfettamente studiato per fare risaltare
ancora di più il senso di semplicità e di calma
che irradiano i volumi e gli spazi puri della casa.
La facciata posteriore della casa, rivolta a ovest,
è completamente diversa dalla facciata fredda
ed impenetrabile della strada, non solo nella
proporzione delle finestre ma anche e
soprattutto per il dialogo che si crea tra l’interno
e l’esterno, in questo caso tra la casa e il giardino.
Il piano superiore è lo spazio più privato della casa. Vi si accede tramite scale di pietra prive
di ringhiere – una tipica caratteristica di Barragán – e contiene una camera da letto
principale con cabina armadio, una camera per gli ospiti e una terza stanza. La camera da
letto principale ha una finestra che si affaccia sul giardino ed era dove l’architetto dormiva,
semplicemente definendola la “sala bianca”; lo spogliatoio ad essa collegato è anche
chiamato “Cuarto del Cristo” (stanza del Cristo) per la presenza di un grande crocifisso. Tutti
questi ambienti danno una sensazione monastica a causa della scarsità e del genere di
arredamento, che peraltro riflette in pieno le convinzioni francescane del devoto Barragán.
Una piccola scala conduce al tetto-terrazza in cui gli alti muri sono color rosso scuro,
marrone scuro quasi grigio e bianco candido ed il pavimento è di piastrelle di ceramica
rosse. Le pareti hanno l’effetto di inquadrare il cielo e di nascondere la canna fumaria, il
serbatoio per l’acqua e le scale di servizio. Il lato rivolto verso il giardino ha una semplice
ringhiera di legno, così da ostruire il meno possibile la percezione della natura sottostante.

Brionvega
Brionvega è un marchio storico del design italiano, nato negli anni Sessanta del secolo
scorso e noto per la produzione di apparecchi elettronici innovativi, alcuni dei quali sono
rimasti tuttora in commercio. Brionvega è riuscita a scardinare il concetto di elettronica di
consumo grazie a designer geniali, che hanno firmato apparecchi radio e tv in
controtendenza rispetto ai modelli visti fino ad allora, prodotti come Radio Cubo o
Radiofonografo, che sono entrati nella storia del design italiano. Quella di Brionvega è una
storia di arte del design, modelli non convenzionali, prodotti cult che hanno contribuito ad
arricchire anni già carichi di idee e innovazione. Fatta eccezione per i televisori Doney e
Algor, firmati da Marco Zanuso e Richard Sapper, e l'impianto stereo Totem, di Mario Bellini,
che non sono più in produzione, Radio Cubo e Radiofonografo hanno conservato quasi
inalterato il design originale, semplicemente evolvendosi in versioni tecnologicamente più
avanzate.
Radio Cubo Brionvega, l'icona che ha rivoluzionato il design Hi-Tech
Brionvega propone un design industriale senza tempo. I
suoi prodotti innovativi, diventati simboli del design
italiano in grado di sorprendere e appassionare, si
contraddistinguono per il loro stile unico e ricercato. Un
grande classico del design made in Italy che nasce dalla
creatività dell’Azienda è Radio.cubo TS522D+S, che con il
tempo si è migliorata rimanendo sempre se stessa.
Questa design radio ha una forma iconica, così unica che
da oltre cinquant’anni non ha mai avuto bisogno di
cambiare. Permette di riprodurre ad alta definizione le proprie playlist da smartphone, tablet
o pc, grazie al semplice utilizzo del Bluetooth di ultima generazione o tramite cavo Aux. È
inoltre dotata di telecomando per comandarla comodamente a distanza e di un ingresso per
una seconda cassa, per un’esperienza d’ascolto ancora più completa. Radio.cubo TS522D+S
ha assunto col tempo una potenza e una profondità di riproduzione dell’audio ancora
maggiore, grazie a una rinnovata elettronica e a strutturali miglioramenti interni. Inoltre, la
sua nuova batteria ricaricabile al litio permette di portarla sempre con sé e di garantire fino a
sei ore di ascolto continuato. Le emozioni e le sensazioni di Radio.cubo TS522D+S
Bluetooth sono disponibili nei classici colori Brionvega che hanno segnato decenni di storia:
arancio sole, bianco neve, rosso e nero notte, oggi anche giallo, il suo colore originario.
Radiofonografo Brionvega, un prodotto unico e di design
Il Radiofonografo Brionvega vanta oltre mezzo
secolo di vita e una storia che affonda le sue
radici nella costruzione a mano della prima
versione. Firmato nel 1965 da Achille Castiglioni e
dal fratello Pier Giacomo Castiglioni e raccontato
da un sorriso che non è mai cambiato nei decenni,
il radiofonografo ha uno stile incomparabile, che
lo rende davvero unico. Un prodotto di altissimo
artigianato, dato da materiali pregiati e
caratterizzato da forme antropomorfe che ne
caratterizzano il design ricercato. A questi
elementi si aggiungono un’incredibile definizione del suono e la flessibilità, che gli permette
di orientare lo stesso suono nel modo più idoneo nell'ambiente circostante. Come l’originale
del 1965, ancora oggi il Radiofonografo RR226-O viene realizzato e prodotto con la stessa
scrupolosa e attenta cura, come omaggio a uno dei pezzi più iconici e desiderati del design
industriale totalmente made in Italy, realizzato da maestrie artigiane in Italia su ordinazione.
Il radiofonografo Brionvega, completo di giradischi e amplificatori, grazie al suo stile unico, è
entrato a far parte della collezione personale di famosi musicisti, artisti e amanti del design
di tutto il mondo. Oggi è disponibile anche in edizione limitata in Noce Canaletto, riprodotta
in soli 100 pezzi da collezione.

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