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Dal sogno

Giambattista Piranesi e William Blake


alla Caixa Forum di Madrid

Con lacume che caratterizza la sua prosa saggistica e lo sguardo sagace del genio
creativo, tra il 1959 e il 1961 Marguerite Yourcenar scrive La mente nera di Piranesi,
unanalisi accurata e illuminante dellopera dellartista veneziano che nel profluvio della sua
produzione lasci sedici tavole dal titolo Carceri dinvenzione, grandiloquenti teatri in cui la
miseria umana perviene quasi a tratti di sublimit, rappresentazioni incise oltre due secoli e
mezzo fa che non smettono di sconcertare la mente di chi le contempla oggi.

Las Artes de Piranesi, la mostra allestita in maniera impeccabile e avvincente dalla


Caixa Forum di Madrid, in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini, dal 24 aprile al 9
settembre 2012, ha incluso le stampe di quelle Carceri per le quali leclettico architetto
veneziano stando alla definizione che per s stesso distill Giambattista Piranesi, pur avendo
realizzato un solo progetto come tale, quello commissionato da Monsignor Rezzonico della
Chiesa di Santa Maria del Priorato a Roma, una ristrutturazione in cui pot finalmente
concretare nello stucco e nel cemento la sua visionariet proteiforme e sperimentale rimasto
forse pi celebre, e che, nel suo saggio, Marguerite Yourcenar considera con le Pitture nere di
Goya, una delle opere pi segrete che ci abbia lasciato in eredit un uomo del XVIII secolo, in
quanto, come rimarca lautrice di Con beneficio dinventario, [I]nnanzitutto si tratta di un
sogno. E in quel sogno il visitatore della mostra potuto entrare, per qualche attimo racchiuso
in uno spazio foderato doscurit, a meditare su quel palcoscenico ulteriore della tragedia umana
plasmato da Piranesi sulle lastre e infine sulla carta, e proiettato a sua volta in tre dimensioni dai
sofisticati mezzi della tecnologia postmoderna che lanticipatore e visionario architetto
veneziano avrebbe senzaltro apprezzato che hanno permesso a chi abbia voluto rimanere a
guardarlo di addentrarsi in quellarchitettura del caos della mente mascherata da ornamenti
inutili e paradossalmente sorretta dallalternanza di inamovibili pietre e vertiginoso vuoto,
abitata da prigionieri titanici incapaci di sfuggire al supplizio del vivere, da torturati e rovine
accasciati insieme contro il pervasivo senso di morte che pare produrre uneco incessante in
quello spazio improbabile, e da figure, magari umane, che talvolta non si distinguono dai
bassorilievi e dai trofei che in modo eccessivo e incongruo adornano quelle prigioni.

Il prolifico e poliedrico Piranesi, che nel corso della sua non lunga vita oltre a essere
architetto sar teorico, incisore, vedutista, antiquario e designer, allet di ventitre anni ha gi
dimostrato le sue doti eccelse di acquafortista nelle stampe raccolte nel primo volume di Prima
Parte di Architetture e Prospettive, che articolano visivamente la sua grande ammirazione per
larchitettura romana, una costante nella sua creazione e nei suoi scritti teorici, in cui sosterr
senza cedimenti n screpolature loriginalit e in ultima istanza la superiorit di questa a fronte
delle tesi di Leroy, Laugier e Winckelmann, che avvalorano invece la supremazia dellarte
greca. La forza immaginifica che Piranesi intesse alla materia archeologica converge in
unestetica della mortalit che sancisce le testimonianze marmoree dellAntica Roma come
primo livello nella stratificazione di civilt fabbricate dallillusoria aspettativa umana di
perpetuit, e rose fortuitamente dalla caducit fatta tempo perenne che ramifica come erba
selvatica negli spacchi della pietra dura. In Ara Antica, Piranesi intaglia rovine enormi che
sovrastano piccole figure di uomini o parti disgiunte di scheletri, ingombranti avanzi di
architetture sovrapposte ribaltati in unaccozzaglia di svariati declini; e davanti alle quattro
stampe de I grotteschi, si spettatori dellultimo rigurgito dellartificio della civilt nelle
sembianze di un Rococ estremo, forgiato su decorazioni ridondanti e vane che larchitetto
veneziano non esita a saldare alla sua idea del mondo antico. Da qui si levano i resti dei suoi
autori ridotti a macabri teschi, come nellinquietante Tomba di Nerone, dalle cui fenditure si
riversano serpi chimeriche e segni di mortalit squagliata; la gloria si sgretola a risibile mucchio
di frantumi di marmo e polvere ne Larco trionfale, dove le piante infestanti si fanno ironiche
corone degli archi eretti a vittorie ormai remote e abbattuti infine dalla tenacia della natura
indomita e dal tempo, orditore endemico di un decadimento cui neppure gli di paiono sottrarsi.

Iniziatore dellarcheologia moderna e membro della Real societ degli antiquari di


Londra, Giambattista Piranesi affida allarte romana la somma testimonianza della grandezza
creativa e progettuale umana, che filtra a sua volta dal suo sguardo settecentesco per cogliere le
ineludibili marche del declino della civilt e dellesistenza in quelle pietre e in quegli oggetti
che diventano al contempo depositari della magnificenza e del degrado, del progressivo
deterioramento e della sopravvivenza. La passione dellartista veneziano per le cose che hanno
perdurato nel corso dei secoli appartandosi dal continuo dramma del disfacimento, linteresse
per quei luoghi ufficiali della morte che si sono preservati a Napoli ed Ercolano dove con
fervore si dedica al lavoro di scavatore e filologo nello studio e nella classificazione dei reperti
archeologici che trasfigura nelle perturbanti Camere sepolcrali, la sua personalissima
rappresentazione delle rovine come pietrosa eco di civilt passate in mezzo alle quali si perdono
i gesti enfatici e teatrali di minuscole figure umane che forse vogliono far giungere a chi le
guarda la loro tragica, muta disperazione, sono parte di una dualit permanente nellopera di
Piranesi costituita, da un lato, dallattestazione magnificata dellineluttabilit della decadenza, e
dallaltro, dallimpulso a tener lontano il caos oscuro della distruzione e della morte attraverso
la precisione millimetrica dei bassorilievi realizzata magistralmente nelle imponenti acqueforti
delle colonne di Marco Aurelio e di Antonino Pio e Faustina, le simmetrie e la stilizzazione
dellarte egizia che lincisore veneziano recupera nella serie intitolata Diverse maniere
dadornare i cammini, le ordinate geometrie e prospettive che profilano certe vedute di Roma e
lo scrupoloso assetto planimetrico del Piranesi cartografo.

questo dualismo contraddizione vitale in chi volge lo sguardo allantico e lo proietta


poi oltre i confini del proprio momento storico; nello strenuo difensore di unarchitettura, quella
romana, che non incontra il favore di chi decreta i canoni dellepoca, e nel topografo e
progettatore cui nella pratica non concesso lo spazio per ledificazione delle sue ardite visioni;
nellantiquario sedotto dalla bellezza foggiata in forme remote e custodita a dispetto del tempo,
e nel decoratore e designer che si fa precursore del Modernismo e dellArt Dco. Da ultimo, nel
visionario che nellintento di compenetrare il passato di inquietudini del presente lascia colare
sul marmo e la creazione un inestinguibile senso di mortalit su mortalit.

Contigue nel sofisticato spazio minimal della Caixa Forum a quelle dellartista
veneziano sono state per oltre due mesi forse per mera coincidenza temporale o per un fausto
programma organizzativo non tanto accidentale, e comunque dalleffetto suggestivo le
figurazioni altrettanto visionarie del poeta, artista e incisore William Blake. Con Visiones en el
arte britnico, sono stati esposti dal 4 luglio al 21 ottobre 2012 acquerelli, stampe miniate,
acqueforti a rilievo e pitture a tempera provenienti dal fondo della Tate Gallery di Londra, opere
dalla cifra distintiva elaborate dallocchio interiore di un artista tormentato, demistificatore e
manifestamente scontento del suo tempo, che fu fervente sostenitore degli ideali della
Rivoluzione Francese, della libert sessuale, e dei diritti delle donne rivendicati in quegli anni
da unilluminata Mary Wollstonecraft, e fu mosso da unirrequietudine creativa che conflu in
una straordinaria iconografia di soggetti specialmente biblici e mitologici il cui sperimentalismo
tecnico e audace simbolismo tematico furono il motivo del suo stentato consenso in vita al
cospetto di critici inclini a suffragare un tipo di arte pi rassicurante e convenzionale, e di una
borghesia che andava consolidando il suo status facendo propri unideologia e un gusto estetico
di segno pi opportunamente conservatore , e di una maggior fortuna postuma generata
dallispirazione che nella sua opera trovarono in seguito certi pittori preraffaelliti, neoromantici
e postmoderni.

Nelle sue innovatrici incisioni a rilievo colorate a mano, negli acquerelli di piccolo
formato e nei dipinti a tempera, Blake rompe i codici di comportamento sociali, mette in scena
la giovinezza e la sua brama di affrancarsi da uninflessibile, statica legge del padre, e
rifacendosi ai personaggi di una mitologia di matrice pagana, dellAntico Testamento e del
Paradiso perduto di Milton, cos come a quelli di una pi personale cosmogonia permeata di
una significazione profetica, ritrae il conflitto teso e la drammatica, persistente lotta tra gli
agenti delloppressione e le forze che si ribellano allordine costituito. Robusti corpi
michelangioleschi, quasi primitivi, che terminano in volti espressionisti si stagliano con la loro
sofferenza nel frontespizio e nelle acqueforti colorate ad acquerello delle Visioni delle figlie di
Albione, con le quali Blake illustr uno dei suoi libri profetici in cui le donne dInghilterra,
rappresentate in lacrime e in catene, si fanno simbolo della repressione e della disuguaglianza. Il
tratto sottile e stratificato con il quale lartista e poeta modella e infonde vigore ai protagonisti
delle sue scene bibliche e mitologiche accompagna i movimenti fluttuanti delle figure e dei loro
allucinati sogni, che insieme ai toni accesi di rosso e arancio suggeriscono a volte il trasporto
delle fiamme, come nel Libro di Urizen o in Elohim crea Adamo, dove un Adamo prostrato
e affranto si rivela nel momento in cui prende corpo ed esce dallo stato spirituale, gi avvolto
nelle spire del serpente, predestinato dunque dal suo stesso creatore, tirannico legislatore che
non esiter a mettere in atto le conseguenze della sua disubbidienza, come larcangelo Michele
gli mostra nella conturbante visione ispirata ad alcuni versi di Milton intitolata La casa della
morte, abitata da uomini afflitti dalla malattia e dallimpietosa caducit.

La critica aperta e incondizionata al potere istituzionalizzato e alla chiesa anglicana


percorre lopera di Blake come un filo conduttore; alcune delle sue espressioni pi eloquenti
sono senza dubbio lacquerello I ventiquattro anziani depongono le loro corone davanti al
trono divino, il cui palcoscenico celeste incorniciato da cortine intessute di piume, occhi e teste
di rapaci anticipa il surrealismo di Max Ernst, e La forma spirituale di Pitt guida Behemoth,
una tela caratterizzata da un fondo scuro percorso da rivoli dorati che sintrecciano al groviglio
di corpi di ispirazione gotica e rinascimentale, definiti dallo spessore della tempera, nella quale
Blake raffigura dei gironi danteschi per alludere alla distruzione della guerra dichiarata alla
Francia rivoluzionaria dal Primo Ministro inglese William Pitt. Il senso di ingiustizia sociale
che lartista vive reso nel meticoloso lavoro dincisione su piccolo formato del Libro di
Giobbe e nellideazione degli incubi del personaggio biblico con cui lartista si identifica per la
sofferenza cui il patriarca stato sottomesso dalla divinit senza aver commesso alcun peccato:
dal suo tratto fino emergono Giobbe soggiogato da Dio e figure piegate su s stesse che tentano
di ripararsi dalle forze del male che incombono su di loro o che a loro si avvinghiano come
tortuosi, fatali flussi.

Anche la visionariet di Blake, pertanto, al pari di quella di Piranesi infiltrata di una


tragicit inesorabile, che lartista britannico delinea in volti atterriti dalle pene innescate come
moto perpetuo non da unentit fisicamente elusiva quale il tempo che larchitetto veneziano
incide tenacemente con i suoi innumerevoli strascichi e appendici di declino , ma da un ordine
supremo, divino o terreno, che assume le variegate forme e sembianze di sinistre chimere,
mostri ibridi e barbuti creatori implacabili. Nelle visioni di Blake viene meno il sostegno di
colonne e archi, per quanto affacciati sul vuoto o crepati da erbe selvatiche, che nelle acqueforti
di Piranesi fanno da contrafforte al dolore e allo sgomento delluomo, e talvolta pervengono a
delimitare il caos. La crosta, seppur friabile, dellartificialit del Rococ che Piranesi stende su
templi e rovine per ammantare e dissimulare il disfacimento che condanna luomo e contamina
la sua opera, svanita definitivamente dai paesaggi onirici di William Blake, marcati da
tramonti infuocati di sole denso o da grumosi sfondi notturni contro i quali si levano massicci
corpi stremati, spogliati non soltanto delle vesti ma anche dellimpeto, a volte, nellestenuante
processo di rivolta contro la legge. La salma del Redentore che interrompe la verticalit delle
figure che lo trasportano con compostezza e in silenzio nella splendida tempera su tela Il corpo
di Ges Cristo portato al Sepolcro, i personaggi fasciati dal rosso delle fiamme o intinti nel blu
freddo della morte che in primo piano, sulle diverse gradazioni di grigio e sul nero, rendono
manifesto il tormento per i castighi che sono stati loro inflitti nella rappresentazione fortemente
simbolica dellInferno di Dante, e laccostamento frequente di soggetti longilinei ed evanescenti
e di nudi nerboruti complementati da espressioni di chiara angoscia, sono gli elementi che in
Blake si fanno architettura architettura dei corpi che lartista e poeta britannico innalza contro
lautorit dogmatica e castrante, nella sua visionaria rivendicazione di unumanit oltraggiata e
oppressa.

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