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SU PIRANESI

Manfredo Tafuri (1989)

Molta parte della letteratura settecentesca era occupata nella diatriba tra la
superiorità dell'architettura greca su quella romana e viceversa. Vitruvio aveva
affermato che i greci avevano preso la loro architettura dagli egiziani, l'avevano
perfezionata e successivamente trasmessa ai romani. Per cui gli scrittori
favorevoli ai greci affermavano che l'architettura romana era una semplice
derivazione da quella greca e viceversa. I favorevoli ai romani ribadivano che
quest'ultimi avevano portato l'architettura al massimo vertice di perfezione.
In questa polemica troviamo coinvolti G.B.Piranesi accanito "romano" e
Winckelmann appassionato e studioso all'arte greca.

"Magnificenza e architettura de' Romani"

Piranesi si stabilì a Roma nel 1744 e in questo periodo le rovine della città erano
considerate dagli studiosi come le più attendibili e interessanti fonti per l'arte e
l'architettura romana. Piranesi da queste rovine ne trae le sue incisioni per
dimostrare la grandezza e la magnificenza dell'architettura romana; tranite ad
esempio le "Opere varie" e le "Antichità Romane". Egli utilizzando complicati punti
di vista e un uso drammatico delle luci e delle ombre seppe dare nuove dimensioni
alle rovine romane; suggerì nuovi concetti di massa e di spazio architettonico.
Piranesi, sosteneva che "la dignità e la magnificenza romana" si esprimesse
attraverso l'enorme massa di edifici e di rovine; ne ingigantì dunque le dimensioni
tanto che,secondo Honour, molti studiosi provenienti dall'Europa (tra cui anche il
Goethe) quando arrivarono a Roma, rimasero delusi nel trovare le rovine molto
meno imponenti di quanto non le avevano immaginate dalle acqueforti piranesiane.
Secondo il parere del Kaufmann le architetture delle "Antichità Romane" o delle
"Opere Varie" sono un insieme casuale di elementi classici senza prestare
attenzione nemmeno alla realtà topografica o alla precisione archeologica.
Vengono visti come uno sfogo interiore dovuto alla sua profonda irrequietezza.
Le idee teoriche di Piranesi, furono espresse nella polemica "Della magnificenza ed
architettura de romani" del 1761; in cui egli sosteneva che gli etruschi, avevano
portato la pittura la scultura l'architettura e la matematica e tutte le arti tecniche
alla perfezione e che i loro naturali eredi furono i romani e non i greci, i quali
invece, degradarono tale livello di cultura.
Se dunque le "Antichità romane" si possono considerare come una grande raccolta
di dati archeologici, uno studio sui monumenti mediate un controllo più o meno
diretto diretto sulle fonti, la "Magnificenza..." invece viene a presentarsi come
un'opera decisamente teorica ma polemica. E infatti i motivi che portano Piranesi
a comporre un'opera come la "Magnificenza..." sono proprio questi avvenimenti:
nel 1755 lo scrittore Allan Ramsay (il quale si firma con lo pseudonimo "The
Investigator"), in un suo articolo attribuisce ai goti e agli altri barbari la superiorità
architettonica rispetto ai romani; nel 1758 David Leroy scrive un articolo "Les
ruines des plus beaux monuments de la Grèce", dove esaltava la purezza e le
invenzioni dell'architettura greca rispetto a quella romana dalla quale derivava.
La cosa imortante del volume del LeRoy (a cui seguiranno moltissimi studi di
rilievo sul luogo degli antichi edifici di Atene e dintorni per mano del Mariette) è
che si appoggia ideologicamente nientemeno che a Montesquieu - "Considerazioni
sulle cause della grandezza dei Romani e della loro decadenza" (1734) -. Quindi si
appoggia ad idee illuministe di tutto rispetto, e il LeRoy cita proprio il passo di
Montequieu che scrive "un edificio carico di ormamenti è un enigma per gli occhi
come un poema confuso lo è per la mente". Osservando il passaggio da un edificio
dell'età classica greca ad un qualsiasi complesso romano, si può vedere, secondo il
LeRoy, il Mariette, il Winckelmann, e tutti i sostenitori dell'arte greca, una
decadenza, perchè i romani non sono altro che barbari corruttori, che sporcano
con la funzione, con l'uso, con il sovraccarico di ornamenti e creano enigmi per gli
occhi; mentre la limpidezza dello stile classico dell'età periclea sarebbe modello di
chiarezza e illuminazione dello spirito.
Ma c'è ben altro, nel 1756 si era stabilito a Roma il Winckelmann, divenuto il
bibliotecario e il conservatore del cardinale Albani. Winckelmann era un grande
ammiratore dell'arte greca, il quale, disprezzava la massa ignorante degli
"antiquari" romani. E proprio da questi antiquari che il Piranesi prese aiuto per
raccogliere la grande massa di citazioni e letture del suo scritto.
Per il Winckelmann è studiando l'arte greca che si potrà arrivare all'"essenza"
dell'arte. La storia dell'arte da lui proposta è una storia evolutiva, basata su un
concetto di progresso, ma che è pessimista al fondo, sulla possibilità di poter
continuare in maniera indefinita il progresso delle arti stesse.
Il Winkelmann è nominato Comissario delle Autorità alle Antichità della Camera
Apostolica. Questo è molto importante perchè con tale nomina significa essere il
curatore di tutte le antichità a Roma, del partimonio archeologico scavato o non
scavato e sistemato nei musei Vaticani (che ancora non esistevano come tali, ma
che saranno creati dal successore di Winckelmann). E significa quindi essere
riconosciuti ufficialmente a livello internazionale come il capoguida della nuova
scuola filologica. Sicuramente questo viene visto da Piranesi come un'offesa
personale. Egli, nel 1756, aveva offerto, con le "Antichità Romane" un'enorme
antologia, un'opera di carattere enciclopedico, e qualche anno dopo, si vede

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scavalcato dal Winkelmann, ma principalmente da una tesi opposta alla sua; "il
primato non è dei romani ma dei greci".
Piranesi si sente praticamente offeso da questo continuo richiamo alla Grecia, e
l'opera del 1761 è un'opera che cerca di dare una base strettamente teorica al
precedente volume delle "Antichità Romane" del 1756. L'opera della
"Magnificenza..." è formata da un frontespizio, 23 pagine di testo e 9 tavole. Il suo
obbiettivo è quello di invertire la polemica: sono i greci quelli che creano un'arte
decadente e leziosa (di naniera), ma rifiuta anche il canone vitruviano e il
classicismo di Palladio, in nome di una libertà di invenzione accompagnata da
armonia e non di arbitraria confusione. (Eugenio La Rocca)
Secondo Tafuri, il testo della "Magnificenza" tocca comunque questioni
fondamentali dell'arte: per Piranesi la discussione più importante sarà sulla natura
e sul destino dell'architettura.
Piranesi parte da una considerazione del naturalismo e quindi dell'architettura
come arte mimetica, arte naturalistica, e della derivazione degli ordini
architettonici dalla capanna primitiva. La colonna come albero, il capitello come
elemento di giunzione tra l'architrave e la colonna stessa. Triglifi e metope come
elementi di legno portanti (travi, sottotravi, travicelli), timpani come tetto. Egli
nota che non sono stati affatto i Greci, bensì gli etruschi, quindi i romani primitivi,
ad aver dato la massima purezza a questa derivazione degli organi architettonici
della struttura primitiva della capanna. Percoò l'architettura perfettamente
razionale sarebbe stata la capanna dell'uomo primitivo. Ciò che interessa a
Piranesi è di dimostrare che la magnificenza dell'architettura romana non si può
ridurre a mera decorazione fine a se stessa.
Egli riprende proprio da Tito Livio gli echi di quella che era stata una dura politica
di austerità, imposta dalla instaurazione della Repubblica, Piranesi rivendica alla
civiltà romana più antica, la priorità dell'utilità pubblica, e quindi il rifiuto del lusso,
come una scelta deliberata, non dettata da povertà, ma da un'autentico
orientamento sociale. In questo nucleo primigenio dell'architettura romana, in cui è
possibile cogliere la sua vocazione più autentica (ma che oggi sappiamo essere
interamente debitrice degli Etruschi) si deve riconoscere la vera grandezza, la
reale magnificenza dei Romani. I Greci sono l'esaltazione e la sublimazione del
lusso. Ma dov'è il lusso dei Romani nella Cloaca Massima? Dov'è negli acquedotti?
Dove esistono colonne aggiunte, capitelli raffinati? Non certo nelle grandi opere di
ingegneria. Lì si tratta di ingegneria "Utilitati Pubblicae" come scrive nella
rimorsura della dedica a Lord Charlemont. E' la prima volta che una architettura
utilitaria viene esaltata per la sua bellezza. Piranesi dà un'enunciazione teorica a
quanto aveva già affermato nelle tavole dell'"Antichità...".
Ecco quindi Greci leziosi e ornati in modo arbitrario, Roma austera, vigorosa, che
eredita dall'etruria primitiva il primato del funzionalismo e dell'interesse pubblico.

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Il Winckelmann non tacerà di fronte alla "Magnificenza e architettura dei Romani".
Ma Piranesi non parlerà mai del Winckelmann; non esiste una lettera di Piranesi
sul Winckelmann, non esiste uno scritto, ciò è logico, in quanto non conveniva
attaccare, da un punto di vista erudito, il Consulente Ufficiale del Cardinale Albani.
Secondo il parere di Tafuri, la polemica tra il Winckelmann e Piranesi ha anche
un'altro risvolto, che è specificatamente linguistico. Winckelmann con la sua teoria
dell'imitazione del bello idealizzato, blocca l'arte, la ferma, la chiude. C'è per
Winckelmann, d'ora in poi, un eterno presente, una eterna imitazione, uno star
fermi. Il classico sopravvive a sè stesso in maniera indefinita. E questo significa
imitazione della bella e nobile semplicità della Grecia. Per Piranesi il classico, al
contrario, è lì per essere consumato. L'operazione che i Romani sembrano fare
rispetto all'arte Greca è proprio quella di sporcare con la funzione. Questo parlare
dell'infinito del tempio Greco che contempla, tramite la sua finitio l'infinito.
L'architettura Romana, prende questi frammenti di contemplazione e li
conpromette con il finito, con le funzioni umane, funzioni urbane. Tramite il
modello si deve approdare ad una operazione di corrosione, di logorio, di consumo,
ad un vero e proprio consumo estetico. Sembra in fondo questa la strada che
indica il Piranesi; ed allora quel classico esaltato come magnificenza, se è li per
essere consumato, distrutto, significa che stà aspettando la fine, è lì per la
propria morte.
Con molta probabilità Piranesi contesta anche le idee del Lodoli teorico
dell'architettura "razionale" o, per usare un termine piranesiano, "rigorista" anche
se lo stesso Piranesi non cita mai neanche il Lodoli, ma gli stessi suoi avversari
francesi. L'analisi razionalista derivante dal Lodoli è un'architettura dorica in
contrasto con l'ordine toscano. Vitruvio aveva affermato che il tempio dorico
derivava dalle costruzioni primitive in legno; Piranesi vuole invece dimostrare che
l'architettura di ordine dorico distorce e altera la logica di una costruzione in
legno, ma che invece più si addice nell'ordine toscano, addirittura considerato
nell'architettura etrusca.
Questo quarto ordine architettonico resta un punto centrale nelle polemiche
successive dalla "Lettera al Mariette" al "Parere..".
Il testo della "Magnificenza.." si può vedere sotto un altro aspetto che non era
stato colto in un primo momento. La parte teorica della "Magnificenza...", anticipa
quella del "Parere..". Già nella "Magnificenza.." infatti, Piranesi ci da
un'enunciazione sulla legge e sulla trasgressione, indicando con esattezza la
natura della legge e il soggetto che può permettersi una trasgressione. E, infatti,
verso la fine della "Magnificenza.." Piranesi scrive:

"Se poi da ingegno vi è più penetrante, e da spirito più venturoso


(l'architetto viene incitato ad intraprendere qualcosa di grande), mettesi
pure in campo con la benedizione del cielo e degli uomini, inventi nuove

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regole, inventi nuovi ordini per adornare ed arrricchire l'architettura;
sarà ciò per esso la via più spedita a procacciarsi fama e lode del suo
nome".

In queste poche righe troviamo enunciata una trasgressione che si riferisce alla
libertà, ed è permessa allo spirito "più venturoso"; vale a dire che la trasgressione
, l'invenzione di nuove regole, è permessa "all'ingegno più penetrante", a colui che
ha della genialità, al "genio" dunque. Ed ecco che, la "Magnificenza...", che era
sembrata un inno al rigorismo romano e alla austerità etrusca, comincia a
cambiare volto, comincia a sdoppiarsi. Già ci appare come un'opera dialettica, o
meglio l'esteticità che essa presuppone è un'estetica conflittuale, rifiuta un
approccio diretto con la verità. La verità si presenta come una lotta interna: legge
ed infrazione alla legge. Dovremo su questo tornare.

"Osservazioni sopra la Lettre de M. Mariette..."


"Parere sull'Architettura"

All'inizio degli anni sessanta Piranesi riuscì a realizzare alcune delle sue opere
originali nella progettazione di mobili e di decorazioni per interni sopratutto grazie
all'appoggio e all'incoraggiamento di Clemente XIII e della Famiglia Rezzonico.
Piranesi sosteneva il diritto alla libertà d'invenzione in tutti gli artisti indirizzati
alla realizzazione di opere pratiche, e il suo interesse era quindi diretto
nell'elaborare un sistema di moderno "design" che potesse tingere liberamente da
tutte le forme dell'arte antica, in contrasto con le teorie artistiche "restrittive" dei
rigoristi come Laugier e il Winckelmann.
Nel 1764 in una lettera alla "Gazzete Litteraire de l'Europe", il critico Mariette
polemizzava sull'opera di Piranesi e sulle teorie espresse nella "Magnificenza ed
architettura de' Romani...", dove si vantavano le origini etrusche della civiltà
romana. Il Mariette sosteneva che l'arte romana deriva da quella greca e che era
stata portata a Roma dagli schiavi greci, e da quel momento aveva iniziato il suo
declino.
Nel 1765 Piranesi risponde al Mariette pubblicando un'opera che contiene tutto il
suo "credo" artistico, ma rappresentava anche una replica polemica ai suoi
avversari: "Le osservazioni..." unitamente al "Parere sull'Architettura".
Nelle "Osservazioni..." Piranesi ribadisce quanto affermato nella "Magnificenza..."
confutando tutte le affermazioni del Mariette. Per comprendere meglio il concetto
piranesiano dobbiamo osservare il frontespizio dell'opera che rivela però qualche
cosa di estremamente sintomatico. Innanzitutto è messo in evidenza l'ordine
toscano come invenzione degli etruschi non dipendente dal dorico della Grecia. Ma
un aspetto importante è sull'originalità artistica in generale: sulla parte superiore
sinistra della tavola si può osservare la mano del Mariette mentre stà scrivendo la

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lettera; sotto, all'interno della colonna, sono rappresentati gli strumenti
dell'artista. Questo stava ad indicare che le discussioni sulla creatività artistica
non sono da affidare all'esperienza fatta a tavolino dai critici come il Mariette, ma
invece è l'artista che può e deve risolvere questo problema attraverso il suo
impegno attivo. E' nella creazione che l'artista, secondo Piranesi, si avvicina di più
allo spirito creativo dell'antichità.
Nella seconda parte della pubblicazione: il "Parere sull'Architettura..." Piranesi
vuole invece dare una spiegazione teorica alla sua preferenza per la complessità
degli stili, in contrasto con la semplicità decantata dal Winckelmann e dal Mariette.
Il testo consiste in un dialogo tra due architetti, l'uno progressista, Protopiro,
portavoce dei rigoristi e dunque ispirato alle teorie e agli ideali di austerità greca
del Laugier e del Winckelmann, mentre l'altro, Didascalo, che rappresentava la
tradizione, portavoce delle critiche di Piranesi, al riguardo delle limitazioni che
l'applicare quei principi comportava. Piranesi sostiene la necessità di un
cambiamento radicale della cultura architettonica, cambiamento indispensabile per
il progresso dell'architettura moderna stessa.
Egli inserisce anche alcune citazioni da autori latini come Ovidio o Sallustio:
storico latino dove la sua opera è interessata all'analisi delle cause dei fatti, alla
funzione dei discorsi, all'indagine psicologica e preferito dal Piranesi per i suoi
interessi ai fenomeni sociali, descritti sopratutto con drammaticità e passione,
pessimismo moralistico e concezione eroica della storia e anche con stile
sentenzioso, che in qualche modo si addice al carattere di Piranesi. La frase che
stà incisa sopra all'edificio è: "NOVITATEM MEAM CONTEMNUNT, EGO
ILLORUM IGNAVIAM" (Loro disprezzano la mia novità, io disprezzo la loro
ignavia)
In realtà era successo qualcosa: nel 1764-65 Piranesi era stato chiamato da alcune
compagnie di scavo di monumenti etruschi a Corneto e a Chiusi. Nel "Parere.."
alcune tavole sono appunto dedicate ai risultati di scavo; risultati non del tutto
indifferenti e che devono aver fatto riflettere Piranesi, perchè a Corneto e a Chiusi
egli ha trovato degli Etruschi che sicuramente non sono quelli conosciuti fino ad
ora; non sono certo quelli dedicati solamente ad una utilità pubblica, e ad una
architettura austera e rigorosa, come quella pubblicata nella "Magnificenza...".
Piranesi si trova in qualche modo a dover giustificare questa sorta di "Etrusco
barocco", di un etrusco decoratore, di un etrusco che sembraa fare anche
dell'architettura "un enigma per gli occhi".
Si può in sostanza dire che il discorso contenuto sulla "Magnificenza..", è il
discorso sul codice; il discorso contenuto nel "Parere.." è il discorso sull'infrazione
al codice e che i due trattati non possono andare l'uno senza l'altro.
Siamo di fronte ad un'opera; il "Parere...", che è stata molto spesso giudicata come
enigmatica, contradditoria. Secondo il parere di Tafuri, ciò che probabilmente non

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funziona è il voler continuamente leggere nel "Parere..." un Piranesi lineare, un
Piranesi che si stà esprimendo tramite il protagonista, Didascalo, che
sembrerebbe vincere in questo dialogo di tipo socratico contro il suo avversario
Protopiro.
Se la "Magnificenza.." ha, come parte prevalente il discorso sulla legge e come
parte secondaria quello sull'infrazione; il "Parere..." ribalta la proposizione, è
praticamente il trattato speculare della "Magnificenza.."
E' Protopiro, il rigorista, che apre il dialogo:

Protopiro - Ma che disegni son quelli, che vi mettete a difendere? Mi fate


ricordare di quell'assioma del Montesquieu: Un edifizio carico d'ornamenti
è un enimma per gli occhi, come un poema confuso lo è per la mente. Così dissi
al Piranesi medesimo nell'atto ch'ei mi mostrava codesti disegni come
per qualche cosa di buono, che fusse uscita dalle sue mani.

Il rigorista e li appunto che cita innanzi tutto il Montesquteu e lo dice a Pirsnesi-


Didascalo.

Didascalo - Anch'io e poiché l'amo più di voi perché meglio di voi la


conosco vuò dirvi, che il Montesquieu s'intendeva più di Poesìa, che
d'Architettura. Comprendeva, che v'erano tanti altri ripieghi per un
Poeta da distinguersi, senza star a confonder la mente a leggitori(...)

Si può osservare qualcosa in questa frase la poesia ha i suoi codici, l'architettura


non può essere letta tramite altri codici. Continuia ad andare avanti con Didascalo:

Or come pone egli, il Montesquieu, un'opera, ch'essendo confusa, si


solleva tutti contro, con un'opera che, ricca d'ornamenti, ha allettato ed
alletta la maggior parte degli uomini? Amico, siate più circospetto
nell'adottare certi proverbi nuovi; poiché, a ben pesarli, non han dì bello
altro che la buccia. Attenetevi a quell'antico: L'uso fa legge.

Protopiro: "L'uso fa la legge; ma non l'abuso".

Significativa è la risposta che viene dada da Protopiro. Quello che diventa


interessante, proprio in questa dialettica uso e abuso, è il fatto che Protopiro d'ora
in poi, vale a dire quello che sembrava dover essere l'avversario di Didascalo-
Piranesi, difende le tesi della "Magnificenza.." di Piranesi stesso.
L'autore stà in realtà discutendo con sè stesso; presenta al pubblico, i problemi
che egli ha con sè stesso, le contraddizioni che egli vive.

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Il dialogo continua sulla teoria della architettura intesa come mimesi della capanna
primitiva. Protopiro annuncia la legge e l'imitazione della natura tramitte la
capanna primitiva. Didascalo in prima istanza difende l'arbitrio, difende la
trasgressione, e accusa Protopiro di sofisticatezza.

Didascalo - Il sofistico siete voi, che dettate all'Architettura delle regole,


ch'ella non ha mai avuto. Che direte, se vi provo, che la severità, la
ragione, e l'imitazione delle capanne, sono incompatibili con
l'Architettura? Che l'Architettura, lungi dal volere ornamenti desunti
dalle parti necessarie a costruire, e tenere in piedi un edifizio, consiste in
ornamenti tutti stranieri?

Questo è quello che difende Protopiro: il principio dell'ornamento è qualcosa che si


sovrappone all'architettura, non fa parte del suo specifico neccessario, e
purtuttavia ne costituisce l'essenza. Queste neccessità di ornamento di sovrappiù,
di sovradeterminazione della norma, contraddice, la polemica contro il lusso che è
ancora riscontrabile all'interno della "Magnificenza...".
C'è una dubitabilità tra le due anime che Piranesi quì stà mettendo a confronto
(dubitanza=dubbio dell'animo o della mente). Da un lato tutto il rigore, dall'altro
tutta la trasgressione; i due personaggi si compongono, e si confrontano.
Didascalo vuole dimostrare che se la teoria rigorista, dell'imitazione, viene portata
fino in fondo, questa sarà perfettamente irrazionale.
E per demolire la tesi dei rigoristi bisogna essere più rigoristi dei rigoristi stessi.
Piranesi vuole colpire il fatto che ogni elemento dell'ordine classico è desunto
dall'antica capanna, vuole distruggere i valori rappresentativi dell'architettura. Cioè
vuole dimostrare che le colonne non rappresentano niente e che questi valori
rappresentativi, essendo naturali, una volta demolito il concetto di naturalità in
architettura, ne viene demolito anche il senso, il suo significato, il suo essere
rappresentazione.
Il ragionamento continua arrivando, alla fine, dopo gli ornamenti, alle parti
dell'architettura e conclude scrivendo:

Didascalo (...)Or domando, che cosa regge il tetto dell'edificio? Se la


parete, questa non ha bisogno d'architravi, se le colonne, o i pilastri, la
parete che vi fa ella? Via scegliete, Signor Protopiro, che cosa volete
abbattere? Le pareti, o i pilastri? Non rispondente? E io distruggerò tutto.
Mettete da parte; piazza, piazza, campagna rasa.

Ecco quindi, se noi scegliamo - ci stà dicendo Piranesi - il rigorismo integralmente,


arriviamo alla campagna rasa; arriviamo al deserto: non altrimenti che al "puro
deserto" di Malievic.

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Alla fine del suo ragionamento, Didascalo scopre che l'assoluta presenza della
ragione a se stessa conduce al silenzio, al vuoto semantico, al nulla geometrico.
Tutto l'affollarsi degli oggetti, nei molti disegni di invenzione e nelle medesime
tavole piranesiane che accompagnano il testo del "Parere", conducono
esattamente al medesimo risultato: all'annullamento del concetto di spazio.
Cambia solo il procedimento della dimostrazione: ad un ragionamento affermativo
si sostituisce un ragionamento per assurdo.
Il testo del "Parere" - non casualmente in forma di dialogo - costituisce una
testimonianza della discussione che Piranesi imposta con sé stesso. E questa si
riflette proprio nei passi del "Parere" in cui Piranesi rivela il senso del conflitto da
lui vissuto ed espresso. Il ridurre l'architettura a semplice "segno", porta alla
distruzione, alla fine di tutte quelle qualità intellettuali che fanno parte
dell'architettura stessa, e quindi della progettazione, ne nasce una nuova figura
professionale, puramente "tecnica".
La profezia piranesiana tocca la questione della funzionalità del lavoro intellettuale
nel campo dell'architettura. Anche se l'anticipazione puramente ideologica di
Piranesi non sfiora neppure i temi che saranno specifici nel dibattito
dell'Ottocento; sull'importanza della tecnica, sul primato della tecnologia, pone già,
con stupefacente lucidità, la questione del dissolversi, dello scomparire della
figura professionale dell'architetto, così come era stata definita nell'ambito della
cultura umanistica. Arte e architettura intesi come lavoro intelletuale.
La riduzione del lavoro intellettuale a lavoro ripetitivo astratto è già tutta
prefigurata. Persino la fondamentale distinzione fra architettura ed edilizia
semplice, estranea all'universo dell"'arte", trova un suo precedente nelle pagine
piranesiane (Tafuri: La sfera e il labirinto):

Didascalo - Quanto a questo poi osservate quel che si fa, e si è fatto


sempre. Gli Architetti per l'ordinario si chiamano quando uno intende di
far qualche bella fabbrica: ecco quello in che oggi possiam ben dir che
consista l'Architettura. (...) Sicchè torniamo a noi: toglietemi la libertà di
variare ognuno a suo talento negli ornamenti, vedrete aperto in pochi dì
a tutti il santuario dell'Architettura, l'Architettura, conosciuta da tutti, da
tutti sarà disprezzata; gli edifizi col tempo si faranno alla peggio (...)

L'accenno al dilettantismo è esplicito. Ma ancor più esplicita è la prospettiva che vi


è intravista: la crisi della professionalità dell'architetto; l'estinzione
dell'architettura come lavoro intellettuale. La polemica piranesiana nei confronti
del revival neogreco trova quindi una sua ulteriore giustificazione. La scelta di
forme pure, razionali,sembra condurre direttamente ad una semplificazione delle
forme, ad una elementarietà capace di aprire "in pochi dì a tutti il santuario
dell'Architettura".

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E' la riduzione dell'architettura a segno geometrico a un variare dei segni, delle
forme. Si può vedere l'invenzione ridursi a un astratto incrocio di linee, di mere
figure da manuale.
Questo eccesso di variazione, questa realtà, sfugge di mano. Ma forse è proprio
questo il programma di Piranesi; quello di presentare una storia che in realtà
annulla se stessa.

Diverse maniere d'adornare i cammini


Ragionamento apologetico in difesa
dell'architettura egizia e toscana.

Il "Ragionamento apologetico..." del 1769 è un saggio di premessa alle tavole dei


"Camini" in cui Piranesi chiarisce personalmente le sue posizioni sull'arte antica e
su quella contemporanea, precisando gli obbiettivi che lo hanno spinto a creare le
tavole sui Camini. Piranesi afferma innanzitutto di non voler polemizzare
sull'esistenza dei camini nell'antichità, polemica sostenuta dal Barbaro e dal
Maffei, anche se propende per la tesi che agli antichi fu ignoto l'uso dei camini in
mancanza di testimonianze materiali.
L'intento piranesiano è di conciliare l'osservanza del classico affiancato però
dall'esigenza di inserire un procedimento di creazione libero ed originale. Secondo
Piranesi l'architettura e anche l'arte è determinata da un eccesso di decorativismo,
che la rendono bizzarra e confusa:

"Sia l'architetto quanto si vuole bizzarro, ma non deformi l'architettura e


ogni membro abbia il proprio carattere".

Piranesi teme di essere nuovamente criticato per la presentazione di queste


stampe per l'eccesso di decorativismo come era avvenuto per la chiesa di S. Maria
del Priorato, l'autore sostiene e ribadisce il concetto che:

non è la molteplicità degli ornamenti quella, che offende l'occhio ma


sibbene la cattiva loro disposizione; ove l'artista sappia disporli in
maniera, che quei di sotto no restino confusi da quei di sopra, e dia a
risalti, e agli sporgimenti quel più, e quel meno, che loro si conviene, il
tutto si presenterà con grazia, e senza offesa dell'occhio"

Al riguardo adduce l'esempio della colonna Traiana, riferimento tanto caro


all'incisore da essere assunto a protagonista di una raccolta, che "benché sì ricco e
dovizioso di ornamenti" grazie all'estrema abilità della raffigurazione, scaglionata
in rilievi di diversa profondità prospettica, costituisce uno dei vertici dell'arte
romana. I camini inoltre:

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"anno a servire non solo al commodo di riscaldarci; Ma al divertimento
eziandio dell'occhio con la loro vaghezza, e co' loro ornamenti(...).

Dopo aver spiegato le caratteristiche formali e funzionali dei camini, l'autore torna
alle sue fonti d'ispirazione, trattando diffusamente dell'arte egizia ed etrusca, per
giustificarne il valore stilistico contro

"l'opinione di molti, che...non altro presenti, che maniere ardite e grette.


Costoro disapproveranno certamente l'uso, che ho fatto dell'una, e
dell'altra in queste mie tavole per ornar gabinetti, ove altro non dee aver
luogo, che il leggiadro, e il delicato".

Piranesi teme che l'arte egiziana non fosse cosi ricca di ornamentazioni come
appare dalle sue incisioni, ma si adeguasse a canoni di rigida e nuda colossalità.
Fosse pure nel giusto l'opinione comune circa la grettezza egizia ed etrusca, è ben
vero che "il grottesco ancora ha il suo bello e reca diletto", il che spiegherebbe il
successo della maniera cinese per la decorazione degli interni; gli uomini, infatti:

"sono troppo amanti della varietà per godere sempre d'una medesima
decorazione: ci piace di alternare con l'allegro il serio, efino il patetico,
anche l'orrore delle battaglie ha il suo bello"

Con grande acutezza Piranesi afferma che la dove la natura non viene rispettata è
proprio perchè l'arte stessa lo richiede: "le antiche opere si consultino facilmente si
scorge, che fu precisa intenzione degli artefici il non rispettare la natura, ove l'arte lo
richiedesse"
Nella logica di questo discorso si finisce pertanto con l'esaltare la superiorità
dell'antinaturalismo degli egiziani sul naturalismo dei greci e dei romani, con
l'esempio delle sculture nella mostra Sistina dell'Acqua Felice:

"Ho in vista frà le altre opere di costoro i due Leoni, o Leopardi, posti per
ornamento in Roma alla fontana dell'acqua Felice, insieme con altri due
atteggiati e ritratti con molto studio della natura, cioè lavorati alla Greca.
Che Maestà ne' Leoni Egizi, che gravità, che saviezza! che compostezza,
che modificazione di parti! con che arte spicca in essi ciò che si accorda
con l'architettura, e riman soppresso ciò che la disajuta! Al contrario
quegli altri Leoni ritratti tali quali si vedono nella natura, e così
atteggiati, come è piaciuto al capriccio dello scultore, che stanno a farvi?"

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La conclusione nuova di questa lunga disquisizione è che gli egiziani dovettero
senz'altro avere una profonda conoscenza della natura per poterla modificare con
tale sapienza.
Come rileva acutamente il Wittkower "Nessuno, prima del Piranesi, aveva mai
considerato le opere d'arte egiziane sotto questo aspetto. Mentre gli studi
secenteschi avevano preparato la strada per individuare l'arte egiziana come
un'arte sui generis, mentre studiosi ed artisti del settecento, prima del Piranesi,
avevano formulato una terminologia stilistica adatta al carattere specifico di
quell'arte, fu solo il Piranesi, che, basandosi sulle idee correnti, sottopose l'arte
egiziana a un'analisi penetrante. Anche se il suo ragionamento possa non essere
accettabile, l'occhio di lui è impeccabile e libero dai legami tradizionali della
"naturalezza" a tutti i costi".
La seconda parte del "Ragionamento" riguarda l'arte etrusca e quella romana, con
la debita premessa dell'autore che è piuttosto arduo distinguerne gli specifici
caratteri stilistici in quanto:

"La Romana e l'Etrusca furono da principio una medesima cosa, da'


Toscani impararono i Romani, e non altra architettura usarono per molti
secoli: adottata in appresso la Greca non perché l'Etrusca fosse mancante
di parti, o di ornamenti o di grazia, ma perché la novità ed il merito fece
gradire certi vezzi, e certe eleganze particolari a' Greci, che ogni nazione
ha i suoi propri; I'Etrusca, e la Greca restarono confuse insieme".

Per il Piranesi, la grandezza degli Etruschi è infine attestata dall'architettura, dai


vasi, dai cammei, dalle medaglie, e dalla pittura, come provano le mura di Volterra,
di Cortona e di Arezzo, il Tempio di Giove Capitolino, la Cloaca Massima, il
lastricato delle strade romane, le pitture delle "Grotte" Cornetane, simili a quelle di
Ercolano.
Fine essenziale di questi brani del "Ragionamento" è dunque la rivalutazione
dell'arte etrusca rispetto a quella greco-romana e la legittimazione del suo uso per
rinnovare lo stile decorativo dala sottomissione all'arte greca onde uscire:

"dalla vecchia e monotona carreggiata (...) Non già copiando servilmente


l'altrui che ciò ad un mero meccanismo ridurrebbe l'architettura, e le
nobili arti; e biasimo anziché lode riporterebbe dal pubblico amante di
nuove cose"

E proprio quindi la fusione del "bello" e del "vago" dell'arte egiziana con quella
etrusca, identificata in definitiva con la romana, che viene postulata dal Piranesi
come fondamento per le sue invenzioni dei camini, sull'autorevole esempio degli
antichi.

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In chiusura del "Ragionamento" Piranesi ritorna al concetto della spontaneità
creativa che assieme allo studio della natura ed all'attenta riflessione
sull'espressione artistica del proprio tempo, rende viva e reale la lezione
tramandataci dagli antichi.
Attraverso quete opere Piranesi immette nel mondo dell'immaginazione una
commistione di lingue, in questi camini eclettici l'egittologia entra polemicamente
in conflitto (un conflitto fra lingue: lingua egizia, lingua romana e lingua etrusca).
Ecco che Piranesi ha la possibilità di ri-inventare un linguaggio tramite la nuova
libertà di non adottare linguaggio (ne adotta talmente tanti che ormai esiste un
intersizio fra le lingue), c'è la possibilità di una ri-invenzione continua, non è più
arte della variazione, ma un vero e proprio sradicamento di ogni lingua rispetto
all'altra, dal momento che sono in continuo conflitto.
Attraverso le "Diverse maniere..." la strade per l'eclettismo ottocentesco risulta
aperto.
Piranesi è forse impegnato in una perenne e continua ricerca. E chi ricerca è un
vero sperimentatore; chi ricerca, prima o poi, è inevitabile che qualcosa trovi, ma
quel "prima o poi" contiene certamente anche l'errore. Potremmo dire che è la
realtà infetta alle radici, e costretta a variare in eterno per rinnovarsi. Nel
frontespizio di "Alcuini disegni...del Guercino" troviamo scritto sopra alla
tavolozzaza del pittore il motto "col sporcar si trova", solamente sporcando,
rinnovandosi continuamente, ricercando, ci stà dicendo Piranesi, che è possibile,
forse, trovare...la via giusta.

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