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Indice
Introduzione alla biochimica (pag XIX-XXV)
Struttura e funzione delle membrane biologiche (pag 207-218)
- Generalità
- Componenti lipidici
- Componenti proteici
- Componenti glucidici
Trasporto di membrana (pag 219-223)
- Generalità
- Diffusione semplice e facilitata
- Trasporto attivo
- Trasportatori di glucosio
Meccanismi di trasduzione del segnale (pag 557-613)
- Generalità
- Sistema dell’adenilato ciclasi
- Sistema dei fosfoinositidi
- Sistema calcio-calmodulina
- GMP ciclico (cGMP)
- Ossido nitrico sintasi (NOS)
- Recettori tirosina-chinasici
- Sistema JAK/STAT
Cromoproteine leganti ossigeno (pag 85-98)
- Generalità
- Mioglobina ed emoglobina
- Trasporto ossigeno
- Trasporto anidride carbonica
- Azione tampone dell’emoglobina
- Varianti fisiologiche dell’emoglobina
- Metaemoglobina e carbossiemoglobina
- Emoglobine atipiche ed emoglobinopatie
Enzimi (pag 117-157)
- Generalità
- Meccanismo della catalisi enzimatica
- Sito attivo
- Specificità
- Classificazione
- Isoenzimi
- Enzimi costitutivi ed induttivi
- Cinetica delle reazioni enzimatiche
- Influenza concentrazioni enzima e substrato
- Costante di Michaelis e Menten
- Influenza del pH e della temperatura
- Cinetica delle reazioni enzimatiche cui partecipano due substrati
- Meccanismi di inibizione enzimatica
- Applicazione degli inibitori degli enzimi in medicina
- Regolazione dell’attività enzimatica
- Processo della coagulazione
- Aspirina
Metabolismo dei glucidi (pag 265-320)
- Generalità
- Ingresso del glucosio nelle cellule
- Fosforilazione del glucosio
- Destino metabolico del glucosio-6-P
- Glicolisi
- Regolazione della glicolisi, resa energetica e glicolisi nei vari tessuti
- Fermentazione alcolica
- Trasferimento degli equivalenti riducenti del citoplasma ai mitocondri mediante i sistemi
pendolari
- Ossidazione del piruvato
- Ciclo di Krebs
- Bilancio energetico, regolazione e funzione metabolica del ciclo di Krebs
- Ciclo dei pentoso-fosfati
- Bilancio e regolazione del ciclo dei pentoso fosfati
- Deficienza eritrocitaria della glucosio-6-fosfato deidrogenasi
- Gluconeogenesi
- Cicli futili
- Glicogenosintesi
- Glicogenolisi
- Metabolismo dell’acido glucuronico
- Metabolismo del fruttosio
- Metabolismo del galattosio
Metabolismo dei lipidi
Metabolismo degli aminoacidi
Fosforilazione ossidativa
Vitamine
Metabolismo dei nucleotidi
Il componente più abbondante negli esseri viventi è l’acqua, che rappresenta anche oltre il 70%
del peso; l’acqua all’interno dell’organismo si lega tramite legami a idrogeno ai gruppi idrofilici di
determinate molecole, provocandone un cambiamento di conformazione; interagisce anche con i
gruppi idrofobici delle molecole poiché questi si respingono e perciò causa anche in queste un
cambiamento di conformazione (ad esempio le proteine che presentano catene aminoacidiche
idrofobiche e idrofiliche, si dispongono a costituire un complesso stabile, ovvero le porzioni
idrofobiche si accomodano all’interno della molecola sfuggendo all’acqua, e quelle idrofiliche si
posizionano all’esterno a contatto con l’acqua); alcune sostanze organiche sono anfipatiche, cioè
sia idrofiliche che idrofobiche, come ad esempio i fosfolipidi e i glicolipidi; i fosfolipidi ad esempio
si organizzano costituendo il doppio strato tipico delle membrane biologiche e quindi in questo
caso l’ambiente acquoso gioca un ruolo fondamentale nella costituzione delle membrane
biologiche, importanti poiché permettono l’individualità della cellula, la formazione di
compartimenti funzionali intracellulari (organuli), l’instaurarsi di un potenziale d’azione (che nelle
cellule eccitabili, come i neuroni, variazioni drastiche provocano l’insorgere di un potenziale
d’azione, fondamentale per i processi di neurotrasmissione) e l’instaurarsi di una comunicazione
tra le cellule ad esempio attraverso il passaggio di ioni attraverso canali; quando le molecole
anfipatiche hanno una porzione idrofilica preponderante, come nel caso dei sali e degli acidi biliari,
si formano le micelle (che possono contenere elementi idrofobici, e ad esempio gli acidi grassi in
ambiente acquoso si organizzano formando le micelle); i fosfolipidi in ambiente acquoso si
organizzano formando un bilayer e quando un doppio strato bidimensionale si avvolge su se stesso
si forma il liposoma.
L’organismo vivente è definito tale quando appunto dispone ed utilizza energia; nell’organismo
difatti avvengono moltissime reazioni nelle quali vi è bisogno di utilizzo di energia; ad ogni
reazione in cui vi è bisogno di energia (endoergonica) è accoppiata una reazione che libera energia
(esoergonica), tramite la cessione del fosfato, o pirofosfato da parte dell’ATP, il donatore di
energia “universale” (in alcuni casi intervengono il GTP e ITP con uguale meccanismo).
Componenti lipidici
Le principali specie lipidiche presenti nelle membrane biologiche sono i fosfolipidi, il colesterolo e i
glicolipidi; i fosfolipidi sono delle molecole anfipatiche, costituiti da una porzione idrofilica e da
una porzione idrofobica, rappresentata dalle catene di acidi grassi; gli acidi grassi nelle membrane
biologiche li ritroviamo come elementi che costituiscono i fosfolipidi e non li ritroviamo nel loro
stato libero (in questo ultimo caso sono presenti solo nel sangue, trasportati dalle albumine); i
fosfolipidi si organizzano, costituendo la struttura base delle membrane biologiche, organizzandosi
in un bilayer, con la porzione idrofilica rivolte verso l’esterno della membrana e la porzione
idrofobica rivolta verso l’interno, costituendo una barriera impermeabile alle sostanze idrofiliche,
che quindi possono attraversare la membrana soltanto attraverso specifici meccanismi di
trasporto; sono presenti molte varietà di fosfolipidi nelle membrane biologiche e questi sono
disposti in modo tale da conferire un’asimmetria alla membrana (ad esempio generalmente la
fosfatidilserina è collocata prevalentemente nel foglietto interno, e la fosfatidilcolina
prevalentemente in quello esterno); anche la lunghezza e la presenza dei doppi legami, che
rendono la catena insatura, variano all’interno della membrana e insieme al colesterolo giocano
un ruolo importante nella fluidità della membrana; infatti se le catene di acidi grassi sono corte e
se vi è un alto grado di insaturità vi sarà una maggiore fluidità e inoltre ad alte temperature (sopra
il livello della temperatura di transizione) normalmente la fluidità sarà maggiore ma viene limitata
dall’azione del colesterolo che appunto ad alte temperature limita i movimenti delle catene di
acidi grassi (la fluidità viene aumentata anche dalla presenza di alcuni composti, come ad esempio
gli anestetici); i lipidi all’interno della membrana sono soggetti a tre tipi di movimento: quello
laterale che consiste nello spostamento nell’ambito del “monolayer”, quello rotazionale che
consiste nella rotazione delle catene di acidi grassi intorno al loro legame semplice carbonio-
carbonio, quello flip-flop che consiste nello scambio di una molecola lipidica tra i due strati del
bilayer ed è reso possibile mediante la presenza di particolari proteine come la “flippasi” o anche
mediante la “scramblasi”, una proteina carrier che svolge lo stesso ruolo delle flippasi, anche se
con meccanismo diverso.
Componenti proteici
Nel doppio strato lipidico sono sistemate diverse proteine di membrana, ognuna delle quali svolge
delle determinate funzioni, che ad esempio possono riguardare i processi di trasduzione, il
trasporto, la catalisi enzimatica, l’adesione e la comunicazione tra cellule o tra cellula e matrice,
ecc; le proteine che ritroviamo all’interno delle membrane biologiche hanno una porzione
idrofobica, che contrae rapporti con le catene di acidi grassi dei fosfolipidi, e una porzione
idrofilica che contrae rapporti con le zone idrofiliche superficiali; quindi in dipendenza da ciò
distinguiamo proteine intrinseche di membrana, che attraversano il doppio strato fosfolipidico una
o più volte e verranno quindi anche distinte in monopasso e multipasso e proteine estrinseche,
che si trovano in superficie e possono anche contrarre rapporti con più proteine intrinseche,
limitandone i movimenti e quindi rendendo meno fluida la membrana, come nel caso delle
“lectine”; anche le proteine intrinseche comunque rendono meno fluida la membrana, poiché si
legano mediante forze idrofobiche alle code apolari fosfolipidiche; tali proteine intrinseche ed
estrinseche possono essere studiate, isolandole dalla membrana, mediante l’utilizzo di detergenti:
le prime risultano insolubili in acqua e le seconde invece sono solubili; alcune proteine estrinseche,
inoltre, sono saldamente adese alla membrana attraverso un ancora idrofobica di natura non
aminoacidica inserita in uno dei due foglietti lipidici: l’ancora può essere ad esempio un acido
grasso (acido miristico o acido palmitico, entrambi saturi), un farnesile (ancora farnesinica) o un
glicosilfosfatidilinositolo;
Componenti glucidici
Le membrane biologiche contengono carboidrati liberi in quantità trascurabile e infatti tale
componente la ritroviamo nelle membrane, associata a proteine e lipidi, formando un infinita
varietà di glicoproteine e glicolipidi, in particolare nella membrana plasmatica; la componente
saccaridica è esposta sempre nel versante extracellulare, costituendo il glicocalice, e contribuendo
a rendere fortemente asimmetrica la membrana plasmatica; sono rivolti verso l’esterno poiché
svolgono un ruolo principale nei processi di interazione con la cellula e il mondo esterno: sono
coinvolti nei processi di riconoscimento da parte di anticorpi, nei processi di ricezione di segnali,
nei processi di adesione cellulare.
Trasporto di membrana
Generalità
Le membrane biologiche costituiscono delle barriere di permeabilità altamente selettive, così da
costituire un trasporto di ioni e metaboliti rigorosamente controllato; il trasporto transmembrana
può essere passivo o attivo; in quello passivo a sua volta vengono distinti una diffusione semplice e
una diffusione facilitata; entrambi non hanno bisogno di energia e quindi di idrolisi di ATP, come
avviene per il trasporto attivo, poiché gli ioni e le molecole vengono trasportati secondo gradiente
di concentrazione (che può essere un gradiente chimico o anche un gradiente elettrochimico, nel
caso in cui queste particelle possiedono delle cariche, come ad esempio gli aminoacidi acido
glutammico e acido aspartico, che hanno il gruppo COOH dissociato e quindi sono carichi
negativamente); il trasporto secondo gradiente di concentrazione prevede il passaggio,
dell’elemento da trasportare, dalla zona a concentrazione maggiore a quella a concentrazione
minore; il trasporto attivo invece non è spontaneo e ha appunto bisogno di energia poiché
l’elemento viene trasportato contro gradiente, cioè verso il compartimento nel quale la sua
concentrazione è maggiore.
Trasporto attivo
Il trasporto attivo, a differenza del trasporto per diffusione, richiede l’utilizzo di ATP perché il
passaggio degli ioni avviene contro gradiente di concentrazione; il trasporto attivo mantiene una
differenza di concentrazione tra i vari ioni all’interno e all’esterno della membrana, ed è mediato
da particolari proteine intrinseche, che oltre al legarsi allo ione da trasportare, idrolizzano una
molecola di ATP e per questo sono definite pompe ATP-dipendenti; il trasporto attivo può essere
diretto (o primario), se l’energia che deriva dall’idrolisi dell’ATP viene utilizzata direttamente dalla
pompa per il trasporto dei soluti, creando quindi un gradiente elettrochimico, o indiretto (o
secondario) se l’energia per il trasporto non è fornita direttamente dall’idrolisi di ATP, ma
dall’esistenza di un gradiente elettrochimico, già creato da un trasporto attivo diretto, e in questo
caso si viene a generare un cotrasporto degli ioni del trasporto primario e secondario.
Vi sono diversi tipi di pompe ATP-dipendenti, ognuna specifica per relativi ioni e con diversa
struttura; queste sono la pompa P, la V, la F e la ABC (che è anche responsabile del trasporto di
piccole molecole, oltre che di ioni);
Le pompe appartenenti alla classe P sono costituite da 4 sub unità che costituiscono un tetramero
(alfa2 beta2); la sub unità alfa si trova sul versante citoplasmatico ed è responsabile dell’idrolisi
dell’ATP e del legame col fosfato, che si ottiene dall’idrolisi dell’ATP, (da qui il nome P per queste
pompe) e del trasporto dello ione; invece la sub unità beta che si trova sul versante interno della
membrana, è responsabile del corretto ripiegamento delle sub unità alfa; Vi sono comunque
diverse tipologie di pompe P e sono quella Na+/k+, la Ca2+ e la H+; queste pompe hanno la stessa
struttura generale di tutte le pompe della classe P, ma differiscono per l’affinità a particolari tipi di
ioni.
La pompa Na+/k+ ATPasi dipendente trasporta sodio all’esterno e potassio all’interno, in
particolare, per ogni molecola di ATP idrolizzata, trasporta 3 ioni Na+ all’esterno e 2 ioni K+
all’interno della cellula; questa pompa può trovarsi in due stadi conformazionali; nel primo stadio
la pompa è aperta verso l’interno della cellula e nella sub unità alfa ha 3 siti di legame per il sodio
ad alta affinità, e per questo, anche se presente in concentrazioni basse, 3 ioni sodio si legano ai
siti; il legame del sodio induce il legame con l’ATP alla sub unità alfa, la sua idrolisi e il successivo
trasferimento del fosfato nella sub unità alfa, che causa il cambio di conformazione; in questo
stadio la pompa è aperta verso l’esterno e vi è anche un cambiamento dei siti per il sodio che
diventano a bassa affinità e quindi i tre ioni sodio vengono rilasciati all’esterno; con il rilascio del
sodio avviene l’esposizione di due siti ad alta affinità per ioni potassio, che si legano ai rispettivi siti
e inducono la de fosforilazione che comporta il ritorno alla conformazione normale e i siti per gli
ioni potassio diventano a bassa affinità e quindi i due ioni vengono rilasciati all’interno della cellula
e vi è l’esposizione dei tre siti por gli ioni sodio e può ricominciare il ciclo; quindi per ogni molecola
di ATP vengono trasportati all’esterno 3 ioni sodio e all’interno 2 ioni potassio; la pompa
sodio/potassio regola quindi la distribuzione delle due cariche nei due versanti della membrana e
per questo viene anche chiamata pompa elettrogenica; ha anche altre funzioni importanti, come
quella di mantenimento dell’equilibrio osmotico delle cellule animali, infatti se la pompa venisse
inibita, ci sarebbe un accumulo di ioni sodio all’interno della cellula che si troverebbe in un
ambiente isotonico e quindi si avrebbe un flusso d’acqua dall’esterno verso l’interno con la
conseguente lisi della cellula; nelle cellule vegetali e batteriche, invece, questa ultima funzione
viene svolta dalla pompa H+; La pompa sodio/potassio può essere inibita da un particolare
inibitore, la ouabaina.
La pompa idrogeno è caratteristica della membrana plasmatica di cellule vegetali, batteriche e
funghi ed è responsabile del trasporto contro gradiente elettrochimico degli ioni H+, che dal
citoplasma si muovono verso l’esterno della cellula; la pompa esiste in due conformazioni e nella
sua conformazione iniziale, è aperta verso l’interno della cellula e ha un sito di legame per
l’idrogeno, che una volta legato, induce il legame con l’ATP e la successiva idrolisi e legame del
fosfato con la sub unità alfa, a questo punto cambia conformazione e rilascia lo ione idrogeno
all’esterno, poiché il sito è diventato a bassa affinità per l’idrogeno, poi vi è la defosforilazione
nella sub unità alfa e il successivo ritorno alla conformazione iniziale; nelle cellule animali, invece,
la pompa idrogeno si trova solo nelle cellule parietali della mucosa gastrica e il trasporto avviene in
antiporto con ioni potassio, in rapporto 1:1; si viene quindi a costituire una pompa
idrogeno/potassio, con meccanismi di trasporto analoghi a quelli della pompa sodio/potassio, che
ha il compito di mantenere il pH del succo gastrico acido.
La pompa Ca2+ si trova sia nella membrana plasmatica (ATPasi-Ca2+ dipendente e antiporto
Ca2+/H), sia sulle membrane del reticolo endoplasmatico o (sarcoplasmatico nel caso dei miociti),
sia sulla membrana mitocondriale interna (antiporto Ca2+/H), e si occupa di mantenere bassa la
concentrazione citoplasmatica di calcio, trasportando fuori gli ioni calcio o all’interno del reticolo
endoplasmatico (o sarcoplasmatico) o nella matrice mitocondriale; l’apertura dei canali per il
calcio che si trovano sulla membrana reticolare e sulla membrana plasmatica viene mediata
dall’IP3 prodotto dall’idrolisi dei fosfoinositidi (vedi sistema calcio-calmodulina); le pompe della
membrana plasmatica vengono invece attivate dalla calmodulina; le è importante mantenere
bassa la concentrazione di calcio poiché il calcio è un messaggero secondario e quindi è necessario
mantenerlo a basse concentrazioni, cosicché piccole variazioni sono in grado di innescare il
messaggio; c’è anche un secondo motivo, e cioè quello che il calcio si lega con il fosfato formando
sali di fosfato di calcio che sono insolubili e potrebbero precipitare nella cellula danneggiandola.
Inoltre è presente un altro meccanismo di trasporto degli ioni calcio, che è accoppiato al trasporto
del sodio: è la pompa sodio/calcio che si trova sempre nella membrana plasmatica e che ha
sempre il compito di pompare all’esterno gli ioni calcio; per ogni idrolisi di ATP il rapporto è di 3:1
(3 sodio entrano e 1 calcio esce). Anche per la pompa per il calcio abbiamo un inibitore, la
tapsigargina.
Le pompe di tipo V trasportano ioni H+ dal citoplasma ai lisosomi e ai vacuoli delle cellule vegetali
(da qui il nome V); il loro compito è quello di mantenere neutro il pH del citoplasma e di abbassare
il pH di tali organuli; a differenza delle pompe ATPasiche di tipo P queste utilizzano l’energia
ricavata dall’idrolisi di ATP senza cambiare la propria conformazione e per ogni molecola di ATP
idrolizzata, trasportano 2 ioni H+ contro gradiente elettrochimico.
Le pompe di tipo F sono simili per struttura a quelle di tipo V, probabilmente derivano da un unico tipo
ancestrale; si trovano nei batteri e nei mitocondri e utilizzano il gradiente di H+ come fonte di energia per la
sintesi di ATP a partire da ADP.
Le pompe di tipo ABC sono responsabili del trasporto contro gradiente di concentrazione di vari
ioni e tipi di molecole; a questa famiglia appartengono le proteasi batteriche, che trasportano
nutrienti all’interno delle cellule batteriche contro gradiente di concentrazione, e anche la
proteina canale per il Cl-, che viene chiamata CFTR ed è regolata dal c-AMP; Mutazioni a carico del
gene codificante per tale proteina è responsabile della fibrosi cistica, poiché se la funzione della
CFTR viene alterata, o se questa viene completamente rimossa, vi è una diminuzione dell’efflusso
di Cl- che comporta una diminuzione di efflusso di acqua e quindi la formazione di un muco molto
denso; questi canali per il cloro si trovano nelle membrane plasmatiche di diversi tessuti epiteliali.
Trasportatori di glucosio
I trasportatori di glucosio (GLUT) sono una famiglia di proteine transmembrana presenti nella
maggior parte delle cellule mammifere; la loro azione permette il transito di glucosio attraverso la
membrana plasmatica, dall’ambiente extracellulare all’interno della cellula; il trasporto mediato
dai GLUT, che ne esistono di differenti tipologie, localizzati anche in distretti diversi e con
caratteristiche diverse (ad esempio hanno una diversa affinità per il glucosio e nel caso del GLUT2
possono consentire un trasporto bidirezionale, non consentito dalle altre GLUT); il trasporto
avviene secondo gradiente di concentrazione e quindi è un trasporto passivo facilitato, che
avviene perciò senza consumo di ATP ed avviene in condizione di uniporto; queste proteine carrier
esistono in due conformazioni, una con i siti di legame nell’ambiente citoplasmatico e una con i siti
di legame nell’ambiente extracellulare: il glucosio si lega ai siti di legame della proteina e ne induce
un cambio di conformazione e quindi il glucosio a questo punto si trova nei siti di legame
citoplasmatici e viene rilasciato all’interno della cellula; alcuni di questi trasportatori, come ad
esempio il GLUT4 che lo ritroviamo nei muscoli scheletrici, cardiaci e nel tessuto adiposo, sono
proteine insulina-dipendenti, infatti non si trovano direttamente nella membrana plasmatica, ma si
trovano inizialmente nel citoplasma e quando l’insulina si lega a specifici recettori di membrana,
ne viene indotta la loro traslocazione nella membrana; esso quindi media il trasporto di glucosio
all’interno della cellula e quando la concentrazione ematica del glucosio si normalizza e l’insulina
viene eliminata, le molecole di GLUT4 vengono lentamente rimosse dalla membrana plasmatica e
racchiuse in vescicole di endocitosi; nei muscoli, la traslocazione di GLUT4 nella membrana
plasmatica, oltre che dall’insulina, è favorita anche dalla contrazione e dall’aumento del flusso
ematico, quindi è per questo che l’attività sportiva è un’utilissima medicina nella prevenzione
dell’insulinoresistenza; è molto importante anche la proteina GLUT2, perché si trova nel fegato,
che è la sede della gluconeogenesi (sintesi ex-novo di glucosio a partire da aminoacidi,glicerolo e
acido lattico) e sfrutta una caratteristica propria di tale GLUT2, ossia la bidirezionalità del
trasporto; GLUT2 la ritroviamo anche nel pancreas e nell’intestino; GLUT1 la ritroviamo nei
muscoli scheletrici e degli eritrociti; GLUT3 nel cervello e nel rene; GLUT5 nei muscoli scheletrici
ma trasporta preferenzialmente fruttosio; sul piano strutturale tutti i carrier del glucosio sono
caratterizzati dalla presenza di 12 segmenti transmembrana (proteine intrinseche multipasso).
Il trasporto di glucosio all’interno della cellula, può avvenire anche contro gradiente di
concentrazione e in questo caso si sfrutta il gradiente elettrochimico generato da altri trasporti
attivi delle pompe del sodio, come ad esempio quella della pompa sodio/potassio; è quindi un
trasporto attivo secondario e avviene in condizione di sinporto con il sodio e in particolare
vengono introdotti nella cellula una molecola di glucosio e due di sodio (rapporto 1:2); per
mantenere attivo tale trasporto è necessario il lavoro delle pompe sodio/potassio che pompano
ioni sodio all’esterno della cellula, mantenendo alta la concentrazione extracellulare di sodio e
perciò il sodio attraverso la pompa sodio-glucosio penetra all’interno secondo gradiente di
concentrazione e il glucosio contro gradiente di concentrazione; la dimostrazione che la pompa
sodio-glucosio per rimanere attiva ha bisogno del lavoro delle pompe sodio-potassio è dimostrato
dall’inibizione del processo mediante l’inibitore della pompa sodio-potassio, la ouabaina (oltre che
dalla florizina, che è l’inibitore della pompa sodio-glucosio, poiché impedisce il legame del glucosio
al carrier).
Meccanismi di trasduzione del segnale
Generalità
Le cellule, negli organismi multicellulari, non sono entità separate, ma comunicano tra di loro con
un processo definito “segnalazione cellulare”; le cellule possono scambiarsi informazioni tra di loro
o per contatto o per la produzione di fattori solubili, quali neurotrasmettitori, ormoni e fattori di
crescita, che diffondono nello spazio pericellulare con differente raggio d’azione; in base al raggio
d’azione si distinguono tre tipi di segnalazione: quella paracrina, in cui la cellula rilascia fattori
solubili che agiscono su cellule bersaglio che si trovano nelle immediate vicinanze della cellula che
ha rilasciato il segnale, quella autocrina in cui il fattore solubile agisce sulla cellula che lo ha
rilasciato e quello endocrino in cui i fattori solubili raggiungono, mediante la circolazione
sanguigna, cellule bersaglio che possono trovarsi in distretti lontani del corpo.
Questi fattori solubili interagiscono con la cellula bersaglio tramite dei recettori che si trovano
appunto sulla cellula bersaglio; questi recettori possono essere intracellulari o nella membrana; i
fattori solubili, in generale, si legano al recettore delle cellule bersaglio e per questo vengono
chiamati ligandi; il legame è specifico, poiché ogni ligando ha un sito di legame che è
complementare alla molecola del recettore, ed è costituito da legami deboli; alcuni recettori, come
quelli delle cellule bersaglio coinvolte nella segnalazione endocrina hanno bassa affinità per il
ligando, invece quelli coinvolti nella segnalazione paracrina hanno un affinità alta per il ligando,
che quindi può essere anche presente in concentrazioni basse; i recettori di membrana hanno 3
domini, uno extracellulare che consente il legame con il ligando, uno intracellulare e uno nel
versante citoplasmatico; quando il ligando si lega al recettore quest’ultimo trasduce il segnale
all’interno della cellula e si possono quindi innescare quei processi metabolici stabiliti nelle
informazioni portate dal ligando; i recettori intracellulari, possono essere invece raggiunti solo da
ligandi idrofobici, come ormoni steroidei o tiroidei che penetrano all’interno della cellula mediante
l’aiuto di trasportatori (proteine carrier), con diffusione facilitata, e possono legarsi al recettore
che può trovarsi nel nucleo (nel caso degli ormoni tiroidei) o nel citoplasma (nel caso degli ormoni
steroidei); questi ormoni innescano delle risposte a livello nucleare e quindi innescano ad esempio
i processi di trascrizione per la sintesi di determinati peptidi.
Per quanto riguarda i recettori che si trovano sulla membrana plasmatica, dobbiamo distinguere
tre diverse tipologie fondamentali di recettori: recettori a 7 segmenti transmembrana (denominati
a serpentina), recettori ad attività catalitica e recettori operanti come canali ionici; oltre a questi vi
sono altre famiglie di recettori che si trovano anche essi sulla membrana plasmatica e sono le
integrine (mediano le interazioni cellula-matrice) e i recettori “notch”.
I recettori a 7 segmenti ad alfa-elica transmembrana possiedono un sito di riconoscimento del
ligando sul versante extracellulare e un sito di riconoscimento della proteina G sul versante
citoplasmatico; una volta costituito il complesso recettore/ligando, il segnale viene trasdotto
all’interno, nel citoplasma; questo avviene perché il complesso si associa temporaneamente alle
proteine G, così chiamate perché sono in grado di legare GTP, che costituiscono l’intermedio tra il
recettore e le risposte enzimatiche intracellulari; le proteine G sono costituite da 3 subunità, alfa,
beta e gamma, che si trovano sul versante citoplasmatico; beta e gamma si occupano di ancorare
la proteina alla membrana; la sub unità alfa, invece, è responsabile del legame col GDP e col GTP;
quando la sub unità alfa è legata al GDP la proteina ha una sua determinata conformazione, che è
quella costituita dal trimero alfa beta gamma; quando si forma il complesso recettore/ligando e si
associa alla proteina G, questa cambia conformazione, poiché la sub unità alfa si attiva, legando il
GTP, e il complesso beta/gamma si allontana; in questa forma la sub unità alfa può attivare dei
bersagli; la sub unità alfa, inoltre, ha anche un attività GTPasica, in grado quindi di idrolizzare GTP
a GDP e quindi in questo modo si auto inattiva (è l’unica proteina, coinvolta nella cascata di
attivazione del segnale recettoriale, in grado di disattivarsi spontaneamente); in pratica quando la
proteina G viene attivata dal complesso recettore/ligando, la sub unità alfa lega GTP e si stacca
dalle altre due; a questo punto la sub unità alfa va ad attivare il bersaglio; successivamente la
subunità alfa idrolizza GTP e si ha la dissociazione dalla proteina bersaglio; la subunità alfa inattiva
si riassembla con il complesso beta/gamma e si riforma la proteina G inattiva; esempi di recettori a
serpentina sono quelli per l’adrenalina e per la noradrenalina, ovvero i recettori alfa e beta
adrenergici.
I recettori che attivano le proteine G non presentano attività enzimatica e infatti si servono di
queste proteine come intermediarie per interagire con gli altri enzimi coinvolti nella cascata
molecolare innescata proprio dal legame ligando/recettore. Esistono altri recettori di membrana
che hanno attività enzimatica e questi sono i recettori con attività catalitica; questi sono proteine
monopasso e hanno un dominio extracellulare per il legame con il ligando e uno intracellulare che
presenta attività chinasica; tra questi recettori distinguiamo quelli ad attività tirosin-chinasica e
quelli con attività guanil-ciclasica; i primi, per attivare la propria attività chinasica, devono
associarsi in dimeri, poiché una volta avvenuta l’associazione tra il ligando e i due recettori, questi
attivano la propria attività chinasica e possono fosforilare reciprocamente i propri residui di
tirosina e quelli del substrato a cui si associano, attivando una cascata chinasica, che si concluderà
con una risposta a livello nucleare, nel nostro genoma, per la regolazione dell’espressione genica; i
secondi invece, quando avviene il legame del sito specifico extracellulare con il ligando, si attivano
e svolgono la loro attività guanil-ciclasica, che porterà alla sintesi di un secondo messaggero, in
questo caso il GMP ciclico e che darà avvio alla cascata della trasduzione del segnale per arrivare
sempre e comunque ad una risposta.
I recettori di membrana operanti come canali ionici provocano un cambiamento di polarità di
membrana; un esempio di questi recettori è quello del recettore nicotinico dell’acetilcolina che è
presente sulle cellule muscolari ed è responsabile della contrazione muscolare; i terminali dei
neuroni motori rilasciano l’acetilcolina che si lega al recettore nicotinico della membrana
plasmatica della cellula muscolare, che cambia conformazione e permette al suo interno il
passaggio di ioni Na+; si determina una depolarizzazione elettrica della membrana muscolare che
induce l’apertura di altri canali fino a trasmettere il segnale elettrico al tubulo a T (un
invaginazione del sarcolemma che penetra nel sarcoplasma della fibra muscolare e insieme alle
cisterne terminali del reticolo sarcoplasmatico costituisce la triade), dove è presente un canale
ionico per gli ioni Ca+ che si apre e permettendo il rilascio di ioni Ca+ nel sarcoplasma che fa
contrarre le miofibrille nella cellula muscolare.
Sistema Calcio-calmodulina
Gli ioni calcio sono dei messaggeri secondari che quindi mediano la trasduzione del segnale; vi
sono diverse pompe o canali per il calcio all’interno della cellula e tra queste, e i canali che si
trovano nella membrana reticolare e nella membrana plasmatica sono generalmente sono chiuse;
l’apertura dei canali per il calcio della membrana reticolare è mediata dall’IP3 prodotto dall’idrolisi
dei fosfoinositidi; l’IP3 si lega al proprio recettore nella membrana e ne induce un cambio di
conformazione che provoca l’apertura del canale ad esso adiacente; il canale si apre e vi è la
fuoriuscita di ioni Ca2+ nel citosol; successivamente l’IP3 viene fosforilato ad IP4, il quale si lega ai
canali della membrana plasmatica, provocandone un’apertura (questi ultimi possono anche essere
aperti dall’AMPciclico); la concentrazione del calcio citosilico a questo punto aumenta
temporaneamente poiché vi è l’apertura dei canali e nel citosol vi sono delle proteine che vengono
modulate dal calcio e tra queste vi è la calmodulina (CaM), che ha 4 siti di legame ad altissima
affinità con il calcio e legandosi ad esso subisce una cambiamento conformazionale che conferisce
alla calmodulina una maggiore affinità per enzimi o proteine con le quali interagisce; la
calmodulina va quindi ad attivare particolari enzimi, costituendo la subunità regolatoria di questi;
gli enzimi che la calmodulina può attivare sono: l’adenilato ciclasi (che viene principalmente
attivato dalle proteine G attivate dai recettori beta-adrenergici), la guanilato ciclasi, il cAMP
fosfodiasterasi, le Ca2+-ATPasi (che si trovano nella membrana plasmatica), la glicogenofosforilasi,
la glicogeno sintetasi chinasi e alcune proteine chinasi (che possono essere anche attivate dal
cAMP);
Recettori tirosina-chinasici
I recettori tirosina-chinasici fanno parte, insieme ai recettori guanil-chinasici (come il guanidilato
ciclasi di membrana), dei recettori con attività catalitica, che sono dei recettori ad un unico
segmento alfa-elicizzato transmembrana; i recettori tirosina-chinasici entrano a contatto con il
ligando (che può essere ad esempio l’insulina) e si associano, fosforilando a vicenda i propri residui
di tirosina, costituendo un dimero, che è in grado di rimanere attivo anche dopo il distacco del
ligando dai recettori (viene difatti regolato da vari sistemi di regolazione); questi recettori vanno
inoltre a fosforilare residui di tirosina del substrato che generalmente è una chinasi che a sua volta
fosforilerà altre chinasi e si ha il via alla cascata chinasica, che porterà ad una risposta che riguarda
la regolazione genica (in questo caso quindi non vi è l’utilizzo di messaggeri secondari); delle
cascate chinasiche molto importanti sono quelle che si originano a partire dall’insulina; esistono 3
vie di segnalazione dell’insulina.
La prima via dell’insulina è quella che porta alla regolazione dell’espressione genica; una volta che
l’insulina si lega ai recettori, vi è sempre la formazione del dimero con la fosforilazione dei residui
di tirosina; il dimero quindi è la forma attiva dei recettori e fosforilano altri residui di tirosina, che
sono quelli del substrato, che in questo caso è il fattore IRS-1, che prende contatto con i siti di
aggancio per domini SH2, posseduti da alcuni proteine; la proteina Grb-2 possiede dominio SH2 e
si lega all’IRS-1; alla Grb-2 si lega la proteina SOS che è l’attivatore della proteina Ras, che difatti
viene attivata; la proteina Ras appartiene alla famiglia delle proteine G e per questo viene attivata
poiché la proteina SOS induce il rilascio di GDP e il legame con GTP; Ras attiva l’enzima Raf1 che è
una MAPKKK che attiva (idrolizzando ATP) la MAPKK, che in questo caso sarebbe la chinasi MEC1
(detta doppia chinasi perché è in grado di fosforilare sia residui di tirosina, sia quelli di treonina),
che a sua volta attiva (idrolizzando ATP) la MAPK, che è la chinasi ERC; una volta attiva la MAPK
ERC, questa si sposta nel nucleo ed è in grado di fosforilare (idrolizzando ATP) numerose proteine
che regolano l’espressione genica, tra cui alcuni di questi fattori di trascrizione sono l’ELK1, il quale
si legherà ad RF ed entrambi andranno a stimolare una serie di geni che codificano per proteine
responsabili della divisione cellulare; è proprio grazie a questo processo che l’insulina riesce a
controllare il processo di divisione cellulare.
La seconda via dell’insulina è quella che porta all’attivazione della glicogenosintetasi, con la
conseguente sintesi del glicogeno (il glicogeno viene sintetizzato a partire dal glucosio che entra
nella cellula ad opera dell’insulina, antagonista del glucagone che permette l’idrolisi del glicogeno);
i recettori tirosina-chinasici, legandosi con l’insulina, si fosforilano i residui di tirosina a vicenda e
fosforilano anche l’IRS1, questa si lega ai domini SH2 di P3K, una proteina chinasi; P3K va ad
interagire con un lipide di membrana PIP2, che diventa PIP3, e va a fosforilare insieme ad una
proteina chiamata PDK1, la proteina chinasi PKB (che sono importanti poiché sono coinvolte in
altre vie di trasduzione, come quella del THC, che rappresenta il principio attivo di molte droghe,
come ad esempio la marjuana, ma è anche essenziale per la protezione del cervello dall’eventuale
tossicità prodotta da un eccesso di attività neuronale; il suo recettore si trova nel cervello ed è
chiamato CB1); la PKB attivata va a fosforilare la GSK3 che inizialmente è attiva e la fosforilazione
la rende inattiva; in forma attiva la GSK va a fosforilare la glicogenosintetasi che da attiva la rende
inattiva, quindi GSK3 essendo in questo caso inattiva non può inattivare la glicogenosintetasi, che
resta appunto attiva e sintetizza glicogeno.
La terza via di segnalazione è quella che porta, come la seconda via, all’attivazione della
glicogenosintetasi, ma attraverso il GLUT4, una proteina di trasporto, che stimolata dall’insulina,
dal citosol migra nella membrana dove consente l’ingresso di glucosio e quindi accelera il processo
di sintesi di glicogeno.
Sistema JAK/STAT
Una variante di recettori tirosina-chinasici sono quelli che interagendo con il ligando, che può
essere ad esempio l’eritropoietina, non si fosforilano a vicenda e per farlo hanno bisogno di
fosforilare resti di tirosina di una proteina chinasi associata, la JAK1, che una volta attivata per
fosforilazione, fosforila il recettore; il recettore fosforilato si lega alla proteina STAT che viene
fosforilata dalla proteina JAK attraverso i domini SH2 e una volta fosforilata si stacca dal recettore
e migra nel nucleo dove agisce come fattore di trascrizione, in questo caso esprime il gene che
codifica per l’eritropoietina.
Mioglobina ed emoglobina
La mioglobina è una cromoproteina monomerica che si riscontra nelle fibrocellule muscolari
cardiache e scheletriche e che ha funzione di deposito di O2 ed inoltre trasporta anche l’ossigeno
che viene ceduto dall’emoglobina, ai mitocondri (in particolare alla citocromo ossidasi); ha un’alta
affinità per l’ossigeno, che lo lega reversibilmente; è una proteina globulare coniugata, formata da
una porzione proteina, la globina e da un gruppo coniugato, l’eme; la globina è costituita da 153
aminoacidi e il 75% di tale proteina è ad alfa elica, infatti è costituita da 8 segmenti alfa-elicizzati,
che vengono indicate con le lettere maiuscole da A ad H e tra questi segmenti vi sono dei tratti non
elicizzati che permettono il ripiegamento della proteina e vengono indicati con le lettere del
segmento precedente e successivo; gli aminoacidi di ogni segmento vengono indicati con la lettera
del segmento a cui appartengono seguita dal numero che indica la posizione dell’aminoacido nel
segmento, a partire dall’estremità N-terminale; la globina è disposta in modo tale che i residui
idrofobici sono orientati verso l’interno e quelli polari verso l’esterno, in modo tale da conferire il
giusto ambiente per il mantenimento dello stato ferroso del Fe2+ legato al gruppo EME e per
prevenire l’associazione con altre molecole di mioglobina; tuttavia orientate verso l’interno vi sono
due residui polari di istidina, chiamati istidina prossimale (F8) e istidina distale (E7); il ferro è legato
al gruppo EME mediante 4 legami di coordinazione e gli altri due li effettua, uno con l’istidina
prossimale e l’altro se rimane libero si è nello stato di deossimioglobina, se lo impiega con l’O2 si è
nello stato di ossimioglobina e tale ossigeno effettua un legame ad idrogeno con istidina distale
(rende l’eme più adatto a legare reversibilmente l’ossigeno), se invece lo effettua con l’H2O si
forma la ferrimioglobina, in cui il ferro è stato ossidato a Fe3+.
L’emoglobina è una proteina tetramerica coniugata, contenuta nei globuli rossi (eritrociti), formata
da 4 subunità, ciascuna composta da una porzione proteica (globina) e da un eme; svolge tre
funzioni che sono: il trasporto di ossigeno dai polmoni ai tessuti, l’azione tampone sul pH del
sangue e il trasporto dell’anidride carbonica dai tessuti ai polmoni; l’emoglobina dell’uomo adulto
(HbA1) è costituita da due catene alfa, ognuna formata da 141 aminoacidi e da due catene beta,
ognuna formata da 146 aminoacidi; inoltre nell’individuo adulto l’emoglobina è rappresentata per
il 2% da HbA2, costituita da due catene alfa e due catene delta; le subunità dell’emoglobina
presentano delle analogie strutturali con la mioglobina, infatti anch’esse contengono 8 segmenti
alfa-elicizzati (A-H) che contengono il 75% di aminoacidi totali della subunità; tuttavia presentano
delle differenza nei residui superficiali, che nelle catene dell’emoglobina formano legami (idrogeno
e apolari) con le altre subunità per costituire la struttura quaternaria (in particolare ogni catena
alfa è in contatto con le altre due beta e viceversa e per questo la dissociazione graduale
dell’emoglobina produce dimeri alfa-beta come prodotti intermedi; la struttura quaternaria
conferisce a tale proteina la capacità di trasportare ossigeno); come nella mioglobina, ciascuna
delle 4 subunità possiede un gruppo eme, che è contenuto nella tasca idrofobica costituita dai
residui aminoacidici idrofobici rivolti verso l’interno, per il mantenimento del ferro allo stadio
ferroso, necessario per la funzionalità dell’emoglobina; il Fe2+ come nella globina ha 6 legami di
coordinazione, 4 con gli N dei 4 anelli pirrolici, 1 con l’istidina F8 e 1 impegnato con l’ossigeno
(ossiemoglobina) o che rimane libero (deossiemoglobina);
Trasporto ossigeno
Una delle tre funzioni dell’emoglobina è quella di trasportare ossigeno; sia l’emoglobina che la
mioglobina possiedono dei gruppi eme, in particolare l’emoglobina possiede 4 eme, poiché è
costituita da 4 subunità contenenti ognuna 4 gruppi pirrolici che legano un eme e la mioglobina
possiede un eme; il gruppo eme consente il legame dell’ossigeno a tali proteine, ma esistono delle
differenze dovute alla struttura delle proteine che conferiscono ad esse diverse affinità e una
diversa curva di dissociazione con una diversa P50; la P50 è il valore di pressione parziale
dell’ossigeno, in cui le due proteine sono sature al 50% (o in alternativa possono ancora legare il
50% di ossigeno); il grafico di dissociazione di emoglobina e mioglobina, è un grafico che tiene
conto della pressione parziale dell’ossigeno (rappresentata lungo l’ascissa) e della % di proteine
che lega l’ossigeno; da questo grafico (curva iperbolica per la mioglobina e curva sigmoidale per
l’emoglobina) si può ricavare l’affinità per l’ossigeno delle due proteine, che, a bassa pressione
parziale di ossigeno, risulta maggiore per la mioglobina, che difatti rimane satura al 90%; la
pressione parziale dell’ossigeno varia e ad esempio è alta a livello degli alveoli polmonari,
consentendo il legame reversibile tra l’emoglobina e l’ossigeno, ed è bassa a livello dei tessuti, in
cui avviene il rilascio dell’ossigeno da parte dell’emoglobina e invece la mioglobina ha ancora
un’alta affinità per l’ossigeno che infatti non lo rilascia e per questo funge da deposito di ossigeno;
la più alta affinità per l’ossigeno a basse pressioni parziali della mioglobina rispetto all’emoglobina
è dovuta alla differenza strutturale, la mioglobina difatti è un monomero e invece l’emoglobina è
un tetramero, quindi possiede una struttura quaternaria ed è proprio tale struttura che permette
all’emoglobina di essere un trasportatore di ossigeno; inoltre l’emoglobina non lega
contemporaneamente l’ossigeno a tutti i suoi 4 eme, ma vi è un particolare effetto cooperativo,
per cui la prima subunità legherà con più difficoltà l’ossigeno al proprio EME rispetto alla seconda
subunità, che a sua volta lo legherà più difficilmente rispetto alla terza, che a sua volta lo legherà
più difficilmente rispetto alla quarta subunità; questo aumento di velocità del legame dell’ossigeno
tra un EME e il successivo è dovuto al fatto che ogni legame induce un cambiamento di
conformazione della proteina che favorisce il successivo legame; questo è un tipico esempio di
comportamento allosterico, che è condiviso da altre proteine come ad esempio da numerosi
enzimi a struttura quaternaria; vi è però una differenza, ovvero che quello dell’emoglobina è un
comportamento allosterico omotropico e quello degli enzimi generalmente è eterotropico; il
primo sarà sempre positivo nel caso dell’emoglobina, il secondo può essere positivo o negativo,
poiché gli enzimi possiedono un sito catalitico e un sito regolatore a cui può legarsi quindi una
molecola regolatrice positiva o negativa; il grafico sigmoidale dell’emoglobina è quindi dovuto alla
sua struttura ed indica la sua diversa affinità per l’ossigeno in relazione alla sua pressione parziale
e da ciò dipende il fatto che l’emoglobina esiste in due forme, una forma rilassata (R) ed una forma
tesa (T); la forma T (deossiemoglobina) ha una bassa affinità per l’ossigeno, è favorita dalle basse
pressioni parziali ed ha la capacità di rilasciare ossigeno ai tessuti; la forma R (ossiemoglobina) ha
un’altra affinità per l’ossigeno, è favorita dalle alte pressioni parziali e ha la capacità di legare
l’ossigeno a livello degli alveoli polmonari.
Esistono numerosi fattori fisiologici che sono in grado di modificare l’affinità dell’emoglobina per
l’ossigeno e questi sono dei fattori allosterici che possono essere positivi o negativi; i fattori
allosterici positivi, come il monossido di carbonio, per il nostro organismo, a livello tissutale, in
realtà sono negativi, poiché questi fattori aumentano l’affinità per l’ossigeno e quindi anche se vi è
una bassa pressione parziale di ossigeno, questo non viene rilasciato e difatti quando il monossido
di carbonio è legato all’emoglobina il soggetto andrà in contro alla morte; i fattori allosterici
negativi, come l’aumento della temperatura che si verifica nelle cellule che metabolizzano,
l’aumento dell’acidità (o diminuzione del pH), l’aumento della pressione parziale dell’anidride
carbonica, l’aumento della concentrazione di 2,3-bifosfogligerato (BPG), per il nostro organismo, a
livello tissutale, sono in realtà positivi, poiché ad esempio una cellula che metabolizza comporta
un aumento di acido lattico e quindi diminuisce il pH, un aumento di temperatura ed un aumento
di CO2 e tutto questo, favorisce il rilascio di ossigeno a basse pressioni parziali; questi effettori
allosterici negativi spostano la curva di dissociazione, la sigmoide, verso destra e quindi si avrà un
aumento della P50 (la pressione parziale di ossigeno per cui l’emoglobina sarà satura al 50% deve
essere maggiore rispetto al normale), una diminuzione dell’affinità per l’ossigeno dell’emoglobina,
che favorisce appunto il rilascio; L’effetto della diminuzione del pH (o aumento dell’acidità) e
dell’aumento della pressione parziale dell’anidride carbonica, sulla dissociazione dell’emoglobina,
è denominato effetto Bohr; l’anidride carbonica è presente in soluzione prevalentemente in forma
di acido carbonico e la sua dissociazione provoca un abbassamento del pH poiché libera protoni,
quindi un accumulo di CO2 comporta la diminuzione del pH; secondo l’effetto Bohr, la risposta
dell’emoglobina al pH si esprime mediante la seguente reazione: Hb(O2)4 + nH+ -><- Hb.nH + 4O2
con n<2; questo significa che quando nei tessuti vi è un aumento di H+, dovuto a questi due
efettori allosterici negativi, la reazione si sposta da sinistra a destra, con conseguente rilascio di
ossigeno, protonazione dell’Hb e diminuzione di H+; un aumento di O2 nei polmoni sposta la
reazione da destra verso sinistra con rilascio di protoni e assunzione di O2; per quanto riguarda
invece la temperatura diciamo che l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno diminuisce
all’aumentare della temperatura, ed è per questo che la temperatura è più bassa nel sangue
polmonare in modo da facilità il legame con l’O2 ed è invece più elevate nel sangue tissutale in
modo da favorire la dissociazione dell’O2 dall’emoglobina; per quanto riguarda il 2,3-
bifosfoglicerato (BPG), un metabolita intermedio della glicolisi e anch’esso è un effettore
allosterico negativo e perciò fa spostare la curva di dissociazione dell’emoglobina verso destra, con
conseguente diminuzione dell’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno; la sua sintesi si realizza nel
globulo rosso, il quale non ha difficoltà a sintetizzarlo, poiché il suo precursore è il glucosio e
l’eritrocita nella sua membrana presenta i sistemi di trasporto per il glucosio (GLUT) che entra
all’interno secondo diffusione facilitata; il BPG legandosi alle catene beta dell’emoglobina (BPG
presenta 5 cariche negative e catene beta presentano cariche positive) nel rapporto 1:1 ne
influenza appunto l’affinità per l’ossigeno; questo si lega in particolare alle deossiemoglobina,
poiché può legarsi solo quando l’emoglobina non è legata all’ossigeno, e ne stabilizza la
conformazione deossi, creando appunto una bassa affinità per l’O2; quando si lega l’O2 il BPG
viene espulso; l’eritrocita durante la glicolisi, decide di produrre il prodotto intermedio 2,3 BPG,
quando il tessuto ha un maggior bisogno di ossigeno; inoltre ci sono altre cellule che sintetizzano il
2,3 BPG, ma in concentrazioni inferiori; il monossido di carbonio (CO) è invece un effettore
allosterico positivo, un gas inodore (definito killer inodore) ed incolore; il monossido di carbonio si
lega al sito di legame per l’ossigeno e aumenta l’affinità degli altri siti di legame per l’ossigeno;
l’ossigeno quindi anche a basse pressioni parziali non può essere rilasciato e la curva si sposta
verso sinistra; quando l’emoglobina si lega al monossido di carbonio viene chiamata
carbossiemoglobina ed è un’emoglobina tossica, presente nell’individuo di buona salute in
quantità minori dell’1% e invece nei fumatori costituisce il 3-8%; si lega più facilmente
all’emoglobina fetale ed è per questo che durante la gravidanza è sconsigliato fumare.
Metaemoglobina e carbossiemoglobina
La metaemoglobina (o ferriemoglobina) è il prodotto di ossidazione dell’emoglobina e infatti il
ferro dell’eme è allo stato ferroso Fe3+ e non è capace di legare ossigeno, per cui non è incapace
di trasportare ossigeno al nostro organismo; all’interno del globulo rosso, in condizioni normali, si
formano sempre piccole quantità di metaemoglobina e queste vengono eliminate da particolari
sistemi enzimatici; può tuttavia accadere che la metaemoglobina si accumuli all’interno
dell’eritrocita e le cause possono essere acquisite, come l’esposizione dell’organismo a sostanze
chimiche ossidanti e a particolari farmaci, o congenite, dovute principalmente ad un deficit
dell’enzima metaemoglobina reduttasi; quando la metaemoglobina nel nostro organismo supera
un valore soglia che corrisponde a circa l’1-2% dell’emoglobina totale si può parlare di
metaemoglobinemia; il nostro organismo però fortunatamente possiede dei meccanismi in grado
di ridurre la metaemoglobina ossidatasi spontaneamente e questi meccanismi prevedono
l’intervento dell’enzima metaemoglobina reduttasi (NADH citocromo-b5 reduttasi) che mantiene
entro il limite soglia la quantità di metaemoglobina.
La carbossiemoglobina è un emoglobina tossica che si forma quando il monossido di carbonio CO
si lega al Fe2+ al posto dell’O2 e non consente il legame con quest’ultimo; anche legandosi ad uno
solo dei 4 gruppi eme, il CO, diminuisce notevolmente l’affinità per l’O2 dei rimanenti 3; è
presente nell’individuo di buona salute in quantità minori dell’1% e invece nei fumatori costituisce
il 3-8%; si lega più facilmente all’emoglobina fetale ed è per questo che durante la gravidanza è
sconsigliato fumare.
Enzimi
Generalità
Gli enzimi sono delle particolari proteine (affermazione che ormai non può essere considerata più
vera perché nel 1989 dei ricercatori vinsero il premio Nobel per la chimica, dimostrando che anche
l’RNA, che non è una proteina, ha delle proprietà catalitiche) che agiscono come catalizzatori
biologici specifici, e sono quindi capaci di abbassare l’energia di attivazione di una specifica
reazione, accelerandola di molti ordini di grandezza; si differenziano dai catalizzatori non
enzimatici per tre caratteristiche: l’efficienza (reazioni enzimatiche si svolgono a velocità più
elevate, circa 10^7 volte più velocemente di una non catalizzata), la specificità (ogni enzima
catalizza, generalmente, una ben determinata reazione a carico di un substrato specifico) e la
regolabilità (ogni enzima può variare la sua attività, può passare ad esempio da una bassa attività
ad una massima e viceversa); le sostanze che vengono trasformate a seguito della reazione
enzimatica vengono denominate “substrati” e le nuove sostanze che si formano vengono dette
“prodotti della reazione”; per numero di turnover, o attività molecolare, di un enzima, si intende il
numero di molecole di substrato trasformate in prodotto di reazione da una molecola di enzima
per unità di tempo (generalmente per secondo); gli enzimi sono costituti da molecole che sono
quasi sempre di natura proteica e appunto in base alla loro natura possono essere suddivisi in 3
classi: proteine semplici, metallo-proteine e proteine coniugate; le metallo-proteine sono formate
da una proteina e da un cofattore che generalmente è rappresentato da uno ione metallico
bivalente (nella maggior parte dei casi il cofattore si trova nel sito attivo e partecipa al legame
enzima-substrato ma in alcuni casi può essere anche esterno al sito attivo ed è necessario per
conferire alla proteina enzimatica la giusta conformazione per il legame del substrato al sito
attivo); le proteine enzimatiche coniugate sono costituite da una porzione proteica, l’apoenzima, e
da un gruppo non proteico, che se è legato saldamente all’apoenzima è chiamato gruppo
prostetico (es. il FAD nella succinico deidrogenasi), invece se è labilmente legato è chiamato
coenzima (es. il NAD e il FAD in varie deidrogenasi) che si può legare anche ad altri apoenzimi e ne
induce il legame col suo substrato (apoenzima conferisce la specificità del substrato, il coenzima
quella d’azione); il NAD è quindi un coenzima impegnato nelle deidrogenasi, ovvero si lega
labilmente agli enzimi appartenenti alla classe delle ossido reduttasi catalizzanti reazioni di
ossidoriduzione e il NAD gioca un ruolo fondamentale in queste reazioni poiché è un accettore di
atomi di idrogeno (2 atomi di idrogeno) o un donatore nel caso in cui si trovi ridotto a NADH+H,
poiché nelle reazione di ossidazione il NAD riceve due atomi di idrogeno (2 protoni e 2 elettroni),
riducendosi a NADH+H e favorendo l’ossidazione del substrato e invece nelle reazioni di riduzione
il NADH dona due atomi di idrogeno al substrato, diventando NAD, e favorendo la sua riduzione (il
NAD – nicotinammide adenina dinucleotide – è derivato dalla niacina).
In base alla loro complessità invece distinguiamo enzimi monometrici (una sola unità proteica),
enzimi oligomerici (più unità proteiche che costituiscono i monomeri) e complessi enzimatici
(associazione organizzata di enzimi che cooperano in una serie sequenziale di reazioni che
costituiscono nel loro insieme un evento metabolico).
Sito attivo
Le reazioni catalizzate da enzimi avvengono a livello di “tasche” dette siti attivi, ovvero le regioni in
cui l’enzima interagisce specificamente con il substrato; il sito attivo occupa una parte
relativamente piccola del volume totale dell’enzima ed è un’entità tridimensionale formata da
gruppi derivanti da parti diverse delle sequenza aminoacidica lineare, che poi nel loro
ripiegamento per costituire la struttura secondaria e terziaria costituiranno appunto il sito attivo;
la conformazione e la composizione chimica del sito attivo determinano la specificità della catalisi;
dal punto di vista teorico il sito attivo può essere suddiviso in sito di legame e sito catalitico; il
primo è formato da residui aminoacidici che entrano in contatto con il substrato (il quale si lega a
tali residui aminoacidici dell’enzima mediante un certo numero di attrazioni deboli come legami
elettrostatici, legami a idrogeno, interazioni idrofobiche, forze di Van der Waals), garantendone il
giusto posizionamento; il secondo è formato da residui aminoacidici che sono responsabili della
catalisi, ossia che inducono la modificazione dei legami per la trasformazione del substrato in
prodotto; a volte sito di legame e sito catalitico si identificano.
Il sito attivo è quindi la regione dell’enzima in cui si lega il substrato a da cui viene rilasciato il
prodotto, una volta catalizzata la reazione dall’enzima stesso; il sito attivo è quindi specifico per il
substrato e proprio per quanto riguarda la sua specificità, sono noti due modelli di siti attivi, quello
della “chiave serratura” e quello “indotto”; il primo modello consiste in un sito attivo a cui si lega
perfettamente un substrato, ossia il sito attivo dell’enzima è preformato su misura del substrato; il
secondo modello consiste invece in un sito attivo a cui non si va a legare perfettamente il
substrato, che invece si lega superficialmente, e che induce in cambiamento di conformazione
dell’enzima, per cui il sito attivo si va ad adattare perfettamente al substrato, inducendone la
trasformazione in prodotto della reazione; un esempio di tale sito è quello dell’esochinasi, che
promuove la formazione di glucosio-6-fosfato a partire da glucosio e ATP; l’esochinasi è costituita
da due domini polipeptidici tra i quali si trova la fessura del sito attivo, accessibile ad acqua e a
piccole molecole idrofiliche, quali anche il glucosio, che si va a legare al sito attivo e ne induce una
modificazione conformazionale, per cui la fessura si chiude diventando inaccessibile all’acqua e
consentendo le reazioni chimiche che portano alla formazione del glucosio-6-fosfato.
Specificità
La specificità, cioè la preferenza assoluta per una determinata reazione e per un determinato
substrato, è la caratteristica più saliente che differenzia gli enzimi dai catalizzatori non enzimatici;
sulla specificità di reazione si basa il criterio di classificazione degli enzimi; la specificità di un
substrato può essere assoluta o relativa; la prima si ha quando un enzima catalizza quella
determinata reazione a carico di un unico substrato (per esempio la glucochinasi che catalizza la
fosforilazione del solo glucosio); la seconda si ha quando l’enzima agisce su un gruppo di substrati
(per esempio l’esochinasi che catalizza la fosforilazione di vari monosaccaridi); inoltre gli enzimi
esibiscono la stereospecificità, ossia riconoscono uno soltanto dei due isomeri, essendo
completamente inattivi sull’altro, ed anche specificità geometrica per gli isomeri cis-trans.
Classificazione
Gli enzimi vengono classificati in base alla loro specificità di reazione in 6 classi principali:
- Ossidoreduttasi -> Catalizzano reazioni di ossidoriduzione (deidrogenasi, ossidasi,
reduttasi, perossidasi, catalasi, ossigenasi, idrossilasi).
- Transferasi -> Catalizzano il trasferimento di un raggruppamento chimico da una
molecola ad un’altra (acil, metil, glucosil e fosforibosil transferasi).
- Idrolasi -> Catalizzano reazioni idrolitiche consistenti nella rottura di legami covalenti
per introduzione di una molecola d’acqua (esterasi, fosfatasi, proteasi, ecc..).
- Liasi -> Catalizzano la rottura non idrolitica (decarbossilasi, aldolasi, idratasi, ecc..).
- Isomerasi -> Catalizzano reazioni in cui un solo substrato viene trasformato in un solo
prodotto di reazione che è un suo isomero (isomerasi vere e proprie, epimerasi,
racemasi).
- Ligasi -> Catalizzano la formazione di alcuni legami covalenti quali C-C e C-S e sono
reazioni fortemente endoergoniche che avvengono mediante rottura dei legami
fosfoanidridici dell’ATP (sintetasi e carbossilasi).
Isoenzimi
Gli isoenzimi (o isozimi) sono enzimi esistenti in forme molecolari diverse, catalizzanti tuttavia la
stessa reazione; un esempio sono la creatina cinasi e la lattico deidrogenasi.
La creatina cinasi esiste come dimero di due tipi di subunità: M (muscolare) e B (brain = cervello);
quindi l’enzima di cervello è costituito da due subunità identiche indicate arbitrariamente come
subunità B, mentre nel muscolo scheletrico l’enzima è costituito da due subunità identiche, ma
diverse da quelle della creatina cinasi di cervello, indicate arbitrariamente con subunità M; nel
miocardio inoltre si trova una forma dell’enzima costituita da due subunità una di ciascun tipo,
subunità MB; questi enzimi vengono numerati in base alla loro mobilità elettroforetica che è
maggiore per quello di cervello e minore per quello del muscolo scheletrico: CPK1 (BB), CPK2 (MB),
CPK3 (MM).
La lattico deidrogenasi è un enzima tetramerico formato dall’associazione di 4 subunità di due tipi
diversi: H (heart) ed M (muscle) combinate nei 5 possibili modi diversi per dare altrettanti isozimi
caratterizzati da una localizzazione in organi o tessuti diversi: LDH1 (HHHH) ed LDH2 (HHHM)
localizzati nel miocardio; LDH3 (HHMM) localizzato nel miocardio e nel rene; LDH4 (HMMM);
LDH5 (MMMM) localizzato nel fegato e nei muscoli; la quantità di LDH può essere un ottimo
metodo per la diagnosi delle lesioni di organi, infatti quando vi è una lesione, anche lieve, delle
cellule di un tessuto, la lattico deidrogenasi fuoriesce dal citosol, insieme con altri enzimi cellulari,
e si riversa nel sangue; tramite elettroforesi, poiché le subunità derivano da geni diversi e quindi
hanno diversa composizione aminoacidica e quindi proprietà elettrochimiche differenti, si può
individuare di che tipo di LDH si tratta e in quale organo è avvenuta quindi la lesione.
Aspirina
L’aspirina nella storia era già nota ai tempi di Erodoto, il quale già nel suo libro “Storia di Roma”
annotava che vi erano persone, abitanti di Roma, resistenti alle malattie perché mangiavano delle
foglie di un albero, il salice; l'aspirina venne estratta per la prima volta dalla corteccia del salice
bianco ed era detta "salicina"; successivamente venne ribattezzata col nome di "acido salicilico"; in
fine venne chiamata aspirina (o acido acetilsalicilico), quando dei chimici sostituirono il gruppo -
OH con un gruppo acetile, per diminuire gli effetti indesiderati della molecola quando veniva
somministrata.
L'aspirina (o acido acetil salicilico) è un farmaco di largo impiego: viene utilizzato come
antinfiammatorio, analgesico, antipiretico e per la profilassi di aggregazione piastrinica e della
trombosi coronarica.
L'aspirina presenta un gruppo acetilico; l'aspirina agisce su un enzima, l'enzima COX
(ciclossigenasi), trasferendo su un residuo aminoacidico di tale enzima il suo gruppo acetile; essa
quindi si trasforma in acido salicilico; la ciclossigenasi è anche coinvolta nel processo di formazioni
dei eicosanoidi (derivanti da un acido grasso a 20 atomi di carbonio e prodotti da tutte le cellule
umane, tranne che dagli eritrociti) ed il trasferimento del gruppo acetile sul sito attiva di questo
enzima, lo inibisce irreversibilmente, di conseguenza non potrà più agli eicosanoidi, quali ad
esempio prostaglandine e trombossani; un basso dosaggio di aspirina, a lungo termina, blocca
irreversibilmente la formazione di prostaglandine e trombossani nelle piastrine e tutto questo si
traduce in una maggiore fluidificazione del sangue, quindi non bisogno abusare di aspirina.
Glicolisi
La glicolisi è un processo che avviene nel citoplasma e porta alla scissione del glucosio, attraverso
varie reazioni, in piruvato; queste reazioni comportano la sintesi di molecole di ATP e di NADH ed
inoltre il piruvato può essere ulteriormente ossidato nei mitocondri con produzione di una
quantità molto più grande di ATP.
Il processo della glicolisi consiste in 10 reazioni, ma se si considera la fosforilazione del glucosio in
glucosio-6-P come prima reazione allora le reazioni totali del processo saranno 11; possono essere
identificate 2 fasi: la prima porta alla formazione di due molecole di gliceraldeide-3-fosfato (3
atomi di carbonio) e la seconda porta alla formazione di due molecole di acido piruvico (3 atomi di
carbonio); inoltre come prodotti finali sono anche presenti NADH e ATP; l'acido piruvico può avere
destini differenti ed infatti negli organismi anaerobici può essere utilizzato durante la
fermentazione dei lievito ad alcol e negli organismi aerobici, in condizioni di anaerobiosi può
essere utilizzato come substrato della fermentazione lattica (nel nostro muscolo) oppure in
condizione aerobiche può essere decarbossilato in acetil-CoA che entra nel ciclo di Krebs e verrà
ossidato ad alcol e anidride carbonica e vi sarà un'alta resa energetica (energia prodotta
sottoforma di ATP).
Nella prima fase, quindi, una molecola di glucosio (a 6 atomi di carbonio) viene convertita in due
molecole di gliceraldeide-3-fosfato (a 3 atomi di carbonio).
La prima reazione della prima fase è la reazione di preparazione, la fosforilazione del glucosio ad
opera delle esochinasi (o delle glucochinasi nel fegato) a glucosio-6-fosfato (estere fosforico del
glucosio) e viene consumata una molecola di ATP; questo processo è fondamentale per evitare la
fuoriuscita di glucosio dalla membrana plasmatica ed inoltre è un processo irreversibile.
La seconda reazione consiste nell'isomerizzazione di una molecola di glucosio-6-fosfato in
fruttosio-6-fosfato ad opera dell'enzima fosfoglucoisomerasi ed avviene in presenza di magnesio
(Mg2+); questo prodotto sarà il substrato dell'enzima della successiva reazione.
La terza reazione avviene sempre in presenza di magnesio ad opera della fosfofruttochinasi 1
(PFK1) ed è la seconda reazione di fosforilazione della glicolisi che porta alla formazione del
fruttosio-1,6-bifosfato e viene spesa una seconda molecola di ATP; questo è definito un enzima
allosterico multiplo, poiché possiede dei siti di regolazione diversi a cui si legano specificamente gli
effettori allosterici; questi effettori sono l'ATP e il citrato che ne inibiscono l'attività, l'AMP e il
pirofosfato che attivano l'enzima (nel fegato inoltre l’enzima è anche inibito dagli acidi grassi
liberi); l’ATP inibisce la glicolisi proprio perché è uno dei prodotti di questa e se è in eccesso
significa che non vi è bisogno di produrne altre e proprio per questa ragione è un inibitore; a basse
concentrazioni, quindi, l’ATP si lega all’enzima come substrato (si lega in forma di complesso ATP-
Mg2+) e ad alte concentrazioni si lega (in forma libera) come effettore allosterico negativo,
diminuendo l’affinità dell’enzima per il fruttosio-6-fosfato; lo stesso vale per il citrato, che è il
primo substrato che si forma nel ciclo di Krebs e se la sua concentrazione è elevata significa che la
cellula ha glicosilato e decarbossilato (per formare l’acetil-CoA) moltissimo il piruvato e di
conseguenza è una cellula che non ha bisogno di effettuare nuovamente la glicolisi; l’enzima che
invece idrolizza il fruttosio-1,6-bifosfato in fruttosio-6-fosfato è la fruttosio bifosfatasi ed è attivata
da alte concentrazioni di ATP e inibita dall’AMP; nel fegato comunque è presente un altro effettore
allosterico che attiva la fosfofruttochinasi 1 ed è il fruttosio-2,6-bifosfato, che si forma dal
fruttosio-6-P per azione della fosfofruttochinasi 2.
Nella quarta reazione il fruttosio-1,6-bifosfato viene scisso in due molecole a 3 atomi di carbonio,
dall'enzima aldolasi, e ciascuna possiede un gruppo fosfato; una molecola prende il nome di
gliceraldeilde-3-fosfato e l'altra prende il nome di diidrossiacetone fosfato; queste due molecole
sono degli isomeri e man mano si formano, avviene la quinta reazione, ovvero la conversione,
mediante la triosofosfatoisomerasi, del diidrossiacetone fosfato in gliceraldeide-3-fosfato; a
questo punto si è conclusa la prima fesa della glicolisi, che è una fase definita preparatoria; il
diidrossiacetone fosfato può comunque intraprendere un’altra via, catalizzata dalla glicerolo-3-
fosfato deidrogenasi, in cui viene ridotto in glicerol-3-fosfato a spese del NADH che viene ossidato
a NAD+.
La seconda fase è definita fase del recupero, poiché la cellula finora ha speso energia per i gruppi
fosforici e quindi, essendo un metabolismo, deve recuperare; questa fase inizia con la sesta
reazione, dove vi è la presenza dell'enzima deidrogenasi, che catalizza una reazione di ossido-
riduzione e quindi vi è un substrato che si ossida e un substrato che si riduce (in biochimica i
substrati che si riducono sono il NAD e il FAD), ovvero il NAD.
Nella sesta reazione agisce la gliceraldeide-3-fosfato-deidrogenasi, che ha due siti di legame, uno
per la gliceraldeide-3-fosfato e l'altro per il NAD, che essendo l'enzima un tetramero, può legare
fino a 4 molecole di NAD (percorso metabolico altamente energetico); in questa reazione il
substrato, ovvero la gliceraldeide-3-fosfato, verrà ossidato e nello stesso tempo verrà fosforilato in
posizione 1 ad opera di un fosfato inorganico e si viene a formare un acido fosforilato (gruppo
aldeidico ossidato in gruppo carbossilico) in posizione 1,3, l'acido 1,3-bifosfoglicerico (fosfato in
posizione 3 già presente); in questa fase quindi non viene utilizzato ATP ma un fosfato inorganico
semplice ed inoltre in questa reazione viene prodotto NADH; ovviamente questo deve essere
moltiplicato per due poiché erano due le gliceraldeidi-3-fosfato che si erano formate alla fine della
prima fase.
La settima reazione avviene in presenza di magnesio ed è catalizzata dalla fosfoglicerato chinasi; il
fosfato dell'1,3-bifosfoglicerato, in posizione 1, viene trasferito sull'ADP dalla chinasi e si forma
quindi una molecola di ATP (in realtà sono due poiché il tutto va moltiplicato per due, essendo
proprio due le gliceraldeidi-3-fosfato all'inizio della seconda fase e quindi due molecole di ATP per
ogni molecola di glucosio iniziale; viene ricompensata, perciò, la spesa energetica della prima fase)
e il 3-fosfoglicerato; negli eritrociti questa reazione può essere bypassata poiché gli obiettivi di un
globulo rosso sono: o utilizzare l’ATP prodotta dalla glicolisi per mantenere la permeabilità della
membrana e quindi evitare l’emolisi oppure sintetizzare un effettore allosterico molto importante,
che è il 2,3-bifosfoglicerato (effettore di tipo negativo poiché comporta una diminuzione
dell'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno); quindi quando la necessità di sintetizzare l’effettore è
maggiore rispetto a quella della sintesi di ATP, questa via viene bypassata e non agisce la chinasi,
ma agisce la bifosfoglicerato mutasi, enzima che catalizza l’ottava reazione a partire dall’1,3-
bifosfoglicerato (e quindi saltando la settima reazione, che appunto viene bypassata) e che porta
alla sintesi di 2,3-bifosfoglicerato.
Nell’ottava reazione quindi, normalmente, agiscono le mutasi e in particolare la fosfoglicerato
mutasi che trasporta il fosfato che si trova in posizione 3 nel 3-fosfoglicerato alla posizione 2 e si
ha quindi il 2-fosfoglicerato; la reazione prevede inoltre un intermedio 2-3 bifosfoglicerato; se si
tratta degli eritrociti agisce la bifosfoglicerato mutasi e catalizza la reazione partendo dall’1-3-
bifosfoglicerato e sposta sempre il fosfato dalla posizione 3 alla posizione 2 e si ha quindi l’1-2-
bifosfoglicerato; con tale deviazione della glicolisi si assicura negli eritrociti una massima
concentrazione di 1,3-bifosfoglicerato e successivamente con l’azione della bifosfoglicerato
fosfatasi diventa 3-fosfoglicerato e quindi si ha il ritorno alla via glicolitica.
La nona reazione, è una reazione di deidratazione, dove quindi viene eliminata acqua e si ottiene
un composto altamente energetico; questa reazione avviene in presenza di magnesio e dal 2-
fosfoglicerato, per azione dell'enolasi, si avrà come prodotto il fosfoenolpiruvato (PEP);
quest'ultimo presenta un'energia libera maggiore di quella dell'ATP e ciò implica che da questo si
può formare ATP e non il contrario.
Nella decima reazione, catalizzata dalla piruvato chinasi, dal fosfoenolpiruvato si forma l'acido
piruvico; la piruvato chinasi è un enzima allosterico, attivato da amp e dal fruttosio 1,6 bifosfato ed
inibito dall'ATP e dal citrato per gli stessi motivi per cui lo era anche la fosfofruttochinasi-1; questa
è la terza reazione irreversibile (la prima era quella dell'esochinasi, la seconda quella della
fosfofruttochinasi-1 e questa è l'ultima); in questa reazione si forma il piruvato e viene trasferito il
gruppo fosforico del PEP all’ADP e si ha quindi la formazione di una molecola di ATP, quindi due
molecole partendo da una molecola di glucosio; due erano state utilizzate nella prima fase e
quattro sono state prodotte nella seconda e quindi in totale due molecole di ATP; l'energia di
idrolisi dell'ATP non basterebbe per risintetizzare il fosfoenolpiruvato poiché questo ha un
contenuto energetico maggiore dell'ATP; quindi se la cellula avesse bisogno di produrre glucosio
non potrebbe utilizzare le reazioni della glicolisi al contrario poiché troverebbe appunto tre divieti
(le tre reazioni irreversibili catalizzate dalle chinasi: esochinasi, fosfofruttochinasi e piruvato
chinasi); alla fine di questa fase sono stati prodotti quindi acido piruvico e ATP.
Il piruvato formatosi, in condizioni di aerobiosi, si sposta dal citoplasma nel mitocondrio attraverso
dei sistemi di traslocazione e qui viene avviato il ciclo di Krebs; in condizioni di anaerobiosi, invece,
anche se temporanea, come nei muscoli scheletrici, il piruvato verrà utilizzato come accettore
degli elettroni del NADH (formatosi nella reazione di ossidazione della gliceraldeide-3-fosfato ad
acido 1,3-bifosfoglicerico) e tale reazione, catalizzata dalla lattato deidrogenasi, produce lattato e
ripristina il NAD+ necessario per l'ulteriore ossidazione della gliceraldeide-3-fosfato; questa
continua riossidazione del NADH consente lo svolgimento continuo della glicolisi e l'accumulo di
lattato che dovrà essere riversato nel sangue poiché un accumulo di acido lattico all'interno delle
cellule muscolari libera H+ e quindi diminuisce il pH provocando una contrazione involontaria dei
muscoli e quindi i crampi.
Quando un muscolo è sovraccarico (ovvero ha bisogno di energia poiché ha lavorato troppo),
parte della sua fatica viene trasferita al fegato attraverso il ciclo di Cori; consiste nel trasferimento
del lattato al fegato, dove, spendendo energia, attraverso il processo di gluconeogenesi, si produce
altro glucosio che ritorna al muscolo dove viene utilizzato per ottenere ATP.
Fermentazione alcolica
La fermentazione alcolica invece avviene in molti lieviti, sempre in condizioni di anaerobiosi, ed è
un processo analogo alla glicolisi, soltanto che vi è una modifica nell’ultima tappa, cioè il piruvato
non viene ridotto in lattato ma viene decarbossilato in aldeide acetica dalla alcol decarbossilasi;
questa aldeide acetica viene ridotta in etanolo dalla alcol deidrogenasi a spese del NADH, prodotto
nell’ossidazione della gliceraldeide-3-fosfato, che viene ossidato a NAD+ necessario per la continua
ossidazione della gliceraldeide-3-fosfato.
Ciclo di Krebs
Il ciclo di Krebs è anche chiamato ciclo degli acidi tricarbossilici e utilizza come metabolita di
partenza l'acetil-CoA che si ottiene per azione della piruvato deidrogenasi sul piruvato prodotto
della glicolisi; questa reazione è al di fuori del ciclo di Krebs ma avviene sempre nei mitocondri
(glicolisi avviene nel citoplasma); l'acetil-CoA utilizzato nel ciclo di Krebs proviene anche dal
metabolismo degli acidi grassi e degli aminoacidi; il ciclo di Krebs è costituito da 8 reazioni, di cui 4
sono di ossido-riduzione che iniziano partendo dall'acetil-CoA; una volta prodotto tale metabolita
avviene quindi la prima reazione.
Nella prima reazione l'acetil-CoA, che è un tioestere, ha un elevato contenuto energetico e questo
viene sfruttato dalla citrato sintasi (si dice sintasi poiché non fa uso di nucleotidi trifosfato, come
ATP o GTP, altrimenti si direbbe sintetasi) per formare un nuovo legame C-C tra l'ossaloacetato e
l'acetil-CoA, con la formazione, dell'intermedio citril-CoA, dal quale per idrolisi si ottiene il citrato e
si riforma il CoA; l'enzima citrato sintetasi è modulato negativamente dal citrato e dall'ATP, poiché
se si accumula citrato significa che questo stadio è più veloce degli altri e quindi deve rallentare, se
si accumula invece ATP significa che alla fine di tutto il processo (dal ciclo di Krebs si ottiene potere
riducente che viene inviato alla catena respiratoria dalla quale viene prodotto ATP) ne è stato
prodotto di più di quello che serve e perciò rallentando una tappa rallenta tutto il ciclo e di
conseguenza rallenta anche la produzione di ATP; il citrato, dipendentemente dalle esigenze
funzionali della cellula, può alimentare le seguenti reazioni del ciclo di Krebs o può uscire dal
mitocondrio nel citoplasma ed agire come effettore negativo della fosfofruttochinasi-1 inibendo la
glicolisi o come effettore positivo dell'acetil-CoA carbossilasi per la stimolazione della biosintesi dei
carboidrati.
Nella seconda reazione il citrato viene convertito in isocitrato, per azione dell'enzima aconitasi;
tale enzima è così denominato poiché il citrato viene prima disidratato con formazione
dell'intermedio cis-aconitato e, successivamente, l'acqua rientra attaccandosi ad un carbonio
diverso da quello su cui era legato prima; così si ottiene l'isocitrato.
La terza reazione è la prima delle 4 reazioni di ossido-riduzione del ciclo (sarebbe una
decarbossilazione ossidativa); prevede un intermedio, in cui, l'isocitrato viene ossidato ad
ossalosuccinato e il NAD+ viene ridotto a NADH; successivamente l'ossalosuccinato viene
decarbossilato ad alfa-chetoglutarato e vi è liberazione di CO2 (primo corrispettivo energetico); la
reazione è catalizzata dalla isocitrato deidrogenasi mitocondriale NAD+ dipendente, però in alcuni
tessuti questo enzima può essere NADP+ dipendente e quindi la reazione di ossido-riduzione
prevede la riduzione del NADP+ a NADPH; l'enzima inoltre possiede due siti di regolazione, uno
positivo per l'ADP e uno negativo per l'ATP poiché ADP è sinonimo di bisogno di energia e ATP è
sintomo di disponibilità di energia e quindi funge da modulatore negativo; quindi i prodotti di
questa prima ossidazione sono: il NADH o il NADPH, l'alfa-chetoglutarato e una molecola di CO2.
La quarta reazione è la seconda reazione di ossido-riduzione del ciclo (sarebbe una
decarbossilazione ossidativa); è catalizzata dall'enzima alfa-chetoglutarato deidrogenasi, che è un
complesso enzimatico molto simile alla piruvato deidrogenasi, difatti presenta gli stessi cofattori
enzimatici (CoA e NAD+) ed agiscono su substrati simili (sia piruvato che alfa-chetoglutarato sono
alfa-chetoacidi), ma presentano una differenza e cioè che questa deidrogenasi non è regolata dal
processo di fosforilazione-defosforilazione; tale enzima catalizza la reazione che porta alla
formazione del succinil-CoA e alla liberazione di una molecola di CO2 (la seconda del ciclo) e
naturalmente alla riduzione del NAD+ a NADH.
Nella quinta reazione, per azione del succinil-CoA sintetasi (o succinato tiochinasi), il succinil-CoA
viene demolito in succinato e CoA; è l'unica reazione metabolica in cui il GDP viene preferito
all'ADP come accettore primario di un gruppo fosforico ricco di energia; l'enzima trasferisce il
succinile dal succinil-CoA ad un fosfato inorganico con liberazione del CoA e formazione quindi del
succinil-fosfato; successivamente il fosfato viene spostato dal succinil-fosfato ad un residui di
istidina dell'enzima e si forma quindi l'enzima-fosfato; infine il fosfato viene spostato al GDP e si
forma quindi GTP; alla fine di questa reazione avremo quindi liberazione di GTP e di CoA e
formazione di succinato; il GTP che si forma in questa reazione viene utilizzato per le reazioni GTP
dipendenti, come la scissione a GDP da parte dell'attività GTPasica della subunità alfa delle
proteine G oppure per formare ATP, trasferendo un radicale fosforico all'ADP, nella reazione
catalizzata dalla GTP-ADP fosfotrasferasi, in cui reagiscono GTP e ADP per dare GDP e ATP; in
questo ultimo caso il GTP funge da segnale di disponibilità energetica, poiché quando è presente
molto ATP allora sarà presente poco ADP e l'enzima non ha abbastanza substrato e il GTP si
accumula e quindi tutto ciò comporta un rallentamento del ciclo di Krebs poiché vi è abbastanza
ATP da soddisfare il fabbisogno energetico; il succinato può comunque formarsi anche per azione
di un altro enzima, la tioforasi, che trasferisce il CoA dal succinil-CoA all'acetoacetato.
La sesta reazione è la terza reazione di ossido-riduzione del ciclo; è catalizzata dall'enzima
succinato deidrogenasi che, a differenza di tutti gli altri enzimi del ciclo, si trova sulla membrana
mitocondriale interna; in questa reazione il succinato viene ossidato a fumarato e il cofattore FAD
viene ridotto a FADH2; l'enzima è inibito dall'ossaloacetato ed è invece attivato dal succinato e dal
fumarato; per la prima volta quindi il prodotto di una reazione catalizzata dall'enzima è un suo
attivatore; questo avviene perché la tappa finale del ciclo di Krebs prevede l'ossidazione del
malato ad ossaloacetato e per avvenire ciò la concentrazione di malato deve essere elevata e
invece la concentrazione di ossaloacetato deve essere bassa ed è infatti mantenuta tale dalla
citrato sintasi che lo impegna nel legame C-C con l'acetil-CoA per la formazione del citril-CoA e
successivamente del citrato; quindi il fumarato è un regolatore positivo dell'enzima e quindi
questa reazione si autoalimenta poiché solo così è possibile far avvenire la trasformazione di
malato in ossalacetato, difatti è proprio dal fumarato che si ottiene il malato; alte concentrazioni di
ossaloacetato, invece, lo inibiscono perché appunto esso viene prodotto dal malato ma questo
deve essere in elevate concentrazioni rispetto all'ossalacetato e quindi se l'ossalacetato è già
presente in eccesso rispetto al malato non è necessario produrre altro fumarato e di conseguenza
altro malato per formare altro ossalacetato ed appunto si aspetta che la concentrazione di questo
venga abbassata dalla citrato sintasi.
Nella settima reazione il fumarato, mediante l'enzima fumarasi, viene reversibilmente idratato
(addizione molecola H2O) a L-malato.
L'ottava reazione è la quarta reazione di ossido-riduzione del ciclo; è catalizzata dall'enzima malato
deidrogenasi che è NAD+ dipendente; in tale reazione infatti il malato viene ossidato in
ossalacetato e il NAD+ viene ridotto a NADH; si rigenera quindi il prodotto di partenza del ciclo che
può così legarsi nuovamente con l'acetil-CoA, mediante la citrato sintasi e formare il citril-CoA e
successivamente il citrato, con liberazione di CoA; l'ossaloacetato può comunque formarsi per
transaminazione dell'aspartato oltre al fatto che sempre per transaminazione può diventare
aspartato mediante la glutammato-ossaloacetato mitocondriale, infatti quando deve uscire dal
mitocondrio viene transaminato in aspartato e una volta nel citoplasma viene riconvertito in
ossaloacetato mediante la glutammato-ossaloacetato citoplasmatica e può far ripartire il processo
coinvolto nello shuttle malato-aspartato, dove appunto agisce la malato deidrogenasi
citoplasmatica e l'ossalacetato viene ridotto a malato e il NADH prodotto dalla glicolisi viene
ossidato a NAD+, così una volta entrato all'interno del mitocondrio può mediante la malato
deidrogenasi mitocondriale essere ossidato ad aspartato e il NAD+ ridotto a NADH e questi
elettroni verranno trasferiti alla catena respiratoria.
Gluconeogenesi
La gluconeogenesi è un processo anabolico che consente la sintesi di glucosio a partire da
materiale non glucidico; è un processo inverso alla glicolisi, ovvero è costituito da diverse tappe
che coincidono con quelle della glicolisi, ma con un decorso opposto; ovviamente le 3 reazioni gli
colitiche termicamente irreversibili vengono sostituite da altre reazioni catalizzate da enzimi
diversi (queste 3 reazioni sono: la prima reazione glicolitica, ovvero la fosforilazione del glucosio in
glucosio-6-P mediante le esochinasi, ed anche la glucochinasi nel fegato; la terza reazione, ovvero
la fosforilazione del fruttosio-6-P in fruttosio-1,6-bifosfato mediante la fosfofruttochinasi-1; la
decima reazione, ovvero la fosforilazione dell’ADP ad ATP mediante il trasferimento, catalizzato
dalla piruvato chinasi, del fosfato del fosfoenolpiruvato (PEP), che diventa piruvato, appunto
all’ADP che diventa ATP); i principali precursori della gluconeogenesi sono gli aminoacidi
glucogenici, come ad esempio l’aspartato, il glutammato e l’alanina; da questi infatti è possibile
formare l’ossaloacetato in modo diretto (per transaminazione dell’aspartato) o in modo diretto
mediante la formazione di alfa-chetoglutarato e piruvato (per transaminazione del glutammato e
dell’alanina) che verranno poi convertiti ad ossaloacetato; inoltre un altro precursore della
gluconeogenesi è il lattato, poiché esso può essere ossidato a piruvato in una reazione di ossido-
riduzione accoppiata con la riduzione del NAD+ a NADH e catalizzata dalla lattato deidrogenasi
(catalizza anche la reazione opposta, che sarebbe quella della fermentazione lattica, ovvero la
riduzione di piruvato a lattato); ritornando alle transaminazioni, queste sono catalizzate dalle
transaminasi, che appartengono alla famiglia delle transferasi, e catalizzano il trasferimento del
gruppo amminico alfa da un aminoacido ad un alfa-chetoacido; le due più note transaminasi sono
la glutammato-assoloacetato transaminasi (dal glutammato viene trasferito il gruppo amminico
all’ossaloacetato e si formano l’alfa-chetoglutarato e l’aspartato) e la glutammato-piruvato (dal
glutammato viene trasferito il gruppo amminico al piruvato e si formano l’alfa-chetoglutarato e
l’alanina).
La decima reazione della glicolisi che consiste nella fosforilazione dell’ADP in ATP per via del
fosfato che viene trasferito dal PEP appunto all’ADP con formazione di piruvato e ATP, è
irreversibile; quindi per la via inversa, cioè la fosforilazione del piruvato in PEP, è necessaria una
deviazione, e questa consiste in due reazioni.
Nella prima reazione il piruvato viene convertito in ossaloacetato, mediante l’enzima piruvato
carbossilasi, che catalizza la reazione consistente nell’aggiunta di CO2 (dall’enzima) al piruvato,
formando, appunto l’ossaloacetato; questa reazione ha bisogno di ATP, che viene idrolizzato ad
ADP, ed inoltre la piruvato carbossilasi è un enzima mitocondriale biotina dipendente (coenzima),
la cui attività è stimolata allostericamente dall’acetil-CoA (poiché un accumulo di acetil-CoA
significa elevata disponibilità di energia e l’acido piruvico viene dirottato verso la gluconeogenesi,
per recuperarlo in forma di glucosio).
Nella seconda reazione l’ossaloacetato che si è formato nei mitocondri, poiché la piruvato
carbossilasi ha sede mitocondriale, deve essere trasferito nel citosol e per fare ciò deve essere
transaminato in aspartato (mediante la glutammato-ossaloacetato transferasi) o ridotto a malato
(quando ritorna nel citoplasma viene ossidato nuovamente ad ossaloacetato e il NAD+ ridotto a
NADH e questo implica un trasferimento indiretto di equivalenti riducenti dal mitocondrio a
citoplasma), appunto perché l’ossaloacetato è scarsamente permeabile alla membrana
mitocondriale interna; nel citoplasma agisce l’enzima PEP carbossichinasi, che utilizza come
donatore di gruppo fosforico il GTP; in questa seconda reazione, quindi, a partire
dall’ossaloacetato, mediante l’utilizzo di GTP, si viene a formare il fosfoenolpiruvato e si libera
CO2; nella reazione diretta della glicolisi da fosfoenolpiruvato a piruvato veniva fosforilata una
molecola di ADP e si produceva quindi, oltre al piruvato, una molecola di ATP; in questa reazione
inversa, invece, vengono utilizzati una molecola di ATP ed una di GTP.
Nella terza reazione, come nella reazione inversa alla glicolisi, il PEP viene convertito, grazie
all’enolasi, in 2-fosfoglicerato , mediante una disidratazione (perdita di H2O).
Nella quarta reazione, come nella reazione inversa alla glicolisi, il 2-fosfoglicerato, grazie alla
fosfoglicerato mutasi, diventa 3-fosfoglicerato (spostamento radicale fosforico dalla posizione 2
alla posizione 3).
Nella quinta reazione, come nella reazione inversa alla glicolisi, il 3-fosfoglicerato, grazie alla
fosfoglicerato chinasi, diventa 1-3 bifosfoglicerato (gruppo fosforico dell’ATP viene trasferito al 3-
fosfoglicerato).
Nella sesta reazione l’1-3 bifosfoglicerato, come nella reazione inversa alla glicolisi, grazie alla
gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, diventa gliceraldeide-3-fosfato (viene quindi ridotta e il NADH
viene ossidato a NAD+ ed inoltre vi è la liberazione di fosfato inorganico).
Nella settima reazione, come nella reazione inversa alla glicolisi, la gliceraldeide-3-fosfato, grazie
all’enzima triosofosfatoisomerasi, diventa diidrossiacetone fosfato.
Nell’ottava reazione, come nella reazione inversa alla glicolisi, il diidrossiacetone fosfato, grazie
alla fruttosio 1-6 bifosfato aldolasi viene convertito in fruttosio 1-6-bifosfato (diidrossiacetone
fosfato e gliceraldeide-3-fosfato si combinano tra loro).
La nona reazione coincide con la terza reazione della glicolisi, ovvero la fosforilazione del fruttosio-
6-P in fruttosio-1,6-bifosfato mediante la fosfofruttochinasi-1 e l’utilizzo di ATP, che è irreversibile,
quindi questa nona reazione avviene per azione di un altro enzima, che consente appunto la
defosforilazione; nella nona reazione il fruttosio-1,6-fosfato viene convertito in fruttosio-6-fosfato,
mediante l’enzima fruttosio-1-6-bifosfatofosfatasi che idrolizza il legame fosfoestereo in posizione
1 del fruttosio1-6-bifosfato (quindi vi è l’utilizzo di H2O e liberazione di fosfato inorganico); attività
di questo enzima è regolata allostericamente dell’ATP (effettore positivo), dall’AMP e dal fruttosio-
2-6-bifosfato (effettori negativi); quindi questo enzima è attivo quando la fosfofruttochinasi-1 è
inattiva e quindi si evita la creazione di cicli futili.
Nella decima reazione, come nella reazione inversa alla glicolisi, il fruttosio-6-fosfato viene
isomerizzato in glucosio-6-fosfato dalla glucosio-6-fosfato isomerasi.
Nell’ultima reazione, il glucosio-6-fosfato non può essere convertito in glucosio ed ATP dalle
esochinasi o dalla glucochinasi e perciò viene idrolizzato da un altro enzima, la glucosio-6-fosfatasi;