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BIOCHIMICA 1 (Siliprandi + appunti Gueli)

Indice
 Introduzione alla biochimica (pag XIX-XXV)
 Struttura e funzione delle membrane biologiche (pag 207-218)
- Generalità
- Componenti lipidici
- Componenti proteici
- Componenti glucidici
 Trasporto di membrana (pag 219-223)
- Generalità
- Diffusione semplice e facilitata
- Trasporto attivo
- Trasportatori di glucosio
 Meccanismi di trasduzione del segnale (pag 557-613)
- Generalità
- Sistema dell’adenilato ciclasi
- Sistema dei fosfoinositidi
- Sistema calcio-calmodulina
- GMP ciclico (cGMP)
- Ossido nitrico sintasi (NOS)
- Recettori tirosina-chinasici
- Sistema JAK/STAT
 Cromoproteine leganti ossigeno (pag 85-98)
- Generalità
- Mioglobina ed emoglobina
- Trasporto ossigeno
- Trasporto anidride carbonica
- Azione tampone dell’emoglobina
- Varianti fisiologiche dell’emoglobina
- Metaemoglobina e carbossiemoglobina
- Emoglobine atipiche ed emoglobinopatie
 Enzimi (pag 117-157)
- Generalità
- Meccanismo della catalisi enzimatica
- Sito attivo
- Specificità
- Classificazione
- Isoenzimi
- Enzimi costitutivi ed induttivi
- Cinetica delle reazioni enzimatiche
- Influenza concentrazioni enzima e substrato
- Costante di Michaelis e Menten
- Influenza del pH e della temperatura
- Cinetica delle reazioni enzimatiche cui partecipano due substrati
- Meccanismi di inibizione enzimatica
- Applicazione degli inibitori degli enzimi in medicina
- Regolazione dell’attività enzimatica
- Processo della coagulazione
- Aspirina
 Metabolismo dei glucidi (pag 265-320)
- Generalità
- Ingresso del glucosio nelle cellule
- Fosforilazione del glucosio
- Destino metabolico del glucosio-6-P
- Glicolisi
- Regolazione della glicolisi, resa energetica e glicolisi nei vari tessuti
- Fermentazione alcolica
- Trasferimento degli equivalenti riducenti del citoplasma ai mitocondri mediante i sistemi
pendolari
- Ossidazione del piruvato
- Ciclo di Krebs
- Bilancio energetico, regolazione e funzione metabolica del ciclo di Krebs
- Ciclo dei pentoso-fosfati
- Bilancio e regolazione del ciclo dei pentoso fosfati
- Deficienza eritrocitaria della glucosio-6-fosfato deidrogenasi
- Gluconeogenesi
- Cicli futili
- Glicogenosintesi
- Glicogenolisi
- Metabolismo dell’acido glucuronico
- Metabolismo del fruttosio
- Metabolismo del galattosio
 Metabolismo dei lipidi
 Metabolismo degli aminoacidi
 Fosforilazione ossidativa
 Vitamine
 Metabolismo dei nucleotidi

Introduzione alla biochimica


La biochimica studia i componenti chimici degli organismi viventi, i processi con cui vengono
sintetizzati e demoliti tali componenti e anche le loro funzioni; la biochimica medica ha in
particolare come oggetto di studio l’organismo umano nel suo complesso.
Gli eventi propri degli esseri viventi obbediscono alle leggi della chimica e quindi sappiamo che
l’organismo è un sistema aperto all’ambiente esterno, dal quale attinge alcuni elementi che
risultano essere essenziali, come ad esempio acqua, ossigeno ed energia e al quale rilascia i
prodotti terminali, come ad esempio anidride carbonica e composti azotati; le reazioni chimiche
avvengono nell’organismo con velocità elevatissime, poiché sono catalizzate da enzimi, spesso di
natura proteica; le reazioni chimiche, inoltre, raramente raggiungono l’equilibrio, infatti di solito il
prodotto di una reazione diventa substrato di una reazione successiva, e spesso capita anche che
le reazioni sono cicliche, poiché ad esempio una molecola si trasforma in un’altra per poi
riformarsi da quest’ultima.

Il componente più abbondante negli esseri viventi è l’acqua, che rappresenta anche oltre il 70%
del peso; l’acqua all’interno dell’organismo si lega tramite legami a idrogeno ai gruppi idrofilici di
determinate molecole, provocandone un cambiamento di conformazione; interagisce anche con i
gruppi idrofobici delle molecole poiché questi si respingono e perciò causa anche in queste un
cambiamento di conformazione (ad esempio le proteine che presentano catene aminoacidiche
idrofobiche e idrofiliche, si dispongono a costituire un complesso stabile, ovvero le porzioni
idrofobiche si accomodano all’interno della molecola sfuggendo all’acqua, e quelle idrofiliche si
posizionano all’esterno a contatto con l’acqua); alcune sostanze organiche sono anfipatiche, cioè
sia idrofiliche che idrofobiche, come ad esempio i fosfolipidi e i glicolipidi; i fosfolipidi ad esempio
si organizzano costituendo il doppio strato tipico delle membrane biologiche e quindi in questo
caso l’ambiente acquoso gioca un ruolo fondamentale nella costituzione delle membrane
biologiche, importanti poiché permettono l’individualità della cellula, la formazione di
compartimenti funzionali intracellulari (organuli), l’instaurarsi di un potenziale d’azione (che nelle
cellule eccitabili, come i neuroni, variazioni drastiche provocano l’insorgere di un potenziale
d’azione, fondamentale per i processi di neurotrasmissione) e l’instaurarsi di una comunicazione
tra le cellule ad esempio attraverso il passaggio di ioni attraverso canali; quando le molecole
anfipatiche hanno una porzione idrofilica preponderante, come nel caso dei sali e degli acidi biliari,
si formano le micelle (che possono contenere elementi idrofobici, e ad esempio gli acidi grassi in
ambiente acquoso si organizzano formando le micelle); i fosfolipidi in ambiente acquoso si
organizzano formando un bilayer e quando un doppio strato bidimensionale si avvolge su se stesso
si forma il liposoma.

L’organismo vivente è definito tale quando appunto dispone ed utilizza energia; nell’organismo
difatti avvengono moltissime reazioni nelle quali vi è bisogno di utilizzo di energia; ad ogni
reazione in cui vi è bisogno di energia (endoergonica) è accoppiata una reazione che libera energia
(esoergonica), tramite la cessione del fosfato, o pirofosfato da parte dell’ATP, il donatore di
energia “universale” (in alcuni casi intervengono il GTP e ITP con uguale meccanismo).

Struttura e funzione delle membrane biologiche


Generalità
Ogni cellula vivente esiste nella propria individualità grazie alla presenza di una struttura
membranosa che la delimita dal mondo esterno, la membrana plasmatica; inoltre le cellule
eucariotiche sono provviste di membrane intercellulari, che delimitano o sono parte fondamentale
degli organuli cellulari; tutte queste membrane biologiche hanno delle caratteristiche comuni;
infatti esse sono costituiti dagli stessi elementi che sono in prevalenza lipidi e proteine, ma sono
anche presenti anche carboidrati che si associano a proteine e lipidi, formando glicoproteine e
glicolipidi; tali componenti in base alla funzione che la membrana svolge sono distribuiti in diverse
concentrazioni nelle membrane ed inoltre rendono la membrana asimmetrica (la membrana
mielinica che ricopre gli assoni ad esempio è quella con più alta percentuale di lipidi e la
membrana mitocondriale interna è quella con più alta percentuale di proteine); inoltre le
membrane sono costituite da un doppio strato fosfolipidico (è definito elemento strutturale di
base poiché senza di esso non si potrebbero aggiungere gli altri elementi, proteine e colesterolo),
ma appaiono tutte al microscopio elettronico con un aspetto trilamellare (due lamelle esterne
dense agli elettroni ed una interna chiara); tutte le membrane sono resistenti ma allo stesso
tempo flessibili e dinamiche per consentire un cambiamento di forma e il movimento alla cellula (è
il colesterolo che svolge un ruolo importante in tale contesto e ad esempio la membrana dei
globuli rossi ne contiene in abbondanza); inoltre le membrane biologiche sono molto selettive,
poiché si oppongono all’ingresso e all’uscita di molte molecole e presentano dei sistemi di
trasporto in entrata e in uscita proprio per la loro permeabilità selettiva; sono coinvolte nella
trasduzione del segnale; e proprio perché l’organismo è un sistema aperto, partecipano
all’interazioni con le altre cellule o con molecole nelle vicinanze; ed ovviamente, nel caso della
membrana plasmatica, definiscono i confini della cellula.

Componenti lipidici
Le principali specie lipidiche presenti nelle membrane biologiche sono i fosfolipidi, il colesterolo e i
glicolipidi; i fosfolipidi sono delle molecole anfipatiche, costituiti da una porzione idrofilica e da
una porzione idrofobica, rappresentata dalle catene di acidi grassi; gli acidi grassi nelle membrane
biologiche li ritroviamo come elementi che costituiscono i fosfolipidi e non li ritroviamo nel loro
stato libero (in questo ultimo caso sono presenti solo nel sangue, trasportati dalle albumine); i
fosfolipidi si organizzano, costituendo la struttura base delle membrane biologiche, organizzandosi
in un bilayer, con la porzione idrofilica rivolte verso l’esterno della membrana e la porzione
idrofobica rivolta verso l’interno, costituendo una barriera impermeabile alle sostanze idrofiliche,
che quindi possono attraversare la membrana soltanto attraverso specifici meccanismi di
trasporto; sono presenti molte varietà di fosfolipidi nelle membrane biologiche e questi sono
disposti in modo tale da conferire un’asimmetria alla membrana (ad esempio generalmente la
fosfatidilserina è collocata prevalentemente nel foglietto interno, e la fosfatidilcolina
prevalentemente in quello esterno); anche la lunghezza e la presenza dei doppi legami, che
rendono la catena insatura, variano all’interno della membrana e insieme al colesterolo giocano
un ruolo importante nella fluidità della membrana; infatti se le catene di acidi grassi sono corte e
se vi è un alto grado di insaturità vi sarà una maggiore fluidità e inoltre ad alte temperature (sopra
il livello della temperatura di transizione) normalmente la fluidità sarà maggiore ma viene limitata
dall’azione del colesterolo che appunto ad alte temperature limita i movimenti delle catene di
acidi grassi (la fluidità viene aumentata anche dalla presenza di alcuni composti, come ad esempio
gli anestetici); i lipidi all’interno della membrana sono soggetti a tre tipi di movimento: quello
laterale che consiste nello spostamento nell’ambito del “monolayer”, quello rotazionale che
consiste nella rotazione delle catene di acidi grassi intorno al loro legame semplice carbonio-
carbonio, quello flip-flop che consiste nello scambio di una molecola lipidica tra i due strati del
bilayer ed è reso possibile mediante la presenza di particolari proteine come la “flippasi” o anche
mediante la “scramblasi”, una proteina carrier che svolge lo stesso ruolo delle flippasi, anche se
con meccanismo diverso.

Componenti proteici
Nel doppio strato lipidico sono sistemate diverse proteine di membrana, ognuna delle quali svolge
delle determinate funzioni, che ad esempio possono riguardare i processi di trasduzione, il
trasporto, la catalisi enzimatica, l’adesione e la comunicazione tra cellule o tra cellula e matrice,
ecc; le proteine che ritroviamo all’interno delle membrane biologiche hanno una porzione
idrofobica, che contrae rapporti con le catene di acidi grassi dei fosfolipidi, e una porzione
idrofilica che contrae rapporti con le zone idrofiliche superficiali; quindi in dipendenza da ciò
distinguiamo proteine intrinseche di membrana, che attraversano il doppio strato fosfolipidico una
o più volte e verranno quindi anche distinte in monopasso e multipasso e proteine estrinseche,
che si trovano in superficie e possono anche contrarre rapporti con più proteine intrinseche,
limitandone i movimenti e quindi rendendo meno fluida la membrana, come nel caso delle
“lectine”; anche le proteine intrinseche comunque rendono meno fluida la membrana, poiché si
legano mediante forze idrofobiche alle code apolari fosfolipidiche; tali proteine intrinseche ed
estrinseche possono essere studiate, isolandole dalla membrana, mediante l’utilizzo di detergenti:
le prime risultano insolubili in acqua e le seconde invece sono solubili; alcune proteine estrinseche,
inoltre, sono saldamente adese alla membrana attraverso un ancora idrofobica di natura non
aminoacidica inserita in uno dei due foglietti lipidici: l’ancora può essere ad esempio un acido
grasso (acido miristico o acido palmitico, entrambi saturi), un farnesile (ancora farnesinica) o un
glicosilfosfatidilinositolo;

Componenti glucidici
Le membrane biologiche contengono carboidrati liberi in quantità trascurabile e infatti tale
componente la ritroviamo nelle membrane, associata a proteine e lipidi, formando un infinita
varietà di glicoproteine e glicolipidi, in particolare nella membrana plasmatica; la componente
saccaridica è esposta sempre nel versante extracellulare, costituendo il glicocalice, e contribuendo
a rendere fortemente asimmetrica la membrana plasmatica; sono rivolti verso l’esterno poiché
svolgono un ruolo principale nei processi di interazione con la cellula e il mondo esterno: sono
coinvolti nei processi di riconoscimento da parte di anticorpi, nei processi di ricezione di segnali,
nei processi di adesione cellulare.

Trasporto di membrana
Generalità
Le membrane biologiche costituiscono delle barriere di permeabilità altamente selettive, così da
costituire un trasporto di ioni e metaboliti rigorosamente controllato; il trasporto transmembrana
può essere passivo o attivo; in quello passivo a sua volta vengono distinti una diffusione semplice e
una diffusione facilitata; entrambi non hanno bisogno di energia e quindi di idrolisi di ATP, come
avviene per il trasporto attivo, poiché gli ioni e le molecole vengono trasportati secondo gradiente
di concentrazione (che può essere un gradiente chimico o anche un gradiente elettrochimico, nel
caso in cui queste particelle possiedono delle cariche, come ad esempio gli aminoacidi acido
glutammico e acido aspartico, che hanno il gruppo COOH dissociato e quindi sono carichi
negativamente); il trasporto secondo gradiente di concentrazione prevede il passaggio,
dell’elemento da trasportare, dalla zona a concentrazione maggiore a quella a concentrazione
minore; il trasporto attivo invece non è spontaneo e ha appunto bisogno di energia poiché
l’elemento viene trasportato contro gradiente, cioè verso il compartimento nel quale la sua
concentrazione è maggiore.

Diffusione semplice e diffusione facilitata


La diffusione semplice e quella facilitata sono due tipi di trasporto passivo che presentano delle
analogie e delle differenze sostanziali; per quanto riguarda le analogie diciamo che entrambi
sfruttano il gradiente di concentrazione per il trasporto delle sostanze, e la velocità del flusso che
si genera è proporzionale alla concentrazione della sostanza; ma in questo aspetto vi è una prima
differenza, e cioè che mentre all’aumentare della concentrazione il flusso mediante diffusione
semplice ha una velocità sempre crescente (proporzionalità diretta), nel flusso mediante diffusione
facilitata inizialmente la velocità aumenta ma successivamente raggiunge un limite, che è dovuto
alla caratteristica di “saturità” della diffusione facilitata: in questo tipo di trasporto infatti, le
sostanze sono trasportate mediante la mediazione di canali ionici o di proteine carrier (permeasi)
e quindi anche se la concentrazione della sostanza cresce, si arriverà ad un certo punto a
raggiungere il limite, dato appunto dal numero di queste proteine intermediare (in un grafico
velocità-spazio per la diffusione semplice si avrà una retta, mentre per quella facilitata
un’iperbole); la diffusione facilitata inoltre ha un’altra caratteristica, e cioè quella della
“specificità”, difatti ogni sostanza si lega specificamente alle proteine di membrana intermediarie;
il flusso della diffusione facilitata avviene, a parità di concentrazione della soluzione, in maniera
più rapida di quella semplice; le proteine canali possono comunque essere in conformazione
pervia (canali aperti) o impervia(canali chiusi) e a volte a rendere il canale pervio è la stessa
sostanza a cui si lega, altre volte invece sono particolari proteine; nella diffusione facilitata
comunque il trasporto può interessare una sola molecola e si parlerà di uniporto, più molecole e si
parlerà di cotrasporto, che a sua volta se ad esempio le molecole sono due e vengono trasportate
nello stesso verso si parlerà di sinporto, se il verso è opposto di antiporto.

Trasporto attivo
Il trasporto attivo, a differenza del trasporto per diffusione, richiede l’utilizzo di ATP perché il
passaggio degli ioni avviene contro gradiente di concentrazione; il trasporto attivo mantiene una
differenza di concentrazione tra i vari ioni all’interno e all’esterno della membrana, ed è mediato
da particolari proteine intrinseche, che oltre al legarsi allo ione da trasportare, idrolizzano una
molecola di ATP e per questo sono definite pompe ATP-dipendenti; il trasporto attivo può essere
diretto (o primario), se l’energia che deriva dall’idrolisi dell’ATP viene utilizzata direttamente dalla
pompa per il trasporto dei soluti, creando quindi un gradiente elettrochimico, o indiretto (o
secondario) se l’energia per il trasporto non è fornita direttamente dall’idrolisi di ATP, ma
dall’esistenza di un gradiente elettrochimico, già creato da un trasporto attivo diretto, e in questo
caso si viene a generare un cotrasporto degli ioni del trasporto primario e secondario.
Vi sono diversi tipi di pompe ATP-dipendenti, ognuna specifica per relativi ioni e con diversa
struttura; queste sono la pompa P, la V, la F e la ABC (che è anche responsabile del trasporto di
piccole molecole, oltre che di ioni);
Le pompe appartenenti alla classe P sono costituite da 4 sub unità che costituiscono un tetramero
(alfa2 beta2); la sub unità alfa si trova sul versante citoplasmatico ed è responsabile dell’idrolisi
dell’ATP e del legame col fosfato, che si ottiene dall’idrolisi dell’ATP, (da qui il nome P per queste
pompe) e del trasporto dello ione; invece la sub unità beta che si trova sul versante interno della
membrana, è responsabile del corretto ripiegamento delle sub unità alfa; Vi sono comunque
diverse tipologie di pompe P e sono quella Na+/k+, la Ca2+ e la H+; queste pompe hanno la stessa
struttura generale di tutte le pompe della classe P, ma differiscono per l’affinità a particolari tipi di
ioni.
La pompa Na+/k+ ATPasi dipendente trasporta sodio all’esterno e potassio all’interno, in
particolare, per ogni molecola di ATP idrolizzata, trasporta 3 ioni Na+ all’esterno e 2 ioni K+
all’interno della cellula; questa pompa può trovarsi in due stadi conformazionali; nel primo stadio
la pompa è aperta verso l’interno della cellula e nella sub unità alfa ha 3 siti di legame per il sodio
ad alta affinità, e per questo, anche se presente in concentrazioni basse, 3 ioni sodio si legano ai
siti; il legame del sodio induce il legame con l’ATP alla sub unità alfa, la sua idrolisi e il successivo
trasferimento del fosfato nella sub unità alfa, che causa il cambio di conformazione; in questo
stadio la pompa è aperta verso l’esterno e vi è anche un cambiamento dei siti per il sodio che
diventano a bassa affinità e quindi i tre ioni sodio vengono rilasciati all’esterno; con il rilascio del
sodio avviene l’esposizione di due siti ad alta affinità per ioni potassio, che si legano ai rispettivi siti
e inducono la de fosforilazione che comporta il ritorno alla conformazione normale e i siti per gli
ioni potassio diventano a bassa affinità e quindi i due ioni vengono rilasciati all’interno della cellula
e vi è l’esposizione dei tre siti por gli ioni sodio e può ricominciare il ciclo; quindi per ogni molecola
di ATP vengono trasportati all’esterno 3 ioni sodio e all’interno 2 ioni potassio; la pompa
sodio/potassio regola quindi la distribuzione delle due cariche nei due versanti della membrana e
per questo viene anche chiamata pompa elettrogenica; ha anche altre funzioni importanti, come
quella di mantenimento dell’equilibrio osmotico delle cellule animali, infatti se la pompa venisse
inibita, ci sarebbe un accumulo di ioni sodio all’interno della cellula che si troverebbe in un
ambiente isotonico e quindi si avrebbe un flusso d’acqua dall’esterno verso l’interno con la
conseguente lisi della cellula; nelle cellule vegetali e batteriche, invece, questa ultima funzione
viene svolta dalla pompa H+; La pompa sodio/potassio può essere inibita da un particolare
inibitore, la ouabaina.
La pompa idrogeno è caratteristica della membrana plasmatica di cellule vegetali, batteriche e
funghi ed è responsabile del trasporto contro gradiente elettrochimico degli ioni H+, che dal
citoplasma si muovono verso l’esterno della cellula; la pompa esiste in due conformazioni e nella
sua conformazione iniziale, è aperta verso l’interno della cellula e ha un sito di legame per
l’idrogeno, che una volta legato, induce il legame con l’ATP e la successiva idrolisi e legame del
fosfato con la sub unità alfa, a questo punto cambia conformazione e rilascia lo ione idrogeno
all’esterno, poiché il sito è diventato a bassa affinità per l’idrogeno, poi vi è la defosforilazione
nella sub unità alfa e il successivo ritorno alla conformazione iniziale; nelle cellule animali, invece,
la pompa idrogeno si trova solo nelle cellule parietali della mucosa gastrica e il trasporto avviene in
antiporto con ioni potassio, in rapporto 1:1; si viene quindi a costituire una pompa
idrogeno/potassio, con meccanismi di trasporto analoghi a quelli della pompa sodio/potassio, che
ha il compito di mantenere il pH del succo gastrico acido.
La pompa Ca2+ si trova sia nella membrana plasmatica (ATPasi-Ca2+ dipendente e antiporto
Ca2+/H), sia sulle membrane del reticolo endoplasmatico o (sarcoplasmatico nel caso dei miociti),
sia sulla membrana mitocondriale interna (antiporto Ca2+/H), e si occupa di mantenere bassa la
concentrazione citoplasmatica di calcio, trasportando fuori gli ioni calcio o all’interno del reticolo
endoplasmatico (o sarcoplasmatico) o nella matrice mitocondriale; l’apertura dei canali per il
calcio che si trovano sulla membrana reticolare e sulla membrana plasmatica viene mediata
dall’IP3 prodotto dall’idrolisi dei fosfoinositidi (vedi sistema calcio-calmodulina); le pompe della
membrana plasmatica vengono invece attivate dalla calmodulina; le è importante mantenere
bassa la concentrazione di calcio poiché il calcio è un messaggero secondario e quindi è necessario
mantenerlo a basse concentrazioni, cosicché piccole variazioni sono in grado di innescare il
messaggio; c’è anche un secondo motivo, e cioè quello che il calcio si lega con il fosfato formando
sali di fosfato di calcio che sono insolubili e potrebbero precipitare nella cellula danneggiandola.
Inoltre è presente un altro meccanismo di trasporto degli ioni calcio, che è accoppiato al trasporto
del sodio: è la pompa sodio/calcio che si trova sempre nella membrana plasmatica e che ha
sempre il compito di pompare all’esterno gli ioni calcio; per ogni idrolisi di ATP il rapporto è di 3:1
(3 sodio entrano e 1 calcio esce). Anche per la pompa per il calcio abbiamo un inibitore, la
tapsigargina.
Le pompe di tipo V trasportano ioni H+ dal citoplasma ai lisosomi e ai vacuoli delle cellule vegetali
(da qui il nome V); il loro compito è quello di mantenere neutro il pH del citoplasma e di abbassare
il pH di tali organuli; a differenza delle pompe ATPasiche di tipo P queste utilizzano l’energia
ricavata dall’idrolisi di ATP senza cambiare la propria conformazione e per ogni molecola di ATP
idrolizzata, trasportano 2 ioni H+ contro gradiente elettrochimico.
Le pompe di tipo F sono simili per struttura a quelle di tipo V, probabilmente derivano da un unico tipo
ancestrale; si trovano nei batteri e nei mitocondri e utilizzano il gradiente di H+ come fonte di energia per la
sintesi di ATP a partire da ADP.
Le pompe di tipo ABC sono responsabili del trasporto contro gradiente di concentrazione di vari
ioni e tipi di molecole; a questa famiglia appartengono le proteasi batteriche, che trasportano
nutrienti all’interno delle cellule batteriche contro gradiente di concentrazione, e anche la
proteina canale per il Cl-, che viene chiamata CFTR ed è regolata dal c-AMP; Mutazioni a carico del
gene codificante per tale proteina è responsabile della fibrosi cistica, poiché se la funzione della
CFTR viene alterata, o se questa viene completamente rimossa, vi è una diminuzione dell’efflusso
di Cl- che comporta una diminuzione di efflusso di acqua e quindi la formazione di un muco molto
denso; questi canali per il cloro si trovano nelle membrane plasmatiche di diversi tessuti epiteliali.
Trasportatori di glucosio
I trasportatori di glucosio (GLUT) sono una famiglia di proteine transmembrana presenti nella
maggior parte delle cellule mammifere; la loro azione permette il transito di glucosio attraverso la
membrana plasmatica, dall’ambiente extracellulare all’interno della cellula; il trasporto mediato
dai GLUT, che ne esistono di differenti tipologie, localizzati anche in distretti diversi e con
caratteristiche diverse (ad esempio hanno una diversa affinità per il glucosio e nel caso del GLUT2
possono consentire un trasporto bidirezionale, non consentito dalle altre GLUT); il trasporto
avviene secondo gradiente di concentrazione e quindi è un trasporto passivo facilitato, che
avviene perciò senza consumo di ATP ed avviene in condizione di uniporto; queste proteine carrier
esistono in due conformazioni, una con i siti di legame nell’ambiente citoplasmatico e una con i siti
di legame nell’ambiente extracellulare: il glucosio si lega ai siti di legame della proteina e ne induce
un cambio di conformazione e quindi il glucosio a questo punto si trova nei siti di legame
citoplasmatici e viene rilasciato all’interno della cellula; alcuni di questi trasportatori, come ad
esempio il GLUT4 che lo ritroviamo nei muscoli scheletrici, cardiaci e nel tessuto adiposo, sono
proteine insulina-dipendenti, infatti non si trovano direttamente nella membrana plasmatica, ma si
trovano inizialmente nel citoplasma e quando l’insulina si lega a specifici recettori di membrana,
ne viene indotta la loro traslocazione nella membrana; esso quindi media il trasporto di glucosio
all’interno della cellula e quando la concentrazione ematica del glucosio si normalizza e l’insulina
viene eliminata, le molecole di GLUT4 vengono lentamente rimosse dalla membrana plasmatica e
racchiuse in vescicole di endocitosi; nei muscoli, la traslocazione di GLUT4 nella membrana
plasmatica, oltre che dall’insulina, è favorita anche dalla contrazione e dall’aumento del flusso
ematico, quindi è per questo che l’attività sportiva è un’utilissima medicina nella prevenzione
dell’insulinoresistenza; è molto importante anche la proteina GLUT2, perché si trova nel fegato,
che è la sede della gluconeogenesi (sintesi ex-novo di glucosio a partire da aminoacidi,glicerolo e
acido lattico) e sfrutta una caratteristica propria di tale GLUT2, ossia la bidirezionalità del
trasporto; GLUT2 la ritroviamo anche nel pancreas e nell’intestino; GLUT1 la ritroviamo nei
muscoli scheletrici e degli eritrociti; GLUT3 nel cervello e nel rene; GLUT5 nei muscoli scheletrici
ma trasporta preferenzialmente fruttosio; sul piano strutturale tutti i carrier del glucosio sono
caratterizzati dalla presenza di 12 segmenti transmembrana (proteine intrinseche multipasso).
Il trasporto di glucosio all’interno della cellula, può avvenire anche contro gradiente di
concentrazione e in questo caso si sfrutta il gradiente elettrochimico generato da altri trasporti
attivi delle pompe del sodio, come ad esempio quella della pompa sodio/potassio; è quindi un
trasporto attivo secondario e avviene in condizione di sinporto con il sodio e in particolare
vengono introdotti nella cellula una molecola di glucosio e due di sodio (rapporto 1:2); per
mantenere attivo tale trasporto è necessario il lavoro delle pompe sodio/potassio che pompano
ioni sodio all’esterno della cellula, mantenendo alta la concentrazione extracellulare di sodio e
perciò il sodio attraverso la pompa sodio-glucosio penetra all’interno secondo gradiente di
concentrazione e il glucosio contro gradiente di concentrazione; la dimostrazione che la pompa
sodio-glucosio per rimanere attiva ha bisogno del lavoro delle pompe sodio-potassio è dimostrato
dall’inibizione del processo mediante l’inibitore della pompa sodio-potassio, la ouabaina (oltre che
dalla florizina, che è l’inibitore della pompa sodio-glucosio, poiché impedisce il legame del glucosio
al carrier).
Meccanismi di trasduzione del segnale
Generalità
Le cellule, negli organismi multicellulari, non sono entità separate, ma comunicano tra di loro con
un processo definito “segnalazione cellulare”; le cellule possono scambiarsi informazioni tra di loro
o per contatto o per la produzione di fattori solubili, quali neurotrasmettitori, ormoni e fattori di
crescita, che diffondono nello spazio pericellulare con differente raggio d’azione; in base al raggio
d’azione si distinguono tre tipi di segnalazione: quella paracrina, in cui la cellula rilascia fattori
solubili che agiscono su cellule bersaglio che si trovano nelle immediate vicinanze della cellula che
ha rilasciato il segnale, quella autocrina in cui il fattore solubile agisce sulla cellula che lo ha
rilasciato e quello endocrino in cui i fattori solubili raggiungono, mediante la circolazione
sanguigna, cellule bersaglio che possono trovarsi in distretti lontani del corpo.
Questi fattori solubili interagiscono con la cellula bersaglio tramite dei recettori che si trovano
appunto sulla cellula bersaglio; questi recettori possono essere intracellulari o nella membrana; i
fattori solubili, in generale, si legano al recettore delle cellule bersaglio e per questo vengono
chiamati ligandi; il legame è specifico, poiché ogni ligando ha un sito di legame che è
complementare alla molecola del recettore, ed è costituito da legami deboli; alcuni recettori, come
quelli delle cellule bersaglio coinvolte nella segnalazione endocrina hanno bassa affinità per il
ligando, invece quelli coinvolti nella segnalazione paracrina hanno un affinità alta per il ligando,
che quindi può essere anche presente in concentrazioni basse; i recettori di membrana hanno 3
domini, uno extracellulare che consente il legame con il ligando, uno intracellulare e uno nel
versante citoplasmatico; quando il ligando si lega al recettore quest’ultimo trasduce il segnale
all’interno della cellula e si possono quindi innescare quei processi metabolici stabiliti nelle
informazioni portate dal ligando; i recettori intracellulari, possono essere invece raggiunti solo da
ligandi idrofobici, come ormoni steroidei o tiroidei che penetrano all’interno della cellula mediante
l’aiuto di trasportatori (proteine carrier), con diffusione facilitata, e possono legarsi al recettore
che può trovarsi nel nucleo (nel caso degli ormoni tiroidei) o nel citoplasma (nel caso degli ormoni
steroidei); questi ormoni innescano delle risposte a livello nucleare e quindi innescano ad esempio
i processi di trascrizione per la sintesi di determinati peptidi.
Per quanto riguarda i recettori che si trovano sulla membrana plasmatica, dobbiamo distinguere
tre diverse tipologie fondamentali di recettori: recettori a 7 segmenti transmembrana (denominati
a serpentina), recettori ad attività catalitica e recettori operanti come canali ionici; oltre a questi vi
sono altre famiglie di recettori che si trovano anche essi sulla membrana plasmatica e sono le
integrine (mediano le interazioni cellula-matrice) e i recettori “notch”.
I recettori a 7 segmenti ad alfa-elica transmembrana possiedono un sito di riconoscimento del
ligando sul versante extracellulare e un sito di riconoscimento della proteina G sul versante
citoplasmatico; una volta costituito il complesso recettore/ligando, il segnale viene trasdotto
all’interno, nel citoplasma; questo avviene perché il complesso si associa temporaneamente alle
proteine G, così chiamate perché sono in grado di legare GTP, che costituiscono l’intermedio tra il
recettore e le risposte enzimatiche intracellulari; le proteine G sono costituite da 3 subunità, alfa,
beta e gamma, che si trovano sul versante citoplasmatico; beta e gamma si occupano di ancorare
la proteina alla membrana; la sub unità alfa, invece, è responsabile del legame col GDP e col GTP;
quando la sub unità alfa è legata al GDP la proteina ha una sua determinata conformazione, che è
quella costituita dal trimero alfa beta gamma; quando si forma il complesso recettore/ligando e si
associa alla proteina G, questa cambia conformazione, poiché la sub unità alfa si attiva, legando il
GTP, e il complesso beta/gamma si allontana; in questa forma la sub unità alfa può attivare dei
bersagli; la sub unità alfa, inoltre, ha anche un attività GTPasica, in grado quindi di idrolizzare GTP
a GDP e quindi in questo modo si auto inattiva (è l’unica proteina, coinvolta nella cascata di
attivazione del segnale recettoriale, in grado di disattivarsi spontaneamente); in pratica quando la
proteina G viene attivata dal complesso recettore/ligando, la sub unità alfa lega GTP e si stacca
dalle altre due; a questo punto la sub unità alfa va ad attivare il bersaglio; successivamente la
subunità alfa idrolizza GTP e si ha la dissociazione dalla proteina bersaglio; la subunità alfa inattiva
si riassembla con il complesso beta/gamma e si riforma la proteina G inattiva; esempi di recettori a
serpentina sono quelli per l’adrenalina e per la noradrenalina, ovvero i recettori alfa e beta
adrenergici.
I recettori che attivano le proteine G non presentano attività enzimatica e infatti si servono di
queste proteine come intermediarie per interagire con gli altri enzimi coinvolti nella cascata
molecolare innescata proprio dal legame ligando/recettore. Esistono altri recettori di membrana
che hanno attività enzimatica e questi sono i recettori con attività catalitica; questi sono proteine
monopasso e hanno un dominio extracellulare per il legame con il ligando e uno intracellulare che
presenta attività chinasica; tra questi recettori distinguiamo quelli ad attività tirosin-chinasica e
quelli con attività guanil-ciclasica; i primi, per attivare la propria attività chinasica, devono
associarsi in dimeri, poiché una volta avvenuta l’associazione tra il ligando e i due recettori, questi
attivano la propria attività chinasica e possono fosforilare reciprocamente i propri residui di
tirosina e quelli del substrato a cui si associano, attivando una cascata chinasica, che si concluderà
con una risposta a livello nucleare, nel nostro genoma, per la regolazione dell’espressione genica; i
secondi invece, quando avviene il legame del sito specifico extracellulare con il ligando, si attivano
e svolgono la loro attività guanil-ciclasica, che porterà alla sintesi di un secondo messaggero, in
questo caso il GMP ciclico e che darà avvio alla cascata della trasduzione del segnale per arrivare
sempre e comunque ad una risposta.
I recettori di membrana operanti come canali ionici provocano un cambiamento di polarità di
membrana; un esempio di questi recettori è quello del recettore nicotinico dell’acetilcolina che è
presente sulle cellule muscolari ed è responsabile della contrazione muscolare; i terminali dei
neuroni motori rilasciano l’acetilcolina che si lega al recettore nicotinico della membrana
plasmatica della cellula muscolare, che cambia conformazione e permette al suo interno il
passaggio di ioni Na+; si determina una depolarizzazione elettrica della membrana muscolare che
induce l’apertura di altri canali fino a trasmettere il segnale elettrico al tubulo a T (un
invaginazione del sarcolemma che penetra nel sarcoplasma della fibra muscolare e insieme alle
cisterne terminali del reticolo sarcoplasmatico costituisce la triade), dove è presente un canale
ionico per gli ioni Ca+ che si apre e permettendo il rilascio di ioni Ca+ nel sarcoplasma che fa
contrarre le miofibrille nella cellula muscolare.

Sistema dell’adenilato ciclasi


L’enzima adenilato ciclasi ha un ruolo importantissimo in quanto in presenza di ATP forma
l’AMPciclico; il processo che porta alla formazione dell’AMPciclico inizia ovviamente con
l’interazione ligando/recettore; in questo caso il ligando è l’adrenalina (che viene prodotta dalla
midollare del surrene e insieme alla noradrenalina e alla dopamina fa parte delle catecolamine) e il
recettore è quello beta-adrenergico (oltre al beta esiste anche l’alfa-adrenergico a cui si lega oltre
all’adrenalina anche la noradrenalina e porta alla formazione dei secondi messaggeri IP3 e Ca2+);
questo recettore è di tipo a serpentina ed è cioè costituito da 7 segmenti transmembrana ad alfa-
elica ed è associato a proteine G, che sono costituiti da 3 subunità e che vengono attivate, legando
ATP e quindi innescando la loro forma attiva che consiste nella sola subunità alfa (che può avere
un effetto stimolatorio o inibitorio) che si va a legare con un enzima, l’adenilato ciclasi, che è molto
importante appunto perché utilizzando come substrato l’ATP, idrolizza i gruppi fosfato in posizione
beta e gamma, e ciclizza il fosfato alfa, legato al carbonio 5 del ribosio, impegnandolo in un
secondo legame col carbonio 3 del ribosio, formando appunto l’AMPciclico; a questo punto
aumenta la concentrazione citoplasmatica di AMPciclico, che avrà un ruolo importantissimo,
poiché andrà ad attivare delle protein-chinasi cAMP dipendenti, dette protein-chinasi A (PKA), le
quali andranno a fosforilare determinati substrati proteici, inducendone un cambiamento della
struttura terziaria e quindi un cambiamento della funzione, che è quello appunto richiesto
dall’informazione portata dal ligando; le PKA sono costituite da 2 subunità regolatrici e 2 subunità
catalitiche; in forma inattiva le subunità regolatrici bloccano il sito di legame al substrato delle
subunità catalitiche; quando aumenta la concentrazione di cAMP questo si va a legare alle
subunità regolatrici, ciascuna delle quali presenta due siti di legame con l’AMP ciclico e tale
legame induce il distacco delle subunità catalitiche che hanno quindi libero il sito di aggancio per il
substrato che devono fosforilare; una volta che è avvenuta la risposta il processo deve essere
arrestato e per questo interviene un particolare enzima, la fosfodiasterasi (o nucleotide-ciclico)
che trasforma l’AMP ciclico in 5’ AMP; oltre a tale enzima è anche necessaria l’attività GTPasica
della subunità alfa della proteina G, che trasforma il GTP in GDP e si ha un ritorno alla forma
trimerica, cioè si riforma la proteina G alfa-beta-gamma inattiva, che induce il distacco del ligando
col recettore.
Sono note due situazioni patologiche, provocate entrambe da due tossine batteriche, che
dimostrano l’importanza della regolazione dell’adenilato ciclasi, in particolare della necessaria
brevità della sua azione: si tratta della tossina colerica e della tossina della pertosse; la prima è
una tossina costituita da due tipi di subunità: la B e la A (costituita da 2 peptidi, A1 e A2, uniti da
un ponte disolfuro); la subunità B si aggancia a delle cellule dell’epitelio intestinale, in particolare i
gangliosidi GM1 e vi inserisce la subunità A che viene scissa nei peptidi A1 e A2; la subunità A
catalizza l’ADP-ribosilazione, cioè il trasferimento di ADP ribosio ad un residuo di arginina della
subunità alfa della proteina G che si trova nella membrana della cellula dell’epitelio intestinale e
che ha come conseguenza l’inibizione dell’attività GTPasica di tale subunità alfa; quindi la proteina
G risulterà sempre in forma attiva e vi saranno altissime concentrazioni di AMP ciclico che provoca
abbondantissima secrezione intestinale di liquidi che vengono espulsi con continue scariche
diarroiche; la tossina della pertosse è anch’essa un esamero costituito da 5 subunità B e una
subunità A; la subunità A catalizza l’ADP-ribosilazione, cioè il trasferimento di ADP ribosio non in
un residuo di arginina, come avviene precedentemente, ma su un residuo di cisteina sempre
situato sulla subunità alfa della proteina G; come per il caso precedente, anche qui avviene
l’inibizione dell’attività GTPasica della subunità alfa della proteina G e quindi l’adenilato ciclasi
rimane sempre attivo e di conseguenza vi saranno alte concentrazioni di AMPciclico che avrà come
conseguenza un aumento della secrezione di muco nelle vie respiratorie (si aggancia alle cellule
dell’epitelio ciliato dell’apparato respiratorio).

Sistema dei fosfoinositidi


Nella membrana plasmatica è presente un particolare enzima che è capace di scindere il
fosfatidilinositolo 4,5 bifosfato (PIP2), che si trova anch’esso nella membrana plasmatica, in
diacilglicerolo e inositolo 1,4,5 trifosfato (IP3); questo particolare enzima è la fosfolipasi C-beta che
viene attivato dal legame tra un ligando, che può essere ad esempio l’adrenalina o la
noradrenalina, che si legano al proprio recettore, che in questo caso sarà il recettore a serpentina
alfa-adrenergico (quello beta-adrenergico si lega esclusivamente all’adrenalina e porterà alla
produzione del secondo messaggero AMPciclico); il complesso recettore/ligando attiva quindi la
proteina G e la subunità alfa lega GTP, attivandosi e va ad attivare la fosfolipasi C-beta; il DAG
rimane nella membrana plasmatica, invece l’IP3 si muove nel citosol e si sposta nella membrana
del reticolo endoplasmatico e provoca l’apertura dei canali per gli ioni Ca2+ posti sulla faccia
citosilica del reticolo; la concentrazione di Ca2+ nel citosol aumenta e attiva delle chinasi calcio-
dipendenti, che sono dette PKC (C da calcio); tale protein-chinasi possiede 4 siti di legame, uno per
l’ATP, uno per il calcio, uno per il DAG e uno per il substrato da fosforilare; quando la
concentrazione di calcio citosilica è bassa la PKC è inattiva ed è in soluzione nel citosol, inoltre i siti
per il DAG e per il substrato interagiscono tra di loro disattivando appunto l’enzima; quando invece
agisce la fosfolipasi C-beta e quindi vi è il rilascio degli ioni calcio la PKC subisce modificazioni
conformazionali, i siti che si erano associati si dissociano e una volta traslocata nella membrana
dove si lega al DAG, si attiva e può quindi legarsi al substrato proteico fosforilandolo sui residui di
serina e treonina; la PKC quando è legata alla membrana plasmatica può essere inibita dalla
sfingosina.

Sistema Calcio-calmodulina
Gli ioni calcio sono dei messaggeri secondari che quindi mediano la trasduzione del segnale; vi
sono diverse pompe o canali per il calcio all’interno della cellula e tra queste, e i canali che si
trovano nella membrana reticolare e nella membrana plasmatica sono generalmente sono chiuse;
l’apertura dei canali per il calcio della membrana reticolare è mediata dall’IP3 prodotto dall’idrolisi
dei fosfoinositidi; l’IP3 si lega al proprio recettore nella membrana e ne induce un cambio di
conformazione che provoca l’apertura del canale ad esso adiacente; il canale si apre e vi è la
fuoriuscita di ioni Ca2+ nel citosol; successivamente l’IP3 viene fosforilato ad IP4, il quale si lega ai
canali della membrana plasmatica, provocandone un’apertura (questi ultimi possono anche essere
aperti dall’AMPciclico); la concentrazione del calcio citosilico a questo punto aumenta
temporaneamente poiché vi è l’apertura dei canali e nel citosol vi sono delle proteine che vengono
modulate dal calcio e tra queste vi è la calmodulina (CaM), che ha 4 siti di legame ad altissima
affinità con il calcio e legandosi ad esso subisce una cambiamento conformazionale che conferisce
alla calmodulina una maggiore affinità per enzimi o proteine con le quali interagisce; la
calmodulina va quindi ad attivare particolari enzimi, costituendo la subunità regolatoria di questi;
gli enzimi che la calmodulina può attivare sono: l’adenilato ciclasi (che viene principalmente
attivato dalle proteine G attivate dai recettori beta-adrenergici), la guanilato ciclasi, il cAMP
fosfodiasterasi, le Ca2+-ATPasi (che si trovano nella membrana plasmatica), la glicogenofosforilasi,
la glicogeno sintetasi chinasi e alcune proteine chinasi (che possono essere anche attivate dal
cAMP);

GMP ciclico (cGMP)


Nelle cellule, oltre al cAMP, è anche presente il cGMP, che diciamo rappresenta l’antagonista
funzionale del cAMP, poiché quando ad esempio la concentrazione di cGMP è elevata, quella di
cAMP è bassa (come avviene nelle cellule proliferanti), e viceversa; il cGMP si forma dal GTP per
azione della guanidilato ciclasi, e viene ritrasformato in GTP ad opera della cGMP fosfodiasterasi;
la guanidilato ciclasi è presente nella cellula in diverse forme, ognuna delle quali ha diversa
localizzazione; infatti riscontriamo la guanidilato ciclasi di membrana, che è un recettore con
attività catalitica, costituito da un solo segmento ad alfa-elica ed è stimolato da alcuni peptidi
come il peptide natriuretico atriale (ANP- secreto dall’atrio cardiaco e ad azione ipotensiva) o
quello prodotto dalle cellule-uovo; il legame tra questi ligandi e il recettore (recettore con attività
catalitica, guanlil-chinasica) provoca un suo cambiamento di conformazione, anche per quanto
riguarda la sua porzione catalitica intracellulare, grazie alla quale attiva il cGMP, il quale a sua volta
va ad attivare particolari proteine chinasi dette PKG; il cGMP ad esempio è coinvolto nel processo
della visione, insieme ad un’altra proteina, la rodopsina: nelle cellule dei coni e dei bastoncelli
retinici, la guanidilato ciclasi è in uno stato di attivazione costante, determinando elevate
concentrazioni di cGMP che mantengono aperti i canali di Na+, con conseguente ipopolarizzazione
della membrana; lo stimolo luminoso, percepito dalla rodopsina, provoca l’attivazione del cGMP
fosfodiasterasi, con conseguente riduzione della concentrazione di cGMP, che provoca appunto la
chiusura dei canali del Na+ e si viene ad instaurare un iperpolarizzazione che trasmette l’impulso
nervoso; l’altra forma di guanidilato ciclasi è quella citosolubile che funge da recettore per l’ossido
nitrico; questa guanidilato ciclasi è un dimero costituito da due subunità, beta ed alfa, e inoltre
contiene un gruppo prostetico eme, il cui atomo di Fe2+ lega l’ ossido nitrico (NO) che attiva
l’enzima che va a formare il cGMP, il quale è coinvolto in molti processi cellulari, in alcuni casi
mediati da PKG; è ad esempio coinvolto nell’apertura di canali ionici nelle cellule gliari cerebellari e
blocca la conduttività delle gap junctions delle cellule retiniche.

Ossido nitrico sintasi (NOS)


L’ossido nitrico (NO), a parte l’azione mediata dal cGMP, funge da neurotrasmettitore e da
messaggero secondario nelle cellule endoteliali provocando il rilasciamento della muscolatura
liscia; è prodotto a partire dall’arginina per azione dell’ossido nitrico sintasi (NOS – un ossido
reduttasi), attivata dagli ioni Ca2+ rilasciati per l’azione di alcune sostanze bioattive quali per
esempio l’acetilcolina; secondo le reazioni monoossigenasiche: dall’arginina, per azione di NADPH
e O2 viene prodotta la N-idrossiarginina, e sempre per azione di NADPH e O2 viene prodotta la
citrullina + ossido nitrico; L’NO, in forma di gas disciolto, si diffonde e agisce rapidamente non solo
nella cellula in cui è stato generato, ma anche in quelle circostanti; la sua azione è però di
brevissima durata, in quanto reagendo con acqua ed O2 esso viene trasformato in nitriti e nitrati;
l’NO viene trasportato nel sangue in forma legata all’emoglobina (in un residuo di cisteina della
catena beta), che risulta più stabile del NO in forma libera, e viene diffuso in tutto l’organismo.

Recettori tirosina-chinasici
I recettori tirosina-chinasici fanno parte, insieme ai recettori guanil-chinasici (come il guanidilato
ciclasi di membrana), dei recettori con attività catalitica, che sono dei recettori ad un unico
segmento alfa-elicizzato transmembrana; i recettori tirosina-chinasici entrano a contatto con il
ligando (che può essere ad esempio l’insulina) e si associano, fosforilando a vicenda i propri residui
di tirosina, costituendo un dimero, che è in grado di rimanere attivo anche dopo il distacco del
ligando dai recettori (viene difatti regolato da vari sistemi di regolazione); questi recettori vanno
inoltre a fosforilare residui di tirosina del substrato che generalmente è una chinasi che a sua volta
fosforilerà altre chinasi e si ha il via alla cascata chinasica, che porterà ad una risposta che riguarda
la regolazione genica (in questo caso quindi non vi è l’utilizzo di messaggeri secondari); delle
cascate chinasiche molto importanti sono quelle che si originano a partire dall’insulina; esistono 3
vie di segnalazione dell’insulina.
La prima via dell’insulina è quella che porta alla regolazione dell’espressione genica; una volta che
l’insulina si lega ai recettori, vi è sempre la formazione del dimero con la fosforilazione dei residui
di tirosina; il dimero quindi è la forma attiva dei recettori e fosforilano altri residui di tirosina, che
sono quelli del substrato, che in questo caso è il fattore IRS-1, che prende contatto con i siti di
aggancio per domini SH2, posseduti da alcuni proteine; la proteina Grb-2 possiede dominio SH2 e
si lega all’IRS-1; alla Grb-2 si lega la proteina SOS che è l’attivatore della proteina Ras, che difatti
viene attivata; la proteina Ras appartiene alla famiglia delle proteine G e per questo viene attivata
poiché la proteina SOS induce il rilascio di GDP e il legame con GTP; Ras attiva l’enzima Raf1 che è
una MAPKKK che attiva (idrolizzando ATP) la MAPKK, che in questo caso sarebbe la chinasi MEC1
(detta doppia chinasi perché è in grado di fosforilare sia residui di tirosina, sia quelli di treonina),
che a sua volta attiva (idrolizzando ATP) la MAPK, che è la chinasi ERC; una volta attiva la MAPK
ERC, questa si sposta nel nucleo ed è in grado di fosforilare (idrolizzando ATP) numerose proteine
che regolano l’espressione genica, tra cui alcuni di questi fattori di trascrizione sono l’ELK1, il quale
si legherà ad RF ed entrambi andranno a stimolare una serie di geni che codificano per proteine
responsabili della divisione cellulare; è proprio grazie a questo processo che l’insulina riesce a
controllare il processo di divisione cellulare.
La seconda via dell’insulina è quella che porta all’attivazione della glicogenosintetasi, con la
conseguente sintesi del glicogeno (il glicogeno viene sintetizzato a partire dal glucosio che entra
nella cellula ad opera dell’insulina, antagonista del glucagone che permette l’idrolisi del glicogeno);
i recettori tirosina-chinasici, legandosi con l’insulina, si fosforilano i residui di tirosina a vicenda e
fosforilano anche l’IRS1, questa si lega ai domini SH2 di P3K, una proteina chinasi; P3K va ad
interagire con un lipide di membrana PIP2, che diventa PIP3, e va a fosforilare insieme ad una
proteina chiamata PDK1, la proteina chinasi PKB (che sono importanti poiché sono coinvolte in
altre vie di trasduzione, come quella del THC, che rappresenta il principio attivo di molte droghe,
come ad esempio la marjuana, ma è anche essenziale per la protezione del cervello dall’eventuale
tossicità prodotta da un eccesso di attività neuronale; il suo recettore si trova nel cervello ed è
chiamato CB1); la PKB attivata va a fosforilare la GSK3 che inizialmente è attiva e la fosforilazione
la rende inattiva; in forma attiva la GSK va a fosforilare la glicogenosintetasi che da attiva la rende
inattiva, quindi GSK3 essendo in questo caso inattiva non può inattivare la glicogenosintetasi, che
resta appunto attiva e sintetizza glicogeno.
La terza via di segnalazione è quella che porta, come la seconda via, all’attivazione della
glicogenosintetasi, ma attraverso il GLUT4, una proteina di trasporto, che stimolata dall’insulina,
dal citosol migra nella membrana dove consente l’ingresso di glucosio e quindi accelera il processo
di sintesi di glicogeno.

Sistema JAK/STAT
Una variante di recettori tirosina-chinasici sono quelli che interagendo con il ligando, che può
essere ad esempio l’eritropoietina, non si fosforilano a vicenda e per farlo hanno bisogno di
fosforilare resti di tirosina di una proteina chinasi associata, la JAK1, che una volta attivata per
fosforilazione, fosforila il recettore; il recettore fosforilato si lega alla proteina STAT che viene
fosforilata dalla proteina JAK attraverso i domini SH2 e una volta fosforilata si stacca dal recettore
e migra nel nucleo dove agisce come fattore di trascrizione, in questo caso esprime il gene che
codifica per l’eritropoietina.

Cromoproteine leganti ossigeno


Generalità
L’ossigeno negli organismi, passa all’interno delle cellule, mediante diffusione facilitata; ma
l’organismo ha bisogno di molto più ossigeno per la sopravvivenza e per questo vi sono delle
particolari proteine, chiamate cromoproteine, poiché sono proteine coniugate e il loro gruppo
prostetico è l’eme, che conferisce il caratteristico colore rosso alle proteine; queste proteine sono
l’emoglobina, che lega l’ossigeno dell’aria dai polmoni e lo porta a tutti i tessuti, la mioglobina, che
si trova nelle fibrocellule cardiache e muscolari scheletriche e che ha la funzione principale di
deposito di ossigeno e inoltre è stata scoperta negli ultimi anni un’altra proteina, che si trova nel
tessuto nervoso, che rappresenta il 2% di tutto l’organismo, ma che richiede il 20% di ossigeno
introdotto nell’organismo e questa proteina è la neuroglobina.
L’emoglobina e la mioglobina quindi presentano un gruppo EME, che costituisce il sito di legame
per l’ossigeno; l’eme è una ferroprotoporfirina, ovvero è costituito dalla protoporfirina9 e dallo
ione ferroso (Fe2+); la protoporfirina9 è uno degli isomeri della porfirina, che deriva dalla porfina,
un composto ciclico formato da 4 anelli pirrolici legati fra di loro da ponti metinici (-CH=); per
sostituzione degli 8H angolari della porfina con gruppi sostituenti, quali 4 residui metilici, 2 residui
vinilici e 2 residui propionici, si ottiene l’isomero protoporfirina9; questa contiene al centro uno
ione ferroso (Fe2+) che può effettuare 6 legami di coordinazione (si formano quando un atomo o
uno ione forma dei legami con altre specie chimiche in numero superiore al suo numero di
ossidazione) che sono reversibili e deboli; il numero di coordinazione del ferro è quindi 6 ed esso
forma 4 legami planari con i 4 atomi di azoto dei 4 anelli pirrolici, il quinto legame lo effettua con
un azoto di un’istidina prossimale, e il sesto legame che rimane libero (deossiemoglobina) lo
impegna generalmente con l’ossigeno (ossiemoglobina); tuttavia questo sesto legame può essere
effettuato oltre che con l’ossigeno, anche con l’acqua (si forma la ferriemoglobina o
metaemoglobina e il Fe2+ viene ossidato a Fe3+) o il monossido di carbonio (CO - si forma la
carbossiemoglobina, da non confondere con la carbaminoemoglobina che lega l’anidride
carbonica CO2 e non rappresenta un’emoglobina tossica) o anche con l’ossido nitrico (NO – si
forma la nitrosoemoglobina); se il sesto il sesto legame di coordinazione rimane libero allora si ha
la deossiemoglobina; oltre al gruppo EME, emoglobina e mioglobina sono formate dalla porzione
di proteina specifica, che è la globina, e che ha il compito di creare un microambiente idrofobico
per il mantenimento dello ione ferro allo stato ferroso (Fe2+), impedendo il contatto con l’acqua;
tuttavia anche se è una reazione lenta, nel tempo il Fe2+ diventa Fe3+, e l’emoglobina diventa
quindi metaemoglobina e non può più legare ossigeno; vi è allora l’azione di un particolare enzima
che si trova nel globulo rosso, che è il “NADPH-metaemoglobina reduttasi”, che, grazie al donatore
di elettroni NADPH, consente la conversione del Fe3+ in Fe2+.

Mioglobina ed emoglobina
La mioglobina è una cromoproteina monomerica che si riscontra nelle fibrocellule muscolari
cardiache e scheletriche e che ha funzione di deposito di O2 ed inoltre trasporta anche l’ossigeno
che viene ceduto dall’emoglobina, ai mitocondri (in particolare alla citocromo ossidasi); ha un’alta
affinità per l’ossigeno, che lo lega reversibilmente; è una proteina globulare coniugata, formata da
una porzione proteina, la globina e da un gruppo coniugato, l’eme; la globina è costituita da 153
aminoacidi e il 75% di tale proteina è ad alfa elica, infatti è costituita da 8 segmenti alfa-elicizzati,
che vengono indicate con le lettere maiuscole da A ad H e tra questi segmenti vi sono dei tratti non
elicizzati che permettono il ripiegamento della proteina e vengono indicati con le lettere del
segmento precedente e successivo; gli aminoacidi di ogni segmento vengono indicati con la lettera
del segmento a cui appartengono seguita dal numero che indica la posizione dell’aminoacido nel
segmento, a partire dall’estremità N-terminale; la globina è disposta in modo tale che i residui
idrofobici sono orientati verso l’interno e quelli polari verso l’esterno, in modo tale da conferire il
giusto ambiente per il mantenimento dello stato ferroso del Fe2+ legato al gruppo EME e per
prevenire l’associazione con altre molecole di mioglobina; tuttavia orientate verso l’interno vi sono
due residui polari di istidina, chiamati istidina prossimale (F8) e istidina distale (E7); il ferro è legato
al gruppo EME mediante 4 legami di coordinazione e gli altri due li effettua, uno con l’istidina
prossimale e l’altro se rimane libero si è nello stato di deossimioglobina, se lo impiega con l’O2 si è
nello stato di ossimioglobina e tale ossigeno effettua un legame ad idrogeno con istidina distale
(rende l’eme più adatto a legare reversibilmente l’ossigeno), se invece lo effettua con l’H2O si
forma la ferrimioglobina, in cui il ferro è stato ossidato a Fe3+.
L’emoglobina è una proteina tetramerica coniugata, contenuta nei globuli rossi (eritrociti), formata
da 4 subunità, ciascuna composta da una porzione proteica (globina) e da un eme; svolge tre
funzioni che sono: il trasporto di ossigeno dai polmoni ai tessuti, l’azione tampone sul pH del
sangue e il trasporto dell’anidride carbonica dai tessuti ai polmoni; l’emoglobina dell’uomo adulto
(HbA1) è costituita da due catene alfa, ognuna formata da 141 aminoacidi e da due catene beta,
ognuna formata da 146 aminoacidi; inoltre nell’individuo adulto l’emoglobina è rappresentata per
il 2% da HbA2, costituita da due catene alfa e due catene delta; le subunità dell’emoglobina
presentano delle analogie strutturali con la mioglobina, infatti anch’esse contengono 8 segmenti
alfa-elicizzati (A-H) che contengono il 75% di aminoacidi totali della subunità; tuttavia presentano
delle differenza nei residui superficiali, che nelle catene dell’emoglobina formano legami (idrogeno
e apolari) con le altre subunità per costituire la struttura quaternaria (in particolare ogni catena
alfa è in contatto con le altre due beta e viceversa e per questo la dissociazione graduale
dell’emoglobina produce dimeri alfa-beta come prodotti intermedi; la struttura quaternaria
conferisce a tale proteina la capacità di trasportare ossigeno); come nella mioglobina, ciascuna
delle 4 subunità possiede un gruppo eme, che è contenuto nella tasca idrofobica costituita dai
residui aminoacidici idrofobici rivolti verso l’interno, per il mantenimento del ferro allo stadio
ferroso, necessario per la funzionalità dell’emoglobina; il Fe2+ come nella globina ha 6 legami di
coordinazione, 4 con gli N dei 4 anelli pirrolici, 1 con l’istidina F8 e 1 impegnato con l’ossigeno
(ossiemoglobina) o che rimane libero (deossiemoglobina);

Trasporto ossigeno
Una delle tre funzioni dell’emoglobina è quella di trasportare ossigeno; sia l’emoglobina che la
mioglobina possiedono dei gruppi eme, in particolare l’emoglobina possiede 4 eme, poiché è
costituita da 4 subunità contenenti ognuna 4 gruppi pirrolici che legano un eme e la mioglobina
possiede un eme; il gruppo eme consente il legame dell’ossigeno a tali proteine, ma esistono delle
differenze dovute alla struttura delle proteine che conferiscono ad esse diverse affinità e una
diversa curva di dissociazione con una diversa P50; la P50 è il valore di pressione parziale
dell’ossigeno, in cui le due proteine sono sature al 50% (o in alternativa possono ancora legare il
50% di ossigeno); il grafico di dissociazione di emoglobina e mioglobina, è un grafico che tiene
conto della pressione parziale dell’ossigeno (rappresentata lungo l’ascissa) e della % di proteine
che lega l’ossigeno; da questo grafico (curva iperbolica per la mioglobina e curva sigmoidale per
l’emoglobina) si può ricavare l’affinità per l’ossigeno delle due proteine, che, a bassa pressione
parziale di ossigeno, risulta maggiore per la mioglobina, che difatti rimane satura al 90%; la
pressione parziale dell’ossigeno varia e ad esempio è alta a livello degli alveoli polmonari,
consentendo il legame reversibile tra l’emoglobina e l’ossigeno, ed è bassa a livello dei tessuti, in
cui avviene il rilascio dell’ossigeno da parte dell’emoglobina e invece la mioglobina ha ancora
un’alta affinità per l’ossigeno che infatti non lo rilascia e per questo funge da deposito di ossigeno;
la più alta affinità per l’ossigeno a basse pressioni parziali della mioglobina rispetto all’emoglobina
è dovuta alla differenza strutturale, la mioglobina difatti è un monomero e invece l’emoglobina è
un tetramero, quindi possiede una struttura quaternaria ed è proprio tale struttura che permette
all’emoglobina di essere un trasportatore di ossigeno; inoltre l’emoglobina non lega
contemporaneamente l’ossigeno a tutti i suoi 4 eme, ma vi è un particolare effetto cooperativo,
per cui la prima subunità legherà con più difficoltà l’ossigeno al proprio EME rispetto alla seconda
subunità, che a sua volta lo legherà più difficilmente rispetto alla terza, che a sua volta lo legherà
più difficilmente rispetto alla quarta subunità; questo aumento di velocità del legame dell’ossigeno
tra un EME e il successivo è dovuto al fatto che ogni legame induce un cambiamento di
conformazione della proteina che favorisce il successivo legame; questo è un tipico esempio di
comportamento allosterico, che è condiviso da altre proteine come ad esempio da numerosi
enzimi a struttura quaternaria; vi è però una differenza, ovvero che quello dell’emoglobina è un
comportamento allosterico omotropico e quello degli enzimi generalmente è eterotropico; il
primo sarà sempre positivo nel caso dell’emoglobina, il secondo può essere positivo o negativo,
poiché gli enzimi possiedono un sito catalitico e un sito regolatore a cui può legarsi quindi una
molecola regolatrice positiva o negativa; il grafico sigmoidale dell’emoglobina è quindi dovuto alla
sua struttura ed indica la sua diversa affinità per l’ossigeno in relazione alla sua pressione parziale
e da ciò dipende il fatto che l’emoglobina esiste in due forme, una forma rilassata (R) ed una forma
tesa (T); la forma T (deossiemoglobina) ha una bassa affinità per l’ossigeno, è favorita dalle basse
pressioni parziali ed ha la capacità di rilasciare ossigeno ai tessuti; la forma R (ossiemoglobina) ha
un’altra affinità per l’ossigeno, è favorita dalle alte pressioni parziali e ha la capacità di legare
l’ossigeno a livello degli alveoli polmonari.
Esistono numerosi fattori fisiologici che sono in grado di modificare l’affinità dell’emoglobina per
l’ossigeno e questi sono dei fattori allosterici che possono essere positivi o negativi; i fattori
allosterici positivi, come il monossido di carbonio, per il nostro organismo, a livello tissutale, in
realtà sono negativi, poiché questi fattori aumentano l’affinità per l’ossigeno e quindi anche se vi è
una bassa pressione parziale di ossigeno, questo non viene rilasciato e difatti quando il monossido
di carbonio è legato all’emoglobina il soggetto andrà in contro alla morte; i fattori allosterici
negativi, come l’aumento della temperatura che si verifica nelle cellule che metabolizzano,
l’aumento dell’acidità (o diminuzione del pH), l’aumento della pressione parziale dell’anidride
carbonica, l’aumento della concentrazione di 2,3-bifosfogligerato (BPG), per il nostro organismo, a
livello tissutale, sono in realtà positivi, poiché ad esempio una cellula che metabolizza comporta
un aumento di acido lattico e quindi diminuisce il pH, un aumento di temperatura ed un aumento
di CO2 e tutto questo, favorisce il rilascio di ossigeno a basse pressioni parziali; questi effettori
allosterici negativi spostano la curva di dissociazione, la sigmoide, verso destra e quindi si avrà un
aumento della P50 (la pressione parziale di ossigeno per cui l’emoglobina sarà satura al 50% deve
essere maggiore rispetto al normale), una diminuzione dell’affinità per l’ossigeno dell’emoglobina,
che favorisce appunto il rilascio; L’effetto della diminuzione del pH (o aumento dell’acidità) e
dell’aumento della pressione parziale dell’anidride carbonica, sulla dissociazione dell’emoglobina,
è denominato effetto Bohr; l’anidride carbonica è presente in soluzione prevalentemente in forma
di acido carbonico e la sua dissociazione provoca un abbassamento del pH poiché libera protoni,
quindi un accumulo di CO2 comporta la diminuzione del pH; secondo l’effetto Bohr, la risposta
dell’emoglobina al pH si esprime mediante la seguente reazione: Hb(O2)4 + nH+ -><- Hb.nH + 4O2
con n<2; questo significa che quando nei tessuti vi è un aumento di H+, dovuto a questi due
efettori allosterici negativi, la reazione si sposta da sinistra a destra, con conseguente rilascio di
ossigeno, protonazione dell’Hb e diminuzione di H+; un aumento di O2 nei polmoni sposta la
reazione da destra verso sinistra con rilascio di protoni e assunzione di O2; per quanto riguarda
invece la temperatura diciamo che l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno diminuisce
all’aumentare della temperatura, ed è per questo che la temperatura è più bassa nel sangue
polmonare in modo da facilità il legame con l’O2 ed è invece più elevate nel sangue tissutale in
modo da favorire la dissociazione dell’O2 dall’emoglobina; per quanto riguarda il 2,3-
bifosfoglicerato (BPG), un metabolita intermedio della glicolisi e anch’esso è un effettore
allosterico negativo e perciò fa spostare la curva di dissociazione dell’emoglobina verso destra, con
conseguente diminuzione dell’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno; la sua sintesi si realizza nel
globulo rosso, il quale non ha difficoltà a sintetizzarlo, poiché il suo precursore è il glucosio e
l’eritrocita nella sua membrana presenta i sistemi di trasporto per il glucosio (GLUT) che entra
all’interno secondo diffusione facilitata; il BPG legandosi alle catene beta dell’emoglobina (BPG
presenta 5 cariche negative e catene beta presentano cariche positive) nel rapporto 1:1 ne
influenza appunto l’affinità per l’ossigeno; questo si lega in particolare alle deossiemoglobina,
poiché può legarsi solo quando l’emoglobina non è legata all’ossigeno, e ne stabilizza la
conformazione deossi, creando appunto una bassa affinità per l’O2; quando si lega l’O2 il BPG
viene espulso; l’eritrocita durante la glicolisi, decide di produrre il prodotto intermedio 2,3 BPG,
quando il tessuto ha un maggior bisogno di ossigeno; inoltre ci sono altre cellule che sintetizzano il
2,3 BPG, ma in concentrazioni inferiori; il monossido di carbonio (CO) è invece un effettore
allosterico positivo, un gas inodore (definito killer inodore) ed incolore; il monossido di carbonio si
lega al sito di legame per l’ossigeno e aumenta l’affinità degli altri siti di legame per l’ossigeno;
l’ossigeno quindi anche a basse pressioni parziali non può essere rilasciato e la curva si sposta
verso sinistra; quando l’emoglobina si lega al monossido di carbonio viene chiamata
carbossiemoglobina ed è un’emoglobina tossica, presente nell’individuo di buona salute in
quantità minori dell’1% e invece nei fumatori costituisce il 3-8%; si lega più facilmente
all’emoglobina fetale ed è per questo che durante la gravidanza è sconsigliato fumare.

Trasporto anidride carbonica


L’anidride carbonica viene prodotta dai processi catabolici tissutali, diffonde dalle cellule al liquido
interstiziale e da questo al sangue per essere trasportata ai polmoni.
Nel trasporto diretto l’emoglobina lega il 10% circa del totale di CO2, in forma di
carbamminoemoglobina; tale legame abbassa notevolmente l’affinità dell’emoglobina per l’O2
favorendone il rilascio; la CO2 si lega più saldamente alla deossiemoglobina e nel sangue arterioso
è contenuta quindi l’ossiemoglobina non carbossilata, in quello venoso invece la
deossicarbamminoemoglobina.
Nel trasporto indiretto, definito isoidrico poiché non vi è alterazione del pH, la CO2 che a livello dei
tessuti entra nel sangue non si lega direttamente all’emoglobina, ma viene idratata da parte di un
enzima dell’eritrocita, l’anidrasi carbonica, ad acido carbonico (H2CO3) che si dissocia in
bicarbonato (HCO3-) e H+; l’aumento di protoni fa diminuire il pH, quindi fa abbassare il livello di
affinità per l’ossigeno dell’ossiemoglobina (HbO2), che appunto lo rilascia; si forma quindi la
deossiemoglobina che viene protonata, poiché cattura gli H+, fungendo quindi da tampone; il
sangue venoso quindi trasporta deossiemoglobina protonata e bicarbonato al livello dei polmoni,
dove vi è il rilascio degli H+ e il legame con l’ossigeno, ricostituendo l’ossiemoglobina; gli H+ si
associano con il bicarbonato che è stato anch’esso trasportato e si forma l’acido carbonico
(H2CO3) che per azione dell’anidrasi carbonica si dissocia in CO2, che viene eliminata, ed H2O;
durante questo processo nel sangue arterioso all’HbO2 che viene trasportata si associano K+ ed
Na+, invece nel sangue venoso questi ultimi si associano al bicarbonato; comunque in tutto il
processo i protoni non sino mai liberi in quanto vengono catturati dalla deossiemoglobina nei
tessuti, protonandola e dal bicarbonato nei polmoni; durante questo processo, inoltre, avviene lo
scambio dei cloruri HCO3-/Cl- (antiporto elettroneutrale, poiché le due specie hanno la stessa
carica e non si genera una differenza di potenziale), mediante una proteina di membrana
eritrocitaria, la banda III; in particolare a livello dei tessuti una buona parte del bicarbonato
formatosi dentro gli eritrociti esce nel plasma e contemporaneamente ioni Cl- entrano negli
eritrociti, invece a livello dei polmoni avviene il contrario, infatti l’eliminazione di CO2 provoca una
diminuzione di bicarbonato negli eritrociti, con richiamo di bicarbonato plasmatico e fuoriuscita di
ioni Cl- dagli eritrociti.

Azione tampone dell’emoglobina


L’azione tampone dell’emoglobina sul pH del sangue avviene con due meccanismi: molecolare e
funzionale; il meccanismo molecolare è basato sull’assunzione o cessione di protoni, da parte dei
gruppi ionizzabili dell’emoglobina, al variare del pH; il meccanismo funzionale è invece basato
sull’effetto Bohr, infatti a livello tissutale l’ossiemoglobina (che risulta un acido più debole della
deossiemoglobina, poiché il legame dell’ossigeno provoca un cambiamento di conformazione che
produce una diminuzione del valore di pK di alcuni residui aminoacidici da circa 8 a circa 7) poiché
vi sono gli effettori allosterici che provocano un abbassamento del pH (aumento di H+) con
conseguente diminuzione dell’affinità per l’ossigeno, cede appunto l’ossigeno e diventa
deossiemoglobina che essendo un acido più forte cattura i protoni; al livello dei polmoni la
deossiemoglobina diventa ossiemoglobina appunto perché lega ossigeno e rilascia i protoni; quindi
quest’azione dell’emoglobina mantiene costante la concentrazione di H+ e agisce da tampone per
il pH sia a livello dei tessuti, che dei polmoni.

Varianti fisiologiche dell’emoglobina


Nei globuli rossi degli individui sani sono presenti diverse emoglobine a seconda delle varie fasi
dello sviluppo, e precisamente durante la vita embrionale è presente l’emoglobina embrionale
HbE (alfa2-epsilon2), durante la vita fetale è presente l’emoglobina fetale HbF (alfa2-gamma2),
che non lega il BPG (effettore allosterico negativo) e per questo ha una più elevata affinità per
l’ossigeno rispetto all’emoglobina adulta e questo consente il passaggio di O2 dall’emoglobina
materna a quella fetale (si lega anche più facilmente al CO rispetto all’emoglobina adulta), durante
la vita post natale è presente per il 90% l’emoglobina HbA1 (alfa2-beta2), insieme all’emoglobina
HbA2 (alfa2-delta2) presente nella percentuale del 2,5%; durante le fasi dello sviluppo quindi
rimangono sempre presenti le due catene alfa e invece cambiano le catene non alfa, che
comunque hanno tutte 146 residui aminoacidici e differiscono per la natura di alcuni di questi.

Metaemoglobina e carbossiemoglobina
La metaemoglobina (o ferriemoglobina) è il prodotto di ossidazione dell’emoglobina e infatti il
ferro dell’eme è allo stato ferroso Fe3+ e non è capace di legare ossigeno, per cui non è incapace
di trasportare ossigeno al nostro organismo; all’interno del globulo rosso, in condizioni normali, si
formano sempre piccole quantità di metaemoglobina e queste vengono eliminate da particolari
sistemi enzimatici; può tuttavia accadere che la metaemoglobina si accumuli all’interno
dell’eritrocita e le cause possono essere acquisite, come l’esposizione dell’organismo a sostanze
chimiche ossidanti e a particolari farmaci, o congenite, dovute principalmente ad un deficit
dell’enzima metaemoglobina reduttasi; quando la metaemoglobina nel nostro organismo supera
un valore soglia che corrisponde a circa l’1-2% dell’emoglobina totale si può parlare di
metaemoglobinemia; il nostro organismo però fortunatamente possiede dei meccanismi in grado
di ridurre la metaemoglobina ossidatasi spontaneamente e questi meccanismi prevedono
l’intervento dell’enzima metaemoglobina reduttasi (NADH citocromo-b5 reduttasi) che mantiene
entro il limite soglia la quantità di metaemoglobina.
La carbossiemoglobina è un emoglobina tossica che si forma quando il monossido di carbonio CO
si lega al Fe2+ al posto dell’O2 e non consente il legame con quest’ultimo; anche legandosi ad uno
solo dei 4 gruppi eme, il CO, diminuisce notevolmente l’affinità per l’O2 dei rimanenti 3; è
presente nell’individuo di buona salute in quantità minori dell’1% e invece nei fumatori costituisce
il 3-8%; si lega più facilmente all’emoglobina fetale ed è per questo che durante la gravidanza è
sconsigliato fumare.

Emoglobine atipiche ed emoglobinopatie


Le emoglobine atipiche sono delle emoglobine che presentano nella loro struttura delle anomalie,
a causa di mutazioni dei geni che le codificano; fra queste le più diffuse sono l’emoglobina S (HbS)
e l’emoglobina M; l’emoglobina S prende il nome dalla forma a falce che assumono i globuli rossi a
basse pressioni parziali di ossigeno; è costituita da due catene normali alfa e due catene beta
modificate nella struttura primaria per un errore genetico, in particolare vi è la sostituzione
dell’acido glutammico, localizzato in posizione 6 dall’estremità N-terminale, con la valina (ciò
comporta dei cambiamenti perché l’acido glutammico possiede una carica negativa ed è un
aminoacido polare e invece la valina è un aminoacido idrofobico, quindi apolare); l’emoglobina S è
anche definita emoglobina appiccicosa poiché le catene di emoglobina si attaccano l’una con
l’altra e inoltre nello stato di deossiemoglobina, l’emoglobina S polimerizza e crea lunghe fibre che
inducono la deformazione del globulo rosso nella forma a falce, che potrebbero quindi ostruire i
capillari; inoltre i globuli rossi falciformi hanno una vita media più breve dei normali; gli individui
che presentano tale emoglobina sono soggetti al’anemia falciforme, una malattia ereditaria, che si
esprime solo in condizione di omizogosi, dove l’HbS è la sola forma di emoglobina presente negli
eritrociti; gli eterozigoti invece presentano il 50% di HbS e il 50% di HbA e i sintomi dell’anemia
falciforme non sono noti, salvo in caso di basse pressioni parziali di ossigeno; inoltre gli individui
eterozigoti per l’allele codificante per l’HbS sono immuni alla malaria; l’emoglobina M è
emoglobina atipica, in cui sono avvenute mutazioni a carico dei geni codificanti sia per le catene
alfa sia per le beta e la struttura primaria di entrambe risulta essere costituita dalla tirosina al
posto dell’istidina prossimale di ognuna delle 4 catene; questa si lega con legame coordinativo al
ferro dell’eme stabilizzandolo nella forma ferrica Fe3+ e quindi non può legare ossigeno (la sigla M
deriva da metaemoglobina) ed è letale per gli omozigoti.
Quindi queste erano emoglobinopatie causate da errori genetici che porteranno alla codifica di
proteine con un solo aminoacido mutato, ma ve ne sono altri errori genetici che portano ad una
difettosa sintesi di una o più catene polipeptidiche costitutive e queste sono le talassemie; si
distinguono talassemia alfa e beta a seconda che il difetto sia a carico della subunità alfa o beta; le
talassemie alfa sono dovute a delezioni di uno o più geni codificanti le subunità alfa; sono due i
geni che codificano per la subunità alfa e sono localizzati nel cromosoma 16 e quindi un soggetto
diploide sano ne possiede 4 copie (4 alleli); se manca un allele si avrà la talassemia alfa-1, se ne
mancano due la talassemia alfa-2 ed in entrambi i casi si avrà una modesta anemia; quando invece
mancano 3 dei 4 alleli si ha la produzione di un tetramero beta e se tutti gli alleli sono deleti, la
malattia è letale; le talassemie beta sono prodotte da delezioni del gene che codificano per le
subunità beta; il gene è solo uno e quindi gli alleli in un individuo diploide sano saranno 2; se si è in
condizione di omozigosi, in cui entrambi gli alleli sono deleti, le subunità beta saranno assenti e
l’organismo per poter vivere produce le subunità gamma (avremo quindi una sintesi di subunità
gamma anche dopo il parto e perciò l’emoglobina fetale HbF sostituisce l’emoglobina HbA); si avrà
comunque un a morte durante la fanciullezza poiché l’affinità per l’ossigeno è più alta (non esiste
effetto Bohr) e il rilascio dell’O2 ai tessuti risulta insufficiente.

Enzimi
Generalità
Gli enzimi sono delle particolari proteine (affermazione che ormai non può essere considerata più
vera perché nel 1989 dei ricercatori vinsero il premio Nobel per la chimica, dimostrando che anche
l’RNA, che non è una proteina, ha delle proprietà catalitiche) che agiscono come catalizzatori
biologici specifici, e sono quindi capaci di abbassare l’energia di attivazione di una specifica
reazione, accelerandola di molti ordini di grandezza; si differenziano dai catalizzatori non
enzimatici per tre caratteristiche: l’efficienza (reazioni enzimatiche si svolgono a velocità più
elevate, circa 10^7 volte più velocemente di una non catalizzata), la specificità (ogni enzima
catalizza, generalmente, una ben determinata reazione a carico di un substrato specifico) e la
regolabilità (ogni enzima può variare la sua attività, può passare ad esempio da una bassa attività
ad una massima e viceversa); le sostanze che vengono trasformate a seguito della reazione
enzimatica vengono denominate “substrati” e le nuove sostanze che si formano vengono dette
“prodotti della reazione”; per numero di turnover, o attività molecolare, di un enzima, si intende il
numero di molecole di substrato trasformate in prodotto di reazione da una molecola di enzima
per unità di tempo (generalmente per secondo); gli enzimi sono costituti da molecole che sono
quasi sempre di natura proteica e appunto in base alla loro natura possono essere suddivisi in 3
classi: proteine semplici, metallo-proteine e proteine coniugate; le metallo-proteine sono formate
da una proteina e da un cofattore che generalmente è rappresentato da uno ione metallico
bivalente (nella maggior parte dei casi il cofattore si trova nel sito attivo e partecipa al legame
enzima-substrato ma in alcuni casi può essere anche esterno al sito attivo ed è necessario per
conferire alla proteina enzimatica la giusta conformazione per il legame del substrato al sito
attivo); le proteine enzimatiche coniugate sono costituite da una porzione proteica, l’apoenzima, e
da un gruppo non proteico, che se è legato saldamente all’apoenzima è chiamato gruppo
prostetico (es. il FAD nella succinico deidrogenasi), invece se è labilmente legato è chiamato
coenzima (es. il NAD e il FAD in varie deidrogenasi) che si può legare anche ad altri apoenzimi e ne
induce il legame col suo substrato (apoenzima conferisce la specificità del substrato, il coenzima
quella d’azione); il NAD è quindi un coenzima impegnato nelle deidrogenasi, ovvero si lega
labilmente agli enzimi appartenenti alla classe delle ossido reduttasi catalizzanti reazioni di
ossidoriduzione e il NAD gioca un ruolo fondamentale in queste reazioni poiché è un accettore di
atomi di idrogeno (2 atomi di idrogeno) o un donatore nel caso in cui si trovi ridotto a NADH+H,
poiché nelle reazione di ossidazione il NAD riceve due atomi di idrogeno (2 protoni e 2 elettroni),
riducendosi a NADH+H e favorendo l’ossidazione del substrato e invece nelle reazioni di riduzione
il NADH dona due atomi di idrogeno al substrato, diventando NAD, e favorendo la sua riduzione (il
NAD – nicotinammide adenina dinucleotide – è derivato dalla niacina).
In base alla loro complessità invece distinguiamo enzimi monometrici (una sola unità proteica),
enzimi oligomerici (più unità proteiche che costituiscono i monomeri) e complessi enzimatici
(associazione organizzata di enzimi che cooperano in una serie sequenziale di reazioni che
costituiscono nel loro insieme un evento metabolico).

Meccanismo della catalisi enzimatica


La catalisi enzimatica è un processo chimico attraverso il quale la velocità di una reazione chimica
subisce delle variazioni per l’intervento di catalizzatori enzimatici; è la catalisi con la quale
avvengono praticamente tutte le reazioni biochimiche; le reazioni catalizzate da enzimi
obbediscono alle stesse leggi a cui sono soggette le reazioni non catalizzate, ovvero vi deve essere
la collisione dei reagenti (substrati nel caso delle catalisi enzimatiche), il giusto orientamento delle
collisioni e inoltre i reagenti al momento dell’urto devono possedere una sufficiente energia
(energia di attivazione); nelle reazioni catalizzate da enzimi si ha sia una più alta probabilità di
corretto orientamento sia una minore energia di attivazione; durante una reazione, lo stato di
massima energia corrisponde allo stato di transizione (punto intermedio in corrispondenza del
quale i legami nel substrato sono distorti a sufficienza da consentire la rapida trasformazione di
questo in prodotto), la differenza di energia tra stato-base (energia dei reagenti) e stato di
transizione è l’energia di attivazione, la differenza dell’energia basale tra prodotti e reagenti
determina il deltaG, ossia la variazione di energia libera; quando una reazione è esoergonica,
termicamente spontanea, l’energia basale dei reagenti è superiore a quella dei prodotti e per
questo la deltaG sarà negativa; quando invece la deltaG è positiva la reazione è endoergonica,
quindi termicamente non spontanea ed ha bisogno di un apporto energetico per decorrere; il fatto
che una reazione abbia un deltaG ampiamente negativo non significa però che la reazione
procederà ad alta velocità; l’enzima agisce quindi abbassando l’energia di attivazione della
reazione che esso catalizza ed accelerando la reazione stessa; la ragione per cui si abbassa
l’energia di attivazione è che si forma un complesso enzima-substrato che risulta più stabile
rispetto all’enzima e al substrato isolati (le interazione in questo complesso sono spesso di tipo
debole); la formazione di tale complesso fa diminuire appunto l’energia di attivazione, ponendo i
substrati nel corretto orientamento (effetto prossimità); il deltaG tra una reazione catalizzata e
una non catalizzata non varia, per tanto l’enzima non altera la costante di equilibrio della reazione
(rapporto tra la concentrazione del prodotto e quella del substrato).

Sito attivo
Le reazioni catalizzate da enzimi avvengono a livello di “tasche” dette siti attivi, ovvero le regioni in
cui l’enzima interagisce specificamente con il substrato; il sito attivo occupa una parte
relativamente piccola del volume totale dell’enzima ed è un’entità tridimensionale formata da
gruppi derivanti da parti diverse delle sequenza aminoacidica lineare, che poi nel loro
ripiegamento per costituire la struttura secondaria e terziaria costituiranno appunto il sito attivo;
la conformazione e la composizione chimica del sito attivo determinano la specificità della catalisi;
dal punto di vista teorico il sito attivo può essere suddiviso in sito di legame e sito catalitico; il
primo è formato da residui aminoacidici che entrano in contatto con il substrato (il quale si lega a
tali residui aminoacidici dell’enzima mediante un certo numero di attrazioni deboli come legami
elettrostatici, legami a idrogeno, interazioni idrofobiche, forze di Van der Waals), garantendone il
giusto posizionamento; il secondo è formato da residui aminoacidici che sono responsabili della
catalisi, ossia che inducono la modificazione dei legami per la trasformazione del substrato in
prodotto; a volte sito di legame e sito catalitico si identificano.
Il sito attivo è quindi la regione dell’enzima in cui si lega il substrato a da cui viene rilasciato il
prodotto, una volta catalizzata la reazione dall’enzima stesso; il sito attivo è quindi specifico per il
substrato e proprio per quanto riguarda la sua specificità, sono noti due modelli di siti attivi, quello
della “chiave serratura” e quello “indotto”; il primo modello consiste in un sito attivo a cui si lega
perfettamente un substrato, ossia il sito attivo dell’enzima è preformato su misura del substrato; il
secondo modello consiste invece in un sito attivo a cui non si va a legare perfettamente il
substrato, che invece si lega superficialmente, e che induce in cambiamento di conformazione
dell’enzima, per cui il sito attivo si va ad adattare perfettamente al substrato, inducendone la
trasformazione in prodotto della reazione; un esempio di tale sito è quello dell’esochinasi, che
promuove la formazione di glucosio-6-fosfato a partire da glucosio e ATP; l’esochinasi è costituita
da due domini polipeptidici tra i quali si trova la fessura del sito attivo, accessibile ad acqua e a
piccole molecole idrofiliche, quali anche il glucosio, che si va a legare al sito attivo e ne induce una
modificazione conformazionale, per cui la fessura si chiude diventando inaccessibile all’acqua e
consentendo le reazioni chimiche che portano alla formazione del glucosio-6-fosfato.

Specificità
La specificità, cioè la preferenza assoluta per una determinata reazione e per un determinato
substrato, è la caratteristica più saliente che differenzia gli enzimi dai catalizzatori non enzimatici;
sulla specificità di reazione si basa il criterio di classificazione degli enzimi; la specificità di un
substrato può essere assoluta o relativa; la prima si ha quando un enzima catalizza quella
determinata reazione a carico di un unico substrato (per esempio la glucochinasi che catalizza la
fosforilazione del solo glucosio); la seconda si ha quando l’enzima agisce su un gruppo di substrati
(per esempio l’esochinasi che catalizza la fosforilazione di vari monosaccaridi); inoltre gli enzimi
esibiscono la stereospecificità, ossia riconoscono uno soltanto dei due isomeri, essendo
completamente inattivi sull’altro, ed anche specificità geometrica per gli isomeri cis-trans.

Classificazione
Gli enzimi vengono classificati in base alla loro specificità di reazione in 6 classi principali:
- Ossidoreduttasi -> Catalizzano reazioni di ossidoriduzione (deidrogenasi, ossidasi,
reduttasi, perossidasi, catalasi, ossigenasi, idrossilasi).
- Transferasi -> Catalizzano il trasferimento di un raggruppamento chimico da una
molecola ad un’altra (acil, metil, glucosil e fosforibosil transferasi).
- Idrolasi -> Catalizzano reazioni idrolitiche consistenti nella rottura di legami covalenti
per introduzione di una molecola d’acqua (esterasi, fosfatasi, proteasi, ecc..).
- Liasi -> Catalizzano la rottura non idrolitica (decarbossilasi, aldolasi, idratasi, ecc..).
- Isomerasi -> Catalizzano reazioni in cui un solo substrato viene trasformato in un solo
prodotto di reazione che è un suo isomero (isomerasi vere e proprie, epimerasi,
racemasi).
- Ligasi -> Catalizzano la formazione di alcuni legami covalenti quali C-C e C-S e sono
reazioni fortemente endoergoniche che avvengono mediante rottura dei legami
fosfoanidridici dell’ATP (sintetasi e carbossilasi).

Isoenzimi
Gli isoenzimi (o isozimi) sono enzimi esistenti in forme molecolari diverse, catalizzanti tuttavia la
stessa reazione; un esempio sono la creatina cinasi e la lattico deidrogenasi.
La creatina cinasi esiste come dimero di due tipi di subunità: M (muscolare) e B (brain = cervello);
quindi l’enzima di cervello è costituito da due subunità identiche indicate arbitrariamente come
subunità B, mentre nel muscolo scheletrico l’enzima è costituito da due subunità identiche, ma
diverse da quelle della creatina cinasi di cervello, indicate arbitrariamente con subunità M; nel
miocardio inoltre si trova una forma dell’enzima costituita da due subunità una di ciascun tipo,
subunità MB; questi enzimi vengono numerati in base alla loro mobilità elettroforetica che è
maggiore per quello di cervello e minore per quello del muscolo scheletrico: CPK1 (BB), CPK2 (MB),
CPK3 (MM).
La lattico deidrogenasi è un enzima tetramerico formato dall’associazione di 4 subunità di due tipi
diversi: H (heart) ed M (muscle) combinate nei 5 possibili modi diversi per dare altrettanti isozimi
caratterizzati da una localizzazione in organi o tessuti diversi: LDH1 (HHHH) ed LDH2 (HHHM)
localizzati nel miocardio; LDH3 (HHMM) localizzato nel miocardio e nel rene; LDH4 (HMMM);
LDH5 (MMMM) localizzato nel fegato e nei muscoli; la quantità di LDH può essere un ottimo
metodo per la diagnosi delle lesioni di organi, infatti quando vi è una lesione, anche lieve, delle
cellule di un tessuto, la lattico deidrogenasi fuoriesce dal citosol, insieme con altri enzimi cellulari,
e si riversa nel sangue; tramite elettroforesi, poiché le subunità derivano da geni diversi e quindi
hanno diversa composizione aminoacidica e quindi proprietà elettrochimiche differenti, si può
individuare di che tipo di LDH si tratta e in quale organo è avvenuta quindi la lesione.

Enzimi costitutivi ed induttivi


Gli enzimi costitutivi sono quelli che sono permanentemente presenti nelle cellule; quelli induttivi
sono quelli che vi compaiono solo quando richiesti (ad esempio la presenza di un substrato innesca
la sintesi dell’enzima e quindi l’induzione enzimatica).

Cinetica delle reazioni enzimatiche


La cinegetica delle reazioni enzimatiche è molto importante perché, non solo ci permette di
analizzare il meccanismo della reazione, ma ci permette anche di poter valutare l’attività degli
enzimi nel contesto del metabolismo; la progressione della reazione enzimatica viene seguita in
base alla formazione del prodotto o alla scomparsa del substrato e la velocità di reazione si ricava
dalla quantità del prodotto formatosi, o del substrato scomparso, nell’unità di tempo; nel tempo la
velocità della reazione enzimatica diminuisce e a tale diminuzione contribuiscono: la diminuzione
della concentrazione di substrato, l’accumulo del prodotto di reazione (che in quelle reversibili
incrementa la velocità della reazione inversa), la variazione di temperatura e del pH che
comportano la denaturazione o la deattivazione dell’enzima.

Influenza della concentrazione dell’enzima e del substrato


Se durante una reazione viene mantenuta costante la concentrazione del substrato e invece varia
quella dell’enzima, cambia la velocità di reazione, che risulta quindi essere proporzionale alla
variazione della concentrazione dell’enzima e in particolare la velocità di reazione (quella iniziale
perché poi vi sono gli altri fattori che intervengono a modificarla) è direttamente proporzionale
all’aumento della concentrazione enzimatica; in un grafico dove si tiene in considerazione la
velocità di reazione e la concentrazione dell’enzima si avrà quindi una linea retta.
Per quanto riguarda invece l’influenza della concentrazione del substrato, costruendo un grafico
cartesiano dove l’ascissa rappresenta la concentrazione di substrato e l’ordinata la velocità iniziale,
possiamo accorgerci che partendo da basse concentrazioni di substrato e andandolo ad aumenta
la velocità inizialmente cresce e quindi vi è una diretta proporzionalità, ma andando avanti, man
mano che si aumenta la concentrazione, tale diretta proporzionalità viene a mancare e la velocità
diminuisce progressivamente fino al raggiungimento di una velocità massimale ed a questo punto
si è raggiunto lo stato stazionario (la curva nel grafico è iperbolica), in cui anche se continua ad
aumentare la concentrazione del substrato, la velocità di reazione non cambia più; da questo
punto in poi quindi si avrà una cinetica di ordine zero, poiché abbiamo una retta parallela
all’ascissa, con un valore che quindi tende ad infinito; questo avviene perché l’enzima è
completamente saturo (rappresenta il fattore limitante) e non può più legare substrato e tale
curva oltre che iperbolica è chiamata per questo curva di saturazione (avviene a velocità costante);
nel grafico deve essere comunque espressa la Km (costante di Michaelis-Menten), che è quel
valore di substrato per cui si ha una velocità semi-massimale (analogia con la p50 di emoglobina e
mioglobina, in cui in il substrato è l’ossigeno).

Costante di Michaelis e Menten


L’effetto della concentrazione del substrato sulla velocità di reazione è spiegato dalla teoria di
Michaelis e Menten; secondo questa teoria, l’enzima, che è mantenuto costante, reagisce col
substrato per formare il complesso enzima-substrato dal quale si libera il prodotto e l’enzima che
viene riutilizzato; secondo l’equazione di Michaelis e Menten la velocità iniziale è uguale al
rapporto tra il prodotto della velocità massima con la concentrazione del substrato e la somma
della Km con la concentrazione del substrato V0=Vmax*[S]/Km+[S]; di questi valori quelli che
dipendono dall’enzima sono la velocità massima (Vmax) e la Km; sappiamo che in corrispondenza
della Km abbiamo una velocità semi massimale e quindi V0=Vmax/2 e andandolo a sostituire nella
precedente equazione e svolgendo un paio di calcoli si arriva alla conclusione che la
concentrazione di substrato è uguale alla Km [S]=Km; La Km secondo Michaelis e Menten esprime
l’affinità dell’enzima per il substrato e precisamente minore è il valore della Km e maggiore sarà
l’affinità dell’enzima per il substrato (inversamente proporzionali).
Può avvenire comunque che un substrato possa essere utilizzato da due enzimi, come nel caso del
metabolismo glucidico, in cui gli enzimi esochinasi e glucochinasi che fosforilano glucosio per dare
l’estere fosforico glucosio-6-fosfato; andando ad analizzare la cinetica di due enzimi che agiscono
su un substrato, notiamo che le Km dei due enzimi sono differenti e anche le velocità massimali; il
fatto che abbiamo un Km differente comporta che uno ha una maggiore affinità per il substrato
rispetto all’altro; nel caso del metabolismo glucidico, l’esochinasi ha una Km minore e difatti ha
una maggiore affinità per il glucosio e lavora quando vi è una condizione di digiuno, quando cioè i
livello di glicemia sono normali, invece, la glucochinasi ha un Km maggiore e quindi una minore
affinità per il glucosio e lavora soltanto dopo un pasto, quando il livello di glicemia, la
concentrazione di glucosio, è alta; spesso però un substrato può legarsi a diversi enzimi che non
fanno parte come nell’esempio precedente della stessa via metabolica e ad esempio prendendo in
considerazione sempre il glucosio, esso può essere utilizzato sia per la glicolisi (da esochinasi e
glucochinasi) sia per lo shunt del pentoso fosfato (dalla glucosio-6-fosfato deidrogenasi); in questo
caso la cellula deciderà se utilizzare il glucosio nell’una o nell’altra via metabolica basandosi sulla
concentrazione del substrato disponibile e sulle Km degli enzimi e quindi sulla loro affinità per il
glucosio.
Per calcolare la velocità semi-massimale che nel grafico cartesiano velocità-substrato corrisponde
alla Km è necessario prima trovare il valore della velocità massima e poi quindi dividerlo per due;
per misurare questi due parametri si utilizza un tipo di grafitazione che semplifica il calcolo
matematico, ovvero la formulazione grafica di Lineweaver e Burk, che prevede sempre un sistema
di assi cartesiani ma con i reciproci della concentrazione di substrato e della velocità iniziale;
unendo i punti ottengo una retta che incontra l’ordinata in un punto e l’ascissa in un altro punto;
l’incontro con l’ordinata da il reciproco della velocità massimale e l’incontro con l’ascissa quello
della concentrazione di substrato (senza tenere in considerazione che si trova nel quadrante
negativo); a questo punto posso quindi trovarmi il valore della Vmax e la Km.

Influenza del pH e della temperatura


L’efficienza catalitica degli enzimi è notevolmente influenzata dal pH in cui avviene la reazione;
questo perché durante la formazione del complesso enzima substrato avvengono delle interazioni
deboli che possono essere favorite o meno dal pH dell’ambiente; ogni enzima è caratterizzato da
un pH ottimale, sopra e sotto il quale l’attività decresce (in un grafico Vo-pH si ottiene una curva a
campana); la maggior parte di enzimi hanno un pH ottimale intorno a 7 (es. amilasi della saliva),
solo pochi hanno pH ottimale molto basso (es. pepsina) o molto elevato (es. arginasi).
La velocità delle reazioni enzimatiche aumenta all’aumentare della temperatura, tuttavia al di
sopra di una determinata temperatura che varia da enzima ad enzima, ma che per la maggior
parte degli enzimi è intorno a 37° (la nostra temperatura corporea), le proteine enzimatiche
vengono denaturate; alcuni enzimi vengono anche denaturati a basse temperature (es. ATPasi
mitocondriale).

Cinetica delle reazioni enzimatiche cui partecipano due substrati


Nelle reazioni enzimatiche cui partecipano due substrati si ottengono ovviamente due prodotti;
queste reazioni possono comunque decorrere con due differenti meccanismi: il meccanismo
sequenziale e quello a ping-pong.
Il meccanismo sequenziale consiste nel legame di entrambi i substrati con l’enzima, formando il
complesso enzima-substrati e quindi successivamente si avrà il complesso enzima-prodotti e
questo si scompone liberando l’enzima e i due prodotti di reazione; inoltre se i substrati si legano
in maniera tale che il legame di uno dei due deve avvenire prima appunto per far avvenire l’altro
(si forma il complesso enzima-substrato e si può legare a questo il secondo substrato formando il
complesso enzima-substrati), allora sarà una reazione sequenziale ordinata, se invece i substrati si
legano prima l’uno e poi l’altro in maniera indifferente allora si avrà una reazione sequenziale
randomizzata (o non ordinata).
Il meccanismo a ping-pong consiste nel legame di un substrato all’enzima formando il complesso
enzima-substrato in cui l’enzima risulta essere modificato e, dopo che il primo substrato viene
convertito in prodotto e si libera dall’enzima, il secondo substrato può legarsi a questo enzima
modificato formando nuovamente il complesso enzima-substrato e convertire questo in prodotto
e quindi rilasciarlo.

Meccanismi di inibizione enzimatica


L’inibizione dell’enzima, della sua catalisi, è molto importante perché ha permesso di mettere in
evidenza i meccanismo d’azione dell’enzima, ha permesso una maggiore conoscenza delle vie
metaboliche ed inoltre perché è alla base di molti farmaci che agiscono inibendo gli enzimi.
Gli inibitori enzimatici vengono suddivisi in reversibili, che presentano una K di inibizione
(rappresenta l’affinità dell’inibitore per un dato enzima) ed una volta tolto l’inibitore l’enzima può
continuare a lavorare, ed irreversibili, che inibiscono l’enzima irreversibilmente (da non
confondere con i denaturanti, che sono sostanze, come l’acido perclorico, che agiscono sulla
struttura primaria della proteina, distruggendo appunto la proteina).
L'inibizione reversibile può essere di tipo competitivo, non competitiva e può essere incompetitiva;
nella normalità l'enzima reagirebbe con il substrato formando un complesso enzima-substrato e
da questo complesso si libererebbero i prodotti e l'enzima libero per legare quindi altro substrato
e ricominciare nuovamente la reazione.
Nell'inibizione competitiva l'enzima lega nel suo sito attivo un inibitore, un composto simile
strutturalmente al substrato, formando il complesso enzima-inibitore (l’inibitore è quindi in
competizione con il substrato) e non si avrà la trasformazione in prodotto; quando si forma il
complesso enzima-inibitore, la disponibilità di enzimi liberi per formare il complesso enzima-
substrato e quindi per la formazione del prodotto di reazione risulta essere ovviamente minore;
essendo una inibizione competitiva, quando aumenta la concentrazione del substrato, il
complesso enzima-inibitore si dissocia; per quanto riguarda le proprietà cinetiche, la velocità
massimale è uguale sia in presenza che in assenza di inibitore; quello che cambia è invece la Km
poiché l’inibitore ne induce un aumento in quanto diminuisce l’affinità dell’enzima per il substrato;
in conclusione l’inibitore competitivo non modifica la velocità massimale ma eleva la Km.
Nell’inibizione non competitiva l’inibitore si lega reversibilmente alla molecola enzimatica, ma non
in corrispondenza del sito attivo e quindi il legame del substrato e dell’inibitore all’enzima non è
competitivo; proprio per questo l’inibitore non competitivo può reagire sia con l’enzima libero, sia
con l’enzima legato al substrato; questa inibizione, a differenza della precedente, non viene
modificata dall’elevazione della concentrazione del substrato; non modifica la Km ma diminuisce la
Velocità massimale; alcuni inibitori non competitivi sono sostanze tossiche, come metalli pesanti,
come mercurio e piombo (I metalli sono tossici in quanto si vanno a legare ai gruppi SH dei siti
catalitici degli enzimi, inibendoli).
Nell’inibizione incompetitiva l’inibitore si lega solamente col complesso enzima-substrato e porta
alla diminuzione sia della Km sia della Velocità massimale.
L’inibizione irreversibile consiste invece in legami covalenti dell’inibitore con alcuni gruppi del sito
attivo dell’enzima, impedendone la catalisi e impedendo anche che tale inibitore possa essere
rimosso, neanche sottoponendo l’enzima a dialisi.

Applicazione degli inibitori degli enzimi in medicina


Alcuni inibitori vengono utilizzati in medicina, come farmaci, per l’inibizione di specifici enzimi in
determinato condizioni patologiche; ad esempio i sulfamidici agiscono per competizione con il
PABA, ovvero l’acido paraamminobenzoico, che è un fattore di crescita dei batteri, bloccando
enzimi necessari per il loro sviluppo o la loro riproduzione (gli organismi superiori non presentano
il PABA e quindi non subiscono l’effetto inibitorio dei sulfamidici); gli antifolici, invece, vengono
utilizzati come antimetaboliti nel trattamento delle neoplasie maligne, in particolare nelle
leucemie; gli antifolici competono con gli acidi folici, che sono necessari per la riproduzione
cellulare che quindi viene inibita (utile nel caso delle leucemie quando la proliferazione di globuli
bianchi è patologicamente esaltata); poi altri farmaci inibitori sono l’allopurinolo, che inibisce la
xantina ossidasi, enzima che produce la xantina, da cui si avrà successivamente l’acido urico (acido
molto debole che precipita facilmente in cristalli provocando danni ed infiammazioni alle
articolazioni; l’aumentata concentrazione di acido urico causa la gotta, quindi l’allopurinolo è
utilizzato per prevenire la gotta), ed anche la neostigmina, inibitore competitivo della
acetilcolinesterasi (utilizzato nel blocco neuromuscolare e nel trattamento della miastenia gravis,
dove i recettori postsinaptici per l’acetilcolina sono scarsi e quindi è utile preservare acetilcolina).
L'inibizione competitiva viene anche applicata in clinica soprattutto nei pazienti che hanno ingerito
metanolo (avvelenamento da metanolo); il metanolo è un alcol come l'etanolo, ma mentre l'alcol
etilico viene metabolizzato alla fine degli stadi metabolici, fornendoci l'acetil-coenzima-A, il
metanolo invece porta alla formazione di prodotti che sono altamente tossici (non è un nutriente,
ma soltanto una sostanza tossica); Il metanolo si può trovare ad esempio nella vernice, nelle
sostanze detergenti anche di uso domestico e può essere ingerito anche perché si trova nel vino
ottenuto con preparazioni non a norma; il metanolo viene convertito in formaldeide (agente
tossico che danneggia molti tessuti) dall'enzima alcol deidrogenasi; uno dei tessuti che viene
maggiormente danneggiato è la retina e infatti se non si è subito soccorsi si può rischiare la cecità
o anche un'acidosi metabolica, poiché da tale sostanza si forma poi l'acido formico; nelle nostre
cellule il substrato dell'alcol deidrogenasi è normalmente l'etanolo che quindi compete con il
metanolo poiché strutturalmente simili; la differenza sta nel fatto che l'etanolo è considerato un
nutriente e quindi lo possiamo assumere nella giusta dose, poiché esso viene trasformato in
acetaldeide e poi in acido acetico e quindi in acetil-coenzima-A, importante per il metabolismo
energetico; la terapia consiste nell'inserimento graduale di una soluzione intravenosa di etanolo
ad una velocità tale da saturare completamente l'enzima; in questo modo si eviterà che l'alcol
deidrogenasi leghi il metanolo e si eviterà quindi la formazione di formaldeide (prodotto tossico) e
del successivo acido formico che può far diminuire il pH del sangue; il metanolo verrà quindi
eliminato con l'urina e quindi bisogna dosarne la concentrazione presente in essa.

Regolazione dell’attività enzimatica


L'attività degli enzimi può essere regolata in base alle necessità che ha la cellula e avviene con
diverse modalità: modificazione covalente della molecola enzimatica, associazione/dissociazione
dei monomeri costituenti la molecola enzimatica, azione sul sito secondario (di regolazione)
dell'enzima (enzima allosterici) ed induzione e repressione genica della proteina enzimatica; le
prime 3 modalità implicano dei meccanismi veloci, l'ultima modalità, invece, implica un
meccanismo lento e graduale.
La modificazione covalente consiste nella modificazione dell'attività enzimatica dovuta all'attacco,
o al distacco, di un raggruppamenti chimico da uno o più residui degli aminoacidi costituenti le
catene polipeptidiche dell'enzima; il caso più frequente di modificazione covalente è la
fosforilazione e la defosforilazione dei residui di serina, treonina o tirosina; generalmente gli
enzimi catabolici (come ad esempio la glicogeno fosforilasi o la trigliceride lipasi) vengono attivati
dalla fosforilazione dei loro residui di treonina, serina o tirosina, che avviene mediante particolari
protein-chinasi, e vengono invece inattivati dalla defosforilazione che avviene mediante le
fosfatasi; per gli enzimi anabolici (come ad esempio la glicogeno sintetasi e la trigliceride sintetasi),
invece, avviene il contrario, cioè la fosforilazione li inattiva e la defosforilazione li attiva; questo
processo, che avviene in maniera inversa per le due tipologie enzimatiche, è una conseguenza
logica della regolazione del metabolismo in risposta agli stimoli ormonali; nel caso di alcuni
enzimi, la modificazione covalente, può avvenire per processi di acetilazione/deacitilazione
(trasferimento da parte del donatore acetil-CoA oppure l’acil-CoA di un gruppo acetile (unità
bicarboniosa) o dell’acile (più lungo del gruppo acetile) ad un residuo di lisina), di
adenilazione/deadenilazione (a carico della tirosina e il donatore è l’ATP con liberazione di
pirofosfato), di uridilazione/deuridilazione (a carico della tirosina e il donatore è l’UTP con
liberazione di pirofosfato), di ADP-ribosilazione/de-ADP-ribosilazione (a carico di arginina,
glutammina o cisteina e il donatore è il NAD, con liberazione di nicotinammide), di
metilazione/demetilazione (a carico di acido glutammico e il donatore è la adenosil metionina con
liberazione di adenosil omocisteina); nella regolazione per modificazioni covalenti può essere
anche inclusa la trasformazione di un zimogeno in enzima (ad esempio pepsinogeno in pepsina),
che implica la rottura di legami e modificazioni conformazionali della molecola enzimatica; questa
conversione implica in ogni caso il distacco idrolitico di un frammento peptidico e la conseguente
modificazione della conformazione della risultante proteina.
L'associazione/dissociazione dell'unità monomerica costituente l'enzima oligomerico consiste ad
esempio nella dissociazione in due dimeri di un tetramero, secondo un processo reversibile, e
nella dissociazione dei dimeri in monomeri, secondo un processo irreversibile (un esempio è
l'acetil-CoA-carbossilasi).
La regolazione allosterica consiste nell'aumentare o diminuire l'affinità per il substrato di un
enzima allosterico, tramite degli effettori allosterici; un enzima viene definito allosterico, quando
oltre al sito attivo, presenta anche un sito regolativo (o allosterico) a cui si lega l'effettore
allosterico che può essere un inibitore o un attivatore, che legandosi a tale sito ne inducono un
cambiamento di conformazione che influisce l'affinità per il substrato; l'allosteria può essere
omotropica, quando il sito attivo e il sito regolativo coincidono e l'effettore sarà sempre positivo (è
quanto avviene per l'emoglobina che anche se non è un enzima, il meccanismo di cooperazione
per il legame dell'ossigeno all'eme ha delle analogie con la regolazione allosterica omotropica degli
enzimi) oppure può essere eterotropica e i siti non coincidono e gli effettori possono essere degli
inibitori o degli attivatori; le proprietà cinetiche degli enzimi allosterici non seguono l'equazione di
Michaelis-Mentens e in un grafico danno vita ad una sigmoide, una S italica, e non ad un'iperbole
come gli enzimi non allosterici; questo grafico è in analogia con quella dell'emoglobina e infatti
anche nell'emoglobina si può parlare di allosterismo, ma di tipo omotropico; nella maggioranza
degli enzimi invece l'allosterismo e di tipo eterotropico, ma il grafico sarà lo stesso, poiché se
l'effettore è un attivatore, allora aumenta l'affinità per il restante substrato e la velocità di
reazione sarà maggiore e quindi si avrà una curva sigmoidale; anche la rappresentazione nel
grafico di Lineweaver e Burk sarà differente, infatti non sarà di tipo lineare, ma iperbolica.
Enzimi che occupano posizioni chiave nel metabolismo e l’attività dei quali deve essere modulata
rispettando le variazioni metaboliche della cellula sono sottoposti a regolazione multipla; esempio
di questi enzimi sono: la piruvato chinasi, la acetil-CoA carbossilasi, la glicogeno fosforilasi e la
glicogeno sintetasi; l’attività di questi enzimi è regolata sia dal processo di
fosforilazione/defosforilazione della proteina enzimatica sia da effettori allosterici.

Processo della coagulazione


La coagulazione del sangue è un processo che viene iniziato da sostanze che vengono rilasciate dai
tessuti danneggiati; questo processo continua e si propaga grazie ad una serie di proteasi seriniche
(enzimi che nel loro sito catalitico è presente la serina), che sono dei fattori proteolitici; oltre a
questi fattori proteolitici, per la coagulazione, è anche indispensabile la presenza di ioni calcio
(oltre che per il ruolo di secondi messaggero, il calcio è importante ed indispensabile per la
coagulazione del sangue) e anche dei fosfolipidi; anche i meccanismi naturali di anticoagulazione si
basano su proteasi seriniche (proteasi sempre presenti, sia per la coagulazione sia nei processi di
anticoagulazione - possono far parte anche di altri processi, come ad esempio la digestione).
La coagulazione è un processo che avviene in due fasi: una coagulazione intrinseca ed una
estrinseca, entrambe innescate da uno stimolo; nella coagulazione intrinseca partecipano alcuni
fattori che fanno parte proprio del sangue ed è innescata dal contatto del sangue con la superficie
danneggiata o con il corpo che provoca il danno (esempio frammento di vetro); la coagulazione
estrinseca, invece, viene innescata dalla tromboplastina terza, detta anche fattore terzo;
coagulazione intrinsece ed estrinseca hanno poi una via comune nella quale si ha la
trasformazione della protrombina, uno zimogeno (precursore inattivo di un enzima, che può
essere attivato o a causa dell’ambiente acido di un lisosoma o per opera di enzimi specifici,
generalmente attraverso il distacco di un frammento polipeptidico, definito peptide di attivazione;
inoltre il processo di attivazione necessita la presenza di ioni metallici, come calcio, magnesio o
ferro), nella forma attiva che prende il nome di trombina; la trombina, che è una proteasi serinica
(quindi un enzima), a seguito ad una serie di reazioni a catena (che nel complesso prendono il
nome di cascata della coagulazione), in cui il prodotto diventa successivamente substrato per
un’altra chinasi, agisce su un altro zimogeno, il fibrinogeno, per dare la fibrina, la quale
condensando porterà alla formazione di un coagulo lasso (zimogeni e proteine della coagulazione
sono indicati spesso con numeri romani, che non indicano la sequenza degli eventi, ma la
successione con cui furono scoperti); in tutto ciò è necessaria la presenza degli ioni calcio, che
risulta molto importante per la formazione del coagulo lasso di fibrina poiché alcuni
anticoagulanti, come ad esempio l’EDTA (uno degli anticoagulanti utilizzati in clinica, così come
l’ossalato di calcio), sono dei chelanti per il calcio, legano, quindi, tramite legami coordinativi il
calcio.
Il fibrinogeno è una glicoproteina del plasma sanguigno, sintetizzata dal fegato e dal tessuto
endoteliale ed è uno zimogeno, ovvero la forma inattiva della fibrina; il fibrinogeno è formato da
due unità, ognuna costituita da 3 catene polipeptidiche (A-alfa, B-beta e gamma); i gruppi
terminali delle catene alfa e beta tengono separate le singole molecole di fibrinogeno a causa della
repulsione elettrica; successivamente agisce la trombina che taglia questi gruppi terminali del
fibrinogeno, liberando così 4 fibrinopeptidi (2 fibrinopeptidi A e 2 fibrinopeptidi B) ed un
monomero di fibrina; i monomeri di fibrina hanno perciò struttura simile al loro precursore
fibrinogeno, ma, avendo perso le cariche negative presenti sui gruppi terminali tagliati dalla
trombina, interagiscono tra di loro con legami deboli.
Un ruolo chiave nella coagulazione del sangue viene svolto dalla vitamina K poiché essa è coinvolta
nei processi di modificazione post-sintetiche di alcuni fattori della coagulazione, come ad esempio
la protrombina; in particolare è coinvolta nella carbossilazione dell'acido glutammico, contenuto in
una sequenza aminoacidica della protrombina, in gamma-carbossiglutammato; la carbossilazione
avviene mediante l'enzima carbossilasi-vitaminaK-dipendente e durante la catalisi la proteina K
viene ossidata e perciò per essere riutilizzata deve essere ridotta in vitaminaK-2,3-epossido; per la
riduzione intervengono intervenie, oltre all'enzima epossido-reduttati, anche il coenzima NADPH
(e non NADH); la carbossilazione può essere comunque inibita da alcuni anticoagulanti che
appartengono alla famiglia delle cumarine (antagonisti della vitamina K), come il dicumarolo e la
warfarina.

Aspirina
L’aspirina nella storia era già nota ai tempi di Erodoto, il quale già nel suo libro “Storia di Roma”
annotava che vi erano persone, abitanti di Roma, resistenti alle malattie perché mangiavano delle
foglie di un albero, il salice; l'aspirina venne estratta per la prima volta dalla corteccia del salice
bianco ed era detta "salicina"; successivamente venne ribattezzata col nome di "acido salicilico"; in
fine venne chiamata aspirina (o acido acetilsalicilico), quando dei chimici sostituirono il gruppo -
OH con un gruppo acetile, per diminuire gli effetti indesiderati della molecola quando veniva
somministrata.
L'aspirina (o acido acetil salicilico) è un farmaco di largo impiego: viene utilizzato come
antinfiammatorio, analgesico, antipiretico e per la profilassi di aggregazione piastrinica e della
trombosi coronarica.
L'aspirina presenta un gruppo acetilico; l'aspirina agisce su un enzima, l'enzima COX
(ciclossigenasi), trasferendo su un residuo aminoacidico di tale enzima il suo gruppo acetile; essa
quindi si trasforma in acido salicilico; la ciclossigenasi è anche coinvolta nel processo di formazioni
dei eicosanoidi (derivanti da un acido grasso a 20 atomi di carbonio e prodotti da tutte le cellule
umane, tranne che dagli eritrociti) ed il trasferimento del gruppo acetile sul sito attiva di questo
enzima, lo inibisce irreversibilmente, di conseguenza non potrà più agli eicosanoidi, quali ad
esempio prostaglandine e trombossani; un basso dosaggio di aspirina, a lungo termina, blocca
irreversibilmente la formazione di prostaglandine e trombossani nelle piastrine e tutto questo si
traduce in una maggiore fluidificazione del sangue, quindi non bisogno abusare di aspirina.

Metabolismo dei glucidi


Generalità
Le cellule intestinali sono capaci di assorbire solo monosaccaridi e quindi è necessario che i glucidi
della dieta, quali i polisaccaridi (come ad esempio l'amido e il glicogeno) e i disaccaridi (come ad
esempio lattosio e saccarosio) subiscano una preliminare digestione in monosaccaridi; la
digestione è effettuata da enzimi che fanno parte della classe delle idrolasi (presenti nel tubo
digerente o nelle cellule intestinali) capaci di idrolizzare i legami covalenti contenuti nei glucidi
(legami 1-4 e 1-6 alfa-glicosidici).
I polisaccaridi digeribili vengono gradualmente idrolizzati dalle amilasi salivari e pancreatiche;
l'amilasi salivare è responsabile della prima digestione, che avviene a livello della bocca; ha un pH
ottimale di circa 7 e per questo viene rapidamente inattivata, nel transito del bolo nello stomaco,
da un pH estremamente acido; è una endoglucosidasi, in quanto idrolizzano legami di tipo alfa-1-
4-glicosidici che portano alla formazione di oligosaccaridi; l'azione dell' amilasi salivare dipende
anche dal tempo di masticamento; l'amilasi pancreatica per poter agire ha bisogno di ioni cloro ed
agisce ad un valore di pH leggermente differente dall'amilasi salivare; è anch'essa una
endoglucosidasi; entrambe portano alla formazione di oligosaccaridi, quali il maltosio, il
maltotriosio (entrambi derivati dall’amilosio) e la destrina limite (contiene legami alfa-1-6-
glicosidici non riconosciuti dalle amilasi e quindi idrolizzati da altri enzimi – derivata
dall’amilopectina).
Questi oligosaccaridi prodotti nel lume intestinale della digestione dei polisaccaridi, oltre a quelli
che vengono ingeriti come tali (saccarosio e lattosio), vengono idrolizzati da oligosaccaridasi
intestinali (o disaccaridasi); in particolare le maltasi idrolizzano maltosio e maltotriosio, l'azione
combinata di maltasi e isomaltasi idrolizzano le destrine limite, le saccarasi idrolizzano saccarosio e
le lattasi idrolizzano il lattosio; questi enzimi sono di natura glicoproteina e sono ancorati alla
membrana delle cellule della mucosa, con il sito attivo rivolto verso il lume intestinale; il loro
prodotto finale saranno quindi i monosaccaridi.
Le disaccaridasi intestinali possono però essere carenti o mancanti; quando vi è una deficienza
aspecifica tutta le disaccaridasi sono deficienti, invece, quando la deficienza è specifica (congenita
o acquisita), solo una specifica disaccaridasi è deficiente; una delle più frequenti deficienze
specifiche è quella dell'enzima lattasi; la deficienza di lattasi nell'adulto è un tipo di deficienza
specifica acquisita, causata dalla diminuzione dell'attività della lattasi che era molto attiva nel
lattante; nel lattante invece la deficienza di lattasi è una deficienza di tipo genetica e in questo
caso si parla di intolleranza al latte, che potrebbe anche essere dovuta ad un'intolleranza alle
proteine del latte (un rimedio è quello di alimentare il bambino con latte di asina, altamente
nutritivo ma povero di proteine); a causa della deficienza di lattasi, il lattosio permane
nell’intestino e , in quanto carboidrato, tende ad assumere acqua dal liquido interstiziale: i soggetti
spesso soffrono, infatti, di diarrea.
I monosaccaridi ottenuti dalle digestione, o quelli ingeriti come tali, vengono assorbiti, con
meccanismi differenti, nella regione digiunale dell'intestino e poi immessi nel circolo portale
(circolo funzionale del fegato; sangue ricco di nutrienti assorbiti dall’intestino, tramite la vena
porta (strano per essere una vena che di solito trasporta sangue ricco di scarti e anidride
carbonica), va al fegato dove vengono utilizzati per il compimento delle funzioni degli epatociti e
poi il sangue di scarto si raccoglie nella vena epatica che torna, come tutte le vene, al cuore);
l'assorbimento del glucosio, ad esempio, è molto rapido e non ci sono interruzioni nel passaggio di
glucosio nelle cellule, è quindi un processo continuo; se la concentrazione di glucosio nel lume
intestinale è alta (durante o subito dopo i pasti) allora la concentrazione di monosaccaridi è
maggiore nel lume rispetto a quello delle cellule intestinali e quindi il trasporto avverrà secondo
gradiente (diffusione facilitata), da ambienti a più alta concentrazione a zone a concentrazione
minore; se invece la concentrazione di glucosio nel lume è più bassa allora all'interno della cellula
sarà maggiore e quindi vi è l'intervento di sistemi di trasporto attivo secondario che sfruttano un
gradiente di sodio, precedentemente realizzato dalla pompa sodio/potassio; questo è un sistema
di simporto, con un rapporto di 1:2 (1 glucosio e 2 sodio attraversano insieme); all'interno della
cellula intestinale aumenteranno, quindi, sia il glucosio che il sodio e per evitare che il trasporto si
arresti, dal polo opposto, intervengono altri sistemi, come il glut-2 che trasporta, secondo
gradiente di concentrazione, glucosio (con meccanismo di uniporto) e la pompa sodio potassio per
il sodio (vedi trasportatori di glucosio).
Giunto al fegato, il glucosio, dipendentemente dallo stato nutrizionale e dalle esigenze energetiche
dell’organismo, viene metabolizzato e in parte depositato in forma di glicogeno e trigliceridi,
oppure immerso direttamente nel circolo generale; gli altri monosaccaridi vengono dal fegato
convertiti in glucosio.

Ingresso del glucosio nelle cellule


Il glucosio, come gli altri monosaccaridi, viene trasportato dal sangue all'interno delle cellule dei
vari tessuti in favore di gradiente, in un processo di diffusione facilitata da carrier già specifici, i
GLUT, che agiscono in base alla localizzazione del tessuto in cui il glucosio deve entrare; laddove il
glucosio deve passare sempre liberamente, come nel fegato, nel cervello e negli eritrociti, il
sistema di trasporto è indipendente dall'insulina; nei muscoli e nel tessuto adiposo, invece, il
trasporto è mediato da un trasportatore a sua volta dipendente dall'insulina (ormone che si lega
alle membrane cellulari).

Fosforilazione del glucosio


Quando il glucosio entra nel citoplasma delle cellule, viene velocemente fosforilato per evitare che
possa uscire nuovamente; viene prodotto l'estere fosforico glucosio-6-fosfato; le membrane
plasmatiche sono impermeabili agli esteri fosforici del glucosio e quindi esso non può uscire; la
fosforilazione avviene mediante l'attività delle esochinasi e della glucochinasi.
Per quanto riguarda le esochinasi, ne esistono tre isoforme (esochinasi I nel cervello, II nel
muscolo e III ubiquitaria) e sono tutte aspecifiche per il glucosio, ovvero possono legare anche altri
monosaccaridi, inoltre, hanno una Km molto bassa e quindi hanno un'altissima affinità per il
glucosio, che lo fosforilano, producendo glucosio-6-fosfato, il quale inibisce le esochinasi; quando
cioè è presente una quantità elevato di glucosio-6-fosfato, l'attività delle esochinasi viene inibita e
quindi il glucosio non viene più fosforilato da queste e conseguentemente non ne viene introdotto
altro nelle cellule, favorendone l'utilizzazione da parte di altre cellule che in quel momento ne
hanno più bisogno; inoltre una deficienza ereditaria di esochinasi si manifesta con anemia
emolitica, poiché gli eritrociti non possiedono mitocondri e il solo processo di formazione di ATP è
la glicolisi, che per deficienza di esochinasi rimane fortemente inibita; una conseguente deficienza
di ATP, che viene utilizzata per il fisiologico mantenimento della permeabilità di membrana, porta
alla lisi dei globuli rossi.
La glucochinasi, denominata anche esochinasi IV, si trova solamente nelle cellule epatiche dove è
possibile un maggiore immagazzinamento di glicogeno, poiché essendo presenti sia le esochinasi
che la glucochinasi, quando la disponibilità di glucosio è elevata e il conseguente aumento di
glucosio-6-P ad un certo punto inibisce l'azione delle esochinasi, allora saranno le glucochinasi
( che presentano una minore affinità per il glucosio, per il quale tuttavia sono specifiche, dovuta ad
una maggiore Km, rispetto alle esochinasi) a continuare il processo di fosforilazione del glucosio e
quindi un ulteriore immagazzinamento di glicogeno; la glucochinasi si forma alla nascita e la sua
quantità nel fegato dipende da alcuni fattori, come l'età, la dieta e l'insulina; la quantità di
glucochinasi, infatti, diminuisce con l'avanzare dell'età (sembra che nel bambino sia elevatissima),
aumenta con l'aumentare dei glucidi ingeriti (nel digiuno prolungato si riduce fino ad 1/4) ed
aumenta con l'insulina; con l'azione combinata della glucochinasi e della glucosio-6-P fosfatasi il
fegato agisce da glucostato, cioè immagazzina glucosio quando la glicemia è elevata (dopo un
pasto) e lo rilascia nel circolo quando la glicemia è bassa (digiuno).

Destino metabolico del glucosio-6-P


Il glucosio-6-fosfato, in base alle necessità fisiologiche del tessuto, può seguire diverse vie
metaboliche: può essere utilizzato nel fegato come deposito, sottoforma di polisaccaride
(glicogeno epatico); quello presente negli epatociti può essere defosforilato dalla glucosio-6-
fosfato-fosfatasi per tornare nel sangue, quando la glicemia diminuisce (non può agire esochinasi
per la defosforilazione poiché termodinamicamente tale reazione è svantaggiata); può
intraprendere la via del pentoso fosfato (shunt del pentoso fosfato); può essere utilizzato come
substrato per la glicolisi ad esempio quando il tessuto ha bisogno di energia; può, in caso
contrario, essere idrolizzato verso la sintesi di glicogeno.
Si alternano quindi vie anaboliche (gluconeogenesi e sintesi di glicogeno) e vie cataboliche
(glicolisi, via del pentoso fosfato, degradazione del glicogeno).

Glicolisi
La glicolisi è un processo che avviene nel citoplasma e porta alla scissione del glucosio, attraverso
varie reazioni, in piruvato; queste reazioni comportano la sintesi di molecole di ATP e di NADH ed
inoltre il piruvato può essere ulteriormente ossidato nei mitocondri con produzione di una
quantità molto più grande di ATP.
Il processo della glicolisi consiste in 10 reazioni, ma se si considera la fosforilazione del glucosio in
glucosio-6-P come prima reazione allora le reazioni totali del processo saranno 11; possono essere
identificate 2 fasi: la prima porta alla formazione di due molecole di gliceraldeide-3-fosfato (3
atomi di carbonio) e la seconda porta alla formazione di due molecole di acido piruvico (3 atomi di
carbonio); inoltre come prodotti finali sono anche presenti NADH e ATP; l'acido piruvico può avere
destini differenti ed infatti negli organismi anaerobici può essere utilizzato durante la
fermentazione dei lievito ad alcol e negli organismi aerobici, in condizioni di anaerobiosi può
essere utilizzato come substrato della fermentazione lattica (nel nostro muscolo) oppure in
condizione aerobiche può essere decarbossilato in acetil-CoA che entra nel ciclo di Krebs e verrà
ossidato ad alcol e anidride carbonica e vi sarà un'alta resa energetica (energia prodotta
sottoforma di ATP).

Nella prima fase, quindi, una molecola di glucosio (a 6 atomi di carbonio) viene convertita in due
molecole di gliceraldeide-3-fosfato (a 3 atomi di carbonio).
La prima reazione della prima fase è la reazione di preparazione, la fosforilazione del glucosio ad
opera delle esochinasi (o delle glucochinasi nel fegato) a glucosio-6-fosfato (estere fosforico del
glucosio) e viene consumata una molecola di ATP; questo processo è fondamentale per evitare la
fuoriuscita di glucosio dalla membrana plasmatica ed inoltre è un processo irreversibile.
La seconda reazione consiste nell'isomerizzazione di una molecola di glucosio-6-fosfato in
fruttosio-6-fosfato ad opera dell'enzima fosfoglucoisomerasi ed avviene in presenza di magnesio
(Mg2+); questo prodotto sarà il substrato dell'enzima della successiva reazione.
La terza reazione avviene sempre in presenza di magnesio ad opera della fosfofruttochinasi 1
(PFK1) ed è la seconda reazione di fosforilazione della glicolisi che porta alla formazione del
fruttosio-1,6-bifosfato e viene spesa una seconda molecola di ATP; questo è definito un enzima
allosterico multiplo, poiché possiede dei siti di regolazione diversi a cui si legano specificamente gli
effettori allosterici; questi effettori sono l'ATP e il citrato che ne inibiscono l'attività, l'AMP e il
pirofosfato che attivano l'enzima (nel fegato inoltre l’enzima è anche inibito dagli acidi grassi
liberi); l’ATP inibisce la glicolisi proprio perché è uno dei prodotti di questa e se è in eccesso
significa che non vi è bisogno di produrne altre e proprio per questa ragione è un inibitore; a basse
concentrazioni, quindi, l’ATP si lega all’enzima come substrato (si lega in forma di complesso ATP-
Mg2+) e ad alte concentrazioni si lega (in forma libera) come effettore allosterico negativo,
diminuendo l’affinità dell’enzima per il fruttosio-6-fosfato; lo stesso vale per il citrato, che è il
primo substrato che si forma nel ciclo di Krebs e se la sua concentrazione è elevata significa che la
cellula ha glicosilato e decarbossilato (per formare l’acetil-CoA) moltissimo il piruvato e di
conseguenza è una cellula che non ha bisogno di effettuare nuovamente la glicolisi; l’enzima che
invece idrolizza il fruttosio-1,6-bifosfato in fruttosio-6-fosfato è la fruttosio bifosfatasi ed è attivata
da alte concentrazioni di ATP e inibita dall’AMP; nel fegato comunque è presente un altro effettore
allosterico che attiva la fosfofruttochinasi 1 ed è il fruttosio-2,6-bifosfato, che si forma dal
fruttosio-6-P per azione della fosfofruttochinasi 2.
Nella quarta reazione il fruttosio-1,6-bifosfato viene scisso in due molecole a 3 atomi di carbonio,
dall'enzima aldolasi, e ciascuna possiede un gruppo fosfato; una molecola prende il nome di
gliceraldeilde-3-fosfato e l'altra prende il nome di diidrossiacetone fosfato; queste due molecole
sono degli isomeri e man mano si formano, avviene la quinta reazione, ovvero la conversione,
mediante la triosofosfatoisomerasi, del diidrossiacetone fosfato in gliceraldeide-3-fosfato; a
questo punto si è conclusa la prima fesa della glicolisi, che è una fase definita preparatoria; il
diidrossiacetone fosfato può comunque intraprendere un’altra via, catalizzata dalla glicerolo-3-
fosfato deidrogenasi, in cui viene ridotto in glicerol-3-fosfato a spese del NADH che viene ossidato
a NAD+.

La seconda fase è definita fase del recupero, poiché la cellula finora ha speso energia per i gruppi
fosforici e quindi, essendo un metabolismo, deve recuperare; questa fase inizia con la sesta
reazione, dove vi è la presenza dell'enzima deidrogenasi, che catalizza una reazione di ossido-
riduzione e quindi vi è un substrato che si ossida e un substrato che si riduce (in biochimica i
substrati che si riducono sono il NAD e il FAD), ovvero il NAD.
Nella sesta reazione agisce la gliceraldeide-3-fosfato-deidrogenasi, che ha due siti di legame, uno
per la gliceraldeide-3-fosfato e l'altro per il NAD, che essendo l'enzima un tetramero, può legare
fino a 4 molecole di NAD (percorso metabolico altamente energetico); in questa reazione il
substrato, ovvero la gliceraldeide-3-fosfato, verrà ossidato e nello stesso tempo verrà fosforilato in
posizione 1 ad opera di un fosfato inorganico e si viene a formare un acido fosforilato (gruppo
aldeidico ossidato in gruppo carbossilico) in posizione 1,3, l'acido 1,3-bifosfoglicerico (fosfato in
posizione 3 già presente); in questa fase quindi non viene utilizzato ATP ma un fosfato inorganico
semplice ed inoltre in questa reazione viene prodotto NADH; ovviamente questo deve essere
moltiplicato per due poiché erano due le gliceraldeidi-3-fosfato che si erano formate alla fine della
prima fase.
La settima reazione avviene in presenza di magnesio ed è catalizzata dalla fosfoglicerato chinasi; il
fosfato dell'1,3-bifosfoglicerato, in posizione 1, viene trasferito sull'ADP dalla chinasi e si forma
quindi una molecola di ATP (in realtà sono due poiché il tutto va moltiplicato per due, essendo
proprio due le gliceraldeidi-3-fosfato all'inizio della seconda fase e quindi due molecole di ATP per
ogni molecola di glucosio iniziale; viene ricompensata, perciò, la spesa energetica della prima fase)
e il 3-fosfoglicerato; negli eritrociti questa reazione può essere bypassata poiché gli obiettivi di un
globulo rosso sono: o utilizzare l’ATP prodotta dalla glicolisi per mantenere la permeabilità della
membrana e quindi evitare l’emolisi oppure sintetizzare un effettore allosterico molto importante,
che è il 2,3-bifosfoglicerato (effettore di tipo negativo poiché comporta una diminuzione
dell'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno); quindi quando la necessità di sintetizzare l’effettore è
maggiore rispetto a quella della sintesi di ATP, questa via viene bypassata e non agisce la chinasi,
ma agisce la bifosfoglicerato mutasi, enzima che catalizza l’ottava reazione a partire dall’1,3-
bifosfoglicerato (e quindi saltando la settima reazione, che appunto viene bypassata) e che porta
alla sintesi di 2,3-bifosfoglicerato.
Nell’ottava reazione quindi, normalmente, agiscono le mutasi e in particolare la fosfoglicerato
mutasi che trasporta il fosfato che si trova in posizione 3 nel 3-fosfoglicerato alla posizione 2 e si
ha quindi il 2-fosfoglicerato; la reazione prevede inoltre un intermedio 2-3 bifosfoglicerato; se si
tratta degli eritrociti agisce la bifosfoglicerato mutasi e catalizza la reazione partendo dall’1-3-
bifosfoglicerato e sposta sempre il fosfato dalla posizione 3 alla posizione 2 e si ha quindi l’1-2-
bifosfoglicerato; con tale deviazione della glicolisi si assicura negli eritrociti una massima
concentrazione di 1,3-bifosfoglicerato e successivamente con l’azione della bifosfoglicerato
fosfatasi diventa 3-fosfoglicerato e quindi si ha il ritorno alla via glicolitica.
La nona reazione, è una reazione di deidratazione, dove quindi viene eliminata acqua e si ottiene
un composto altamente energetico; questa reazione avviene in presenza di magnesio e dal 2-
fosfoglicerato, per azione dell'enolasi, si avrà come prodotto il fosfoenolpiruvato (PEP);
quest'ultimo presenta un'energia libera maggiore di quella dell'ATP e ciò implica che da questo si
può formare ATP e non il contrario.
Nella decima reazione, catalizzata dalla piruvato chinasi, dal fosfoenolpiruvato si forma l'acido
piruvico; la piruvato chinasi è un enzima allosterico, attivato da amp e dal fruttosio 1,6 bifosfato ed
inibito dall'ATP e dal citrato per gli stessi motivi per cui lo era anche la fosfofruttochinasi-1; questa
è la terza reazione irreversibile (la prima era quella dell'esochinasi, la seconda quella della
fosfofruttochinasi-1 e questa è l'ultima); in questa reazione si forma il piruvato e viene trasferito il
gruppo fosforico del PEP all’ADP e si ha quindi la formazione di una molecola di ATP, quindi due
molecole partendo da una molecola di glucosio; due erano state utilizzate nella prima fase e
quattro sono state prodotte nella seconda e quindi in totale due molecole di ATP; l'energia di
idrolisi dell'ATP non basterebbe per risintetizzare il fosfoenolpiruvato poiché questo ha un
contenuto energetico maggiore dell'ATP; quindi se la cellula avesse bisogno di produrre glucosio
non potrebbe utilizzare le reazioni della glicolisi al contrario poiché troverebbe appunto tre divieti
(le tre reazioni irreversibili catalizzate dalle chinasi: esochinasi, fosfofruttochinasi e piruvato
chinasi); alla fine di questa fase sono stati prodotti quindi acido piruvico e ATP.
Il piruvato formatosi, in condizioni di aerobiosi, si sposta dal citoplasma nel mitocondrio attraverso
dei sistemi di traslocazione e qui viene avviato il ciclo di Krebs; in condizioni di anaerobiosi, invece,
anche se temporanea, come nei muscoli scheletrici, il piruvato verrà utilizzato come accettore
degli elettroni del NADH (formatosi nella reazione di ossidazione della gliceraldeide-3-fosfato ad
acido 1,3-bifosfoglicerico) e tale reazione, catalizzata dalla lattato deidrogenasi, produce lattato e
ripristina il NAD+ necessario per l'ulteriore ossidazione della gliceraldeide-3-fosfato; questa
continua riossidazione del NADH consente lo svolgimento continuo della glicolisi e l'accumulo di
lattato che dovrà essere riversato nel sangue poiché un accumulo di acido lattico all'interno delle
cellule muscolari libera H+ e quindi diminuisce il pH provocando una contrazione involontaria dei
muscoli e quindi i crampi.
Quando un muscolo è sovraccarico (ovvero ha bisogno di energia poiché ha lavorato troppo),
parte della sua fatica viene trasferita al fegato attraverso il ciclo di Cori; consiste nel trasferimento
del lattato al fegato, dove, spendendo energia, attraverso il processo di gluconeogenesi, si produce
altro glucosio che ritorna al muscolo dove viene utilizzato per ottenere ATP.

Regolazione della glicolisi, resa energetica e glicolisi nei vari tessuti


Il flusso metabolico della glicolisi è regolato dalle seguenti condizioni: disponibilità di glucosio nella
cellula, concentrazione del glucosio-6-fosfato, attività della fosfofruttochina-1 e della piruvato
chinasi e disponibilità di NAD+; ovviamente deve essere disponibile glucosio che deve entrare
dentro le cellule; quando entra viene fosforilato dalle esochinasi, e anche dalle glucochinasi nel
caso degli epatociti, ma un eccesso di glucosio-6-fosfato inibisce le esochinasi; le due chinasi
catalizzano la seconda e terza reazione irreversibile della glicolisi e sono degli enzimi allosterici e
vengono regolati in base alle necessità energetiche della cellula, se questa non ha bisogno di
energia si legano citrato e ATP e la glicolisi viene inibita; inoltre questi enzimi sono anche esposti a
controlli ormonali stimolatori come quello dell’insulina e inibitori come quello del glucagone e
dell’adrenalina.
Per quanto riguarda il rendimento, in condizioni di anaerobiosi vi è la formazione del lattato nei
muscoli scheletrici e quindi per calcolare la resa energetica bisogna tenere in considerazione l’ATP
prodotta da una mole iniziale di glucosio fino alla formazione del piruvato; sono state prodotte 4
molecole di ATP ma ne sono state consumate 2 e quindi il bilancio energetico complessivo è di 2
moli di ATP prodotte per ogni mole di glucosio iniziale e la sua efficienza è del 28%; in condizioni di
aerobiosi, invece, con il transito degli equivalenti riducenti dal citoplasma ai mitocondri, oltre alle
2 molecole di ATP della resa energetica della glicolisi citoplasmatica vengono prodotti 3 molecole
di ATP per ogni molecola di NADH ossidata e 2 per ogni molecola di FADH2 ossidata; alla fine si
avrà una resa energetica di 36-38 molecole di ATP.
Nei vari tessuti la glicolisi svolge un ruolo diverso, infatti nei globuli rossi non è presente un
sistema membranoso interno e di conseguenza non sono presenti i mitocondri e quindi non può
avvenire la fosforilazione ossidativa, ragion per cui l’unico modo per ricavare energia, necessaria
per il mantenimento fisiologico della permeabilità di membrana, è la glicolisi anaerobica, che
quindi si arresta nel momento del trasferimento degli equivalenti riducenti ai mitocondri; nel
cervello, invece, le cellule utilizzano il glucosio solamente in condizioni di aerobiosi e quindi si
attua solamente la glicolisi aerobica, avviene cioè la fosforilazione ossidativa nei mitocondri
(escluse le cellule della glia); il tessuto muscolare striato è invece capace di lavorare sia in
condizioni di anaerobiosi, sia in condizioni di aerobiosi; le cellule perciò non soffrono in ipossia
(come quelle del cervello) poiché avviene la glicolisi anaerobica e quindi vi è la fermentazione
dell’acido lattico, con la formazione di lattato e l’ossidazione del NADH necessario per
l’ossidazione della gliceraldeide-3-fosfato in acido-1,3-bifosfoglicerico e quindi per il continuo della
glicolisi che ha una resa energetica di due molecole di ATP per ogni molecola iniziale di glucosio;
quando vi è però la disponibilità di lavorare in presenza di ossigeno le cellule scelgono di utilizzare
la glicolisi aerobica e quindi di trasferire il piruvato al mitocondrio e iniziare la fosforilazione
ossidativa; questa scelta della cellula è dovuta al fatto che vengono prodotte una quantità assai
maggiore di ATP che va ad inibire le chinasi della glicolisi che sono enzimi allosterici e quindi è per
questo che in condizioni di aerobiosi vi è una diminuzione del flusso glicolitico; un tempo si
associava questa scelta della cellula all’effetto Pasteur, che affermava che era l’ossigeno ad inibire
la glicolisi; un altra cellula che attua la glicolisi anaerobica è quella tumorale; essa si trova in uno
stato di ipossia poiché non è adeguatamente irrorata dal sangue; la glicolisi anaerobica che attua
non è normale ma è velocizzata poiché gli enzimi coinvolti nel processo della glicolisi sono
iperattivati e alla fine tutto ciò comporta un maggior rendimento energetico.

Fermentazione alcolica
La fermentazione alcolica invece avviene in molti lieviti, sempre in condizioni di anaerobiosi, ed è
un processo analogo alla glicolisi, soltanto che vi è una modifica nell’ultima tappa, cioè il piruvato
non viene ridotto in lattato ma viene decarbossilato in aldeide acetica dalla alcol decarbossilasi;
questa aldeide acetica viene ridotta in etanolo dalla alcol deidrogenasi a spese del NADH, prodotto
nell’ossidazione della gliceraldeide-3-fosfato, che viene ossidato a NAD+ necessario per la continua
ossidazione della gliceraldeide-3-fosfato.

Trasferimento degli equivalenti riducenti ai mitocondri mediante i sistemi pendolari


In condizione di aerobiosi, invece, il NADH formatosi durante la glicolisi viene trasportato ai
mitocondri per avviare il ciclo di Krebs; il trasporto ai mitocondri avviene mediante i "sistemi
pendolari" o "shuttles" e i due principali sono lo shuttle glicerolo-3-fosfato e lo shuttle malato-
aspartato.
Lo shuttle del glicerolo-3-fosfato è un sistema di trasporto indiretto degli elettroni del NADH
all'interno dei mitocondri; il tutto inizia durante la glicolisi, quando, da una molecola di fruttosio-
1,6-bifosfato, mediante la fosfofruttochinasi-1 che richiede ATP, si formano una molecola di
gliceraldeide-3-fosfato (3 atomi di carbonio) e una molecola di diidrossiacetone fosfato (a 3 atomi
di carbonio); quest'ultimo può essere convertito in gliceraldeide-3-fosfato dalla
triosofosfatoisomerasi e continuare la glicolisi oppure può essere ridotto a glicerolo-3-fosfato in
una reazione di ossido-riduzione catalizzata dalla glicerolo-3-fosfato deidrogenasi ed il NADH viene
ossidato a NAD+ e quindi trasferisce i suoi elettroni al diidrossiacetone fosfato che diventa
glicerolo-3-fosfato; quest'ultimo è capace di oltrepassare la membrana dei mitocondri e migra al
loro interno e mediante la glicerol-3-fosfato deidrogenasi mitocondriale (FAD dipendente) viene
ossidato a diidrossiacetone fosfato che ritorna nel citoplasma per ripetere il ciclo e trasferisce i
suoi elettroni al FAD, che diventa FADH2; quest'ultimo cede gli elettroni al Coenzima Q, un imbuto
di elettroni che derivano dal glicerolo-3-fosfato, dal complesso primo, dalla beta ossidazione e dal
succinato derivante dal ciclo di Krebs, promuovendo la formazione di 2 molecole di ATP.
Lo shuttle malato-aspartato, come per quanto riguarda il precedente shuttle, ha il compito di
portare gli elettroni del NADH citoplasmatico prodotto durante la glicolisi, in modo indiretto,
all’interno dei mitocondri; Dopo che si forma il NADH nel processo di glicolisi, questo, viene
ossidato, mediante la malato deidrogenasi citoplasmatica, a NAD+ e l’ossaloacetato viene ridotto a
malato; questo metabolita entra all’interno dei mitocondri e, mediante la malato deidrogenasi
mitocondriale, viene ossidato a malato e il NAD+ viene ridotto a NADH; il NADH mitocondriale
viene ossidato nella catena respiratoria oppure una piccolissima quantità può essere trasferita di
nuovo al citoplasma, quando essa è richiesta, ad esempio per lo svolgimento della gluconeogenesi;
a questo punto l’ossalacetato mitocondriale viene riportato al citoplasma sottoforma di aspartato,
dopo la transaminazione con il glutammato, che avviene mediante la glutammato-ossaloacetato
transaminasi mitocondriale; nel citoplasma esso viene riconvertito in ossaloacetato mediante la
glutammato-ossaloacetato citoplasmatica e il processo può ripetersi; in questo sistema pendolare
per ogni molecola di malato e di glutammato che entra nei mitocondri esce una molecola di alfa-
chetoglutarato e di aspartato; questo sistema è prevalente nel fegato e produce 3 moli di ATP per
ogni mole di NADH che viene ossidata nella catena respiratoria.

Ossidazione del piruvato


In condizioni di sufficiente disponibilità di ossigeno il piruvato viene trasferito nei mitocondri ed
attraversa la membrana mitocondriale tramite uno specifico carrier; all’interno dei mitocondri, per
azione della piruvato deidrogenasi, viene decarbossilato in acetil-CoA; la piruvato deidrogenasi è
un complesso enzimatico costituito da 3 unità funzionali: la piruvato deidrogenasi, la lipoil
transacetilasi e la diidrolipoil deidrogenasi; oltre a queste unità funzionali cooperano nel
complesso anche CoA e NAD+; la piruvato deidrogenasi viene inibita dai prodotti della reazione
che catalizza, ovvero acetil-CoA e NADH; inoltre esiste in due forme, una fosforilata inattiva e una
defosforilata attiva; la fosforilazione è catalizzata da una proteina chinasi e invece la
defosforilazione è catalizzata da una fosfoproteina fosfatasi; chinasi e fosfatasi sono parte
integrante del complesso; una deficienza congenita della piruvato deidrogenasi molto nota è
quella che prevede una deficienza delle sue unità funzionali e tutto ciò porta alla manifestazione di
acidosi lattica, in cui il piruvato, non potendo essere ossidato viene ridotto ad acido lattico e in
parte transaminato in alanina; l’acetil-CoA prodotto dal piruvato, insieme a quello che si forma dal
processo di beta-ossidazione degli acidi grassi e nel catabolismo di alcuni aminoacidi, viene
ossidato in CO2 nel ciclo di Krebs.

Ciclo di Krebs
Il ciclo di Krebs è anche chiamato ciclo degli acidi tricarbossilici e utilizza come metabolita di
partenza l'acetil-CoA che si ottiene per azione della piruvato deidrogenasi sul piruvato prodotto
della glicolisi; questa reazione è al di fuori del ciclo di Krebs ma avviene sempre nei mitocondri
(glicolisi avviene nel citoplasma); l'acetil-CoA utilizzato nel ciclo di Krebs proviene anche dal
metabolismo degli acidi grassi e degli aminoacidi; il ciclo di Krebs è costituito da 8 reazioni, di cui 4
sono di ossido-riduzione che iniziano partendo dall'acetil-CoA; una volta prodotto tale metabolita
avviene quindi la prima reazione.
Nella prima reazione l'acetil-CoA, che è un tioestere, ha un elevato contenuto energetico e questo
viene sfruttato dalla citrato sintasi (si dice sintasi poiché non fa uso di nucleotidi trifosfato, come
ATP o GTP, altrimenti si direbbe sintetasi) per formare un nuovo legame C-C tra l'ossaloacetato e
l'acetil-CoA, con la formazione, dell'intermedio citril-CoA, dal quale per idrolisi si ottiene il citrato e
si riforma il CoA; l'enzima citrato sintetasi è modulato negativamente dal citrato e dall'ATP, poiché
se si accumula citrato significa che questo stadio è più veloce degli altri e quindi deve rallentare, se
si accumula invece ATP significa che alla fine di tutto il processo (dal ciclo di Krebs si ottiene potere
riducente che viene inviato alla catena respiratoria dalla quale viene prodotto ATP) ne è stato
prodotto di più di quello che serve e perciò rallentando una tappa rallenta tutto il ciclo e di
conseguenza rallenta anche la produzione di ATP; il citrato, dipendentemente dalle esigenze
funzionali della cellula, può alimentare le seguenti reazioni del ciclo di Krebs o può uscire dal
mitocondrio nel citoplasma ed agire come effettore negativo della fosfofruttochinasi-1 inibendo la
glicolisi o come effettore positivo dell'acetil-CoA carbossilasi per la stimolazione della biosintesi dei
carboidrati.
Nella seconda reazione il citrato viene convertito in isocitrato, per azione dell'enzima aconitasi;
tale enzima è così denominato poiché il citrato viene prima disidratato con formazione
dell'intermedio cis-aconitato e, successivamente, l'acqua rientra attaccandosi ad un carbonio
diverso da quello su cui era legato prima; così si ottiene l'isocitrato.
La terza reazione è la prima delle 4 reazioni di ossido-riduzione del ciclo (sarebbe una
decarbossilazione ossidativa); prevede un intermedio, in cui, l'isocitrato viene ossidato ad
ossalosuccinato e il NAD+ viene ridotto a NADH; successivamente l'ossalosuccinato viene
decarbossilato ad alfa-chetoglutarato e vi è liberazione di CO2 (primo corrispettivo energetico); la
reazione è catalizzata dalla isocitrato deidrogenasi mitocondriale NAD+ dipendente, però in alcuni
tessuti questo enzima può essere NADP+ dipendente e quindi la reazione di ossido-riduzione
prevede la riduzione del NADP+ a NADPH; l'enzima inoltre possiede due siti di regolazione, uno
positivo per l'ADP e uno negativo per l'ATP poiché ADP è sinonimo di bisogno di energia e ATP è
sintomo di disponibilità di energia e quindi funge da modulatore negativo; quindi i prodotti di
questa prima ossidazione sono: il NADH o il NADPH, l'alfa-chetoglutarato e una molecola di CO2.
La quarta reazione è la seconda reazione di ossido-riduzione del ciclo (sarebbe una
decarbossilazione ossidativa); è catalizzata dall'enzima alfa-chetoglutarato deidrogenasi, che è un
complesso enzimatico molto simile alla piruvato deidrogenasi, difatti presenta gli stessi cofattori
enzimatici (CoA e NAD+) ed agiscono su substrati simili (sia piruvato che alfa-chetoglutarato sono
alfa-chetoacidi), ma presentano una differenza e cioè che questa deidrogenasi non è regolata dal
processo di fosforilazione-defosforilazione; tale enzima catalizza la reazione che porta alla
formazione del succinil-CoA e alla liberazione di una molecola di CO2 (la seconda del ciclo) e
naturalmente alla riduzione del NAD+ a NADH.
Nella quinta reazione, per azione del succinil-CoA sintetasi (o succinato tiochinasi), il succinil-CoA
viene demolito in succinato e CoA; è l'unica reazione metabolica in cui il GDP viene preferito
all'ADP come accettore primario di un gruppo fosforico ricco di energia; l'enzima trasferisce il
succinile dal succinil-CoA ad un fosfato inorganico con liberazione del CoA e formazione quindi del
succinil-fosfato; successivamente il fosfato viene spostato dal succinil-fosfato ad un residui di
istidina dell'enzima e si forma quindi l'enzima-fosfato; infine il fosfato viene spostato al GDP e si
forma quindi GTP; alla fine di questa reazione avremo quindi liberazione di GTP e di CoA e
formazione di succinato; il GTP che si forma in questa reazione viene utilizzato per le reazioni GTP
dipendenti, come la scissione a GDP da parte dell'attività GTPasica della subunità alfa delle
proteine G oppure per formare ATP, trasferendo un radicale fosforico all'ADP, nella reazione
catalizzata dalla GTP-ADP fosfotrasferasi, in cui reagiscono GTP e ADP per dare GDP e ATP; in
questo ultimo caso il GTP funge da segnale di disponibilità energetica, poiché quando è presente
molto ATP allora sarà presente poco ADP e l'enzima non ha abbastanza substrato e il GTP si
accumula e quindi tutto ciò comporta un rallentamento del ciclo di Krebs poiché vi è abbastanza
ATP da soddisfare il fabbisogno energetico; il succinato può comunque formarsi anche per azione
di un altro enzima, la tioforasi, che trasferisce il CoA dal succinil-CoA all'acetoacetato.
La sesta reazione è la terza reazione di ossido-riduzione del ciclo; è catalizzata dall'enzima
succinato deidrogenasi che, a differenza di tutti gli altri enzimi del ciclo, si trova sulla membrana
mitocondriale interna; in questa reazione il succinato viene ossidato a fumarato e il cofattore FAD
viene ridotto a FADH2; l'enzima è inibito dall'ossaloacetato ed è invece attivato dal succinato e dal
fumarato; per la prima volta quindi il prodotto di una reazione catalizzata dall'enzima è un suo
attivatore; questo avviene perché la tappa finale del ciclo di Krebs prevede l'ossidazione del
malato ad ossaloacetato e per avvenire ciò la concentrazione di malato deve essere elevata e
invece la concentrazione di ossaloacetato deve essere bassa ed è infatti mantenuta tale dalla
citrato sintasi che lo impegna nel legame C-C con l'acetil-CoA per la formazione del citril-CoA e
successivamente del citrato; quindi il fumarato è un regolatore positivo dell'enzima e quindi
questa reazione si autoalimenta poiché solo così è possibile far avvenire la trasformazione di
malato in ossalacetato, difatti è proprio dal fumarato che si ottiene il malato; alte concentrazioni di
ossaloacetato, invece, lo inibiscono perché appunto esso viene prodotto dal malato ma questo
deve essere in elevate concentrazioni rispetto all'ossalacetato e quindi se l'ossalacetato è già
presente in eccesso rispetto al malato non è necessario produrre altro fumarato e di conseguenza
altro malato per formare altro ossalacetato ed appunto si aspetta che la concentrazione di questo
venga abbassata dalla citrato sintasi.
Nella settima reazione il fumarato, mediante l'enzima fumarasi, viene reversibilmente idratato
(addizione molecola H2O) a L-malato.
L'ottava reazione è la quarta reazione di ossido-riduzione del ciclo; è catalizzata dall'enzima malato
deidrogenasi che è NAD+ dipendente; in tale reazione infatti il malato viene ossidato in
ossalacetato e il NAD+ viene ridotto a NADH; si rigenera quindi il prodotto di partenza del ciclo che
può così legarsi nuovamente con l'acetil-CoA, mediante la citrato sintasi e formare il citril-CoA e
successivamente il citrato, con liberazione di CoA; l'ossaloacetato può comunque formarsi per
transaminazione dell'aspartato oltre al fatto che sempre per transaminazione può diventare
aspartato mediante la glutammato-ossaloacetato mitocondriale, infatti quando deve uscire dal
mitocondrio viene transaminato in aspartato e una volta nel citoplasma viene riconvertito in
ossaloacetato mediante la glutammato-ossaloacetato citoplasmatica e può far ripartire il processo
coinvolto nello shuttle malato-aspartato, dove appunto agisce la malato deidrogenasi
citoplasmatica e l'ossalacetato viene ridotto a malato e il NADH prodotto dalla glicolisi viene
ossidato a NAD+, così una volta entrato all'interno del mitocondrio può mediante la malato
deidrogenasi mitocondriale essere ossidato ad aspartato e il NAD+ ridotto a NADH e questi
elettroni verranno trasferiti alla catena respiratoria.

Bilancio energetico, regolazione e funzione metabolica del ciclo di Krebs


Per quanto riguarda il bilancio energetico in una rivoluzione del ciclo, ad ogni molecola di acetil-
CoA incorporata nel citrato corrisponde una liberazione di due molecole di CO2 (una nella
decarbossilazione ossidativa dell’isocitrato ad alfa-chetoglutarato e l’altra nella decarbossilazione
ossidativa dell’alfa-chetoglutarato a succinil-CoA); inoltre 3 molecole di NAD+ vengono ridotte a
NADH ed una di FAD a FADH2; questi equivalenti riducenti promuoveranno la produzione di ATP
nel processo della fosforilazione ossidativa; per ogni NAD ridotto si formeranno 2,5 molecole di
ATP e quindi nel complessivo delle reazioni 3,4 e 8 si formeranno 7,5 molecole di ATP; per ogni
FAD ridotto 1,5 molecole di ATP e quindi il FAD ridotto è uno nella 6 reazione e quindi ancora 1,5
molecole di ATP; per la formazione di GTP alla 5 reazione una molecola di ATP; quindi nel totale,
ogni rivoluzione del ciclo, porta alla formazione di 10 molecole di ATP; partendo invece dal
piruvato dobbiamo considerare la sua decarbossilazione ossidativa ad acetil-CoA porta alla
formazione di 2,5 molecole di ATP e quindi saranno 12,5 molecole di ATP totali; ma dobbiamo
considerare che col processo di glicolisi, da una sola molecola di glucosio, si producono 2 molecole
di piruvato e quindi in questa fase (ossidativa) in totale si formeranno 25 molecole di ATP (nella
glicolisi solo 2); inoltre a queste 25 vanno aggiunte quelle 3 o 5 molecole di ATP che si generano
nel mitocondrio per ossidazione delle due molecole di NADH formatosi nella glicolisi attraverso i
due sistemi shuttles.
Per quanto riguarda la regolazione del ciclo di Krebs diciamo che anzitutto esso è regolato dalla
quantità dei metaboliti precursori dell’acetil-CoA che entrano nel mitocondrio (piruvato, acidi
grassi ed amminoacidi) ed essi entrano mediante degli specifici sistemi di trasporto localizzati nella
membrana mitocondriale interna e li regola in modo tale che non si accumulino nel mitocondrio;
inoltre può essere regolato dall’immissione o dalla rimozione dei metaboliti intermedi del ciclo
(rimozione rallenta il ciclo e immissione lo accelera) poiché ad esempio alcuni metaboliti intermedi
come il citrato, l’ossalacetato e l’alfa-chetoglutarato possono anche essere trasferito al
citoplasma; ad esempio per transaminazione alfa-chetoglutarato e ossalacetato diventano
rispettivamente glutammato e aspartato e vengono mandati nel citoplasma; così anche per
transaminazione da questi aminoacidi possono formarsi alfa-chetoglutarato e ossalacetato ed
essere immessi nel ciclo ed aumentarne la velocità; ma il flusso dipende fondamentalmente dai
rapporti NADH/NAD+, ATP/ADP+AMP, acetil-CoA/CoA, succinil-CoA/CoA; se questi rapporti sono
elevati allora il ciclo sarà rallentato poiché è espressione di energia e quindi non è necessario
produrne altra, un valore basso invece è indice di richiesta di energia e di conseguenza si accelera
il ciclo; in particolare i rapporti ATP/ADP e acetil-CoA/CoA regolano l’attività della piruvato
deidrogenasi e i rapporti ATP/ADP e NADH/NAD+ regolano quella dell’isocitrato deidrogenasi.
Per quanto riguarda la funzione metabolica diciamo che il ciclo di Krebs è un processo anfibolico,
capace cioè di produrre energia, ma anche di formare intermedi (citrato, alfa-chetoglutarato,
ossaloacetato, succinil-CoA) che possono essere dirottati dal ciclo e svolgere funzioni anaboliche
come la sintesi di glucidi, lipidi e proteine; piruvato, alfa-chetoglutarato e ossaloacetato possono
essere infatti transaminati nei loro corrispettivi aminoacidi alanina, glutammato e aspartato;
quando il flusso rallenta però questo può essere rifornito dalle reazione anaplerotiche, ovvero
quelle che riforniscono il ciclo degli intermedi mancanti; la più importante di queste reazioni è la
carbossilazione del piruvato ad ossaloacetato (avviene durante il processo di gluconeogenesi); poi
ve ne sono altri e sono la transaminazione da aspartato ad ossaloacetato, da glutammato ad alfa-
chetoglutarato e poi la beta ossidazione degli acidi grassi con formazione del succinil-CoA.

Ciclo dei pentoso-fosfati


La via del pentoso fosfato è una via alternativa alla glicolisi ed è indispensabile per la produzione di
molecole essenziali per la cellula; le finalità di questa via sono: la produzione di NADPH e la
produzione di zuccheri a 5 atomi di carbonio (pentosi), tra cui il ribosio-5-fosfato; il NADPH
differisce dal NADH per la struttura, poiché presenta un gruppo fosfato extra ed inoltre, mentre il
NADH cede gli equivalenti riducenti alla catena di trasporto degli elettroni, consentendo la sintesi
di ATP, il NADPH cede equivalenti riducenti per le biosintesi riduttive (come ad esempio la sintesi
di acidi grassi e del colesterolo); tali vie biosintetiche riduttive avvengono particolarmente nel
fegato (sintesi acidi grassi e colesterolo), nel tessuto adiposo (sintesi acidi grassi) e nella ghiandola
mammaria (sintesi acidi grassi) e difatti lì il ciclo dei pentoso fosfati è molto attivo; il ribosio-5-
fosfato, invece, è un precursore per la sintesi dei nucleotidi e di acidi nucleici.
La via del pentoso fosfato ha luogo, come la glicolisi, nel citoplasma (quindi è la cellula a decidere
se utilizzare il glucosio-6-fosfato nella glicolisi o nella produzione di ribosio-5-fosfato), non ha
funzione energetica (non entra mai in gioco ATP) e consta di due fasi: una ossidativa costituita da 3
reazioni (irreversibile – in cui il glucosio-6-fosfato viene ossidato in pentoso-fosfato e CO2) e una
non ossidativa costituita da 4 reazioni (reversibile – in cui dal pentoso-fosfato si ha la risintesi del
glucosio-6-fosfato).
La prima reazione (reversibile) è una reazione di ossido-riduzione catalizzata dalla glucosio-6-
fosfato deidrogenasi e consiste nell'ossidazione del glucosio-6-fosfato in lattone acido 6-
fosfogluconico (il lattone è un estere ciclico) e nella riduzione del NADP+ a NADPH; tale enzima è
regolato dal rapporto NADPH/NADP+ (più è elevato e più l'enzima è inibito poiché essendo
presente molto NADPH significa che il NADP scarseggia) e dagli acidi grassi liberi (un eccesso ha
azione inibitrice).
La seconda reazione è catalizzata dalla 6-fosfogluconato lattonasi e consiste nell’idrolisi (aggiunta
H2O) del lattone acido 6-fosfogluconico ad acido 6-fosfogluconico; è una reazione irreversibile e
perciò l’ossidazione del glucosio-6-fosfato in acido 6-fosfogluconico è un processo irreversibile.
La terza reazione è una reazione di decarbossilazione ossidativa ed è catalizzata dalla 6-
fosfogluconato deidrogenasi; si ha la riduzione del NADP+ a NADPH, l’ossidazione dell’acido 6-
fosfogluconico nell’intermedio acido 3-cheto-6-fosfogluconico che poi viene decarbossilato in
ribulosio-5-fosfato e si ha quindi anche liberazione di CO2.
In questa prima fase ossidativa, quindi, il glucosio-6-fosfato viene ossidato a ribulosio-5-fosfato e si
generano 2 molecole di NADPH e 1 molecola di CO2.
Per quanto riguarda la seconda fase, quella non ossidativa, nella prima reazione, il ribulosio-5-
fosfato può subire l’azione di due enzimi diversi; il primo è un’isomerasi, la fosfopentoso isomerasi
e il secondo è un epimerasi, la fosfopentoso epimerasi; quindi avremo una miscela di ribosio-5-
fosfato e xilulosio-5-fosfato in cui il prevalere di una specie dipende nel primo caso nella richiesta
delle cellule di sintetizzare nucleotidi e nel secondo caso nella richiesta di equivalenti riducenti
NADPH.
Nella seconda reazione il ribosio-5-fosfato e lo xilulosio-5-fosfato vengono ricombinati dall’enzima
transchetolasi e si formano gliceraldeide-3-fosfato e sedoeptulosio-7-fosfato; la transchetolasi
appartiene alla famiglia delle transferasi e si occupa di trasferire un frammento a 2 atomi di
carbonio da un chetoso, fosforilato nell’ultimo atomo di carbonio, ad un aldoso, pure fosforilato;
in questa reazione, in particolare, viene trasferito un frammento a 2 atomi di carbonio dallo
xilulosio-5-fosfato al ribosio-5-fosfato; dallo xilulosio-5-fosfato, con la rimozione del frammento, si
forma la gliceraldeide-3-fosfato e dal ribosio, con l’aggiunta del frammento, si forma il
sedoeptulosio-7-fosfato.
Nella terza reazione la gliceraldeide-3-fosfato e il sedoeptulosio-7-fosfato vengono ricombinati
dall’enzima transaldolasi e si formano fruttosio-6-fosfato ed eritrosio-4-fosfato; la transaldolasi,
come la transchetolasi, appartiene alla famiglia delle transferasi e si occupa di trasferire un
frammento a 3 atomi di carbonio da un chetoso, fosforilato nell’ultimo atomo di carbonio, ad un
aldoso pure fosforilato; qui, in particolare, viene trasferito un frammento a 3 atomi di carbonio dal
sedoeptulosio-7-fosfato alla gliceraldeide-3-fosfato; dal sedoeptulosio-7-fosfato, con la rimozione
del frammento, si forma l’eritrosio-4-fosfato e dalla gliceraldeide-3-fosfato con l’aggiunta del
frammento, si forma il fruttosio-6-fosfato; sia transchetolasi che transaldolasi catalizzano reazioni
reversibili.
Nella quarta reazione l’eritrosio-4-fosfato ed ancora lo xilulosio-5-fosfato vengono ricombinati da
una transchetolasi e si forma la gliceraldeide-3-fosfato e fruttosio-6-fosfato; in particolare viene
trasferito un frammento a 2 atomi di carbonio dallo xilulosio-5-fosfato all’eritrosio-4-fosfato (dal
primo si forma la gliceraldeide-6-fosfato e dal secondo si forma il fruttosio-6-fosfato).
Alla fine della seconda fase, quindi, si è riformato un esoso-fosfato che sarebbe il fruttosio-6-
fosfato (che può essere convertito ad esempio nella gluconeogenesi in glucosio-6-fosfato) ed
anche gliceraldeide-3fosfato; proprio per la produzione di fruttosio-6-fosfato a partire da glucosio-
6-fosfato, lo shunt dei pentoso fosfati, è considerato una via alternativa alla glicolisi.

Bilancio e regolazione del ciclo dei pentoso fosfati


Per quanto riguarda il bilancio del ciclo, a partire da 6 molecole di glucosio-6-fosfato con 12
molecole di NADP+ e 6 molecole di H2O si formano 4 molecole di fruttosio-6-fosfato, 2 molecole di
gliceraldeide-3-fosfato, 6 molecole di CO2 e 12 molecole di NADPH; c’è però da prendere in
considerazione che, mediante la gluconeogenesi, con una certa quantità di fruttosio-6-fosfato si
può ottenere la stessa quantità di glucosio-6-fosfato e con 2 molecole di gliceraldeide-3-fosfato si
può ottenere una molecola di fruttosio-6-fosfato e quindi di glucosio-6-fosfato; questo quindi
significa che il bilancio del ciclo è equivalente al dire che, sempre a partire da 6 molecole di
glucosio-6-fosfato, 6 di H2O e 12 di NADP+, si formano 5 molecole di glucosio-6-fosfato (4
fruttosio-6-P + 2 gliceraldeide-3-P), 6 di CO2, 12 di NADPH e anche Pi (fosfato inorganico che si
forma nel processo di gluconeogenesi nella defosforilazione del fruttosio 1,6-bifosfato, formato
dalla gliceraldeide-3-fosfato, a fruttosio-6-P); questo è equivalente a dire, sopprimendo i termini
comuni, che da 1 molecola di glucosio-6-P con 12 NADP+ e 6 H20 si formano 6 molecole di CO2, 12
di NADPH e fosfato inorganico; la funzione primaria del ciclo è proprio la formazione di questo
processo riducente in forma di NADPH, che serve per la sintesi di acidi grassi e colesterolo.
Per quanto riguarda la regolazione il flusso metabolico del glucosio nella glicolisi o nel ciclo dei
pentoso fosfati varia in base alle necessità della cellula; se la cellula ha infatti bisogno di produrre
energia si accentua il flusso metabolico nella glicolisi e nel ciclo di Krebs, se invece ha maggior
necessità di biosintetizzare nuove molecole si accentua l’immissione del glucosio nel ciclo dei
pentoso-fosfati; queste due vie sono stimolate dalla presenza rispettivamente di NAD+ e NADP+
nel citoplasma; la presenza di NADP+ in quantità elevata rispetto al NADPH regola positivamente
l’azione della glucosio-6-fosfato deidrogenasi, il contrario invece la inibisce; nell’ambito dello
stesso tessuto l’utilizzazione del glucosio nel ciclo dei pentoso-fosfati viene accentuato da uno
stato di anossia, infatti la mancanza di ossigeno impedisce l’utilizzazione ossidativa del piruvato ed
induce anche un accumulo degli intermedi gli colitici; il glucosio-6-P viene così forzato nella via dei
pentoso-fosfati e il conseguente accumulo di NADPH accentua la biosintesi di acidi grassi; il
ribosio-5-fosfato che si forma all’inizio della seconda fase è il precursore di nucleotidi ed acidi
nucleici ma esso può essere sintetizzato indipendentemente dal ciclo dei pentoso-fosfati, con
semplici reazioni di transchetolazione e isomerizzazione degli intermedi della glicolisi e in questo
modo la biosintesi dei nucleotidi è indipendente dalla riossidazione del NADPH.

Deficienza eritrocitaria della glucosio-6-fosfato deidrogenasi


Negli eritrociti umano sono stati individuate più di 50 varianti genetiche della glucosio-6-P
deidrogenasi; la variante più nota è quella denominata “favismo” (globuli rossi degli individui
affetti vanno incontro ad emolisi dopo ingestione di fave o farmaci antimalarici); consiste in una
mutazione del gene codificante per l’enzima glucosio-6-P deidrogenasi eritrocitaria (coinvolta nella
catalisi della prima reazione dello shunt dei pentoso-fosfati); questo enzima risulta avere
un’attività minore ed una minore affinità per il NADP+; quindi sarà diminuita la produzione di
NADPH; questo negli eritrociti funge da agente schermante l’ossidazione di Fe2+ a Fe3+; quindi
essendoci un deficit di glucosio-6-P deidrogenasi vi è anche un deficit di NADPH e di conseguenza
vi è la trasformazione di emoglobina in metaemoglobina ed inoltre vi è la diminuzione di
glutatione ridotto (G-SH), poiché questo si forma mediante il NADPH in una reazione catalizzata
dalla glutatione reduttasi; una deficienza di glutatione ridotto favorisce un azione più intensa ai
processi perossidativi con conseguente alterazione dei costituenti del globulo rosso, compresa la
membrana eritrocitaria, e la successiva lisi; fave ed agenti antimalarici scatenano la crisi emolitica
poiché concorrono ad ossidare il già scarso glutatione ridotto, aggravandone, quindi, la deficienza.

Gluconeogenesi
La gluconeogenesi è un processo anabolico che consente la sintesi di glucosio a partire da
materiale non glucidico; è un processo inverso alla glicolisi, ovvero è costituito da diverse tappe
che coincidono con quelle della glicolisi, ma con un decorso opposto; ovviamente le 3 reazioni gli
colitiche termicamente irreversibili vengono sostituite da altre reazioni catalizzate da enzimi
diversi (queste 3 reazioni sono: la prima reazione glicolitica, ovvero la fosforilazione del glucosio in
glucosio-6-P mediante le esochinasi, ed anche la glucochinasi nel fegato; la terza reazione, ovvero
la fosforilazione del fruttosio-6-P in fruttosio-1,6-bifosfato mediante la fosfofruttochinasi-1; la
decima reazione, ovvero la fosforilazione dell’ADP ad ATP mediante il trasferimento, catalizzato
dalla piruvato chinasi, del fosfato del fosfoenolpiruvato (PEP), che diventa piruvato, appunto
all’ADP che diventa ATP); i principali precursori della gluconeogenesi sono gli aminoacidi
glucogenici, come ad esempio l’aspartato, il glutammato e l’alanina; da questi infatti è possibile
formare l’ossaloacetato in modo diretto (per transaminazione dell’aspartato) o in modo diretto
mediante la formazione di alfa-chetoglutarato e piruvato (per transaminazione del glutammato e
dell’alanina) che verranno poi convertiti ad ossaloacetato; inoltre un altro precursore della
gluconeogenesi è il lattato, poiché esso può essere ossidato a piruvato in una reazione di ossido-
riduzione accoppiata con la riduzione del NAD+ a NADH e catalizzata dalla lattato deidrogenasi
(catalizza anche la reazione opposta, che sarebbe quella della fermentazione lattica, ovvero la
riduzione di piruvato a lattato); ritornando alle transaminazioni, queste sono catalizzate dalle
transaminasi, che appartengono alla famiglia delle transferasi, e catalizzano il trasferimento del
gruppo amminico alfa da un aminoacido ad un alfa-chetoacido; le due più note transaminasi sono
la glutammato-assoloacetato transaminasi (dal glutammato viene trasferito il gruppo amminico
all’ossaloacetato e si formano l’alfa-chetoglutarato e l’aspartato) e la glutammato-piruvato (dal
glutammato viene trasferito il gruppo amminico al piruvato e si formano l’alfa-chetoglutarato e
l’alanina).
La decima reazione della glicolisi che consiste nella fosforilazione dell’ADP in ATP per via del
fosfato che viene trasferito dal PEP appunto all’ADP con formazione di piruvato e ATP, è
irreversibile; quindi per la via inversa, cioè la fosforilazione del piruvato in PEP, è necessaria una
deviazione, e questa consiste in due reazioni.
Nella prima reazione il piruvato viene convertito in ossaloacetato, mediante l’enzima piruvato
carbossilasi, che catalizza la reazione consistente nell’aggiunta di CO2 (dall’enzima) al piruvato,
formando, appunto l’ossaloacetato; questa reazione ha bisogno di ATP, che viene idrolizzato ad
ADP, ed inoltre la piruvato carbossilasi è un enzima mitocondriale biotina dipendente (coenzima),
la cui attività è stimolata allostericamente dall’acetil-CoA (poiché un accumulo di acetil-CoA
significa elevata disponibilità di energia e l’acido piruvico viene dirottato verso la gluconeogenesi,
per recuperarlo in forma di glucosio).
Nella seconda reazione l’ossaloacetato che si è formato nei mitocondri, poiché la piruvato
carbossilasi ha sede mitocondriale, deve essere trasferito nel citosol e per fare ciò deve essere
transaminato in aspartato (mediante la glutammato-ossaloacetato transferasi) o ridotto a malato
(quando ritorna nel citoplasma viene ossidato nuovamente ad ossaloacetato e il NAD+ ridotto a
NADH e questo implica un trasferimento indiretto di equivalenti riducenti dal mitocondrio a
citoplasma), appunto perché l’ossaloacetato è scarsamente permeabile alla membrana
mitocondriale interna; nel citoplasma agisce l’enzima PEP carbossichinasi, che utilizza come
donatore di gruppo fosforico il GTP; in questa seconda reazione, quindi, a partire
dall’ossaloacetato, mediante l’utilizzo di GTP, si viene a formare il fosfoenolpiruvato e si libera
CO2; nella reazione diretta della glicolisi da fosfoenolpiruvato a piruvato veniva fosforilata una
molecola di ADP e si produceva quindi, oltre al piruvato, una molecola di ATP; in questa reazione
inversa, invece, vengono utilizzati una molecola di ATP ed una di GTP.
Nella terza reazione, come nella reazione inversa alla glicolisi, il PEP viene convertito, grazie
all’enolasi, in 2-fosfoglicerato , mediante una disidratazione (perdita di H2O).
Nella quarta reazione, come nella reazione inversa alla glicolisi, il 2-fosfoglicerato, grazie alla
fosfoglicerato mutasi, diventa 3-fosfoglicerato (spostamento radicale fosforico dalla posizione 2
alla posizione 3).
Nella quinta reazione, come nella reazione inversa alla glicolisi, il 3-fosfoglicerato, grazie alla
fosfoglicerato chinasi, diventa 1-3 bifosfoglicerato (gruppo fosforico dell’ATP viene trasferito al 3-
fosfoglicerato).
Nella sesta reazione l’1-3 bifosfoglicerato, come nella reazione inversa alla glicolisi, grazie alla
gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, diventa gliceraldeide-3-fosfato (viene quindi ridotta e il NADH
viene ossidato a NAD+ ed inoltre vi è la liberazione di fosfato inorganico).
Nella settima reazione, come nella reazione inversa alla glicolisi, la gliceraldeide-3-fosfato, grazie
all’enzima triosofosfatoisomerasi, diventa diidrossiacetone fosfato.
Nell’ottava reazione, come nella reazione inversa alla glicolisi, il diidrossiacetone fosfato, grazie
alla fruttosio 1-6 bifosfato aldolasi viene convertito in fruttosio 1-6-bifosfato (diidrossiacetone
fosfato e gliceraldeide-3-fosfato si combinano tra loro).
La nona reazione coincide con la terza reazione della glicolisi, ovvero la fosforilazione del fruttosio-
6-P in fruttosio-1,6-bifosfato mediante la fosfofruttochinasi-1 e l’utilizzo di ATP, che è irreversibile,
quindi questa nona reazione avviene per azione di un altro enzima, che consente appunto la
defosforilazione; nella nona reazione il fruttosio-1,6-fosfato viene convertito in fruttosio-6-fosfato,
mediante l’enzima fruttosio-1-6-bifosfatofosfatasi che idrolizza il legame fosfoestereo in posizione
1 del fruttosio1-6-bifosfato (quindi vi è l’utilizzo di H2O e liberazione di fosfato inorganico); attività
di questo enzima è regolata allostericamente dell’ATP (effettore positivo), dall’AMP e dal fruttosio-
2-6-bifosfato (effettori negativi); quindi questo enzima è attivo quando la fosfofruttochinasi-1 è
inattiva e quindi si evita la creazione di cicli futili.
Nella decima reazione, come nella reazione inversa alla glicolisi, il fruttosio-6-fosfato viene
isomerizzato in glucosio-6-fosfato dalla glucosio-6-fosfato isomerasi.
Nell’ultima reazione, il glucosio-6-fosfato non può essere convertito in glucosio ed ATP dalle
esochinasi o dalla glucochinasi e perciò viene idrolizzato da un altro enzima, la glucosio-6-fosfatasi;

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