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21 febbraio 2023 - 01:24 > Versione online

Riscoprire i libri di Marise Ferro, tra le


prime a occuparsi di tematiche femminili
in letteratura

Saggi, pamphlet e poi dimenticata. Oggi sono usciti due romanzi ripubblicati dalla casa
editrice Elliot
Di Ornella Ferrarini 20/02/2023
Marise Ferro, vero nome Maria Luisa, francesizzato dalla nonna di
Tolone, Sylvie Ré, è nata oltre un secolo fa, nel 1905, a Ventimiglia.

Scrittrice, giornalista, traduttrice, c’era in quei quarant’anni in cui l’Italia ha cambiato pelle
e destino. Attenta osservatrice delle dinamiche femminili del Novecento, ha sperimentato
su di sé e raccontato nei suoi romanzi, il primo nel 1932, a 27 anni, cosa ha significato
essere un’adolescente, una donna fra le due guerre, poi negli anni Sessanta,quando
bisognava essere una ribelle per attirare l’attenzione degli adulti. Come lo sono molte
delle protagoniste dei suoi romanzi: ragazze piene di dubbi, di domande, senza nessuna
educazione sentimentale, ingabbiate in famiglie borghesi strette, che smaniano per
essere ascoltate, per entrare nella vita. E poi quando ci entrano è una catastrofe.
Sposata due volte, con lo scrittore Guido Piovene nel 1934, e nel 1963 Carlo Bo,
autorevole storico della Letteratura italiana del Novecento, è il fondatore dello Iulm,
(Istituto universitario di lingue moderne, futura Università di comunicazione e lingue),
senatore a vita.

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Ferro Scrive romanzi, pamphlet, saggi sul romanzo francese dell’Ottocento, fonte
principale d’ispirazione dei suoi romanzi, traduttrice di George Simenon, Honoré de
Blazac, Vicotr Hugo e Colette, dal 1946 al 1948 dirige il settimanale femminile Foemina,
in redazione ci sono Alba de Cespedes e Sibilla Aleramo. E poi viene dimenticata. Come
molte altre scrittrici italiane. La casa editrice Elliot sta ripubblicando alcune sue
opere, i primi due romanzi sono in libreria: La violenza del 1967 e La ragazza in giardino
del 1976.

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La violenza
L’impianto segue quello di molti dei suoi romanzi di formazione: una ragazza racconta in
prima persona i rapporti conflittuali con la famiglia, la voglia di fuggire, di emanciparsi,
senza avere però né denaro né istruzione, il trovare conforto in figure lontane dai
rapporti di sangue, capaci di ascoltare. In questo romanzo, pubblicato mentre l’Italia si
affaccia al ’68, Antonia, quasi ventenne, la maggiore età era a 21 anni, vive la violenza
di un padre autoritario, Pietro, sadico, infedele, impositivo al di fuori di ogni logica, ma
rispettato dalla società e dai vicini.
Siamo ben oltre il patriarcato, e la sbandierata inferiorità delle donne: le mogli non
contano, le figlie devono stare al loro posto fino al matrimonio, per continuare il circolo
vizioso di vittime e sottomesse. Solo le amanti, come Marina, ricca vedova 35enne,
hanno qualche diritto e libertà, fino a quando non diventano mogli. Per scappare anche
dalla madre, che Antonia accusa di accondiscendenza nei confronti del padre, si rifugia
da Marina, e trova conforto, ricambiata, in Augusta, la di lei cognata povera e zitella. L’
odio di Antonia verso il padre sobbolle, si gonfia, ma non trova mai la forza di esplodere
per permetterle di iniziare una nuova vita. Fino al finale imprevedibile, tra catarsi e
giustizia, che fa di Antonia, finalmente un’adulta.
Il linguaggio carico di aggettivi e termini desueti, ha un suono un po’ datato, ma rende
bene, alla fine, la battaglia interiore della protagonista. Le pagine migliori sono quelle
che dipingono la natura circostante, tranne pochi momenti di oblio, burrascosa e
violenta, a far da eco alle miserie umane.

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La ragazza in giardino
Uscito quasi 10 anni dopo La violenza, ha un tono meno enfatico e carico del
precedente, più esplicitamente erotico, e più vicino al memoir. L’impianto più o meno si
ripete: Laura, trascorre l’infanzia e l’adolescenza, fino ai 20 anni, nella villa della ricca
nonna Leo, avara di soldi e di affetto, perché per i suoi genitori è un peso. Il padre, figlio
della nonna, è un gaudente che dilapida in affari fallimentari i soldi della madre. La
madre di Luisa è bella, esangue, sottomessa e sfortunata e per niente madre, come tutte
le mogli borghesi della Ferro.

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Luisa è ipersensibile, alla ricerca di un ruolo nella vita e nella famiglia, ma come tutte le
adolescenti femmine non ha voce, non deve parlare solo ubbidire. A darle conforto
Amalia, la governante della nonna, la persona terza, fuori dalla famiglia, che con la
giornalista Daria, vicina di villa e donna sui generis (guarda caso anche lei non sposata),
s’incaricherà di far diventare Luisa una donna pensante e non solo senziente.
La novità è il giardino, coprotagonista del romanzo a tutti gli effetti. Per dipingerlo come
se noi ci fossimo dentro a toccarlo, l’autrice si è rifatta all’estremo Ponente ligure dove è
nata e ai giardini botanici Hanbury, sul promontorio della Mortola, nel territorio di
Ventimiglia e a pochi chilometri dal confine francese. In fondo a quel giardino,
lussureggiante e solitario, Laura si rifugia ogni volta che deve scappare da qualcosa, da
un dolore, da una mancanza, ogni volta che vuole sognare. Il giardino è l’unico punto di
incontro e di corrispondenza con nonna Leo, che ama più le piante degli umani. E sarà lì
che, a quasi 20 anni, incontrerà l’amore, fisico e romantico, eclatante e dirompente,
ovviamente non ricambiato. Luisa come tutte le donne è una perdente in amore, ma
come tutte le eroine della Ferro, alla fine ha uno scatto di reni.

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