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Corso di Storia e Metodologia della critica d’arte Professore Giacomo Agosti

A.A. 2021/2022 Relazione di Veronica Fidanzati

IL COLORE ITALIANO TRA CONTRASTI E ANALOGIE

Rosa, colore che ha dato molto da discutere negli ultimi periodi per via delle tante sfaccettature ad esso
correlate. Fa riferimento al noto fiore rosso, ma contrariamente al nome che porta, il suo tono è solo una
derivazione del magenta, si tratta di un rosso chiaro, desaturato. Nonostante la presenza attenuante del bian-
co viene considerato un colore caldo, la maggioranza ne attribuisce caratteristiche prettamente femminili,
anche se agli inizi del ventesimo secolo, prima della grande guerra, i maschi portavano il rosa perchè con-
siderato un colore forte e deciso, mentre le femmine portavano l’azzurro, invece più tenero e delicato1. Il
rosa è nel mio immaginario legato alla società, a tutte le piacevoli e spiacevoli sensazioni che l’interazione
tra gli indivdui comporta a livello culturale con tutti i rischi e le regole ad esso correlati. Non so spiegarne
con chiarezza il motivo, è un’associazione che si è plasmata assieme alla mia esperienza visiva e la maniera
in cui provo a giustificare ciò che vedo. Guardo il rosa e penso a dei vestiti settecenteschi, quelli che Maria
Antonietta portava a Versailles alla corte di Re Luigi XV, indossati da lei anche in numerosi ritratti, gli stessi
ripresi anche da Milena Canonero nel film a lei dedicato “Marie Antoniette” di Sofia Coppola del 2006, dove
l’intera atmosfera è predominata da colori pastello che si alternano dal caldo al freddo, ora rosa, ora celesti,
oro come ornamento degli immobili e delle pareti e distese di verde acqua, il tutto tenuto insieme da lun-
ghe note di bianco. Perchè nomino proprio Maria Antonietta, donna di corte austriaca in territorio francese.
Per come il cinema e la letteratura lo ha proposto nella società contemporanea, Maria Antonietta, dal 1774
al 1791 regina di Francia accanto al consorte re Luigi XVI, viene descritta come una donna, anzi, come una
fanciulla spontanea e di buon animo, ama gli animali ed è gentile con i bambini, è attratta dalla bellezza della
natura ed è incline alle arti della recitazione e della lirica. Bionda e dai tratti delicati attira su di sè l’attenzione
speciale del Conte Axel von Fersen, che diventerà suo amante. Nella celebre serie Anime “Lady Oscar”, che in
Italia ebbe sin dalla prima trasmissione nel 1982 un enorme successo, la futura regina viene messa in guardia
dalla madre prima della sua partenza per la Francia, l’avverte che da quel momento in poi avrebbe dovuto
regolare i suoi capricci e soprattutto riflettere abbastanza sulle sue azioni, presentando l’impulsività come sua
peculiare caratteristica. Al suo arrivo a Versailles le dame e le signore di corte si lamentano del “suo brutto
carattere”, in quanto ancora poco confidente con il nuovo ambiente e per questo un pò scontrosa e diffiden-
te. Da subito sfidata dalle angherie di Madame du Barry, l’ultima favorita di Luigi XV, non si lascia intimorire,
nonostante la sua giovanissima età, solo quattoridici anni, non cede e le tiene testa non rivolgendole parola
disobbedendo in questo modo agli ordini del re, cederà solo per volere della madre. L’astio nei confronti di
quella donna è dato dallo scortese atteggiamento nei suoi confronti e dalle voci che corrono sul suo passato.
Mette a repentaglio il suo futuro come consorte del delfino di Francia e di conseguenza si teme per l’alleanza
tra i due paesi. Ostinata e orgogliosa, testarda e ancora troppo piccola. In “Marie Antoniette”, citato all’inzio,
viene particolarmente mostrata la felicità della giovane donna nel prendere parte ad eventi mondani. Le viene
rimproverato dal fratello in visita a corte il suo “attaccamento” al gioco e le sue “continue feste” e alla doman-
da dell’uomo, se trovasse fosse opportuna la sua amicizia con la Contessa de Polignac, lei risponde: “È diver-
tente, mi fa sempre ridere”. Più volte nel film viene sottolineato quanto lei amasse chiunque la intrattenesse.

Conte de Polignac: La nostra regina sembra apprezzare la vista del Conte Fersen.
Contessa de Polignac: Beh, non è certo spiacevole da guardare.
Conte de Polignac: Ma non lo trovate sconveniente per la nostra regina data la sua reputazione?
Contessa de Polignac: La diverte, e lei ama che la si faccia divertire. Non vi è nulla di sconveniente in questo,
signore.

1  Marjorie Garber, Interessi truccati, Raffaello Cortina Editore, Milano 1994


A fianco a quella col Re, ha una storia romantica con il Conte Fersen. Vive questa relazione spensieratamen-
te e in maniera totalmente naturale, nessun senso di colpa, nessuna censura nei confronti di sè stessa, non
pensa al futuro e alle conseguenze, vive e si gode il momento. Atteggiamento del tutto diverso se penso alla
Livia Serpieri del film di Luchino Visconti del 1954 proposto durante il corso. Ispirato al romanzo di Camil-
lo Boito, “Senso” è ambientato nella Venezia del 1866 negli ultimi anni dell’occupazione austriaca, a breve
sarebbe iniziata la guerra di liberazione. Per aiutare il cugino Roberto che aveva sfidato un’ufficiale austria-
co la sera del 27 maggio alla prima dello spettacolo “Il trovatore”, Livia fa in modo di incontrare il tenente
Maler per dissuaderlo dal permettere che il duello avesse luogo. Questo tenente, che aveva la fama di essere
parecchio ambito dalle donne di Venezia, coglie subito l’occasione per sedurre la Contessa che si dimostra
inizialmente molto restia rispetto alle attenzioni del giovane ufficiale. Spesso in disaccordo con il marito non
aveva nessuna intenzione di mancargli di fedeltà, una relazione extraconiugale di certo non era tra i suoi pen-
sieri. Tuttavia, quell’uomo provoca in lei tormentate passioni, si legherà a lui andando contro tutti i valori e gli
ideali che fino ad allora aveva difeso a spada tratta.
Livia: Come aveo potuto passare un’intera notte con uno sconosciuto, un austriaco, un ufficiale. Io, una don-
na italiana, sposata. Una donna che non aveva mai commesso leggerezze in vita sua.
Al contrario della giovanissima Maria Antonietta, Livia di età più matura aveva condotto sino ad allora una
vita regolare, non si era mai concessa frivolezze, eppure il desiderio adesso le ardeva dentro. Rispetto al film
di Sofia Coppola, qui, come espresso nel corso, i colori sono saturi, legati più alla carne che alla pellicola gira-
ta in Technicolor. Sono vividi, rossastri, il vissuto dei due amanti è sofferto, Luchino Visconti mette in scena
un melodramma. Il cinema di quegli anni è ancora molto legato al mondo della lirica italiana, fino a poco
tempo prima dominante, pensiamo ad esempio a “Carosello Napoletano”, sempre del 1954 diretto da Ettore
Giannini. Livia non vive spensieratamente la relazione con il suo amante, si sente profondamente in colpa, si
strugge, teme di perdere la sua reputazione, eppure i suoi sentimenti sono troppo forti e finisce dopo poco
per essere totalmente preda di quest’uomo che la spinge e la convince a lasciarsi andare. Sembra quasi che
le componenti straniere, in Italia, invitino ad essere meno razionali, ad accantonare l’impegno messo nel sal-
vaguardare una buona reputazione e l’esigenza morale di essere rispettati e onorati. Dagli altri paesi sembra
arrivare l’Avanguardia, una contemporaneità che in Italia è conosciuta solo in teoria ma che in pochi hanno
davvero messo in atto, o forse conosco solo davvero poche persone e dovrei basare le mie considerazioni su
evidenze più certe; posso solo basarmi sulla mia impressione dopo aver guardato i film proposti. In “Souve-
nir d’Italie” del 1957 di Antonio Pietrangeli, tre ragazze dopo varie vicessitudini si trovano a fare le vacanze
insieme. Tra autostop e accampamenti intraprendono un avventuroso viaggio ricco di incontri, imprevisti ed
esperienze risolte sempre per il meglio. Margaret, inglese e alla guida di una graziosa MG Cabrio bianca, vie-
ne fermata lungo la strada da due autostoppiste, Ilde, giovane tedesca, e Josette, una stravagante francese.
A causa di un incidente perdono la macchina e Margaret è costretta a proseguire il viaggio con loro. Visitano
Venezia, Roma, studiano, si innamorano, esplorano; non fanno progetti e lasciano che le cose semplicemente
accadano. Nel corso del film vengono definite da due camionisti lombardi “donne libere, quasi maschi”. Sulle
scie degli anni Venti in America, in cui numerose star del cinema presero a farsi immortalare in abiti ma-
schili1, si pensi a Greta Garbo o Marlene Dietrich, si sviluppa anche in Italia un nuovo ideale femminile, fuori
dagli schemi, indipendente, come solo un uomo a quei tempi poteva fare. La tradizione è qui rotta da donne
non italiane, viene solo suggerita l’idea. I colori sono anche qui saturi, accesi, tuttavia sembrano più “diluiti”
rispetto a quelli di Senso, qui non c’è nessun accenno al dolore, o al melodramma, solo gioia e spensieratez-
za. In “Ragazze d’oggi”del 1955 di Luigi Zampa, tre giovani sorelle stanno per realizzarsi, hanno finalmente
trovato con chi passare il resto della loro vita. Sofia sta per sposare Mongardi, figlio di un noto imprenditore
a detta della famiglia milionario, Matilde, Armando, ricco signore; Anna, Sandro, impiegato in una compa-
gnia di linee aree come steward. Le prime due vengono incoraggiate dalla zia, che sin da piccole le ha spinte
a trovarsi qualcuno che avrebbe garantito loro un roseo futuro, un uomo ricco, mentre la terza, Anna, lotta
ogni giorno per far sì che il suo fidanzato venga finalmente accettato. All’annuncio del matrimonio di Sofia
alla famiglia, assiste anche Sandro che in una disputa con la zia accusa lei e il padre delle ragazze di non es-
sere stata in grado di insegnare alle proprie nipoti “il rispetto per il proprio sesso”, facendole diventare delle
“braccianti” anzichè educarle ad essere indipendenti ed assicurare così loro un futuro più certo piuttosto che
affidarsi ad altre persone.

1  Giovanna Zapperi, L’artista è una donna. La modernità di Marcel Duchamp, ombre corte, 2014.
Sandro pone l’esempio delle ragazze americane: “Guardi le ragazze americane, la prima cosa che fanno è
cercare di lavorare ed essere indipendenti, e quando hanno raggiunto l’indipendenza scelgono il marito che
vogliono loro”. Ancora una volta, la componente non italiana è simbolo di modernità. Matilde assiste alla
gara del fidanzato che spara col fucile, ad un certo punto quest’ultimo le confessa che il fucile della donna
francese sua rivale è molto più costoso del suo e che spererebbe tanto di averlo. I due esempi fungono così
da stimolo per le donne italiane, che ora più che mai hanno bisogno di modelli esemplari per migliorare sen-
sazionalmente la loro posizione, essere alla pari dell’uomo. Personaggio curioso è quello della Signora, amica
di Armando che mentre sta gareggiando ha modo di parlare con Matilde, la vuole convincere a non sposarsi.
Armando non rivela nulla sul suo conto, rimane espressa come “La Signora”: Ci tiene tanto a sposarlo?
Matilde: Ma certo signora.
La Signora: Una ragazza come lei dovrebbe essere libera, altro che pensare a sposarsi.
Matilde: A me piace avere un marito
La Signora: Vorrei avere la sua età e la sua bellezza, come saprei farle fruttare, gli uomini li vorrei tutti ai miei
piedi altro che.

Si verrà a scoprire verso la fine del film che i due sono dei truffatori e rifilano a tutte le ragazze che Armando
riesce a conquistare la stessa storia per farsi dare da loro dei soldi: concedersi a degli uomini in una pensione
in cambio di una somma per saldare il debito di Armando e consentire così il loro matrimonio. Anche Sofia
è destinata ad una brutta delusione, il padre del fidanzato si rifiuta di assecondare la decisione del filgio di
comprare una casa per vivere con lei. Lui ha appena ottenuto un divorzio e il signor Mongardi è convinto che
la ragazza sia una di quelle amanti che vuole semplicemente essere mantenuta da un ricco marito e decide
così di non dare al figlio neanche un soldo ma offre un assegno a Sofia per sparire dalla loro vita. Queste
ragazze lasciano senza rendersene conto che siano gli altri a decidere per loro; un atteggiamento spontanea-
mente passivo ma della quale loro si sentono in pieno controllo.
Simbolo di intelligenza femminile, anche se controverso, è in molti casi la figura della donna che si vende in
cambio di denaro, molto frequente nell’immaginario cinematografico dell’epoca. Seppur perdendo la sua
dignità agli occhi della società, questa figura soddisfa da una parte quell’idea di una donna indipendente che
provvede in prima persona alla sua stabilità economica, che nel loro caso non è mai davvero stabile, ma allo
stesso tempo non perde il suo status di femmina, è donna seducente, lontana da quell’idea di “donna libera,
che sembra quasi un uomo” accennato poco fa. Di per sè non fa del male a nessuno, eppure la prosituta è
del tutto aberrante per gli individui, meritevole di punizione. Maria Antonietta era ferma sulla sua decisione,
non avrebbe parlato a una “donna di facili costumi”.1 In “La Spiaggia” del 1954 di Alberto Lattuada, la pro-
tagonista Anna Maria Mentorsi in vacanza a Pontorno con la figlia viene accolta calorosamente dagli ospiti
dell’hotel in cui alloggia, chiacchierano, frequentano la spiaggia insieme, fino a quando la verità sulla sua
professione non esce allo scoperto: a seguito della vittoria della sua piccola a una competizione di castelli
di sabbia, una signora a conoscenza del suo segreto presa dall’invidia lo svela al resto dei villeggianti, e lei è
costretta a fuggire dall’hotel. La donna sperava all’inzio della vacanza di poter trovare un lavoro onesto per
poter riuscire a vivere con la sua bambina ma dopo la notizia nessuno ha più voluto offrirle un lavoro. Ritorna
il senso di colpa, già visto con Senso. In questo caso si tratta di un film in bianco e nero, dove il fattore veri-
terio dei fatti, e la descrizione accurata delle dinamiche sociali che intercorrono tra i personaggi, non fa che
restituire una visione reale su cosa voglia dire essere una donna di quegli anni, sola, senza marito e con una
famiglia da mantenere. Qui riemerge la punzione e l’emarginazione della donna, sorte che fu riservata anche
a Livia dal suo stesso amante, che la umilia per azioni che egli stesso ha spinto a compiere. Le stesse temati-
che sono riprese anche in “Malèna”, di Giuseppe Tornatore uscito nel 2000, e che seppur in un altro contesto
ritroviamo anche in “Ladri di biciclette” del 1948 di Vittorio De Sica, esposto in aula. Qui il protagonista fini-
sce per essere punito e umiliato dalla gente lì presente dopo averlo visto rubare una bicicletta a un passante,
non sapendo che il suo era un gesto disperato dovuto dalla rabbia del furto della sua stessa bici tanto sudata
e di fondamentale importanza per la famiglia, che aveva cercato in lungo e in largo sperando di ritrovarla e
avere giustizia, ma l’unica cosa che ha riavuto è stata la brutta punzione di sentirsi solo in mezzo ad una folla
che non vuole davvero vedere ma che è capace solo di farsi più grande al cospetto delle disgrazie altrui.

1  Parole pronunciate dalla regina in uno degli episodi della serie Anime “Lady Oscar” del 1972.
Sono rimasta stupita nel constatare che film di settanta anni fa risultino tuttavia non poi così lontani, che
siano ancora così tanto di ispirazione. Quel mondo cinematografico non è mai andato via, non mi sono mai
soffermata a vedere ciò che in IItalia il cinema avesse prodotto nel corso della storia, a parte qualche ecce-
zione, perchè non mi è mai stato insegnato forse e probabilmente perchè non ne ero mai stata interessata
prima. Tuttavia, nonostante non avessi effettivamente idea di come fossero questi film, non mi sono sembrati
poi così sconosciuti, perchè ho sempre visto e sentito citarli in televisione, nelle trasmissioni. Gli attori citati
godono ancora di grande fama e riconosciementi, e ora mi è chiaro il motivo. La contemporaneità del cinema
italiano non li ha superati a livello di fama, questi film vivono ancora nel cuore degli italiani, probabilmente
perchè le generazioni che hanno vissuto con quel cinema sono ancora la maggioranza e del nuovo forse vo-
gliono saperne ben poco o semplicemente riconoscono nei film di oggi una sorta di incompetenza. Da come
è emerso nel corso i nostri nonni e i nostri genitori hanno ancora ben impresse quelle immagini e attraverso
i loro racconti ci emozioniamo, perchè da italiani, in perenne contatto con la famiglia, tendiamo a conservare
dolcemente i ricordi dell’infanzia, e molto lentamente ci lasciamo trasportare da ciò che non ci è familiare.
Sono sempre stata molto attratta da chi non sentisse le tradizioni così passionalmente. Sono nata a Milano
ma ho origini siciliane, e ho sempre avvertito molto la differenza di pensiero tra le due realtà. La Milano che
ho vissuto, quella della mia generazione, è una Milano che vuole e sta cercando, riuscendoci nella maggior
parte dei casi, a mettere in atto quanto la componente straniera, esposta precedentemente, ha donato
all’Italia. Si può dire che in questa realtà cittadina il messaggio di questi film sia passato, si spira molto alla
mentalità estera. Tuttavia nelle piccole realtà, fuori dalla metropoli meneghina, dalla periferia in poi rimane
spesso ancora latente. Milano è indubbiamente il punto di connessione tra la tradizione di un’identità italia-
na e un’altra che tenta di connettersi e camminare insieme al pensiero degli altri stati più moderni e avanzati.
È grigia perchè si fa carico degli sforzi che sono necessari per evolversi, è un bianco che vuole lasciarsi alle
spalle tutto e spiccare il volo ma è tenuto dalle braccia dai suoi compagni ancora non troppo pronti al decol-
lo. Non sono pronti a lasciare che la contemporaneità penetri veramente, perchè senza le tradizioni non ci
sarebbe più un’identità italiana forse. C’è ancora molta paura dello straniero, dell’immigrato, o del diverso
nel nostro Paese; quella stessa paura, quel senso di appartenenza ancora forse un pò legato al ricordo del
nazionalismo vissuto dai nostri nonni ai tempi della Guerra, o addirittura in molti casi del fascismo, sono gli
stessi che ci portano a condannare tutto ciò che non rientra nei nostri personali valori ed ideali. Paese for-
temente permeato e costruito sui valori religiosi cristiani, che impongono a livello sociale molta discrezione
come abbiamo potuto notare dai film esposti, Livia che non si è mai lasciata andare a frivolezze, le maschere
del Carosello Napoletano per sfuggire alla morale comune, il padre delle tre sorelle di Ragazze d’oggi che non
vuole che lavorino. Curiosa è la scena di quando alla gara di Armando, amato di Matilde, una donna esordi-
sce con un rumoroso tifo per Armando:

Donna 1: Vai Armandone!


Donna 2: E stai zitta ti notano.
Donna 1: Mi notano?
Donna 2: Eh beh.

C’è sempre un grillo parlante al fianco di una donna, e se non è esterna è una vocina nella testa che si cura
che rimanga sempre al proprio posto, che crtica ogni sua azione, comportamento, o pensiero. Come la ma-
dre di Maria Antonietta che continuava a farle presente i suoi difetti e suggerirle come comportarsi; come
Ilde di “Souvenir d’Italie” che continuava a rimproverare Josette per i suoi comportamenti esuberanti, o
come il fidanzato di Sofia, Mongardi, che voleva provvedere al modo in cui si vestiva perchè non chic, o San-
dro, che nonostante le buone intenzioni, ha osato criticare le ragazze per non essere brave a fare nulla, ma
essere solo belle. Come la donna che ha costretto Anna Maria Mentorsi alla fuga dall’hotel, e così via.
Mantenere una dignitosa reputazione, questo colgo dai film analizzati. La sfera sociale e la nostra posizione a
riguardo è ciò che avverto essere di primaria importanza nella società italiana in cui vivo.
Se dovessi attribuire un colore all’Italia, sicuramente sarebbe un colore diviso, non univoco e soprattutto un
pò sofferto. Perchè è vero che l’Italia è la patria della pizza, degli spaghetti e di tante prelibatezze che giovano
alla gola, ma è anche patria della lirica e del melodramma, felicità e turbamento, pathos.
Attribuisco all’Italia il verde, per l’attaccamento alla propria terra e alle tradizioni, e il rosa, per l’affannoso
gioco della competizione tra individui gruppi o famiglie, per il desiderio dell’interazione e il confronto con gli
altri e la conseguente sofferenza per la consapevolezza di esserne schiavi.

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