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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI BRERA

MILANO
Dipartimento di Arti Visive
Corso di Pittura
Primo Livello

CROSS-DRESSING E TRAVESTITISMO,
LA PROTESTA CONTRO LE NORME SOCIALI STORICO-
CULTURALI

Relatore Tesi: Prof.ssa Lucrezia Cippitelli


Relatore Progetto: Prof. Stefano Pizzi
Docente di Indirizzo: Prof. Stefano Pizzi

Veronica Fidanzati
Matricola n. 38164

Anno Accademico 2019-2020


Accademia di Belle Arti di Brera
Milano

CROSS-DRESSING E TRAVESTITISMO
LA PROTESTA CONTRO LE NORME SOCIALI-STORICO CULTURALI

Lucrezia Cippitelli
Stefano Pizzi
Veronica Fidanzati
matricola n. 38164

A.A. 2019/2020
INDICE
Introduzione ...................................................................................................................... 4
1. Capitolo Primo .......................................................................................................... 5
HYBRIS E PERVERSIONE, L’INVERSIONE DEI RUOLI DI GENERE SECONDO
LA PSICANALISI ........................................................................................................... 5
Introduzione
1. Capitolo Primo

HYBRIS E PERVERSIONE, L’INVERSIONE DEI RUOLI DI


GENERE SECONDO LA PSICANALISI

“Maschile o femminile” è la prima distinzione che fate allorchè incontrate un altro essere umano, e siete
abituati a fare questa distinzione con assoluta sicurezza.

SIGMUND FREUD, “Femminilità”1

Per quanto la logica dell’anatomia possa suggerire altrimenti, le gonne sono un indumento
tradizionalmente femminile e i pantaloni il loro equivalente maschile, gli abiti pantalone indossati negli
harem e i kilt non sono altro che l’eccezione che conferma la regola.

Boston Globe Magazine, 28 agosto 19882

La distinzione tra uomini e donne è per lo stato una questione di primaria importanza, ecco perché abiti e
ornamenti differiscono in base a regole ben definite. Ai nostri giorni le donne usano adornarsi di armi, un
fatto che ha veramente del prodigioso. Fu a seguito di ciò che si ebbe l’affare Imperatrice Jia.

GAN BAO, Soushen Ji (Seeking the Spirits)

raccolta di anomalie e portenti nella Cina del quarto secolo3

Ad oggi, conosciamo solamente due possibilità di identificazione che rispondono al


concetto di “norma” comunemente accettato, e sono il “maschile” e il “femminile”. Tali
principi, definirebbero il genere di un individuo, a cui quest’ultimo, nella fase della
pubertà4, dovrebbe in qualche maniera identificarsi e prendere consapevolezza dei propri
compiti. Partendo da fattori biologici, il genere, da che l’umanità ne ha memoria, è il
principale indicatore delle differenze tra i sessi, delle differenze che però, sono andate
ben oltre le distinzioni biologiche anatomiche, di cui tutti, sono a conoscenza, infatti, le
categorie, maschio e femmina, hanno assunto nella società, nel corso della storia, un vero
e proprio ruolo, l’uno differente dall’altro. La diversificazione dei ruoli di genere5 si è

1
Sigmund Freud (1932 [1933]), “Femminilità”, Introduzione alla psicanalisi (nuova serie di lezioni),
OSF, vol.11, p. 220. Per questo riferimento ringrazio Marjorie Garber che tratta l’argomento dei codici
d’abbigliamento e delle differenze in “Interessi truccati”, Giochi di travestimento e angoscia culturale.
2
Marjorie Garber,“Interessi truccati”, Giochi di travestimento e angoscia cultutrale, 1994.
3
Marjorie Garber, “Interessi truccati”, Giochi di travestimento e angoscia cultutrale, 1994.
4
Francoise Héritier, “Maschile e femminile”, Il pensiero della differenza, Economica Laterza,
2002.Secondo alcune società neoguineane o inuit, venuto il momento della pubertà, l’individuo si deve
inscrivere nelle attività e nelle attitudini proprie del suo sesso apparente, e assolvere il suo ruolo di
maschio o femmina nella riproduzione, e aderire ai compiti maschili o femminili all’interno del gruppo
familiare e sociale.
5
Lorenzo Bernini, “Le teorie queer”, Un’introduzione, Mimesis Edizioni, 2021. “Per genere si intende
l’insieme delle differenze tra uomini e donne, che le società costruiscono a partire dalle differenze tra
corpo maschile e femminile[…]Il genere perciò riguarda gli aspetti socio-culturali che, in modo variabile
definita e ampliata, come accennato, nei secoli, e vede numerose difformità di oneri,
doveri e comportamenti per ognuno dei sessi. Tralasciando le differenze di classe, razza,
e il fatto che questi “ruoli” si siano determinati unicamente all’interno del gruppo
familiare e sociale6, gli uomini sono generalmente tenuti a provvedere al mantenimento
economico della famiglia tramite il lavoro in società, mentre le donne si occupano della
prole e delle attività casalinghe. All’uomo, sono state attribuite qualità come forza fisica,
virilità, e se si guarda al modello maschile borghese che si afferma nell’Europa del XIX
secolo, sobrietà, rigore e rispetto delle convenzioni7. La donna incarna la dolcezza, il
senso materno, l’emotività o la compassione, talvolta la vanità e la volgarità; sì, perché
non è da sottovalutare il ruolo di oggetto di desiderio che tradizionalmente le è stato
attribuito, dall’arte8 e dalla religione. Ogni epoca presenta le proprie regole, e i propri
costumi, ma le difformità presenti tra i due sessi rimangono sempre le stesse. Tra le
principali differenze tra uomo e donna vige il “codice vestimentario”, che prevede per
entrambi delle regole ben precise, non per forza scritte e elevate a legge, come accadde,
ad esempio, con le “leggi suntuarie” medioevali, che determinavano chi dovesse
indossare cosa e in quale occasione 9, bensì, anche delle regole dettate, ormai
tradizionalmente, da un sistema gerarchico 10 di diversa natura, come il mondo dello
spettacolo, i media, il marketing, la chiesa, la scuola, e così via. Tutto, nella società dice
cosa è opportuno rispettare e a cosa bisogna adeguarsi, lo “strappo” alla regola non passa
di certo inosservato, anzi, diviene sicuramente motivo di critica, giudizio, scherno e molte
volte di emarginazione. Da questi codici deriva, più spesso di quanto ci si possa aspettare,
una certa paranoia collettiva e individuale da cui dipende la vita sociale e psichica delle
persone. Molti soggetti non si sentono rappresentati dai modelli di “maschio” e
“femmina” che sono venuti definendosi fino ad oggi, e molti altri si sentono sopraffatti
dalle pressioni e dalle aspettative che provengono da tali concetti. Se un uomo avesse
delle preferenze verso degli indumenti tipicamente femminili, ciò lo renderebbe senza
alcun dubbio omosessuale? Mentre la donna, oggi può, se desidera, indossare pezzi

da cultura a cultura e sulla base di diversi gradi di obbligatorietà, permettono di identificare gli individui
maschi come uomini e le femmine come donne[…]”, p.58.
6
Francoise Héritier, “Maschile e femminile”, Il pensiero della differenza, Economica Laterza, 2002
7
Giovanna Zapperi, “L’artista è una donna”, La modernità di Marcel Duchamp, Ombre corte, 2014
8
Ibidem.
9
Marjorie Garber, “Interessi truccati”, Giochi di travestimento e angoscia culturale”, Raffaello Cortina
Editore, 1994
10
Ibidem.
d’abbigliamento da uomo tranquillamente senza incorrere in commenti discriminatori o
essere giudicata come omosessuale, per gli uomini è ancora, da molti, considerato
“strano” indossare una maglietta rosa, ad esempio, (colore che, tra l’altro, prima della
Grande Guerra veniva usato dai maschi perché considerato un colore più forte e deciso
rispetto all’azzurro, che era invece visto come più delicato e tenero)11 se non si hanno
preferenze sessuali per lo stesso sesso. Se una persona omosessuale vive serenamente la
propria identità di maschio, e quindi è conforme ai codici di abbigliamento previsti per il
suo genere, sarà percepito dalla nostra società come “uomo”12, non dovrà sentire lo
sguardo attonito di chi lo circonda che si domanda per chissà quale “strambo” motivo
abbia deciso di indossare una maglietta rosa, o viola, o che abbia una qualsiasi tonalità
visibilmente tendente al magenta. Il problema nasce dunque quando la società si accorge
di determinati cambiamenti, se si vuole per qualche motivo passare inosservati è meglio
conformarsi alla massa, rispettare le regole: non essere notati per non essere giudicati.
Dal Rinascimento in poi13, l’apparenza di un individuo acquista una certa valenza e
rilevanza a livello sociale, come la propria immagine risulta agli occhi degli altri dice
tutto della persona: classe sociale, genere, orientamento sessuale, dove si è diretti e per
quale occasione. Nonostante i codici d’abbigliamento, oggi, siano lontani dai rigidi regimi
moderni, dunque distanti da un qualsiasi editto elisabettiano, le comunità suburbane e di
classe media14 risentono ancora, in lontananza, di tali imposizioni; come ci si presenta in
società può ancora suggerire molto su chi si ha davanti agli occhi, come afferma Marjorie
Garber nel 1992, “L’abito fa il monaco”15. Secondo molti medici, dice Garber in Interessi
truccati, le donne, al contrario degli uomini, qualora pratichino cross-dressing, rientrano
necessariamente in due categorie: travestirsi per divertimento, essere transessuale. Mentre
ai travestiti di sesso maschile spesso si giustifica la pratica come eccitamento sessuale.
Cosa spinge, davvero, determinati individui a rompere gli schemi? Perché optare per degli
indumenti al di fuori del regolamento del proprio genere? A queste domande, numerosi
pensatori e psicanalisti dei primi anni del Novecento, come Freud, Lacan, Abraham,

11
Marjorie Garber, “Interessi truccati”, Giochi di travestimento e angoscia culturale”, Raffaello Cortina
Editore, 1994.
12
Lorenzo Bernini, “Le teorie queer”, Un’introduzione, Mimesis Edizioni, 2021.
13
Eugenio Garin, “La cultura del Rinascimento”, Il Saggiatore, 2012
14
Marjorie Garber, “Interessi truccati”, Giochi di travestimento e angoscia culturale”, Raffaello Cortina
Editore, 1994.
15
Ibidem.
cercarono di dare risposta, e, ahimè, le conclusioni giungevano sempre a un solo punto:
si tratta di soggetti perversi.

[…] Gli atti di perversione sono, del resto, sempre gli stessi, hanno sempre un significato preciso e sono
basati su un modello che prima o poi si riuscirà a comprendere. Immagino dunque un’ancestrale religione
diabolica i cui riti continuano a essere compiuti in segreto, e ora comprendo la severa terapia che usavano
i giudici delle streghe.

SIGMUND FREUD, “Lettere a Wilhelm Fliess” (1887-1904)16

1.1 CALIGOLA

Caio Cesare, terzo imperatore romano, soprannominato “Caligola”, vanta la fama di


essere un folle, un sadico, un pervertito. I pochi anni del suo regno (dal 37 al 41 d.C.)
furono caratterizzati da crudeltà, esazioni, depravazione, incesto, parricidio, inversioni di
sesso, travestitismo e assassinio 17 . Si dice usasse indossare “vesti, calzari e adornamenti
che non erano né romani, né cittadini, non maschili e neppure umani. Spesso si faceva
vedere in giro vestito di “pènule” ricamate e gemmate, con lunghe maniche e
braccialetti; talvolta in abiti di seta o di gala femminili. Il più delle volte portava una
barba d’oro, e impugnava un fulmine o un tridente, o, ancora, un “cadùceo”; fu anche
visto in abbigliamento di Venere. Era convinto di essere un dio”18. Caligola avrebbe la
peculiare tendenza, propria del perverso, a volersi sostituire al Padre-creatore, con lo
scopo di ricreare un nuovo universo, modificare la realtà per trasformarla a suo piacere.
Egli sarebbe stato travolto dalla passione per ciò che è impossibile: “[…] si tratta di
rendere possibile ciò che non lo è […]”19. Per questo motivo, la sua “hybris”20, ovvero
la sua volontà di “ibridazione”21, lo indusse al rovesciamento dei ruoli. Il tiranno vuole
livellare tutte le differenze, stabilire fra gli uomini nuove relazioni, amalgamare oggetti
che non sono fatti per stare insieme. L’esempio di cross-dressing, e di travestitismo,

16
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987 Cit. p. 14
17
Ibidem.
18
Ibidem.
19
Ibidem, p.25.
20
Termine greco, significa violenza, eccesso, cosa estrema, enormità. Per i greci l’hybris è il peccato più
grande. In “Creatività e perversione” assume il significato di rovesciamento dei valori.
21
Ibidem, p.22
presentatoci dall’imperatore romano, è qui, visto come tentativo di oltrepassare i limiti
imposti all’uomo, è per lui mischiare gli elementi per generare il caos.

Il marchese de Sade, in molti suoi celebri romanzi, svela la natura della perversione e del
sadismo, concetti ed esempi che meglio possono descrivere il singolare personaggio di
Caligola.

“Saranno, tutti mischiati, tutti stravaccati su cuscini, in terra, e a mo’ degli animali, si cambierà, si farà
incesto, adulterio, sodomizzando”.

FRANCOIS DE SADE, “Le centoventi giornate di Sodoma”22

“Mischiare” è la parola d’ordine dell’intero mondo fantastico di Sade; l’eroe dei suoi
romanzi si mette al posto di Dio e diventa, attraverso un processo di distruzione, il
creatore di una nuova realtà. Il tema che ricorre continuamente nei suoi scritti è quello
della metamorfosi delle forme, della capacità umana di dissolvere e trasformare le forme
dopo averne separato le molecole. Quello che il marchese descrive è il ritorno di tutte le
cose allo stato di caos, del caos originario 23, uno stadio primordiale in cui tutte le
differenze sono abolite, ridotte a materia fecale. Questo, in sostanza, è l’universo del
sacrilegio. Tutto ciò che è proibito, consacrato, o tabù, è divorato dal tratto digerente, “un
enorme apparato triturante che disintegra le molecole della massa digerita allo scopo di
ridurla a escremento”24. Assumere il ruolo di creatore dell’universo anale comporta la
detronizzazione di Dio. In La nouvelle Justine, sono presenti nei dialoghi insulti e
bestemmie verso Dio: “Dio [è] vano e ridicolo. […] Questo Dio al quale tu hai l’idiozia
di credere merita soltanto il nostro disprezzo. […] È una creazione
dell’immaginazione” 25. “Oh! Justine, come aborro, come detesto questa idea di un
Dio!”26 Dio è qui rappresentato “come un “idiota”, un “sonaglio per bambini”, un
“fantasma meschino”, un “illusione sterile, impotente”, un “idolo bizzarro e disgustoso”,
un “maledetto stupido”, una “canaglia deificata”, un “astuto impostore”, uno “sciocco”,

22
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987, p. 4.
23
“Attraverso i secoli le filosofie, le ideologie, i miti e i riti si sono basati sulla credenza che noi
prendiamo origine da una materia primordiale dalla quale è creato anche ogni altro genere di materia”.
Ibidem, p.15.
24
Ibidem, p. 5.
25
Sade, F. de Le nouvelle Justine, cit., vol. I, p. 84. Nota ripresa in “Creatività e perversione” di Janine
Chasseguet-Smirgel.
26
Ibidem.
un “personaggio spregevole”27. I protagonisti insultano Dio. L’insulto, atto di violenza
verbale, carico di critica, ha spesso connotazioni oscene, molte volte a sfondo sessuale. Il
sesso, correlato dalla religione al concetto di impurità in quanto legato alla materialità del
corpo, garantisce l’allontanamento dal sacro. L’insulto dunque diventa metodo
“demonizzatore”28 di tutto ciò che non è possibile, o non viene accettato, in questo caso
è contestazione del permesso accordato a Dio di creare. Per l’eroe sadiano si tratta di
raggiungere uno stato di completa mescolanza che comporta la modificazione dell’ordine
naturale, l’abolizione di qualsiasi nozione di organizzazione, struttura o separazione. Le
centoventi giornate di Sodoma sono considerate un “catalogo delle perversioni”, un
catalogo in cui le perversioni sono intimamente connesse ad un reale sadismo e al bisogno
di abolire l’universo della differenza per sovvertire la realtà. Sono, perciò, la
dimostrazione che la perversione è inevitabilmente sadica29.

[…] neppure allora30 poteva […] contenere la sua feroce e turpe indole sì che non intervenisse con somma
avidità all’esecuzione e ai tormenti dei condannati a morte, e non andasse di notte, celandosi con una
parrucca e con una lunga veste, in cerca di stravizi e di adulterii, e non si dilettasse avidamente nelle arti
sceniche della danza e del canto.

SVETONIO, “Caligola”31

Alla morte del padre, il fratello, Tiberio, erede al trono, viene prima avvelenato, e poi,
siccome questi respirava ancora, strangolato dallo stesso, in origine, Caio Cesare, che
diventa così padrone dell’Impero. Secondo Svetonio, stabilì delle leggi tanto arbitrarie
quanto spietate, che ponevano sia vincitori che vinti in una relazione mostruosa e
oltraggiosa. Il rovesciamento dei valori messo in atto da Caligola è espresso chiaramente
dall’abuso di potere che dimostra nel “seminare discordie fra la plebe e i cavalieri”32
durante i ludi scenici. “Distribuiva più presto le largizioni perché i posti di cavalieri
fossero invasi dal popolo minuto. Durante qualche spettacolo gladiatorio, fatto ritirare
il velario sotto la più ardente sferza del sole, non lasciava talora che nessuno uscisse; e,
fatto rimuovere l’apparato ordinario, presentava fiere macilente, gladiatori vilissimi e

27
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987 p. 8.
28
Donatella Lanzarotta, “Corpi ad arte”, La Drag Queen e l’illusoria consistenza del genere, ombre
corte, 2014
29
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987 p 9.
30
Appena entrato in adolescenza. “Caligola” in Svetonio.
31
“Creatività e perversione”, p. 20.
32
Ibidem, p.21.
sfiniti dalla vecchiezza, e talora gladiatori da burla e cittadini ben noti ma segnalati da
qualche difetto fisico”33. Fece inoltre costruire un ponte di navi transitabile con i carri,
“una trasformazione dello scopo per cui sono costruite le cose”34. “[…] Congiunse infatti
lo spazio intermedio tra Baia e il molo di Pozzuoli, che è di circa tremila e seicento passi,
con un ponte, adunando d’ogni parte navi da carico fermate con le àncore su una doppia
fila, gettandovi sopra uno strato di terra in linea diritta, a somiglianza della via Appia.
Per questo ponte andò su e giù due giorni di séguito”35. Svetonio riporta altri fatti:
condanna contemporaneamente alcuni Galli e alcuni Greci, e si “gloriava” di aver
soggiogato la Gallogrecia; amalgama così due territori separati, e crea con quella sola
parola un nuovo e “chimerico” paese. Egli cercava di avvilire e umiliare i grandi,
ricordiamo che divenne imperatore ad età molto giovane. Impose ai senatori che avevano
ricoperto alte cariche “di correre in toga presso il suo cocchio per parecchie miglia, e,
mentre cenava, di stargli ora ai piedi ora alla spalliera con un pannolino alla cintola;
continuò a far convocare, come se fossero vivi, altri che aveva nascostamente fatti
uccidere, e pochi giorni dopo bugiardamente asserì che si erano tolta volontariamente la
vita. E con livore e malignità eguali all’arroganza e alla ferocia infierì quasi contro gli
uomini d’ogni tempo. Rovesciò e infranse in tal modo le statue dei personaggi celebri che
Augusto aveva trasportate, per la ristrettezza del luogo, dalla piazza del Campidoglio nel
Campo Marzio, che non furono potute ristabilire con le inscrizioni intere”.36 La sua
“hybris” e la sua volontà di “ibridazione” lo indussero anche al rovesciamento dei ruoli:
“Essendo una volta condotta la vittima all’altare, egli, succinto a foggia di sacrificatore,
levò altro il maglio e ammazzò il ministro che doveva sgozzarla”37, voleva prendere il
potere creatore degli dèi. “Era smanioso di fare tutto quello che era giudicato
impossibile: onde moli spinte in acque di mare profonde e agitate, e tagli di rocce
durissime, ed elevazione, con colmate, di bassure all’altezza di colline, e giochi di monti
spianati con escavazioni”38. Caligola è inoltre noto per la sua vita dissoluta, ebbe con
tutte le sue sorelle uso carnale, “[…] in pieno convito ne collocava una per volta alla
propria destra, pur avendo alla sinistra la moglie. Di esse, Drusilla fu da lui, si crede,

33
Ibidem.
34
Ibidem.
35
Svetonio “Caligola”. “Creatività e perversione”, p. 20.
36
“Creatività e perversione”, p. 22.
37
Svetonio “Caligola”. “Creatività e perversione”, p.23.
38
Ibidem.
posseduta ancor vergine […]. Dopo che l’ebbe data in moglie a Lucio Cassio Longino,
ben presto gliela ritolse, e la tenne apertamente come legittima moglie”39. Le altre sorelle
vennero da lui prostituite ai suoi “bagascioni”40; aveva anche un’amante, Cesonia, che
esibiva nuda ai suoi amici; si innamorò follemente di un pantomimo e anche di alcuni
ostaggi. Lo scopo di mischiare e di capovolgere la realtà si ripropone chiaramente ancora
una volta. Interessante è il dialogo tra Caligola e Cesonia messo in scena nel dramma
teatrale di Albert Camus composto nel 1938, “Il sogno del Caligola di Camus è di poter
catturare la luna”41:

Caligola: Ma io non sono matto, Anzi, non sono mai stato così lucido. Ho provato semplicemente
un’improvvisa sete di impossibile. (Pausa) Le cose, così come sono, non mi sembrano di tutto riposo. […]
Perciò ho bisogno della luna, della felicità, o dell’immortalità: di qualche cosa, poniamo, di pazzesco,
purchè non sia di questo mondo. […] L’impossibile: proprio di questo si tratta. O meglio, si tratta di
rendere possibile ciò che non lo è. […] A che mi giova la mano ferma, a che mi serve questo stupendo
potere se non posso far tramontare il sole a levante diminuire il dolore; far che non muoiano i vivi?

Cesonia (la sua amante): Ma è voler uguagliare gli dèi, questo. Non conosco una peggior pazzia. […]

Caligola: Voglio mischiare il cielo col mare; confondere la bruttezza e la bellezza; far zampillare il riso
dalla pena.

Cesonia: C’è il buono e il cattivo, il grande e il meschino, il giusto e l’ingiusto: è una legge che nessuno
cambierà mai.

Caligola: Io la cambierò! Farò a questo secolo il dono dell’equivalenza. E quando tutto sarà purificato, e
l’impossibile sulla terra, e la luna nelle mie mani, allora, forse, anch’io sarò trasformato, e il mondo con
me e gli uomini non moriranno e saranno felici.42

Si avverte dunque in Caligola odio per la realtà, vuole distruggerla e ricrearne una nuova.
Vuole possedere ciò che non è possibile e raderlo al suolo.

“L’impossibile. L’ho cercato ai limiti del mondo e ai confini di me stesso”.43

Così, Caligola, come l’eroe dei romanzi del marchese de Sade, incarnano il desiderio
umano di screditare il potere del Padre-creatore, sostituendosi ad esso. Questa
caratteristica è propria del demonio. Lucifero, angelo caduto che si ribellò a Dio, suo
rivale, è il primo esempio perfetto di “hybris”, che tenta di farsi beffe della legge

39
Ibidem, p. 24
40
Svetonio “Caligola”.
41
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987 p.24
42
Camus, A. “Caligola”. Cit. ripresa da “Creatività e perversione”.
43
Il personaggio di Caligola nell’opera di Albert Camus, cit. che la Smirgel riprende in “Creatività e
perversione”
“capovolgendola”. Il capovolgimento della legge, la parodia di una religione dedicata al
culto di Dio, cercano di invertire il cammino che porta dall’indistinto alla separazione e
alla demarcazione.44

1.2 FREUD

Nel paragrafo precedente è stato esemplificato, attraverso il personaggio di Caligola, cosa


sia la perversione, e come viene associata, in psicopatologia, al sadismo e al bisogno di
abolire l’universo della differenza per sovvertire la realtà e riprodurla a proprio
piacimento. Tale esigenza scaturisce da una sorta di ribellione nei confronti delle leggi
dettate dal Dio Padre. L’abolizione delle differenze, secondo la psicanalisi, potrebbe
essere un escamotage all’altrimenti senso di inferiorità provato dal soggetto perverso nel
momento in cui avviene il confronto con la realtà circostante. Di fatti, annullate le
disuguaglianze, scompaiono le sensazioni di essere indifeso, piccolo e inadeguato,
spariscono la morte, il dolore psichico, l’assenza, o, per citare Freud, la castrazione. 45 Nei
seguenti paragrafi vorrei illustrare quali sono i motivi per cui la pratica del cross-dressing
e del travestitismo vengono considerate, in psicanalisi, dei sintomi da curare. Parlerò, ora,
dei ragionamenti che definiscono le due pratiche come perversioni sessuali feticistiche,
per cercare, nei prossimi capitoli, di smentirne la credibilità, proponendo degli esempi e
delle argomentazioni che sostengano la mia tesi, che vuole, essenzialmente, indagare le
due pratiche come fenomeni artistici di grande portata critica rivoluzionaria.

L’uomo si è dimostrato ancora una volta, come sempre nell’ambito della libido, incapace di rinunciare a
un soddisfacimento di cui ha goduto nel passato. Non vuole esser privato della perfezione narcisistica della
sua infanzia e se […] non è riuscito a serbare questa perfezione negli anni dello sviluppo, si sforza di
riconquistarla nella nuova forma di un ideale dell’Io. Ciò che egli proietta vanti a sé come proprio ideale
è il sostituto del narcisismo perduto dell’infanzia, di quell’epoca, cioè, in cui egli stesso era il proprio
ideale.

SIGMUND FREUD, “Introduzione al narcisismo”46

Sigmund Freud, noto neurologo, psicanalista, e filosofo austriaco, tra la fine


dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, formula alcune teorie sui fattori che portano un

44
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987.
45
Ibidem.
46
Ibidem, cit. p. 39.
soggetto a diventare perverso e capire da cosa possa dipendere la sua “malattia”. Lui
associa strettamente la perversione al Narcisismo dell’Io47. Il Narcisismo è quello stadio
dello sviluppo nel quale l’Io provvede a essere l’ideale di sé stesso. È il mezzo che apre
la strada alla relazione oggettuale. Alla nascita, non potendo sopravvivere con le proprie
forze, l’essere umano deve dipendere necessariamente da un altro essere che se ne prenda
cura, dunque si assiste a una scissione del narcisismo, che si apre al mondo esterno. L'Io,
portato a privarsi di una parte del proprio narcisismo, mirerà sempre a ricucire i lembi di
questa “ferita narcisistica”, che d’ora in poi sarà definita come “Ideale dell’Io”. Lo
sviluppo dell’Io consiste nel prendere le distanze dal narcisismo primario e dà luogo a un
intenso sforzo inteso a recuperarlo.

“Il giuoco del bambino era diretto da desideri, e propriamente da quello specifico desiderio che è di così
grande aiuto nella sua educazione: il desiderio di essere grande e adulto. Egli giuoca sempre a ‘essere
grande’, e imita nel giuoco quel che riesce a conoscere della vita degli adulti”.

SIGMUND FREUD, “Il poeta e la fantasia”48

Durante il complesso di Edipo, afferma Freud, l’ideale dell’Io viene proiettato all’esterno,
più precisamente al padre, che diventa per il bambino modello di identificazione. Nel
futuro individuo perverso, l’Ideale dell’Io non viene trasferito ad un altro modello, bensì
rimane riferito alla propria persona; in altre parole, il soggetto perverso pensa di essere
già un adeguato modello per sé stesso. Freud specifica che durante questa fase il bambino
ha desideri incestuosi nei confronti della madre, e che debba imparare a trasferire il suo
desiderio al di fuori dei familiari: deve introiettare il divieto di incesto. Il soggetto
perverso però non interiorizza questo divieto, pensa di essere un buon compagno per la
madre e un degno sostituto del padre, ergo, non sperimenta i sentimenti di ammirazione
nei confronti dell’altro genitore, non sviluppando, così, la genitalità, che rimane invece al
suo stadio pregenitale, quello anale. Le cause che portano ad avere un’elevata
considerazione della propria persona, in età non matura, possono risiedere nel
comportamento della madre durante il dramma edipico, o passione incestuosa49 del figlio:
la figura materna, attraverso atteggiamenti seduttivi, avrebbe fatto lui credere di non aver
bisogno di raggiungere la maturità sessuale per soddisfare i suoi bisogni, ella lo avrebbe,

47
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987. Capitolo 3
“Narcisismo e perversione”.
48
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987, p. 46.
49
Judith Butler, “Fare e disfare il genere”, a cura di Federico Zappino, Mimesis LGBT, 2014, p. 233.
sempre, preferito al padre50. Ferenczi, in Thalassa – Psicoanalisi delle origini della vita
sessuale, afferma che il desiderio fondamentale dell’umanità è quello di tornare nel
grembo materno. “Il coito genitale, che è l’apice dello sviluppo sessuale, contiene ed
esprime il desiderio di tornare nel grembo materno dove, dice Ferenczi, la frattura tra
l’Io e l’ambiente non ha ancora avuto luogo”.51 Il bambino “normale”, secondo Freud,
rinuncia alla soddisfazione pulsionale allo scopo di preservare il pene, interiorizza la
proibizione dell’incesto e le proibizioni in generale, e sviluppa una moralità: il Super-io52.
L’infante “disturbato” cerca di evitare questa fase, cerca una via di fuga, o meglio, una
scorciatoia53, il feticcio54. L’alternativa tra la “perdita del pene” o la rinuncia della
soddisfazione del desiderio incestuoso è allontanata da quella che Freud chiama
“ingegnosa soluzione”55, che è la perversione56. Il perverso, dunque, elude la minaccia
della castrazione e si accontenta della simulazione di un’avvenuta maturità tramite il
feticcio, rigettando il tempo. Il feticcio condensa tutti gli elementi che separano il figlio
dalla madre; è come una bacchetta magica, la sua presenza modifica la realtà.
L’idealizzazione è un ingrediente importante per la costruzione del feticcio.57

1.3 UN MONDO DI FINZIONI

Secondo Freud, esistono varie aree nella personalità che rendono possibile la coesistenza
della perversione con la nevrosi e anche con la creazione. Il numero di “perversi” in
campo artistico è probabilmente molto più grande del numero dei perversi nella
popolazione in generale. Janine Chasseguet-Smirgel, in Creatività e perversione suppone
che il perverso sia portato in modo particolare per il mondo dell’arte. Il perverso rimane
legato alle zone erogene pregenitali, come già illustrato nel paragrafo precedente. Egli

50
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987, Capitolo 8
“Riflessioni sul feticismo”, p. 115.
51
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987, p. 40.
52
Erede del complesso edipico, stabilisce la realtà. Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e
Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987
53
Caso studiato da Freud in “Scissione dell’Io nel processo di difesa”, proposto da Janine Chasseguet-
Smirgel in“Creatività e Perversione”, p.38.
54
Mezzo per eludere la fatalità del complesso di Edipo. Per Freud rappresenta un sostituto del pene che
manca alla madre
55
Caso studiato da Freud in “Scissione dell’Io nel processo di difesa”, proposto da Janine Chasseguet-
Smirgel in“Creatività e Perversione”, p.37.
56
Ibidem.
57
Ibidem, p.129-130
sottopone le proprie pulsioni pregenitali a un processo di idealizzazione allo scopo di
preservare le proprie convinzioni. È come se egli fosse “costretto” ad adorarle come
dèi”58. A questo punto, giunge in scena la compulsione a idealizzare, ciò spiega
l’attrazione che il perverso dimostra per l’arte e la bellezza, infatti, il perverso è spesso
un esteta. Idealizzare l’ambiente e lo scenario è particolarmente importante per il
perverso: tutto ciò che circonda l’Io deve risultare uno specchio nel quale l’Io è riflesso.

“Lo specchio rivela i difetti di ciascuno e a ciascuno rivela i propri doveri. Specchi di dame, specchi di
principi, specchi di spiritualità, specchi morali, specchi che sono ad un tempo libri, dipinti e riflessi,
rimandano tutti ad un modello ideale, l’unico modello al quale le creature devono tendere”.59

Se l’ambiente che circonda il perverso rappresenta il suo Io idealizzato, che deve ridare
assolutamente una brillante immagine riflessa del sé, l’arte deve automaticamente
“diventare il principio della vita, della natura, della realtà”60. “La bellezza dello scenario
si proietta sull’Io, la perfezione dell’arte lenisce i difetti della natura, l’arte ha il compito
di scacciare ogni traccia di analità, di bruttezza, di escremento”61.

“Pure, l’arte che è francamente decorativa è l’arte con cui vivere. È, di tutte le arti visive, l’unica arte
che crea in noi tanto un umore quanto un temperamento. […] L’armonia che risiede nelle delicate
proporzioni di linee e masse si rispecchia nella mente”.62

“Verrà il giorno in cui il realismo incorrerà nella sconfitta definitiva, quando trionferanno l’idealismo e
la bellezza”.63

Dalle parole della Smirgel emerge che l’idealizzazione implica un’estrema vicinanza a
ciò che viene mascherato, questa sarebbe la forza motrice del mantenimento
dell’autostima. L’idealizzazione è un meccanismo che mira a nascondere il sé. Il perverso,
quindi, sarebbe obbligato da sé stesso a vivere in un mondo fittizio tutto suo.

58
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987.
59
Sabine Melchior-Bonnet, “Storia dello specchio”, Edizioni Dedalo, Bari, 2002. Riferimento dell’autrice
al manuale di educazione per il proprio figlio, “Specchio”, della nobildonna Dhuoda, p. 135.
60
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987
61
Ibidem.
62
Oscar Wilde, “Il critico come artista”. Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”,
Raffaello Cortina Editore, 1987, p. 145.
63
Oscar Wilde, “La decadenza della menzogna”. Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”,
Raffaello Cortina Editore, 1987
Come la compulsione a idealizzare, anche il feticcio rappresenta una menzogna, essendo
il sostituto del pene materno a cui il bambino non è stato in grado di rinunciare.
Garantirebbe al soggetto l’autostima che, altrimenti, senza di esso non potrebbe avere. Il
perverso, come sostiene la Smirgel e lo stesso Freud, è consapevole della sua non totale
maturità: il piccolo imbroglio non viene accettato dall’ideale dell’Io, non a causa della
colpa, bensì, perchè simbolizza una maturità che è soltanto una simulazione64. Questo
fattore causa al perverso una certa sofferenza psichica, teme che la sua analità possa essere
scoperta ed essere messa in ridicolo; per tale ragione i soggetti perversi hanno la tendenza
ad essere sadici e compiere crudeltà, come nel caso di Caligola. Nella Valutazione
narcisistica dei processi escretori nel sogno e nella nevrosi, Karl Abraham, psicanalista
tedesco, spiega cosa accade quando il bambino perverso capisce di non essere l’unico e
adeguato oggetto sessuale della madre: il riconoscimento dei poteri del genitale paterno
obbliga il bambino a introiettarlo. Il soggetto cerca ora una nuova realtà in cui il padre e
i suoi attributi sono svalutati e il livello genitale è denegato: gioca a trasformarsi in donna,
nascondendo il proprio pene, provvedendo così ai suoi sentimenti di abbandono attraverso
la sottomissione omosessuale nei confronti del padre, con la quale il soggetto fantastica
di avere rapporti. Il travestitismo è qui visto come un feticismo, ossia l’eccitamento
sessuale provato da un individuo nei confronti di un oggetto inanimato, indumento,
scarpe, biancheria intima o capelli ecc 65. Il soggetto, in questo caso, è dunque un feticista
il cui unico desiderio è quello di essere una cosa sola con la madre 66. Il feticismo sarebbe

64
Creatività e perversione, p. 46-47
65
Feticcio.
66
In riferimento a quanto citato in precedenza nel testo a proposito di Frenczi.
una “scorciatoia” per non soffrire dell’angoscia di separazione dalla genitrice67. Secondo
Freud, la perversione sarebbe una prerogativa maschile, in quanto, ha a che vedere con il
possesso di qualcosa, ovvero del fallo 68. Jacques Lacan, famoso psicanalista francese dei
primi Novecento, sulle basi poste da Freud, afferma che nel caso un uomo pratichi il
cross-dressing (dunque si vestisse da donna) sarebbe sicuramente giustificabile come
perversione feticistica poiché capace di erezione69. Il fallo qui sarebbe dunque visto come
contrassegno di desiderio 70. Nelle donne, per lo psicanalista austriaco, la perversione non
sarebbe possibile poiché loro soffrirebbero della mancanza del pene, dunque si
verificherebbero in loro più che altro delle nevrosi71. I casi appena esplicati, illustrano
come il travestitismo possa essere conseguenza di un disturbo psichico della personalità,
a cui vi è la necessità in qualche maniera di porre rimedio in quanto potenzialmente
pericoloso per chi vive intorno a questi pazienti, il caso di Caio Cesare ne è la
dimostrazione. Ma allora se i soggetti perversi hanno tendenze sadiche e distruttive, non
hanno un Super-Io particolarmente evoluto, la loro moralità è infantile e troppo istintiva,
ciò significa che tutti gli individui che osano e che hanno osato sfidare le leggi della natura
travestendosi, sono perversi e feticisti? L‘abolizione delle differenze, la tendenza a
falsificare e idealizzare la realtà circostante, sono necessariamente prerogative dei soli
individui problematici? Cosa differenzia un soggetto perverso che pratica il cross-
dressing da un individuo considerato “normale” che decide comunque di travestirsi? E
soprattutto, viene davvero riconosciuta una differenza tra i due casi?

“La contrapposizione fra il perverso e il nevrotico, fra il perverso e noi, non è sempre chiara. Siamo tutti,
in grado differente, tentati di vivere in un mondo di bugie”

JANINE CHASSEGUET-SMIRGEL, “Creatività e perversione”.

67
Janine Chasseguet-Smirgel, “Creatività e Perversione”, Raffaello Cortina Editore, 1987.
68
Marjorie Garber, “Interessi truccati”, Giochi di travestimento e angoscia culturale”, Raffaello Cortina
Editore, 1994.
69
Ibidem.
70
Ibidem.
71
Disturbo caratteristico femminile, secondo Freud, si distingue dalla perversione, poichè, contrariamente
ad essa, deriva dalla mancanza di qualcosa
2. Capitolo Secondo

L’ANTICONFORMISMO DEL CROSS-DRESSING E DEL


TRAVESTITISMO

In questo capitolo vorrei entrare nello specifico di queste due complesse pratiche,
spiegare, innanzitutto, in cosa consistono, e fornire degli esempi che allontanino la
questione della perversione e del feticismo per restituire loro l’importanza artistica e
soprattutto critico-sociale che, a mio avviso, meritano. Attraverso la comparazione
dell’esperienza artistica di Marcel Duchamp, Cindy Sherman e Luigi Ontani, vorrei
cercare di indagare meglio quali potrebbero essere, ipoteticamente, le motivazioni che
spingono a ricorrere al travestitismo e al cross-dressing, e come mai vengono enfatizzate
ed estremizzate determinate caratteristiche di “personalità”. La linea che separa il cross-
dressing e il travestitismo dall’essere considerate come un’unica pratica è poco chiara e
un po' confusa, tuttavia, la maggior parte delle fonti da me studiate le differenziano in due
pratiche a sé stanti, che però, in qualche modo, specialmente ai giorni nostri, si uniscono
in un concetto unico, e così, farò anche io. In breve, si può dire che il cross-dressing sia
il nome originario di questa pratica che poi si evolve in travestitismo, o travestimento.

2.1 CROSS-DRESSING

“Il cross-dressing mette in discussione le categorie “maschile” e “femminile”, tanto da considerarle


ontologiche o costruite, biologiche o culturali”.

MARJORIE GARBER, “Interessi truccati”

Letteralmente, cross-dressing significa “vestire in modo opposto”, e, in effetti, vede ai


suoi esordi personaggi assumere le vesti dell’altro sesso. Questa pratica vedrà però
espressioni sempre più disparate e quella del “vestire in modo opposto” risulterà non
essere più l’unica metodologia. Infatti, è strettamente collegato e spesso correlato all’arte
del travestitismo, diversi solo nell’interpretazione dei personaggi scelti, uomo o donna
per una, possibilità illimitate per l’altra. Negli anni Dieci e Venti, in Francia e negli Stati
Uniti, dove era ampiamente dibattuta la questione femminile, diventano numerose le
donne che praticano il travestimento 72. Citiamo Georgia O’Keeffe e Florine Stettheimer,
ad esempio, artiste note della bohème e dell’avanguardia newyorkese dell’epoca, che
usavano vestirsi in abiti maschili come autorappresentazione della loro identità di artiste,
o si pensi semplicemente a stelle del cinema come Greta Garbo e Marlene Dietrich, che
si facevano fotografare in abiti maschili, la cui androginia diventa addirittura una
componente indispensabile della seduzione che esercitavano sul pubblico 73. Come
suggerisce Giovanna Zapperi, date le accese rivendicazioni da parte delle donne, il
travestimento femminile corrispondeva in questo caso sia alle nuove rappresentazioni
della femminilità borghese, sia alle lotte per i pari diritti di genere. Vestirsi in abiti
maschili, dunque, poteva tradursi in una modalità che permettesse di reinventare una
femminilità profondamente segnata dal peso della differenza tra uomo e donna e
immaginare una diversa posizione di potere 74. Tali rivendicazioni però, come dimostra
Teresa De Lauretis, non hanno fatto altro che annullare ancora di più il genere femminile,
già davvero poco considerato come “autonomo”75. Imitando il codice d’abbigliamento
tipico maschile, le donne, oltre che peggiorare ulteriormente il loro “status di oggetto”76,
aumentano l’importanza data alla mascolinità, che diventa il pretesto di un’omologazione
ad un mondo, già, tutto al maschile. Se da una parte, il mondo del cinema degli anni Dieci
e Venti proponeva l’immagine di una femminilità eccessiva, “incarnazione della
sessualità dell’epoca dell’industrializzazione” incentrata sulla seduzione e sul fascino 77
usata al servizio della merce e del piacere dell’uomo78, accresce l’identificazione della
donna con il desiderio, dall’altra parte, la nuova moda femminile della garconne79 dava
inizio a un processo dalla duplice facciata: a) di maschilizzazione delle donne b) di nuovo

72
Vedi Susan Fillin Yeh, Dandies, marginality, and modernism: Georgia O’Keeffe, Marcel Duchamp,
and other cross-dressers, in Sawelson-Gorse (a cura di), Women in Dada, cit., pp. 174-203, ripresa in
L’artista è una donna.
73 L’artista è una donna, pag.77
74
Ibidem, p.82.
75
Teresa De Lauretis, “Soggetti eccentrici”, Feltrinelli, 1999.
76
Ibidem. Nella visione di De Lauretis, ci sono principalmente due fattori ad influenzare i rapporti tra gli
individui, e sono il dominio e la sottomissione: dal punto di vista del rapporto tra i generi, la donna, è
tradizionalmente sottomessa all’uomo, che la considera solo ed esclusivamente come suo prolungamento
e non come individuo autonomo.
77
Giovanna Zapperi, “L’artista è una donna”, ombrecorte, 2014.
78
Ibidem.
79
Terimine francese che designava le donne vestite secondo la moda androgina degli anni Venti.
spunto erotico per il mondo maschile, la femminilità portata dall’industria del cinema
imponeva, ora, l’immagine di una femminilità sessualmente ambigua e travestita,
sfruttando il potenziale di seduzione della donna emancipata e potenzialmente lesbica. Il
risultato che ne consegue è dare ancora più consapevolezza, autorità e potere al genere
maschile. “L’umanità è maschile” e “l’uomo definisce la donna […] in relazione a sé
stesso; non è considerata un essere autonomo. […] Egli è il Soggetto, l’Assoluto; lei è
l’Altro”, dice Simone de Beauvoir nel 1949 in, Il secondo sesso80. Se non altro, il
fenomeno del cross-dressing ha sicuramente mostrato come, in realtà, i generi siano
qualcosa di costruito, e ha fatto ragionare su quanto ancora poco si sappia della
soggettività cosciente delle persone. Nel 1929, Virginia Woolf pubblicava il romanzo
Orlando, un personaggio che esprime la sua ambivalenza tra maschile e femminile
essenzialmente attraverso gli indumenti che indossa; in quegli anni la trasgressione dei
codici vestimentari era il segno più evidente dell’emancipazione femminile, e in alcune
donne, che per la prima volta accedevano a professioni fino ad allora riservate agli
uomini, sorsero delle angosce derivate dalla loro indipendenza e da un’immagine più
tradizionale della femminilità. A partire dalla sua esperienza clinica, una psicanalista
inglese, Joan Riviere, formula l’ipotesi di una femminilità utilizzata come “maschera”.
Analizzando la condizione di alcune donne di successo nella sfera professionale, era
emersa dai loro comportamenti la costante preoccupazione di apparire mascoline e
dunque poco attraenti agli occhi degli uomini; questa angoscia sfociava nell’esibizione di
una femminilità esacerbata ed eccessiva. In questo caso, spiega la Riviere, “La
femminilità, poteva così essere assunta e portata come una maschera da donne
preoccupate a nascondere la loro parte maschile per evitare le rappresaglie cui
sarebbero andate incontro una volta smascherate […]”81. Nonostante la raggiunta
indipendenza sul piano materiale e il successo ottenuto, queste donne esibiscono una
civetteria eccessiva in presenza di uomini, come se fossero costrette a riparare i danni
causati dal loro successo. Nella mascherata, secondo Joan, la donna imita una femminilità
percepita come normativa e autentica, come se il successo rappresentasse un tradimento
nei confronti della loro natura di donna. Negli anni Venti, dunque, la linea di
demarcazione tra maschio e femmina appariva ormai instabile; molti specialisti, tra cui la

80
Teresa De Lauretis, “Soggetti eccentrici”, Feltrinelli, 1999.

81
Giovanna Zapperi, “L’artista è una donna”, ombrecorte, 2014, p. 85.
già citata, Joan Riviere, avevano rivelato il modo in cui la soggettività e la sessualità
svolgevano un ruolo centrale nella formazione delle identità. Sebbene le donne avessero
ottenuto nuove libertà, la società diventava più maschile che mai, la valorizzazione della
mascolinità andava definendosi in modo sempre più rigoroso82. Tuttavia, se le donne,
adesso, potevano sperimentare entrambi i generi “femminile” e “maschile” attraverso gli
indumenti, eguale questione non si poteva di certo dire per gli uomini 83. Tutto ciò che
trasgrediva una netta ripartizione dei ruoli sessuali era percepito come un pericolo e
considerato come un comportamento perverso. Il travestimento maschile era associato
all’omosessualità, non solo, era inoltre percepito come disturbo da curare. Il cross-
dressing veniva associato alla transessualità per le donne, e come transessualità o
feticismo (più quest’ultimo) per gli uomini84. Il transessualismo, spiega Marjorie Garber
in Interessi truccati, è una manifestazione del cross-dressing e delle angosce da binarismo
tipica del XX secolo, oggi la chiameremmo “transgenderismo”85; si riferisce spesso anche
all’omosessualità, ma oggi come dimostra Lorenzo Bernini in Le teorie queer, le
preferenze sessuali stanno ampliandosi sempre di più e vertono fondamentalmente tutte
sul concetto di “artificialità di genere”86. Ed è proprio questo concetto su cui vorrei porre
l’attenzione. “Secondo le stime dell’International Foundation for Gender Education, sei
americani su cento sono “cross-dresser” mentre (solo) uno su cento è transessuale”87.
Garber afferma che la fusione di “travestito” con “gay e lesbica” è in sé questione di
contingenza storica. Ciò non significa che non li si debba considerare intersecati tra loro,
solo, non sempre. Sottolineare questa questione è importante per il mio lavoro, in quanto,
si impegna di proporre il travestitismo e il cross-dressing come fenomeno artistico
rivoluzionario ciritico-sociale, dunque non come rivendicazione dei soli diritti
omosessuali, bisessuali, pansessuali, transgender, (per quanto assolutamente molto
importanti e comunque inclusi all’interno della mia causa) bensì, come manifestazione di
protesta contro ogni tipo di oppressione: binarismo di genere e i ruoli ad esso connessi,
razzismo e differenze di classe, stereotipi e “etichettature”, gerarchie istituzionali,

82
Giovanna Zapperi, “L’artista è una donna”, ombre corte, 2014.
83
Ibidem.
84
Vedere 1. Capitolo Primo.
85
Lorenzo Bernini, “Le teorie queer”, un’introduzione, Mimesi Edizioni, 2021.
86
Argomento trattato da Judith Butler, filosofa post-strutturalista statunitense.
87
Marjorie Garber, “Interessi truccati”, Giochi di travestimento e angoscia culturale”, Raffaello Cortina
Editore, 1994.
storicamente e culturalmente formatosi, una sorta di forma di protesta a cui tutti i soggetti
possono liberamente aderire. Come illustra Teresa De Lauretis in Soggetti eccentrici, Karl
Marx sostiene che “solo la prospettiva degli oppressi può rivelare i veri rapporti sociali
e portarli a cambiare”88. Immaginiamo, ora, l’arte del travestitismo al pari di una
qualsiasi opera concettuale provocatoria. Potremmo paragonarla all’orinatoio rovesciato
alla mostra della “Society of Independent Artists” del 1917 in America, ad esempio, o a
un escremento posto all’interno di una scatoletta, o più, o in nessuna, del 1961. Qui,
radicale è già l’atto di infrangere le regole di differenziazione dei generi indossando abiti
del sesso opposto, o addirittura, di dubbia identificazione, ma ancor più rivoluzionaria è
la trasformazione di tale pratica come stile di vita, e concezione artistica: corpi viventi
come opere d’arte prolungate nello spazio e nel tempo, corrente post-strutturalista89 che
si impegna a far ragionare sul reale concetto di identità e soggettività.

L’interruzione, l’atto sconvolgente della messa in discussione, è […] esattamente il luogo, e il ruolo, del
travestito […].

MARJORIE GARBER, “Interessi truccati”

88
Teresa De Lauretis, “Soggetti eccentrici”, Feltrinelli, 1999.
89
Corrente che si propone di oltrepassare (non contrapporsi), di evolvere, lo strutturalismo, dichiarando,
con Nietzsche, la morte dell’Uomo e del Soggetto. Evidenzia una rinascita della differenza, della
singolarità e dell’Alterità. Lo strutturalismo sostiene che gli elementi non abbiano valore funzionale
autonomo, bensì, lo assumono nelle relazioni oppositive e distintive degli stessi elementi tra loro.
2.2 RROSE SÈLAVY

Nel 1921, Marcel Duchamp, fa la sua prima apparizione come Rrose Selavy attraverso
due serie fotografiche scattate da Man Ray, suo stretto collaboratore. Il nome appare già
nel 1920 come firma di un’opera dell’artista: “Fresh Widow COPYRIGHT ROSE
SÈLAVY”. Mettendo in evidenza il “copyright”, Duchamp indica la prossimità dell’alter-
ego con gli ambiti dell’industria e del commercio, vicinanza già dimostrata con
l’abbandono della pittura in favore dei ready-mades 90. “L’opera d’arte è già vedova della
pittura e attraverso il quadro non si vede più niente”91. Giovanna Zapperi, in L’artista è
una donna, in cui parla della modernità di Duchamp, spiega questo peculiare personaggio
perfettamente. L’autrice spiega che nel 1920 il nome è scritto solo con una “r” ma
prenderà la sua forma definitiva l’anno seguente. Attorno al nome di questa figura così
enigmatica vi sono diverse giustificazioni; la prima è che potrebbe essere l’anagramma
di “Eros”, dove la doppia R sta a rafforzare il significato erotico del personaggio; l’altra
rimanda, invece, al contesto franco-americano in cui si trovava l’artista nel 1920, data
importante, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, per la storia delle donne e del
movimento femminista, le quali si vedono, per la prima volta dopo un decennio di
rivendicazioni, autorizzate a partecipare alla vita politica del proprio paese attraverso il
diritto di voto. Questo alter-ego, incarna infatti alla perfezione lo stile di vita delle donne
americane di quegli anni, moderne e indipendenti. Il nome, Rose, veniva spesso utilizzato
dall’industria cosmetica per presentare i suoi prodotti, nome di un fiore, simbolo di
bellezza; Dunque, questa figura femminile potrebbe essere anche legato ai consumi, altro
aspetto importante di modernità92. L’America, affascinata dalla Francia, paese in cui si
coltiva bellezza e seduzione, presentava i prodotti di bellezza come emanazione di quella
stessa cultura, più avanti, infatti, l’immagine di Rrose Sélavy verrà presentata su un
profumo allora in voga, ma non di certo per elogiare la bellezza. Il tutto parte
dall’intenzione di Duchamp di cambiare identità, pensava inizialmente di prendere un
nome ebraico:

“Volevo, in effetti, cambiare identità, e la prima cosa che mi venne in mente è stata quella di
adottare un nome ebreo - io ero cattolico -, e passare da una religione all’altra sarebbe già stato
un bel cambiamento! Ma non trovai un nome ebreo che mi piacesse, così all’improvviso ebbi
un’idea: perché non cambiare sesso? Era molto più semplice! E così è nata Rrose Sélavy. Forse
ora può sembrare un bel nome, perché anche i nomi cambiano con le epoche, ma nel 1920 Rrose
era un po' stupido”93.

90
Oggetti riprodotti in serie che l’artista ripropone come opere d’arte.
91
Giovanna Zapperi, “L’artista è una donna”, La modernità di Marcel Duchamp, ombre corte, 2014.
92
Ibidem.
93
Ibidem, p. 53.
Andrè Gervais, dice la Zapperi, spiega che “Rose” era un nome molto diffuso tra le
famiglie ebree emigrate negli Stati Uniti, indicava in modo specifico un’identità franco-
ebraica. L’alter-ego di Duchamp è dunque simultaneamente ebrea, americana e francese.
Oltre che assomigliare alla situazione in cui si trovava lo stesso artista, in quanto cittadino
francese fuggito dalla Grande Guerra e, ora, residente negli Stati Uniti, Rrose sembrava
ricordare l’esilio di numerosi ebrei alla ricerca di nuove opportunità nel continente
americano. Perché Duchamp sceglie proprio un nome ebreo e non un nome femminile
qualsiasi? Con l’intensificarsi dell’antisemitismo, si afferma con prepotenza lo stereotipo
dell’ebreo come uomo sprovvisto di virilità e per questo motivo assimilabile alla donna.
Gli ebrei assunsero, così, la funzione di controtipo, affiancati dagli omosessuali e dalle
donne. “donne ed ebrei si distinguono per via della loro mancanza di individualità e per
la loro incapacità di percepirsi come individui al di là della comunità”, dice Otto
Weininger94 in uno dei suoi luoghi comuni razzisti e discriminatori. Quest’ultimo in Sesso
e carattere descrive ebrei, donne e omosessuali come delle creature lussuriose e
ambivalenti, incapaci di controllarsi e per questa ragione egli pensa che debbano essere
sottomessi, in quanto tutte e tre le categorie rappresenterebbero la negazione di tutte le
virtù positive maschili. Nel teatro e nella letteratura a cavallo tra XIX e XX secolo, i
personaggi ebrei erano spesso rappresentati come dei travestiti che soffrivano di una
patologia psichica, a metà tra maschile e femminile 95. Duchamp, aveva “maniere
distaccate e affascinanti”, un “atteggiamento da intellettuale”, “il fascino emanato dalla
sua persona era associato all’indifferenza”96, queste qualità avvicinano Duchamp alla
figura del dandy cui si ispira il culto di sé. Il dandy è una figura potenzialmente
trasgressiva della differenza tra i sessi. Il dandy è infatti un uomo, quasi sempre celibe,
che fa della propria singolarità una forma di spettacolo, e nel diventare oggetto dello
sguardo finisce con lo scivolare pericolosamente verso la femminilità. “Una donna deve
costantemente guardarsi. È quasi costantemente accompagnata dalla propria immagine
di sé […] Gli uomini guardano le donne. Le donne si guardano essere guardate. […] la

94
Autore di “Sesso e carattere”, scritto nel 1903. Parla di un nesso esistente tra l’ebreo e l’essere
femminile. Giovanna Zapperi, “L’artista è una donna”, La modernità di Marcel Duchamp, ombre corte,
2014.
94
Ibidem.
95
Questione trattata anche da Marjorie Garber in “Interessi truccati”
96
Giovanna Zapperi, “L’artista è una donna”, La modernità di Marcel Duchamp, ombre corte, 2014, p.
17
parte della donna che si osserva è maschile: la parte che si sente osservata è femminile.
Così la donna si trasforma in oggetto e più precisamente in un oggetto di visione: una
veduta”.97 Sappiamo inoltre, secondo quanto illustra Giovanna Zapperi, che Marcel si
rifiutò di partecipare alla guerra, il quale era un chiaro invito alla virilità; gli uomini che
rifiutavano di combattere correvano il rischio di venire percepiti come decadenti e
omosessuali. Sappiamo inoltre che l’indifferenza nei confronti degli altri emerge come
uno dei tratti distintivi, in generale, del dandy, e nello specifico dello stesso Duchamp. La
figura del dandy ha con l’arte un determinato rapporto che si fonda sul disprezzo nei
confronti delle convenzioni. Partendo da tutte queste premesse, Marcel Duchamp, decide
di ripensare il suo ruolo di cittadino e soprattutto di artista in quanto maschio e ridefinire
la sua identità, inventando, rappresentando, e prendendo le parti del personaggio, Rrose
Selavy. Duchamp sceglie di incarnare l’Altro98, la donna in quanto oggetto di desiderio e
in quanto immagine. In perfetta conformità con i dettami della seduzione femminile
dell’epoca, molto vicina a quella della “femme fatale” proposta dalla cultura di fine XIX
secolo, l’artista esibisce una femminilità eccessiva e circondata da un’aura di mistero.
“Porta un copricapo di piume da cui spuntano i riccioli di una parrucca che gli adornano
il viso, mentre il collo è ornato da una doppia collana di perle. Sembra indossare un
cappotto o un abito dal tessuto pesante, chiuso sul collo da una vistosa spilla”99. Sono
conservate almeno tre versioni, diverse tra loro essenzialmente dall’espressione del viso
di Duchamp. In una di queste, in una posa di tre quarti, Marcel sembra lanciare uno
sguardo di sfida allo spettatore, quasi a trattarsi di una provocazione.100 Nella versione
dedicata, per Belle Heleine101, l’artista appare fortemente truccato; presenta un aspetto
teatrale e uno stile che riprende le note orientaleggianti tipiche degli anni Dieci. Nella
seconda serie è inquadrato dal copricapo e dalla pelliccia stretta attorno alle spalle in gesto
apertamente seduttivo; il tipo di cappello che indossa presenta delle forme maschili

97
Dice Jhon Berger in “Ways of Seeing”. Citazione su cui argomenta Teresa De Lauretis in “Soggetti
eccentrici”.
98
Teresa De Lauretis, “Soggetti eccentrici”, Feltrinelli, 1999.
99
Giovanna Zapperi, “L’artista è una donna”, La modernità di Marcel Duchamp, ombre corte, 2014, p.
60.
100
Ibidem, p.61.
101
Manipolazione del flacone di un famoso profumo dell’epoca, che presentava l’immagine Duchamp
nelle vesti di Rrose Selavy. Voleva deridere il modo in cui la personalità mediatica viene utilizzata al
servizio della merce. “Belle Heleine” fa riferimento all’operetta di successo di Jacques Offenbach, Belle
Hèléne. Duchamp ironizza sia sull’uso dei nomi di donne celebri a fini commerciali, che sull’ideale di
bellezza femminile reso iconico per l’appunto dalla mitica Elena di Troia.
riadattate alla moda femminile di quegli anni, attributo essenziale della moda androgina
dell’epoca102; lo stile e la pettinatura risultano questa volta ben più moderni: taglio alla
maschietta e cappello a bombetta103. Suggerendo la posa di una star del cinema Duchamp
rappresenta chiaramente l’immagine della donna moderna. La seconda immagine di
questa serie sarà quella più somigliante allo stereotipo della donna seducente degli anni
Venti che tenta di imporsi attraverso la cultura di massa. L’esponente della corrente
dadaista voleva rappresentare, minuziosamente e sfacciatamente la donna americana
moderna, intelligente e provocante, una minaccia da abbattere agli occhi degli uomini.
La donna americana degli anni Venti ricorre alla sessualità per occupare una posizione
che non le spetta, quella del potere dell’uomo, e per questa ragione i suoi sforzi vengono
immancabilmente puniti, e la legge della dominazione maschile inevitabilmente
ristabilita, il ruolo che le resterà assegnato sarà quello di essere desiderio. L'artista sceglie
consapevolmente di imitare le pose tipiche del ritratto femminile che si stava affermando
all’epoca, si ispira alla pubblicità per farlo, facendo esplicitamente riferimento al nesso
tra la donna, la fotografia e la merce. Voleva abbattere quel topos antico quanto l’arte
stessa per cui l’artista, individuo unico, universale e maschile, è il creatore per eccellenza
e la donna è il soggetto rappresentato, strumento e oggetto di desiderio, e per farlo rivolge
la sua attenzione a una concezione dell’arte completamente diversa, portando avanti la
lotta contro il capitalismo che aveva già iniziato con l’abbandono della pittura e
l’introduzione dei ready-mades, diretta provocazione al mercato dell’arte. Duchamp
evidenzia le movenze, le pose, l’abbigliamento e la civetteria di Rrose Selavy per criticare
sottilmente le donne degli anni Venti e ricordare loro quanto vani siano quei tentativi di
emancipazione se ci si accontenta di rispecchiare i canoni richiesti dai media per ricevere
affermazione e notorietà, e allo stesso tempo, critica l’affannoso tentativo degli uomini di
rispecchiare il paradigma di mascolinità richiesto per garantirsi l’onorabilità tanto
bramata. Tuttavia, questo alter-ego fa sorgere delle riflessioni molto importanti. Per la
prima volta, un individuo maschile, autonomo, è diventato donna, una merce, e una
fotografia stampata sulla copertina di una rivista illustrata. Ho già accennato quanto
indecoroso fosse, per un uomo, andare oltre i criteri di mascolinità imposti dalla società,
dunque, il suo gesto così sovversivo, e radicale, mette in luce parecchie questioni sulla

102
Dice Giovanna Zapperi, “premuto sulla testa, semplice e sobrio, questo rompicapo rappresenta un
segnale di uniformizzazione e di mascolinizzazione”.
103
Giovanna Zapperi, “L’artista è una donna”, La modernità di Marcel Duchamp, ombre corte, 2014.
concezione del genere che si era definita fino ad allora. Nel 1929, come ho descritto nel
capitolo precedente, le teorie di Joan Riviere mettono in luce il concetto di “femminilità
come mascherata”. Le donne moderne, preoccupate, a causa del loro successo
professionale, di risultare poco attraenti agli occhi degli uomini, finivano per mettere in
scena una femminilità esacerbata. Sotto questo punto di vista, Rrose Selavv, diventa una
prova a sostegno di questa tesi: come abbiamo visto non è un caso che rappresenti proprio
la donna americana, ritenuta dallo stesso Duchamp la più intelligente al mondo di quegli
anni, è tanto in gamba e autorevole da firmare le stesse opere dell’artista con la sigla
“RS”, eppure, allo stesso tempo, mostra una civetteria eccessiva, facendola rimanere in
bilico tra emancipazione e oggettivazione mercantile. Ad accompagnare la tesi della
psicanalista, dando degli spunti ancora più specifici, è Judith Butler, una filosofa
statunitense degli anni Cinquanta, la quale sostiene che nel momento in cui un individuo
inverte il suo ruolo attraverso il travestimento mette automaticamente in discussione
l’autenticità di genere, l’essere maschile e l’essere femminile, con l’effetto di svelare la
loro artificiosità. Dice a proposito: “Imitando il genere, il drag rivela implicitamente la
struttura imitativa del genere stesso nonché la sua contingenza”.104 Secondo la Butler il
genere non è pensabile al di fuori dei gesti e delle azioni che lo costituiscono in quanto
non ha un originale, è esso stesso travestito. Argomenta la sua teoria asserendo che al
centro di ogni processo di identificazione vi è l’imitazione di convenzioni sociali per la
quale non vi è un reale fondamento, si tratta esclusivamente di un ideale. Dunque, in
questo caso Rrose Selavy mette in scena l’imitazione dell’imitazione di una femminilità
idealizzata105. Sotto queste osservazioni, pertanto, il travestitismo diventa una maniera
per esprimere una certa artificialità del soggetto.

104
Judith Butler, Scambi di genere, cit., p.193. Nota ripresa da Giovanna Zapperi in L’artista è una
donna.
105
Giovanna Zapperi, “L’artista è una donna”, La modernità di Marcel Duchamp, ombre corte, 2014.
2.3 TRAVESTITISMO

Abbiamo visto nel primo capitolo la versione che la psicoanalisi dà del travestitismo, in
particolare quella di Freud. Viene da lui considerato il risultato dell’omosessualità,
ovvero una tendenza causata da uno sbagliato sviluppo della passione edipica, all’epoca,
ancora, ritenuta come una malattia da arginare. Macalpine e Hunter, a seguito del “caso
Schreber”106, confutano le conclusioni di Freud sopra citate. Entrambi sostengono che a
fare “ammalare” il paziente non sarebbe la sua omosessualità inconscia, bensì, la sua
angoscia e la sua depressione in termini di incertezza sulla sua stessa identità107. La
dissimmetria sociale, dice Marjorie Garber si nota in parecchie occasioni:

[…] desiderare di essere un uomo è considerato “naturale” o di livello superiore, desiderare di


essere una donna è perverso.

Oltre a far riferimento alla Drag, spesso, come già citato, erroneamente vista come
feticismo legato all’eccitazione sessuale provata nell’immedesimarsi nel sesso opposto,
o semplicemente considerato come “sentirsi nel corpo sbagliato”, il travestitismo
raggruppa diverse pratiche che vedono un individuo prendere le parti di personaggi,
esistenti o di fantasia, diversi dalla propria persona o identità, attraverso vestiti, costumi,

106
Il presidente della Corte d’Appello Daniel Paul Schreber soffriva di una peculiare mania: era convinto
che trasformandosi in donna avrebbe potuto redimere il mondo. Del suo caso furono analizzate solo le sue
Memorie, pubblicate nel 1903. Il cross-dressing figurerebbe in modo preponderante nella fantasia
maniacale di Schreber. Egli ci dice che si libera di connotati maschili quali baffi e barba e prova piacere
per “oggetti da toilette femminile, per occupazioni femminili, nella tendenza a denudarsi e a osservarsi
allo specchio, e a ornarsi come una donna […]”. Marjorie Garber, “Interessi truccati”, Giochi di
travestimento e angoscia culturale”, Raffaello Cortina Editore, 1994
107
Ibidem.
make-up o maschere. Elsa von Freitag-Loringhoven, un personaggio fuori dalla norma
della New York dei primi anni del Novecento, sfoggiava un guardaroba decisamente
stravagante: adornata da una serie di oggetti meccanici, la testa rasata, il viso dipinto, un
francobollo incollato sulla guancia e cucchiai da tè usati come orecchini 108, si presentava
agli eventi pubblici senza timore alcuno, anzi, mostrando un comportamento disinvolto e
disinibito. Fotografata da Man Ray in diverse occasioni, in particolare per la rivista “New
York Dada”, diventa per molti artisti fonte di ispirazione. Il travestitismo introduce quello
che Marjorie Garber chiama, il “Terzo sesso”109. “Tre mette in discussione l’idea di uno:
di identità, di autosufficienza, conoscenza di sé”.110 Il terzo, decostruisce il binarismo, il
sé e l’Altro. Il terzo, appartiene ad un sesso a parte, che non ha ancora nome. Il terzo, è
qualcosa che sfida la possibilità di una simmetria binaria armoniosa e stabile.

La Garber in Interessi truccati, sostiene che i critici abbiano la tendenza ad appropriarsi


del cross-dresser come se fosse uno dei due sessi, e questo secondo lei distoglie lo sguardo
dal travestito in quanto tale. L’autrice invita, pertanto, a non vedere il cross-dressing e il
travestitismo, come mascolinità o femminilità mancate, per ragioni sociali e culturali che
siano, perché ciò potrebbe “sottostimare” l’oggetto 111. Il travestitismo svolge
un’importante funzione in ambito culturale, ovvero, indica il luogo di ciò che Garber

108
Giovanna Zapperi, “L’artista è una donna”, La modernità di Marcel Duchamp, ombre corte, 2014.
109
Marjorie Garber, “Interessi truccati”, Giochi di travestimento e angoscia culturale”, Raffaello Cortina
Editore, 1994. Il terzo sesso non è androgino, non è ermafrodito, semplicemente, non ha termine, è uno
spazio del possibile.
110
Ibidem, p.13.
111
Ibidem, p. 12.
chiama “categoria della crisi”, svolgendo e richiamando l’attenzione sulle dissonanze
culturali, sociali o estetiche. La categoria della crisi e il conseguente “effetto travestito”112,
mettono a fuoco l’angoscia culturale e sfidano gli interessi truccati113, ovvero quelle
convenzioni “comode” alla società, e agli individui, in quanto ad essa appartenenti. Il
travestitismo è, pertanto, uno spazio in cui tutto è possibile, che struttura e disorganizza
la cultura. Marjorie lo considera “l’imprevisto elemento di disordine”, non soltanto per la
categoria della crisi di maschile e femminile, ma la crisi della categoria in sé. Questo
spettro marca e sovradetermina quello spazio di angoscia che ha per oggetto la fissità e la
mutabilità delle identità, la commutabilità o assenza di sé. Trasgredire un ordine dei limiti
voleva dire mettere in discussione l’inviolabilità di entrambi e dell’insieme dei codici
sociali. Forse è per questo motivo che tante persone considerano il travestitismo come
aberrante, pericoloso e terrificante, il lui/lei che mette in atto tale pratica, sta incarnando
la crisi dell’ordine in sé.114 La destabilizzazione delle categorie può creare, dunque, un
effetto psicosociale: il cross-dressing e il travestitismo possono essere considerati
divertenti o funzionali fintanto che occupano uno spazio liminare e un arco di tempo
contenuto115. Ciò spiegherebbe perché nel corso dei secoli, il travestitismo sia stato
praticato solo en travesti116 dagli attori entro i limiti della scena teatrale 117, o come
escamotage a determinate forze sociali ed economiche in romanzi di letteratura o, ancora,
nel cinema: i personaggi sarebbero qui, a meno che non si tratti della vita biografica di
noti casi di transgenderismo 118, costretti a cambiare identità come via di fuga da situazioni
non favorevoli, costretti, dunque, ad abbracciare controvoglia questa pratica come
strategia strumentale119. O ancora, sarebbe stato praticato solo in versione carnevalesca,

112
Come lo nomina la Garber.
113
Marjorie Garber, “Interessi truccati”, Giochi di travestimento e angoscia culturale”, Raffaello Cortina
Editore, 1994.
114
Ibidem, p. 37.
115
Ibidem, p.69
116
“Costume” o “Travestimento” per gli spettacoli teatrali o di lirica.
117
Ibidem, p. 68.
118
Termine adottato da Lorenzo Bernini in Le teorie queer, un’introduzione, del 2021. Un esempio
potrebbe essere The Danish Girl, film scritto da David Ebershoff e diretto da Tom Hooper, che vede
come protagonista un giovane uomo degli ’30, interpretato dall’attore Eddie Redmayne, felicemente
impegnato in una relazione, con la predilezione a indossare abiti femminili. Dopo aver provato a recitare
la sua identità femminile attraverso gli indumenti in pubblico, si ritrova a voler ricorrere ad un intervento
chirurgico per la rimozione degli attributi maschili e diventare finalmente donna a tutti gli effetti.
119
Marjorie Garber, “Interessi truccati”, Giochi di travestimento e angoscia culturale”, Raffaello Cortina
Editore, 1994, p. 68.
o ludica, da attori di sesso maschile, per esempio negli anni Venti120. Sin dalla Grecia
classica, il travestitismo svolge una parte importante nella scena teatrale, si può dire che
sia una parte integrante fondamentale della definizione che si ha del teatro. L’autrice,
sempre in Interessi truccati, parla ampiamente della questione attraverso la descrizione e
l’analisi delle compagnie teatrali shakespeariane d’epoca moderna e contemporanee.
Afferma che le due pratiche sono correlate non soltanto “storicamente” o “culturalmente”,
ma anche psicoanaliticamente attraverso l’inconscio e il linguaggio. Il fenomeno del
cross-dressing all’interno della rappresentazione teatrale può essere, forse, non soltanto
una maniera di commentare l’angoscia prodotta dai ruoli di genere nella cultura moderna,
ma anche una formazione reattiva: il ritorno al problema della rappresentazione che è
sottesa al teatro. In molte epoche il travestimento fu legislativamente proibito nella
recitazione, premettendo che le donne per secoli non hanno potuto esibirsi, gli uomini
dovevano interpretare anche i ruoli femminili, e ciò creava in molti un certo disagio. I
personaggi shakespeariani sono rivoluzionari perché sono “sospesi tra maschile e
femminile121”, per questo motivo hanno spesso subito censure. Tuttavia, il teatro
travestito è stato un fenomeno comune, e non condannato, in molte culture. Una delle
funzioni culturali del travestito è precisamente di segnalare lo slittamento da classe a
genere, da genere a razza, o religione122. Il travestito spiega Marjorie Garber, rimanda a
sé stesso, è tanto il significante quanto ciò che significa l’indecidibilità della
significazione. “Il travestito […] è qui e altrove allo stesso tempo”.123 Il travestito ha il
potere di sconvolgere premesse, strutture e gerarchie, e metterebbe dunque in luce
l’angoscia moderna relativa al genere e ai ruoli di genere come intrappolamento, per non
parlare di tutte le forme di discriminazione, classe, razza, orientamento sessuale,
religione124, che garantiscono una buona dose di oppressione. Per artisti come Duchamp,
Wharol e Mapplethorpe, la figura del travestito, e soprattutto dell’artista come travestito,
suggeriva le condizioni per “l’aprirsi di un modo di pensare, di possibilità 125”. Il
travestito sarebbe dunque così inteso come possibilità di rottura e riconfigurazione
dell’Immaginario culturale. Le convenzioni gotiche codificavano il travestitismo,

120
Giovanna Zapperi, “L’artista è una donna”, La modernità di Marcel Duchamp, ombre corte, 2014.
121
Ibidem, p. 45.
122
Ibidem, p. 42.
123
Ibidem.
124
Ibidem, p. 236.
125
Ibidem, p. 176.
attraverso uno sviluppo letterario, come figura di trasgressione erotica e religiosa; questo
scenario ha luogo a seguito dall’anticattolicesimo e di specifiche fantasie protestanti.
Questa caratteristica spiega, in effetti, il tuttora visibile, concetto di esagerazione che sta
dietro a tutta la pratica del cross-dressing e del travestitismo. I connotati messi in risalto
sono in effetti la parodia dei generi. Questa è l’estetica del travestitismo, desacralizzare e
mettere in ridicolo delle concezioni che risultano senza un reale fondamento. Il travestito
è una figura eccentrica. Di questo aggettivo Teresa de Lauretis, dà una definizione che
potrebbe spiegare questo spettro alla perfezione. Secondo l’autrice, il soggetto eccentrico
risponde e resiste contemporaneamente ai discorsi che lo interpellano e sfugge alle
proprie determinazioni sociali. È un soggetto capace di disaffiliarsi dalle sue stesse
appartenenze e conoscenze acquisite. È in grado, dunque, di disidentificarsi dalle
formazioni culturali dominanti ma anche di adottare un atteggiamento critico e
autodislocato rispetto a quelle minoritarie con pretese egemoniche. L’eccentrico è tale
rispetto al campo sociale, ai dispositivi istituzionali, al simbolico e al linguaggio, sa
costituirsi nel corso di una storia sempre in fieri, in un processo di interpretazione e di
riscrittura di sé a partire da un’altra cognizione del sociale, della cultura e della
soggettività.126

126
Teresa de Lauretis, “Soggetti eccentrici”, Feltrinelli, 1999.
2.4 CINDY SHERMAN

Negli anni Settanta, Cindy Sherman, artista statunitense, attua con gli “Untitled Film
Stills” un processo analogo a quello di Marcel Duchamp analizzato nel secondo paragrafo
del secondo capitolo. Critica gli artisti, i critici e i collezionisti contemporanei, non solo,
confessa di essere disgustata dal mondo dell’arte in generale 127. Sviluppa un interesse per
l’oscuro, il brutto, l’orrido, quasi a voler rappresentare i lati repulsivi e violenti di una
America, ormai, tutt’altro che intatta. Anche lei, come Duchamp, va contro il mercato
dell’arte, e le sue opere sono state pensate all’inizio per sembrare a basso costo e volgari,
non voleva assolutamente che sembrassero “arte”. Si serve della fotografia per
immortalarsi nelle vesti di vari personaggi del cinema americano e europeo, riuscendo
con abilità a restituire una versione allo stesso tempo parodica, e intrigante. Sostiene che
il mondo dei media, con i loro target, e con i loro schemi, costringano gli individui a
costruire la loro identità in una determinata maniera, dunque tramite l’esagerazione, la
parodia e un tocco di cinismo espone gli aspetti artificiali e implausibili di questi
modelli128. Ancora una volta ci si può ricollegare alle teorie di Joan Riviere e Judith
Butler, di cui la Sherman ha sicuramente sentito parlare: la sua non è più un auto-
interrogazione, il suo interesse si riferisce al mondo esterno, alla società, è già
consapevole che l’identità non sia basata su fattori insiti al soggetto, e vuole comunicarlo.
Per lei è importante evidenziare l’artificialità delle identità che mette in scena 129, e per
farlo, regala figure orribili, che si possono benissimo interpretare come una chiara
istigazione, minaccia, al mondo mediatico. La sua intera produzione artistica lotta contro
le proiezioni e gli stereotipi storicamente e culturalmente formatosi. Concentrata su
circostanze politiche e sociali, espone l’esperienza del singolo, del sé come esternamente
controllato e costruito. Non si tratta di una personale auto-interrogazione, il suo interesse
è riferito alla società. La promessa di felicità portata avanti per generazioni risulta essere

127
Ingried Brugger, Bettina M. Busse, Paul Clinton, Maren Lubbke-Tidow,The Cindy Sherman effect,
Identity and transformation in contemporary art, cit. Pag. 19, “I’m pretty disgusted, I guess, with the art
world in general. The boy artists, the boy painters, the collectors, they crawl, and climb, and stabbing
each other to the top sort of competition. I don’t know why that work would come out from those
feelings, but I think I wanted to make something that I could’t imagine anybody buying. I dare you to like
this.”
128
The Cindy Sherman Effect, Identity and transformation in contemporary art.
129
The Cindy Sherman effect, Identity and transformation in contemporary art.
falsa130; una mera farsa fatta di identità individuali prescritti strettamente dai “modelli di
ruoli” che circolano nel mondo. Lei introduce elementi destabilizzanti e inquietanti,
unendo le critiche questioni e i problemi del nostro tempo: l’unicità come illusione. Le
sue opere hanno aperto una nuova prospettiva per l’arte, suscitando sgomenti di ogni tipo,
specialmente dagli stessi artisti contemporanei, suoi colleghi. Il suo tema di lavoro è
l’identità e la trasformazione nell’arte contemporanea, interrogando il modo in cui noi
tutti costruiamo le nostre identità nutriti dal sovrastante potere delle immagini provenienti
dalla televisione, dai film, magazines, da internet e dalla storia dell’arte. Con un’ampia
varietà di scenari e personaggi, Sherman mette in evidenza l’artificialità di queste identità,
seguendo le idee e le teorie del tempo che vedono come esponente Judith Butler. Cindy,
da sempre interessata ai film e alla cultura della televisione, si appassiona ai giochi di
ruolo e ai travestimenti molto presto. Durante i suoi giorni da studentessa e i suoi primi
giorni a New York, dà segno della sua ossessione per questi giochi di identità indossando,
per esempio, delle maschere agli eventi pubblici, o andando al lavoro travestita. In campo
artistico iniziò a fotografare prima altri soggetti, e poi decise di usare la propria persona
per immortalarsi in varie pose. Le sue fotografie non sono mai degli autoritratti, ma dei
personaggi fittizi sempre diversi. Con gli Untitled Film Stills, segna l’esordio del tema
dei clichés culturali. Essi consistono in una serie di fotografie; nel corso di tre anni
l’artista produsse settanta foto in bianco e nero, riprendendo figure e arrangiamenti di vari
film, primariamente degli anni Cinquanta. Tutta la serie, come d’altronde tutta la sua
intera produzione artistica, si connette all’arte performativa tipica degli anni Settanta. Le
sue scene, tuttavia, sono performative esclusivamente entro la descrizione della fotografia
stessa; opere, sono qui, le sole immagini, i singoli personaggi che interpreta. Sherman è,
nel suo lavoro, allo stesso tempo, “art director”, “set and costume designer”, fotografa e
attrice, tutto pianificato e curato nei minimi dettagli. In questa serie Cindy recita i clichés
della femminilità, come direbbe Joan Riviere, recita la femminilità come maschera
sociale. Dello stesso tema, è una serie a colori dal titolo “Centerfolds”, in cui riprende lo
stile della nota rivista erotica “Playboy”. Ancora una volta, soggetto della scena è l’artista
truccata nelle vesti di varie donne, fotografate allo stesso tempo, da vari punti di visione
e di lato, in pose reclinate. La serie fu presentata alla Metro Pictures di New York nel
1981, a prezzi però più alti rispetto agli Untitled Film Stills. La serie risultò, agli occhi

130
Ibidem.
degli acquirenti, cruda e scioccante, non in linea, tra l’altro, con l’emergente movimento
femminista dell’epoca131. Le donne da lei interpretate avevano un aspetto spaventoso,
melanconico, disperato, ma allo stesso tempo seducenti e rivolte all’occhio maschile.
Assumendo un atteggiamento distaccato, ma soprattutto disgustato dal mondo dell’arte in
generale132, rivelerà nelle sue opere, un’estetica sempre più enigmatica. Nel 1992 in “The
Sex Pictures”, mostra dei corpi ermafroditi, lembi di carne trasfigurati da violenza; i
colori delle immagini sono ricchi, le foto mostrano corpi mutilati e modelli anatomici che
simulano atti sessuali. La visione che l’artista presenta è conturbante: amputa delle
bambole di plastica e le riassembla in modo innaturale. Poi, posiziona i corpi nudi di
manichini di plastica in lenzuola satinate e li fotografa in pose di sottomissione,
esponendo i genitali alla visione. Questa descrizione ricorda un po' l’hybris trattata nel
primo capitolo, solo che qui, non si tratta di perversione, bensì, di una parodia delle
convenzioni estetiche dell’industria dell’erotismo. Con queste quasi immagini
pornografiche, Cindy Sherman, inscena la drastica rappresentazione e decostruzione dei
modelli sessuali sociali, andando a toccare, ancora una volta, uno degli aspetti della nostra
cultura contemporanea. In molte sue opere, la riconoscibilità delle immagini e delle scene
che ripropone è un fattore importante e su cui lei vuole appositamente porre l’attenzione,
in quanto rende esplicito il suo farsi gioco degli spettatori, offrendo, di quelle stesse
immagini, delle caricature, in questo senso, ne è un perfetto esempio “Virgin and Child”,
che riprende “Madonna of Melun” di Jean Fouquet’s. Nelle foto-serie,
“Hollywood/Hampton Types” e “Society Portraits”, mostra le protagoniste della “upper
class”133 americana e investiga il ruolo delle signore anziane nella nostra società, in cui
l’invecchiamento è visto come processo di disintegrazione della dignità134. Le signore
interpretate dalla Sherman fanno di tutto per preservare la loro giovinezza; il successo
sociale e lo status, significano tutto per loro. Qui l’artista e, a questo punto possiamo dire
anche, attrice, mostra in maniera incredibile le sue doti: dalla capigliatura, al make-up,
dalle espressioni facciali, alle pose; tutto è perfettamente calibrato per rendere

131
Ingried Brugger, Bettina M. Busse, Paul Clinton, Maren Lubbke-Tidow, The Cindy Sherman effect,
Identity and transformation in contemporary art, Schirmer/Mosel, Kunstforum Wien, 2020.
132
Vedere nota 127.
133
Classe superiore.
134
Ingried Brugger, Bettina M. Busse, Paul Clinton, Maren Lubbke-Tidow, The Cindy Sherman effect,
Identity and transformation in contemporary art, Schirmer/Mosel, Kunstforum Wien, 2020.
Vedere nota 127.
l’impressione di un inutile struggimento contro gli anni. L’intera produzione artistica
dell’artista sembra incarnare perfettamente le teorie di Joan Riviere. Con i suoi sempre
cangianti personaggi, Cindy Sherman non solo mette in luce quanto forte sia la nostra
concezione di identità femminile “pre-modellato” dai media, dai secoli dell’arte
Occidentale, dai codici culturali e le conseguenze sociali, ma allo stesso tempo, con
l’aiuto dell’esagerazione, della parodia, della caricatura, espone gli aspetti implausibili e
artificiali di questi modelli.
2.5 TABLEAUX VIVANTS

[…] Ontani stesso è oggetto d’arte […]

GIULIA GIAMBRONE, “Ontani in teoria”135

Negli anni Settanta, in Italia, Luigi Ontani produce i “tableaux vivants”, fotografie di
varie dimensioni in cui egli stesso è il protagonista. In questa serie la sua identità viene
plasmata di volta in volta nelle vesti di un altro soggetto della storia, della religione,
della tradizione popolare o del panorama culturale. Nei primi della serie, il sé rimane
stabile ma nella corazza di un altro sempre differente, trans-migra136. L’azione
migratoria in Ontani è un fattore di fondamentale importanza, ed è dovuta a una ricerca
spaziale dell’Io che le corrisponde. Essa si muove tra i vari generi artistici, si manifesta
caratterizzando tipicamente il soggetto, Giulia Giambrone, In Ontani in pratica e in
teoria, definisce questa migrazione come uno spostamento spazio-temporale e trova le
sue conseguenze più importanti nelle tesi intorno al tema della soggettivazione-identità
e della dialettica Io-Altro, formulate da Jacques Lacan, già citato precedentemente, per
ben altre motivazioni; tuttavia qui presenta delle argomentazioni che giovano alla mia
ricerca. Spostamento temporale, tuttavia, non significa solo viaggio in altre epoche, ma
anche riabilitazione di pratiche artistiche dimenticate. Con spazio geografico non si
intende solo cambiamento dei luoghi ma anche intromissione di pratiche culturali
altre137. Quella di Luigi Ontani è, una ricerca dettagliata sul tema dell’Io, in cui l’essere-
altrove138 trova esplicazione nell’identità migratoria, e nel viaggio, come ampliamento
del sé attraverso una molteplicità di forme. Il viaggio è visto come una fuga verso il
diverso da sé, che Ontani non persegue unicamente lungo l’asse museale della storia
dell’arte, ma anche lungo quello laterale della geografia 139. In Ontani il viaggio appare

135
Giulia Giambrone, Luigi Ontani in teoria, Filosofia, estetica, psicoanalisi nell’opera e nell’artista, I
edizione (Territori della Psiche), Roma, 2019, p. 19.
136
Giulia Giambrone, Luigi Ontani in teoria, Filosofia, estetica, psicoanalisi nell’opera e nell’artista, I
edizione (Territori della Psiche), Roma, 2019, cit. pag. 5: “[...]L’identità rimane la stessa ma compie un
viaggio attraverso una molteplicità di forme. […]”
137
Ibidem.
138
Ibidem, cit. Pag.5, “[...]Identità migratoria dell‘artista dovuta a una ricerca spaziale dell’Io […]”.
“[...]Dialettica Io-Altro […].
139
Giulia Giambrone, Luigi Ontani in teoria, Filosofia, estetica, psicoanalisi nell’opera e nell’artista, I
edizione (Territori della Psiche), Roma, 2019.
dapprima secondo l’accezione di astrazione dalla realtà tangibile e solo in un secondo
momento corrisponde alla fisicità di colui “che s’incammina”140. In questo percorso,
l’identità si trova fuori di sé, estraniata rispetto a sé stessa, e, nonostante ciò, rimane
altrettanto straordinariamente presso di sé grazie all’esercizio brusco, e ripetuto,
dell’alterità che avvolge. Nell'opera, i personaggi storici che l’artista inscena, si
definiscono posizionandosi su un’ipotetica storia umana e culturale. L'artista è
strettamente legato al principio del mutamento: “L’azione morfogena dell’immagine
non è “costituita” dal soggetto, ma “costituente” il soggetto”141. L'idea di identità
percepibile nell’operato di Ontani è la conseguenza di un processo di creazione dell’Io
che viene denominato nella psicoanalisi “soggettivazione”142, infatti, si ricollega alle
teorie di uno psicanalista, psichiatra e filosofo francese chiamato Jacques Lacan 143,
sopra citato, padre della teoria che smentisce il soggetto come monade per identificarlo
al contrario con una molteplicità tendenzialmente inadatta a qualificarlo. Lacan
partendo dalle basi poste da Hegel, Husserl e Heidegger, sostiene che l’Io non
corrisponda mai a un’interiorità totalizzante del soggetto ravvisabile nella singolarità di
un’identità unica e inamovibile. Già con i tre filosofi, si individua l’apertura verso
l’Altro, con la conseguente demolizione del primato dell’Io unico. In quest’ottica l’Io
trova la sua vera dimensione solo nella molteplicità. Lacan spiega che il soggetto,
quando per la prima volta vede il suo riflesso allo specchio non si riconosce: “il
soggetto si vede come un altro, come una fuga, come scisso da sé stesso”144, si trova
dunque sdoppiato tra l’esteriorità dell’immagine di un qualcuno diverso da sé e
l’immagine ideale costituita dall’azione morfogena che ha di sé. Lo psicanalista associa
alla presenza dell’Altro la possibilità del soggetto di costituirsi come una differenza
singolare. Nel rapporto tra Uno e Altro non è presente una confusione, bensì un
rapporto ontologico fondato sulla differenza significante145. La soggettivazione secondo

140
Ibidem.
141
Ibidem, cit. p. 24.
142
Massimo Recalcati, Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Raffaello Cortina, Milano
2012, tenuto costantemente presente da Giulia Giambrone in Ontani in teoria, capitolo Identità e
identificazione.
143
Giulia Giambrone, Luigi Ontani in teoria, Filosofia, estetica, psicoanalisi nell’opera e nell’artista, I
edizione (Territori della Psiche), Roma, 2019.
144
Ibidem, 28.
145
Giulia Giambrone, Luigi Ontani in teoria, Filosofia, estetica, psicoanalisi nell’opera e nell’artista, I
edizione (Territori della Psiche), Roma, 2019.
la teoria lacaniana è un processo continuo che rende il soggetto in fieri nella sua
formazione, e si differenzia dalle altre teorie riguardanti il soggetto per il suo carattere
di “continua possibilità”, che scardina ogni concezione deterministica della soggettività
in favore di una possibilità contingente del soggetto. Detto ciò, questa teoria implica la
personificazione da parte di Ontani di numerose identità. Tutta l’opera di Ontani è
paragonabile a un continuo guardarsi allo specchio, ma in uno specchio che da un lato,
riconosce il riflesso di chi si guarda, dall’altro, restituisce un’immagine diversa e non
corrispondente146. Nel definire l’identità, l’Io è solo metà della matrice che lo
costituisce. Il rapporto tra Io e Totalità si pone sottoforma di molteplici identificazioni, e
l’artista stesso diventa tramite vivente della dimostrazione della duplicità della natura di
ogni soggetto147. Nel rapporto con l’Altro il corpo funge da intermediario simbolico che
Ontani esalta con l’atto della performance creando quasi un rituale. Nell'artista la
performance è ricerca dell’equilibrio tra Io e Altro: il corpo fisico diventa simbolo che
assolve la funzione di tramite del significato: “Il corpo è il centro di quell’irradiazione
simbolica, per cui il mondo naturale e sociale si modella”148, si tratta di un corpo
comunitario. Il corpo può fare esperienza del proprio sé attraverso il contatto con la
collettività, in questo senso esso si rivela essere il mediatore fra intimità dell’Io e
l’esteriorità del mondo. “Ogni esperienza è il riflettersi del mondo nell’Io e il
modificarsi dell’Io per effetto del suo rapporto col mondo”149. L'alterità è dunque per
Ontani la condizione necessaria per il mantenimento della soggettività nell’identità.
“[…] ciò che si riscontra in Ontani”, dice Giulia Giambrone, “è un atteggiamento di
paradossale avvicinamento alle masse."150 Questa versione, pur ricollegandosi alle
teorie sul narcisismo descritto da Freud, trova in Ontani in teoria una plausibilità
lontana dalla perversione e da quella versione malata di narcisismo, riproponendo,
invece, una versione che potrebbe ampliare la conoscenza sui rapporti veri e propri tra
Uno e Altro. Possiamo considerare l’opera di Ontani una sorta di avvicinamento del sé
con personaggi provenienti da tutto il globo, da tutte le epoche, tra mondo reale e
mondo fantastico dei racconti e dei miti, una sorta di confronto con una vasta, ma
completa, diversità, tutti, frutto della mente umana. In questo senso, Ontani dimostra la

146
Ibidem.
147
Ibidem.
148
Ibidem.
149
Ibidem.
150
Ibidem, p. 39.
sua unicità, si è allontanato dal binarismo e dal concetto di differenza 151 “main-stream”,
per abbracciare una molteplicità più ampia di forme, e livellare le diversità rimanendo
però sul piano umano, senza voler escludere niente e nessuno. In Ontani troviamo
individualità e alterità nello stesso soggetto. Il tema dell’identificazione si costituisce,
qui, nella maschera. È la maschera a definire chi è il soggetto, in questo caso l’artista.
La maschera è portatrice di molteplici significazioni: “il travestimento, l’alterità, il rito,
l’esotico, il capriccio, la festa”.152 Nell’antica Grecia era legata al culto della morte,
all’ira degli dèi e alla natura selvaggia, ma trova poi significazione, come detto nel
paragrafo precedente, nel teatro, dove si ricollega il travestitismo. La maschera nasce
dunque con l’uomo, e la sua presenza è costante nel susseguirsi delle varie epoche. Essa
detiene pari importanza nella cultura occidentale quanto in quella orientale. In Ontani si
carica di tutte le valenze a essa attribuibili, ma soprattutto, diventa metafora stessa
dell’Io e dell’atto della creazione artistica. La metamorfosi e l’antropomorfismo sono il
fulcro delle maschere di Ontani. Ontani è un essere privo di identità, o meglio, essa si
costituisce di stratificazioni identitarie molteplici che non raggiungono mai una
definizione finale e precisa. Queste identità sono concepite nell’insieme, e solo
nell’insieme danno vita a un’identificazione dell’Io che le possiede. Tuttavia, neanche
quest’ultima raggiunge mai uno stato definito, fluttua costantemente e sfugge a ogni
tentativo di plasmarla153. Le caratterizzazioni in cui Ontani cerca, attraverso l’arte, di
identificarsi, non sintetizzano in profondità nessuna natura specifica, ma nella loro
totalità evidenziano quella capacità unica del soggetto-artista di, come dice Baudelaire,
“vedere il mondo, esserne al centro e restargli nascosto”.154

151
Termine inglese, usato come aggettivo in vari campi dell’arte e della cultura per indicare una corrente
che, in un particolare ambito culturale, è considerata più tradizionale e convenzionale, più comune e
dominante.
152
Giulia Giambrone, Luigi Ontani in teoria, Filosofia, estetica, psicoanalisi nell’opera e nell’artista, I
edizione (Territori della Psiche), Roma, 2019, p. 40.
153
Ibidem, p. 42.
154
Ibidem.

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