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La Consolazione della filosofia

Libro V

 Gustavo Zamudio

Invero questo quinto libro della Consolazione di Boezio ci offre una chiarezza di
concetti veramente illuminanti per temi che ancora oggi sembrano non essere
risolti: esiste il caso? Se Dio conosce il futuro, siamo davvero liberi? A queste ed
altre interroganti l'autore risponde sufficientemente. La prima domanda che fa
Boezio è: cos'è il caso? In essenza, il caso è l'avvenimento inatteso di qualcosa,
prodotto da cause sconosciute che concorrono e confluiscono insieme. Codesta
definizione lascia fuori qualsiasi posibilità di parlare del nulla. Infatti, nulla
scaturisce dal nulla e quindi nulla nasce in assenza di causa. Capita che sebbene
c'è una connessione causale, non ne abbiamo conoscenza, né la abbiamo cercato
intenzionalmente.
 
Poi si chiede l'autore se pure ci sono fatti o azioni che accadono volontariamente,
cioè, si esiste la libertà umana. La risposta ha una logica: se c'è un uso della
ragione, vuol dire che c'è la facoltà del giudizio, la cui fa un discernimento delle
cose e dunque può distinguere ciò che è da evitare e ciò che è da desiderare.
Perciò gli esseri dotati della ragione sono anche dotati della libertà di volere e di
non volere. Inoltre, si afferma che nell'uomo ci sono gradi di libertà: primo,
quando si mantengono nella contemplazione della mente divina; secondo, quando
si disperdono nei corpi, quando si aderiscono alle cose terrene per mezzo delle
membra; e quarto, quando, dedite ai vizi, perdono il possesso della propria
ragione e diventano prigioniere della propria libertà. Quest'ultima affermazione
mi pare assai interessante: la Filosofia sta dicendo che alla fine quando l'uomo
cade nei vizi, ciò che perde non è la libertà, ma la ragione. Ovvero, perde il
principio della vera libertà, e perciò, anche se la libertà rimane, essa diventa
padrone dell'uomo mentre l'uomo diventa schiavo e prigioniero di quella. Una
libertà senza ragione, non è libertà.
 
Dopo, Boezio introdurre una antinomia che tante volte abbiamo ascoltato: è una
contradizione che Dio conosca tutto e ci sia libertà. Perché se Dio vede tutto e
non può sbagliare, ed è necessario che avvenga quello che Egli ha previsto.
Quindi, non potrebbe esistere altra azione o altra volontà se non quella presagita
dall'infallibile provvidenza divina. Dall'altra parte, se davvero può venire deviato
ciò che è stato previsto, non ci sarebbe prescienza divina del futuro. Dapprima, si
offre una argomentazione favorevole alla esistenza della libertà umana, la cui
riprende una parte di quella fatta per Agostino nel "De libero arbitrio": se non
sussiste alcuna libertà è assurdo parlare di premi per i buoni e punizioni per i
malvagi. Persino sarebbe ingiusto che siano puniti i malvagi e che gli onesti siano
premiati, se fosse l'infallibile necessità del futuro quella che costringesse gli
uomini al male o al bene e non la volontà libera. O tanto peggio, anche le nostre
colpe si dovrebbero attribuirsele a Dio, Autore di tutti i beni.
 
Seguito, ci invita ad essere consapevole di una verità fondamentale: il
ragionamento umano non è capace di comprendere la semplicità della prescienza
divina. Tante volte i nostri dubbi su Dio provengono dai nostri preconcetti, dal
nostro modo di ragionare limitato che intende capire a Dio fin dai nostri propri
schemi concettuali. Il preconcetto di Boezio è che le cose di cui si ha una
conoscenza previa non possono non accadere, quindi se c'è prescienza, c'è
necessità delle cose future. Questo è un errore. In realtà, tutto ciò che si conosce
viene compreso secondo la capacità della facoltà cognoscitiva. Esistono quattro
gradi di conoscenza secondo ogni facoltà e ogni grado d'essere: la semplice
sensibilità degli esseri viventi privi di mobilità; l'immaginazione degli animali
capaci di muoversi; la ragione del genero umano; e l'intelligenza di Dio. E tutte
queste conoscono d'accordo alle loro capacità. Il problema è che parecchio volte
la ragione umana crede che l'intelligenza divina conosce le cose future come essa
stessa le conosce.
 
Perciò la Filosofia propone il seguente percorso: vedere quale sia la condizione
dell'essenza divina, da poter anche riconoscere quale sia la sua scienza. Così,
accettando che Dio è eterno, si domanda cos'è l'eternità. Ancora un volta mette
una definizione chiarissima: è Il possesso simultaneo o perfetto della vita senza
termine. Cioè, Dio è sempre presente. Ed anche la scienza di Dio si trova in uno
stato di eterna presenza: contempla il passato e il futuro nel semplice atto di
conoscenza, come se avvenissero proprio in quel momento. Questo cambia
assolutamente le cose, perché se Dio vive nel eterno presente vuol dire che non
c'è futuro e neanche ha scienza del futuro. Per tanto, non dobbiamo parlare di
prescienza del futuro, bensì di scienza di una presenza che non viene mai meno.
A questo punto, fa un paragone tra la scienza umana e quella divina, dice: così
come lo sguardo degli uomini non aggiunge una qualche necessità alle cose che
vede nel suo presente temporale, così lo sguardo di Dio non aggiunge una
necessità alle cose che vede nel suo presente eterno. Infine, pensando fin dalla
nostra perspettiva umana, se il futuro se lo si considera in relazione alla
conoscenza divina: è necessario; mentre che se lo si considera nella sua propria
natura: è assolutamente libero. Ovvero, gli successi futuri che provengono dalla
libertà umana considerati in se stessi non perdono l'assoluta libertà della propria
natura. Però, in quanto presenti alla scienza divina divengono necessari, per la
condizione della conoscenza divina, poiché è impossibile che non accada ciò che
si vede simultaneamente nel momento presente.

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