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Luigi De Blasi, Kant e il problema della teologia. La filosofia trascende... http://mondodomani.org/cgi-bin/tools/print.pl?http://mondodomani.org/d...

URL: http://mondodomani.org/dialegesthai/ldb02.htm Data: 24 aprile 2013

Luigi De Blasi

Kant e il problema della teologia. La filosofia trascendentale come condizione dell'oltrepassamento


1. Introduzione
Il senso del trascendentale si esplica non come conoscenza degli oggetti, ma nel nostro modo di conoscerli; ma se tale concetto non deve riferirsi ad ogni conoscenza a priori, ma solo a quella legata a certe rappresentazioni (intuizioni o concetti), come possibile l'uso della trascendentalit riguardo a questioni che non hanno un oggetto o una intuizione? Nella Critica della ragion pura quasi tutte le facolt dell'uomo sono caratterizzate da una forma trascendentale; allora per trascendentale, nell'accezione pi pura, si deve intendere la condizione della possibilit in se stessa, secondo una duplice modalit: fenomenica e soprattutto oltre-fenomenica, giacch Kant non ha escluso un uso trascendentale non soggetto all'esperienza fenomenica. Alla definizione di trascendentale si deve poter attribuire una valenza che tenga conto soprattutto di alcuni caratteri tipici della filosofia kantiana come: disposizione, tendenza: autentiche facolt, il cui significato ben si media con l'uso della trascendentalit, che propedeuticamente promuovono, in un'accezione autenticamente kantiana, la stessa possibilit della trascendenza. Il dovere morale implica il senso della trascendenza stessa, esplicantesi innanzitutto nel rispetto della persona, di s (l'essere pienamente se stessi), e nel rispetto dell'altro, che costituiscono l'autentica possibilit per una fondazione della libert. Per tale motivo, la filosofia trascendentale e la deduzione trascendentale soggettiva devono rappresentare il punto di partenza di una ricerca orientata alla filosofia dell'Oltre, che non deve indicare un essere fuori di me, (un essere fuori dell'uomo), ma solo un pensiero in me. All'idea di Dio, che ha dominato tutta la teologia e la metafisica classica, bisogna sostituire l'idea Dio, il cui significato implica la convinzione che il Divino non pu essere pi pensato come una sostanza o un ente dato. La possibilit della teologia pu essere ascrivibile all'impostazione della metafisica generale, da cui pu essere desunta la stessa moralit, per la principale considerazione che la legge morale kantiana direttamente deducibile dall'impianto stesso della sua metafisica generale, che, pur occupandosi come la metafisica speciale dell'uomo, di Dio e del mondo, orientata non allo svelamento di un contenuto specifico o di una sostanza, ma essenzialmente all'aspetto della possibilit meramente ideale e/o postulativa. A differenza della metafisica classica che alla domanda fondamentale su Dio osava rispondere con costrutti logici e teologici, la metafisica kantiana (fondamento originario) si incentra sul pro-porre semplicemente la domanda fondamentale secondo un preciso itinerario (idea trascendentale, supposizione, postulato) senza che l'uomo possa mai rispondere in modo esaustivo, e in questo eterno postulare, ossia domandar-si, si svolge l'essenza morale e teologica e lo stessa destinazione dell'uomo.

2. Trascendenza, soggettivit e altra persona come compimento

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della morale pura.


A proposito della coscienza, la posizione di Kant rievoca una toccante e profonda riflessione, fatta nella Critica della ragion pratica: Un uomo [...] (pu) dichiararsi innocente [...] tuttavia egli sente che l'avvocato che parla in suo vantaggio non pu far tacere in lui l'accusatore, se egli conscio che, nel tempo che commise l'azione cattiva, egli era in s, cio aveva l'uso della sua libert; [...] e quantunque egli si spieghi la propria mancanza con una certa abitudine cattiva [...] ci, tuttavia, non lo pu salvare dalla disperazione e dal rimprovero che egli fa a se stesso.[1] L'uomo anche se corrotto non pu non sottrarsi alla morsa della sua voce interiore: egli pu anche gioire dell'avvenuta assoluzione giuridica, ma se non avverte nel suo animo una pur minima inquietudine, il vero avvocato che in lui finisce con il proclamare lo scacco di fronte alla possibilit del riscatto morale che per Kant consiste in un appello alla coscienza: unica condizione per promuovere la libert e per essere autenticamente se stesso. La legge morale (per Kant equivale alla legge di Dio), reclamando l'essere altro da ci che l'uomo in natura, coincide con l'essere pi puro dell'uomo; agire moralmente significa obbedire solo a se stessi, nella maniera pi conforme alla nostra natura intrinseca di esseri razionali e liberi. Per tali considerazioni, il criminale, il disonesto possono redimersi e annullare il proprio essere corrotti, giacch, come ha affermato E. Weil, la legge, in tutta la sua purezza e con tutta la sua severit, presente allo spirito dell'uomo che si da se stesso pervertito e dunque lo sa e si giudica: pervertito ma non perverso al punto di opporsi consapevolmente [...] coscienziosamente alla legge.[2] il richiamo dell'accusatore che esige appello alla coscienza (Critica della ragion Pratica, p. 333) di una coscienza giammai pienamente sopita, sempre pronta a disporsi per essere, nonostante tutto, altro da ci che si , con l'oltrepassamento dell'uomo fenomenico, tutto preso dal piacere e dall'egoismo. Kant ha, a pi riprese, insistito sulla possibilit di vivere o secondo la dimensione dell'io fenomenico o nella direzione di un io che intuisce se stesso come soggetto della libert, noumeno;[3] si pu ben constatare come sia possibile identificare la libert con la legge morale, nel senso che la libert e la legge morale pratica incondizionata si corrispondono reciprocamente.[4] La libert pu tramutarsi da possibilit di essere in modo autentico nell'impossibilit di esplicarsi propriamente per una natura condizionata dall'ostacolo fenomenico. Paradossalmente, per, proprio l'ostacolo, il limite, il condizionamento ad attivare e rendere fattibile la libert dell'uomo. La libert ha un carattere paradossale (l'esigenza paradossale di far stesso, come soggetto della libert), in quanto essa deve, per poter essere, a/opporsi nello stesso tempo (alla) propria coscienza empirica.[5] Esiste una voce interiore che spinge l'uomo oltre, che si esplica nel volere essere pienamente se stessi, un dar voce alla propria coscienza, alla ragion pratica la cui voce fa tremare anche il malfattore pi audace, e l'obbliga a nascondersi al suo cospetto.[6] Tutto ci implica un costringimento pratico e un assoggettamento da interpretare come un comando nei confronti di un soggetto affetto sensibilmente.[7] Ci si trova di fronte ad un circolo vizioso: la libert promuove il superamento della condizione fenomenica, ma la condizione limitante a determinare l'oltrepassamento. La via d'uscita non consiste nello scegliersi definitivamente, nell'aut aut, giacch la scelta risolutiva impossibile per l'uomo cos come concepito da Kant, tormentato dalla ricaduta, anche se l'essere umano non pu non costringersi al superamento. presente in Kant un sottile legame tra un volere essere autenticamente (per la libert) e la stessa legge morale; ma, quando Kant cerca di riporre il rispetto alla legge morale, vuole di fatto intendere al modo di essere responsabile dell'essere di fronte a se stesso, l'autentico essere se stesso (M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica). Sottoporsi alla legge significa sottopor-mi-a-me-stesso.[8] Il rispetto della legge morale, nella sua incondizionatezza, assolutezza e universalit, deve significare il rispetto della

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persona, incondizionatamente, assolutamente, universalmente. Quest'io deve meritarsi tutto il rispetto possibile Il rispetto si riferisce sempre soltanto alle persone;[9] per tale aspetto, Heidegger dell'avviso che in Kant ci siano le condizioni per poter riporre il rispetto per noi stessi[10] non tanto alla legge morale, quanto al modo di essere responsabile dell'essere di fronte a se stesso, l'autentico essere se stesso;[11] un sottoporsi a me stesso in quanto ragione pura; rispetto un progetto per un esistere in modo autentico. La pura moralit necessariamente deve rapportarsi e dipendere dall'esser-ci stesso (l'uomo): Il rispetto per la legge rispetto di s, [...] che non determinato dalla presunzione e dall'amor proprio. Il rispetto, [...] si riferisce alla persona. [...] grazie al rispetto, l'Io non rigetta l'eroe che nella sua anima.[12] Esiste una corrispondenza strettissima tra la morale e religione, nel senso che la morale conduce inevitabilmente alla religione; religione e morale devono essere intese in uno stretto e reciproco rapporto, il cui oggetto (Dio e uomo) deve far pensare ad uso provvisorio e altamente problematico sia per quanto riguarda la soggettivit coscienziale, sia per quel che attiene a Dio. Nella Dialettica dell'illuminismo di M. Horkheimer e Th.W. Adorno il rinnovamento dell'impresa kantiana di trasformare la legge divina in autonomia, per salvare la civilt europea che ha reso l'anima nello scetticismo inglese[13] farebbe pensare alla teologia morale kantiana come un rimedio, un ultimo tentativo di salvare la teologia dalla dispersione compiuta dall'ateismo. Con Kant, il Dio morale soppiantando il Dio persona di fatto avrebbe condotto Nietzsche a decretare la morte di Dio, giacch, a detta dallo stesso Heidegger quando Nietzsche dice Dio morto intende il Dio considerato dal punto di vista morale e lui soltanto.[14] Sotto tale aspetto, la morte di Dio non convaliderebbe la morte dell'essere-Dio, ma di un determinato Dio rappresentato solo moralmente. Inoltre nello stesso testo dei filosofi della Scuola di Francoforte, si afferma che la volont del superuomo (il riferimento a Nietzsche) non meno dispotica dell'imperativo categorico.[15] Se consideriamo un altro testo, Introduzione a Kant di Lucien Goldmann, Kant non sarebbe mai passato dall'Io al Noi come soggetto dell'azione; che, prigioniero di una visione individualista, ha continuato a concepire la totalit umana come universalit, Universalitas, e non come comunit concreta e materiale, Universitas.[16] fondata la tesi di coloro i quali pensano alla filosofia kantiana quale espressione di una cultura individualistica e borghese? Kant si sarebbe, quindi, limitato a pensare all'interno di una dimensione borghese per la quale l'uomo concepito come individuo-atomo, chiuso nel sua egoit pi piena, incapace di raggiungere l'assoluto (L. Goldmann, Introduzione a Kant, p. 36). Un altro aspetto, degno di considerazione, dipende dall'aver, Kant, escluso dalla sua concezione teologica la valenza teorico-speculativa e 'sentimentale'. Nelle Lezioni di Etica, da una parte si afferma che lasciarsi guidare, nella religione, da piena conoscenza speculativa sofisticheria,[17] dall'altra si sostiene che Una religione che non presuppone la morale si riduce [...] al fervore esaltato.[18] Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, cio di una religione scevra dal sentimento, la posizione di Kant determinata dalla visione illuministica e quindi da un limite storico; Kant, per la fattispecie, non sarebbe andato oltre la sua condizione temporale, il cui orientamento era teso ad invalidare il sentimento religioso (rivalutato da J. J. Rousseau) come causa del fanatismo, e Kant non fu immune da questa tendenza. La caratterizzazione morale della religione avrebbe avuto lo scopo di liberarsi dal fervore esaltato, solo che non si fa minimo cenno al fatto che una strutturazione etica sarebbe potuta sfociare in un integralismo morale e nella ottusa bigotteria . Si tratta ora di riconsiderare e rivisitare il filosofare di Kant secondo una chiave interpretativa, volta a rivedere gli aspetti portanti della sua speculazione. Innanzitutto, bisogna chiedersi cosa si deve intendere e cosa pu implicare la legge morale e la ragione pura pratica. La ragione pura pratica principalmente orientata, anche se implicitamente all'eticit esplicantesi alla maniera di un'idealizzazione obiettivante dell'altra persona. Kant stato il primo filosofo ad essersi posto oltre il suo tempo con la sua rivoluzione filosofica a vantaggio della soggettivit e l'aspetto morale gli servito a considerare fondamentalmente la
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questione dell'io, dell'altra persona e di Dio. Kant anticipa tutto ci che E. Lvinas esporr nel libro Totalit et infini come una difesa della soggettivit[19] e come l'esistenza per l'Altro [...] liberata dalla gravitazione egoista[20] Gi a partire dalla Fondazione della metafisica dei costumi, l'altro non va inteso come oggetto di 'simpatia', di 'inclinazione', ma come essere del dovere, ossia un dover-essere senza condizioni e risultati (Fondazione, cit., p. 19). Un dover-essere (Sollen) che si esplica grazie alla volont nella sua costituzione soggettiva.[21] La massima espressione del dover-essere, che alla base dell'Imperativo categorico, non implica dipendenza dal desiderare, da inclinazioni e soprattutto da interesse. Trattare l'altro uomo giammai come mezzo, ma come 'fine', significa che l'ontologia morale ha il compito di aprire la strada alla tematizzazione dell'altro come fine della volont. L'altro non un qualcosa di gi costituito, in quanto il 'prossimo' un problema, l'oggetto stesso della ricerca, noumeno, come noumeno il s stesso. La formulazione dell'imperativo categorico (Fondazione della metafisica dei costumi) ripropone un'umanit fondata sulla mia persona e sulla persona dell'altro da trattare sempre come fine.[22] In particolare, la seconda formula dell'imperativo categorico attribuisce assoluta e pari dignit alla tua persona quanto nella persona di ogni altro. Alla domanda: Quali sono i fini che sono al tempo stesso dei doveri? Kant risponde: la perfezione propria, la felicit altrui. La felicit dell'altro sottende soprattutto la coscienza individuale, nel senso che il mio io pi puro non pu non rispettare l'altro. Contro la comune impostazione dei critici che avrebbero segnato Kant come il filosofo difensore dell'individuo e dell'individualismo, quale rappresentazione dell'ideologia borghese, bisognerebbe opporre la concezione secondo la quale Kant penserebbe non all'uomo-individuo, ma a tutta l'umanit, ad una coscienza tutta tesa al problema dell'altro. Non a caso Jaspers, quando riflette su Kant, preferisce convertire che cos' l'uomo in che cosa deve rappresentare l'altro per me (?). Per essere se stessi bisogna aprirsi in quella dimensione che Jaspers definisce come altro esser-se-stesso, nel senso che per poter essere autenticamente nella libert e nella verit l'uomo [...] non pu concepirsi come per s stante. Quando si rende presente l'essere umano, affiora sempre l'Altro. Per l'uomo, quale esistenza possibile, questo Altro la Trascendenza [...].[23] Per tale aspetto, la formulazione kantiana delle quattro domande: 1 Che cosa posso sapere? (metafisica); 2 Che cosa devo fare? (morale); 3 Che cosa posso sperare? (religione);[24] Che cos' l'uomo? (antropologia), deve essere convertita (secondo l'insegnamento di Jaspers) -- alla luce della Trascendenza da intendere come esposizione verso l'Altro -- in tre principali interrogativi (il riferimento e il debito a Kant a questo punto indicativo): Che cosa possiamo conoscere nelle scienze? Come dobbiamo raggiungere la pi profonda comunicazione? Come ci diventa accessibile la verit? A base di questi interrogativi sono tre stimoli nostri fondamentali: il desiderio di sapere, la volont di comunicazione e la tormentosa tendenza alla verit. Mediante questi interrogativi giungiamo alla via della ricerca. Ma le mete di questa ricerca sono l'uomo e la Trascendenza, l'anima e Dio.[25] Per Jaspers dire che tutto riferibile all'uomo ancora poca cosa se non si chiarifica come e per cosa l'uomo pu essere definito. L'uomo si incontra con la profonda comunicazione che in fondo richiama un appellarsi al problema dell'altro e di Dio. Gi Kant aveva anticipato l'aspetto estremamente problematico di una profonda comunicazione da parte della coscienza sempre aperta all'altra persona. Il senso del dovere, che ben si esprime con l'imperativo categorico del Tu devi indica un qualcosa che al di l di ci che si , e l'al di l sottende un andar oltre per essere di pi. C' in Kant l'idea di una vera esaltazione della volont come se la tematizzazione dell'essere coincidesse con la volont pura: essere = volere se stesso, l'altro e Dio.[26] Tuttavia l'io pu disporsi secondo una duplice dimensione: per l'in s dell'immanenza di un io in uno stato di egoit e\o per la trascendenza, ossia rivolto alla pura moralit, perch un in-finito; quell'uomo che

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pone le domande -- che cos' ...? gi denuncia un fatto incontrovertibile: un'essenza che legittima un'effettiva assenza del s come dato, come essere gi costituito; l'essenza dell'uomo si fonda nel domandar-si, che sottende la propria limitatezza e transitoriet; per questo motivo la ragione pone queste domande perch finita [...]. Proprio per il fatto che queste tre domande vertono su quest'unico oggetto, la finitezza, esse si lasciano rapportare alla quarta: che cos' l'uomo.[27] Il domandare dell'uomo il segno caratterizzante del suo destino, la cui essenza si caratterizza nel suo volere morale, esplicantesi, appunto, nello stesso postulare. In Kant possibile individuare l'esistenza di due tipologie del male: da una parte una concezione del male fortemente connessa, cristianamente, al senso del mistero, con una genesi del tutto oscura e non certo comprensibile razionalmente; il male visualizzato come discordia, originato dall'imperscrutabile sapienza, per il perfezionamento dell'uomo, a costo di sacrificio delle gioie della vita. Kant sembrerebbe convinto circa il carattere misterioso e naturale -- la natura ha messo ed ha voluto nel genere umano il germe della discordia - del male, il quale non ha un carattere autonomo, perch al servizio dell'uomo, per una legge oscura, per il suo completamento e perfezionamento; dall'altra, il male inteso in senso filosofico e morale riconducibile al solipsismo che si determina nella chiusura della propria egoit, comportando una duplice manifestazione disperante: di un io che non si sente libero, perch condizionato, di un io che avverte, in ogni modo, l'esigenza di andar oltre la sua condizione di assoggettamento Quando Kant, nel libro La religione entro i limiti della sola ragione, a pi riprese, insiste -- a proposito della disposizione in tre classi, come elementi di determinazione per l'uomo, e in modo particolare, alla disposizione dell'uomo all'animalit (1) e all'umanit (2) -- sull'amore di s, intende far presente una sola cosa: che simili disposizioni hanno come moventi un qualcosa che non dipende dal fondamento originario, fondamento, aggiunge Kant, impenetrabile.[28] L'egoismo come amore di s o come benevolenza verso se stesso, o come compiacenza di se stesso, sottende, come inclinazioni naturali, il celamento e non certo la distruzione del fondamento originario. C' in Kant un rapporto stretto tra fini e disposizioni; disposizione sottende la possibilit pi autentica per l'uomo che potrebbe disporsi anche in direzione dell'amor di s, ma tale scelta anche se comporta una caduta in termini di qualit morale, non pu giammai inficiare l'atto puro della possibilit di disporsi e di scegliersi di vivere in modo autentico. Kant non esclude che per scelta si possa decidere, per una certa disposizione, anche per l'animalit, che, in quanto tale, risponde alla possibilit di poter essere dell'uomo, perch come disposizione naturale pertinente alla possibilit della natura umana. Ma, anche per Kant esisterebbero possibilit autentiche e possibilit inautentiche: l'amore di s un amore che non pu essere considerato una vera possibilit, perch rappresenta l'impossibilit della coscienza di disporsi nella stessa possibilit di poter-essere-altro (persona); nega, preliminarmente, la possibilit della coscienza di trascendersi e quindi di arrischiarsi verso l'altro. La disposizione all'animalit non comporta la libert, in quanto basata sull'elemento meccanico; la disposizione all'umanit, basandosi sull'amore di s, comporta un determinarsi, un acquistarsi un valore nell'opinione altrui, per cui l'uomo in questo stato non pu sentirsi libero, giacch il suo essere o sentir-si dipende dal giudizio estrinseco degli altri; il disporsi alla personalit, invece rappresenta la possibilit pi autentica, in quanto in essa possibile individuare il valore, una base (radice) per l'incondizionato[29] . Andare oltre il determinismo (animalit e umanit), significa scegliersi per un'esistenza autentica e libera da forme di assoggettamento. L'apertura permette di trascendere l'immanere della coscienza nel chiuso del suo io (egoismo come solipsismus) e delinea la possibilit per l'uomo non solo a compiere da s tutti i doveri umani e nel medesimo tempo a diffondere pure il bene in una cerchia pi vasta possibile intorno a lui [...] (fino al punto a) sobbarcarsi [...] tutte le sofferenze, fino alla morte pi ignominiosa, per il bene del mondo, ed anche per il bene dei suoi nemici.[30] L'umanit e la diffusione del bene intorno alla soggettivit non rappresentano un ideale posto fuori della

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portata dell'uomo. Il continuo appellarsi ad una coscienza morale per il bene del mondo, implica il tentativo di trascendersi, pur non escludendo che l'uomo possa continuamente ricadere nella preclusione delle sue naturali tendenze. Kant ha analizzato l'uomo in base all'aspirazione, ad un livello superiore, soprattutto in rapporto ad un io superiore. Heidegger ha colto, in modo originale, il valore della trascendenza della verit che unita nel modo pi intimo alla struttura della trascendenza per il fatto che l'esserci un ente aperto all'altro e a se stesso.[31] Per l'immanere di una coscienza, si deve intendere la volont soggettiva, tesa a disporsi come mera egoit fino ad eternare se stessa, al punto di credersi autosufficiente. Il male filosofico consiste, kantianamente in quel solipsismus da intendere come volont che si chiude in se stessa.

3. La rivisitazione teologica nella condizione dell'oltrepassamento


Tra gli assunti pi importanti e comuni di volta in volta sviluppati per quanto attiene alla questione teologica kantiana si possono individuare i seguenti punti: 1. Dio come idea trascendentale della ragione.[32] 2. L'idea di Dio come principio regolativo. L'idea di Dio non ha una valenza costitutiva, in quanto non si riferisce ad un ente L'ideale dell'Essere supremo [...] non altro che un principio regolativo della ragione [...] e non un'affermazione di un'esistenza necessaria in s (Critica della ragion pura, cit., vol. II, pp. 485, 486); 3. Dio non oggetto o idea di esperienza[33] 4. La fondazione della teologia non possibile attraverso un uso speculativo, ma solo morale[34] 5. Dio onnipotente, unico pu essere solo supposto Possiamo noi [...] ammettere un Creatore del mondo, unico, sapiente, onnipotente? Senza alcun dubbio: e non solo possiamo, ma ne dobbiamo supporre uno cos (Critica della ragion pura, cit., p. 539); 6. l'essere umano immagine di Dio (imago dei); dall'idea di Dio si forma, per riduzione, l'idea di uomo; 7. la domanda che cosa mi lecito sperare? (religione) ascrivibile a che cosa l'uomo; 8. L'esistenza di Dio come postulato I postulati non sono dommi teoretici, ma supposizioni da un punto di vista necessariamente pratico [...] Questi postulati sono quelli dell'immortalit, della libert e [...] dell'esistenza di Dio (Critica della ragion pratica, cit., p. 160); 9. L'idea-Dio e non l'idea di Dio. Gran parte degli assunti sembrano affermare la stessa cosa: quando Kant pensa a Dio se lo rappresenta come il Dio morale, questa idea sembrerebbe informare tutta la teologia kantiana. Al Dio geometra di Spinoza, al Dio garante dell'ordine fisico di Newton, al Dio sostanza di Cartesio..., Kant avrebbe apposto il Dio morale e nient'altro. Alla base degli assunti sopracitati, bisogna anteporre l'umana ragione ha qui una propensione naturale ad oltrepassare questi limiti (dati dal campo dell'esperienza possibile).[35] Oltre tutto ci bisogna considerare che nella filosofia kantiana ci si imbatte spesso in termini come tendenza, disposizioni, disposizione naturale, la ragione umana spinta da motivi pratici (Fondazione, cit., p. 27), propensione, anelito; questi assunti andrebbero colti nella loro specificit, nel senso che andrebbero interpretati secondo due differenti significati: da una parte esistono disposizioni legate alla natura sensibile, dall'altra coesisterebbero tendenze e disposizioni riferibili all'elemento intelligibile. La caratterizzazione kantiana della metafisica si incentra su un dover essere (Sollen), (Fondazione) solo che per il nostro studio si tratta di appurare se la questione dell'essere convertito in dovere oltre ad indicare semplicemente un richiamo dell'essere alla moralit non implichi un significato diverso, nel senso che ci che viene denominato come morale non debba essere interpretato come un qualcosa che vada oltre la stessa morale. Kant, disgraziatamente, non chiarisce la genesi di molte facolt; oltretutto Kant insiste sull'indeducibilit della morale pura. L'impianto pratico si struttura sull'assenza di un fondamento o su un qualcosa che si , ad un certo punto, voluto nascondere, una verit occultata?
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Si tratta di scandagliare il materiale filosofico al fine di intravedere una sottile implicazione religiosa non certo ovvia della valenza morale, giacch esisterebbe a detta di P. Martinetti un penetrante rapporto o scambio reciproco tra moralit e religione come se la religione non sia che un altro nome della moralit o un semplice compimento della moralit.[36] Se per un verso, l'aspetto etico pu rimandare alla valenza religiosa, per l'altro la tematica circa la filosofia del limite e pi specificamente i limiti della ragione rappresentano un indubbio caposaldo della religiosit kantiana. Tale prospettiva stata sviluppata da Jaspers per il quale, nel pensiero di Kant, la tematizzazione della religione costantemente presente, proprio in considerazione dei limiti della ragione, nel senso che il limite della ragione rappresenta l'origine per tutto ci che in Kant pu essere denominato come religione. La filosofia del limite o metafisica del limite possiede un qualcosa di paradossale, in quanto la limitatezza ostacola, ma nello stesso tempo, favorisce l'oltrepassamento. Anche sotto l'aspetto morale, da un lato la soggettivit nel senso di persona determinata dal limite della natura umana, dall'altro grazie all'io condizionato che viene a prodursi la tendenza dello spirito a non disperdersi nel condizionato, ma ad orientarsi nella possibilit dell'incondizionato che coincide con la vera questione dell'essere. La questione etica quindi implica sia la metafisica del limite (l'aspetto condizionante dell'uomo), sia la questione incalzante della trascendenza, solo che bisogna definire il valore autentico di questo trascendersi della volont. Il problema dell'oltre-passamento dipende da una ragione morale deputata al superamento dei limiti, da una tendenza La ragione da una tendenza della sua natura spinta a procedere oltre l'uso empirico, e ad avventurarsi, in un uso puro per semplici idee, fino agli estremi confini di ogni conoscenza.[37] In verit Kant non ha mai spinto la sua analisi per meglio precisare o definire la qualit di una simile tendenza che permette l'esplicazione dell'oltre-passamento. Rispetto all'assunto (f) -- imago dei -- tale aspetto stato precisato dalla osservazione espressa da E. Weil, secondo il quale a partire dall'idea di Dio si formata per riduzione e diminuzione l'idea dell'uomo. Dio non antropomorfo [...] l'uomo [...] si comprende a partire dal suo originale, dalla sua origine.[38] Rispetto al punto (e), bisogna notare che l'idea di Dio sottende un dover supporre (Possiamo noi ammettere un creatore del mondo unico, sapiente, onnipotente? Senza dubbio: e non solo possiamo, ma ne dobbiamo supporre uno cos).[39] Dover supporre non equivale al mero supporre, nel senso che il supporre sottende un 'esigenza morale, un dovere che per Kant rappresenta la vera questione dell'essere (il dover essere richiama l'essere del dovere). Dover supporre non comporta un 'supposto', ma un 'qualcosa' che per dovere si lascia supporre. Il dover supporre appartiene all'uomo e non tocca minimamente la possibilit della Presenza o dell'essere-Dio. Un'altra riflessione scaturisce dall'errore della metafisica tradizionale, non della teologia, che ha scambiato il piano del pensiero con quello dell'ontologia; l'errore che perdurato fino al criticismo che lo avrebbe 'definitivamente' annullato sotto l'aspetto logico era stato, a pi riprese, presentato da una parte del pensiero cattolico e per lo pi proposto da filosofi di solida fede cristiana, che certo non sarebbe scaturita da quei sofisticati logicismi (prove ontologiche e cosmologiche). Quei ragionamenti, il riferimento soprattutto alla prova ontologica di Anselmo, erano svolti con l'uso della ragione, la quale presupponeva, innanzitutto la fede, non considerata da Kant. Nella storia del pensiero non esiste un solo esempio degno di rispetto che abbia maturato una fede grazie a certi ragionamenti logici. Quando Kant si cimenta a vagliare criticamente le prove (ontologica e cosmologica) sull'esistenza di Dio, prende volutamente in considerazione solo l'aspetto razionale della prova senza tuttavia considerare le fede o la parte pi significativa che accompagnava la razionalit, ossia l'amor Dei. Per esempio, a proposito della critica alla prova ontologica di Anselmo, Kant ha ragione nell'analisi critica rivolta all'intelletto che estende erroneamente le sue categorie al di l dell'uso esperienziale,[40] ma non tiene in debito conto che l'intelletto in Anselmo procede dalla fede: comprendere ci in cui si crede (fides quaerens intellectum). In verit, esiste un rapporto stretto tra ragione e la luce.[41] Come se Kant non avesse voluto tener conto di un fatto incontrovertibile: lo zelo religioso di coloro che con umilt vogliono comprendere ci, in cui gi credono. Anselmo con la sua prova ontologica del Proslogio e Tommaso con le sue cinque vie della Somma teologica pensavano di dimostrare l'esistenza di Dio con il pensiero anche se in cuor loro gi lo

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sentivano. vero che Kant fa riferimento, per quanto attiene alla religione, alla disposizione del cuore, ma questo disporsi del cuore orientato alla legge morale, in questo senso la sua pu essere definita una fede tutta laica. Bisogna oltretutto aggiungere che, razionalmente, la critica alle tre prove stabilisce solo l'impossibilit di dimostrare con certezza l'esistenza di Dio, ma non la sua possibilit e di fatto la filosofia kantiana non afferma e non nega l'esistenza di Dio. La critica alle tre prove testimonia, essenzialmente, l'inconsistenza di qualsivoglia teologia fondata sulla ragione speculativa o sui concetti puri e in fondo Kant a sostenere che alla base di tutte le prove c' sempre lo stesso concetto puro e ontologico A base [...] della prova fisico-teologica c' quella cosmologica, ma a base di questa la prova ontologica dell'esistenza di un Essere originario come Essere supremo (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 493). La riflessione il reggitore del mondo ci lascia soltanto congetturare e non scorgere o dimostrare chiaramente la sua esistenza e la sua maest[42] fa pensare che Dio in rapporto solo alla possibilit, e la postulazione deve essere intesa come l'eterno domandarsi su Dio. come se Kant avesse apposto alle due tendenze di chi crede e di chi non crede -- una terza via (che non coincide come stato ritenuto da molti critici con l'agnosticismo). Un'analisi pi attenta dovrebbe indurci ad un'altra considerazione: la postulazione potrebbe avere il significato di una richiesta, di una domanda sull'esistenza di Dio, sul regno dei fini; che l'essere virtuoso possa mediarsi con la felicit; tutto ci dipende dalla coscienza che si progetta, si 'getta a favore' della aspettazione. Tale prospettazione convalidata dall'assunto, estrapolato dalla Critica della ragion pura, secondo un progresso logico che procede dalla conoscenza di se stesso (dell'anima) alla conoscenza del mondo, e attraverso di questo all'Ente supremo (Critica della ragion pura, vol. II, cit, p. 315). Questa affermazione avvalora la tesi, secondo cui Kant pensa alla teologia in un rapporto con la 'soggettivit', che pu essere considerata, in via provvisoria, la continuit ideale, il filo conduttore di tutta la sua filosofia; cos rispunterebbe l'idea di quel principio fondamentale (soggettivit) gi, a suo tempo, presente e attiva dalla Prima edizione della Critica della ragion pura del 1781. Alla base dell'aspettazione c' la morale (da Kant gi introdotta nella stessa Critica della ragion pura), anche se ci sono tutte le ragioni per credere che questa attivit ha tutte le caratteristiche di segnarsi nella volont di trascendere, e gi postulare implicherebbe un'autentica volont, deputata alla trascendenza. La metafisica classica prospettava la trascendenza, ossia si progettava nella domanda cui seguiva una risposta, per la metafisica kantiana la domanda incessante e tormentosa sarebbe la vera legge della coscienza; la teologia, a ragione, converte la domanda in 'speranza'(che implica sempre la fondamentale disperazione dell'animo umano). Il riferimento alla morale indica il volere; la volont che si qualifica come un volere essere, come un porsi a favore di..., quindi come un gettarsi verso, un tendere a, desiderare, un aspirare a... Ma il fondamento di tutto ci 'oscuro' soprattutto se mi pongo la domanda esplicativa: perch mi devo porre nella direzione di...? In altre parole, perch trascendere in s e fuor di s per essere pienamente se stessi e non contentarsi dell'essere nel pieno egoismo? In altri termini perch la trascendenza a posto dell'immanenza del s? Il rinnovamento della teologia e la possibilit di Dio sottendono per Kant una disposizione, un'apertura, giacch l'essere che comanda non fuori dell'uomo, come sostanza distinta dall'uomo. La toccante e profonda riflessione di [...] un essere in me che, distinto da me, sta su di me [...] ed io, l'uomo, sono io stesso quest'essere, ed esso non , poniamo, una sostanza fuori di me [...][43] la riprova che l'uomo per essere pienamente se stesso non pu non rapportarsi a ci che in s, senza pienamente coincidere con il se stesso (su di me). Per tale aspetto il Dio di Kant si esprime nell'identit (essere in me) e nella distinzione di s (distinto da me). Chi rifiuta la trascendenza, si pone nella non Apertura (come nell'accezione di Jaspers), nel non voler Trascendersi; si instaura come giustamente ha chiarito Kant, l'amore di s o amor proprio,[44] cio la tendenza a fare di s il motivo determinante della volont (Critica della ragion pratica, cit., p. 92). La ristrutturazione filosofica kantiana si incentra su un Dio, un uomo e un mondo secondo un ordine che

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-- partendo dalla ragione teoretica (in cui gi riaffiora l'aspetto morale), prima con le idee trascendentali (idea di Dio di anima e di mondo) e successivamente con i postulati della ragion pratica (come quelli dell'immortalit, della libert e dell'esistenza di Dio) e infine con l'Opus postumum di idea-Dio (non pi l'idea di Dio)[45] -- non avrebbe dovuto palesare, svelare dal fondo l'essenza; Kant esplicita solo la tendenza naturale o disposizione perch possa darsi la 'possibilit' di cogliere l'Incondizionato prima con le idee trascendentali della ragione e successivamente con la 'supposizione' attraverso i postulati. La condizione fondamentale per il filosofare kantiano consiste nella possibilit di superare il concetto di Dio, inteso come sostanza o come ente oggettivamente dato, la cui individuazione oggettivistica invaliderebbe il presupposto della ricerca, in quanto il 'darsi' come sostanza oltre ad impedire un'analisi trascendentale si delinea gi definito e fissato. Il Dio inteso come 'oggetto' o come sostanza (il Dio sostanza) contrasta la possibilit di un'autentica ricerca teologica, che si fonda proprio nel non pre-porre Dio come semplice ente sostanziale. Nella Critica della ragion pura non l'idea trascendentale di Dio a fondare una nuova teologia e la nuova metafisica, ma la trascendentalit stessa gi per se stessa fondatrice di una nuova teologia e di un'inedita metafisica; solo che Kant si guardato bene dal precisarne il fondamento. Per Kant il Cristo-persona rappresentato da un'idea come sinonimo dell'incarnazione teologica non in un uomo, che possa diventare oggetto di adorazione, ma nella umanit idealmente intesa ossia al massimo della perfezione morale[46] Kant non concepisce n Dio n Cristo come Persone, in quanto Dio viene concepito secondo una rappresentazione morale e a snaturarsi in Dio morale e Cristo nell'ideale della santa umanit Bisogna chiedersi, se nonostante queste raffigurazioni soggettivissime, ci siano aspetti e implicazioni inediti e comunque riferibili ad una teologia che non riduca il significato della religiosit a mera rappresentazione morale. Il motivo per cui Kant rifiuta a pi riprese di pensare a Dio in senso 'oggettivo' pu dipendere dalla considerazione che l'ens summum un'idea (idea-Dio e non idea di Dio) pura pratica pensata soggettivamente e nella ragione pratica dell'uomo pensato soggettivamente in maniera necessaria un Dio, sebbene non sia dato oggettivamente;[47] l'assunto non sia dato oggettivamente non nega Dio come presenza, ma solo la pretesa di vedere Dio come un mero essere fuori di s, come ente oggettivamente offerentesi senza che possa essere sentito nell'in s dell'uomo. Dio o meglio l'idea di Dio della Critica della ragion pura (successivamente convertita in idea-Dio nell'Opus postumum) andrebbe concepita secondo una deduzione trascendentale di tipo soggettivo, anzich oggettivo dimostrate nella loro necessit, non certo riguardo alla validit oggettiva che non hanno, ma riguardo alla loro funzione soggettiva.[48] Qual il senso dell'affermazione per la quale, nell'impostazione kantiana, sembra esserci una serie di implicazioni nascoste che operano segretamente in tutta la filosofia di Kant? (Luporini). Heidegger afferma che Kant indietreggia di fronte al fondamento[49] a quella radice oscura; forse l'indietreggiare deve significare solo l'impossibilit di definire la questione del fondamento puro secondo il vecchio e obsoleto metodo della metafisica speciale? O l'indietreggiare di Kant sta a significare, paradossalmente, lo scoprimento di un qualcosa, cui non si pu attribuire una definizione, un nome, un concetto. Una radice in grado di penetrare dal profondo le Tre critiche al fine di scoprire la guida essenziale che legherebbe teoria, pratica e giudizio, una radice in grado di dar voce all'in s irrappresentabile. La riduzione tutta kantiana della questione religiosa alla valenza etica -- ci si chiede -- non dipende forse da questa rinuncia? L'aggancio della religione alla morale allora pu dipendere da un duplice indietreggiamento: nei confronti del fondamento originario e nei riguardi della deduzione soggettiva, che inspiegabilmente Kant non avrebbe esaurientemente sviluppato.

4. Aspetti filosofici della Teologia minimale


La religione secondo Kant va pensata in rapporto ad una disposizione del cuore. Oltre alla disposizione del cuore, in Kant sono presenti disposizione della mente, dello spirito; la metafisica, per esempio, una
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tendenza naturale dello spirito umano. Per tale aspetto, possibile scorgere una certa analogia tra Kant e Tommaso, in quanto anche per il filosofo di Roccasecca esistono disposizioni naturali (habitus) a comprendere princpi etici (un habitus naturale d'ordine pratico, per esempio, la sinderesi che indirizza l'uomo al bene) e speculativi. La propensione alla trascendenza, impossibile per l'intelletto, diviene possibile per la ragione, cui spetta il privilegio fondante delle tre idee e successivamente la ragione si scopre morale pura. Con la ragione morale Kant intravede, nonostante l'imperversare dello scetticismo, la possibilit dell'Incondizionato. Per Lucien Goldmann il destino dell'uomo, cos come lo intende Kant,, consiste in un tendere verso l'assoluto [...] verso qualcosa di completamente differente dal dato empirico [...],[50] anche se nelle considerazioni successive appare chiara un'idea che caratterizza tutta la sua ricostruzione kantiana, nel senso che l'adempimento assoluto delle norme etiche in realt impossibile all'uomo.[51] Se il comandamento per Kant consiste in un'idea dell'Incondizionato, l'attivit pragmatica dell'uomo si determina, purtroppo nell'incapacit, nell'impossibilit di poter realmente attuare tutti quei modelli, attinenti al mondo intelligibile, e dal momento che l'uomo non pu tendere, assolutamente verso la santa volont, (il regno di Dio) [...] senza mai poter raggiungerli, la sua esistenza tragica.[52] Tutto il sistema kantiano sembra per Goldmann concludersi nella tragedia nel non poter fare, un non poter sapere, e soprattutto nel non poter sperare. Bisogna, tuttavia stabilire una differenza tra un non pu tendere e un non poter raggiungere. Nella Prefazione della Seconda edizione della Critica della ragion pura, Kant fa riferimento all'Incondizionato che ci spinge a oltrepassare necessariamente i limiti dell'esperienza e di tutti i fenomeni e tutto ci posto come un'esigenza della ragione. Il poter tendere deve sempre poter essere, indipendentemente dalla constatazione di non poter raggiungere (nella nostra vita mondana) il soprasensibile (totalit, sommo bene, ecc.). Oltretutto quando Kant fa riferimento, specie nella Ragion pura pratica, al soprasensibile, vuole intendere il carattere estremamente problematico della natura dell'uomo, in cui avvertibile l'ansia per l'Incondizionato solo come questione incalzante al di l dell'effettivo raggiungimento. L'intelletto, trovandosi nell'impossibilit di dilatarsi, pena una ricaduta in una costituzione metafisica falsante e fuorviante, deve poter sospendere qualsivoglia affermazione-negazione nei confronti di tutto ci che legato al soprasensibile; la Ragione chiamata legittimare l'uso di un'idea trascendentale che gi per se stessa si definisce come la possibilit del soprasensibile. Il valore della trascendenza o meglio dell'oltre-passamento dipende dalla possibilit trascendentale, nel senso che la trascendentalit anticipa, ossia propedeutica alla validit della trascendenza, che assimilabile all'uso dei concetti razionali puri; cos con le idee trascendentali possibile risalire alla serie delle condizioni fino all'incondizionato, ossia ai principi,[53] invece l'uso dei concetti intellettuali puri risponde all'immanenza, perch diretti all'esperienza. Riguardo alle idee trascendentali, Kant esclude che si possa fornire una deduzione trascendentale oggettiva, come era avvenuto per le categorie, in quanto esse non hanno alcuna relazione con un oggetto adeguato: Di queste idee trascendentali propriamente non possibile una deduzione oggettiva, come quella che noi potemmo fornire delle categorie. Perch in realt esse non hanno nessuna relazione con un oggetto qualunque ad esse adeguato, che possa esser dato, appunto perch esse non sono se non idee. Ma una deduzione soggettiva di esse dalla natura della nostra ragione noi potevamo bens intraprenderla, ed quella che stata anche fatta in questo capitolo.[54] Ma come possibile una deduzione soggettiva? come si pu legittimare [...] ci che, per definizione, ascrivibile al soggettivo?, la risposta si fonda sulla considerazione fondamentale, per la quale l'inattuabilit di una deduzione del tipo di quella delle categorie non deve comportare necessariamente la negazione di una certa validit oggettiva (indeterminata), in quanto una loro deduzione (delle idee trascendentali) deve essere assolutamente possibile e nello svolgimento della deduzione soggettiva e trascendentale, almeno per la Seconda edizione della Critica della ragion pura c' l'idea di Dio .

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Dio non pu essere rappresentato come un ente, tuttavia pu essere inteso come un'idea altamente problematica di cui non possibile conoscere alcunch; non possibile dimostrare concettualmente l'esistenza, ma nemmeno la non esistenza. La differenza tra la teologia minimale (credo minimo) e quella massimale (credo) dipende dalla considerazione per la quale il credo minimum sospende l'intuizione\intellezione\dimostrazione\fede sull'esistenza di Dio. C' in Kant, come ha affermato I. Mancini un credo minimum, incentrato sull'idea-Dio al posto dell'idea di Dio nel secondo caso si lascerebbe sussistere la convinzione che Dio sarebbe un oggetto che verrebbe pensato come esistente [...] Dio non un essere fuori di me, ma solo un pensiero in me.[55] La teologia minimale non pu rispondere in modo esaustivo e definitivo alla domanda-Che cosa posso...? -- tuttavia non pu non domandare, non pu non porsela, eternamente, come problema. Di fatto, Kant non volle rispondere in modo esplicito e dichiarativo. Kant fa riferimento ad un fondamento solo rapsodicamente; non risponde per esempio alle domande fondamentali (1 Che cosa posso sapere? -- metafisica; 2 Che cosa devo fare? -- morale; 3 Che cosa posso sperare? -- religione; Che cos' l'uomo? -- antropologia): alla prima domanda non risponde la metafisica, alla seconda non risponde la morale, alla terza la religione non risponde se non con il suo stesso domandare (pregare) come per la quarta l'uomo non pu rispondere senza interrogare nuovamente se stesso. Sarebbe ragionevole chiedersi se il senso della Metafisica (che per tale aspetto pu coincidere con la teologia) non si esplichi proprio in questo incessante interrogar-si.Kant aveva detto: -- Niente si sa [...]. E questo mondo, qual la sua origine? Quale la sua destinazione? Quale il suo perch? Non domandare, mio caro; ch la porta chiusa.[56] Kant rifiuta di aprire la porta (anzi indietreggia), tuttavia invita l'uomo a non rinunciare ad interrogarsi, ponendosi nella dimensione del mistero. La filosofia del non domandar-si sottende un'impostazione tipica di un pensiero piatto che crede che al silenzio, alla tensione tormentosa occorra far parlare l'ente in se stesso. Quindi alla base delle tre domande, Kant aveva incluso l'uomo (Cos' l'uomo?), ma al fondamento dell'uomo aveva anteposto la stessa appellazione. Alla base delle tre domande non c' la risposta offerta da tre discipline, ma la condizione dell'uomo destinato a riproporre la stessa domanda (?). In questo senso la filosofia kantiana non invalida la pro-pensione e la disposizione dell'uomo all'oltrepassamento e l'impossibilit della trascendenza ontologica non esclude [...] la tensione, essa pure trascendente, verso un oltre.[57] Il motivo per cui la ragione postula un qualcosa di trascendentale dipende dal fatto che per Kant l'esperienza non soddisfa mai pienamente la ragione. Kant non ha mai fatto esplicito riferimento, ma pu sembrare sottinteso che l'appellazione (le tre domande) della ragione sottenda un'inquietudine fondamentale. Il domandare dell'uomo riferibile al senso dell'essere, in se stesso, concepito come non-detto ed essenzialmente legato all'ambiguit ogni pensiero, oggetto del pensare autentico, resta per ragioni essenziali, ambiguo (M. Heidegger, Fenomenologia e teologia). Ritenere con Heidegger l'esistenza di un pensare e un dire che non ha alcun carattere obiettivante n oggettivante, comporta pensare l'essere, il cui significato da intendere come semplice disponibilit [...]. Presente presso ...: puro far dire la presenza di Dio. In tal dire non posto n rappresentato niente come oggetto o come obietto;[58] tutto ci comporta pensare l'essere non necessariamente nel senso oggettivo e soprattutto pensare alla teologia non pi nell'accezione scientifica. Una teologia non pi assimilabile all'idea di una qualsiasi altra scienza come la chimica, la matematica..., in quanto essa non si occupa di un ente dato (tipica espressione della Methaphysica Specialis che considera Dio, l'uomo e il mondo come enti), ma della dis-posizione umana., votata e destinata a trascendersi nell'A-altro. possibile una dimostrazione orientata a convalidare l'autonomia morale da un fondamento a-morale, fino al punto di avvalorare la tesi per la quale tutto ci che Kant chiama morale possa riferirsi ad un qualcosa che vada oltre la questione meramente etica? Le seguenti citazioni fanno pensare ad un 'qualcosa' di paradossale, di imperscrutabile, indimostrabile, di cui si ignora la genesi la realt oggettiva della legge morale non pu essere dimostrata, mediante nessuna deduzione, nonostante ogni sforzo della ragione teoretica, speculativa o nonostante empiricamente; [...] e tuttavia essa stabile per se stessa.[59] Tale citazione deve essere confrontata con un'altra, il cui significato va colto nel senso di un qualcosa non-detto, non logicamente dimostrabile e comunque presente:a questa deduzione invano cercata del principio morale sottentra qualcosa di diverso e affatto paradossale: cio che essa stessa invece serve come principio della deduzione di una facolt imperscrutabile, che nessuna esperienza poteva dimostrare, ma che la ragione speculativa [...] doveva

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ammettere almeno come possibile, cio la facolt della libert.[60] Copyright 2004 Luigi De Blasi Luigi De Blasi. Kant e il problema della teologia. La filosofia trascendentale come condizione dell'oltrepassamento. Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 6 (2004) [inserito il 20 febbraio 2004], disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [86 KB], ISSN 1128-5478.

Note
1. Critica della Ragion pratica, (traduzione di F. Capra); Laterza, Roma-Milano, 1974 p. 120. 2. E. Weil Problemi kantiani, Quattro venti, Urbino, p. 164. 3. Critica della ragion pratica, cit., p 7. 4. Ibid., p. 37. 5. Critica della ragion pratica, cit., p. 7. stato M. Heidegger ad approfondire il profondo legame esistente, nella filosofia pura pratica di Kant, tra il carattere finito dell'uomo (finitezza) e la tematica sulla libert; peraltro lo stesso Kant a far presente che Siccome la legge stessa dev'essere il movente in una volont moralmente buona, cos l'interesse morale un interesse puro e libero dai sensi, della semplice ragion pratica. Sul concetto di un interesse si fonda anche quello di una massima. Questa dunque veramente morale solo quando si fonda sul semplice interesse che si prende all'osservanza della legge. Ma tutti e tre concetti, quello di un movente, quello di un interesse e quello di una massima, possono essere applicati soltanto ad esseri finiti. Essi infatti suppongono una limitatezza della natura di un essere, in cui la natura soggettiva del suo libero arbitrio non si accorda da s con la legge oggettiva di una ragion pratica; suppongono un bisogno di essere stimolati in qualche modo alla attivit, perch un ostacolo interno si oppone ad essa. Perci non possono essere applicati alla volont divina (Critica della ragion pratica, cit., p. 98). 6. Critica della ragion pratica, cit., p. 98. 7. Ibid., p. 99. 8. M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica (trad. di M. E. Reina-Verra), Laterza, Bari 1985, p 139. 9. Critica della ragion pratica, cit., p. 94 10. E cos la legge del dovere, mediante il valore positivo che l'osservanza di essa ci fa sentire, trova un accesso pi facile mediante il rispetto per noi stessi alla coscienza della nostra libert (Critica della ragion pratica, cit., p. 192. 11. M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, cit., p. 139. 12. Ibid, p. 139. 13. M. Horkheimer -- Th.W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo, Einaudi, Torino 1976, p. 124 14. M. Heidegger, Nietzsche, Adelphi, Milano, 1994, P. 271. 15. M. Horkheimer -- Th.W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo, cit., p. 125. 16. L. Goldmann, Introduzione a Kant, (Trad. di S. Mantovani e V. Messana), Oscar Studio Mondadori,

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Milano 1975, p. 141. 17. Lezioni di Etica, Laterza, Bari 1971, p. 102. 18. Ibid, p. 94. 19. E. Levinas, Totalit e infinito, Jaca Book, Milano, 1980, p. 24. 20. Ibid, p. 240. 21. Fondazione della metafisica dei costumi, (trad. di P. Chiodi), Bari, Laterza, 1980., p. 39. 22. Agisci in modo di trattare l'umanit, cos nella tua persona come in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo (Fondazione della metafisica dei costumi, (trad. di P. Chiodi), Bari, Laterza, 1980, p. 61.) 23. K. Jaspers, La mia filosofia, Reprints Einaudi, Torino 1981, p. 31. 24. Kant, nella Dottrina trascendentale del metodo, nel paragrafo titolato Dell'ideale del Sommo bene come principio determinante del fine ultimo della ragion pura, nell'intento di mediare l'esigenza teoretica alla necessit della ragione pratica, riassume, con la prospettazione di tre domande fondamentali, l'interesse della ragione: Ogni interesse della mia ragione (cos speculativo, come pratico) si concentra nelle tre domande seguenti: 1 Che cosa posso sapere? 2 Che cosa devo fare? 3 Che cosa posso sperare?. 25. K. Jaspers, La mia filosofia, cit., pp. 16, 17. 26. L'appellarsi alla coscienza implica un appello alla volont che aspira ininterrottamente infinitamente alla perfezione e alla santit Quella legge di tutte le leggi presenta dunque, come tutti i precetti morali del Vangelo, l'intenzione morale nella sua intera perfezione come un ideale di santit non raggiungibile da nessuna creatura, e che tuttavia l'esemplare a cui dobbiamo procurare di avvicinarci e diventar pari in un processo ininterrotto, ma infinito (Critica della ragion pratica, cit., p. 103). 27. M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, cit., p. 187. 28. La religione entro i limiti della sola ragione, Biblioteca universale Laterza, Bari, p. 19-25. 29. Ibid., pp. 25-27. 30. Ibid, p. 64. 31. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, cit., p. 224. 32. Differentemente dall'intelletto che opera con concetti al fine di unificare le intuizioni empiriche, la ragione, con le sue idee trascendentali, riveste un'importanza fondamentale, in quanto pu 'oltrepassare' il fenomenico. L'idea di Dio deve servire da modello alla perfetta determinazione della copia; e noi non abbiamo altro criterio per giudicare le nostre azioni che la condotta di questo uomo divino in noi, col quale noi possiamo paragonarci, giudicarci, e cos migliorarci, quantunque non ci sia possibile mai raggiungerlo. Questi ideali, sebbene non si possa loro attribuire realt oggettiva (esistenza), non sono perci da considerare per chimere, anzi offrono un criterio alla ragione, che ha bisogno del concetto di quel che nel suo genere perfetto, per apprezzare alla sua stregua e misurare il grado e il difetto dell'imperfetto (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 453); 33. L'idea trascendentale di un essere originario necessario universalmente sufficiente cos smisuratamente grande, cos sublime al di sopra di ogni essere empirico, sempre condizionato, che

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da una parte non si pu rintracciare mai materia sufficiente nell'esperienza, da riempire un tal concetto, e d'altra parte si brancoli sempre nel condizionato, e si va in cerca perpetuamente indarno dell'incondizionato, di cui nessuna legge di sintesi empirica ci fornisce un esempio o il menomo accenno (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 487). 34. Io affermo che tutti i tentativi di un uso meramente speculativo della ragione rispetto alla teologia sono affatto infecondi e per la loro intima natura nulli e vani; [...] e che pertanto, se non si mettono a fondamento o non si prendono a guida leggi morali, non possibile che ci sia mai una teologia della religione (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 497). 35. Critica della ragion pura, vol. II (Trad. di G. Gentile e G. Lombardo Radice), Laterza, Bari 1977, p. 504. 36. P. Martinetti, Kant, Bocca, Milano 1946, p. 344. 37. Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 607. 38. E. Weil Problemi kantiani, Quattro venti, Urbino, p. 44. 39. Quindi il Dio potente appartiene alla fisica, ossia scaturisce dalla dimensione di una certa conoscenza che l'uomo ha del mondo e della sua storicit, legata alla dimensione temporale ed anche esistenziale; l'onnipotenza di Dio apparterrebbe ad un'altra sfera, essenzialmente pi pura. Anche l'uomo comprensibile secondo una duplice appartenenza: da una parte esso fa parte della sfera fisica o fenomenica che lo porta a considerarsi come essere limitato, finito ecc., dall'altra esso appartiene ad una umanit santa. 40. Alla base delle tre specie possibili di prove dell'esistenza di Dio per la ragione speculativa (Critica della ragion pura, vol. II, p. 466), ci sarebbe la stessa ragione (quella speculativa) che indarno [...] spiega le sue ali per levarsi al di sopra del mondo sensibile con la semplice potenza della speculazione (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 467). Kant esplicita la via dell'argomento fisico-teologico, di quello cosmologico e infine dell'argomento ontologico. Il taglio metodologico degli argomenti sottendono l'idea fondamentale, secondo cui tutte le vie [...] muovono o dalla esperienza determinata e dalla particolare natura quindi conosciuta del nostro mondo sensibile, e salgono da esso, secondo le leggi della causalit, fino alla causa suprema fuori del mondo; ovvero mettono empiricamente a fondamento soltanto un'esperienza indeterminata, cio un'esistenza qualunque; o fanno, infine, astrazione da ogni esperienza, e conchiudono affatto a priori da semplici concetti all'esistenza di una causa suprema. Il primo argomento l'argomento fisico-teologico, il secondo il cosmologico, il terzo l'ontologico. Non ce ne sono, e n anche ce ne possono essere altri (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 467). Dell'impossibilit di una prova ontologica dell'esistenza di Dio: tale prova, che ha informato buona parte della teologia a cominciare da Anselmo, viene confutata per ci che attiene alla dimostrazione di Dio come concetto dell'Essere realissimo. Si parte dal presupposto secondo il quale ci sarebbe un concetto [...] in cui il non essere [...] del suo oggetto in se stesso contraddittorio: e questo il concetto dell'Essere realissimo. Esso ha, voi dite, tutte le realt, e voi siete in diritto di ammettere come possibile un tal essere [...]. Ma fra tutte le realt compresa anche l'esistenza; dunque, nel concetto di un possibile c' l'esistenza. [...]. Io rispondo: voi avete gi commessa una contraddizione quando, nel concetto d'una cosa che volete pensare unicamente nella sua possibilit, avete introdotto, sia pure sotto occulto nome, il concetto della sua esistenza (Critica della ragion pura, vol. II, p. 471); la base critica per questo argomento incentrata sull'errata apposizione tra proposizione analitica e sintetica; un altro argomento della prova ontologica concerne il giudizio di Dio onnipotente>> che accoglie due concetti, che hanno i loro oggetti: Dio e onnipotenza: la parolina "" non ancora un predicato, bens solo ci che pone il predicato in relazione col soggetto. Ora, se io prendo il soggetto (Dio) con tutti insieme i suoi predicati (ai quali appartiene anche l'onnipotenza), e dico: Dio , o c' un Dio, io non affermo un predicato nuovo del concetto di Dio, ma soltanto il soggetto in s con tutti i suoi predicati (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p.
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473). Kant non contesta il concetto di onnipotenza, ma il tentativo di aggiungere qualcosa in pi al concetto stesso. Il punto di partenza per tutti gli argomenti della prova ontologica, invece, per Kant deve prospettare una riflessione che se io mi penso un essere come la Realt suprema (senza difetto), resta sempre la questione, se esso esista o no (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 473). Gi a partire dalla critica alla prova ontologica emerge l'utilit, nell'accezione ovviamente morale, della idea dell'Essere supremo che un'idea per pi rispetti molto utile; ma appunto perci, essendo semplice idea affatto incapace di dilatare, soltanto per suo proprio mezzo, la nostra conoscenza rispetto a quello che esiste (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 474). La prova ontologica cerca di dimostrare, quindi, l'esistenza di Dio prendendo l'avvio dal concetto di Dio come dell'Essere perfettissimo, cui non pu mancare l'attributo della esistenza. La differenza tra cento talleri reali e cento talleri possibili (Cento talleri reali non contengono assolutamente nulla di pi di cento talleri possibili [...]. Ma rispetto allo stato delle mie finanze nei cento talleri reali c' pi che nel semplice concetto di essi (cio nella loro possibilit), Critica della ragion pura, vol. II, p. 472) consiste nel fatto che i primi esistono realmente, mentre i secondi sono nel concetto, che per quanto precisi nel pensiero difettano di realt. Pertanto, l'esistenza degli oggetti fa parte della sfera della sensibilit e della esperienza possibile, mentre gli oggetti del pensiero non rientrano nella conoscenza sensibile, quindi la loro esistenza non certa, ma essenzialmente problematica, in quanto per tali oggetti di pensiero non possibile n una conoscenza empirica, n una conoscenza intuitiva e neanche una conoscenza intellettuale. Kant, pur riconoscendo l'importanza della prova ontologica, sottolinea l'impossibilit che la realt possa scaturire da un'idea. Dell'impossibilit di una prova cosmologica dell'esistenza di Dio: l'argomento della prova cosmologica si arroga il vanto di stabilire il suo fondamento sull'esperienza, dandosi un'aria come fosse diversa dalla prova ontologica (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 477), volendo cos aggiudicarsi il diritto di una certa scientificit. Questo tipo di prova presenta un utilizzo errato del principio di causalit che, partendo dall'esperienza e dalla contingenza, pretende di elevarsi oltre l'esperienza verso un Essere incausato e necessario. La causalit, invece per Kant, pu valere solo nell'ambito dell'esperienza e fuori di questo non ha nessun senso. In sintesi, le illusioni degli argomenti volti a convalidare la prova cosmologica e le accuse rivolte da Kant possono essere cos esposte: Il principio trascendentale di conchiudere dal contingente ad una causa: principio che ha un significato solo nel mondo sensibile, ma fuori di questo non ha nessun senso (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 479); Il principio di conchiudere dalla impossibilit di una serie infinita di cause date l'una sull'altra nel mondo sensibile ad una causa prima, a cui non ci autorizzano i princpi dell'uso stesso della ragione nell'esperienza, i quali molto meno possono estendere questo principio al di l di essa (Critica della ragion pura, vol. II, p. 479). Anche per questa prova riaffiora la differenza tra un voler concedere, ammettere l'esistenza di un Essere di suprema sufficienza come causa di tutti i possibili effetti, per agevolare alla ragione l'unit, cui essa aspira e il pretendere (pretensione orgogliosa) che tale Essere esiste necessariamente (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 481). Dell'impossibilit della prova fisico-teologica: la prova teleologica fa leva sull'ordine, sulla finalit e sulla bellezza del mondo per inoltrarsi ad una Mente suprema e ordinatrice: Dio creatore, perfetto e infinito. Per Kant questa prova merita d'essere sempre menzionata con rispetto. Essa pi antica, la pi chiara e la pi adatta alla comune ragione umana (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 488). Il ragionamento prende l'avvio dall'ordine e dalla finalit che si osserva universalmente cos nel mondo -- come da un concetto del tutto contingente -- all'esistenza di una causa che vi sia proporzionata (Critica della ragion pura, vol. II, p. 491). Gli argomenti principali della prova teleologica possono essere esposti secondo il seguente ordine: 1. Nel mondo vi un ordinamento secondo uno scopo determinato, attuato con grande sapienza; 2. La natura delle diverse cose non avrebbe potuto da se stessa con mezzi cos vari fra loro coordinati accordarsi per uno scopo finale determinato, se essi non fossero propriamente scelti e disposti a ci da un principio razionale ordinatore; 3. Esiste dunque una causa sublime e saggia (o pi cause), che dev'essere la causa del mondo non semplicemente come una natura onnipotente operante ciecamente per la sua produttivit,

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ma come intelligenza per la sua libert; 4. L'unit di questa causa si pu desumere dall'unit della relazione reciproca delle parti del mondo, come pezzi di un'opera d'arte. (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 490). La prova si arrogherebbe il diritto di fondare, sulla base dell'ordine cosmico, l'esistenza di una causa infinita e perfetta. L'intrinseca filosofia che sorregge la prova fisico-teologica tutt'al pi potrebbe dimostrare un architetto del mondo [...] ma non un creatore del mondo (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 491). 41. Quanta namque est lux illa, de qua micat omne verum quod rationali menti lucet! (ANSELMO, Proslogion, Bompiani, Milano 2002, p. 338. 42. Critica della ragion pratica, cit, p. 178. 43. Tutte le inclinazioni insieme [...] costituiscono l'egoismo (solipsismus). Questo , o l'egoismo dell'amor di s, di una benevolenza verso se stesso (philautia) che supera tutto, o l'egoismo della compiacenza di se stesso (arrogantia). Quello si chiama particolarmente amor proprio, questo presunzione (Critica della ragion pratica, cit., p. 91). 44. Opus postumum, Biblioteca Universale Laterza, Bari 1984, pp. 350, 351. 45. L'idea-Dio (non di Dio), perch questo sarebbe un oggetto che verrebbe pensato come esistente (Opus postumumcit., p. 392. 46. I. Mancini, Kant e la teologia, Cittadella editrice, Assisi 1975, p. 166. 47. Opus postumum, cit., p. 313. 48. A. Masullo, Metafisica, Oscar studio Mondadori, Milano 1980 pp. 204, 205. 49. M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, cit., p. 185. 50. L. Goldmann, Introduzione a Kant, (Trad. di S. Mantovani e V. Messana), Oscar Studio Mondadori, Milano 1975, p. 85. 51. Ibid., p. 89. 52. Ibid., p. 180. 53. Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 314. 54. Ibid, p. 314. Rispetto alla questione della deduzione soggettiva, Kant, secondo Heidegger, avrebbe evitato di far appello alla propria antropologia [...] perch la fondazione medesima, nel corso del suo svolgimento, pone in discussione il modo stesso dell'indagine sull'uomo (M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica cit. p. 185). Secondo Heidegger Kant indietreggia, nel senso che rifiuta di andare fino in fondo. 55. I. Mancini, Kant e la teologia, Cittadella editrice, Assisi 1975, pp. 215-217. 56. F. De Santis, Saggi critici (vol. II); Schopenhauer e Leopardi Dialogo tra A e D; Laterza, Bari 1961, 155. 57. I. Mancini, Kant e la teologia, cit., p. 208. 58. M. Heidegger, Fenomenologia e teologia, (a cura di N. M. De Feo), La Nuova Italia, 1974, p. 47. 59. Critica della ragion pratica, cit., p. 59.

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60. Ibid., p. 59.

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