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Repubblica

Platone

LIBRO I

1. Prologo drammaturgico

L’incontro di Socrate con Polemarco

- Socrate nel Pireo a causa di una festa religiosa – per pregare e godere lo spettacolo
–.
- Contenuto dialogico: «… riuscireste a persuadere uno che non vi ascolta?» «No di
certo!» (327c)

L’incontro di Socrate col vecchio Cefalo

- Contenuto etico-antropologico. Requisito per fare filosofia. Dice vecchio Cefalo:


«Del resto, come ben sai, con l’attenuarsi degli altri piaceri del corpo, aumenta in
me la voglia e il gusto di discorrere.» (328d)

2. Il discorso fra Cefalo e Socrate sul tema della vecchia

Il problema se la vecchia sia un male

- Contenuto antropologico, nonché culturale: è doveroso chiedere lumi a chi è


giunto alla vecchia (328e)

Il pregio della vecchia sta nella pace dei sensi che procura

- Secondo Cefalo, sbagliano coloro che vedono nella vecchia la causa di tutti i mali.
Tutt’altro, sulla scia di Sofocle, afferma che «nell’età avanzata si conquista una
profonda pace e la liberazione da queste passioni [sessuali]… cioè ci si libera da
molti folli padroni». E poi, il maltratto dei parenti neanche è dovuto alla vecchia,
ma al «modo di comportarsi degli uomini» (329e)

La ricchezza è causa necessaria, non sufficiente di una buona

- Se porta bene la vecchia – siccome qualunque altra situazione faticosa – grazie alle
grande ricchezze? Risponde Cefalo: «…indubbiamente anche l’uomo di senno,
quando sia indigente, non potrebbe sopportare molto facilmente l’età vecchia; ma
l’insipiente, fosse anche straricco, non troverebbe in sé la forza di essere
contento.» (330a)
- Socrate aggiunge che quelli che hanno ereditato una ricchezza sono più liberi dal
denaro. Invece chi gliel’ha guadagnata, «se la tengono stretta… non fanno che
esaltare la ricchezza.» (Ibid.)

Il pregio della ricchezza sta nel poter rimediare alle ingiustizie commesse
- Considerazione esistenziale-antropologica: l’esperienza della morte – della sua
vicinanza – porta a riflettere sul senso e il fine della vita. Innanzitutto, sulla
quesitone dell’al di là e l’applicazione della giustizia secondo il modo di vita. (Cfr.
330e-331a)
- Ricchezza e sapienza: «…io ritengo che l’essere ricchi sia una grande fortuna, non
per chiunque, ma per l’uomo di senno ed equilibrato» (Ibid.)
- La ricchezza – in linea di massima – dovrebbe giovare ad evitare la tentazione:
«impedire che si defraudi o si imbrogli qualcuno anche senza volerlo…» (331b)

3. Intervento di Polemarco e passaggio al tema della giustizia

La domanda di Socrate: qual è la definizione della giustizia?

- Prima definizione della giustizia: «dire le cose come stanno e restituire quello che si
è preso» (331d)

Prima risposta: giustizia [δικαιοσυνη] è restituire il dovuto

- Polemarco interviene1 citando la massima di Simonide: «…il giusto [δικαοιν]


consiste nel restituire [αποδιδωμι] ciò che è dovuto [τα οφειλομενα2]» (331e)
- Prima precisione di Socrate: «non sarebbe restituire il dovuto riconsegnare a
qualcuno l’oro che ha affidato in deposito, se il dare e il ricevere si traducono in un
danno…» (332b). Suddetta massima si applica secondo il caso concreto. Dipende in
ultimo termine di un’altra – implicita – massima: «fare agli amici il bene e non il
male» (Ibid.)3
- Seconda precisione: «egli [Simonide] lo interpretò [il “restituire”] come un dare a
ciascuno quel che gli spetta [το προσηκον].» (332c)

Seconda risposta: giustizia è beneficare gli amici e nuocere ai nemici

- Tre elementi ad avere presente nell’esercizio della giustizia: destinatario [τισιν],


debito [το οφειλομενον] e spettanza [το προσηκον]
- Si può anche parlare di due elementi: «“a chi” e “che cosa” deve restituire la
giustizia per avere tale nome.» (332d)
- Seconda definizione: «…la giustizia consiste nel beneficare gli amici e nel far del
male ai nemici.» (Ibid.) Destinatario e debito conveniente.
- Discorso di Socrate: in quali circostanze è utile il giusto [ο δικαιος], secondo la
definizione di giustizia come “beneficare gli amici…” (332e-334b).
o Primo tentativo: «nel combattere al suo fianco». Secondo: in tempo di pace,
nei «rapporti interpersonali». Terzo: in tali rapporti, ma «quando c’è in

1
Cefalo lascia il discorso sulla giustizia e va a compiere ciò che deve in giustizia: i suoi sacrifici.
Alla domanda su cosa sia la giustizia, Cefalo non risponde con la parola, ma con l’esempio, con
la testimonianza.
2
Oppure, το οφειλομενον: il dovuto.
3
La legge morale di carattere universale si applica mediante l’uso della prudenza: ciò che è
«dovuto e conveniente» (cfr. 332c)
mezzo il denaro». Quarto: «quando si voglia mettere in serbo il denaro –
lasciarlo in deposito – e non spenderlo.».
o A questo punto conclude Socrate: «ossia che la giustizia serve quando una
cosa non serve, e non serve quando quella medesima cosa serve», poiché
serve quando il denaro non si usa.
o Inoltre, da ciò, Socrate tira fuori un’altra conclusione sulla natura del giusto:
chi sa «attaccare, sa anche difendersi» … «di ciò di cui uno è buona guardia,
è anche buon ladro». Per tanto, «il giusto che è bravo a custodire il denaro
lo è anche a rubarlo». Dunque, sembra che «la giustizia abbia qualcosa a
che fare col furto, se pure a vantaggio degli amici e a svantaggio dei
nemici.»4

Terza risposta: il giusto è beneficare l’amico buono e nuocere al nemico malvagio

- Primo chiarimento (334c):


o Amico [ο φιλος] è colui che uno ritiene per bene [χπστος] e lo ama [φιλειν]
o Nemico [ο εχθρος] è colui che uno ritiene malvagio [πονηρος] e lo odia
[μισειν]
- Secondo chiarimento di Polemarco – dovuto alla possibilità di sbagliare davanti alle
apparenze –.
o Amico: «colui che pare buono e anche lo è [ειναι φιλον]»
o Nemico: colui che pare malvagio e anche lo è
- Conclusione di Socrate: «amico è l’uomo onesto e nemico è il malvagio» (335a) 5
- Allora, la determinazione del destinatario della giustizia comporta pure un’ulteriore
determinazione della definizione di giusto.
- Dopo siffatta precisazione, avviene una terza definizione: «il giusto consiste forse
nel beneficare l’amico quando egli sia buono e nel recar offesa al nemico quando
sia malvagio?» (335a)6

Conclusione di Socrate: il giusto non può nuocere a nessuno

- Ragionamento (335b-336a):
o Primo: analogo ai cavalli o ai cani, gli uomini maltrattati «peggiorano
proprio in rapporto alla loro specifica virtù di uomini [την ανθρωπειαν
αρετην]» (335c). Ovvero, recar offesa a qualcuno rende l’uomo maltrattato
meno virtuoso, peggiora in quanto uomo.

4
La conclusione è logica. Se la giustizia consiste solo in “beneficare” gli amici e “nuocere” i nemici, allora
è irrilevante il mezzo. Se la giustizia si misura secondo l’utilità, essa non resta che uno strumento a
vantaggio di uni e a svantaggio di altri.
5
Il chiarimento permette si passar dal livello delle apparenze, a quello della realtà. Da ciò che sembra a
ciò che invero è. Così continua la riflessione sul destinatario della giustizia. Ancora non si ha parlato della
giustizia in sé.
6
Vuol dire che ci sono momenti in cui l’amico non è buono e in cui il nemico non è malvagio. Dunque, la
giustizia non dipende da se uno è amico o nemico, bensì se uno è buono – l’amico quando egli sia buono
– o se uno è malvagio – il nemico egli quando sia malvagio. Sorge la domanda: è giusto forse far del male
all’amico quando egli non sia buono? Oppure, è giusto far del bene al nemico quando egli non sia
malvagio?
o Secondo: come mai la giustizia – che è una virtù umana [ανθρωπεια αρετη]
– può avere come conseguenza rendere un uomo meno virtuoso, anzi
malvagio? Sarà possibile che il giusto, mediante la giustizia, renda l’altro – il
malvagio – avverso alla giustizia o incapace di praticare la giustizia?
o Terzo: «renderemo forse con la giustizia ingiusti i giusti? Insomma, faremo
malvagio chi è buono, addirittura ricorrendo alla virtù?
o Quarto: «dunque, Polemarco, non può essere una prerogativa del giusto il
recar danno, né a un amico né a chiunque altro; lo sarà semmai del suo
contrario, ossia dell’ingiusto [του, εναντιου, του αδικου].»7
- Conclusione: «è risultato chiaro che in nessun caso è giusto fare del male a
qualcuno.» Quindi, la terza definizione è anche erronea.

4. Intervento di Trasimaco. La giustizia è il vantaggio del più forte

Trasimaco pretende una nuova impostazione del problema della giustizia

- Contenuto gnoseologico-metodico (336c-337c)


o Critica alla cosiddetta “ironia socratica”. La strategia di chiedere e
confutare. Afferma Trasimaco: «è più facile porre quesisti che dare
soluzioni»
o Seconda critica: «…dicci una buona volta che cosa intendi per giusto. E bada
bene di non rispondermi che il giusto è il dovere, o l’utile, o il vantaggioso, o
il redditizio, o ciò che giova, ma nel parlare sii chiaro e preciso…»

Esempio dell’ignoranza socratica: «…la verità è che noi non ne abbiamo la capacità;
e per questo, da uomini del vostro calibro è bene che noi si abbia compassione,
piuttosto che malanimo.» (337a) Socrate riconosce il valore della giustizia e
dichiara la sua incapacità di definirla. Risposta di Trasimaco: «Eccoci come al solito
alle prese con la famosa ironia socratica [ειρωνεια Σωκρα] ... l’avevo pur anticipato
a questa gente che tu ti saresti rifiutato di rispondere, avresti assunto la maschera
dell’ironia, facendo di tutto pur di non dare risposte a chi te le avesse chieste.»
(337a)

o Terza critica: «Parli come se questo fosse lo stesso caso di quello».


Solitamente Socrate usa degli esempi, dai cui tira fuori delle conclusioni per
il caso concreto a trattare.
o Quarta critica: Socrate spinge l’interlocutore a rispondere quel che gli pare,
e poi sceglie una delle risposte che colui ha escluso, cioè prende «il discorso
dal lato che lo rende peggiore.» (cfr. 338d)

Socrate costringe Trasimaco a pronunciarsi sulla giustizia

- Socrate provoca Trasimaco con astuzia nel dirgli che è un uomo di non poco
prestigio, sapiente (cfr. 338a). Infatti, «Trasimaco non vedeva l’ora di parlare per
farsi bello, in quanto era sicuro di avere in serbo una risposta davvero strepitosa»
7
Torna ancora l’argomento precedente. Il destinatario della giustizia non si definisce in termini di
“amico” o “nemico”.
- Contenuto etico: ringraziare ciò che s’impara dai maestri. Socrate: «… quando uno
mi sembri di dire cose giuste, le faccio di cuore [le lodi]».8

La tesi di Trasimaco: il giusto è l’interesse del più forte

- Quarta definizione: «…ritengo che il giusto non sia altro che l’interesse del più
forte.» (338c)
- Primo chiarimento: non si tratta di forza fisica, ma politica. Infatti, ogni regime –
tirannico, democratico o aristocratico – «pone delle leggi in vista del proprio
tornaconto… essi dispongono che il proprio utile diventi per i suddetti il giusto,
sicché il trasgressore viene perseguito come nemico della legge e della giustizia»
(338b). Quindi, in ogni forma di governo il giusto è «ciò che giova al potere
costituito». Il “più forte” è il governante.

Socrate evidenza le assurdità contenute nell’affermazione di Trasimaco

- Prima confutazione: se i governanti non vanno esenti da errore nel legiferare,


allora «il giusto non consiste solamente nel fare l’interesse del più forte, manche
nel fare l’esatto contrario, e cioè il suo danno» (339d). Questo – fare il suo danno –
si compie nel caso in cui il governante, in modo sbagliato, pone come legge – cosa
giusta – qualcosa che in realtà è dannosa per lui. Allora, ubbidendo tale legge, allo
stesso tempo si fa ciò che giusto e ciò che danneggia il governante. Assurdo.
- Dunque, il giusto non si riduce a «dare esecuzione agli ordini ricevuti» (340a) 9
- Secondo chiarimento: «…il giusto è il vantaggio del più forte così come pare al più
forte, sia che risulti esserlo davvero, sia che no?» (340c)

Precisazione di Trasimaco: il giusto è l’utile del più forte, quando agisce nel suo vero
interesse

- Essendo precisi, «il competente in un certo ramo non può mai sbagliare… l’uomo
che comanda, in quanto è uomo di comando, non può sbagliare, e non sbagliando,
ordina sempre qual che è meglio per sé: e a questo comando i sottoposti devono
attenersi.» (341a). Ovvero, Trasimaco parla del governante nel senso più rigoroso
del termine.

Confutazione di Socrate: ogni arte soccorre l’oggetto di cui è arte, in ciò in cui è debole

Socrate capovolge la tesi di Trasimaco: il vero governante è chi cerca l’utile del più
debole

- Nessun arte cerca l’utile di sé, ma quello di quello di cui si occupa (cfr. 342c) «E
dunque, non esiste scienza che abbia per oggetto l’utile del più forte che lo
imponga; ciascuna scienza, invece si occupa del vantaggio del più debole, ossia di
8
Trasimaco crede che chi impara deve sborsare denaro. Tipica immagine del sofista: colui che vede nella
filosofia e nell’insegnamento, innanzitutto, un mezzo per ricavare soldi. L’educazione in termini
economici. E la filosofia, un negozio – cioè, una negazione del “ozio” –.
9
Una considerazione del tutto formale. Senza contenuto materiale. Il giusto, l’esercizio della giustizia
comporta la determinazione “materiale”, un contenuto specifico della legge. Essa è posteriore.
chi le è sottomesso» (342d). E così come «nessun medico, in quanto medico, ha di
mira il proprio utile [το συμφερον] e lo prescrive ali altri, e che invece, si propone
l’utile del malato […], nessun altro uomo in nessun’altra forma di governo, almeno
nella misura in cui è governante, si proporrebbe come obiettivo il proprio vantaggio
e lo imporrebbe agli altri; egli piuttosto cercherebbe l’utile di chi dipende da lui,
essendo il beneficiario della sua arte.» (342e).
- In questo modo, compare la figura del vero governante: colui che serve ai sudditi.

Per Trasimaco sono i fatti a dimostrare che l’ingiusto ha più successo del giusto

- Trasimaco fa vedere come le cose sono nella realtà quotidiana: le vere intenzioni
dei governanti, i vantaggi dell’ingiusto, e così via.
- Socrate alla fine sembra troppo idealista. Parla di come “devono” essere le cose.
Ma Trasimaco, parla di come “sono” le cose invero.

Radicalizzazione della tesi di Trasimaco: l’assoluta ingiustizia del tiranno corrisponde


alla perfetta felicità

- Secondo Trasimaco, il punto di riferimento per «valutare quanto sia proficuo nella
sfera privata essere ingiusto piuttosto che giusto» è colui che «sa farsi valere sugli
altri» (344a)
- Paradossalmente, «se qualcuno, oltre che appropriarsi dei beni dei cittadini, si
appropriasse anche delle loro persone… al posto di questi epiteti vergognosi si
guadagnerebbe la nomea di uomo felice e fortunato, e non solo da parte dei
concittadini, ma anche di tutti gli altri che siano a conoscenza della sua perfetta
ingiustizia. In effetti, quelli che son soliti condannare l’ingiustizia, la condannano
non perché abbiano paura di farla, ma di subirla.» (344c)10
- E conclude categoricamente: «Ecco, Socrate, perché l’ingiustizia, quando sia in sé
perfetta, è più forte, più libera, più autorevole della giustizia» (344d)
- Riformulazione della quarta definizione: il giusto è il vantaggio del più forte, e
l’ingiustizia procura vantaggio e profitto a se stessa (cfr. Ibid.). Vale a dire, che
l’ingiustizia il mezzo per realizzare il “giusto”

- Contenuto metodologico: non basta affermare o descrivere il come “sono” le cose.


Bisogna dare dimostrazione di quanto si ha sostenuto. È più facile fare belle analisi,
ma difficile argomentarle.

Il totale dissenso di Socrate: il vero politico cerca il vantaggio degli altri e non il
proprio11

Il guadagno non rientra nei fini specifici di nessuna arte e tanto meno della politica

10
Appropriata descrizione dell’ipocrisia etico-sociale. Sembra la descrizione di un atteggiamento che
possiamo denominare “strutturale”, in quanto realizzato non esclusivamente in momento della storia,
ma appartenente ad ogni epoca.
11
Cambio di argomento. Dalla questione della giustizia si passa al tema del vero politico – e della vera
politica? Perché è possibile tale passaggio? Qual è il rapporto tra giustizia e politica?
- Primo argomento di Socrate: nessuno assume una carica pubblica
«spontaneamente, ma ognuno pretende una ricompensa, perché è convinto che
esse non avvantaggino chi comanda, ma chi è comandato» (345e). Quindi, l’unico
vantaggio sarebbe per lo meno la ricompensa: «di tipo economico o valutabile in
termini di prestigio» (347a)
- Secondo argomento (346-347a):
o Premessa: ogni arte è diversa dall’altra, per il fatto che ha una differenze
funzione, e perché ciascuna di esse procura un vantaggio specifico.
o La professione del mercenario procura denaro. La medicina procura la
salute. Non si può dare il nome di arte mercenaria alla medicina perché uno
nel curare si facesse pagare.
o Quindi il vantaggio economico nella medicina è secondario. Il vantaggio
specifico è quello di guarire. Ed è un vantaggio riguardo il malato. Ciascun
arte «esercita la sua funzione e offre quei vantaggi a cui è predisposta».
o Conclusione: «…non esiste arte né forma di governo che rechi vantaggio a
se stessa, ma… ognuna fa e impone l’interesse di chi le è sottoposto,
mirando all’utile del più debole e non del più forte». In quanto, l’arte viene
a supplire la limitatezza del suo oggetto

I vantaggi che offre la politica non interessano l’onesto

- Considerazione etico-antropologica: allora, secondo Socrate, «i cittadini onesti [οι


αγαθοι] non accettano di comandare [αρχειν] né per le ricchezze [χρηματων] né
per gli onori [τιμης]. […] Non resta quindi che imporre una multa, se si vuole che
essi si dispongano all’esercizio del comando» (347b-347c). Ovvero, non è normale
che le persone oneste vogliano governare senza che sia una buona “motivazione”
- Una grande motivazione: «…la più grave punizione consiste nell’essere governati
dall’individuo peggiore… Ed è proprio perché paventano una tale eventualità che
gli uomini dabbene mi sembrano accettare il comando, quando l’accettano.» (347c)

Per Socrate la vita dell’ingiusto non è migliore di quella del giusto

Il radicale utilitarismo di Trasimaco riduce la giustizia a una forma di stupidità e il vizio


a saggezza

- Per Trasimaco:
o «…l’ingiustizia serve a qualcosa, mentre la giustizia a nulla.» (348c).
o La giustizia è «una specie di nobile stupidità», e l’ingiustizia «assennatezza»
(348d)
o «…gli ingiusti risulteranno anche essere saggi e virtuosi». (Ibid.)

Confutazione della tesi che l’ingiustizia è un bene (349b-350c)

- Primo passo: «il giusto non pretende di avere di più di quanto abbia il suo simile,
ma più di quanto ha chi gli è dissimile; l’ingiusto, invece, pretende di avere più
dell’uno e più dell’altro»
- Secondo passo: «…l’ingiusto somiglia all’uomo assennato e virtuoso, e, viceversa, il
giusto non gli somiglia affatto».
- Terzo passo: considerazione della scienza e l’ignoranza, del esperto e
dell’inesperto. L’inesperto vuole superar tanto l’esperto quanto l’inesperto.
L’esperto – sapiente e buono – non vuole superar il suo simile, bensì chi è diverso
da lui (inesperto).
- Quarto passo: «…il giusto viene ad assomigliare al sapiente e al buono, e invece
l’ingiusto al malvagio e all’ignorante»
- Conclusione: poiché «ciascuno dei due è come quello a cui è simile», allora
«l’uomo giusto ci è rivelato buono e sapiente, e l’ingiusto, invece, ignorante e
malvagio».

Prova dell’inefficacia dell’ingiustizia: perfino i criminali devono ispirarsi a criteri di


giustizia

- Si trova un consenso provvisorio fra Socrate e Trasimaco: «che la giustizia è virtù e


sapienza e l’ingiustizia, vizio e ignoranza» (350d)
- Contenuto antropologico: Socrate crede che Trasimaco solo parla per dare la
contra, ma in realtà non dice ciò che pensa.

- Seguente tappa nella ricerca: «quale sia il rapporto fra la giustizia e l’ingiustizia»
(351a)
- Un caso: «qualsiasi altra associazione che si formi allo scopo di delinquere», non
potrebbe combinare qualcosa, «se al suo interno si comportasse al di fuori di ogni
principio di giustizia» (351c). Invece, se evitassero di comportarsi fra loro
ingiustamente, otterrebbero migliori risultati.

L’ingiustizia toglie armonia e coordinazione e quindi impedisce ogni azione efficace

- Discorso di Socrate.
- Contenuto etico: caratteristiche della ingiustizia. «Quando essa si genera, sia in uno
Stato, sia in un popolo, o in un esercito, o in qualsiasi altra istituzione, in primo
luogo toglie la possibilità di agire in una condizione di intrinseca armonia, per
effetto delle discordie e delle divergenze; in secondo luogo, rende odiosi a se stessi,
agli avversari e agli uomini giusti» (352a)
- «E anche nel caso che si generasse in un solo individuo… In primo luogo gli
toglierebbe la possibilità di agire, suscitando nel suo intimo contrasto e divisione, e
poi lo renderebbe inviso a se stesso e ai giusti» (Ibid.)

Ribaltamento delle tesi di Trasimaco: il giusto è più sapiente, virtuoso e concludente


dell’ingiusto

- Tornando al caso delle associazioni ingiuste: «…è proprio in virtù di questa giustizia
che essi potevano fare quel che facevano, e il successo delle loro imprese illecite
dipendeva solo dal fatto che erano ingiusti a metà, dal momento che l’uomo
totalmente malvagio e quello radicalmente disonesto sono altresì del tutto
impotenti e inconcludenti» (352c)
- Così, la tesi di Trasimaco è completamente distrutta. Perché lui affermava appunto
che i successi avvengono agli ingiusti

Solo un’anima giusta è nel pieno delle sue facoltà e può assicurare una vita beta

- Si riprende quindi la domanda: se i giusti abbiano un vita migliore degli ingiusti?

- Contenuto etico: il seguente discorso, secondo Socrate, è assai importante, perché


si tratta «del criterio in conformità del quale bisogna vivere» (352d) Così facendo, il
dialogo o il discorso – per così dire – teorico, si collega alla prassi. Teoria e prassi.
La riflessione filosofica – innanzitutto quella etica – mira ad un modo di vita. A
rendere la vita conforme a ciò che si pensa12.

- Argomento della “funzione specifica” di un dato oggetto: «quella solo esso sapeva
riusciva a svolgere, o comunque che solo esso sapeva espletare nel modo migliore»
(353a-354a)
- Inoltre, ciascuna cosa a cui si attribuisce una certa azione specifica, ha nel
contempo una certa virtù – la logica è: se c’è una funzione specifica, allora c’è una
virtù –.
- Nel caso di un organo: «fa bene la propria azione specifica grazie alla sua virtù, e la
fa male a cagione del suo vizio»
- Generalizzazione di questo criterio: «L’anima [ψυχη] ha una funzione specifica, che
non potrebbe essere espletata da nessun’altra realtà» 13. Quindi, «…dobbiamo
anche affermare che c’è una virtù propria dell’anima». Ovvero, c’è un modo
specifico e migliore di compiere la funzione specifica dell’anima. E poi, senza la sua
peculiare virtù, l’anima non potrebbe affatto compierla.
- «Allora, un’anima malvagia non potrà che esercitare in maniera imperfetta la sua
attività di guida e di comando e, viceversa, un’anima buona farà tutto ciò nel modo
dovuto» E poi, la virtù dell’anima è la giustizia
- Conclusione: «l’anima giusta e l’uomo giusto avranno una buona vita [ευ
βιωσεται14], e malamente vivrà l’uomo disonesto». Inoltre, «chi vive bene [ευ ζων]
è sereno e felice [μακαριος τε και ευδαιμων], chi vive male è, invece, tutto
l’opposto». Allora, «il giusto è felice [ευδαιμων]e l’ingiusti infelice [αθλιος15]»
Dunque, «non c’è alcuna possibilità che l’ingiustizia sia più vantaggiosa della
giustizia»16

Autocritica di Socrate: non si doveva trattare i caratteri del giusti prima di averne colto
l’essenza

12
In questo senso, potrebbe interpretarsi il fatto che Socrate non crede che Trasimaco non dice ciò che
pensa. Ciò che uno pensa si manifesta più evidentemente nelle opere, che nelle parole.
13
Contenuto metafisico-antropologico: tanto Socrate come Trasimaco danno per scontato l’esistenza
dell’’anima. Anzi, ne riconoscono le sue funzioni specifiche.
14
Tradotto come “vivrà bene”.
15
Si può tradurre come: misero, infelice, disgraziato, sventurato, ecc.
16
Finora Socrate è riuscito a dimostrare che la giustizia è una virtù, assolutamente più vantaggiosa
dell’ingiustizia. Essa rende l’uomo felice, gli concede una vita buona. Tuttavia, egli ancora non ha
risposto alla domanda su cosa sia la giustizia in sé.
- Socrate accetta che si è allontanato dall’oggetto originario della ricerca: l’essenza
del giusto.
- Contenuto metafisico-gnoseologico: «se io non conosco con precisione che cosa sia
il giusto – l’essenza di una cosa –, è difficile che mi riesca di sapere se per caso sia
anche una virtù, oppure no, e se, possedendolo, esso mi rende infelice, o, invece,
felice» (354b-354c)

LIBRO II

1. L’opinione comune della giustizia

Il grande problema: è meglio essere giusti o ingiusti?

[…]

I più ritengono la giustizia un compresso fra l’utile del debole e quello del forte

- Inizio di un lungo discorso di Glaucone


- Prima idea di Glaucone: «Per sua natura – si dice – il fare ingiustizia è un bene; il
male starebbe, invece, nel subirla» (358e)
- E poi, «non potendo gli uomini scegliere l’una e schivare quell’altra, ritengono più
vantaggioso trovare fra loro una soluzione di compromesso: e cioè non causare né
partire ingiustizia» (359a). Ma, se le cose stanno così, allora la giustizia resta una
sorte di convenienza. Non si cerca la giustizia per la giustizia, ma per necessità.
- «…questa fu l’origine e l’essenza della giustizia; un compromesso…»

- Contenuto antropologico: «[l’ingiusto] mosso da quella ricerca dell’utile che ogni


essere per natura perseguirebbe come un bene, se non ci fosse la legge a portarlo
fuori strada con la violenza costringendolo a rispettare il principio di uguaglianza»
(359c). Infatti, «nessuno sarebbe a tal punto integro da restar saldo nella giustizia…
quando invece avrebbe la possibilità di prendere impunemente…» (360c)

- Conclusione: «…nessuno di propria volontà si comporterebbe secondo giustizia, ma


solo perché costrettovi […]. Insomma non c’è uomo che non creda che, a livello
personale, l’ingiustizia rende assai più della giustizia…»

L’uomo perfettamente giusto e totalmente ingiusto a confronto

- Figura del perfettamente ingiusto: «La suprema forma di ingiustizia, infatti, è quella
di passare per giusto quanto giusto non si è» (361a)
- Figura del perfettamente giusto: «…non vuole sembrar buono, ma esserlo
davvero.» (361b)

La tragica sorte del giusto e la fortuna dell’ingiusto


- La sorte del giusto: «…proprio per i suoi atteggiamenti sarà flagellato, torturato,
gettato in catene, gli saranno bruciati gli occhi e da ultimo, dopo aver patito tutti
questi mali, verrà appeso a una croce.» (361e) 17
- L’ingiusto si mostra coerente: «…non vive conforme alle apparenze, diremo di lui
che non vuol sembrare ingiusto, ma esserlo veramente.» (362a)

La gente non apprezza la virtù in quanto tale, ma la buona fama che da essa deriva

- Adimanto argomenta “a favore” della giustizia: «… affermano con tono di


ammonimento che bisogna essere giusti; ma con ciò non lodano la giustizia, bensì
la buona reputazione che deriva da essa. In tal modo, a colui che ha la nomea di
giusto deriva, proprio grazie a questa fama, quel potere, quei buoni matrimoni,
insomma tutti quei beni…» (363a). Così l’argomentazione poggia su un’idea di
giustizia in senso utilitarista. Torniamo al terzo tipo di beni: quelli in ragione dei
loro effetti.
- Poi ci sono altre lode della giustizia basate sui privilegi divini.

La facilità del vizio e la possibilità di eludere la punizione divina rendono appetibile la


vita del malvagio

- Un altro argomento a favore dell’ingiustizia: «…la saggezza e la giustizia sono


certamente una bella cosa, ma costano fatica e impegno, invece l’intemperanza e
l’ingiustizia sono piacevoli e alla portata di tutti…» (364a)
- Contenuto antropologico: il precedente argomento fa dipendere la questione nella
facilità o difficoltà. Sono ragioni superficiali

I motivi per cui la cultura dell’ingiustizia è dominante fra i giovani

- Quindi, la voce popolare come quella delle personalità più autorevoli, garantiscono
che l’ingiustizia «ci assicurerebbe un comportamento gradito a uomini e a dèi…»
(366b)

La giustizia va difesa per sé e per gli effetti che ha nell’animo

- Conclusione del discorso di Glaucone: «…nessuno ha mai biasimato l’ingiustizia e


lodato la giustizia se non per la reputazione, gli onori e i vantaggi economici che se
ne traggono.» (366e). Vale a dire, che la giustizia solo è stata difesa in virtù dei suoi
effetti. Nessuno ha mai dimostrato che la giustizia è il sommo bene dell’anima
- E si centriamo la nostra attenzione suoi effetti in quanto vantaggi, allora sembra
che molto spesso l’ingiustizia ci reca più vantaggi
- Per tanto, mentre non si dimostri il valore della giustizia in se stessa, ci saranno
tante opinioni a favore sia della giustizia come dell’ingiustizia. Perciò risulta
importante l’intento di Socrate di definire l’essenza della giustizia. E questo vale
per tutto: «…metti in risalto quali effetti hanno ambedue in chi le accoglie, per
quello che esse sono di per sé, ovvero l’una un bene e l’altra un male.» (367b)

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Implicita, ma assai somigliante, allusione alla figura del giusto nella Bibbia. Addirittura, tale descrizione
sembra una profezia della sorte di Cristo: il sommante giusto.
- Perciò insiste: «… lodare la giustizia per il bene che essa stessa procura a chi la
possiede […]; questo perché tu stesso hai riconosciuto che la giustizia è nel novero
di quei beni supremi… che val la pena di possedere sia ver i vantaggi che
comportano, sia, ancor più, per il loro intrinseco valore.» (367d)
- Infine: «…nel tuo discorso, non volerti limitare a dimostrare la superiorità della
giustizia sull’ingiustizia, ma spiega, attraverso gli effetti che ciascuna delle due in
quanto tale ha su chi la coltiva, perché esse siano un bene o un male…» (367e)

2. Il discorso di Socrate sulla giustizia politica e sulla sua origine

Si deve partire dalla giustizia politica, in quanto amplificazione di quella dell’anima

- Con lo scopo di parlare della giustizia dell’anima, Socrate usa un’analogia: la


giustizia dello Stato o giustizia politica. Così, a partire dal più facile si può capire il
più difficile

Il fatto che nessun uomo sia autosufficiente ha determinato l’origine dello Stato

- Secondo Socrate, principio e fondamento dello Stato è che «nessuno di noi basti a
se stesso…» (369b). Perciò, le fondamenta di una Città sono «proprio i nostri
bisogni.» (369c)

La divisione del lavoro garantisce la soddisfazione dei bisogni primari e il rispetto delle
inclinazioni naturali

- Poi, per soddisfare i bisogni, occorre che ognuno compia un solo ruolo o mestiere
diverso, contribuendo con ciò che l’altro abbisogna. Altresì, «…ogni attività risulta
più fruttuosa, più bella e anche più agevole, se viene compiuta da sola e da un solo
individuo, in conformità alla sua natura, al momento opportuno, e in assenza di
altri impegni». (370c)

3. La classe degli artigiani, dei contadini e dei mercanti

La formazione della classe dei contadini, degli artigiani e dei mercanti

L’istituzione della classe dei commercianti al minuto e dei salariati

La frugalità dei cittadini in una società dai sani costumi

Dalla ricerca del lusso si origina una Città sproporzionata e malata

- Afferma Socrate: «…a me pare che il vero Stato sia quello che abbiamo descritto
[con l’ordine dei mestieri e la frugalità della vita] in quanto esso è in buone
condizioni di salute…» (372e)
- Invece, una città di lusso, è una società malata. In cui «il fabbisogno necessario non
sarà più limitato» (373a). Allora, sarà un città riempita «ancora di una quantità di
cose e di persone che son presente nelle Città, ma non in virtù del fatto che son
necessarie.» (373b). Secondo queste considerazioni, una vera città [una πολις in
senso greco] dovrebbe avere dei limiti. Altrimenti, cresce il bisogno di tanti altri
servizi.
- Prima conseguenza problematica: «…saremo costretti a strappare una parte del
territorio dei vicini… Ma, non è forse vero che anche i confinanti avrebbero bisogno
dei nostri territori, quando come noi si abbandonassero a una smodata ricerca di
ricchezze, andando oltre i limiti dello stretto necessario?» (373d). In conseguenza,
il desiderio del lusso porta alla guerra.

4. La classe dei Custodi e i suoi modelli etici e religiosi

I Custodi devono avere caratteri in sé opposti: mitezza con i concittadini, aggressività


coi nemici

- Secondo la premessa: «…agli altri cittadini avevamo assegnato un mestiere per


ognuno, quello per il quale ognuno aveva una naturale predisposizione…»; allora
c’è bisogno di alcuni che esercitino l’arte della guerra: i Custodi [ο φιλακος]
- Loro devono possedere «un carattere mite e a un tempo aggressivo» (375c)

L’attitudine filosofica dei Custodi sta nel distinguere gli amici dai nemici solo sulla base
della conoscenza

- Condizioni di un custode a partire dall’esempio del cane: «egli distingue un volto


amico e nemico ricorrendo a nessun altro criterio se non a quello del conoscere e
del non conoscere. E a questo punto come non potrebbe essere amante dello
studio chi definisce gli amici e i nemici sulla base della conoscenza e
dell’ignoranza?» (376b)18
- Dunque, il custode, «se egli vorrà essere socievole con i conoscenti e i familiari,
dovrà essere naturalmente predisposto allo studio e amante del sapere, cioè
filosofo» (376c). Il mestiere di custode è il primo in cui si menziona la necessità
della filosofia.

La presenza della musica e della poesia nell’educazione dei Custodi

- Contenuto culturale: è impressionante l’importanza concessa al custode nella città


greca. Comporta una quantità considerevole di esigenze
- Socrate introduce un mito [μυθω] per spiegare l’educazione del custode. Come
solleva G. Reale, l’uso di immagini è lo stile caratteristico della filosofia platonica
- L’educazione consta di due parti: «Mi riferisco alla ginnastica per il corpo [επι
σωμασι γυμναστικη] e alla musica per l’anima [επι ψυχη μουσικη]» (376e)

Necessità di un controllo sui modelli fantastici proposti ai fanciulli, in ragione del loro
valore educativo

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Possiamo ricordare la seconda e terza definizione della giustizia, nelle quali si include la
considerazione dell’amico e del nemico come destinatari.
Il carattere decettivo della mitologia poetica e la necessità di emendarla secondo un
criterio morale

- Riguardo la musica – che vuol dire la letteratura – si deve assicurare l’impiego di bei
miti. In questa linea, Socrate rimprovera i cosiddetti “miti maggiori” di Esiodo,
Omero e gli altri poeti. Tale preoccupazione rivela l’importanza della letteratura
nella formazione dei giovani. Uno diventa quello che legge.
- Addirittura, a suo avviso, Socrate pensa che ci sono cose che seppure vere, non
sono «materia da doversi senza problemi raccontare a giovani ancora immaturi»
(378a)
- Perché inoltre, «l’opinione che si fa a quella età, risulta poi immodificabile e difficile
da correggersi. Per questo motivo – conclude Socrate –, sarebbe della massima
importanza che i primi racconti che recepiscono siano finalizzati alla virtù, quanto
meglio è possibile». (378d-378e)19

I poeti dovranno attribuire agli dèi solo caratteri moralmente positivi

Dio è buono ed è causa di soli beni, altra è la causa dei mali

- Una Città smette di godere di sane istituzione quando permette «che si attribuisca
a dio, che è buono, la responsabilità dei mali» (380b). Ovvero, quando permette
l’empietà

Gli dèi non possono voler cambiare la loro forma e natura

- Quale sarebbe la dignità dei custodi della Città? Che «siano santi e divini quanto più
è possibile a un uomo» (383c)

LIBRO III

1. L’educazione dei Custodi e il valore dei racconti poetici

I miti sull’aldilà influenzano l’atteggiamento dei Custodi di fronte alla morte e in guerra

- Con i precedenti criteri si intende inculcare l’amore per la devozione e per


l’amicizia

Bisogna promuovere una mitologia che sdrammatizzi la morte e inciti a comportamenti


seri e virili

- L’idea è che «un uomo dabbene non dovrà considerare la morte di un altro uomo
dabbene… come un male terribile.» (387d)
- Inoltre, un tale uomo «più di ogni altro ha un minimo bisogno del suo prossimo. […]
Per tanto, lui meno di tutti sentirà come un grave lutto l’essere privato» di un suo
caro o di qualche altro bene. (Cfr. 387e)
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Quel che oggi si dovrebbe dire anche della televisione e il cine.
- «…e quando gli cadesse addosso una qualche disgrazia saprebbe sopportarla con la
massina dignità.»
- Ed anche: «…non dovrebbero neppure essere troppo disposti al riso. È un fatto che,
quando uno si lasciasse andare a una risata incontrollata si esporrebbe a un
altrettanto incontrollato mutamento d’umore». (388e)

La sincerità, la temperanza e l’obbedienza sono le virtù che vanno poste a modello nei
miti

- Ci vuole pure rifiutare la menzogna e punirla. Bisogna anche temperanza: tradotta


nell’obbedienza ai superiori, nell’essere superiori ai piaceri del mangiare, del bere e
del sesso.

Esempi di comportamenti negativi attribuiti dai poeti agli dèi e proposti come modelli
di vita

L’indegna condotta attribuita agli dèi finisce per legittimare i comportamenti immorali
degli uomini

- Contenuto psicologico: la condotta cattiva dei superiori o dei maggiori serve come
scusa dei propri reati (cfr. 391e)

I modelli di comportamento proposti dai poeti vanno giudicati col criterio della giustizia

- Secondo Socrate, i poeti sbagliano anche «quando affermano che molti disonesti
sono felici e molti onesti sono invece infelici; che l’ingiustizia, purché non traspaia,
rende un buon servizio, e che la giustizia sarà pure un guadagno per gli altri, ma in
casa propria è solo una perdita». (392a)
- Quindi, in questo se deve anche correggere i poeti come si ha fatto nei casi
anteriori

2. L’aspetto formale della poesia e l’educazione dei Custodi

Superiorità della narrazione diretta sulla forma poetica imitativa e mista

3. Il canto e la melodia nell’educazione dei Custodi

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