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Platone
LIBRO I
1. Prologo drammaturgico
- Socrate nel Pireo a causa di una festa religiosa – per pregare e godere lo spettacolo
–.
- Contenuto dialogico: «… riuscireste a persuadere uno che non vi ascolta?» «No di
certo!» (327c)
Il pregio della vecchia sta nella pace dei sensi che procura
- Secondo Cefalo, sbagliano coloro che vedono nella vecchia la causa di tutti i mali.
Tutt’altro, sulla scia di Sofocle, afferma che «nell’età avanzata si conquista una
profonda pace e la liberazione da queste passioni [sessuali]… cioè ci si libera da
molti folli padroni». E poi, il maltratto dei parenti neanche è dovuto alla vecchia,
ma al «modo di comportarsi degli uomini» (329e)
- Se porta bene la vecchia – siccome qualunque altra situazione faticosa – grazie alle
grande ricchezze? Risponde Cefalo: «…indubbiamente anche l’uomo di senno,
quando sia indigente, non potrebbe sopportare molto facilmente l’età vecchia; ma
l’insipiente, fosse anche straricco, non troverebbe in sé la forza di essere
contento.» (330a)
- Socrate aggiunge che quelli che hanno ereditato una ricchezza sono più liberi dal
denaro. Invece chi gliel’ha guadagnata, «se la tengono stretta… non fanno che
esaltare la ricchezza.» (Ibid.)
Il pregio della ricchezza sta nel poter rimediare alle ingiustizie commesse
- Considerazione esistenziale-antropologica: l’esperienza della morte – della sua
vicinanza – porta a riflettere sul senso e il fine della vita. Innanzitutto, sulla
quesitone dell’al di là e l’applicazione della giustizia secondo il modo di vita. (Cfr.
330e-331a)
- Ricchezza e sapienza: «…io ritengo che l’essere ricchi sia una grande fortuna, non
per chiunque, ma per l’uomo di senno ed equilibrato» (Ibid.)
- La ricchezza – in linea di massima – dovrebbe giovare ad evitare la tentazione:
«impedire che si defraudi o si imbrogli qualcuno anche senza volerlo…» (331b)
- Prima definizione della giustizia: «dire le cose come stanno e restituire quello che si
è preso» (331d)
1
Cefalo lascia il discorso sulla giustizia e va a compiere ciò che deve in giustizia: i suoi sacrifici.
Alla domanda su cosa sia la giustizia, Cefalo non risponde con la parola, ma con l’esempio, con
la testimonianza.
2
Oppure, το οφειλομενον: il dovuto.
3
La legge morale di carattere universale si applica mediante l’uso della prudenza: ciò che è
«dovuto e conveniente» (cfr. 332c)
mezzo il denaro». Quarto: «quando si voglia mettere in serbo il denaro –
lasciarlo in deposito – e non spenderlo.».
o A questo punto conclude Socrate: «ossia che la giustizia serve quando una
cosa non serve, e non serve quando quella medesima cosa serve», poiché
serve quando il denaro non si usa.
o Inoltre, da ciò, Socrate tira fuori un’altra conclusione sulla natura del giusto:
chi sa «attaccare, sa anche difendersi» … «di ciò di cui uno è buona guardia,
è anche buon ladro». Per tanto, «il giusto che è bravo a custodire il denaro
lo è anche a rubarlo». Dunque, sembra che «la giustizia abbia qualcosa a
che fare col furto, se pure a vantaggio degli amici e a svantaggio dei
nemici.»4
- Ragionamento (335b-336a):
o Primo: analogo ai cavalli o ai cani, gli uomini maltrattati «peggiorano
proprio in rapporto alla loro specifica virtù di uomini [την ανθρωπειαν
αρετην]» (335c). Ovvero, recar offesa a qualcuno rende l’uomo maltrattato
meno virtuoso, peggiora in quanto uomo.
4
La conclusione è logica. Se la giustizia consiste solo in “beneficare” gli amici e “nuocere” i nemici, allora
è irrilevante il mezzo. Se la giustizia si misura secondo l’utilità, essa non resta che uno strumento a
vantaggio di uni e a svantaggio di altri.
5
Il chiarimento permette si passar dal livello delle apparenze, a quello della realtà. Da ciò che sembra a
ciò che invero è. Così continua la riflessione sul destinatario della giustizia. Ancora non si ha parlato della
giustizia in sé.
6
Vuol dire che ci sono momenti in cui l’amico non è buono e in cui il nemico non è malvagio. Dunque, la
giustizia non dipende da se uno è amico o nemico, bensì se uno è buono – l’amico quando egli sia buono
– o se uno è malvagio – il nemico egli quando sia malvagio. Sorge la domanda: è giusto forse far del male
all’amico quando egli non sia buono? Oppure, è giusto far del bene al nemico quando egli non sia
malvagio?
o Secondo: come mai la giustizia – che è una virtù umana [ανθρωπεια αρετη]
– può avere come conseguenza rendere un uomo meno virtuoso, anzi
malvagio? Sarà possibile che il giusto, mediante la giustizia, renda l’altro – il
malvagio – avverso alla giustizia o incapace di praticare la giustizia?
o Terzo: «renderemo forse con la giustizia ingiusti i giusti? Insomma, faremo
malvagio chi è buono, addirittura ricorrendo alla virtù?
o Quarto: «dunque, Polemarco, non può essere una prerogativa del giusto il
recar danno, né a un amico né a chiunque altro; lo sarà semmai del suo
contrario, ossia dell’ingiusto [του, εναντιου, του αδικου].»7
- Conclusione: «è risultato chiaro che in nessun caso è giusto fare del male a
qualcuno.» Quindi, la terza definizione è anche erronea.
Esempio dell’ignoranza socratica: «…la verità è che noi non ne abbiamo la capacità;
e per questo, da uomini del vostro calibro è bene che noi si abbia compassione,
piuttosto che malanimo.» (337a) Socrate riconosce il valore della giustizia e
dichiara la sua incapacità di definirla. Risposta di Trasimaco: «Eccoci come al solito
alle prese con la famosa ironia socratica [ειρωνεια Σωκρα] ... l’avevo pur anticipato
a questa gente che tu ti saresti rifiutato di rispondere, avresti assunto la maschera
dell’ironia, facendo di tutto pur di non dare risposte a chi te le avesse chieste.»
(337a)
- Socrate provoca Trasimaco con astuzia nel dirgli che è un uomo di non poco
prestigio, sapiente (cfr. 338a). Infatti, «Trasimaco non vedeva l’ora di parlare per
farsi bello, in quanto era sicuro di avere in serbo una risposta davvero strepitosa»
7
Torna ancora l’argomento precedente. Il destinatario della giustizia non si definisce in termini di
“amico” o “nemico”.
- Contenuto etico: ringraziare ciò che s’impara dai maestri. Socrate: «… quando uno
mi sembri di dire cose giuste, le faccio di cuore [le lodi]».8
- Quarta definizione: «…ritengo che il giusto non sia altro che l’interesse del più
forte.» (338c)
- Primo chiarimento: non si tratta di forza fisica, ma politica. Infatti, ogni regime –
tirannico, democratico o aristocratico – «pone delle leggi in vista del proprio
tornaconto… essi dispongono che il proprio utile diventi per i suddetti il giusto,
sicché il trasgressore viene perseguito come nemico della legge e della giustizia»
(338b). Quindi, in ogni forma di governo il giusto è «ciò che giova al potere
costituito». Il “più forte” è il governante.
Precisazione di Trasimaco: il giusto è l’utile del più forte, quando agisce nel suo vero
interesse
- Essendo precisi, «il competente in un certo ramo non può mai sbagliare… l’uomo
che comanda, in quanto è uomo di comando, non può sbagliare, e non sbagliando,
ordina sempre qual che è meglio per sé: e a questo comando i sottoposti devono
attenersi.» (341a). Ovvero, Trasimaco parla del governante nel senso più rigoroso
del termine.
Confutazione di Socrate: ogni arte soccorre l’oggetto di cui è arte, in ciò in cui è debole
Socrate capovolge la tesi di Trasimaco: il vero governante è chi cerca l’utile del più
debole
- Nessun arte cerca l’utile di sé, ma quello di quello di cui si occupa (cfr. 342c) «E
dunque, non esiste scienza che abbia per oggetto l’utile del più forte che lo
imponga; ciascuna scienza, invece si occupa del vantaggio del più debole, ossia di
8
Trasimaco crede che chi impara deve sborsare denaro. Tipica immagine del sofista: colui che vede nella
filosofia e nell’insegnamento, innanzitutto, un mezzo per ricavare soldi. L’educazione in termini
economici. E la filosofia, un negozio – cioè, una negazione del “ozio” –.
9
Una considerazione del tutto formale. Senza contenuto materiale. Il giusto, l’esercizio della giustizia
comporta la determinazione “materiale”, un contenuto specifico della legge. Essa è posteriore.
chi le è sottomesso» (342d). E così come «nessun medico, in quanto medico, ha di
mira il proprio utile [το συμφερον] e lo prescrive ali altri, e che invece, si propone
l’utile del malato […], nessun altro uomo in nessun’altra forma di governo, almeno
nella misura in cui è governante, si proporrebbe come obiettivo il proprio vantaggio
e lo imporrebbe agli altri; egli piuttosto cercherebbe l’utile di chi dipende da lui,
essendo il beneficiario della sua arte.» (342e).
- In questo modo, compare la figura del vero governante: colui che serve ai sudditi.
Per Trasimaco sono i fatti a dimostrare che l’ingiusto ha più successo del giusto
- Trasimaco fa vedere come le cose sono nella realtà quotidiana: le vere intenzioni
dei governanti, i vantaggi dell’ingiusto, e così via.
- Socrate alla fine sembra troppo idealista. Parla di come “devono” essere le cose.
Ma Trasimaco, parla di come “sono” le cose invero.
- Secondo Trasimaco, il punto di riferimento per «valutare quanto sia proficuo nella
sfera privata essere ingiusto piuttosto che giusto» è colui che «sa farsi valere sugli
altri» (344a)
- Paradossalmente, «se qualcuno, oltre che appropriarsi dei beni dei cittadini, si
appropriasse anche delle loro persone… al posto di questi epiteti vergognosi si
guadagnerebbe la nomea di uomo felice e fortunato, e non solo da parte dei
concittadini, ma anche di tutti gli altri che siano a conoscenza della sua perfetta
ingiustizia. In effetti, quelli che son soliti condannare l’ingiustizia, la condannano
non perché abbiano paura di farla, ma di subirla.» (344c)10
- E conclude categoricamente: «Ecco, Socrate, perché l’ingiustizia, quando sia in sé
perfetta, è più forte, più libera, più autorevole della giustizia» (344d)
- Riformulazione della quarta definizione: il giusto è il vantaggio del più forte, e
l’ingiustizia procura vantaggio e profitto a se stessa (cfr. Ibid.). Vale a dire, che
l’ingiustizia il mezzo per realizzare il “giusto”
Il totale dissenso di Socrate: il vero politico cerca il vantaggio degli altri e non il
proprio11
Il guadagno non rientra nei fini specifici di nessuna arte e tanto meno della politica
10
Appropriata descrizione dell’ipocrisia etico-sociale. Sembra la descrizione di un atteggiamento che
possiamo denominare “strutturale”, in quanto realizzato non esclusivamente in momento della storia,
ma appartenente ad ogni epoca.
11
Cambio di argomento. Dalla questione della giustizia si passa al tema del vero politico – e della vera
politica? Perché è possibile tale passaggio? Qual è il rapporto tra giustizia e politica?
- Primo argomento di Socrate: nessuno assume una carica pubblica
«spontaneamente, ma ognuno pretende una ricompensa, perché è convinto che
esse non avvantaggino chi comanda, ma chi è comandato» (345e). Quindi, l’unico
vantaggio sarebbe per lo meno la ricompensa: «di tipo economico o valutabile in
termini di prestigio» (347a)
- Secondo argomento (346-347a):
o Premessa: ogni arte è diversa dall’altra, per il fatto che ha una differenze
funzione, e perché ciascuna di esse procura un vantaggio specifico.
o La professione del mercenario procura denaro. La medicina procura la
salute. Non si può dare il nome di arte mercenaria alla medicina perché uno
nel curare si facesse pagare.
o Quindi il vantaggio economico nella medicina è secondario. Il vantaggio
specifico è quello di guarire. Ed è un vantaggio riguardo il malato. Ciascun
arte «esercita la sua funzione e offre quei vantaggi a cui è predisposta».
o Conclusione: «…non esiste arte né forma di governo che rechi vantaggio a
se stessa, ma… ognuna fa e impone l’interesse di chi le è sottoposto,
mirando all’utile del più debole e non del più forte». In quanto, l’arte viene
a supplire la limitatezza del suo oggetto
- Per Trasimaco:
o «…l’ingiustizia serve a qualcosa, mentre la giustizia a nulla.» (348c).
o La giustizia è «una specie di nobile stupidità», e l’ingiustizia «assennatezza»
(348d)
o «…gli ingiusti risulteranno anche essere saggi e virtuosi». (Ibid.)
- Primo passo: «il giusto non pretende di avere di più di quanto abbia il suo simile,
ma più di quanto ha chi gli è dissimile; l’ingiusto, invece, pretende di avere più
dell’uno e più dell’altro»
- Secondo passo: «…l’ingiusto somiglia all’uomo assennato e virtuoso, e, viceversa, il
giusto non gli somiglia affatto».
- Terzo passo: considerazione della scienza e l’ignoranza, del esperto e
dell’inesperto. L’inesperto vuole superar tanto l’esperto quanto l’inesperto.
L’esperto – sapiente e buono – non vuole superar il suo simile, bensì chi è diverso
da lui (inesperto).
- Quarto passo: «…il giusto viene ad assomigliare al sapiente e al buono, e invece
l’ingiusto al malvagio e all’ignorante»
- Conclusione: poiché «ciascuno dei due è come quello a cui è simile», allora
«l’uomo giusto ci è rivelato buono e sapiente, e l’ingiusto, invece, ignorante e
malvagio».
- Seguente tappa nella ricerca: «quale sia il rapporto fra la giustizia e l’ingiustizia»
(351a)
- Un caso: «qualsiasi altra associazione che si formi allo scopo di delinquere», non
potrebbe combinare qualcosa, «se al suo interno si comportasse al di fuori di ogni
principio di giustizia» (351c). Invece, se evitassero di comportarsi fra loro
ingiustamente, otterrebbero migliori risultati.
- Discorso di Socrate.
- Contenuto etico: caratteristiche della ingiustizia. «Quando essa si genera, sia in uno
Stato, sia in un popolo, o in un esercito, o in qualsiasi altra istituzione, in primo
luogo toglie la possibilità di agire in una condizione di intrinseca armonia, per
effetto delle discordie e delle divergenze; in secondo luogo, rende odiosi a se stessi,
agli avversari e agli uomini giusti» (352a)
- «E anche nel caso che si generasse in un solo individuo… In primo luogo gli
toglierebbe la possibilità di agire, suscitando nel suo intimo contrasto e divisione, e
poi lo renderebbe inviso a se stesso e ai giusti» (Ibid.)
- Tornando al caso delle associazioni ingiuste: «…è proprio in virtù di questa giustizia
che essi potevano fare quel che facevano, e il successo delle loro imprese illecite
dipendeva solo dal fatto che erano ingiusti a metà, dal momento che l’uomo
totalmente malvagio e quello radicalmente disonesto sono altresì del tutto
impotenti e inconcludenti» (352c)
- Così, la tesi di Trasimaco è completamente distrutta. Perché lui affermava appunto
che i successi avvengono agli ingiusti
Solo un’anima giusta è nel pieno delle sue facoltà e può assicurare una vita beta
- Argomento della “funzione specifica” di un dato oggetto: «quella solo esso sapeva
riusciva a svolgere, o comunque che solo esso sapeva espletare nel modo migliore»
(353a-354a)
- Inoltre, ciascuna cosa a cui si attribuisce una certa azione specifica, ha nel
contempo una certa virtù – la logica è: se c’è una funzione specifica, allora c’è una
virtù –.
- Nel caso di un organo: «fa bene la propria azione specifica grazie alla sua virtù, e la
fa male a cagione del suo vizio»
- Generalizzazione di questo criterio: «L’anima [ψυχη] ha una funzione specifica, che
non potrebbe essere espletata da nessun’altra realtà» 13. Quindi, «…dobbiamo
anche affermare che c’è una virtù propria dell’anima». Ovvero, c’è un modo
specifico e migliore di compiere la funzione specifica dell’anima. E poi, senza la sua
peculiare virtù, l’anima non potrebbe affatto compierla.
- «Allora, un’anima malvagia non potrà che esercitare in maniera imperfetta la sua
attività di guida e di comando e, viceversa, un’anima buona farà tutto ciò nel modo
dovuto» E poi, la virtù dell’anima è la giustizia
- Conclusione: «l’anima giusta e l’uomo giusto avranno una buona vita [ευ
βιωσεται14], e malamente vivrà l’uomo disonesto». Inoltre, «chi vive bene [ευ ζων]
è sereno e felice [μακαριος τε και ευδαιμων], chi vive male è, invece, tutto
l’opposto». Allora, «il giusto è felice [ευδαιμων]e l’ingiusti infelice [αθλιος15]»
Dunque, «non c’è alcuna possibilità che l’ingiustizia sia più vantaggiosa della
giustizia»16
Autocritica di Socrate: non si doveva trattare i caratteri del giusti prima di averne colto
l’essenza
12
In questo senso, potrebbe interpretarsi il fatto che Socrate non crede che Trasimaco non dice ciò che
pensa. Ciò che uno pensa si manifesta più evidentemente nelle opere, che nelle parole.
13
Contenuto metafisico-antropologico: tanto Socrate come Trasimaco danno per scontato l’esistenza
dell’’anima. Anzi, ne riconoscono le sue funzioni specifiche.
14
Tradotto come “vivrà bene”.
15
Si può tradurre come: misero, infelice, disgraziato, sventurato, ecc.
16
Finora Socrate è riuscito a dimostrare che la giustizia è una virtù, assolutamente più vantaggiosa
dell’ingiustizia. Essa rende l’uomo felice, gli concede una vita buona. Tuttavia, egli ancora non ha
risposto alla domanda su cosa sia la giustizia in sé.
- Socrate accetta che si è allontanato dall’oggetto originario della ricerca: l’essenza
del giusto.
- Contenuto metafisico-gnoseologico: «se io non conosco con precisione che cosa sia
il giusto – l’essenza di una cosa –, è difficile che mi riesca di sapere se per caso sia
anche una virtù, oppure no, e se, possedendolo, esso mi rende infelice, o, invece,
felice» (354b-354c)
LIBRO II
[…]
I più ritengono la giustizia un compresso fra l’utile del debole e quello del forte
- Figura del perfettamente ingiusto: «La suprema forma di ingiustizia, infatti, è quella
di passare per giusto quanto giusto non si è» (361a)
- Figura del perfettamente giusto: «…non vuole sembrar buono, ma esserlo
davvero.» (361b)
La gente non apprezza la virtù in quanto tale, ma la buona fama che da essa deriva
- Quindi, la voce popolare come quella delle personalità più autorevoli, garantiscono
che l’ingiustizia «ci assicurerebbe un comportamento gradito a uomini e a dèi…»
(366b)
17
Implicita, ma assai somigliante, allusione alla figura del giusto nella Bibbia. Addirittura, tale descrizione
sembra una profezia della sorte di Cristo: il sommante giusto.
- Perciò insiste: «… lodare la giustizia per il bene che essa stessa procura a chi la
possiede […]; questo perché tu stesso hai riconosciuto che la giustizia è nel novero
di quei beni supremi… che val la pena di possedere sia ver i vantaggi che
comportano, sia, ancor più, per il loro intrinseco valore.» (367d)
- Infine: «…nel tuo discorso, non volerti limitare a dimostrare la superiorità della
giustizia sull’ingiustizia, ma spiega, attraverso gli effetti che ciascuna delle due in
quanto tale ha su chi la coltiva, perché esse siano un bene o un male…» (367e)
Il fatto che nessun uomo sia autosufficiente ha determinato l’origine dello Stato
- Secondo Socrate, principio e fondamento dello Stato è che «nessuno di noi basti a
se stesso…» (369b). Perciò, le fondamenta di una Città sono «proprio i nostri
bisogni.» (369c)
La divisione del lavoro garantisce la soddisfazione dei bisogni primari e il rispetto delle
inclinazioni naturali
- Poi, per soddisfare i bisogni, occorre che ognuno compia un solo ruolo o mestiere
diverso, contribuendo con ciò che l’altro abbisogna. Altresì, «…ogni attività risulta
più fruttuosa, più bella e anche più agevole, se viene compiuta da sola e da un solo
individuo, in conformità alla sua natura, al momento opportuno, e in assenza di
altri impegni». (370c)
- Afferma Socrate: «…a me pare che il vero Stato sia quello che abbiamo descritto
[con l’ordine dei mestieri e la frugalità della vita] in quanto esso è in buone
condizioni di salute…» (372e)
- Invece, una città di lusso, è una società malata. In cui «il fabbisogno necessario non
sarà più limitato» (373a). Allora, sarà un città riempita «ancora di una quantità di
cose e di persone che son presente nelle Città, ma non in virtù del fatto che son
necessarie.» (373b). Secondo queste considerazioni, una vera città [una πολις in
senso greco] dovrebbe avere dei limiti. Altrimenti, cresce il bisogno di tanti altri
servizi.
- Prima conseguenza problematica: «…saremo costretti a strappare una parte del
territorio dei vicini… Ma, non è forse vero che anche i confinanti avrebbero bisogno
dei nostri territori, quando come noi si abbandonassero a una smodata ricerca di
ricchezze, andando oltre i limiti dello stretto necessario?» (373d). In conseguenza,
il desiderio del lusso porta alla guerra.
L’attitudine filosofica dei Custodi sta nel distinguere gli amici dai nemici solo sulla base
della conoscenza
Necessità di un controllo sui modelli fantastici proposti ai fanciulli, in ragione del loro
valore educativo
18
Possiamo ricordare la seconda e terza definizione della giustizia, nelle quali si include la
considerazione dell’amico e del nemico come destinatari.
Il carattere decettivo della mitologia poetica e la necessità di emendarla secondo un
criterio morale
- Riguardo la musica – che vuol dire la letteratura – si deve assicurare l’impiego di bei
miti. In questa linea, Socrate rimprovera i cosiddetti “miti maggiori” di Esiodo,
Omero e gli altri poeti. Tale preoccupazione rivela l’importanza della letteratura
nella formazione dei giovani. Uno diventa quello che legge.
- Addirittura, a suo avviso, Socrate pensa che ci sono cose che seppure vere, non
sono «materia da doversi senza problemi raccontare a giovani ancora immaturi»
(378a)
- Perché inoltre, «l’opinione che si fa a quella età, risulta poi immodificabile e difficile
da correggersi. Per questo motivo – conclude Socrate –, sarebbe della massima
importanza che i primi racconti che recepiscono siano finalizzati alla virtù, quanto
meglio è possibile». (378d-378e)19
- Una Città smette di godere di sane istituzione quando permette «che si attribuisca
a dio, che è buono, la responsabilità dei mali» (380b). Ovvero, quando permette
l’empietà
- Quale sarebbe la dignità dei custodi della Città? Che «siano santi e divini quanto più
è possibile a un uomo» (383c)
LIBRO III
I miti sull’aldilà influenzano l’atteggiamento dei Custodi di fronte alla morte e in guerra
- L’idea è che «un uomo dabbene non dovrà considerare la morte di un altro uomo
dabbene… come un male terribile.» (387d)
- Inoltre, un tale uomo «più di ogni altro ha un minimo bisogno del suo prossimo. […]
Per tanto, lui meno di tutti sentirà come un grave lutto l’essere privato» di un suo
caro o di qualche altro bene. (Cfr. 387e)
19
Quel che oggi si dovrebbe dire anche della televisione e il cine.
- «…e quando gli cadesse addosso una qualche disgrazia saprebbe sopportarla con la
massina dignità.»
- Ed anche: «…non dovrebbero neppure essere troppo disposti al riso. È un fatto che,
quando uno si lasciasse andare a una risata incontrollata si esporrebbe a un
altrettanto incontrollato mutamento d’umore». (388e)
La sincerità, la temperanza e l’obbedienza sono le virtù che vanno poste a modello nei
miti
Esempi di comportamenti negativi attribuiti dai poeti agli dèi e proposti come modelli
di vita
L’indegna condotta attribuita agli dèi finisce per legittimare i comportamenti immorali
degli uomini
- Contenuto psicologico: la condotta cattiva dei superiori o dei maggiori serve come
scusa dei propri reati (cfr. 391e)
I modelli di comportamento proposti dai poeti vanno giudicati col criterio della giustizia
- Secondo Socrate, i poeti sbagliano anche «quando affermano che molti disonesti
sono felici e molti onesti sono invece infelici; che l’ingiustizia, purché non traspaia,
rende un buon servizio, e che la giustizia sarà pure un guadagno per gli altri, ma in
casa propria è solo una perdita». (392a)
- Quindi, in questo se deve anche correggere i poeti come si ha fatto nei casi
anteriori