Sei sulla pagina 1di 2

IL SOFISTA, PLATONE

P. Gustavo Zamudio
Al inizio di questo dialogo parlano Teodoro e Socrate, ma poi le protaginiste sarano il
forestiero e Teeteto. Il punto di partenza è ciò che Socrate chiede al forestiero: il
sofista, il politico e il filosofo sono una sola cosa oppure tre specie distinta? Inoltre
Socrate gli incita rispondere questa domanda per mezzo d’interrogazioni e avendo
come interlocutore a Teeteto. Il forestiero accetta e decide di cominciar a indagare di
tutto sul sofista ma, como non è impresa più agevole, preferisce esercitarsi prima in
qualcosa più facile.
Finito il primo esercizio, in cui si introdurre l’argumento dell’arte, passano a provar
cercare che cosa mai è il sofista. Il forestiero chiede a Teeteto se il sofista è un profano
qualunque o uno fornito d'un'arte. Insomma, dopo l’anlisi dei diviersi tipi d’arte,
riescono a definire il sofista secondo questi aspetti: primo, un cacciatore ben pagato;
secondo: un mercante delle cognizioni che interessano l'anima; terzo: un bottegaio di
queste medesime merci; quarto: un venditore dei propri prodotti scientifici; quinto: un
atleta dell'agonistica dei discorsi, avendo riservata per sé l'arte eristica; infine, sesto:
un purificatore da opinioni che impediscono all'anima d'imparare.

A questo punto, il forestiero riprende l’arte che gli è parso che ritrae meglior il sofista:
un contradittore. Poichè dice che il sofista è un ilusionista che inganna ai ragazzi, un
imitatore. Proprio allora entrambi interlocutori si trovano con una grande dificoltà:
sarà difficile che qualcuno parlando di discorsi flasi o di false opnioni, proprio del
sofista, non si metta in ridicola al contraddirsi. Infatti, quel discorso che stanno facendo
ammette che sia ciò che non è, perché, secondo loro, vero è ciò che realmente è,
mentre che la immagine o il falso discorso del sofista non è vero, quindi neanche è. E
aggiungono che non è possibile nè enunciare nè dire è concepire in sé e per sé il non
essere; ma dopo di aver detto che il non essere non debba partecipare nè dell'uno nè
dei molti, quando parlano di cose che non sono, cominciano ad attribuirgli la pluralità
numerica, e quando parlano di qualcosa che non è, gli attribuivano invece la unità. E si
mettono in contradizione con loro stessi.

Perciò il forestiero decide di fare un esame e investigare l'essere: che cosa mai quelli
che lo enunciano credono di significare con esso. Perché finora Parmenide e ogni altro
che provò a definire gli enti lo hanno fatto in fretta e superficialmente. Continuano con
lo stesso metodo ed interrogano a quelli che hanno detto qualcosa sul’essere. Al primo
posto interrogano a quelli che affermano quanto che l’essere sia due ovvero uno. Poi si
assente una prima defizione del’essere: gli enti altro non sono che potenza, il potere di
patire o di fare. Dove il conoscere sarà un fare e l’essere conosciuto un patire, potenza
attiva e passiva. Del potere di fare si segue il moto, e del potere di patire si segue il
quiete. Adesso sorge la domanda: il moto e il quiete non mai cose contrarie? Come
l’essere potrebbe essere il moto e il quiete? Perché l'essere non è moto e quiete
insieme, l'essere è una terza cosa quando il moto e la quiete li diciamo essere. Ma
allora sorgono altre domande: Se una cosa non è mossa, com'è possibile che non stia
ferma? O ciò che non sta punto fermo, como a sua volta è possibile che non si muova?
In che modo mai noi chiamiamo volta per volta la stessa cosa con molti nomi diversi?
Il moto e il quiete addirittura sono, essistono, quindi participano dell’essere. Ed è per
questo che si afferma che certe cose si prestano a mescolanza ed altre no. E la scienza
che permettere riconoscere quali si mescolano e con quali, è la scienza della dialettica,
quella degli uomini liberi, la scienza del filosofo. Costui è capace di “sapere como le
singole forme possano accomunarsi tra loro e come no, è per l’appunto saper
distinguere secondo genere”. A questo punto, per continuare con il raggionamento, il
forestiero prende in esame cinque generi tra tutte le forme ideali: prima, l’essere, il
moto e il quiete, ma poi aggiunge l’identico e il diverso. E allora spiega: il moto e il
quiete non sono accomunabili tra loro; l’essere invece è accomunabili con tutti e due;
ciascuno di questi generi è diverso dagli altri e identico con se stesso; il diverso e
l’identico sono due generi a sé; né il moto né il quiete è il diverso né l’identico, ma
tutti e due partecipano dell’identico e del diverso. Inoltre, l’essere non è l’identico né il
diverso ma è accomunabili con tutti e due. Infine, potremmo dire senza paura che il
moto non è l’identico ma è l’identico giacchè tutte le cose partecipano dell’identico. E
anche, il moto è diverso dal quite, dal diverso e dall’essere, ma non è il diverso.
Dunche ammetteremmo che il moto è diverso dell’essere, comunque è non essere ed
essere perché partecipa dell’essere. Insomma, per ciascuna delle forme è molto
l’essere, ma infinito di numero il non essere, e quando ciò che chiamamo non essere,
non è il contrario dell’essere ma soltanto un diverso.

Il forestiero e Teeteto fiscono il dialogo riprendendo il discorso sull’arte imaginativa


perché il sofista non scappi delle loro mani. Concludono che il sofista è un imitatore, un
produttore d’immagini, colui che imita con ignoranza, un semplicione che c’è sempre
in gran sospetto e con paura d'ignorare quelle cose che di fronte agli altri si dà l'aria di
sapere mentre checon brevi discorsi costringer all'interlocutore a mettersi in
contradizzione con se stesso.

Potrebbero piacerti anche