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L’ascolto del minore

Con la riforma della filiazione che ha avuto luogo a cavallo tra il 2012 e 2013, è stato introdotto nel
Codice civile l’art. 315-bis, rubricato Diritti e doveri del figlio. Alcuni di questi erano già previsti in altri testi
normativi, come il diritto dei figli ad essere mantenuti, istruiti ed educati dai propri genitori. Altri, invece,
hanno fatto ingresso nell’Ordinamento giuridico italiano ex novo, come il dovere dei figli a rispettare i propri
genitori e contribuire al mantenimento della famiglia o il loro diritto a ricevere assistenza morale e
mantenere legami significativi con i parenti di entrambi i genitori. Tra i nuovi diritti vi è quello all’ascolto,
introdotto sì dalla riforma precedentemente citata, ma del quale fanno già riferimento altri documenti
internazionali precedentemente sottoscritti e ratificati dall’Italia, quali la Convenzione dei diritti del
fanciullo di New York del 1989 (art. 12) e la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo di
Strasburgo del 1996 (artt. 3, 6), ratificate rispettivamente nel 1991 e 2003.
Questo diritto – che oltre ad avere rilevanza in sede processuale, deve trovare attuazione anche come
generale principio educativo – entra in contrasto con una cultura nella quale le considerazioni esternate dalla
persona minore di età non sono ritenute importanti. Posizioni del genere sono tuttavia da ritenere addirittura
contra legem, dal momento che il diritto all’ascolto si intreccia inevitabilmente con la tutela di altri diritti, in
primis quello garantito e sancito a livello costituzionale dall’art. 21 1, dove si legge che “tutti hanno diritto di
manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.” Il Costituente ha
voluto evitare con l’utilizzo del pronome “tutti” che si venisse a creare qualsiasi forma di discriminazione a
danno di chi esercitasse questo diritto, anche in relazione all’età posseduta. Analogo discorso vale per la
tutela della “persona” – nella cui categoria rientra senz’altro il minorenne – e dei suoi diritti fondamentali
che, nelle formazioni sociali nelle quali essa si sviluppa, vengono garantiti dall’art. 3 della Carta.
Queste considerazioni fanno comprendere che quello all’ascolto sarebbe dovuto essere un diritto che
andava riconosciuto in capo al minore molto tempo fa, da prima che venissero ratificate le Convenzioni
precedentemente citate, potendo esso essere desunto dal dettame costituzionale. Ciononostante, l'Italia ha
impiegato molto tempo prima di accoglierlo a pieno titolo nel proprio Ordinamento e fa ancora fatica a dargli
piena attuazione.
L’ascolto del minore, in sede processuale, trova applicazione con l’omonimo istituto, disciplinato
dagli artt. 315-bis e 336-bis del Codice civile.
L’ascolto in senso tecnico coincide con l’ascolto dinanzi al giudice, in una fase necessariamente
giurisdizionale, nei procedimenti vertenti su tematiche che riguardano il minore e nei quali quest’ultimo è
presente come parte processuale. In passato si procedeva all’ascolto per motivi esclusivamente strumentali,
al fine di raccogliere quelle prove che potessero andare a favore dell’uno o dell’altro genitore. Oggi, se non si
vuole privare la norma della ratio che ne costituisce il fondamento, esso rappresenta un momento
indispensabile del procedimento, necessario, senza il quale quest'ultimo si conclude presentando un vizio di
nullità. Purtroppo, alcuni giudici aggirano questa fase utilizzano a proprio vantaggio quanto previsto dalla
seconda parte del co. 1 dell’art. 336-bis, che precisa che il giudice può evitare l’ascolto se questo sembra
essere contrario all’interesse del minore o manifestamente superfluo.
Secondo la normativa, il giudice è tenuto ad ascoltare il minore che ha compiuto gli anni 12. Tuttavia,
l’elemento che realmente fa da discrimine non è l’età, necessariamente arbitraria quando si va a disciplinare
una data questione con la legge (si pensi alla disciplina sulla maggiore età o sull’imputabilità), bensì la
cosiddetta capacità di discernimento. Questa coincide con la capacità del minore di rendersi conto della
funzione che questo istituto gioca nel procedimento e delle conseguenze che le sue parole possono avere sul
suo corso. Suddetta capacità, rimessa comunque alla libera apprezzabilità del giudice, si presume presente
nel momento in cui il bambino è soggetto agli obblighi scolastici.
Per quanto concerne le modalità, gli attori coinvolti prendono tutte le cautele atte ad evitare che il
minore possa subire turbamenti o condizionamenti. A tal fine il giudice può per esempio negare ai genitori di
assistere all’audizione. L’ascolto è condotto dal giudice, che ha altresì la facoltà di farsi assistere da esperti.
Egli, prima di procedere, informa il minore della natura del procedimento e degli eventuali effetti che
l’ascolto può avere. La norma, infine, legittima tutta una serie di individui a proporre al giudice temi e
argomenti da approfondire.

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