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Ius soli (in lingua latina «diritto del suolo») è un'espressione giuridica che indica l'acquisizione della

cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio,
indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori.[1][2][3][4] Si contrappone allo ius sanguinis (o «diritto
del sangue»), che indica invece la trasmissione alla prole della cittadinanza del genitore, sulla base pertanto
della discendenza e non del luogo di nascita.

Quasi tutti i paesi del continente americano applicano lo ius soli in modo automatico e senza condizioni. Tra
questi gli Stati Uniti, il Canada e quasi tutta l'America latina.[5] Alcuni paesi europei (Francia, Germania,
Irlanda e Regno Unito) concedono altresì la cittadinanza ius soli, sebbene con alcune condizioni.

Partiamo, come di norma si fa, dai pro:

-I parametri previsti sarebbero più stringenti rispetto a quelli attuali, basti vedere il parametro di
frequentare e concludere i cicli scolastici o avere uno dei due genitori beneficiari di permesso di soggiorno.

-Per la prima volta si vedrebbe un qualcosa che coincida con la definizione di “buona amministrazione”,
almeno cosi dicono gli esperti. Poiché si prende atto di quel processo noto a tutti come “globalizzazione” e
si prende atto della composizione della nostra popolazione.

-Sarebbe un toccasana per i nostri orrendi bilanci demografici, permettendo alla popolazione italiana di
crescere.

Ora veniamo ai “contro”:

-Non è necessario attuare questo provvedimento per “rendere uguali” tutti i minori, poiché secondo la
legge tutti i minori godono degli stessi diritti. Inoltre i ragazzi riceveranno due educazioni, quella scolastica e
quella dei genitori (stranieri), la speranza è che le due si bilancino.

-Il concetto di cittadinanza diverrebbe una merce “di vendita” e non un sentimento nazionale di
appartenenza, ma questo non è una conseguenza di tale legge, ma della globalizzazione in generale.
Comunque tale provvedimento garantirebbe l’ennesimo passo vero la perdita di tale sentimento.

-Per affrontare un tema cosi delicato è necessaria una lunga discussione che ottenga grande approvazione
e non una mezza legge elaborata velocemente (e magari un referendum consultivo).

IUS CULTURAE

Lo “ius culturae” è un principio del diritto secondo cui i minori stranieri possono acquisire la cittadinanza
del Paese in cui sono nati o in cui vivono da un certo numero di anni, a condizione che in quel Paese
abbiano frequentato le scuole (in genere un ciclo di studi) o abbiano compiuto percorsi formativi per un
determinato numero di anni. In Italia il tema è tornato al centro del dibattito politico ad ottobre 2019,
quando la commissione Affari costituzionali della Camera ha ricominciato l’iter per modificare la normativa
in materia di cittadinanza. Sul campo ci sono tre proposte (COSA PREVEDONO), che spaziano dallo “ius
culturae” allo “ius soli”. Ecco cosa significano questi termini e quali sono le differenze.

È ben noto il dibattito che in questi giorni sta agitando gli ambienti politici, con i partiti spaccati tra
favorevoli e contrari. Ne sapremo di più, circa gli sviluppi del progetto, il giorno 3 ottobre, data in cui è
prevista la discussione presso la Commissione Affari costituzionali della Camera. Circa i pro e in contro
dell’introduzione dello ius culturae, possono essere individuati alcuni fattori. Per quanto riguarda i pro, le
forze politiche favorevoli hanno sottolineato la spinta all’integrazione e alla formazione scolastica e
lavorativa, che avrebbe una misura di questo tipo; inoltre sarebbe incentivata la politica di sviluppo
dell’occupazione, con scelte destinate davvero a tutti. Circa invece i contro, le forze di opposizione al
Governo Conte 2, ne hanno già evidenziate diverse. Tra le più rilevanti, l’oggettiva incompatibilità dello ius
culturae con il tema lavoro in Italia, visto l’alto tasso di disoccupazione specialmente giovanile, con il tema
della stabilità del sistema welfare e con il tema sicurezza. Inoltre, c’è chi ha fatto notare come la scelta di
voler introdurre lo ius culturae abbia soprattutto ragioni politico-elettorali e debba fare i conti con la
possibilità che i nuovi arrivati dichiarino un’età non corrispondente a quella vera (per riservarsi i benefici di
tale misura).

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