Sei sulla pagina 1di 20

MASSIMO BISSON

Venezia

Santa Giustina di Padova e San Giorgio Maggiore di Venezia:


musica, architettura e liturgia
in due grandi monasteri benedettini del Veneto

Il 20 dicembre 1408, il canonico regolare Ludovico Barbo venne nominato abate com-
mendatario dell’abbazia padovana di Santa Giustina la quale, come molti monasteri di
quel tempo, versava in precarie condizione sia spirituali sia economiche ed era abitata
da una comunità ormai molto ridotta.1 Barbo iniziò un cammino di ripristino della vita
claustrale il quale, in pochi anni, diede vita ad uno dei più rilevanti movimenti di rifor-
ma dell’osservanza benedettina: dopo un decennio, infatti, Santa Giustina arrivò ad avere
circa duecento vocazioni e questo impose la necessità di trovare nuove sedi oltre le mura
padovane.2
Nel 1419 Martino V promulgò la Bolla con la quale venne istituita la Congregazione
de Unitate3 che, inizialmente, unì Santa Giustina, San Giorgio Maggiore di Venezia, Santi
Felice e Fortunato di Ammiano e la Badia di Firenze. La costituzione papale stabilì l’uni-

1
TOMMASO LECCISOTTI, Congregationis S. Justinae de Padua O. S. B. ordinationes capitulorum gene-
ralium. Parte I [1424-1474], «Miscellanea Cassinese», XVI-XVII, 1939, pp. X-XII. Circa l’istituto della
commenda si veda: ANNA PIZZATI, Commende e politica ecclesiastica nella Repubblica di Venezia
tra ’500 e ’600, Venezia, Istituto veneto di scienze lettere ed arti, 1997, pp. 5-25, 109-116.
2
Circa la nascita e lo sviluppo della Congregazione di Santa Giustina si rimanda a: LECCISOTTI,
Congregationis [...] Parte I, «Miscellanea Cassinese», XVI-XVII, pp. XIV-XV; ILDEFONSO TASSI, Ludovico
Barbo, Roma, Storia e letteratura, 1952, p. 38 e sg.; FRANCESCO GIOVANNI BATTISTA TROLESE, La
riforma benedettina di S. Giustina nel Quattrocento, in I Benedettini a Padova e nel territorio
padovano attraverso i secoli: saggi storici sul movimento benedettino a Padova. Catalogo della
mostra storico-artistica nel XV centenario della nascita di San Benedetto. Padova, Abbazia di S.
Giustina, ottobre-dicembre 1980, a cura di ALBERTA DE NICOLO SALMAZO e FRANCESCO GIOVANNI
BATTISTA TROLESE, Treviso, Canova, 1980, pp. 55-56; FRANCESCO GIOVANNI BATTISTA TROLESE,
Ricerche sui primordi della riforma di Ludovico Barbo, in Riforma della Chiesa, cultura e
spiritualità nel Quattrocento veneto. Atti del Convegno per il VI centenario della nascita di
Ludovico Barbo (1382-1443), Padova, Venezia, Treviso 19-24 settembre 1982, a cura di
FRANCESCO GIOVANNI BATTISTA TROLESE, Cesena, Badia di Santa Maria del Monte, 1984, pp. 109-125:
110-111; FRANCESCO GIOVANNI BATTISTA TROLESE, Decadenza e rinascita dei monasteri veneti nel
Basso Medioevo, in Il monachesimo nel Veneto medioevale. Atti del convegno di studi in
occasione del millenario di fondazione dell’Abbazia di S. Maria di Mogliano Veneto (Treviso),
30 novembre 1996, a cura di FRANCESCO GIOVANNI BATTISTA TROLESE, Cesena, Badia di Santa Maria
del Monte, 1998, pp. 169-199: 186.
3
Il nome della Congregazione, nel 1434, venne mutato in «Congregatio monachorum de obser-
vantia S. Iustinae, vel congregatio Unitatis» (cfr. TASSI, Ludovico Barbo, p. 73).
130 MASSIMO BISSON

tà dei monasteri componenti, come se fossero una sola entità, prescrivendone anche
l’uniformazione rituale:4 l’uso degli stessi testi liturgici, delle stesse rubriche e del mede-
simo repertorio canoro era infatti fondamentale per favorire il senso di appartenenza ad
un unico corpo monastico. Questo, inoltre, facilitava l’integrazione dei monaci che, tem-
poraneamente o per lunghi periodi, erano trasferiti da un’abbazia all’altra.5 La Congrega-
zione, nel Cinquecento, raggiunse una media di 50 professioni all’anno e arrivò a conta-
re 3.000 religiosi: nel suo massimo sviluppo ebbe 190 insediamenti, tra cui 76 grandi
monasteri.6
La Regola di San Benedetto considera la liturgia il cuore della vita claustrale: la quo-
tidiana partecipazione alla messa conventuale (cantata in forma solenne) e alle otto ore
dell’ufficio divino (anch’esse cantate) costituisce pertanto l’occupazione principale del
monaco. Il coro, luogo preposto ad accogliere i religiosi durante gli appuntamenti della
preghiera comunitaria, è pertanto il luogo principe del monastero.
La Congregazione di Santa Giustina, inizialmente, adottò consuetudini piuttosto seve-
re, al fine di mantenere lo spirito mondano fuori dal chiostro.7 Questo comportò l’ado-
zione di uno stile liturgico sobrio,8 che ebbe evidenti riflessi anche nelle forme musicali:
l’uso dell’organo e della polifonia, all’epoca ormai molto diffusi, furono infatti conside-
rati fattori di distrazione;9 il canto monodico, nel quale i monaci dovevano essere ade-
guatamente istruiti, era pertanto il solo consentito.10 Fu anche proibito l’uso di strumenti
musicali per diletto, mentre l’organo fu concesso dal 1438 solamente nelle ‘feste doppie
maggiori’11 e solo nelle chiese dove era già presente, «poiché non conviene ai servi di

4
A tale proposito cfr.: MARIO FOIS, I movimenti religiosi dell’osservanza nel ’400: i benedettini, in
Riforma della Chiesa, pp. 225-262: 231-232; TASSI, Ludovico Barbo, pp. 56-57; TROLESE,
Decadenza e rinascita, pp. 188-189.
5
TROLESE, Decadenza e rinascita, p. 195.
6
FOIS, I movimenti, p. 261.
7
LECCISOTTI, Congregationis [...], Parte I, «Miscellanea Cassinese», XVI-XVII, pp. LI e 49. Cfr. anche
GIOVANNI LUNARDI, L’ideale monastico di Ludovico Barbo, in Riforma della Chiesa, pp. 59-71: 61.
8
FOIS, I movimenti, p. 254; LECCISOTTI, Congregationis [...], Parte I, «Miscellanea Cassinese», XVI-XVII,
pp. 261, 279.
9
LUNARDI, L’ideale monastico, p. 62. La proibizione dell’uso della polifonia fu ribadita anche nei
capitoli generali del 1465 e del 1474: «Monemus etiam ut cantum figuratum iuxta ordinationes
omnino dimittant»; «Admoneantur patres et fratres ut devitent levitates in biscantu et
contrapuncto» (LECCISOTTI, Congregationis [...], Parte I, «Miscellanea Cassinese», XVI-XVII, pp. 242-
243, 298). Cfr. anche GIULIO CATTIN, Tradizione e tendenze innovatrici nella normativa e nella
pratica liturgico-musicale della congregazione di S. Giustina, «Benedectina», XVII, 1970, pp. 254-
299: 260-261.
10
Nel capitolo generale del 1468 si ribadì: «Quod prelati dent operam quod fretres adiscant can-
tum et cetera que sunt necessaria»; similmente in quello del 1484: «Ut faciant doceri fratres can-
tum» (LECCISOTTI, Congregationis [...], Parte I, «Miscellanea Cassinese», XVI-XVII, p. 261). Cfr. anche
TOMMASO LECCISOTTI, Congregationis S. Iustinae de Padua O. S. B. ordinationes capitulorum
generalium. Parte II [1475-1504], «Miscellanea Cassinese», XXXV, 1970, p. 37; CATTIN, Tradizione
e tendenze innovatrici, pp. 261-262.
11
Secondo le rubriche liturgiche rimaste in uso fino al 1962, ad ogni giorno era attribuita una
classe (prima, seconda o terza) mentre il rito veniva distinto in doppio, semidoppio e semplice.
I riti doppi, in ordine di importanza, potevano essere di prima classe, di seconda classe,
Santa Giustina di Padova e San Giorgio Maggiore di Venezia: musica, architettura e liturgia 131

Dio nascondere le sacre parole dell’Ufficio, ma sentirle tutte con le orecchie e meditarle
con il cuore».12 L’uso dell’organo, infatti, era principalmente legato alla pratica dell’alter-
natim, che consisteva nella sostituzione di parte dei testi cantati con brevi pezzi musica-
li (‘versi’): sebbene fosse regola recitare il brano corrispondente durante l’esecuzione
strumentale, tale pratica – nella visione rigorista di Barbo – metteva in secondo piano la
parola di Dio. Questo atteggiamento di sospetto, però, fu presto sorpassato mediante un
accoglimento prudente dell’organo nella pratica liturgica: nel corso degli anni seguenti,
infatti, pressoché tutte le chiese della Congregazione ne furono dotate. Nel 1444 il capi-
tolo generale concesse la costruzione di uno strumento nel monastero veneziano di San
Giorgio Maggiore13 mentre, a Santa Giustina, ne abbiamo notizia certa dal 1493.14
Le analisi archeologiche sui resti della chiesa medievale di Santa Giustina di Padova
sembrano dimostrare che il coro più antico fosse separato dalla navata tramite un ponti-
le collocato all’ingresso del presbiterio:15 l’accesso dalla navata era consentito tramite una
scala che superava il dislivello dovuto alla cripta, nella quale si custodiva il corpo della
Martire titolare.16
Nel 1445, il capitolo generale deliberò di far costruire un nuovo coro a causa del cre-

maggiori o minori. La norma che vedeva l’uso dell’organo nei soli riti doppi maggiori va intesa,
a nostro avviso, in senso lato e comprendeva tutte le feste doppie di prima e seconda classe
oltre a quelle doppie maggiori vere e proprie. Dunque, l’uso dell’organo nei monasteri della
Congregazione di Santa Giustina, almeno in quei primi decenni di vita della stessa, era limitato
alle feste più importanti dell’anno liturgico che, comunque, erano alcune decine. Su questa
complessa questione si rimanda, a titolo generale, ai capitoli Rubricae generales missalis e
Kalendarium di qualsiasi edizione del Missale romanum anteriore al 1962.
12
Il capitolo generale del 1438 stabilì: «Quia non convenit servis Dei sacra officiorum eloquia
abscondere sed omnia auribus audire et corde meditari, ideo volentes alii servis Dei adherere,
ordinamus quod de cetero in nostris monasteriis, que antiquitus non consueverunt habere orga-
na, non fiant, sed etiam ubi consueverunt esse, per fratres nostros minime pulsentur, quorum
non permittantur ulli addiscere neque tenere in monasteriis monocordia aut alia instrumenta ad
sonandum neque vacent his exercitiis, que mentem a puritate devotionis et compunctionis sepe
deviant; et ubi consueverunt pulsari, non nisi in maioribus duplicibus pulsentur» (LECCISOTTI,
Congregationis [...], Parte I, «Miscellanea Cassinese», XVI-XVII, pp. LII e 56). Cfr. anche CATTIN, Tra-
dizione e tendenze innovatrici, pp. 259-260.
13
«Ordinamus quod hoc anno [1444] fiat organum in S. Georgio maiori de Venetiis» (LECCISOTTI,
Congregationis [...], Parte I, «Miscellanea Cassinese», XVI-XVII, p. 85).
14
Il 12 novembre 1493, Leonardo figlio di Alvise da Salisburgo ricevette un pagamento per il
nuovo organo che fu collocato in una nicchia sotto la prima vela di sinistra dell’abside («Legnar-
do Todesco [Leonardo figlio di Alvise da Salisburgo] per un nuovo organo la di cui cana dovrà
essere di sei piedi di lunghezza per prezzo di ducati 13 d’oro netti da spese» (Padova, Archi-
vio di Stato, Santa Giustina, b. 491, «Libro fabbrica II», cc. 2r- 2v).
15
MARIA TONZIG, La basilica romanico-gotica di Santa Giustina in Padova, Padova, Società coo-
perativa tipografica, 1932, pp. 112-113 e 120-121.
16
«[...] gradus aluquos scalarum invenies, te sub monachorum choro ducentium» (MICHELE SAVONA-
ROLA, Libellus de magnificis ornamentis regie civitatis Padue Michaelis Savonarole, a cura di
ARNALDO SEGARIZZI, Città di Castello, Lapi, 1902, pp. 13-14). Cfr. anche GIULIO BRESCIANI ALVAREZ,
La basilica di S. Giustina nelle sue fasi storico-costruttive, in La basilica di Santa Giustina. Arte
e storia, Padova, Edizioni del grifone, 1970, pp. 65-165: 77-78.
132 MASSIMO BISSON

scente numero di monaci; dopo una sospensione dovuta a problemi finanziari,17 i lavori
ripresero nel 1461 grazie al grosso lascito testamentario del giurista Francesco Zocchi, il
quale dispose l’allungamento della cappella maggiore, la sua copertura con volte a cro-
ciera e la realizzazione degli stalli;18 quest’ultimi furono terminati nel 1477 e sono tutto-
ra visibili nella collocazione originaria: sono disposti in due ordini di sedili, 48 in quello
superiore e 36 in quello inferiore, per un totale di 84 posti (Figg. 1-3).19

Fig. 1. Padova, Abbazia di Santa Fig. 3. Padova, Abbazia di Santa Giustina,


Giustina, pianta della chiesa veduta del coro quattrocentesco (‘coro
medievale e della cappella mag- vecchio’) in direzione dell’antica navata
giore edificata alla fine del XV Fig. 2. Padova, Abbazia di Santa medievale distrutta nel 1502
secolo (da: La basilica di Santa Giustina, veduta del coro quattro-
Giustina. Arte e storia, Padova, centesco (‘coro vecchio’) verso il
Edizioni del grifone, 1970) presbiterio

17
«Suspendimus licentiam anno preterito datam monasterio S. Iustinae fabricandi chorum et infir-
mariam propter eius gravia debita, ut cessetur a dictis fabricis usque ad beneplacitum capituli,
et etiam ab aliis fabricis notabilibus» (LECCISOTTI, Congregationis [...] Parte I, «Miscellanea Cassi-
nese», XVI-XVII, p. 98).
18
«[Padova, 1° maggio 1457] dispono quod capella ubi est altare magnum amplietur et allongetur
in tantum quod cadat copula sive truina, sub qua ponatur altare magnum et postea una vel due
cruseriae in volta de muro superiorius secundum quod melius conveniat, in tantum quod fiat
unus magnus chorus pro monachis cantantibus divina, vel aliter secundum ordinationem domi-
ni Abbatis in quo opere volo quod exponantur octingenti ducati de meis» (Padova, Archivio di
Stato, Santa Giustina, b. 314 «Testamenti», pergamena sciolta). Documento già citato in TONZIG,
La basilica, pp. 300-301 e BRESCIANI ALVAREZ, La basilica, p. 111.
19
Così si legge sulla cornice superiore degli stalli del coro: «HOC OPVS FECIT DOMINICVS ET FRATER SVVS
DE PLACENTIA ET FRANCISCVS PARMENSIV[s] MCCCCLXXVII DIE PRIMA SETTEMBRIS». Cfr. GIOVANNI LORENZONI
e ANNA MARIA SPIAZZI, Coro Vecchio, in I Benedettini a Padova e nel territorio padovano attra-
verso i secoli: saggi storici sul movimento benedettino a Padova. Catalogo della mostra storico-
artistica nel XV centenario della nascita di San Benedetto. Padova, Abbazia di S. Giustina, otto-
bre-dicembre 1980, a cura di ALBERTA DE NICOLO SALMAZO e FRANCESCO GIOVANNI BATTISTA TROLE-
SE, Treviso, Canova, 1980, pp. 311-313.
Santa Giustina di Padova e San Giorgio Maggiore di Venezia: musica, architettura e liturgia 133

Come il precedente, anche il coro quattrocentesco fu diviso dalla navata tramite un


muro, la cui altezza corrispondeva pressappoco a quella dei dossali: gli stalli, infatti,
occupano tre lati della cappella, compresa la parete di fronte all’altare maggiore; essi si
interrompono solo in corrispondenza della porta che, originariamente, consentiva la
comunicazione tra le due parti del tempio (Fig. 3).20 Questo spazio mantenne la sua fun-
zione nonostante la successiva demolizione della basilica medievale: inglobato nelle
strutture del monastero, esso fu adibito all’ufficiatura notturna e alle funzioni invernali.
Il 21 giugno del 1498, fu approvato dai ‘commissari’ della Congregazione il progetto
per l’intera ricostruzione della chiesa abbaziale:21 l’architetto, il monaco Girolamo da
Brescia, aveva previsto una grande navata ottagonale, da cui partivano quattro bracci
uguali in lunghezza, i quali formavano grandi cappelle; l’altare principale sarebbe stato
collocato in quella orientale, mentre in quella occidentale si sarebbe trovato l’ingresso;
altre otto cappelle di minori dimensioni avrebbero affiancato l’imbocco delle quattro
maggiori.22 Non c’è dubbio che un edificio così concepito sarebbe stato alquanto
rivoluzionario nell’ambito dell’architettura benedettina; d’altra parte, in quegli stessi anni,
la Congregazione di Santa Giustina aveva promosso progetti ben più tradizionali, tutti a
pianta basilicale.23
Nel 1502 si effettuò la demolizione di buona parte del tempio medievale (ad eccezio-

20
A questo proposito, cfr.: TONZIG, La basilica, p. 240.
21
«Nui comissarij infrascripti in executione dela deliberatione del proximo celebrato capitolo
nostro generale conducti qua in lo monasterio de S. Justina de Padua, havemo diligentemente
veduto et examinato prima il sito et spacio de la chiesa vechia, et di poi consyderato il modu-
lo facto per la nova chiesa. Et tandem convocati li seniori et molti sacerdoti del predicto mona-
sterio, et dicte et disputate molte rasone, siamo resoluti insieme cum loro chel dicto modulo
sia ben facto, apto al sito et honorevole al dicto monasterio et ala cita de Padua. Unde conclu-
demo che cusi se facia la dicta chiesa, et auctoritate nobis a predicto capitolo generale attribu-
ta, laudamus, approbamus et confirmamus dictum modulum. Praesentibus Reverendissimo
Patre D. Simone de Papia ipsius monasterij abbate et praesidente, eiusque senioribus ac depu-
tatis et in fidem per missorum (?) manibus prorpijs nos subscripsimus. Die XXI junii 1498.
[seguono le firme]» (Padova, Archivio di Stato, S. Giustina, b. 490 «Libro fabbrica I», c. 323).
22
«[1501] Archetipum templi construxit Hyeronimus Brixiensis Monachus noster, qui formam octo-
genam respiciebat. Aram maximam ad Orientem, Januam ad Occidentem statuit. Tractus tran-
sversus recto aequalis Sacella duo ampliora efficiebat. Qua tractus uterque jungebatur, sublatis
angulis duo minora Sacella designabat, et his templi centrum plane rotundum volebat. Forma
haec pluribus fucata ornamentis, Hieronymi auctoritate, ac inventione pulcra satis, facile ani-
mos eorum demulsit, qui architecturae rationes minus callebant. Sed eventus docuit, haud tan-
tum fidendum esse effictis simulacris, vel pictis tabellis. Quia fundamenta novi templi vetus
medium impetebant, visa est ea pars diruenda» (GIACOMO CAVACCIO, Historiarum coenobii d.
Justinae Patavinae libri sex [...], Padova, Tipografia del Seminario, 1696, pp. 257-258). Per l’in-
terpretazione del progetto di Girolamo da Brescia, cfr. BRESCIANI ALVAREZ, La basilica, pp. 128-
129. Per una ricostruzione grafica della pianta del tempio medesimo, cfr. BARBARA KILIAN, S. Giu-
stina in Padua. Benediktinische Sakralarchitektur zwischen Tradition und Anspruch, Frankfurt
am Main, Peter Lang, 1997, pp. 414-415.
23
Ci riferiamo, a titolo esemplificativo, alle chiese abbaziali di Santa Maria di Praglia (presso Pado-
va), Santi Nazario e Celso a Verona, San Pietro in Gessate a Milano, San Giovanni Evangelista
a Parma, San Pietro a Modena, San Sisto a Piacenza.
134 MASSIMO BISSON

ne del presbiterio e del coro recentemente rifabbricati): la nuova costruzione, però, pro-
gredì lentamente arenandosi più volte.24 Solo diciotto anni dopo, nel 1520, si prese una
risoluzione definitiva: il 21 gennaio di quell’anno si riunì a Padova una commissione
costituita dal presidente della Congregazione (Teofilo da Milano), due visitatori e 11 tra
abati e dignitari per definire alcune importanti modifiche al progetto: in particolare, gra-
zie all’acquisizione di un’area precedentemente occupata dalle vecchie mura della città,
si decise di spostare il luogo di fondazione della chiesa, la quale avrebbe avuto un tra-
dizionale impianto basilicale a tre navate, cappelle laterali, transetto e cupola nella cro-
ciera (Fig. 4); l’altare maggiore si sarebbe dovuto situare in fondo al presbiterio «prout
est consuetudo congregationis nostrae», ovvero secondo una consuetudine già consoli-
data nelle abbazie di quella famiglia monastica.25 Era implicito, dunque, che il nuovo coro
avrebbe dovuto avere una posizione simile a quello precedente e trovarsi, pertanto,
davanti al santuario.
Nel 1521 iniziarono i lavori secondo il progetto di Matteo da Valle: al quale, nel 1532,
succedette l’architetto Andrea Moroni.26 Tra il 1537 e il 1542 furono concluse le volte del
presbiterio,27 mentre, nel 1543, risultavano complete anche quelle attigue.28 A metà seco-
lo erano terminate le strutture orientali della basilica, compreso il transetto:29 nel ’56, dun-
que, furono allestite delle panche provvisorie, fu innalzato un altare temporaneo e venne
pure portato l’organo dal presbiterio quattrocentesco:30 tutto questo permise di iniziare

24
CAVACCIO, Historiarum coenobii, pp. 263-265; BRESCIANI ALVAREZ, La basilica, pp. 130-131; GUIDO
BELTRAMINI, Architetture di Andrea Moroni per la Congregazione Cassinese: due conventi bre-
sciani e la basilica di Santa Giustina a Padova, «Annali di architettura», VII, 1995, pp. 63-94: 72-
73 e note 52 e 57; KILIAN, S. Giustina, pp. 353-355, docc. 2 e 3.
25
«[...] Quod locus dictae ecclesiae et fundamenta mutentur et trasferantur in foveam sive flumen
quod fluebat secus menia civitatis. Item quod dicta ecclesia habeat tres naves et deinde alias
duas pro capellis. Et quod habeat crucem sive titulum et cubam in medio pulcram et
correspondetem reliquo corpori ecclesiae. Item quod altare maius statuatur in capite capellae
maioris prout est consuetudo congregationis nostrae. Item quod pilastra dictae ecclesiae
vestiantur sive incrustentur istriano lapide et similiter in ceteris locis quibus convenire videbitur.
Longitudo vero et latitudo ecclesiae prout architectis et patribus monasterij expedire videbitur
et proportio exegerit explicentur. Statuimus etiam et irrefragabiliter ordinamus et praecipiendo
mandamus ne quis praelatus aut cellerarius aut deputati dicti monasterij S. Justinae seu quivis
alius temere presumat citra et contra praedicta aliquid mutare aut innovare sine licentia et
voluntate expressa capituli generalis. [...]» (Padova, Archivio di Stato, Santa Giustina, b. 491,
«Libro fabbrica II», cc. 21-21v).
26
Il Libro della sagrestia nota: «Fundata est tertia ecclesia nostra S. Justinae [...] in exemplar magi-
stri Mathiae architecti ut ad formam perfectam redigatur», notizia confermata dagli Annali del
monastero (cfr. BRESCIANI ALVAREZ, La basilica, p. 134; SARTORI, Regesto, p. 436).
27
BRESCIANI ALVAREZ, La basilica, p. 144; cfr. anche TONZIG, La basilica, p. 78.
28
Padova, Archivio di Stato, Santa Giustina, b. 490 «Libro fabbrica I», c. 129.
29
Ivi, cc. 169-172. Il documento specifica anche che il capomastro Michele avrebbe dovuto «far
tuti li muralie et volti a d’andar dal coro novo fin ala capella de Santo Matia, per far l’andito da
venir dal monasterio al dito coro et etiam de andar da la sagrastia a la crosara per andar fora
le messe» (c. 169v).
30
GIROLAMO DA POTENZA, Cronica del monastero di S. Giustina fatta nell’anno 1614, Padova,
Biblioteca Universitaria, ms. 905, pp. 29r-30r. Il 10 febbraio del 1557, l’abbazia di Santa Giustina
Santa Giustina di Padova e San Giorgio Maggiore di Venezia: musica, architettura e liturgia 135

ad officiare la nuova chiesa, sebbene i lavori delle navate fossero alquanto arretrati. In
quegli stessi anni, si diede inizio alla realizzazione degli stalli veri e propri, i quali avreb-
bero circondato su tre lati il profondo spazio antistante all’altare maggiore: per separare
visivamente i monaci dai fedeli, nel punto di congiunzione tra il coro e l’aula, sarebbe
stato alzato un setto murario di altezza pari a quella dei dossali (Figg. 5 e 6).31 Si preferì
dunque replicare in maniera molto fedele la disposizione quattrocentesca evitando di
collocare i sedili entro un recinto in navata, come invece era accaduto – ad esempio –
nelle abbazie sorelle di Parma (1512), Piacenza (1514) e Praglia (1545): a Padova, del
resto, il presbiterio risultava molto rialzato a causa della cripta sottostante, la quale non
consentiva la necessaria continuità tra il santuario e l’aula.32
Nel settimo decennio del Cinquecento, i lavori di finitura della cappella maggiore si
avviarono alla conclusione: il 15 marzo del 1562, il corpo di Santa Giustina venne trasla-
to sotto il nuovo altare; quelli di San Luca Evangelista e San Mattia vennero posti, inve-
ce, in due arche situate nelle absidi del transetto; molte altre reliquie furono collocate
nelle cappelle laterali (Fig. 4).33 Nel 1566, gli stalli furono completati (Fig. 7),34 mentre la
monumentale edicola in legno dorato che doveva costituire il punto focale dell’immen-

vendette al convento del Carmine di Padova un organo di ben otto registri, tra i quali mancava
il flauto, che venne infatti aggiunto dall’organaro Antonio Borghesan incaricato della nuova
installazione (Padova, Archivio di Stato, Notarile, tomo 2284, cc. 112-113, notaio Giovanni
Maria Zonco; trascritto in RENATO LUNELLI, Studi e documenti di storia organaria veneta, Firenze,
Olschki, 1973, pp. 54-56). Dato il numero di registri, doveva trattarsi di un organo ‘doppio’ (o
‘grosso’), basato cioè su un principale di 10 piedi (o 12 piedi, secondo l’attuale convenzione).
Non si trattava, dunque, di quello di sei piedi costruito nel 1493 da Leonardo di Alvise da
Salisburgo (cfr. nota 14).
31
Gli stalli furono scolpiti dal francese Riccardo Taurigny (italianizzato Taurino) per la somma
notevole di 75 ducati per ogni sedile. Nel contratto si specifica che «la cornise sopra le sedie
da uno choro à l’altro vadj sopra la porta del detto choro intra in chiesia con l’istesso ordine
del resto» (Padova, Archivio di Stato, Santa Giustina, b. 490 «Libro fabbrica I», cc. 197-198):
questo passo sottolinea la vera e propria separazione del coro stesso dalla chiesa attraverso un
muro. L’architettura lapidea che incorniciava l’ingresso al coro dalla parte della navata
corrisponde probabilmente a quella che oggi circonda il portale disposto in fondo all’abside,
sotto la grande pala di Veronese (BRESCIANI ALVAREZ, La basilica, p. 147; NICOLA IVANOFF, Sculture
e pitture dal Quattrocento al Settecento, in La basilica di Santa Giustina. Arte e storia, Padova,
Edizioni del grifone, 1970, pp. 167-345: 239).
32
Ricordiamo che anche le chiese cassinesi di San Giorgio Maggiore e di San Nicolò di Lido a
Venezia, Santi Felice e Fortunato a Vicenza e San Procolo a Bologna, nel loro assetto medieva-
le, avevano il santuario e il coro piuttosto rialzati a causa della cripta sottostante.
33
CELSO DI VERONA, Narratione approbatissima, nella quale si fa mentione di tutte le cose occorse
nella traslatione de’ corpi santi dalla chiesa vecchia a la nova di Santa Giustina di Padoua.
Con alcuni de’ piu segnalati miracoli [...], Padova, Gratioso Perchacino, 1562. Cfr. inoltre: Pado-
va, Archivio di Stato, Santa Giustina, b. 490 «Libro fabbrica I», cc. 220-224.
34
Il 23 luglio 1566, infatti, venne saldato il conto con Battista da Vicenza (Padova, Archivio di
Stato, Santa Giustina, b. 490 «Libro fabbrica I», c. 284). I documenti parlano di «lecturinum et
binas sedes ab utroque latere altaris magni chori et sancuarij ecclesiae novae dicti monasterij
Sanctae Justinae secundum dessigna per dictum magistrum Rizardum praesentata ipsi R. D.
Abbati» (ivi, c. 286).
136 MASSIMO BISSON

Fig. 4. Padova, Abbazia di Santa


Giustina, pianta [...] (da: La
basilica di Santa Giustina. Arte e
storia, Padova, Edizioni del Fig. 5. Padova, Chiesa abbaziale di Santa Giustina, pianta della
grifone, 1970) cappella maggiore con disposizione originaria degli arredi (1575)

Fig. 6. Padova, Chiesa abbaziale di Santa Giustina, Fig. 7. Padova, Chiesa abbaziale di Santa Giustina:
veduta della cappella maggiore con ricostruzione del stalli del coro (Riccardo Taurino e Battista da Vicen-
tramezzo za, 1558-1566) secondo l’assetto del 1627

sa chiesa, fu terminata nel 1575; poco dopo vi fu collocata la grande pala raffigurante il
Martirio di Santa Giustina di Paolo Veronese.35

35
L’altare fu opera dell’intagliatore fiorentino Giovanni Manetti e del doratore veneziano Giovan-
ni Moretti (Padova, Archivio di Stato, Santa Giustina, b. 493 «Libro fabbrica IV», c. 64). Gli
«Annali» di Santa Giustina registrano: «1574, 19 ottobre – Monastero accorda con Giovanni Fio-
rentini intagliatore la continuazione dell’intaglio della palla grande dell’altar maggiore col fron-
tespizio come sarà ordinato per prezzo di ducati 369» (Padova, Archivio di Stato, Santa Giusti-
na, «Annali», tomo IX, p. 1066). Sartori cita un documento notarile nel quale si attesta la pre-
senza di «mag. Ioannes de Manetis florentinus carpentarius q. Rodulfi habitator Paduae in con-
trata Servorum» (cfr. SARTORI, Regesto, pp. 448-449): da qui, presumo, l’identificazione dell’auto-
re dell’intaglio ligneo dell’altare maggiore con Giovanni Manetti. Bresciani Alvarez, poi, scrive
Santa Giustina di Padova e San Giorgio Maggiore di Venezia: musica, architettura e liturgia 137

Negli ultimi venti anni del


secolo si procedette al completa-
mento delle navate:36 in questo
stesso periodo vi fu anche un
intervento dell’architetto vicenti-
no Vincenzo Scamozzi il quale,
nel suo trattato, scrive di aver
contribuito a migliorare l’acusti-
ca del tempio (evidentemente
troppo riverberante) consiglian-
do di aprire le sei cupole.37
Nel 1590, a distanza di
pochissimi anni dall’ultimazione
della cappella maggiore e nel bel
mezzo dei lavori di completa-
mento delle navate, si scatenò
Fig. 8. Padova, Chiesa abbaziale di Santa Giustina, pianta del coro
una violenta polemica. Il mona- secondo la disposizione del 1627
co Girolamo da Potenza, attento
cronachista della vicenda, attribuisce l’intera controversia al nuovo abate Angelo da Ber-
gamo, il quale – appena eletto – si attivò per eliminare il muro divisorio esistente tra la
navata e il coro (Figg. 5 e 6). Costui, infatti, lamentava che «entrando in chiesa non se
vedea il santuario et la piu nobel parte dela chiesa»; dunque occorreva eliminare il tra-
mezzo e portare gli stalli nell’abside (Fig. 8), «acio la chiesa fosse piu aperta et spatiosa».38
Simili trasformazioni, in quegli anni, furono all’ordine del giorno in moltissimi edifici
ecclesiastici; il caso padovano, però, ebbe un epilogo molto singolare: i lavori, infatti,
non iniziarono mai poiché incontrarono la ferma opposizione di gran parte dei dignitari
dell’abbazia.
L’antica tradizione, secondo gli Annali di Girolamo da Potenza, prevedeva che il coro
fosse collocato davanti all’altare, «et non altrimenti alla romana, come oggi con molti
abusi sono introdotti in molti de nostri monasterij, con detrimento dell’osservanza, buoni

che il disegno dell’altare, secondo alcune fonti imprecisate, sarebbe di Michele Sanmicheli, ma
propone anche Andrea da Valle che, in qualità di proto, sottoscrisse il contratto con l’intaglia-
tore (cfr. BRESCIANI ALVAREZ, La basilica, p. 147).
36
Padova, Archivio di Stato, Santa Giustina, b. 493 «Libro Fabbrica IV», cc. 159-161; BRESCIANI ALVA-
REZ, La basilica, p. 147.
37
«e vedesi quanto beneficio habbia apportato il leuare per consiglio nostro le volte à catino, e
lasciare aperte le sei cupole della chiesa di Santa Giustina in Padoua, e la chiesa di San Marco
quì in Venetia per le sei cupole, ne San Salvatore non risuonano; come fà il Redentore, San
Giorgio maggiore, e tante altre» (VINCENZO SCAMOZZI, L’idea della architettura universale, Vene-
zia, Giorgio Valentino, 1615, parte seconda, p. 326).
38
Nella «Cronica», Potenza definisce l’abate Angelo «amatore de novita» e «arrivato per abbate in
S. Giustina, li venne in pensiero de levare il parapetto del muro dele sedie del choro». Dice
ancora: «era de natura inquieta, intenta à lite et dissentione et de fabriche piu intendente, se
posse in capriccio de volere voltare il choro novo et farlo alla romana» (POTENZA, Cronica del
monastero, p. 36v [42v, numerazione moderna]).
138 MASSIMO BISSON

costumi et ceremonie monastiche».39 L’autore, inoltre, specifica: «Cossi li nostri antiqui et


monaci cluniacensi haveano disposto il choro, de quali noi seguitamo lor effigij et costu-
mi, che li monaci psalmegino et dicano lo uffitio avante lo altar et che imediatamente
vediamo lo altare et non la largezza dela chiesa». Tuttavia, secondo il cronachista, «alcu-
ni moderni [avevano] piu risguardo al ornamento et bella vista che alla honesta et manie-
ra religiosa». Sottolinea, inoltre, che «li chori antiqui dela Franza, dela Germania et nel Ita-
lia distinsero il choro dala chiesa»:40 la tradizione monastica, dunque, prevedeva una netta
separazione dell’edificio ecclesiastico al fine di garantire la disciplina dei religiosi.
Per dirimere le discordie, il capitolo generale nominò due commissari con il compito
di raccogliere le opinioni degli ‘abati titolari’ (cioè gli abati per titolo, ma non per carica)
al tempo viventi nel cenobio padovano. Poiché si formò un fronte di tre contrari e tre
favorevoli, si decise di ricorrere all’appello del presidente della Congregazione, Girolamo
da Perugia, anch’egli presente alla disputa. Quest’ultimo, diplomaticamente, non espresse
opinioni in merito, tuttavia stabilì che non si procedesse alle trasformazioni previste per
non gravare il monastero di spese superflue, e «che se soprasedesse à meglior fortuna».
Girolamo da Potenza, risollevato, commenta: «fo donque posto silentio a questo nego-
tio et ragionevolmente mai piu se deverria parlarne»; si dilunga, inoltre, a spiegare le
ragioni di tanta opposizione al progetto dell’abate. Se il coro fosse stato collocato in
fondo all’abside, e aperto verso la navata, i monaci – soprattutto quelli giovani – sareb-
bero stati preda continua delle distrazioni;41 si sarebbero create, oltretutto, insormontabi-
li difficoltà di ordine liturgico, poiché le cerimonie conventuali si sarebbero svolte dietro
l’altare (Fig. 8).42 I dossali, poi, avrebbero occluso l’ingresso che metteva in comunicazio-
ne la cappella maggiore con la sacrestia e con il monastero; si sarebbe dovuto, inoltre,
creare un nuovo accesso all’organo; l’altare e le reliquie di Santa Giustina, infine, avreb-
bero dovuto essere spostati vicino alla navata (Fig. 8).
Dunque, secondo Girolamo, se la finalità di tanti lavori «non era per altro che una
vanita de prospettiva et amplezza de la chiesa et curiosita», sarebbe stato sufficiente

39
Il coro ‘alla romana’, cioè disposto attorno all’abside, era a sua volta connesso con l’altare “alla
romana”: quest’ultimo era staccato dalla parete e isolato nel presbiterio, come gli altari delle
basiliche patriarcali dell’Urbe; rispetto a quest’ultimi, tuttavia, non era rivolto verso la navata,
ma verso l’abside.
40
L’intera vicenda relativa alla trasformazione del coro è riportata in GIROLAMO DA POTENZA, Anna-
li del monasterio di S. Giustina dalla fondatione di Padoa [...] insino al presente anno 1612 in
forma de dialogo [...], Padova, Biblioteca Universitaria, ms. 284, pp. 229r-230r. Da questa fonte
sono tratti i passi trascritti nel testo.
41
La posizione di ciascun monaco nel coro era legata all’anzianità e alla carica: l’abate sedeva a
destra dell’ingresso (dunque frontalmente all’altare); i monaci più anziani progressivamente alla
sua destra e alla sua sinistra; quelli più giovani, di conseguenza, occupavano le ali estreme
degli stalli, cioè le zone più vicine all’altare: invertendo la disposizione, secondo le intenzioni
dell’abate Angelo da Bergamo, i giovani si sarebbero trovati più vicini alla navata rispetto agli
anziani e, data la loro minore disciplina, sarebbero stati preda della curiosità: «se le sedie se
mettessero in circolo [cioè intorno all’abside], le estremita de quelle serriano de giovani, serria-
no piu vicino et piu esposte alla curiosita essendono piu proni et imbecilli al male» (POTENZA,
Annali del monasterio, p. 229v).
42
«le cerimonie serriano tutte al contrario et intricate» (POTENZA, Annali del monasterio, p. 229v).
Santa Giustina di Padova e San Giorgio Maggiore di Venezia: musica, architettura e liturgia 139

Fig. 9. Padova, Chiesa abbaziale di Santa Giustina, Fig. 10. Padova, Chiesa abbaziale di Santa Giustina,
altare maggiore (Francesco Contin, 1627; intarsi mar- veduta della navata centrale e della cappella
morei di Pierpaolo Corberelli, 1637) maggiore

abbattere una parte del tramezzo ed eliminare i due sedili attigui al portale: questo avreb-
be quasi annullato gli ostacoli visivi, ma avrebbe preservato il giusto orientamento e la
posizione originaria di tutti gli elementi (Fig. 5).
Tanto fece scalpore il primo tentativo di riforma del coro, quanto fu silente e
immediata la concreta attuazione dei lavori 37 anni dopo le vicende finora narrate. Tutta
l’operazione durò pochi mesi e fu diretta dall’architetto veneziano Francesco Contin: gli
Annali del monastero registrano infatti la traslazione del corpo di Santa Giustina il 7
aprile 1627 mentre, già nell’autunno successivo, le reliquie furono ricollocate sotto il
nuovo altare, ora disposto in prossimità delle scale che conducono alla navata; gli stalli
furono invece collocati sul fondo della cappella (Figg. 8 e 9).43 La grande edicola lignea
contenente la pala di Paolo Veronese fu sollevata di alcuni metri e posizionata sopra uno
zoccolo in muratura al quale vennero addossati i sedili (Figg. 7 e 10).
Anche se non specificato nei documenti, dobbiamo imputare all’architetto Contin
anche l’eliminazione del tramezzo, sostituito da una classica balaustra marmorea. Lo
stesso progettista si occupò anche del nuovo altare maggiore (salvo le decorazioni) il
quale contiene, nello zoccolo retrostante, la tomba della martire titolare.44 Alcuni anni
dopo, nel 1641, furono commissionate le due nuove casse d’organo con cantorie in legno
dorato, la cui posizione – pur identica a quella delle precedenti – aveva perso tuttavia la
diretta corrispondenza spaziale con il coro vero e proprio.45
Tutta l’operazione costò una somma veramente ingente: ventimila ducati. Ciò significa
che la volontà di rinnovamento era molto viva anche nell’abate di allora, Modesto

43
«in occasione che fù d’uoppo muovere l’Altare maggiore per collocare le sedie del coro come
stanno al presente» (Padova, Archivio di Stato, Santa Giustina, «Annali», tomo IX, pp. 1237-1239).
44
Padova, Archivio di Stato, Notarile, b. 1215, c. 593; documento parzialmente trascritto in SAR-
TORI, Regesto, p. 452. Cfr. anche GIULIO BRESCIANI ALVAREZ, La basilica di S. Giustina, in Padova.
Basiliche e chiese, a cura di CLAUDIO BELLINATI e LIONELLO PUPPI, Vicenza, Neri Pozza, 1975, parte
prima, pp. 113-135: 130, nota 85. Si veda anche IVANOFF, Sculture e pitture, p. 269.
45
Padova, Archivio di Stato, Santa Giustina, b. 493 «Libro fabbrica IV», cc. 251-252.
140 MASSIMO BISSON

Santacroce, il quale era certamente a


conoscenza dell’analogo progetto del 1590.
A quanto sembra, dunque, le idee conserva-
trici della precedente generazione si erano
estinte: anche la chiesa padovana, pertanto,
ebbe il suo coro ‘alla romana’, come le
abbazie sorelle. Una semplice memoria del
1673 ricorda questa trasformazione come
«opera desiderata, e più volte consigliata».46
La complessa storia architettonica dell’ab-
Fig. 11. Venezia, Abbazia di San Giorgio Maggiore, bazia madre di Santa Giustina costituisce
pianta della chiesa quattrocentesca: ipotesi un’importante chiave di lettura nello studio
ricostruttiva secondo l’assetto del 1550 circa. 1) coro
grande; 2) coro di Santo Stefano; 3) ambone del
delle vicende edilizie di altri monasteri
Vangelo; 4) altare maggiore; 5) altare di Santo Stefano appartenenti alla stessa congregazione,
soprattutto in relazione alle circostanze –
spesso oscure – che portarono alla trasformazione del coro nel periodo post-tridentino.
Uno di questi casi è rappresentato dal monastero veneziano di San Giorgio Maggiore,
la cui chiesa, alla fine del XV secolo, aveva un impianto basilicale a tre navate, con absidi
a pianta semicircolare e cappelle laterali (Fig. 11).47 Essa conservava reliquie molto
importanti: quelle di San Giorgio nell’altare principale – dove si trovava anche la custodia
eucaristica48 – e, fin dal 1110, quelle di Santo Stefano Protomartire (Fig. 11).49 Quest’ultime

46
«Fù rivoltato il choro opera desiderata, e più volte consigliata da farsi d’immensa spesa, et fù
animosamente posto in effetto il pensiero dal P. D. Modesto Santa Croce del 27, il qual fecce
quella solenissima e cellebre translatione del corpo di S. Giustina, ch’esisteva sotto il choro, che
fù speso, tra l’operazione del choro, e fontione della translatione più de 20 mila ducati»
(Padova, Archivio di Stato, Santa Giustina, b. 82, «Monastero VI», cc. 202-210; in particolare c.
207r). Modesto Santacroce era una personalità di tutto rispetto: originario di Padova, fece la sua
professione nel 1587 a Santa Giustina; fu abate del monastero padovano nel 1627 e di quello
vicentino nel 1630 e nel 1631; negli stessi anni fu anche per due volte presidente della
Congregazione (cfr. Matricula monachorum Congregationis Casinensis Ordinis S. Benedicti
compilata dal P. D. Arcangelo Bossi da Modena, a cura di LEANDRO NOVELLI e GIOVANNI SPINELLI,
vol. I (1409-1699), Cesena, Badia di Santa Maria del Monte, 1983, pp. 26 e 78).
47
Tale assetto si deduce principalmente dalla veduta di Venezia di Jacopo de’ Barbari (1500); altre
informazioni relative all’interno si ricavano invece da descrizioni e documenti che verranno
analizzati nel corso di questo articolo.
48
«1462 – Abbas 7, Theophilus Beaqui mediolanensis legum doctor, qui huc accessit anno 1462,
cuius tempore. S. Georgij martyris protectoris reliquia capitis eius ex Egea insula in Epiro
deportata est [...]. Post vero aliquos dies in medio maioris altaris collocaverunt, sub loco in quo
resident Sanctissima Eucharistia, ubi summa cum devotione servatus, et advenis devote
requirentibus monstratus. Hinc ergo successit devotionis erga S. Martirem augmentum, qui
ibidem cum brachio suo requiescit. Dies vero translationis eius celebratur die 13 decembris, in
die utique S. Luciae» (Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Codice Cicogna 2131: MARCO VALLE,
De Monasterio et Abbatia S. Georgii Maioris Venetiarum clara et brevis notitia ex pluribus m.s.
praecipue Fortunati Ulmi abbatis titulatus casinensis excerpta, a p. d. Marco Valle ven., eiusdem
coenobii alumno MDCXCIII, cc. 69, 89-97).
49
Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale, ms. 602 (681): FORTUNATO OLMO, Istoria dell’Isola
Santa Giustina di Padova e San Giorgio Maggiore di Venezia: musica, architettura e liturgia 141

erano oggetto di molta venerazione, tanto che lo stesso doge si recava ogni anno
nell’abbazia per assistere ai primi vespri e alla messa solenne in onore del Santo. Durante
queste funzioni, il doge sedeva sopra l’ambone, il quale era sufficientemente ampio da
accogliere la ‘Signoria’ (composta da nove persone oltre al doge) e gli ‘oratori’.50 Alcuni
conti di fabbrica del 1550 descrivono questa struttura come l’ambone per il canto del
Vangelo («pozuol del Evangelio del coro»):51 esso, dunque, era collocato sul lato sinistro
dell’area presbiteriale (Fig. 11).52 Il medesimo documento descrive anche lavori effettuati
sui «banchi di San Stephano» (definiti anche «choro de S. Stephano») i quali erano
evidentemente situati nei pressi della tomba del Protomartire. Da un cerimoniale
cinquecentesco – riguardante i riti del primo vespro e della messa di Santo Stefano –
apprendiamo che il coro principale della chiesa si trovava invece nella navata centrale,
dinnanzi al presbiterio.53 Gli stalli avevano probabilmente la tipica disposizione monastica

di S. Giorgio Maggiore di Venezia Iscritta da D. Fortunato Olmo Veneziano M[onaco]


C[assinese], in Historiarum insulae S. Georgii cognomento Majoris, juxta Venetias positae,
antiquitate, situs amoenitate, rerumque gestarum dignitate celeberrimae. A prima templi
structura anno DCCLXXXX ad annum MDCXIX – Auctore Fortunato Ulmo ejusdem insulae
monacho patria veneto, Fortunato Olmo, cc. 265 e segg., in particolare c. 289r. Si veda anche
VALLE, De Monasterio, cc. 115-116. In un recente studio, Andrea Guerra conferma che le reliquie
di Santo Stefano si trovavano sotto l’altare maggiore, citando come fonte i «Diarii» di Marin
Sanudo; inoltre, per analogia con altre architetture medievali benedettine, l’autore sostiene che
il presbiterio fosse sensibilmente rialzato rispetto alla navata, poiché le fonti descrivono il
sarcofago del Protomartire come parzialmente interrato (cfr. ANDREA GUERRA, Architettura
dell’ascolto: canto, immagine, contemplazione nel progetto originario di Andrea Palladio per
San Giorgio Maggiore, in Architettura e musica nella Venezia del Rinascimento, a cura di
DEBORAH HOWARD e LAURA MORETTI, Milano 2006, pp. 161-181: 163). È nostra convinzione,
invece, che proprio per questo motivo non esistesse una cripta sotto il presbiterio, la quale,
evidentemente, avrebbe impedito di interrare il sarcofago. Se vi fosse stata una cripta nella
chiesa quattrocentesca, i resti del Santo sarebbero stati collocati all’interno della medesima,
come nelle chiese benedettine medievali dei Santi Felice e Fortunato a Vicenza, di San Nicolò
del Lido a Venezia e di Santa Giustina di Padova.
50
«A dì 25, fo el zorno de Nadal. [...] Et compito la predicha [a San Marco], iusta il consueto si
andò a vespero a San Zorzi per esser la vizilia de San Stephano, il cui corpo dicono esser lì a
San Zorzi mazore in l’altar grando. Et il consueto a preparar a San Zorzi, di sora dove senta su
la so cariega il Doxe con li oratori et Signoria, il resto da basso; ma per esser vechio et per
paura dil fredo non volse esso Doxe andar di suso, ma stete da basso in choro; cossa mai più
fata da niun altro Doxe lì a San Zorzi» (MARINO SANUTO, I Diarii, XXXIII, Venezia, Visentini, 1892,
col. 552). Questa collocazione per il principe veneziano era consueta durante le cerimonie che
si tenevano a San Marco: fino al 1530, infatti, il doge ebbe il suo trono sopra il ‘bigonzo’ cioè
il pulpito di destra (dove prendevano posto, quando non c’era il doge, i cantori della cappella)
all’esterno del presbiterio (cfr. LAURA MORETTI, Lo spazio della musica: Jacopo Sansovino e
Adrian Willaert a San Marco, «Atti. Classe di scienze morali, lettere ed arti. Istituto veneto di
scienze, lettere ed arti», CLXII, 2004, pp. 399-429).
51
Venezia, Archivio di Stato, San Giorgio Maggiore, b. 22, fasc. 7, quaderno di conti: «1550 –
Conto dela fabricha del choro dela chiesia nostra de S. Zorzi Mazor»
52
Il Vangelo veniva cantato sempre sul lato sinistro dell’altare o del presbiterio: se l’altare era
rivolto ad est, si cantava rivolti a nord, punto cardinale che simboleggia le tenebre.
53
Il pomeriggio del 25 dicembre l’abate e alcuni monaci accoglievano il corteo ducale alla riva
142 MASSIMO BISSON

ed erano schierati lungo i tre lati di un rettangolo aperto verso il santuario; sul lato verso
l’aula, invece, vi era un ingresso chiuso da porte (Fig. 11).54
I Diarii di Marin Sanudo affermano che le reliquie di Santo Stefano erano «in l’altar
grando»;55 tutte le altre fonti, invece, sembrano specificare diversamente. Secondo un
documento del 1579, invece, esse si trovavano in una cappella collocata nel coro, all’in-
terno di un’arca lapidea.56 Un altro documento del 1581 – con il quale si concedeva la
traslazione delle medesime nel nuovo tempio palladiano – riporta «che il corpo del glo-
rioso S. Stefano Protomartire [...] si attrova in un’altare della chiesa vecchia inarpesato per
deliberation di questo Consiglio di 1 Settembre 1399». Anche la relazione stesa in occa-
sione della ricognizione alle reliquie del 1581 parla di «corpo del glorioso, et Beato Pro-
tomartire S. Steffano per longhi anni conservato in una delle cappelle della chiesa vec-
chia». Entrambi questi documenti ufficiali, che si presume essere stati scritti con una certa
precisione di linguaggio, non specificano dunque che quel corpo santo si trovasse nel
presbiterio, ma in un sacello secondario.
L’abate Fortunato Olmo, nel descrivere la collocazione delle reliquie del capo di San
Giorgio, specifica che esse erano collocate «in mezo di l’altar mazor soto dove sta el
Sacramento»; mentre, nel parlare della traslazione dei resti del corpo di Santo Stefano

di fronte al monastero; compiute le cerimonie di saluto, l’abate procedeva in processione con


il doge ed entrava in chiesa; arrivato a metà della navata, il prelato si voltava verso il doge che
stava dietro di lui e intonava «“Salvum fac servum tuum” et cetera, secundo che è annotato nel
libro. Finita la oratione et resposto amen, [...] l’Abbate si volta et intra in choro. Zonto che lui
è al altare, facta la consueta riverentia, el se traze un pocho da parte: et al Principo in quel inte-
rim zonze ai gradi del altare, et inzonechiato, finita lui ha la sua oratione, poi ascende al luoco
preparato. [...] Come el Principo si lieva dala oratione, subito l’Abbate incensa l’altare; et dicto
el Pater Noster, senza intervallo comenza in canto Deus in adiutorium et cetera, per che za el
Principo è zonto sopra el pulpito» (Venezia, Archivio di Stato, San Giorgio Maggiore, b. 44, pro-
cesso 50 “Acordi con la corte di sua Serenità per il regalo solito farsi il giorno di S. Stefano”,
pergamena II).
54
Gli stalli lignei di cui parliamo erano stati realizzati sotto il governo dall’abate Antonio Moro
(1479/84): «Antonio Moro [...] fabbricò in S. Giorgio le sedi del coro vecchio [...]. Governò il
Moro dall’anno 1479 fino al 1484» (OLMO, Istoria, c. 369r). «De nocturno choro in veteri templo
nil habetur, sed tantum de uno choro, et quod anno 1479 ibi sedilia confici fecerit Stephanus
a Novara abbas, quem etiam chorum restauravit, circa quod in compendio in dicto anno. Et de
his sedilibus translatis in præsenti choro nocturno dicimus infra» (VALLE, De Monasterio, c. 151).
Essi ancora esistono in numero di 72 e si trovano nell’attuale coro notturno del monastero,
dove furono trasferiti nel 1593: «E piu per condurre il choro da basso nel choro di sopra per la
notte, cioe tutte le sedie, e lettorino, et agiongergli quello vi mancherà, che incomincia dal’en-
trare della porta grande verso il corridore insin’al segno segnato dal Padre Don Giorgio, e lui»
(Venezia, Archivio di Stato, San Giorgio Maggiore, b. 22, proc. 13A, II, fasc. 7, carta sciolta,
«Accordio con maestro Zanetto 1593»).
55
Cfr. nota 50.
56
«in esso choro vi è la capella dedicata al beato Prothomartire S. Stefano, il Santissimo corpo del
quale giace in un’archa di pietra» (Translatio Corporis S. Stephani Protomartyris de vetere ad
novam Ecclesiam S. Georgii M. in ara eidem Protomartyri dedicata - Ex Archivo S. Georgii
Majoris, in FLAMINIO CORNER, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis nunc etiam primum editis
illustratae, XI.2, Venezia, Giovanni Battista Pasquali, 1749, p. 278)
Santa Giustina di Padova e San Giorgio Maggiore di Venezia: musica, architettura e liturgia 143

dalla chiesa vecchia alla nuova, scrive:


«l’anno 1581 pareva necessario il romper
l’altar vecchio del Protomartire e trasferire
le ossa predette».57
Nel citato cerimoniale, la cappella di
Santo Stefano appare palesemente collega-
ta con il coro monastico e l’ambone. Tut-
tavia, il continuo richiamo alla ristrettezza
dello spazio disponibile e la definizione di
quel luogo come «Sancta Sanctorum» –
quasi un sacello separato e seminascosto
dal resto del presbiterio – farebbero pen-
sare che quell’altare fosse appoggiato
all’abside e, dunque, si trovasse dietro a Fig. 12. Venezia, Basilica di San Marco, sezione
quello principale (Fig. 11).58 Un esempio longitudinale del presbiterio (da: Le fabbriche e i
simile era situato nella vicina San Marco, monumenti cospicui di Venezia, I, Venezia, Antonelli,
dove l’altare principale nascondeva alle 1838). 1) ambone in cornu epistolae; 2) coro; 3) altare
maggiore; 4) altare del Santissimo Sacramento
sue spalle – e nasconde tuttora – quello
del Santissimo, che è appunto addossato
all’abside (Fig. 12).59 Una simile disposizione, a San Giorgio, spiegherebbe anche l’esi-
stenza del secondo coro, detto di Santo Stefano, il quale era forse collocato ai lati del-
l’altare dedicato al Protomartire (Fig. 11).60

57
OLMO, Istoria, cc. 353v e 379v. Fortunato Olmo divenne monaco professo a San Giorgio
Maggiore nel 1596; fu autore di diverse opere riguardanti vite di santi e la storia veneziana (cfr.
Matricula monachorum, p. 196).
58
«La oratione se canta in Sancta Sanctorum. El letorino si apoza cum i piedi davanti al grado del
scabello del altare de Santo Stephano mezo serado, acio resti tanto spacio che l’Abbate possi stare
davanti à quello comodamente. [...] Finita la commemoratione de S. Stephano, gli altri cantori che
sono in choro vano verso l’altare et ascendendo ancora loro sopra quel grado de Sancta
Sanctorum apresso ali altri li sopra quel grado i cantano el Benedicamus, perche non è spacio
davanti al letorino» (Venezia, Archivio di Stato, San Giorgio Maggiore, b. 44, processo 50 “Acordi
con la corte di sua Serenità per il regalo solito farsi il giorno di S. Stefano”, pergamena II).
59
Un’esauriente descrizione dell’altare del Santissimo della cappella ducale si trova in FRANCESCO
SANSOVINO, Venetia citta nobilissima et singolare [...], Venezia, Domenico Farri, 1581, pp. 36r-37r.
60
I lavori del 1550, che riguardarono esclusivamente l’abside e la zona presbiteriale, coinvolsero
anche il «choro de S. Stephano» e i «banchi di San Stephano», i quali furono ridipinti: poiché tra
queste opere non si nomina il coro della navata, è possibile pensare che quello del Protomar-
tire fosse l’unico a trovarsi vicino alla zona absidale. Una simile impressione si ha leggendo le
seguenti parole del cerimoniale relative alla messa del 26 dicembre: «Cum che ordine si debe
dare lo incenso in choro. Zonto che i sono in choro subito, lassando nondimeno andar prima
i canonici ale sue sedie, i [turiferari] zonzeno incenso neli thuriboli et pariter uno intra dala
sedia del Abbate, et l’altro de quella del Priore e vano incensando in fina in capo, e seculari e
tuti chi si trovano. Poi et tornano dale sedie de soto, et incensano li cantori et altri fratelli, e
seculari che ivi sono uno per choro fina in capo come da prima. Poi i vano in choro grande,
et ancora li uno per choro incensano chi li si ritrovano. / Advertisca quod i ceroferarij che i
non vadino acompagnar el Principo, ma stiano fermi al altare: et quello che se ritrova verso el
144 MASSIMO BISSON

Nonostante le opere di ammodernamento


attuate nel 1550, nel decennio seguente la
chiesa abbaziale fu oggetto di una radicale
ricostruzione: il progetto fu affidato all’archi-
tetto Andrea Palladio che, nel 1565, realizzò
un modello ligneo del nuovo edificio.61 I lavo-
ri iniziarono l’anno successivo62 e procedette-
ro abbastanza rapidamente: nel 1575, al ter-
mine del primo lotto, risultavano complete le
navate e il transetto con le relative volte di
copertura; mancava invece la cappella mag-
giore, per la cui costruzione sarebbe stato
necessario demolire la parte rimanente del
vecchio tempio (Fig. 13).63 Il cantiere, però,
rimase fermo per diversi mesi probabilmente
a causa della pestilenza che, a partire da quel-
Fig. 13. Venezia, Abbazia di San Giorgio Maggiore, lo stesso anno e per i due successivi, imper-
pianta della chiesa secondo il probabile progetto versò nella città di Venezia decimandone la
palladiano (1565) e ipotesi di collocazione del popolazione.
coro
Andrea Guerra ha dimostrato in modo
assai convincente che il presbiterio e il coro
attuali furono realizzati dopo la morte di Palladio (avvenuta nel 1580) seguendo un pro-
getto difforme dall’originale.64 Il grande interrogativo, cui già altri hanno tentato di rispon-
dere, riguarda quindi l’assetto di questa parte dell’edificio secondo l’idea iniziale del 1565
e, sopratutto, le motivazioni che portarono a tale cambiamento.
Un contributo determinante per la soluzione del problema si può conseguire consi-
derando il ruolo giocato dagli organismi centrali della Congregazione nell’approvazione
dei progetti per nuove chiese: quest’ultimi, infatti, non erano coordinati dalle singole
abbazie ma passavano al vaglio di una commissione formata da monaci appositamente
nominati e provenienti da altri monasteri. Non può essere un caso, dunque, che l’impian-
to di San Giorgio, ad eccezione del corpo orientale, corrisponda pienamente al modello
fissato per Santa Giustina nel 1520: pianta cruciforme a tre navate con cappelle laterali,
transetto e cupola all’incrocio dei bracci (Fig. 4).65 Non ci stupiremmo, dunque, se anche

choro grande se dascosti un pocho, perche el loco è streto, acio el Principo possi passar como-
damente. [...] Alo Evangelio el letorino se pone zoso del scabello del’altare, tanto lu[n]tano che
i ceroferarij possino stare davanti comodamente; et el diacono viene a stare voltato cum le
spale al choro grande, et cum la facia verso la sedia del Sacerdote» (Venezia, Archivio di Stato,
San Giorgio Maggiore, b. 44, processo 50 “Acordi con la corte di sua Serenità per il regalo soli-
to farsi il giorno di S. Stefano”, pergamena II).
61
GIANGIORGIO ZORZI, Le chiese e i ponti di Andrea Palladio, Vicenza, Neri Pozza, 1967, p. 64, doc.
18; l’autore riporta il documento in cui sono elencate le spese sostenute per la realizzazione
del modello: esse iniziano il 25 novembre 1565 e terminano il 12 marzo 1566.
62
«1566. Templum novum construi coeptum est; ac primus lapis depositus» (VALLE, De Monasterio,
c. 136 v).
63
ASVe, S. Giorgio Maggiore, b. 21, proc. 13 A, I «Fabbriche – Carte concernenti la Chiesa di
Santa Giustina di Padova e San Giorgio Maggiore di Venezia: musica, architettura e liturgia 145

Figg. 14 e 15. Venezia, Chiesa abbaziale di San Giorgio Maggiore, pianta e sezione longitudinale della fabbrica
cinquecentesca (da: The designs of Inigo Jones [...], II, London, 1727)

la disposizione della zona presbiteriale avesse dovuto seguire tale modello e l’altare mag-
giore si fosse dovuto collocare in fondo all’abside («in capite capellae maioris»).66 È per-
tanto possibile che anche il coro, nel progetto del 1565, dovesse essere installato in posi-
zione analoga a quello padovano, cioè di fronte al santuario (Figg. 5 e 13).67
La volontà di riprendere il cantiere nel 1579, dopo quattro anni di stallo, coincise con
il primo governo dell’abate Paolo Orio (1579-1584), forse la personalità più rilevante
della Congregazione Cassinese nel periodo post-tridentino.68 Il 26 novembre di quell’an-
no, il patriarca di Venezia si recò nell’abbazia per accertarsi della necessità di procedere
alla completa demolizione della chiesa vecchia e alla traslazione delle reliquie. Al cospet-

S. Giorgio Maggiore, in generale 1494-1789», carte sciolte. Documenti trascritti in ZORZI, Le


chiese e i ponti, pp. 67-68, docc. 29-30.
64
ANDREA GUERRA, Quel che resta di Palladio. Eredità e dispersione nei progetti per la chiesa di San
Giorgio Maggiore a Venezia, «Annali di architettura», XIII, 2001, pp. 93-110.
65
Tutto questo traspare abbastanza chiaramente anche dal commento di Francesco Sansovino sul
progetto palladiano: «parve a governatori de monaci di rifar la chiesa su la forma d’un model-
lo fatto altre volte & havendone data la cura ad Andrea Palladio Architetto di molto nome, fu
ridotta in pochi anni al suo fine. E adunque fabrica mirabile & bene intesa, con magnifica &
larga spesa fatta» (SANSOVINO, Venetia, pp. 81v-82r).
66
Cfr. nota 25.
67
Andrea Guerra, analizzando il taglio netto verticale presente sulle attuali membrature lapidee
in corrispondenza dell’imbocco del presbiterio (cioè al limite del cantiere concluso nel 1575),
ha osservato che la fabbrica, secondo l’originario progetto palladiano, avrebbe potuto
concludersi con un abside semicircolare simile a quelle dei transetti (cfr. GUERRA, Quel che resta
di Palladio, pp. 95-97). Poco condivisibile appare l’ipotesi proposta dallo stesso studioso nel
2006, secondo la quale la parete di fondo della chiesa sarebbe stata costituita da un colonnato
curvo oltre il quale si sarebbe aperta la parte orientale della chiesa precedente (cfr. GUERRA,
Architettura dell’ascolto, pp. 171-177): sembra infatti assai probabile che le due chiese non
fossero allineate su un unico asse dato che il campanile, nella veduta di Jacopo de’ Barbari
(datata 1500), appare addossato all’abside del tempio quattrocentesco mentre, rispetto al coro
attuale, la torre risulta spostata di una quindicina di metri sulla sinistra (cfr. Fig. 19 in GUERRA,
Quel che resta di Palladio, p. 104).
68
MASSIMO ZAGGIA, Tra Mantova e la Sicilia nel Cinquecento, II: La Congregazione benedettina
cassinese nel Cinquecento, Firenze, Olschki, 2003, pp. 651-658.
146 MASSIMO BISSON

to del vescovo comparve anche Andrea Palladio, chiamato a prestare giuramento assie-
me al maestro muratore Antonio Paleari.69 Passarono però quasi altri due anni prima che
le reliquie venissero spostate: ciò avvenne solennemente il 15 agosto 1581, alla presen-
za del doge, della Signoria e del patriarca;70 questo biennio di ritardo può forse spiegar-
si con una possibile difficoltà finanziaria o con titubanze di tipo progettuale dovute alla
morte dell’architetto.
I lavori erano certamente iniziati nel 1583: il primo maggio di quell’anno, fu steso l’ac-
cordo con lo scalpellino Bortolo di Domenico per la fornitura delle membrature lapidee
del presbiterio, mentre il 10 giugno successivo si provvide al contratto per quelle del
coro.71 Solo dopo quelle date, dunque, si iniziò a lavorare all’alzato della fabbrica: nei
mesi precedenti, probabilmente, si era demolita la porzione rimanente della vecchia chie-
sa e si erano realizzate le fondazioni della nuova parte. Questo tempo, inoltre, fu impie-
gato anche per mettere a punto i dettagli del nuovo progetto: il ruolo di coordinatore
passò a Bortolo che, nel 1583, compare come disegnatore del fregio lapideo a meandri
situato sopra gli stalli e dei due portali che immettono nel vano (Fig. 17): nonostante il
linguaggio palladiano da lui utilizzato, emergono tuttavia gravi indecisioni e incongruen-
ze formali, soprattutto nei punti di congiunzione dei vari elementi.72
Il nuovo coro fu costruito dietro al santuario, in uno spazio nascosto, pressoché invi-
sibile dalla navata: le quattro colonne che reggono l’imponente cassa d’organo (realizza-
ta nel 1613), assieme alle due ali in muratura che le fiancheggiano sostenendo l’arcone
sovrastante, sembrano replicare la funzione dei pontili medievali, grandi barriere archi-
tettoniche costruite per impedire il contatto del clero con i laici (Fig. 16). I recenti decre-
ti tridentini, del resto, richiedevano una scrupolosa osservanza della disciplina monasti-
ca, soprattutto della clausura e degli obblighi liturgici.
Nel 1588 la gran parte del lavoro era stata completata;73 tra le voci di spesa per gli ele-
menti lapidei rileviamo anche quella di 140 ducati per due balconate collocate ai lati del
santuario: esse erano poste sopra la trabeazione dell’ordine minore, entro le due arcate
che ora contengono le finestre termali inferiori (Figg. 14-16).74 Data la loro quota, iden-
tica a quello dell’organo, e la vicinanza a quest’ultimo, sembra assai probabile che la loro
funzione fosse quella di alloggiare cantori e strumentisti durante le cerimonie più impor-
tanti.

69
Translatio Corporis S. Stephani Protomartyris de vetere ad novam Ecclesiam S. Georgii M. in ara
eidem Protomartyri dedicata - Ex Archivo S. Georgii Majoris, in CORNER, Ecclesiae Venetae, pp.
276-278.
70
Ivi, pp. 280-281.
71
Venezia, Archivio di Stato, San Giorgio Maggiore, b. 21, processo 13 A/I «Fabbriche. Carte con-
cernenti la Chiesa di S. Giorgio Maggiore, in generale 1494-1789», carte sciolte non numerate.
72
Assai inelegante e architettonicamente incongruente è, ad esempio, la sovrapposizione della
trabeazione del colonnato che regge l’organo con i fusti delle colonne che fiancheggiano le
finestre del coro.
73
Venezia, Archivio di Stato, San Giorgio Maggiore, b. 21, processo 13 A/I «Fabbriche. Carte con-
cernenti la Chiesa di S. Giorgio Maggiore, in generale 1494-1789», fascicolo rilegato di 6 carte
numerate, segnato a matita «1588 +».
74
«per due balchonade sopra alla chornise picola in volto per fiancho del santuarjo monta tutte
doj ducati 140» (ivi, c. 3r).
Santa Giustina di Padova e San Giorgio Maggiore di Venezia: musica, architettura e liturgia 147

Fig. 16. Venezia, Chiesa abbaziale di San Giorgio Fig. 17. Venezia, Chiesa abbaziale di San Giorgio
Maggiore, veduta del presbiterio (Bortolo di Maggiore, balaustre divisorie tra presbiterio e coro
Domenico e Antonio Paleari, 1583-1588) (1595)

Solo nel 1594 venne affidata a


Gasparo Gatti la realizzazione degli stalli
(Fig. 18),75 mentre l’anno successivo
furono commissionate la balaustra
lapidea e la breve gradinata che separano
il coro dal presbiterio (Fig. 17).76 Al centro
della curva dell’abside, a divisione tra le
due ali degli stalli, fu collocato un
ingresso che sembra ricalcare la posizione
di quello un tempo situato all’entrata del
coro quattrocentesco (Fig. 11). Sebbene
l’accesso principale si trovasse in altra
Fig. 18. Venezia, Chiesa abbaziale di San Giorgio posizione (Fig. 18), il piccolo varco
Maggiore, coro (stalli di Gasparo Gatti, Livio
Comaschi e Albert Brulle, 1594-1600) orientale non sembra affatto simbolico:
all’esterno dell’abside, infatti, vi corri-
sponde un portale in pietra d’Istria che, sebbene sia oggi murato, funzionò indub-
biamente per lungo tempo. L’architrave lapideo, infatti, è spezzato e rinforzato da una
grappa metallica, cosa non necessaria se la tamponatura muraria fosse sempre stata
presente. Oltretutto, una volta aperta la piccola porta interna, si scopre che lo stretto
vano retrostante è intonacato (ad eccezione della parete di tamponatura) e pavimentato
con marmi colorati: ciò prova senza dubbio che quel passaggio era un tempo utilizzato
per raggiungere alcune strutture conventuali oggi scomparse.
Tra gli arredi liturgici del presbiterio, merita qualche cenno il monumentale altare
maggiore, progettato e costruito da Bortolo di Domenico nel 1594.77 Una caratteristica

75
Venezia, Archivio di Stato, San Giorgio Maggiore, b. 21, processo 10 A «Fabbrica della Chiesa
1591-1644», cc. 17r-20r.
76
Ivi, c. 24v.
77
Ivi, c. 21r.
148 MASSIMO BISSON

interessante del manufatto è la presenza di


due mense, una rivolta verso la navata, l’altra
verso gli stalli, cosa non rara nelle chiese
conventuali veneziane (Fig. 19).78 Nel
contratto per la costruzione, però, non si fa
menzione esplicita di questo requisito: solo
l’accenno a «due bardelle» (ovvero ‘predelle’)
ne indica la contemporanea realizzazione. La
mensa anteriore, del resto, non risultava
affatto visibile ai monaci che, dal coro,
assistevano quotidianamente alla messa
solenne conventuale. Tutto questo, dunque,
sembra sottintendere la limitata funzionalità
liturgica di quello spazio nascosto, elemento
alquanto usuale nell’architettura ecclesiastica
post-tridentina, ma senz’altro contrario alle
antiche tradizioni e al logico svolgimento
delle cerimonie.

Fig. 19. Venezia, Chiesa abbaziale di San Giorgio


Maggiore, altare maggiore, fronte posteriore
(Bortolo di Domenico, 1594)

78
Tale caratteristica si trova nell’altare maggiore cinquecentesco di San Francesco della Vigna e
in quello tardo seicentesco del Redentore, entrambe Chiese conventuali (rispettivamente dei
Francescani Osservanti e dei Cappuccini) dotate di ampio coro dietro al presbiterio.

Potrebbero piacerti anche