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30 GIUGNO 2023 ALLE 00:00 3 MINUTI DI LETTURA

Qualche giorno fa, nel pieno della rivolta di Evgenij Prigozhin, quando ancora le truppe mercenarie della
brigata Wagner parevano intenzionate a puntare su Mosca, un drappello di cronisti ha intercettato il leader del
Movimento 5 Stelle a margine di una manifestazione di piazza e gli ha chiesto un parere sui fatti russi. Conte ha
risposto così: «C’è una escalation che stiamo seguendo con molta attenzione. Il quadro complessivo rimane
comunque quello, così come la nostra posizione critica nei confronti di una strategia che è soltanto militare
senza una via di uscita politica». Quella di Conte può sembrare a prima vista una risposta vuota, tre frasi messe
insieme per non saper bene cosa dire nel merito, e non è un’impressione sbagliata. A ben guardare, però, è
peggio. Lo rivela quella parola: “escalation”. Da mesi usata dal M5S e da un variegato fronte che comprende
putiniani dichiarati e dissimulati, tribuni televisivi con e senza programma, neokissingeriani gialloverdi o con
falce e martello, per chiedere la fine degli aiuti militari all’Ucraina e la sostanziale resa alle ragioni
dell’invasione russa. Con la rivolta di Prigozhin si è compiuta l’ultima piroetta logica della compagnia di giro:
suggerire che persino la rivolta della Wagner, tutta interna alle logiche terroriste dello Stato russo e alla sua
scelta unilaterale di guerra, sia un effetto delle politiche dell’Occidente, degli Usa e della Nato.

Il dilagare della propaganda filorussa, più o meno consapevole, funziona come una slot truccata: a ogni giro di
leva dà sempre come risultato la necessità di assecondare la versione e i desideri di Mosca. Prima la Russia è
troppo forte e non può essere contrastata (la tesi su cui l’ineffabile sociologo Alessandro Orsini ha conquistato
la ribalta televisiva), poi la Russia è troppo fragile e non si può rischiare che imploda. Contrariare Putin non va
bene perché altrimenti usa l’atomica (era la scandalosa tesi centrale di un manifesto rossobruno promosso
qualche mese fa, tra gli altri, da Massimo Cacciari e Franco Cardini), ma sostituirlo nemmeno, perché a usare
l’atomica sarebbero i golpisti. Il cortocircuito logico e politico di questo andirivieni ha trovato la sua sintesi
finale nel tweet che l’ex presidente Rai Marcello Foa, sovranista area Lega, ha dedicato al quasi golpe: “Se
dovesse vincere Prigozhin avremmo a che fare con un dittatore capace di tutto”. Il che è senz’altro vero, a patto
di spiegare in cosa Putin sarebbe invece un capo di Stato, e non un dittatore, incapace di tutto e con un senso
del limite, visto che fino alla settimana scorsa il possibile ricorso alle armi nucleari da parte del Cremlino era
appunto l’argomento principe per chiedere di disarmare Kiev e chiuderla qui, mutilando l’Ucraina di quel che è
necessario per tornare tutti serenamente, tranne gli ucraini, alle faccende di prima.

Due misteri e una certezza

di Bernard-Henri Lévy
30 Giugno 2023

Un gioco delle tre carte che va in scena dal giorno uno della guerra. La Russia invade? Fake americana. La
Russia ha invaso? È stata costretta dalla Nato. Ma questa non è una storia di pronostici sbagliati, sarebbe il
meno. È invece la storia di un progressivo sfondamento della propaganda russa nel dibattito pubblico italiano,
con la beffa di vedersi presentare le tesi che a Mosca sono oscene veline di regime come una ventata di
coraggioso anticonformismo che il sistema vuole silenziare (silenziare mandandole in onda a ogni ora del
giorno). Oltre alla bestialità di Prigozhin frutto dell’escalation, la mistificazione ha preso anche la forma dello
scherno, accreditando l’idea che il fronte che difende le ragioni dell’Ucraina e di una pace giusta abbia tifato
per Prigozhin. “Prigozhin delude i suoi fan italiani”, ha titolato il Fatto, organo ufficiale della presunta
controinformazione, sul quale il generale Fabio Mini ha rilanciato la tesi dell’ex presidente russo Dmitrij
Medevedev, secondo il quale dietro l’imbizzarrirsi della Wagner ci sarebbero “i servizi segreti occidentali”. Chi
siano i fan italiani di Prigozhin, almeno un nome, una testata, un cinguettìo, non è dato sapere. Ma la loro
invenzione è stato un altro modo per spingere la narrazione cara a Mosca: chi sta con l’Ucraina è comunque
complice dei nazi, un giorno sostiene la brigata Azov e quello dopo la Wagner. In Italia la delirante teoria della
denazificazione dell’Ucraina ha sfondato e conquistato pezzi interi di opinione pubblica, anche chi non ne
aveva bisogno come quei reduci che nel putinismo vedono la continuazione della battaglia sovietica e forse
della loro giovinezza.

Hanno tutti ragione | Invadere l'Ucraina? Non è nello stile di Mosca. Un anno di
perle dei diversamente putiniani

di Stefano Cappellini
25 Febbraio 2023

Non è difficile capire il meccanismo che ha spinto la compagnia a ironizzare sui “fan italiani di Prigozhin”. È il
sollievo per l’esito della vicenda, la necessità di avere Putin ancora in sella per continuare a far girare le tesi
sulla “guerra di Biden” (Michele Santoro), le analisi sulla “guerra degli Usa per dominare il mondo” (Moni
Ovadia) o gli appelli del genere “nessuno dica che Putin non vuole la pace” (Conte), e al proposito vedremo con
quali risultati tornerà da Mosca il cardinale Zuppi che ieri ha incontrato il patriarca della Chiesa ortodossa
Kirill. Sarebbe stata una beffa, per molti, dopo aver sostenuto che opporsi a Putin è sbagliato quanto inutile,
constatare che a farlo fuori era stata una brigata di nazisti da lui pagati e sparsi nel mondo a uccidere. Con
Putin ancora al comando, anzi “enormemente rafforzato” (Orsini), si può continuare a truccare la slot:
escalation, escalation, escalation.

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