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I comandanti di Azov liberi in uno scambio di


prigionieri. «Ai russi l’oligarca Medvedchuk»
di Francesco Battistini

La Russia ha rilasciato 215 prigionieri di guerra ucraini, catturati durante la battaglia di Mariupol.
Gli uomini rilasciati includono i comandanti del battaglione Azov

Uno dei combattenti dell’Azovstal durante l’assedio e dopo la liberazione

DAL NOSTRO INVIATO


KIEV – Tutti a casa. Nell’ora più drammatica, nella mobilitazione generale dei 300mila russi, nella
fuga da Mosca degli arruolabili, Vladimir Putin apre a sorpresa uno spiraglio. E nell’ora più
buia, dopo sette mesi di «niet» su tutto, fa la prima concessione negoziale sui prigionieri di guerra:
vengono liberati centinaia di uomini del Battaglione Azov, gl’impresentabili nazistoidi che
dovevano essere processati per crimini di guerra, assieme a una decina di foreign fighters avviati a
sicura condanna a morte. La clamorosa notizia su Azov la dà a mezzanotte Suspline, la radio
ufficiale ucraina. Il capostaff della presidenza, Andrii Yermak, parla d’un accordo raggiunto fra
Mosca e Kiev per rilasciare 215 «pow« (prisoners of war) ucraini in cambio di 55 russi e
specialmente dell’oligarca filorusso Viktor Medvedchuk: l’amico fedelissimo di Putin, l’editore che
Zelensky fece arrestare con l’accusa d’intelligenza col nemico e di propaganda pro-Cremlino sulle
sue tv.

Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina

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Un anno prima dell’invasione, febbraio 2021, proprio una legge anti-Medvedchuk votata dal
Parlamento di Kiev aveva fatto infuriare il leader del Cremlino, spingendolo a preparare la guerra e
a schierare sul confine ucraino i primi tremila soldati. Vi ridiamo i nazisti. E noi vi ridiamo
l’orribile Medvedchuk. Lo scambio era nell’aria e sabato era stato il braccio destro del presidente
ucraino, Podolyak, a confermarci che i soli passi nel negoziato erano stati fatti proprio per i «pow».
Nessuno però s’aspettava che in cima alla lista dei rilasciabili ci fossero praticamente tutti i
combattenti di Azov, quelli che s’erano arresi a maggio dopo una lunga resistenza nei tunnel
dell’acciaieria Azovstal di Mariupol. Sui social compaiono le foto della cerimonia di consegna, in
un luogo imprecisato dalle parti di Chernihiv: in una sala, si vedono in divisa il colonnello Denys
«Redis» Prokopenko e il vice Svyatoslav «Kalyna» Palamar. Poi via via si vengono a sapere gli altri
nomi, uno fra tutti: «l’eroico» (lo definisce così la radio ucraina) marine Sergiy Volynsky, il
famoso comandante «Volyna» della 36esima Brigata Marines che guidò la resistenza dentro
Azovstal.

C’è pure Dmytro Kozatsky, il soldato che prima d’essere catturato postò le foto dell’assedio. È
probabile che fra i rilasciati vi siano anche alcune delle 131 donne tenute prigioniere, due delle
quali incinte: una è al nono mese. L’11 settembre scorso, i russi avevano promesso che sarebbe
cominciato il processo ai soldati di Azov: il rinvio, ora è evidente, era dovuto alle trattative in corso.
In segno di distensione, Mosca aveva anche diffuso il video della popolarissima soldatessa
Kateryna Polishchuk, 21 anni, diventata famosa come «l’uccellino» (Ptashka) perché nei giorni
dell’assedio era stata filmata mentre intonava canzoni nazionalistiche. E a Kiev s’era invocata una
certa fretta, ricordando la misteriosa esplosione del 29 luglio nel Donetsk, dentro il carcere di
Olenivka, dove almeno 53 azoviani erano morti.

Che cosa significhi questa svolta improvvisa, è presto per dirlo. Nel pomeriggio - con altrettanta
sorpresa e grazie alla mediazione dell’ «impresentabile» principe saudita Mohammed bin
Salman, il celebre Mbs -, i separatisti filorussi avevano liberato anche dieci mercenari (cinque
inglesi, due americani, uno svedese, un marocchino e un croato) catturati la scorsa primavera. Fra di
loro, già arrivati a Riad, ci sono Aiden Aslin, Shahun Pinner e Brahim Saadoun, i tre foreign
fighters che a giugno erano stati ingabbiati e condannati a morte in un processo-show. «Non li
libereremo mai», era stata la promessa. Ma le guerre cambiano vento, e le convinzioni anche.

Perché in Ucraina gli Anglo-Americani si sono affidati ai neonazisti?

 Redazione
 Luglio 12, 2022
.

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, mi sembra interessante portare alla vostra attenzione
queste considerazioni di Agostino Nobile, che ringraziamo di cuore. Buona lettura.

§§§

Perché in Ucraina gli anglo-americani si sono affidati ai neonazisti?

Come abbiamo più volte scritto, l’élite è costituita da persone umanamente analfabete e con poca
fantasia. Le loro letture si basano su autori privi finanche dei principi fondamentali della disciplina
umanistica. La loro forza è strutturata sul segreto e, soprattutto, su una smisurata fonte di miliardi
che dà loro il potere di corrompere tutti i capi dei gangli sociali, politici, ecclesistici e mediatici.
Restrizioni covid e vaccini docet.

In Ucraina dove gli anglo-americani, già prima che attuassero il colpo di stato del 2014, hanno
organizzato una struttura neo-nazista in grado di abbattere il governo democraticamente eletto di
Viktor Yanukovych. Perché, nonostante la storia abbia condannato il nazismo lo hanno ri-utilizzato
in Ucraina? Non era meglio formare battaglioni antirussi evitando simboli dell’ideologia tedesca?
No, perché nessun pretesto antirusso avrebbe potuto aggregare migliaia di mercenari pronti a
rimetterci la vita. L’unica strada è stata quella di accalappiare i più grandi odiatori dell’Unione
Sovietica sparsi per il mondo: i neonazisti.

L’élite che finanzia questi gruppi e Zelensky, come vedremo, è la stessa che sovvenzionò Hitler. Ne
parlai già nel mio Anticristo Superstar, pubblicato nel giugno 2014, e dato che il conflitto in
Ucraina mira a una Terza guerra mondiale, penso sia utile aggiungere altri particolari. Tanto più che
non sappiamo ancora se Boris Johnson è stato destituito per una ritirata dal conflitto o per sostituirlo
con una testa più calda che possa innescare una guerra più devastante di quelle del secolo scorso. In
ballo non c’è l’Ucraina, ma la sopravvivenza di un’élite che a partire dal XVI – XVII secolo, con le
Trading companies in the West Indies, controlla l’economia occidentale e in seguito mondiale.

Veniamo ai finanziamenti dell’élite a Hitler. Com’è possibile che la Germania nazista, impoverita
dalla Prima guerra mondiale con una gigantesca inflazione, abbia potuto costruire da sola le proprie
forze armate fino a diventare il numero uno al mondo nei primi sette anni di governo di Hitler?
Riporto alcuni brani tratti da “Wall Street e l’ascesa di Hitler” di Anthony B. Sutton, ricercatore
presso la Hoover Institution dell’Università di Stanford dal 1968 al 1973.

«Il contributo del capitalismo americano ai preparativi bellici tedeschi prima del 1940 può essere
definito fenomenale. È stato certamente cruciale per le capacità militari tedesche. Ad esempio, nel
1934 la Germania produceva internamente solo 300.000 tonnellate di prodotti petroliferi naturali e
meno di 800.000 tonnellate di benzina sintetica; tuttavia, dieci anni più tardi, durante la Seconda
Guerra Mondiale, dopo il trasferimento dei brevetti e della tecnologia di idrogenazione della
Standard Oil del New Jersey alla I.G. Farben, la Germania produsse circa 6 milioni e mezzo di
tonnellate di petrolio – di cui l’85% era petrolio sintetico che utilizzava il processo di idrogenazione
della Standard Oil.

I tedeschi furono portati a Detroit per imparare le tecniche di produzione specializzata di


componenti e di assemblaggio in linea. Le tecniche apprese a Detroit vennero infine utilizzate per
costruire gli Stukas da bombardamento in picchiata …. Successivamente, i rappresentanti della I.G.
Farben in questo Paese permisero a un flusso di ingegneri tedeschi di visitare non solo gli
stabilimenti aerei, ma anche altri di importanza militare. La stampa economica americana
contemporanea conferma che i giornali e le riviste economiche erano pienamente consapevoli della
minaccia nazista e della sua natura.

Le prove presentate suggeriscono che non solo un settore influente dell’imprenditoria americana era
consapevole della natura del nazismo, ma che per i propri scopi aiutava il nazismo ovunque fosse
possibile (e redditizio) – con la piena consapevolezza che il probabile risultato sarebbe stata una
guerra che avrebbe coinvolto Europa e Stati Uniti. Benzina sintetica ed esplosivi (due degli
elementi di base della guerra moderna), il controllo della produzione tedesca della Seconda Guerra
Mondiale era nelle mani di due società tedesche create grazie ai prestiti di Wall Street nell’ambito
del Piano Dawes.

I due maggiori produttori di carri armati nella Germania di Hitler erano la Opel, una filiale
interamente controllata dalla General Motors (controllata dalla J.P. Morgan), e la Ford A.G., filiale
della Ford Motor Company di Detroit. I nazisti concessero lo status di esenzione fiscale alla Opel
nel 1936, per consentire alla General Motors di espandere i propri impianti di produzione. Alcoa e
Dow Chemical lavorarono a stretto contatto con l’industria nazista.

La General Motors fornì alla Siemens & Halske A. G. in Germania dati su piloti automatici e
strumenti per aerei. Nel 1940, la Bendix Aviation fornì a Robert Bosch dati tecnici completi per gli
avviatori di aerei e motori diesel, ricevendo in cambio il pagamento di royalties.
In breve, le aziende americane associate ai banchieri d’investimento internazionali Morgan-
Rockefeller erano intimamente legate alla crescita dell’industria nazista. È importante notare… che
la General Motors, la Ford, la General Electric, la DuPont e la manciata di aziende statunitensi
intimamente coinvolte nello sviluppo della Germania nazista erano – ad eccezione della Ford Motor
Company – controllate dall’élite di Wall Street: la J.P. Morgan, la Rockefeller Chase Bank e, in
misura minore, la Warburg Manhattan».
Sutton chiarisce che il suo libro non è un’accusa a tutta l’industria e la finanza americana. È
un’accusa all’ “apice”, cioè a quelle imprese controllate attraverso una manciata di società
finanziarie, “il sistema della Federal Reserve Bank, la Banca dei Regolamenti Internazionali e i loro
continui accordi di cooperazione internazionale e cartelli che tentano di controllare il corso della
politica e dell’economia mondiale”.

Il fatto che la Seconda Guerra Mondiale sia stata una “buona guerra”, una lotta chiara contro ciò che
un pazzo aveva portato avanti, è stato un inganno importante e fondamentale, consolidato nei media
e nei film di proprietà di Wall Street. La Seconda Guerra Mondiale difatti ha rappresentato
l’investimento più redditizio mai fatto. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l’unico grande
impianto industriale rimasto in piedi era quello di proprietà di Wall Street. Wall Street e il governo
statunitense controllato da Wall Street erano diventati la prima superpotenza mondiale della storia,
mentre in Unione Sovietica avevano causato ventisette milioni di morti.

Tutti gli investimenti e le joint venture delle imprese statunitensi (ed europee) che hanno portato la
Wehrmacht di Hitler ad essere la prima forza armata del mondo in soli sei anni sono documentati
sia nei registri commerciali che in quelli fiscali degli Stati Uniti, della Germania e di altre nazioni e
sono in gran parte disponibili su Internet (se non oscurati) con statistiche abbastanza complete. Dato
che le potenze coloniali armarono pesantemente la Germania nazista con la scusa patetica di rendere
la Germania nazista solo un “baluardo contro l’Unione Sovietica comunista” (la stessa utilizzata
oggi con L’Ucraina), e il rifiuto delle suppliche dei sovietici di formare un’alleanza protettiva di
fronte alla crescente belligeranza di Hitler, costrinse Stalin a firmare il patto di non aggressione
Molotov-Ribbentrop. Probabilmente come una difesa di ultima istanza della Russia.

I nuovi miliardari, dunque, oggi cercano di ripetere la stessa metodologia del secolo scorso. L’élite
opterà per il suicidio planetario innescando una guerra nucleare, butterà la spugna accontentandosi
di controllare i paesi occidentali o sarà finalmente ridimensionata?

Agostino Nobile

 Fotogallery
 Mondo

GUERRASegui

Azov, russi obbligano prigionieri a spogliarsi:


tatuaggi e svastiche mostrati come trofei di
guerra
 796

Messi a nudo. E fatti sfilare come trofei di guerra. I russi hanno obbligato gli ultimi combattenti di
Azov a togliersi i vestiti. Ma non è bastato. Con le telecamere hanno cominciato a riprendere i loro
corpi. Così, come mostrano le immagini, si possono vedere i tatuaggi. Svastiche e soli neri, aquile
del Terzo Reich e altri simboli nazisti. Anche un disegno di Adolf Hitler. Tutto questo per far
giustificare l'invasione e sottolineare che stanno "denafizicando" l'Ucraina.

Guerra, la diretta di oggi. Russia: ipotesi scambio tra soldati Azov e oligarca russo Medvedchuk

Le immagini sono state riprese da diversi account Twitter anche per il tramite di esponenti
istituzionali di Mosca, come il vice rappresentante permanente presso le Nazioni Unite a Ginevra,
Alexander Alimov, spesso accompagnate da messaggi irridenti. «Gli Azov che si arrendono.
Fittamente decorati con tatuaggi che dimostrano che non c'è nazismo in Ucraina», ha scritto il
diplomatico a corredo delle foto.

Ucraina, è un grosso rischio definire ‘eroico’ il


battaglione Azov solo perché combatte
di Gianluca Pinto

Esiste una questione molto preoccupante (come se tutto il resto fosse tranquillamente a posto e
vivessimo un periodo di rosee aspettative per l’umanità): mi riferisco al battaglione Azov. Non
voglio discutere sulla guerra in Ucraina, sulle chiare e innegabili colpe di Putin o sulle
responsabilità altrettanto evidenti della Nato e dell’Occidente tutto, ma solo sulla questione del
battaglione citato. Parlando di questo specifico argomento premetto che dovremmo tutti
comprendere che stiamo correndo un grosso rischio: si sta offrendo al mondo, a livello di
propaganda, l’immagine eroica di un corpo neo-nazista.

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Nessuno nega che i facenti parte del battaglione in questione siano dentro la guerra, ma la domanda
vera che dobbiamo porci tutti è: fino a che punto vogliamo spingerci con la propaganda? Vogliamo
procedere fino a designare come “eroi” che lottano per la “libertà”, senza se e senza ma,
indistintamente tutti coloro che si trovano dalla parte opposta alla Russia? Basta che siano schierati
contro la Russia per essere eroi del “bene” contro il “male”? Davvero siamo a questo livello nella
presa di coscienza di quello che avviene nel mondo? Perfino nei fumetti Marvel esistono più
sfumature.

Nel caso del battaglione Azov stiamo attenti, perché oltre a trattarsi di una orrenda mistificazione
stiamo rischiando un pericolosissimo errore, dettato da incoscienza per non dire da totale
irresponsabilità, di cui tutti possiamo pagare il prezzo. Il battaglione Azov è dichiaratamente nazista
ed è esplicitamente negazionista rispetto alla Shoah. L’ideologia è chiara e manifesta e nulla ha a
che fare con la libertà. Oppure c’è qualcuno che vorrebbe sostenere il contrario, ossia che il nazismo
sia un’ideologia basata sul concetto di pace e libertà dei popoli? Davvero si vuole arrivare a definire
costoro “eroi” della libertà solo perché sono in guerra? Siamo sicuri di quello che si sta facendo?

Davvero si vuole legittimare il neo-nazismo mettendolo tra le forze che combattono per gli ideali di
libertà e autodeterminazione dei popoli? Davvero si stanno equiparando i combattenti arruolati
nell’esercito ucraino (magari a forza) che lottano contro un invasore ai neo-nazisti che compongono
Azov? Si vuole sul serio che i nazisti, alla fine della vicenda (se mai ci sarà una fine che lo
permetta), vengano legittimati, riabilitati dalla storia e riconosciuti come “liberatori” o “martiri”
della libertà? Vogliamo riaprire e riscrivere in questo modo insulso alcuni capitoli della storia
chiusi con dolore semplicemente in nome di una becera e superficiale propaganda di guerra?

Tutti gli irresponsabili che fanno bassa


propaganda a buon mercato riabilitando il
neo-nazismo in banale funzione antisovietica
stanno commettendo un errore storico
imperdonabile dettato da malafede e
ignoranza delle conseguenze di tale
azione.civile ucraina evacuata da Azovstal
(sottotitoli in italiano)
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Il giornalismo "serio" occidentale, quello che vi ha venduto le barbarie del neo-liberismo come
civiltà e le guerre della Nato come democrazia, ha raggiunto sul conflitto in Ucraina l'apoteosi
finale.

In Italia è noto come sia stata la coraggiosa inchiesta di Report a rompere lo squarcio di menzogne
con un servizio sulle testimonianze dirette nella città di Mariupol che mostrava i nazisti Azov per
quello che sono, nazisti, e il senso di liberazione della popolazione civile all'arrivo delle truppe delle
repubbliche del Donbass. In Germania la stessa cosa era stata fatta dal Der Spiegel attraverso un
video Reuters che mostrava il racconto in prima persona di una civile evacuata dall'ultima sacca di
resistenza dei nazisti Azov, l'acciaieria Azovstal.

Accortosi dell'"errore", l'editore decide di togliere il video.

Citando "discrepanze nei contenuti", la rivista tedesca Der Spiegel ha rimosso il video che mostrava
la testimonianza di una testimone diretta dalla fabbrica "Azovstal" di Mariupol, una roccaforte dei
militanti neonazisti Azov e di altri combattenti ucraini.

La donna nel video aveva rivelato che la sua famiglia era stata sostanzialmente raggirata, tenuta in
ostaggio e usata come scudo umano.

Un altro quotidiano tedesco, Junge Welt, ha notato la cancellazione giovedì sera e lo ha denunciato.

ernardo Pino
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"La RAI cede: ammette che nella acciaieria di Azovstal di Mariupol, i Civili erano prigionieri delle truppe
ucraine ed erano utilizzati come scudi umani da queste ultime.

Questo "ravvedimento" della TV di stato italiana non è stato volontario ma ha dovuto accodarsi alle
emittenti di tutti gli altri paesi occidentali i cui giornalisti stanno intervistando i Civili usciti dall'acciaieria e
portati in salvo dai corridoi umanitari russo/CRI.
I Civili raccontano di come volessero approfittare da settimane dei corridoi offerti dai Russi ma erano
costretti a rimanere nella acciaieria dalla minaccia delle armi ucraine.

Cade la romantica narrazione italiana dell'eroico Battaglione Azov rinchiuso nella Acciaieria di Azovstal con
le proprie mogli ed i propri bambini che volevano salvare dai cattivissimi Russi."

Manu Torri

craina

Cibo a “peso di ostaggi”: la barbarie di


Azovstal

Date: 5 Maggio 2022Author: ilsimplicissimus 4 Comments

Pare sia cominciato l’assalto finale alla fortezza sotterranea dell’Azovstal, ne ha dato l’annuncio lo
stesso comandante della formazione nazista che ha avvertito dell’inizio della battaglia in corso,
sempre che egli sia davvero li sotto e non si tratti anche in questo caso di cinema: ad occhio sembra
troppo lisciato per essere uno che da un mese è dentro un sotterraneo. Ad ogni modo siccome le
notizie di un cambio di passo sono state date anche da un comandante delle milizie del Donbass e
da un comandante ucraino terrorizzato è probabilmente vero che è iniziata la penetrazione nei
sotterranei o in una parte di essi. Naturalmente i corridoi umanitari sono ancora aperti casomai i
nazisti e gli alti ufficiali della Nato volessero liberare gli ostaggi dei quali si fanno scudo. Ma gli
assediati non vogliono rinunciare alla loro carne da cannone: vogliono scambiare i civili con
derrate alimentari e medicine: nessuno potrà andarsene se non in cambio del suo peso in cibo e
infatti intendono liberare quindici ostaggi per tonnellata di generi alimentari ilche riporta a una
sorta di peso medio ideale se si comprendono anche i bambini. In pratica si tratta di scambiare gli
ostaggi a peso di cibo, una pratica che è stata spesso adottata dai terroristi in Siria quando si sono
trovati accerchiati e nella medesima situazione: stranamente tutto riporta sempre ad un medesimo
“modello” made in Usa Cosa diranno ora coloro che hanno difeso e difendono costoro? Compresi
quegli ufficiali della Nato che erano li per guidare l’assalto contro le popolazioni del Donbass e
dunque per spingere la Russia ad intervenire, per provocare la guerra. Sarà interessante capire come
verranno trattati questi uomini ammesso che non diventino a loro volta ostaggi dell’Azov come
personalmente credo: chi di nazista ferisce, di nazista perisce . E poi è interesse dei Paesi che sono
stati coinvolti in questa sporca storia cercare di cancellare le loro responsabilità.
Contemporaneamente è giunta una notizia secondo la quale il ministero della difesa russo ha deciso
che qualsiasi aereo USA/NATO che consegnerà armi all’Ucraina sarà considerato un “bersaglio
legittimo” dall’esercito russo. E in effetti sarebbe difficile negare la legittimità di un intervento di
questo genere, ma è ora che chi invia armi al regime di Kiev lo faccia ben sapendo che sta
semplicemente dando una mano all’estensione del conflitto che a quanto pare mentre svuota di
armi i magazzini occidentali sta cominciando a far sentire tutti i suoi effetti: basti pensare che la
produttività statunitense è crollata nell’ultimo mese ai livelli del 1947. Ma il dramma è che non c’è
nessuno che abbia l’intelligenza e la capacità di cercare la pace. Non certo i leader europei che non
sono altro se non il carrello degli acquisti dei potentati finanziari e che hanno portato il vecchio
continente in una situazione impossibile e men che meno il vecchio e rimbambito Biden ostaggio
dei neocon e dello stato profondo. Peggio ancora tutte l’elite politica occidentale sta accogliendo la
guerra come un fattore positivo, ovvero come l’elemento in grado di nascondere le responsabilità ad
ogni livello sia dello tsunami economico che si stava comunque formando nelle logiche
dell’ipercapitalismo, sia quelle legate alla gestione pandemica e vaccinale che ha distrutto intere
fette di economia anche a costo di manipolare la realtà e di fare molti morti. In un certo senso sono
anch’esse assediate dentro un bunker del nonsenso da quale non riescono più ad uscire e sembrano
la rappresentazione di ciò che diceva Churchill: ” Lo statista che cede alla febbre della guerra deve
rendersi conto che una volta dato il segnale, non è più il padrone della politica, ma lo schiavo di
eventi imprevedibili e incontrollabili”.

log, battaglione Azov, cinema, guerra, ostaggi, Ucraina

Ultime dall’Azovstal: “Scambiamo i civili con


il cibo”. Gli Azov come Al Pacino
6 Maggio 2022

2 min read

Nei misteriosi sotterranei dell’Azovstal, dove si sospetta si nasconda di tutto (dai biolab ai generali
americani), deve esserci anche una sala cinematografica. Già perché l’ultima ideona del battaglione
Azov colà asserragliato da giorni sembra presa pari pari da un film di Al Pacino: “Volete i civili?
Libereremo 15 ostaggi per ogni tonnellata di cibo che ci fornirete”.

Lo riferisce a Ria Novosti uno dei funzionari che sta conducendo le trattative con gli assediati:
“Dobbiamo mantenere i contatti con i nazisti di Azov che vi si sono stabiliti e con i rappresentanti
della SBU nell’interesse di salvare i civili. Durante i colloqui, ci hanno offerto di scambiare ostaggi
civili con cibo e medicine. Le richieste prevedono quindici ostaggi per ogni tonnellata di cibo,
oltre alle medicine di cui hanno bisogno. Hanno avvertito che nessun altro civile sara’ liberato se
non riceveranno nulla in cambio“.

Con questa richiesta, degna di un film tipo “Quel pomeriggio di un giorno da cani”, gli eroici
angioli difensori di democrazia e libertà hanno definitivamente gettato la maschera, e infatti il
mainstream tende lievemente a non riferire la notizia. I civili che ancora si trovano nell’acciaieria
non sono mamme e bambini che stanno lì per farsi proteggere dai cattivi russi, ma veri e propri
ostaggi nelle mani di banditi che ora li usano come merce di scambio. Presto chiederanno anche
10 milioni in biglietti di piccolo taglio e un elicottero?

Intanto, il messaggio che traspare da quest’ultimo ricatto è che malgrado le scorte alimentari siano
finite, i nazisti hanno comunque intenzione di resistere il più a lungo possibile. Ma visto che non
stanno difendendo apparentemente nulla, non sono assediati in una città e anche l’acciaieria è
ridotta ad un cumulo di macerie, resta da capire che senso abbia questa resistenza ad oltranza. E
quindi torna la domanda che il mondo si sta ponendo ormai da settimane: cosa c’è, davvero, sotto
l’Azovstal?

Guerra in Ucraina, Toni Capuozzo e il


progetto dei russi sui prigionieri dell'Azovstal

Sullo stesso argomento:


19 maggio 2022 a

Sull'Azovstal si sta giocando una guerra sporca. Almeno a leggere l'opinione di Toni Capuozzo. Il
giornalista rivela qual è il vero progetto del Cremlino per i prigionieri: accusarli di terrorismo.

"Prosegue la resa dell'Azovstal - scrive Toni Capuozzo sul suo profilo Facebook - Nei sotterranei
resterebbero ancora centinaia di combattenti, alcuni dei quali stranieri, nei cui confronti i russi
intenderebbero procedere con l'accusa di "terrorismo". Intanto i due ambasciatori di Svezia e
Finlandia hanno presentato la domanda di ingresso nella Nato. Erdogan starebbe monetizzando la
rinuncia a esercitare il veto: ad esempio ottenere aerei F35 che gli Stati Uniti gli avevano negato
dopo l'acquisto di missili terra-aria dalla Russia, e restrizione dell'agibilità politica per i curdi in
Scandinavia".
Le mogli del reggimento Azov: «Denis
Prokopenko e gli altri garantiti da un patto
con Onu e Croce Rossa»
di Alessandra Muglia

La moglie del comandante al Corriere: «Ho parlato con lui, stanno bene, a parte i feriti sono tutti in
una prigione a Olenivka. Noi fonderemo un’associazione»

«Ho sentito Denis per la prima volta ieri sera, non mi chiamava da quando è uscito dall’Azovstal.
Era calmo, per nulla nervoso, mi ha detto che sta bene». Kateryna Prokopenko, moglie di Denis
Prokopenko, il super comandante del reggimento Azov, risponde in video da un parco di Kiev. Ha il
viso più disteso, l’ansia sembra calata rispetto a quando ci siamo incontrate a Roma due
settimane fa. «È stata una telefonata brevissima, dopo 30 secondi la linea è caduta, la connessione
era pessima. Ma è riuscito a dirmi che lui e gli altri combattenti dell’Azovstal sono trattati bene».

Al suo fianco Yulia, la moglie del soldato Arseniy Fedosiuk, è rincuorata. «Non lo sento da
quattro giorni, non mi ha ancora telefonato da quando è uscito dall’acciaieria, spero si faccia vivo
presto ma le parole di Denis mi hanno rasserenata».

Il comandante riuscirebbe ad avere sott’occhio i suoi uomini anche da prigioniero. «Ci riesce
perché, tranne i feriti, sono tutti insieme a Olenivka», paese nella regione di Donetsk. Sarebbero
reclusi nella Colonia penale numero 52, una delle più temute prigioni russe nei territori occupati,
capace di ospitare fino a tremila persone. «Tra loro evidentemente riescono a vedersi», aggiunge
Kateryna.

Pochi si immaginavano che Denis Prokopenko e i suoi sarebbero finiti lì. Il reggimento aveva
sempre detto che non si sarebbe mai arreso al nemico. «Loro rifiutavano di diventare prigionieri dei
russi perché avrebbe significato morte sicura e infatti non si sono consegnati soltanto nelle loro
mani. Hanno accettato di uscire perché c’è un accordo che vede coinvolti oltre a Kiev e Mosca
anche la Croce Rossa Internazionale e l’Onu. Parti terze che si sono impegnate a fare di tutto per
portarli a casa. Si sono sentiti sufficientemente garantiti e hanno acconsentito. Questo è stato l’unico
modo per avere salva la vita» spiega Kateryna.

I dettagli di questo accordo sono per ora top secret, precisano: «Siamo in contatto con i
negoziatori ma non possiamo divulgare informazioni su questo. Quello che possiamo dire è che è
prevista la possibilità per i reclusi di fare telefonate periodiche ai familiari, probabilmente i
graduati stanno avendo la priorità».
Il piglio della moglie del comandante si fa deciso. «Proprio con l’obiettivo di condividere e
diffondere informazioni sulle condizioni di detenzione dei nostri uomini nei territori controllati dai
russi, stiamo per dare vita a un’associazione delle famiglie degli ex combattenti dell’Azovstal»,
annuncia Kateryna, che ne diventerà la presidente, con Yulia segretaria. «Ho parlato del progetto a
Denis, gli piace, è d’accordo. Ci sono già 500 persone pronte ad aderire, per lo più donne. Sono
mogli, sorelle e madri dei combattenti, non solo del reggimento Azov, ma anche dei marines, degli
agenti dell’antiterrorismo e dell’intelligence rimasti per oltre due mesi intrappolati nello
stabilimento. Vogliamo avere una voce ufficiale in questo percorso e assicurarci che l’accordo sia
rispettato in tutte le sue fasi».

Se gli ucraini parlano all’unisono di scambio di prigionieri all’orizzonte, dal fronte russo arrivano
più versioni sulla loro sorte, per nulla rassicuranti: per i separatisti quelli dell’Azov non sono
militari da poter scambiare ma criminali da processare, mentre a Mosca è in programma per
domani una seduta della Corte suprema che dovrà decidere se inserirli nella lista dei gruppi
terroristici. C’è chi teme che i reclusi possano prendere strade diverse a seconda del corpo di
appartenenza. «L’accordo prevede anche che tutti gli ex combattenti dell’Azovstal vadano incontro
allo stesso destino. Quindi senza alcuna distinzione tra gli Azov e gli altri — chiarisce Kateryna —.
La questione dei processi rientra nella propaganda russa, devono rassicurare la loro gente. Noi
crediamo al nostro governo e non ai media di Mosca».

Interviene Yulia: «Comunque sappiamo che non sarà un percorso veloce, sarei sorpresa del
contrario. Mosca userà questo accordo per risolvere i suoi problemi politici. Capiamo bene che
Azovstal è diventato il loro argomento principale». L’acciaieria simbolo della resistenza ucraina ha
segnato la definitiva presa di Mariupol da parte dei russi e potrebbe condizionare il futuro della
guerra. Il presidente Zelensky ha chiarito che la ripresa dei colloqui di pace è legata all’impegno del
nemico a garantire «la vita dei difensori del Mariupol». «Siamo pazienti, aspetteremo. Ma
nell’attesa vigileremo, faremo di tutto per verificare le loro condizioni di detenzione». Non
dubitano che i resoconti dei loro uomini siano spontanei. «Abbiamo concordato dei messaggi
in codice che in caso di pericolo possono usare» assicura Kateryna.

Sollievo, speranza a fugare le nubi di paura. «La sera prima dell’evacuazione c’era come un’aria di
leggerezza. Denis era di buonumore, e anche gli altri perché i russi avevano smesso di bombardare
e finalmente erano potuti uscire dallo stabilimento a prendere una boccata d’aria. Molti di loro si
sono rivisti dopo settimane di buio sottoterra, sparsi in diverse parti dell’acciaieria. Da quel
momento anche il mio umore è migliorato».

CORRIERE DELLA SERA TI PROPONE

Altro che eroi! Chi sono davvero i militari del


battaglione Azov: nefandezze e riferimenti
ideologici
21 Maggio 2022, 10:07 139 Views

Tra le tante contraddizioni e zone d’ombra della guerra in Ucraina c’è certamente anche quella legata al
Battaglione Azov. Nella retorica sinistra che sta spopolando in Italia c’è anche il pompare la versione ucraina
di “Bella ciao”, la canzone che in qualche modo identifica quella che è stata la Resistenza italiana. E Valerio
Nicolosi in un suo interessantissimo pezzo su Micromega in cui spiega quel che è il battaglione Azov parte
proprio da qui, da quella canzone: “A inizio marzo la cantante Khrystyna Soloviy ha riadattato il testo contro
l’invasore russo e l’ha fatta diventare una delle canzoni della resistenza ucraina. Scorrendo la bacheca
Facebook di Khrystyna Soloviy esattamente sotto al post in cui lancia la rivisitazione di Bella Ciao, c’è una
foto dei suoi anfibi in cui spicca la scritta ‘Батько нaш Банде́ра’ che tradotto significa ‘Nostro padre
Bandera’. Il riferimento è a Stepan Bandera, il capo dei nazionalisti ucraini durante la Seconda guerra
mondiale che giurò fedeltà a Hitler e che oggi continua a essere ricordato in Ucraina nei settori di estrema
destra e nazionalisti, che nel 2012 con la formazione Svoboda hanno raggiunto il 10% dell’elettorato e che
hanno cavalcato il movimento di Piazza Maidan del 2014, entrando a far parte del governo provvisorio”. (

Dell’estrema destra ucraina fanno parte anche Pravy Sector e il Corpo Nazionale, gruppo politico
legato al Battaglione Azov: “Entrambi si rifanno al nazismo e dopo aver partecipato alle
manifestazioni del 2014, hanno perso parte del consenso elettorale ma si sono rafforzati su quello
militare, combattendo in Donbass contro i separatisti filorussi acquistando prestigio militare, tanto
che nel gennaio 2015 il Battaglione Azov viene integrato alla Guardia Nazionale Ucraina. Con
l’inizio della guerra abbiamo assistito a quello che potremmo chiamare un’operazione di pulizia
dell’immagine di questi gruppi, in particolare del Battaglione Azov, con interviste da parte dei
media in cui dichiarano di non essere nazisti, di leggere Kant e di combattere per la libertà.
Versione che confligge con il loro simbolo, la runa Wolfsangel, utilizzata da un battaglione delle SS
e ripresa in Italia dall’organizzazione eversiva neofascista Terza Posizione, operativa dal 1978 al
1982 e sciolta dopo una serie di arresti e processi”. (Continua a leggere dopo la foto)

Continua Nicolosi: “Fino a poco tempo fa invece il Battaglione Azov era collegato alle inchieste
giornalistiche e giudiziarie sul suprematismo bianco e all’antisemitismo: nell’autunno 2019 in
Campania sono stati arrestati alcuni membri di un’associazione spirituale che secondo gli inquirenti
funzionava da base per il reclutamento e l’addestramento paramilitare di singoli militanti, spesso
fuoriusciti dalle organizzazioni neofasciste italiane. Secondo le indagini c’è un filo che collega
questa attività al Battaglione Azov e alle altre organizzazioni neonaziste e suprematiste
internazionali. Sempre nel 2019 negli Stati Uniti c’è stata la richiesta da parte di alcuni deputati del
Congresso di Washington di inserire l’Azov nella lista delle organizzazioni terroristiche, anche per i
rapporti con i suprematisti d’oltreoceano che spesso si sono arruolati nelle sue fila”. (Continua a
leggere dopo la foto)
Conclude Nicolasi: “I media europei, soprattutto italiani, stanno facendo un’operazione di pulizia
dei ‘ragazzi’, come spesso vengono definiti, del battaglione Azov, sminuendo la rilevanza che
potrebbero avere a livello politico dopo questa guerra. Non è un caso, infatti, se Zelensky in
conferenza con il parlamento greco li ha fatti presenziare insieme a lui. La comparsata degli ‘eroi di
Mariupol’ ha creato molte polemiche ad Atene, dove appena un anno e mezzo fa è stata messa al
bando l’organizzazione neofascista Alba Dorata che con il Battaglione Azov ha condiviso
l’esperienza del Forum ‘Iron March’, chiuso nel 2017, e che è stato un punto di aggregazione dei
neofascisti e neonazisti a livello internazionale. Denis Prokopenko, il comandante del Battaglione, è
stato insignito da Zelenski della più alta carica del Paese”.

“Meraviglioso! Sono stata informata della mia


esclusione”: il commento secco della violista
Lidia Kochariàn tagliata fuori dal premio
Lipizer perché russa

Sul suo profilo Facebook, a corredo di queste poche ironiche parole, pubblica lo screenshot della
lettera che ha ricevuto. Protocollata e firmata dal presidente Lorenzo Qualli. Un testo che già
nell’oggetto riporta “comunicazione di esclusione” e spiega per filo e per segno la motivazione
della decisione. La replica del sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna non si fa attendere. Basito,
dichiara che questa è “una scelta incomprensibile quanto inaccettabile”
di Simona Griggio | 19 Maggio 2022

“Meraviglioso! Sono stata informata della mia esclusione. Nessuna ‘discriminazione’,


assolutamente”. La violinista russa Lidia Kochariàn, tagliata fuori dallo storico Premio Rodolfo
Lipizer di Gorizia perché russa, commenta così la decisione dell’organizzazione. E sul suo profilo
Facebook, a corredo di queste poche ironiche parole, pubblica lo screenshot della lettera che ha
ricevuto. Protocollata e firmata dal presidente Lorenzo Qualli. Un testo che già nell’oggetto
riporta “comunicazione di esclusione”. Spiega per filo e per segno la motivazione della decisione:
“Seguendo le disposizioni europee conseguenti alla guerra russo-ucraina, e seguendo l’esempio di
altri concorsi Internazionali di varie discipline, siamo spiacenti di informarla della sua esclusione
dalla 41esima edizione del Concorso Internazionale di Violino 2022”. Insomma, dopo la doccia
fredda riportata già nel titolo della missiva, che immaginiamo possa far temere a una giovane
violinista di non essere ritenuta idonea, arriva la motivazione. La competenza artistica non c’entra.
La questione riguarda la sua nazionalità. E’ di San Pietroburgo. E questa seconda doccia fredda è
per lei qualcosa di ingiusto e discriminatorio. Tanto da prenderlo con ironia e lasciare che sui social
parli la lettera.

A sorpresa, scorrendo il testo pubblicato, arriva però anche la rassicurazione che la decisione non è
discriminatoria. “Non si tratta di una discriminazione contro la singola persona – recita la
missiva – e confidiamo che le controversie di guerra vengano risolte positivamente il prima
possibile e la pace sia ristabilita. Quando succederà, saremo felici di averla nuovamente tra i
concorrenti”. La replica del sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna non si fa attendere. Basito,
dichiara che questa è “una scelta incomprensibile quanto inaccettabile”. E aggiunge che una
decisione del genere “va contro lo spirito stesso dell’evento che, da sempre, interpreta la musica
come strumento di vicinanza fra le genti, di superamento dei confini e di libertà umana e culturale”.
Ricorda che la prima vittima delle guerra è la gente comune ma sono anche gli artisti liberi. Colpire
loro significa far pagare a degli innocenti crimini di cui non sono responsabili. La sua
posizione è chiarissima: “Credo che oggi l’Europa dovrebbe aprire le porte agli artisti russi dando
una lezione di libertà e democrazia anziché boicottarli. Tanto più che Gorizia, insieme a Nova
Gorica ha vinto il titolo di Capitale europea della cultura per il 2025”. Gli fa eco la senatrice dem
Tatjana Rojc, stupita e addolorata “che proprio a Gorizia si sia scelto di distinguere gli artisti tra
degni e indegni solo sulla base del luogo di nascita o dell’appartenenza nazionale”.

L’appello di entrambi? Che l’organizzazione ci ripensi. Il primo cittadino di Gorizia parla di


errori, ma dice anche che possono essere rimediati. Come? Riammettendo Lidia Kochariàn alla
competizione. ”È evidente che se non ci sarà un ripensamento il Comune valuterà il da farsi, perché
ci troviamo di fronte a un atto discriminatorio e i rapporti con l’associazione potrebbero cambiare”.
Intanto Lidia Kochariàn, che vive in Belgio, lavora per il teatro dell’opera di Vlaanderen e ha un
currriculum davvero invidiabile come violinista in orchestre internazionali, sta ricevendo un fiume
di commenti solidali da ogni parte del globo. “Vergona” è la parola che si legge più spesso. Tanti i
colleghi. Tanti anche gli italiani. “Da goriziano, ti chiedo scusa”, scrive un commentatore. E c’è
pure chi tira fuori il regolamento: “Al Concorso possono partecipare i violinisti di qualsiasi
nazionalità nati dopo l’11 Settembre 1989”.

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Ma c’è anche chi mette in guardia: “Pensa, nel nostro Paese ti vietano di partecipare a un concorso a
causa della guerra che la Russia ha scatenato in Ucraina, nel tuo Paese invece ti arrestano se parli di
pace”. In gran parte i messaggi, però, sono di appoggio. E lei ringrazia sempre. Un commentatore si
chiede: “Ogni giorno devo leggere notizie che certificano la stupidità umana dilagante. Forse
sarà l’aria inquinata che respiriamo o il cibo sempre più sofisticato e manipolato a farci impazzire.
Questa tua esclusione è un atto ingiusto e stupido. Hai tutta la mia solidarietà, per quel poco che
vale”.

La cacciata di artisti dichiaratamente filo-putiniani può essere comprensibile. Il direttore d’orchestra


Valery Gergiev non ha preso le distanze dalla guerra ed è stato sostituito al teatro alla Scala di
Milano e in altre istituzioni europee. Alcune compagnie ucraine in Occidente hanno cambiato i loro
programmi artistici perché non possono danzare sulle musiche del compositore russo Ciaikovskij. Il
loro Paese lo vieta anche all’estero. Anche questo è comprensibile. Ma l’esclusione di Lidia
Kochariàn dalla partecipazione al Premio Lipizer è altra cosa. Un trend russofobo cominciato a
febbraio con la cancellazione del Corso su Dostoevskij di Paolo Nori dall’università Bicocca di
Milano. Poi subito ripristinato. Dopo il suo sfogo su YouTube.

Otto e mezzo, Marco Travaglio spiazza Lilli


Gruber: "Cosa ha fatto il battaglione Azov".
Le angherie
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Giada Oricchio 21 maggio 2022

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A "Otto e Mezzo", Marco Travaglio rivela la genesi dell’invasione in Ucraina a opera della
Russia: “Bisogna conoscere le angherie di Azov per capire il garbuglio”. In collegamento con il talk
politico di LA7, venerdì 20 maggio, il direttore de Il Fatto Quotidiano ha sostenuto che mai
Vladimir Putin ha pensato di prendersi tutto il Paese, mettere un governo fantoccio a Kiev
eliminando Zelensky e avanzare in Europa come un novello Hitler: il leader del Cremlino ha
sempre voluto solo e soltanto il Donbass da collegare alla Crimea occupata nel 2014. E qui ha
invitato alla riflessione: “Putin è l’unico responsabile di questa guerra criminale e sanguinaria, ma
stiamo attenti perché se avessimo capito che era il secondo tempo di una lunga guerra civile, che
prima aveva responsabili diversi, probabilmente avremmo parametrato meglio la nostra reazione e
non avremmo condannato mezzo mondo a una crisi così devastante”.

Travaglio ha ribadito che sono stati commessi numerosi errori di analisi e ha assestato un colpo al
“glorioso” battaglione Azov di origine filonazista: “Solo chi conosce esattamente cosa ha fatto nel
Donbass, a quali angherie sono stati sottoposti i russofoni in quella che viene chiamata democrazia,
ma che in realtà è molto incompiuta, può non giustificare l’aggressione russa, ma almeno ricostruire
il garbuglio dell’Ucraina”.

Secondo il direttore, la soluzione migliore è una conferenza internazionale che garantisca l’integrità
di ciò che è rimasto o rimarrà dell’Ucraina, faccia sentire non minacciati i russi e i loro vicini e porti
a una descalation delle armi che ora sono in quantità enormi e fanno rischiare l’incidente nucleare.

Mariupol nelle mani dei russi. "Lo volevano


linciare", che fine ha fatto il capo del
battaglione Azov Prokopenko

Sullo stesso argomento:

21 maggio 2022

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L'acciaieria Azovstal è nelle mani della Russia. Il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha
riferito al presidente Vladimir Putin del "completamento dell'operazione e della completa
liberazione dello stabilimento dai militanti ucraini", fa sapere la Tass, con la resa degli ultimi 531
difensori dell'impianto. "Le strutture sotterranee di Azovstal dove si nascondevano i militanti sono
ora sotto il pieno controllo delle forze armate russe", ha detto il ministero in una nota, aggiungendo
che in totale 2.439 combattenti ucraini si sono arresi. "L'ultimo gruppo di 531 militanti si è arreso
oggi" si legge.

"Tutto quello che doveva sparire...". Il generale Rossi svela il


mistero dell'Azovstal
Cade così la strenua resistenza in uno dei luoghi simbolo della guerra in Ucraina dopo che i
difensori di Azovstal hanno ricevuto da Kiev l'ordine di smettere di combattere. Lo ha annunciato in
un videomessaggio il comandante del battaglione Azov Denys Prokopenko quando era ancora
nell'acciaieria. "Il comando militare superiore ha dato l'ordine di salvare la vita dei soldati della
nostra guarnigione e di smettere di difendere la città" di Mariupol, ha detto Prokopenko che im
seguito è stato portato via dall’acciaieria Azovstal "con un veicolo blindato speciale perché i
residenti lo odiavano e volevano ucciderlo per le numerose atrocità commesse", ha dichiarato il
portavoce del ministero della Difesa russo, il generale maggiore Igor Konashenkov. Il comandante
del reggimento sarebbe stato portato in territori controllati dalla Russia.

La sorte degli uomini più in vista del battaglione accusato da Mosca di crimini di guerra oltre che di
simpatie naziste non è chiaro: gli Azov potrebbero essere ufficialmente considerati in Russia dei
terroristi e quindi processati e, eventualmente, anche giustiziati.

tefano Cosolo
John Wyse
Gli orrori neonazisti in Ucraina e la guerra senza fine della Nato
Azov, i Servizi e i gruppi paramilitari dal 2014
Barbara Spinelli
9 maggio 2022
Man mano che passano i giorni, i neonazisti che combattono a fianco delle truppe regolari ucraine, e
in particolare quelli asserragliati nell’acciaieria Azovstal, sono chiamati con nomi più benevoli:
vengono presentati come eroici partigiani, difensori ultimi dell’indipendenza ucraina.
Zelensky che inizialmente voleva liberarsi dei neonazisti oggi dipende dalla loro resistenza e li
elogia. La loro genealogia viene sistematicamente occultata e anche i giornalisti inviati tendono a
sorvolare, ricordando raramente che nel Donbass questa maledetta guerra non è nata nel 2022 ma
nel 2014, seminando in otto anni 14.000 morti.
Oppure si dice che il battaglione Azov è una scheggia impazzita, certo pericolosa ma non diversa da
roba tipo Forza Nuova in Italia.
Invece il battaglione Azov è tutt’altra cosa: è un reggimento inserito strutturalmente nella Guardia
Nazionale ricostituita nel 2014 dopo i tumulti di Euromaidan e ha legami organici con i servizi
(Sbu, succedaneo ucraino del sovietico Kgb).
Così come sono tutt’altro che schegge le formazioni neonaziste o i partiti vicini al battaglione:
Right Sector (Settore di Destra), Bratstvo, National Druzhina, la formazione C14, il partito Svoboda
oggi in declino, e vari drappelli militarizzati. Sono i partiti su cui Washington e la Nato puntarono
durante la rivoluzione colorata di Euromaidan, perché Kiev rompesse con Mosca.
Sono strategicamente cruciali perché la guerra per procura Usa-Nato-Mosca continui senza
scadenza. Se davvero fosse una guerra locale tra Kiev e Mosca, il segretario della Nato Stoltenberg
non avrebbe respinto con tanta iattanza la rinuncia alla Crimea, prospettata qualche ora prima da
Zelensky come primo passo verso una tregua.
Oleksiy Arestovych è stato dirigente di primo piano di Bratsvo ed è uno dei consiglieri politici di
Zelensky: attore anch’egli, esperto in propaganda, è maggiore nell’esercito ed entrò nei servizi
segreti nel 1990.
Nel 2014 si unì alla guerra contro i separatisti filorussi delle repubbliche di Donec’k e Luhans’k,
partecipando a 33 missioni militari. Il massimo del successo, come blogger, lo raggiunse quando
presidente era Porošenko, che più si adoperò per legittimare le destre russofobe e neonaziste
inserendole nel sistema militare e amministrativo.
Quando Zelensky vinse alle urne, Arestovych fu nominato suo consigliere speciale e portavoce del
Gruppo di Contatto Trilaterale di Minsk, creato nel 2014 per negoziare con Mosca sul Donbass. Del
Gruppo facevano parte Russia, Ucraina e Osce (l’Organizzazione Onu per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa).
Nel 2015, è all’Osce che la Fondazione per lo Studio della Democrazia (associazione civile russa)
invia un rapporto sulle violenze perpetrate dai servizi del Sbu e da paramilitari neo-nazi non solo
contro i militanti separatisti ma anche contro i russofoni non-combattenti del Donbass catturati
assieme ai combattenti.
Il rapporto cita e amplia un primo resoconto, pubblicato il 24 novembre 2014. Nel secondo si
menzionano elettrocuzioni, torture con bastoni di ferro e coltelli, waterboarding (simulazioni di
annegamento impiegati dagli Usa in Afghanistan, Iraq e a Guantanamo), soffocazione con sacchi di
plastica, torture dell’unghia, strangolamenti tramite la garrota (detta anche “garrota banderista” in
omaggio a Stepan Bandera, collaboratore dei nazisti nelle guerre hitleriane, eroe nazionale per
l’estrema destra e occasionalmente anche per i governi ucraini).
In altri casi i prigionieri venivano sospinti a forza su campi minati o stritolati da carri armati. A ciò
ci aggiungano la frantumazione di ossa, le temperature gelide delle prigioni, la sottrazione di cibo,
la somministrazione di psicotropi letali.
Lo Stato lasciò impuniti tali torture e trattamenti inumani, proibiti dalla Convenzione europea dei
diritti dell’uomo. Si trattò di azioni volutamente naziste se è vero che numerosi prigionieri
ricevettero, sulla propria pelle, lo stampiglio della svastica o della parola “SEPR” (separatista)
inciso con lame roventi sul petto o sulle natiche. La Costituzione ucraina, nell’articolo 37, proibisce
l’esistenza di gruppi paramilitari nei partiti e nelle istituzioni pubbliche.
Torture e violenze simili sono evocate anche in documenti successivi, tra cui quello
dell’associazione ucraina “Successful Guards” (14 settembre 2018).
Il rapporto enumera le atrocità che vedono coinvolti partiti di estrema destra come National
Druzhina, Bratstvo, Right Sector, e in particolare il gruppo C14, noto per aver stretto con numerose
amministrazioni distrettuali –Kiev compresa– un Memorandum di Partnership e Cooperazione.
Il C14 è responsabile non solo di azioni violente nel Donbass ma di pogrom contro i rom e di
violenze contro le annuali commemorazioni di eroi antinazisti russi come Anastasia Baburova e
Stanislav Markelov. Nel Donbass il C14 compie spesso azioni che il SBU non può legalmente
permettersi, scrive il rapporto. Il metodo è sempre quello: l’esercito o il SBU o i ministeri
dell’Interno e dei Veterani affidano i prigionieri sospetti di collaborazione con Mosca ai propri
bracci torturatori: battaglione Azov o C14.
Queste violenze andrebbero rievocate, nel giorno che commemora la vittoria sovietica del ’45 e
quella che Mosca chiama “grande guerra patriottica”.
La chiamano così anche i commentatori occidentali, per dissimulare il fatto che fu una vittoria che
liberò dal nazismo l’Europa intera, con gli alleati occidentali, e che costò alla Russia almeno 30
milioni di morti.
Da tempo si relativizza, sino a farlo scomparire, il contributo decisivo dell’armata rossa alla
liberazione europea. Il contributo viene obliterato, come non fosse mai esistito, perfino dal
Parlamento europeo (memorabile una risoluzione del settembre 2019 che attribuisce solo al patto
Ribbentrop-Stalin le colpe della guerra e non fa menzione della Resistenza russa).
Il riarmo e l’allargamento a Est della Nato, uniti all’impudenza delle dimenticanze storiche e delle
frasi di Stoltenberg, hanno creato tra Russia ed Europa un fossato quasi incolmabile, politico e
anche culturale.
A questo servono l’“abbaiare occidentale alle porte della Russia” denunciato dal Papa, l’oblio dello
“spirito di Helsinki”, la russofobia in aumento.
Sono misfatti che non giustificano la brutale aggressione russa del 24 febbraio, ma che certo
l’hanno facilitata. Che spingeranno la Russia, per molto tempo, a prender congedo da un’Europa
che sempre più crede di progredire confondendo i propri interessi con quelli statunitensi.
Fatto Quotidiano

"Con il battaglione Azov francesi, polacchi e


inglesi" Marc Innaro, retroscena da Mosca
sulla telefonata Austin-Shoygu

Sullo stesso argomento:

14 maggio 2022
La telefonata tra il ministro americano della Difesa, Lloyd Austin, e l'omologo russo Sergei Shoigu
è il primo contatto tra Washington e Mosca dall'inizio della guerra in Ucraina ma come viene vista
dalla Russia la mossa del Pentagono? Il corrispondente del Tg1 da Mosca Marc Innaro interviene
sabato 14 maggio ad Agorà, il programma di Rai 3, e offre un punto di vista, quello del Cremlino,
fondamentale per capire i possibili sviluppi del conflitto e i modi per arrivare a un cessate il fuoco.

Nelle prossime ore - spiega Innaro - ci sarà un'altra telefonata tra il capo di stato maggiore
russo, Valerij Gerasimov, e il suo omologo americano, sempre su iniziativa di Washington: "È un
dettaglio di non poco conto. Come la telefonata tra il cancelliere tedesco Scholz e Vladimir Putin"
che potrebbe essere un primo segnale di sblocco della situazione del grano fermo sui container al
porto di Odessa. "Viene da pensare che si sta cercando di delineare una via d'uscita per Putin con
una complessa architettura diplomatica e militare che si spera sfoci presto in un cessate il fuoco",
dice il corrispondente.

"Non sarà breve ma ci stiamo arrivando, anche se molto dipenderà dalla situazione sul campo",
afferma il giornalista che solleva la questione dell'acciaieria Azovstal, assediata dalle forze armate
russe e dove sono asserragliati ancora 1.500 militari del battaglione Azov e non solo. Nei cunicoli e
nei sotterranei di Azovstal, secondo i russi ci sarebbero "mercenari stranieri e rappresentanti di
Paesi della Nato come consiglieri e istruttori", afferma Innaro che riporta i sospetti del Cremlino:
"Si parla di francesi, polacchi, inglesi e croati". Azovstal "è ritenuta la fonte delle preoccupazioni
dell’Occidente perché si potrebbe scoprire che a dar man forte agli ucraini e ai neonazisti del
battaglione Azov ci siano rappresentanti dei Paesi della Nato", afferma il giornalista. In ogni caso,
un cessato il fuoco è escluso prima che i russi non avranno conquistato alcuni obiettivi strategici nel
Donbass, spiega Innaro.

NDO Battaglione Azov • Neonazismo • Russia • Ucraina


2 Aprile 2022 - 15:08
di Antonio Di Noto
Cosa intende Putin quando parla di «denazificazione dell’Ucraina» e quanto c’è di vero sulla
presenza di elementi di neonazismo nel Paese? La prima puntata dell’inchiesta di Open dedicata alla
presunta galassia di estrema destra ucraina parte dal famigerato Battaglione Azov

Vladimir Putin ha definito a più riprese la guerra in Ucraina come «un’operazione militare speciale
mirata alla denazificazione del paese». Ma cosa intende? Com’è stato dimostrato, l’uso di questi
termini fa parte dell’intensa campagna di propaganda che il Cremlino sta portando avanti nei
confronti del conflitto, ma si basa su un fondo di verità tutto sommato poco noto. In Ucraina, come
in molti altri Paesi, esistono gruppi e organizzazioni che più o meno esplicitamente si rifanno a
ideali nazisti. Secondo The Nation, la differenza sostanziale sarebbe che l’Ucraina «è l’unica
nazione al mondo che ha un gruppo nazista all’interno delle proprie forze armate». É questa la
definizione data dalla rivista statunitense al Reggimento d’Azov, uno dei corpi della guardia
nazionale ucraina, che nella guerra contro la Russia si è distinto per tenacia e risultati. Ma le cose
stanno veramente così? Azov è veramente un gruppo neonazista?

Da ultrà a forze armate, gli inizi di Azov


La storia di Azov ebbe inizio nel 2014, quando il politico ucraino di estrema destra Andriy Biletsky
riunì due due gruppi noti per i loro ideali xenofobi e neonazisti: i Patrioti dell’Ucraina e
l’Assemblea Social-Nazionale (SNA), a loro volta legati agli ultrà della squadra di calcio Metalist
Kharkiv, tra i quali Biletsky militava. Per questi motivi, fin dai primi anni della sua storia, il gruppo
paramilitare è stato associato a ideali e comportamenti di stampo nazista. Nello specifico, ci sono
almeno tre aspetti di Azov che richiamerebbero il nazismo: il simbolo, il fondatore Biletsky e i
crimini di guerra di cui il gruppo si è macchiato.

Il simbolo

Il simbolo del Wolfsangel


(a sinistra) e l’emblema del Reggimento Azov (a destra)
Forse il più evidente, per i critici, è il simbolo di Azov: ricorda il “Wolfsangel”, una sorta di zeta
tagliata che rappresenta la stilizzazione di un gancio che nel passato veniva usato per catturare i
lupi. Il Wolfsangel era l’emblema del partito nazista, prima di essere sostituito dalla svastica. Azov
sostiene però che il simbolo rappresenti semplicemente un’amalgama delle lettere I e N, acronimo
di “Idea Nazione”.

Il fondatore

ANSA | Biletsky nel 2017 a un comizio


politico

Il fondatore, Andriy Biletsky, è un personaggio estremamente controverso. Nel 2010 dichiarò che la
missione della nazione ucraina è «guidare le razze bianche del mondo in una crociata finale contro i
subumani capeggiati dai semiti». Biletsky è anche stato un membro del parlamento ucraino dal
2014 al 2019, e ha partecipato a solo il 2% delle votazioni. Ha inoltre fondato il partito di estrema
destra Corpi Nazionali.

I crimini di guerra

L’OHCHR (l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU), in due rapporti (uno
qui e l’altro qui) ha denunciato che tra il 2015 e il 2016, durante il conflitto contro la Russia
nell’Ucraina dell’est, il battaglione si sarebbe macchiato di crimini di guerra tra cui saccheggi di
edifici civili, e addirittura un rifugio per senzatetto, detenzioni ingiustificate, torture e lo stupro di
un disabile.

Da battaglione a reggimento e il ruolo di Avakov


ANSA | Avakov a una conferenza stampa nel
2019

Come anticipato, il battaglione nacque nel maggio 2014, in seguito alla decisione dell’allora
ministro dell’interno ucraino Arsen Avakov di consentire la formazione di gruppi paramilitari.
Tuttavia, la condizione di gruppo paramilitare non durò molto. A novembre 2014, in seguito alla
riconquista del porto di Mariupol da parte dei separatisti filorussi avvenuta il 13 giugno, il
battaglione ottenne il riconoscimento di corpo ufficiale della Guardia Nazionale Ucraina, a soli sei
mesi dalla sua nascita. Con l’entrata nella Guardia Nazionale, Azov si sarebbe spogliato di ogni
elemento ideologico di estrema destra, ma così non è stato, o almeno non del tutto. Nel 2015 il
movimento stesso aveva dichiarato che tra il 10 e il 20% dei suoi membri si identificavano come
estremisti destra. C’è poi la questione dei crimini di guerra, che sarebbero avvenuti tra il 2015 e il
2016, ovvero dopo che il battaglione entrò a far parte delle forze armate regolari.

Come ha fatto quindi Azov a continuare a operare nonostante queste controversie? Come spiegato a
Open dal sociologo ucraino e ricercatore in studi slavi all’Università di Dresda, Volodymyr
Ischenko, Avakov potrebbe aver avuto un ruolo fondamentale in questo passaggio. L’ex ministro
dell’interno – uno dei politici più influenti del paese – diventò «la copertina politica del
movimento», e ci sono sospetti che fu lui a minimizzare e coprire i crimini di cui Azov si macchiò.
In effetti, Avakov è accusato dall’Anti-Corruption Action Center dell’Ucraina di aver coperto casi
di violenza della polizia e di averla persino incoraggiata. «Si sospetta anche che l’ex ministro
dell’interno possa aver finanziato Azov, ci sono state indagini sui finanziamenti al Reggimento, ma
non prove definitive», ha detto Ischenko.

I sospetti trovano fondamento anche alla luce dei legami tra Avakov, Biletsky e Patrioti
dell’Ucraina, uno dei gruppi da cui poi nacque Azov. «Sia Avakov che Biletsky erano membri attivi
della politica di Kharkiv, e si conoscevano già prima del 2014» ha spiegato Ischenko. Nello
specifico, Avakov è stato governatore dell’oblast di Kharkiv, le cui autorità cooperavano con
Patrioti dell’Ucraina, e Biletsky è rimasto per anni sotto il suo patrocinio.

Azov oggi: come la guerra ha rinforzato il movimento


Azov | Una
commemorazione interna al movimento

A oggi Azov è uno dei pilastri delle forse armate dell’Ucraina. Già nel 2014, in occasione
dell’entrata nella Guardia Nazionale l’allora presidente Petro Poroshenko aveva definito i membri
del reggimento «i nostri migliori guerrieri». Nel corso del conflitto corrente, il reggimento si è di
nuovo distinto per la stoica difesa di Mariupol. Ha spiegato ancora Ischenko: «La maggior parte dei
900 membri al momento si trova lì, e se i russi prenderanno Mariupol, vuol dire che Azov non ce
l’avrà fatta». Questa dedizione è valsa ad Azov il rispetto e la gratitudine di ampie fasce della
popolazione ucraina. «La maggior parte delle persone non vota per i partiti di estrema destra, perché
ha altre priorità politiche, ma circa il 20% della popolazione giustifica le azioni del reggimento» ha
spiegato ad Open Ischenko, che ha aggiunto: «E la percentuale nella parte politicamente attiva della
società, è ancora più alta».

Azov | Il Reggimento ad una parata

Una possibile spiegazione per un supporto tanto diffuso potrebbe essere il sentimento anti-russo che
è nato in questi anni nella popolazione ucraina e che si è intensificato negli ultimi mesi, come
confermato a Open dall’analista politico del Centro di Studi sull’Est Europa di Stoccolma Andreas
Umland. «La loro reputazione è cambiata molto», ha detto Umland riferendosi ad Azov, «ora sono
intoccabili e rispettati». Un crescente sentimento anti-russo, in parallelo a uno anti-Putin, è stato
confermato anche da Ischenko: «Dopo questa guerra, credo ci saranno molte meno parole di
amicizia e fratellanza nei confronti dei russi», ha detto il sociologo. Insomma, se prima di febbraio
l’astio era solo verso Putin, adesso pare che un sentimento nazionalista si stia insinuando tra gli
ucraini.

«Questi sono gruppi che nascono dalla guerra», ha spiegato Umland riferendosi ad Azov. «Putin
vuole fare passare l’idea che la ragione per cui ha attaccato l’Ucraina è la presenza delle forze di
estrema destra, ma sta invertendo la causa con l’effetto. È proprio la guerra che ha creato e
rinforzato i gruppi nazisti». Quale sia lo scopo finale di Putin, o il vero pretesto che ha scatenato la
guerra rimane confuso. Ma è chiaro che il conflitto difficilmente eradicherà il neonazismo
dall’Ucraina.

Battaglione Azov, Denis Prokopenko in mano


ai russi: "Patto segreto dietro la resa"

Sullo stesso argomento:


25 maggio 2022

Dietro la resa del Battaglione Azov, il manipolo di irriducibili ucraini asserragliati per settimane
nel bunker della Azovstal a Mariupol, ci sarebbe un patto segreto tra Russia, Ucraina, Croce Rossa
Internazionale e Onu. A rivelarlo è stata Kateryna, moglie del comandante Denis Prokopenko, il
capo di quelli che Mosca definisce da sempre "nazisti" considerandoli i responsabili degli orrori sui
civili russofoni nel Donbass dal 2014 a oggi.
Prokopenko e i suoi uomini oggi sono nelle mani dei russi. Il comandante si sarebbe consegnato al
nemico, ha rivelato il generale maggiore russo Konashenkov, e sarebbe stato letteralmente
"scortato" verso il luogo di detenzione a bordo di "un veicolo blindato speciale" per evitare che
venisse linciato dalla popolazione locale filo-russa. Ai componenti del Battaglione sarebbe stata
garantita l'incolumità e la possibilità di tornare in patria, sani e salvi.

Kateryna, intervistata dal Corriere della Sera, spiega: "Siamo in contatto con i negoziatori ma non
possiamo divulgare informazioni su questo (il patto segreto, ndr). Quello che possiamo dire è che è
prevista la possibilità per i reclusi di fare telefonate periodiche ai familiari, probabilmente i graduati
stanno avendo la priorità". La resa già di per sé sarebbe il segnale di un patto col nemico garantito
da organismi terzi, visto che per molti mesi si dava per scontato che arrendersi, per i miliziani
ucraini, sarebbe stato l'equivalente di "morte certa". Oggi detenuti nella colonia penale 52, a
Prokopendo e agli ucraini "hanno dato acqua e cibo. Le condizioni soddisfano i requisiti degli
accordi e non hanno subito violenze in questo periodo. Cosa accadrà dopo non lo sappiamo ma al
momento ci sono terze parti come l’Onu e la Croce Rossa che tengono sotto controllo la
situazione".

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Battaglione Azov, "come stanno torturando i


soldati della fonderia": filtrano dettagli
terrificanti

Sullo stesso argomento:

22 maggio 2022

Battaglione Azov, "come stanno torturando i soldati della fonderia": filtrano dettagli terrificanti

00

Una testimonianza drammatica, atroce, quella di Robert K., meno di trent'anni, militare del
battaglione Azov che racconta quel che ha visto e cosa sta vivendo in un'intervista al Corriere della
Sera. "Lui ora lo stanno torturando e gli stanno strappando le unghie. Lui invece è morto. Lui è
tornato come me. Di lui invece ho perso traccia da un mese. A lui invece hanno sparato cinque
proiettili nella gamba", spiega mostrando un'immagine dal suo smartphone.

Nell'immagine sei ragazzi in divisa: erano i suoi compagni, "è l'ultima foto che ci siamo fatti tutti
insieme", spiega Robert. "Dopo aver combattuto in Donbass sono entrato in una compagnia di
sicurezza privata. Poi a febbraio sono tornato con il reggimento", racconta. Chiede di non
pubblicare il suo nome per intero, "sono ancora in servizio". E racconta soprattutto le torture che
starebbero subendo i militari del battaglione Azov che si sono arresi alla fonderia Azovstal. Torture,
unghie strappate, brutalità. Tutto come era stato drammaticamente previsto.

Robert ha combattuto a lungo a Mariupol. E il Corsera gli chiede: quando avete capito che le cose
si stavano mettendo davvero male? "Quando i russi sono entrati dentro il distretto 17. Ci siamo
asserragliati dentro l'ospedale numero 2 anche per proteggere i civili. I chirurghi operavano sotto i
bombardamenti. Dopo due giorni, hanno fatto irruzione nell'ospedale e hanno sparato ai militari
feriti nei loro letti. Ci siamo diretti alla base ma i russi, con i droni, hanno individuato il punto esatto
e l'hanno bombardata. Non avevamo più niente. Armi, cibo. Poi hanno colpito l'obitorio. Era pieno
di cadaveri fino al soffitto. Mariupol era diventata l'inferno. La mia città", racconta. Robert è
riuscito a lasciare Mariupol. Se ne è pentito? "No, perché ho messo in salvo i miei cari. E ora
posso tornare a combattere e vendicare i miei compagni", conclude. La guerra continua. E Robert
torna all'inferno, torna a combattere.

MONDO Battaglione Azov • Donbass • Foto • Mariupol' • Nazismo • Neonazismo • Russia •


Ucraina

La storia della foto del battaglione Azov con la


bandiera nazista
13 Maggio 2022 - 14:03
di David Puente
Così una foto, pubblicata sul social network russo VK e poi cancellata dal suo autore, ci racconta i
retroscena dei volontari del noto battaglione ucraino

La narrazione di un’Ucraina nazista passa dal battaglione Azov, di cui avevamo parlato in un
precedente articolo. Circola dal 2014 una foto che riporta alcuni combattenti ucraini con tre
bandiere in bella mostra: quella della Nato, quella del battaglione Azov e una bandiera con la
svastica nazista. L’immagine viene utilizzata per sostenere la narrativa della “denazificazione”
dell’Ucraina ad opera di Vladimir Putin. Una delle bandiere è stata inserita nell’immagine con un
programma di fotoritocco, come spiegato a Open dal ricercatore forence Neal Krawetz e creatore
del sito Fotoforensics, il primo a denunciare il falso.

Tutto ciò non smentisce affatto la presenza di neonazisti all’interno di quel gruppo di volontari
operante tra il 2014 e il 2015 contro la prima occupazione russa in Ucraina. Tuttavia, questa foto
manipolata ci permette di conoscere come l’estrema destra ucraina abbia cercato di conquistare il
potere e, dopo l’evidente fallimento, si sia schierata – e in maniera violenta – contro i governi
successivi a quello del filorusso Janukovyč, soprattutto quello di Zelensky. Lo racconteremo nei
prossimi articoli di questa serie dedicata agli Azov, per poi parlare anche del fronte italiano.

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Il giudizio di Fotoforensics

Open aveva contattato, il 14 marzo 2022, il ricercatore forense Neal Krawetz e creatore del sito
Fotoforensics. Ecco la sua risposta, già data in un tweet del 2014: «The Nazi flag is fake. The
picture is viral and the original was never provided».
Neal Krawetz ci racconta di come quell’immagine sia stata sottoposta alle analisi dei tool forniti dal
sito FotoForensics, in particolar modo tra il 2014 e il 2015, per poi veder diminuire le richieste fino
a febbraio 2022, nello stesso periodo in cui Vladimir Putin ha deciso di invadere l’Ucraina. Neal ci
fornisce l’analisi di FotoForensics in cui notiamo alcuni elementi presenti nell’area della bandiera.

Neal ci spiega i motivi del suo giudizio:

 la messa a fuoco della telecamera risulta troppo nitida nella bandiera nazista;
 risulta incoerente con il piano focale;
 la parte rossa della bandiera nell’angolo in alto a sinistra finisce sopra le dita del soldato.
L’immagine venne condivisa dal sito russo Radikal.ru (qui), come confermato da Neal Krawetz a
Open. Attualmente non risulta più raggiungibile, ma rimane un salvataggio presente su Archive.is.

Sc
reenshot del salvataggio su Archive.is

La bandiera in questione risulta essere quella della “Gioventù hitleriana“, organizzazione giovanile
tedesca. Dagli scatti pubblicati nei profili social dei protagonisti, questa bandiera non compare
affatto. Al contrario, ne vengono mostrate altre che rimandano al nazismo.

Una tecnica per disinformare

L’immagine è circolata con ulteriori modifiche, sostituendo la bandiera nazista con quella
dell’autoproclamata Repubblica di Lugansk, come dimostra l’analisi del tool di Neal Krawetz.
Risulta semplice riscontrare il fotomontaggio, in quanto chi lo ha realizzato si è lasciato dietro due
segni evidenti della precedente bandiera.
Secondo Neal, c’è un motivo che porta a modificare un’immagine come quella già alterata in
precedenza. Secondo l’esperto, questa sarebbe una tattica di disinformazione comune:

 creare un falso (la foto con la bandiera nazista);


 creare un falso del falso (l’immagine sopra riportata) per lanciare una falsa narrativa;
 diffondere il dubbio e raccogliere i frutti negli utenti che considereranno almeno una delle
due foto reale “per forza”.

Altri falsi dei falsi che Neal indica a Open sono i seguenti: l’aggiunta della bandiera dell’Isis (qui),
la cancellazione della svastica (qui) e la sostituzione della bandiera con quella di Israele (qui).
Alterazioni
dell’immagine alterata: i falsi del falso.
Sempre secondo Neal, la tecnica della creazione dei falsi dei falsi è tipica dei negazionisti
dell’Olocausto: creano foto false che cercano di falsificare ulteriormente, così da poter segnalare i
nuovi falsi affermando che tutto quanto non sia mai avvenuto.

La presenza dei neonazisti nella foto

Una delle condivisioni più datate è quella del tweet pubblicato dall’account @MarQa__ il 27
novembre 2014: «Picture of Azov battalion in eastern #Ukraine. Just to show both sides of the
medal», mentre conosciamo la fonte certa: venne pubblicata per la prima volta il 18 novembre 2014
dall’account VK di un combattente ucraino, Oleg Penya (Олег Пєня).

L’autore del post è presente nella foto, è il secondo in alto da destra. Come vedremo in questo
articolo, e in quello successivo che segue le vicende dei primi volontari del battaglione Azov, Oleg
è un nazista e complottista antisemita convinto.
Nel suo account VK troviamo alcune foto che lo ritraggono vestito da militare con il simbolo di
Azov (partecipò alle operazioni del battaglione dei volontari nel Donbass). Tra queste una dove
tiene in mano una bandiera nazista diversa da quella della foto diffusa nel 2014. Non mancano
riferimenti al nazismo e alle ideologie di estrema destra (qui, qui, qui, qui e qui).
Ecco un post del 18 maggio 2017 in cui sostiene che l’Ucraina sia in mano agli ebrei. Non solo, li
accusa di voler bloccare il social network VK in Ucraina «presumibilmente con il pretesto di
“combattere l’influenza russa”».

Nello stesso post antisemita, Oleg sostiene che non esista alcuna censura all’interno di VK (se non
per contenuti violenti e pornografici) e che lo stesso social non sia controllato dal Servizio di
sicurezza dell’Ucraina (SBU), pertanto ritiene che non possano bloccare i «movimenti rivoluzionari
e nazionalisti ucraini», cosa che invece avviene per Facebook con le immagini nazionaliste
intolleranti contro gli ebrei. Oleg, nel post, si contesta questi blocchi da parte di Facebook (come
quello subito dal suo account), stufo di «ascoltare sciocchezze sull’Unione europea e sulla Nato».
Una
delle tante foto di Oleg con la bandiera nazista, diversa da quella del 2017 che non risulta in nessun
altro scatto condiviso nel suo profilo.

Questo ultimo elemento, ossia il disprezzo della Nato, potrebbe essere stato un pretesto per
aggiungere la bandiera della Gioventù Hitleriana per “bilanciare” il pensiero dei volontari del
battaglione. Il post con la foto è stato eliminato da Oleg, senza fornire una spiegazione del motivo.
Risulta strano che l’abbia rimossa per la presenza del simbolo nazista, avendone pubblicate diverse
altre. L’unico dettaglio che possiamo notare è la censura dei volti, spesso presente negli scatti
pubblicati da Oleg, così come non risultano altre foto con un così vasto gruppo di combattenti
associati alla presenza di un simbolo nazista. Molto probabilmente, i volontari combattevano per la
stessa causa, ma non tutti erano estremisti di destra e anti Nato come Oleg.
Foto scattata a Mariupol

Tramite l’account di Oleg troviamo una foto che riprende lo stesso edificio dell’immagine diffusa
online. Ecco un confronto dove il muro dell’edificio, così come le finestre, risultano simili.

A fornire una chiara geolocalizzazione è l’account Twitter @Polk_Azov che il 26 aprile 2015
pubblica due foto dove ringraziano una band musicale che si era esibita per il Battaglione Azov.
Dove? A Mariupol.
Ecco tutti gli elementi che coincidono nelle tre foto:
Oleg si trovava proprio nell’area del Donbass, come effettivamente riporta nel titolo della galleria
immagini del suo profilo VK: “Donbass ATO 2014-2015”. Oleg teneva nella stanza una bandiera
nazista, ma non quella inserita nella foto di gruppo.

Al di fuori di questa galleria fotografica troviamo quella del concerto:

Oleg e l’attivismo di estrema destra


Oleg fa parte del gruppo paramilitare dei veterani Azov “The National Wives” (“НАЦІОНАЛЬНІ
ДРУЖИНИ“), contestato e ritenuto nel 2018 un pericolo per la democrazia del Paese e un pretesto
utile per la propaganda russa contro l’Ucraina. Fatto che, per gli aderenti al gruppo paramilitare,
non pone alcuna preoccupazione.

Le foto pubblicate da Oleg insieme al battaglione Azov risalgono al 2015, anno di transizione in cui
da gruppo paramilitare è poi entrato a far parte delle unità regolari dell’Ucraina. Come spiega lo
stesso Oleg in un’intervista rilasciata nel 2014, non gli è possibile arruolarsi nelle forze regolari
ucraine per via della sua fedina penale. C’è un altro simbolo presente nelle foto di Oleg, presente in
una bandiera nera (qui sotto), e che non è propriamente quello di Azov.
La bandiera nera con il simbolo presente anche in quello di Azov, il quale riporta le lettere IN di
“Idea Nazione” (dove “Nazione” si pronuncia “Natsia” finendo per somigliare a “Nazi”) già usata
dal 2005 dall’organizzazione ultranazionalista “Patriot of Ukraine” (disciolta nel 2014), riguarda
un’altra formazione di cui Oleg fa parte: il movimento politico dei Nazionalsocialisti autonomi di
Zhytomyr (Автономні націонал соціалісти Житомира) contrario al governo Poroshenko (lo
definiscono “un bastardo morto”).

L’antisemitismo, anche in questo gruppo, risulta estremo a tal punto da ritenere l’Ucraina in mano
agli ebrei. Nell’immagine del 2015 sotto riportata non vediamo solo Putin con un colpo alla testa,
ma anche alcuni politici ucraini del periodo identificati come ebrei (o collegati a Israele).
Come possiamo vedere da questo post condiviso del 2014, il gruppo neonazi e antisemita di cui
Oleg fa parte ha espresso il proprio disgusto per chi ha vinto le elezioni del 2014. Nella foto
sottostante il Presidente ucraino Poroshenko e la cantante Ruslana (vincitrice dell’Eurovision del
2004).
Oleg, di fatto, è la dimostrazione della presenza di nazisti all’interno del battaglione Azov formato
dai volontari, ucraini e stranieri, che hanno lottato contro la prima invasione russa in Ucraina. Come
abbiamo spiegato nel precedente articolo, è assolutamente vero che gli estremisti di destra
combattevano tra le file di Azov, ma ciò che bisogna raccontare è come questi personaggi abbiano
in realtà tentato di conquistare il potere e come, una volta fallita l’operazione, abbiano operato
contro i governi successivi a quello del filorusso Janukovyč.

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