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Perchè rimurginare fa male?


Milena Talento 8 Aprile 2020 Psicologia Nessun commento

Chi di voi non ha mai sentito la parola rimuginare? Probabilmente nessuno, perché questo è un
termine, oltre che un’azione, di cui si sente parlare molto spesso. E sicuramente tutti sanno cosa
vuol dire: un comportamento che consiste nel preoccuparsi, nell’avere il timore di non poter
affrontare alcuni problemi immaginando che con molta probabilità la situazione volgerà nel
peggiore dei modi.

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Rimuginare: ciò che dice la psicologia


Quando la mente rimugina su qualcosa, evoca immagini e pensieri che noi viviamo come se fossero
senza controllo, e che hanno lo scopo di prevedere e prevenire degli accadimenti negativi visti,
dalla mente, come una minaccia. Mente che poi pensa a delle possibili soluzioni.

In questi casi, la mente attiva un metodo di pensiero detto disfunzionale: tende cioè a rigirare e
orbitare intorno allo stesso concetto – sia esso un ricordo, un’idea, un episodio – e ripercorre in
modo circolare le medesime catene di pensiero, senza che però riesca ad arrivare ad una
soluzione concreta.

In ambito psicologico, le parole rimuginio e rimuginare indicano un’attività del pensiero, che può
essere astratto e/o verbale, che si svolge in maniera ripetitiva e ciclica, e che si associ a alla
produzione di immagini mentali – sulle quali la mente si focalizza – che propongono degli scenari
potenzialmente negativi, minacciosi, stressanti.

La psicologia distingue questo tipo di azione mentale dalla ruminazione, che invece indica un
meccanismo cognitivo contraddistinto da una tipologia di pensieri disfunzionale, che punta
soprattutto sulle emozioni interne e sulle potenziali conseguenze negative che esse possono
generare.

In generale, comunque, l’azione del rimuginare è parte di un meccanismo di autoregolazione e


fa parte del più generico processo di gestione emotiva, che si caratterizza da un tipo di attenzione
particolarmente forte che l’individuo – o meglio, la sua mente – catalizza su sé stessi. Un processo
che include diversi passaggi:

 Un’elaborazione continua e autoreferente (mediante rimuginazioni e preoccupazioni).


 Attivazione di auto-convinzioni disfunzionali
 Controllo degli stimoli vissuti come minacciosi.

Diversi pensieri, stesse modalità


Ad ogni modo, sia il rimuginare che la ruminazione rabbiosa sono delle tipologie di pensieri
ricorrenti e disfunzionali sempre contraddistinti dalle medesime caratteristiche. La prima è la
ripetitività: questi pensieri (o catene di pensiero) tendono a ripetersi in maniera continua e
ricorrente, con un procedimento che è autoalimentante e di senso circolare. Come anticipato,
questo processo ciclico non parte da problema A per arrivare a soluzione B, ma rigira intorno ad A,
e quindi non porta a nessuna conclusione né risoluzione.

Il secondo fattore comune è la negatività: sono pensieri che non godono di grande qualità, ma anzi
sono altamente negativi se non catastrofici e si concentrano sugli eventi accaduti con sforzo
mentale di modificare l’evento, o cercare una spiegazione giudicata accettabile; in altri casi, si
focalizzano su qualcosa che potrebbe accadere, anche in questo caso di esito negativo e/o
catastrofico.

Terzo fattore è la mancanza di controllo: quando rimuginiamo pensiamo che questa sia un’attività
mentale automatica, che quindi sfugge al nostro controllo e alle nostre volontà. Ecco perché crea in
noi un forte senso di impotenza.

La quarta cosa comune tra queste azioni sono i contenuti, di solito di tipo verbale – come frasi,
parole – o eidetico – resi cioè con immagini e scene – che si riferiscono al passato, che in questi
casi vediamo come causa di vergogna, di dolore, di paura; o al contrario ipotizzano un futuro che
temiamo, che immaginiamo come terribile.

Infine, ultimo fattore accomunante è che questi pensieri non portano mai ad alcun’azione, quindi i
processi e i contenuti di questi pensieri dati dal rimuginare non hanno consistenza, sono astratti,
incapaci di produrre qualsiasi tipo di azione e reazione. E, al contrario, si ripiegano su loro stessi o
si estendono al punto che in alcuni casi si perde l’origine del pensiero, il punto di partenza e si crea
un processo di fake problem solving che fa perdere un sacco di tempo e di energie e che ha come
unico esito il cattivo umore e l’amplificazione di paure e di minacce.

Eppure, nonostante questi pensieri sono pressoché inutili e dannosi, sono molto diffusi.
Costituiscono infatti da trappola. Tendiamo infatti a credere che i pensieri rimuginativi sono una
strategia molto utile, e addirittura efficace per la risoluzione di situazioni viste come minacciosi,
difficili e fonte di problemi, o per affrontare dei problemi futuri in modo da ridurre se non eliminare
altre emozioni e sentimenti, come i sensi di colpa, inadeguatezza e rabbia, o anche per auto-
rassicurarci su quanto accaduto, su quanto abbiamo detto, sul fatto che reagire in quel determinato
modo è stata la cosa giusta.

Quindi queste rimugunazioni all’inizio sono una strategia efficace per affrontare delle situazioni
particolari, e dà, quindi, un immediato sollievo ad un cattivo umore, causato da senso di colpa,
dubbi, incertezze, rabbia o ansia: i pensieri rimuginativi sono cioè delle speranze di risoluzione e
per questo inizialmente fanno sentire più sollevati.

Ma la sensazione di sollievo dura poco, in confronto all’esito definitivo di questi pensieri, ovvero
un’estensione del disagio che si propaga in un periodo medio-lungo e ci fa vedere come impotenti
e passivi nei confronti di questi stessi pensieri, che arrivano ad occupare la quasi totalità dei pensieri
giornalieri, causando quindi un enorme spreco di tempo ed energie e tenendo lontani sollievo e
azione dallo squilibrio iniziale. Ecco perché il rimuginare non va sottovalutato: esso infatti
conduce a tematiche minacciose e porta, amplifica, propaga uno stato depressivo anche piuttosto
forte.

Ci sono pazienti che credono di non poter interrompere le loro rimuginazioni, e ne sono convinti
finché non provano che in alcune condizioni di terapia (come, per esempio, le tecniche di
mindfulness, strumenti molto preziosi e utili) la rimuginazione si può ridurre e sospendere. Il
rimuginare, quindi, non è una soluzione né concreta né utile ai problemi, e non è utile per avere
un sollievo a lungo termine da stati emotivi difficili. Anzi, al contrario, li estende, li intensifica, li
rende più complessi e li fa durare più del previsto.

Smettere di rimuginare
A parole può essere tutto semplice, ma come possiamo, nel concreto, smettere di focalizzarci e
ripensare continuamente a situazioni spiacevoli, ipotetiche e non? Ci arriviamo. La prima cosa fa
fare, comunque, è distinguere tra il vivere interamente i propri sentimenti e le emozioni, con
consapevolezza, senza respingerle ma anzi lasciando loro spazio per poi farle andare; e il partire
per pensieri via via più fantasiosi, cercando delle soluzioni alternative a dei problemi che magari
mai si presenteranno, in un vano tentativo di modificare e cambiare un evento passato.

Quindi, se non si sta tentando una soluzione ad un problema reale – perché in questo caso è un
pensiero che genera un’azione – è assolutamente fondamentale che impariamo a sopportare alcune
situazioni spiacevoli che non hanno alcuna soluzione dal ripensarci continuamente sopra. Diversi
sono i modi, come il già citato mindfulness o la meditazione, ma anche ricordando a noi stessi di
tornare continuamente al presente, e di trovare un’azione concreta. Diverse sono le modalità
per farlo:

 Con azioni che ci tengano occupati: possiamo uscire a fare passeggiate, metterci a
riordinare e pulire la casa, fare l’armadio, la manicure, guardare film, giocare a qualche
gioco o ai videogiochi, disegnare e colorare, leggere, uscire con gli amici.
 Dandoci delle scadenze, scegliendo un luogo e un momento specifici per questi pensieri
dannosi: magari la sera, per un’oretta, ci preoccuperemo di questa cosa che ci turba. E
quando la sveglia che abbiamo precedentemente impostato suona, è ora di fare altro.
 Controllando questi pensieri: scriviamo su un quadernino o sulle note dello smartphone
quali sono i pensieri e le catene che generano, le immagini che evocano, le preoccupazioni,
senza giudizi ma così come vengono. In seguito, rileggiamoli in maniera oggettiva, tenendo
una distanza critica.

Quello che possiamo fare non è tanto, ma va fatto! Sempre meglio che continuare a pensare senza
agire e con sempre maggiore distacco dal presente e dalla realtà.

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