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7 dicembre 2006
ATTENZIONE
Il testo seguente non è stato né rivisto né corretto pertanto potrebbe contenere errori
Il secondo dei 6 fattori è l’avversione. E’ un fattore mentale che esagera i difetti di un oggetto
(circostanze, persone, stati, se stessi). E’ promotore del malessere immediato nella persona in cui
viene generato. Porta con sé un elemento di oscurazione e afflizione della persona, allontana lo stato
naturale di pace e serenità. La coscienza viene scossa e resa turbolenta, non si riesce a sperimentare
benessere nonostante esistano tutte le condizioni per poterlo provare. Per esempio, se mangiamo
afflitti dalla rabbia non riusciamo a godere degli oggetti sensoriali/mentali che stiamo
sperimentando. Gli effetti a lungo andare influenzano anche il corpo: più la coscienza è in
movimento più il corpo ne risente (insonnia ecc…). La rabbia dal punto di vista spirituale è una
delle prime cose di cui liberarsi perché ostacola la possibilità di liberarsi e, da un punto di vista
relativo, ostacola la pace della mente. Anche in senso comune, la mancanza di controllo affligge la
reputazione di una persona. Anche da un punto di vista estetico, la rabbia rende brutti.
L’antidoto da sviluppare è la pazienza ( in senso buddista significa imperturbabilità, non
soffocamento della reazione). E’ la capacità di amplificare la propria capacità di serenità. Questa
imperturbabilità si rivela anche nella relazione che abbiamo con le persone: quando il nostro
modello di gratificazione viene infranto si crea uno stato turbolento della mente che poi troverà
espressione nella rabbia. Quando l’aspettativa di gratificazione non si sposa con la circostanza
esterna sorge la rabbia, non sono le persone o le circostanze esterne a causarla. E’ l’aspettativa di
gratificazione personale che crea insofferenza. Se invece di generare un’attitudine di
imperturbabilità si crea tensione interna non c’è fine a questa faida perché si cerca giustificazione
alla propria rabbia.
Il terzo dei sei fattori è l’orgoglio, che esagera le proprie qualità fisiche o interiori. L’effetto è il
maggior ostacolo per lo sviluppo personale perché l’orgoglio presume che ci siano già sufficienti
qualità e conoscenze. C’è differenza tra orgoglio e fiducia personale; quest’ultima è indispensabile
per la crescita, attitudine ad elevarsi.
L’antidoto consiste nel contemplare i propri deficit sia di conoscenze che di qualità, così la mente di
orgoglio si ristabilisce.
Il quarto dei sei fattori è l’ignoranza. E’ una forma di a-gnosia, non conoscenza. La mente di non
conoscenza distorce l’oggetto percepito.
L’antidoto consiste nel fare un’analisi approfondita dell’oggetto percepito, così si combatte le
distrazione e si recupera uno stato di percezione corretta.
Il quinto è l’insicurezza o dubbio. Si dubita tra due decisioni, la mente è oscurata e non riesce ad
accertare la decisione da prendere. Così si diventa poco incisivi e poco risoluti.
L’antidoto?
Il sesto è una riunione di più difetti mentali (visioni errate). Una di queste visioni è quella di
insieme transitorio: i cinque aggregati che costituiscono l’individuo sono in continuo mutamento,
ma la mente percepisce un io permanente e solido.
L’antidoto è valido anche per tutte le altre emozioni afflittive ed è l’antitesi cognitiva all’ignoranza
che percepisce i cinque aggregati come solidi, fissi e permanenti. Così sorge la saggezza che
percepisce il non sé della persona..
Per concludere, per quale motivo siamo qui? Il desiderio di tutti è essere il più felici possibili e
sperimentare meno sofferenza possibile. Allora dovremmo cercare di agire in modo conforme,
comprendendo quali sono gli stati che penalizzano la nostra gioia e quali la incrementano. Possiamo
apprendere a gestire e sviluppare la nostra mente per sviluppare un relativo benessere e di
conseguenza un comportamento che sia di beneficio agli altri. E’ importante osservare bene e
indagare bene per accedere a un maggior benessere personale, perché solo così si può essere
davvero di beneficio agli altri.
La mente distratta, non introspettiva, fa sì che tutto avvenga a nostra insaputa, mentre dovremmo
osservare con maggiore consapevolezza ciò che facciamo, pensiamo ecc… Così ci si dissocia dalla
maggior parte delle dinamiche che ci trascinano, i processi automatici che ci coinvolgono. La mente
consapevole percepisce chiaramente gli stati di afflizione e non li ritiene più appetibili, ne
percepisce lo scotto da pagare. Così poi la mente si emancipa da certi atteggiamenti e cerca nuovi
percorsi.
Questi appunti sono stati presi durante la lezione magistrale che il Venerabile Dagri Rinpoche ha tenuto all'Università di Parma il 7
dicembre 2006.
Le sottolineature sono mie, in base all'enfasi che il traduttore poneva sui concetti; mi scuso per ogni errore, mancanza o imprecisione.
Dedico ogni eventuale merito derivato da questo lavoro alla lunga vita del Venerabile Dagri Rinpoce e di tutti gli insegnanti
spirituali. Lo dedico inoltre alla felicità di tutti gli esseri viventi: possano tutti incontrare gli Insegnamenti di Buddha Sakyamuni, in
questa o nelle prossime vite, possano esserne conquistati e intraprendere il sentiero della Liberazione.
Possa il centro ScenPhen Giam Tse Ling continuare a crescere e a ispirare tanti esseri fortunati.