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Samatha, Vipasyana e Dzogchen

Tulku Urgyen Rinpoche

STUDENTE: Poco fa mi ha detto di esercitarmi senza meditare. 'L'ho fatto


nel corso dell'ultima settimana, e mi sembra che la mia distrazione sia
aumentata. Cosa dovrei fare adesso?

RINPOCHE: La frase tradizionale è: "Coltiva samatha; allenanti alla


vipasyanà". Il buddhismo non dice mai che samatha e vipasyanà sono
superflui, dovrebbero essere ignorati o messi da parte completamente.
Neppure io lo insegnerei. Ma ci sono dei momenti in cui sembra che io
critichi un po' samatha. C'è una ragione e dipende soltanto dal contesto
specifico.
Il contesto degli insegnamenti generali tiene conto di un essere senziente
che sperimenta una confusione ininterrotta: un pensiero o un'emozione
dopo l'altra, come la superficie burrascosa dell'oceano, senza mai
riconoscere l'essenza della mente. Questa confusione è continua, non c'è
quasi nessuna interruzione, vita dopo vita. Dire a una tale persona che
samatha non è necessario non è affatto il modo corretto di insegnare,
perché la sua mente è come un elefante ubriaco o una scimmia impazzita:
semplicemente non rimarrà tranquilla. È una mente abituata a seguire il
pensiero, senza nessuna comprensione intuitiva. Samatha è un mezzo
abile che consente di trattare questo stato. Quando i pensieri confusi si
sono acquietati un po', è più facile riconoscere la chiara visione della
vacuità. Perciò non si insegna mai che samatha e vipasyanà non sono
necessari.
Gli stili di insegnamento sono adatti a due tipi principali di mentalità: una
orientata verso gli oggetti percepiti, l'altra verso la mente cognitiva. La
prima mentalità insegue gli oggetti della vista, i suoni, gli odori, i sapori,
le sensazioni tattili e gli oggetti mentali, ed è instabile nella natura di
buddha. Questa è la situazione della 'triplice confusione': la confusione
dell'oggetto, della facoltà sensoriale e della percezione sensoriale che
causa la rinascita in un corpo comune. A causa di questa abitudine
radicata a lasciarci coinvolgere da un pensiero dopo l'altro, andiamo
avanti e indietro nel samsara. Per stabilizzare una mente siffatta, gli
insegnamenti iniziali devono spiegare come si trova la calma, come si
ottiene o induce una qualità incrollabile in quel tumulto. È analogo a ciò
che accade con l'acqua torbida: finché l'acqua non è chiara, non potete
vedervi il riflesso della vostra faccia. Similmente, le istruzioni su samatha
sono essenziali per chi si lascia trascinare dai pensieri.
I pensieri scaturiscono dalla nostra vuota conoscenza. Non sorgono
soltanto dalla qualità vuota. Lo spazio non ha pensieri, e neanche i
quattro elementi. Gli oggetti della vista, i suoni e le altre sensazioni non
pensano. Le cinque porte sensoriali non pensano. I pensieri sono nella
mente, e questa mente, come ho detto spesso, è l'unità di vuoto e
conoscenza. Se fosse soltanto vuota, i pensieri non avrebbero modo di
sorgere. Essi scaturiscono soltanto dalla vuota conoscenza.
I veicoli comuni affermano che il metodo di samatha è necessario al fine
di dimorare nella quiete. Per contrastare la nostra tendenza a creare
pensieri continuamente, i buddha ci hanno insegnato ad affidarci a un
sostegno.
La nostra attenzione, abituandosi a tale soste si stabilizza, diventando
capace di rimanere ferma. A questo punto è più facile capire l'indicazione
della natura dell'attenzione come vuota conoscenza. Ma vi prego di
ricordare che il solo dimorare, il solo restare nella stabilità della pratica di
samatha non garantisce il riconoscimento dello stato nudo della sveglia
presenza spontanea.
In generale la mente ha molte caratteristiche differenti: alcune buone,
altre cattive, alcune calme, altre riottose. Ci sono persone dominate dal
desiderio, altre sono più aggressive; ci sono molti tipi diversi di
atteggiamenti mondani. Se volete che la vostra mente diventi quieta e
calma, allenandovi abbastanza a lungo diventerà quieta e calma.
Lo diventerà certamente, ma questo non è uno stato liberato. Il processo
di acquietamento è paragonabile a una persona che impara a sedersi
invece di vagare confusa. Tuttavia, l'osservazione di quell'individuo che se
ne sta seduto non dà necessariamente nessuna informazione sulla sua
vera indole. E, come sapete, gli esseri umani hanno personalità differenti.
Qualcuno può essere molto gentile, disciplinato, una persona molto
buona, e non lo saprete osservandolo mentre se ne sta seduto. Qualcun
altro può essere molto rozzo, collerico e violento, ma anche in questo
caso non lo saprete. Tali caratteristiche si manifestano quando i pensieri
riprendono ad agitarsi. Allora di solito rimaniamo coinvolti nell'illusione.
Nel contempo però la nostra natura è sin dal principio libera
dall'oscuramento delle emozioni e dei pensieri. I pensieri e le emozioni
sono soltanto temporanei. La reale 'indole' della mente consiste nella
sveglia presenza spontanea, lo stato realizzato da tutti i buddha. Le
istruzioni dello Dzogchen, della Mahàmudrà e della Via di Mezzo
insegnano tutte che qualsiasi pensiero sorga è libero da forma, suono,
sapore, sensazione tattile, e così via. Tutto il movimento è vuoto, un
movimento vuoto. Un'emozione è vuota, eppure sembra manifestarsi. Il
movimento del pensiero può verificarsi perché la no-stra natura è vuota
conoscenza. Lo stato di un essere senziente con-siste nel lasciarsi
trascinare da un pensiero. Anziché lasciarvi trascinare, riconoscete che il
vostro stato fondamentale è l'essenza, la na-tura e la capacità che
costituiscono i tre kàya dei buddha. Rimanete nella naturalezza non
alterata per brevi momenti ripetuti molte volte. Potete abituarvi a tale
naturalezza. I brevi momenti possono durare sempre di più. In un solo
istante di naturalezza non alterata ci si può purificare dal karma negativo
di un kalpa. Un istante di naturalezza trasforma un kalpa di karma
negativo. Dovete soltanto permettere il momento di naturalezza non
alterata. Anziché meditare sulla naturalezza, vale a dire concentrarvi su di
essa, semplicemente permettetele di essere naturalmente. Mentre vi
allenate in questo modo, è più una questione di abitudine che di me-
ditazione (per fare un gioco di parole, perché in tibetano le parole
‘allenare' e 'meditare' suonano uguali). Più vi abituate all'essenza della
mente, e meno meditate su di essa in modo deliberato, più facile diventa
il riconoscimento, e più semplice è la sua continuazione. Il fugace
riconoscimento dell'essenza della mente, che all'inizio durava solo pochi
secondi, a poco a poco diventa mezzo minuto, poi un minuto, mezz'ora,
ore, finché è ininterrotto per tutto il giorno. Avete bisogno di questo tipo
di allenamento. Lo dico perché, se la meta dell'allenamento principale è la
costruzione di uno stato in cui i pensieri sono svaniti, uno stato che
sembra molto limpido e quieto, si tratta ancora di un allenamento dove si
mantiene deliberatamente uno stato particolare. Tale stato è il risultato di
uno sforzo mentale, una ricerca. Perciò non è né lo stato ultimo né
l'originario stato naturale.
La nuda essenza della mente non è conosciuta in samatha, rimane
nascosta, perché la mente è occupata a dimorare nella quiete. Tutto ciò
che si fa in samatha è soltanto non seguire il movimento del pensiero. Ma
l'illusione a causa del movimento del pensiero non è l'unica illusione: c'è
anche l'illusione dovuta al dimorare nella quiete. La preoccupazione di
essere calmi blocca il riconoscimento della sveglia presenza spontanea, e
blocca pure la conoscenza dei tre kàya dello stato risvegliato. Questa
calma consiste soltanto nell'assenza del pensiero, nell'attenzione che
dimora in se stessa senza tuttavia conoscere se stessa.
La radice del samsara è il pensiero. Il 'padrone' del samsara è il pensiero.
Nondimeno, l'essenza stessa del pensiero è il dharmakàya, vero?
Dobbiamo allenarci a riconoscere questa essenza del pensiero: le 'quattro
parti senza le tre'. Tale allenamento non è un atto di meditazione su
qualcosa, ma è un 'abituarsi'. Tuttavia, non equivale neppure a
memorizzare, come quando si mandano a memoria dei versi.
Meditazione di solito vuol dire fare attenzione. Ma in questo caso
dobbiamo allenarci a essere liberi dall'osservatore e dall'osservato. In
samatha c'è un osservatore e un oggetto osservato. Quindi, francamente,
samatha è anche un allenamento a bloccare la vacuità. Samatha abitua la
mente alla quiete e la impegna a essere quieta. C'è sempre qualcosa che
viene mantenuto. Questo tipo di stato è il prodotto di una tecnica. Si fa
molto sforzo per creare un certo stato prodotto dalla mente. E qualsiasi
stato che sia il prodotto di un allenamento non è la liberazione. La sola
capacità di rimanere quieti non fa dissolvere la confusione.
L'oceano può sembrare totalmente calmo, se riuscite in qualche modo a
far quietare le onde, però nell'acqua ogni genere di sedimento continua a
fluttuare. Può essere privo di onde, ma non è privo di detriti. Nel
medesimo modo, quando si mantiene uno stato di quiete, le tendenze
abituali agli ottanta stati di pensiero innati, ai cinquantuno eventi mentali,
e a tutte le emozioni virtuose e non virtuo se sono presenti in latenza.
Possono non essere evidenti; possono non essere attivi; tuttavia non sono
svaniti.
Ciò che sto criticando è l'idea che la quiete della mente libera dal
pensiero sia in definitiva preferibile oppure una meta in se stessa.
L'insegnamento del Buddha lo nega: la quiete in quanto tale non è la
liberazione. Ricercandola si possono ottenere lunghi momenti di completa
tranquillità, ma questo non equivale alla vera liberazione. Lo stato
risvegliato del rigpa, invece, è completamente aperto. Non si fissa su
niente, come l'oceano in cui non rimane nessun sedimento. Quando
mettete della terra nell'acqua, quest'ultima diventa torbida. Allo stesso
modo, non ottenete l'illuminazione soltanto tramite samatha. Avete
bisogno di vipasyanà, la qualità della chiara visione, la quale è presente
per natura nella vacuità al di là della mente concettuale.
A tutti i livelli della pratica buddhista questi due aspetti devono procedere
assieme: la quiete e la chiara visione, samatha e vipasyanà. All'inizio della
pratica di samatha si può utilizzare un sasso oppure il respiro come
oggetto dell'attenzione, ma in questo caso c'è sempre dualità: la
separazione tra l'oggetto dell'attenzione e la stessa consapevolezza che è
attenta, ciò che tiene d'occhio l'oggetto da cui non ci si dovrebbe
distrarre. Nello Dzogchen, invece, proprio all'inizio c'è l'introduzione allo
stato nudo del dharmakàya. Nel contesto dello Dzogchen a volte si
afferma che la quiete non è affatto necessaria. Questo ha senso soltanto
per una persona con capacità superiori; non vale per chiunque. Fare a
meno di samatha non è un insegnamento Dzogchen generale, niente
affatto. Nello Dzogchen, nella Mahàmudrà e nella Via di Mezzo non si
insegna mai che samatha non è necessario; ciò che deve essere evitato è
soltanto il suddetto difetto di samatha.
Dunque, iniziate con samatha e continuate finché riuscite a mantenere
bene uno stato di calma. A questo punto la visione della vostra nuda
essenza è molto più facile. È come voler vedere il proprio viso riflesso in
una pozza d'acqua; non serve a nulla agitare di continuo la superficie
dell'acqua. Piuttosto dovete lasciare che si acquieti. Per avere la
comprensione intuitiva della vipasyanà prima è necessario lasciare che la
mente si calmi, in modo da poter vedere chiaramente la propria essenza.
Questo è indispensabile secondo il sistema buddhista comune.
Man mano che procedete passando ad altri veicoli, scoprite che il
significato di samatha e vipasyanà è più profondo. Per esempio, ci sono lo
samatha e la vipasyanà ordinari e straordinari. Alla fine si afferma che "la
mente di buddha è l'unità di samatha e vipasyanà", ma questo tipo di
samatha e vipasyanà non è quello ordinario, il tipo concettuale che
consiste nella quiete indotta seguita da una comprensione che viene
conseguita. La definizione impiegata a questo punto è "samatha e
vipasyanà che allietano i tathàgata". In altre parole, essi sono rallegrati
da questo tipo straordinario perché è perfetto. I termini sono gli stessi, il
significato è differente: lo samatha e la vipasyanà ordinari e straordinari
sono diversi quanto il cielo e la terra.
Ancora una volta, non pensate che samatha e vipasyanà non siano
necessari. Nel rigpa la quiete innata è samatha e la qualità della sveglia
presenza è vipasyanà. La quiete priva di pensiero è lo samatha ultimo.
Essere liberi dal pensiero mentre si riconosce la propria essenza è l'unità
indivisibile di samatha e vipasyanà che allieta i tathàgata.
Anche lo Dzogchen utilizza i termini samatha e vipasyanà, ma in questo
caso non si riferiscono a un risultato della pratica. Il Tesoro del
Dharmadhàtu di Longchenpa dice:
La natura originaria, totalmente libera da tutti i pensieri, è lo samatha
ultimo. La conoscenza naturale, presente spontaneamente come la radiosità
del sole, è la vipasyanà del tutto non alterata e presente per natura.

Da questa prospettiva dzogchen, samatha è la qualità immutabile della


quiete innata, mentre il senso naturale della sveglia presenza spontanea è
l'aspetto della vipasyanà. Nessuno dei due è prodotto o creato in alcun
modo. L'affermazione secondo cui samatha non sarebbe necessario si
riferisce alla quiete creata mentalmente. Quando prima ho detto di non
meditare, intendevo la meditazione creata dalla mente. È quel tipo di
samatha che vi ho detto di non praticare.
La chiara visione, vipasyanà, è la vostra vuota conoscenza, la vostra nuda
consapevolezza al di là del crescere e decrescere. Questa affermazione ha
un significato meraviglioso. Nello Dzogchen si riferisce al vero
riconoscimento del rigpa, mentre nella Mahàmudrà è chiamato la realtà
innata, ossia quando ciò che è reale viene ricono sciuto. Può essere
chiamato in molti modi, ma in breve è la visione dell'essenza della mente
nel medesimo momento in cui si osserva. "Vista quando si osserva. Libera
quando è vista". Non c'è un solo pensiero che possa introdursi in quello
stato. Tuttavia, dopo un po' scoprite che di nuovo state osservando
qualcosa di percepibile. In quel momento è arrivato il pensiero. Allora
dovete applicare il ricordo della consapevolezza e ancora una volta,
immediatamente, l'osservatore svanisce. Rilassatevi in quella naturalezza
non alterata!

(Rinpoche rimane in rigpa per conferire la trasmissione diretta,


quindi riprende a parlare.)

Quando rimanete senza fare alcunché, c'è un totale lasciar andare. Nel
medesimo momento c'è anche un senso di essere pienamente svegli; c'è
una qualità sveglia che non è creata. Simultaneamente alla dissoluzione
del pensiero c'è una qualità sveglia che è come la fiamma radiosa di una
candela, la quale esiste da se stessa. Quella qualità sveglia non deve
essere sostenuta tramite la meditazione, perché non è qualcosa che viene
coltivato. Siccome il suo riconoscimento dura soltanto un momento, è
necessario richiamarlo di nuovo alla mente. Ma, sinceramente, quanto ci
vuole per esserci? Quando alzate il dito per toccare lo spazio, quanto
dovete tendere la mano prima di raggiungere lo spazio? Allo stesso modo,
quando riconoscete l'essenza della mente, la vedete nel medesimo istante
in cui osservate. Non è che la vedrete a un certo punto in seguito, oppure
che dovete ricercarla di continuo. Qui non accadono simultaneamente due
cose diverse.
Il riconoscimento della vacuità viene realizzato nell'istante in cui
osservate. "Non vedere nessuna 'cosa' è la suprema visione". Quando
vedete la vacuità non avete bisogno di fare assolutamente nulla. La parola
chiave è 'non artefatto', nel senso che non dovete alterare quella
condizione in nessun modo; lasciatela soltanto così com'è naturalmente.
Allora siete completamente senza lavoro; non c'è niente che dobbiate
fare. In altre parole, a questo punto non è necessario nessun atto di
meditazione. Ecco cosa intendo con 'non meditate'. Perché in quel
momento qualsiasi cosa facciate nel tentativo di mantenere, oppure
prolungare lo stato naturale, lo avviluppa soltanto in un'ulteriore azione e
complessità, il che non è davvero ciò di cui avete bisogno. Lo abbiamo
fatto comunque ininterrottamente da innumerevoli vite.
Il perfetto dharmakàya è quando si lascia che il pensiero svanisca. Gli
esseri comuni sono dominati dal pensiero. È questione di riconoscere o
no. Nello Dzogchen l'essenza è vista nell'istante in cui si osserva. Eppure,
la dharmatà non è una cosa da vedere. Se lo fosse, sarebbe un prodotto
della mente.

(Ancora una volta Rinpoche dà l'indicazione diretta rimanendo in rigpa.)

Gli esseri senzienti si aggrappano a questo momento. Nel momento


presente il passato non c'è più e il futuro non è ancora arrivato. Siate
liberi dai tre tempi, così non c'è niente eccetto l'essere vuoti. Il Trekchò è
come tagliare una corda; non c'è nessun pensiero a concettualizzare il
passato, il futuro o il presente. Libera dai pensieri dei tre tempi, la vostra
fresca, sveglia presenza è rigpa.
Lo samatha da cui vi ho detto di essere liberi, nel senso di non meditare, è
la pace creata dalla mente. È estremamente importante che l'abbiate
abbandonata. La pace creata dalla mente non è la perfetta via della
liberazione. Esistenza e pace, samsara e nirvana: dobbiamo essere liberi
da entrambi. Quello è il perfetto stato di illuminazione.
Lo stato naturale della consapevolezza completamente nuda ha la qualità
del non impedimento; quella è la vera libertà. Riconoscete il momento
della consapevolezza del tutto aperta e senza impedimenti, la quale non si
aggrappa a nulla né dimora su alcunché. Non è la semplice assenza di
attività del pensiero, come nella tranquillità indotta. Questa è una grande
differenza. È anche la ragione principale per cui samatha di per sé non è
la vera via della liberazione; deve essere unita alla chiara visione della
vipasyanà a ogni livello fino alla completa illuminazione.
La realizzazione ultima tramite la pratica di samatha, con una visione
parziale, e non la completa e chiara visione della vipasyanà (il
riconoscimento dell'essenza della mente), vuol dire conseguire il nirvana
dell'arhat, non l'illuminazione non dimorante, vera e completa, di un
buddha. Dovremmo aspirare sempre alla completa illuminazione che non
dimora né nel samsara né nel nirvana.
È anche possibile sperimentare un intenso stato meditativo di quiete ma
non essere liberati. A questo riguardo c'è un aneddoto. Una volta mi
trovavo con mio padre a casa di un benefattore. L'uomo che ci portò il tè
era un meditante. Mentre oltrepassava la porta con il tè, improvvisamente
si fermò con il bollitore a mezz'aria. Uno dei ragazzi volle richiamarlo, ma
mio padre disse: "No, lasciatelo stare; se fa cadere il bollitore col tè è un
guaio; lasciatelo così". Rimase in quella posizione per ore, e quando il sole
stava per tramontare, mio padre gentilmente lo chiamò per nome
sussurrandogli all'orecchio. Lui tornò lentamente in sé. Qualcuno disse:
"Cos'è successo?".
L'uomo rispose: "Che significa cos'è successo? Sto portando il tè". Gli
dissero: "Quello accadeva stamattina, adesso è pomeriggio". Lui replicò:
"No, no, è adesso, sono appena entrato col tè". Gli domandarono di nuovo
della sua esperienza, e lui rispose: "Non sperimentavo niente; ero
totalmente vuoto e non avevo nulla da esprimere o spiegare, ero solo
totalmente tranquillo". Quando gli dissero che erano trascorse diverse
ore, fu molto sorpreso, perché non aveva l'impressione che fosse passato
del tempo.
Il punto importante in questo contesto è: 'non meditate'. Non vuol dire
che dovreste rammaricarvi per tutti gli anni dedicati a esercitarvi nella
meditazione. Quell'allenamento è stato benefico in quanto avete molti
meno pensieri. Tuttavia, non è benefico continuare a ricercare uno
speciale stato mentale libero dal pensiero. Piuttosto, siate semplicemente
nello stato naturale libero da ogni contraffazione. Questa naturalezza non
alterata è in se stessa il rimedio ai pensieri o alle emozioni.
La mente è meravigliosa: si afferma che è come un tesoro che esaudisce i
desideri, uno scrigno pieno di ogni cosa. Tutto ciò a cui rivolgete la
mente, essa lo può produrre. Il vero modo di trascendere la quiete è
questo: ogni qualvolta sperimentate la tranquillità data dall'assenza di
pensieri ed emozioni, riconoscete chi sperimenta, ossia cos'è ciò che sente
la tranquillità, cos'è che dimora tranquillo. In quel momento diventa
trasparente; in altre parole, la fissazione sulla quiete si disintegra.
Quando lo samatha viene distrutto o si disintegra, allora c'è la vera
vacuità, una vacuità non coltivata, una vacuità naturale. Questa vacuità
primordiale è il dharmakàya inseparabile dal sambhogakàya e dal
nirmànakàya. È la natura dei tre kàya: un istante di essenza della mente.
Samatha contamina i tre kàya col lavoro. I tre kàya in se stessi sono
totalmente liberi dallo sforzo.
La nostra aspirazione dovrebbe essere questa: "Senza vagare confusi
nell'esistenza samsarica, né dimorare nella tranquilla pace del nirvana, si
possa liberare tutti gli esseri". Certo che riconoscendo l'essenza della
mente siamo liberi dalle emozioni disturbanti che creano ulteriore
samsara. Ma ottenere la pace data dall'assenza di emozioni disturbanti
non è sufficiente per essere al di là del nirvana. Quindi prendete la
risoluzione di trascendere entrambi.
C'è un solo modo di essere sicuri al cento per cento che la propria pratica
spirituale vada nella giusta direzione, e consiste semplicemente nelle tre
eccellenze. Qualunque sia il livello della pratica che state facendo,
ricordatevi sempre di iniziare con il rifugio e il bodhicitta. Non importa
quanto siate in grado di praticare totalmente liberi dai concetti;
semplicemente allenatevi al meglio delle vostre capacità durante la parte
principale della seduta di pratica. Terminate sempre dedicando i meriti a
tutti gli esseri senzienti ed esprimete pure aspirazioni. Se vi dedicate alla
pratica spirituale con queste tre eccellenze, siete sicuri di procedere nella
giusta direzione.
In caso contrario, è facile 'meditare' in un modo che non conduce
necessariamente più vicino alla vera liberazione. Nel samsara ci sono
determinati stati chiamati regni senza forma. Molti ritengono che la vera
pratica meditativa sia la causa dei regni senza forma. Coltivandola, però,
ne deriva soltanto una visita prolungata a tali regni. Trattenere in mente
qualcosa in modo deliberato col tempo diventa sempre più facile, perché
la mente si abitua. Alla fine si è portati a credere che non ci sia nessuno
sforzo.
Potreste esercitare uno sforzo intenso per fissarvi sull'idea della vacuità o
sulla sensazione di chiarezza e quiete. Così 'ottenete' tale stato, ma
siccome è un prodotto, alla fine svanisce. Morendo al regno divino senza
forma, vi risvegliate dopo una lunga, meravigliosa permanenza in quel
regno di meditazione, e scoprite che il vostro corpo a un certo punto, nel
lontano passato, è morto. Adesso capite: "Sono morto, e non mi sono
liberato nonostante tutta la meditazione, che non è servita a nulla". In
quel momento il risentimento che provate per la futilità dei vostri sforzi
diventa la causa diretta delle rinascita in uno dei regni inferiori. Perciò la
vostra opinione attuale su cos'è lo stato meditativo, e la motivazione con
cui praticate, hanno un peso enorme.
Per molte persone samatha può essere una preparazione ai regni senza
forma. Può anche trattarsi semplicemente di tranquillizzare la mente,
oppure di immaginare uno stato di vacuità. Si cerca più volte di calmare la
mente, di acquietarla e mantenere l'idea della vacuità con intensità, senza
la reale conoscenza del soggetto che mantiene tale idea. Abbiamo bisogno
di combinare lo samatha con la chiara visione dell'essenza della mente. In
questo contesto tale visione è chiamata vipasyanà, ed è del tutto al di là di
ciò che dimora e dell'oggetto su cui si dimora. È il momento in cui
samatha e vipasyanà sono un'unità. La comprensione di questo punto è
estremamente importante.
Il Buddha stesso ha descritto il sentiero come una progressione attraverso
stadi di pratica meditativa:

Similmente ai gradini di una scala,


dovreste esercitarvi un passo dopo l'altro
e dedicarvi con impegno ai miei profondi insegnamenti.
Senza saltare nessun gradino,
procedete con gradualità sino alla fine.
Proprio come un bambino
che sviluppa gradualmente il corpo e la forza,
i miei insegnamenti sono siffatti,
dai primi gradini dell'accesso
fino alla completa perfezione.

Alcuni insegnanti spiegano che la frase 'completa perfezione' qui significa


Grande Perfezione, ossia gli insegnamenti dzogchen. Questa citazione
vuol dire anche che gli insegnamenti dipendono da chi li riceve. Siccome
le persone sono differenti, e possono essere intelligenti, mediocri o con
capacità inferiori, un buddha volendo beneficarle deve insegnare
accordandosi al loro livello. Un insegnante può voler insegnare lo
Dzogchen a tutti, ma non è possibile se ogni singola persona non ha
capacità elevate. Sarebbe meraviglioso, ma non è realistico. Anche un
buddha pienamente illuminato non può evitare di insegnare i nove veicoli
graduali. Non serve dare insegnamenti di un certo livello a persone non
ancora pronte. Similmente, non si danno insegnamenti inferiori a qualcuno
con capacità superiori. Ecco perché è indispensabile avere nove differenti
livelli di veicoli.

Meraviglioso:
quest'increata, sveglia presenza dell'attimo è il vero Samantabhadra
da cui non siete mai stati separati neppure per un istante.
Riconoscendola, rimanete nella naturalezza.

È un verso molto importante, e lo spiegherò riga per riga. Inizia con


l'esclamazione ema, che significa 'meraviglioso'. La prima riga dice:
"Quest'increata, sveglia presenza dell'attimo". L'espressione 'sveglia
presenza dell'attimo' è la stessa che significa coscienza o mente; è ciò che
sperimenta proprio ora. (Rinpoche schiocca le dita.) Sentite il suono,
vero? Non ci sono dubbi a questo riguardo. C'è l'ascolto di un suono. Ciò è
dovuto al fatto che in questi corpi c'è la sveglia presenza dell'attimo.
Nel corpo c'è una mente proprio in questo attimo, perciò è possibile
sentire tramite le orecchie. Quando la mente, la qualità della sveglia
presenza, lascia il vostro corpo, che diventa un cadavere, posso schioccare
le dita davanti alle vostre orecchie cento volte, ma non ci sarà nessun
ascolto. Non c'è la coscienza che ascolta, nessuna conoscenza del suono,
perché la mente se n'è andata. Ciò che sperimenta non è il corpo: è ciò
che si trova nel corpo proprio ora, in questo momento, adesso, non nel
passato o nel futuro, bensì proprio nell'istante presente.
Quando qualcuno schiocca le dita come ho appena fatto, avviene subito
l'ascolto. Il che è possibile soltanto perché c'è la sveglia presenza
dell'attimo. Nient'altro può ascoltare il suono. Le orecchie di per sé non
possono ascoltare, come nel caso di un cadavere. I cinque elementi, e
così via, non odono; i cinque organi sensoriali di per sé non odono;
soltanto la mente ode. Quest'increata, sveglia presenza dell'attimo
(increata vuol dire naturale) dovrebbe essere lasciata così com'è
naturalmente.
Spesso (forse troppo spesso!) porto un esempio molto semplice di
naturalezza. Un albero che cresce in montagna è naturale; ma se viene
tagliato e trasformato in un tavolo, non è più la forma naturale del legno.
La parola 'increato' in questo contesto significa che si deve lasciare la
propria sveglia presenza dell'attimo esattamente così com'è, senza
modificarla in nessun modo. Niente viene accolto o evitato, non c'è nulla
da mantenere, accettare o rifiutare, nulla da analizzare. Senz'alcuna
speranza o paura, semplicemente lasciate che la sveglia presenza
dell'attimo sia così com'è. Questa è la prima riga: "Quest'increata, sveglia
presenza dell'attimo".
La seconda riga dice: "È il vero Samantabhadra". Samantabhadra è la
piena maestria della natura presente in tutti gli stati del samsara e del
nirvana; è la vostra natura di buddha che pervade tutto ma è pienamente
realizzata. Il vero Samantabhadra è la realizzazione della vostra sveglia
presenza dell'attimo.
La terza riga dice: "Da cui non siete mai stati separati neppure per un
istante". In nessun momento, mai, la vostra natura è andata perduta. La
mente e la sua essenza non sono mai separate, come nell'esempio del
sole e dei suoi raggi che non sono separati. Ciò viene chiamato rangjung
yeshe, sveglia presenza spontanea. La natura di buddha è come il sole; i
raggi di luce sono come i pensieri della mente degli esseri senzienti.
La mente e la sua essenza non sono separate. Anche la saggezza innata e
l'ignoranza innata sono inseparabili come il fuoco e il fumo. Non siamo
mai stati separati da questa essenza neppure per un istante. La nostra
vera natura è Samantabhadra, la natura che pervade tanto il nirvana
quanto il samsara. Sebbene sia stata sempre presente, questo di per sé
non è sufficiente, perché non è stata riconosciuta. Dobbiamo riconoscerla.
La quarta riga dice: "Riconoscendola, rimanete nella naturalezza". Dovete
trascendere l'intelligenza dualistica. Andate oltre l'osservatore e
l'osservato; andate oltre la dualità. Proprio adesso la nostra intelligenza è
l'atto di pensare a qualcosa. L'attimo dell'originaria, sveglia presenza
spontanea è libero dal pensiero. Dobbiamo riconoscerlo, allenarci e
ottenere la stabilità del riconoscimento. Il riconoscimento è esemplificato
dal neonato che cresce fino a diventare un uomo di venticinque anni.
L'allenamento sin dall'infanzia consiste nel riconoscere e continuare a
riconoscere fino alla piena maestria.
Che voi siate il Buddha Samantabhadra o un minuscolo insetto, non c'è
nessuna differenza nella qualità o nella dimensione della natura di
buddha. Ecco cos'è che fa la differenza: nel caso di un essere senziente
non c'è la conoscenza di sé, perciò la qualità conoscitiva si aggrappa a ciò
che viene sperimentato. In altre parole, dall'ignoranza scaturisce una
confusione che si ripete all'infinito.
I sentieri e i livelli che conducono all'illuminazione descrivono gradi di
stabilità nel riconoscimento. Dobbiamo riconoscere la vuota conoscenza:
cos'è realmente questo attimo di sveglia presenza increata. Lasciate
semplicemente che sia così com'è, rimanete nella naturalezza. Ecco
l'intero insegnamento in poche parole. Dopo il riconoscimento, allenatevi
grazie alla naturalezza non alterata. Alla fine ottenete la stabilità. Ripeto
le quattro righe:

Meraviglioso:
quest'increata, sveglia presenza dell'attimo è il vero Samantabhadra
da cui non siete mai stati separati neppure per un istante.
Riconoscendola, rimanete nella naturalezza.

Ogni essere senziente conosce. La conoscenza è incessante, perché è la


nostra natura. È nella natura della mente conoscere. La sveglia presenza
esiste sempre, in ogni momento. Se l'attuale attimo di sveglia presenza
viene lasciato com'è senza alterarlo, è proprio l'essenza della mente nuda.
Il passato è cessato, il futuro non è arrivato e il presente non è
concettualizzato in nessun modo. L'attuale attimo di sveglia presenza non
contraffatta viene visto nel momento stesso in cui osserviamo. A volte lo
si chiama mente del presente, mente ordinaria, mente nuda. Mente
ordinaria significa che non è né peggiorata né migliorata. Ordinaria vuol
dire che la sveglia presenza incessante esiste in tutti gli esseri da
Samantabhadra agli insetti più minuti.
Questa sveglia presenza incessante è il vero Samantabhadra.
Di solito alteriamo la nostra sveglia presenza dell'attimo con la speranza e
il timore, accettando e rifiutando. Ma adesso, dopo il riconoscimento della
sua natura, non dovete fare nient'altro. Non deve essere trattenuta o
mantenuta in nessun modo, perché è per natura così di per sé. Se la
lasciamo semplicemente così com'è senza farle nulla, è al di là del
miglioramento o della rovina.
Sinceramente, non è come se in Samantabhadra ci fosse una buona
natura di buddha e in un insetto ce ne fosse una cattiva. La mente di
ognuno di noi ha la medesima qualità della natura di buddha. È così vicina
e così facile che non ci crediamo. È così vicina e così facile che la maggior
parte delle persone non riesce a credere che sia sufficiente soltanto lasciar
essere! Ma la differenza tra il samsara e il nirvana è solo una questione di
riconoscimento o non riconoscimento. Nell'istante stesso in cui
riconoscete, non c'è nulla di più semplice. Nell'istante in cui vedete
l'essenza della mente, essa è già riconosciuta; non c'è nient'altro da fare.
In quel medesimo momento non è necessario meditare su niente.
Samatha deve essere meditato, coltivato. Questa vacuità non ha un
atomo di nulla su cui si debba meditare.
Dopo il riconoscimento perdiamo la continuità, certo. Ci distraiamo.
Perdere la continuità, distrarsi, è di per sé lo stato dell'illusione. Meditare
sulla natura di buddha come se fosse un oggetto è il lavoro della mente
concettuale. È proprio la mente concettuale che ci fa vagare di continuo
nel samsara. 'L'immediatezza della propria sveglia presenza dell'attimo'
vuol dire non pensare più al passato, e non pianificare più il futuro. Il
pensiero del passato se n'è andato, e il pensiero del futuro non è ancora
arrivato. Nel presente può apparire uno spazio, un intervallo, ma gli esseri
senzienti lo chiudono continuamente; ci ricolleghiamo ai pensieri, anziché
lasciare che ci sia quello spazio privo di concetti. Invece di affrettarvi a
chiudere quello spazio, semplicemente rimanete nella sveglia presenza
dell'attimo. La nuda mente ordinaria, ciò che esiste per natura, è
presente. Non dovete fare nulla affinché appaia. Questo trascendere i
pensieri dei tre tempi è il significato essenziale delle 'tre porte della
liberazione' menzionate nei Sùtra.
In quel momento non dovete intervenire in nessun modo sulla vostra
sveglia presenza dell'attimo; è già così com'è. Ecco il vero significato della
nuda mente ordinaria, tamal kyi shepa, una famosa espressione in
tibetano. Mente ordinaria vuol dire non alterata. Lì non c'è nessuna 'cosa'
che debba essere accettata o rifiutata; è semplicemente così com'è. La
parola 'mente ordinaria' è il modo più immediato e diretto di descrivere la
natura della mente. Qualunque sia la terminologia utilizzata nella Via di
Mezzo, nella Mahàmudrà o nello Dzogchen, 'nuda mente ordinaria' è
l'espressione più semplice. È la maniera più immediata di descrivere
com'è realmente la nostra natura. Significa che niente deve essere
accettato o rifiutato; è già perfetta così com 'è.
Non proiettate all'esterno, non ritirate all'interno, non dirigete la sveglia
presenza in nessun luogo intermedio. Che l'attenzione sia diretta
all'esterno o all'interno, non è necessario collocarla in uno stato di calma
forzata. Dobbiamo essere liberi dai pensieri dei tre tempi. Non c'è niente
di più facile. È come indicare lo spazio: quante cose dovete fare prima di
indicare lo spazio? È la stessa cosa. Quello è il momento in cui non dovete
fare assolutamente nulla. 'L'essenza della mente è sin dall'origine vuota e
senza radice'. Conoscerla è di per sé sufficiente. Certo che potete
conoscere la vostra mente!
'Coltivare samatha e allenarsi alla vipasyanà' è come imparare l'alfabeto.
Se non lo impariamo, non saremo mai in grado di leggere e scrivere.
Quando la meditazione si è dissolta nella spaziosità della propria natura
fondamentale, allora 'è più facile vedere ed è più facile mantenere'. 'Più
facile vedere' vuol dire che riconoscere è semplice. 'Più facile mantenere'
significa essere esperti della naturalezza. Senza proiettare, senza
concentrarvi, liberi dal pensiero, abituatevi alla continuità.
Per farla breve: "Non meditate mai, ma non perdete mai l'essenza". Non è
un atto di meditazione come samatha.. Però, se vi dimenticate
dell'essenza e vi distraete, ricadete nella confusione. Non meditate mai, e
non distraetevi mai. Quando vi dimenticate dell'essenza, applicate la
presenza mentale. Senza questa attenzione, il vecchio schema prende di
nuovo il sopravvento. La vecchia abitudine di non vedere l'essenza della
mente ed essere di continuo coinvolti nel pensiero è chiamata 'estensione
nera'. Senza l'attenzione, senza il ricordo, non c'è niente che ci ricordi di
riconoscere l'essenza della mente.

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