Parte II°
Alexander Berzin
La confusione
Uno dei punti cardine del buddhismo è il rendersi conto che i problemi che ci si presentano
sono tutti generati da cause. Non sono là senza una causa; l’origine di questi problemi si
trova in noi stessi. Comprendere ciò è una gran cosa, ma non è semplice per la maggior
parte delle persone. Ciò perché la maggior parte di noi tende a colpevolizzare gli altri, o la
situazione esterna. Noi pensiamo: “ Sono dispiaciuto a causa tua – tu non mi hai
telefonato, tu mi hai abbandonato, tu non mi ami. E’ tutta colpa tua”. O magari,
addossiamo la colpa ai nostri genitori per ciò che hanno fatto, o non hanno fatto, quando
eravamo bambini. O ancora, accusiamo la situazione economica o politica, la situazione
sociale e così via. Evidentemente tutti questi fattori giocano un ruolo nel nostro vissuto. Il
buddhismo non lo nega, ma la causa principale – la vera causa dei nostri problemi- è
dentro di noi: si tratta sei nostri atteggiamenti mentali e, soprattutto, della nostra
confusione.
Se vogliamo trovare un elemento che definisca chiaramente l’atteggiamento di un
praticante buddhista, o il senso della pratica del buddhismo nella vita quotidiana, direi che
è questo: quando siamo in difficoltà, guardiamo dentro noi stessi per cercare di trovarvi
l’origine e, una volta identificatala, cerchiamo di cambiare la situazione a partire
dall’interno. Quando parliamo di volgere lo sguardo dentro di noi per cercare la fonte dei
nostri problemi, non significa far leva su un giudizio morale del tipo: “ Sono cattivo(a) e
devo cambiare per diventare buono(a)”. Il buddhismo non verte su giudizi morali. Se
cerchiamo l’origine di un nostro problema dentro di noi, è semplicemente perché soffriamo
e vogliamo sbarazzarci dei nostri problemi e del nostro malessere ed è proprio il nostro
atteggiamento ad esserne la causa principale. Il Buddha ha detto precisamente che la causa
più profonda dei nostri problemi e della nostra sofferenza è data dalla confusione. Dunque,
bisogna scoprire in che cosa siamo confusi rispetto a ciò che accade e come possiamo
correggere questa confusione acquisendo la comprensione corretta delle cose.
Su che poggia la nostra confusione? Su molteplici cose. Una di queste è data dalle cause e
gli effetti comportamentali. Ad esempio, crediamo che se agiamo in un certo modo, ciò non
produrrà alcun effetto. Così pensiamo: “Posso arrivare in ritardo, ignorarti, senza che
succeda nulla”. Ciò è falso e dipende dalla confusione. O ancora crediamo che un tale atto
o un tale comportamento da noi posto in essere produrrà un certo effetto che magari è
assurdo e non può prodursi in nessun caso. Ad esempio: “Sono stato gentile con te, ora tu
mi amerai. Ti ho fatto un regalo, allora perché non mi ami?” Con questo genere di pensieri
ci creiamo delle false aspettative, dando ai nostri atti e ai nostri comportamenti più
importanza di quella che hanno. Crediamo anche che certe cose produrranno un certo
effetto, quando, in realtà, ne producono uno esattamente contrario. Un altro esempio:
desideriamo essere felici e crediamo che sia sufficiente ubriacarsi. Ma ciò porterà, più che
felicità, solamente maggiori problemi.
L’altra cosa che ingenera confusione è il come noi esistiamo, come esistono gli altri e come
esiste il mondo. Ad esempio, noi patiamo la vecchiaia e le malattie e ciò ci rende infelici.
Ma cos’altro ci si può attendere in quanto esseri umani? Gli esseri umani, si ammalano,
invecchiano – a meno che non muoiano giovani. Ciò non deve sorprenderci. Quando si
cominciano a vedere i capelli grigi allo specchio, ciò ci rende infelici e ci sciocca, ma non è
una reazione realistica, dipende appunto dalla confusione circa il quesito di cui sopra.
Diciamo che abbiamo un problema con la vecchiaia. A causa della confusione che la
sottende – la nostra non accettazione della realtà della vecchiaia – noi agiamo in modo
distruttivo sotto l’ influenza di emozioni e attitudini perturbatrici. Ad esempio, Il fatto di
cercare in maniera compulsiva di avere l’aria giovane e attraente ci fa agire nel desiderio
nostalgico di provare a ottenere delle cose che, noi lo speriamo, ci rassicureranno - come
l’attenzione e l’amore degli altri soprattutto dei più giovani che noi troviamo attraenti.
Questa sindrome copre in generale la confusione per cui: “Io sono la persona più
importante del mondo, sono al centro dell’universo. Dunque tutti dovrebbero occuparsi di
me. Poco importa l’aspetto che ho, tutti dovrebbero trovarmi attraente e amarmi”. Noi
impazziamo se qualcuno non ci trova attraenti e non ci ama. E lo diventiamo ancora di più
se gli altri c’ignorano – se essi non ci prestano attenzione, mentre ameremmo coloro che ci
trovano attraenti se non fisicamente, almeno in modo diverso. Ma non tutti amano Buddha
Shakyamuni; allora che speranza può esserci che tutti ci amino!
Il nostro desiderio di essere amati da tutti parte da un’aspettativa non realistica. Ciò non è
la realtà. Si basa sulla confusione, sul desiderio nostalgico e sulla convinzione secondo cui
tutti dovrebbero trovarci attraenti e prestarci attenzione. Sottende l’attitudine
perturbatrice dell’ingenuità. Noi ci sentiamo talmente importanti e ci troviamo talmente
adorabili che tutti dovrebbero amarci e colui o colei che non ci ama deve avere,per forza,
qualcosa che non va in lui(lei). Peggio ancora, cominciamo a dubitare di noi stessi. “C’è
senz’altro qualcosa che non va in me se questa persona non mi ama”e ci sentiamo a disagio
o colpevoli. Tutto ciò dipende dall’ingenuità.
Dunque, lavorare su se stessi è la cosa più importante. E’ proprio questo il proposito della
pratica del dharma. Quale che sia la situazione – eventuali difficoltà, insicurezza o
qualsiasi altra cosa, guardiamoci dentro di noi. C’è la confusione dietro le emozioni
perturbatrici che provo? Tuttavia se noi prendiamo una relazione in cui siamo coinvolti che
presenta dei problemi, abbiamo egualmente bisogno di renderci conto che non siamo solo
noi ad essere confusi. E’ evidente che anche l’altra persona è afflitta dalla confusione. Non
bisogna dire semplicemente: “Occorre che cambi, tutto ciò che faccio io è perfetto; sei tu
che devi cambiare”. D’altro canto, non va neanche bene dire: “ Sono io il solo che devo
cambiare”, perché può degenerare nel complesso del martire. Si deve cercare di discutere
le cose apertamente con l’altra persona – pur correndo il rischio, ovviamente, che questa
non recepisca. E’ necessario riconoscere che entrambi siamo in confusione. Entrambi
abbiamo un problema a capire ciò che accade all’interno della relazione, allora sforziamoci
di schiarire la confusione di entrambi. E’ il modo più realistico e più “dharmico” di
procedere.
Sull’elasticità mentale
La pratica del Dharma richiede anche che si familiarizzi con molte differenti forze
contrastanti, non solamente una o due. La nostra vita è molto complessa e un antidoto
particolare non funzionerà per tutti i colpi. Una certa pratica non è detto che sia la più
efficace in ogni situazione. Per essere veramente in grado di applicare le cose nella vita
quotidiana, sono richieste una grande elasticità mentale e molti metodi differenti. Se
questo non va, allora facciamo quello;se questo non va allora facciamo quest’altro.
Il mio maestro, Tsenshab Serkong Rinpoche, aveva l’abitudine di dire che se si cerca di fare
qualcosa nella vita occorre sempre avere due o tre piani di riserva. Allora, se il piano A non
funziona, non si abbandona la partita. Perché si ha di riserva il piano B e il piano C. Uno di
questi dovrà pur funzionare. Questo consiglio mi è stato molto utile. E’ la stessa cosa col
Dharma: se il metodo A non funziona in una certa situazione, abbiamo sempre un piano di
riserva, ci sono altre cose cui potersi rivolgere. Tutto ciò è evidentemente basato sullo
studio, sull’apprendimento dei diversi metodi e sulle meditazioni nelle quali ci esercitiamo
a mo’ di preparazione, come si fa per un addestramento psicologico. Si lavora per allenarsi
a familiarizzare con questi metodi al fine di poterli applicare efficacemente nella vita
quotidiana al bisogno. Per questo non bisogna considerare la pratica del Dharma come un
passatempo, poiché esige un impegno a tempo pieno.
L’ispirazione
Lavorando su noi stessi possiamo trovare ispirazione dai maestri spirituali e dalla
comunità di persone che praticano con noi. Ma per la maggior parte delle persone, racconti
fantastici riferiti da secoli, di maestri che possono librarsi in aria, non rappresentano, per
quanto riguarda i maestri, una fonte stabile d’ispirazione. E’ veramente difficile, infatti,
identificarsi in cose che conducono dritte nel trip della magia. I migliori esempi sono delle
persone in carne e ossa con cui abbiamo dei contatti, anche se questi contatti sono minimi.
I buddha e i maestri qualificati non cercano d’impressionarci, tanto meno cercano
d’ispirarci. Si prende come esempio il sole, si dice che essi sono come il sole. Il sole non
cerca di dare calore alla gente; proprio per come è, esso dà naturalmente calore agli altri.
Lo stesso vale per i grandi maestri spirituali. Essi c’ispirano spontaneamente e
naturalmente attraverso il loro modo di essere nella vita, il loro carattere, il modo in cui si
occupano delle cose, e non attraverso giochi di magia. Il più ispirante è quello più realista,
terra terra.
Mi viene in mente Dudjom Rinpoche. E’morto a parecchi anni. Era a capo del lignaggio
Nyingmapa ed era uno dei miei maestri. Aveva un’asma spaventosa. Anch’io ho l’asma e,
dunque, so cosa significhi avere difficoltà a respirare. So quant’è difficile insegnare,
quando non si può respirare normalmente, perché occorre convogliare ogni energia verso
l’interno per ricevere aria sufficiente. E’ dunque molto difficile, in questa condizione,
dirigere la propria energia verso l’esterno. Vedevo Dudjiom Rinpoche, in piena crisi
asmatica, salire sul palco e insegnare. Non era disturbato affatto dalla sua asma e vi si
adattava in modo incredibile prodigando insegnamenti di straordinaria qualità. Ciò era
incredibilmente ispirante, molto terra terra, nessun gioco di prestigio. E’ trattare le
situazioni reali della vita, ecco ciò che è ispirante.
Nel corso del cammino spirituale e dei nostri progressi possiamo anche trovare ispirazione
in noi stessi. Ecco un’ importante fonte d’ispirazione. Noi otteniamo ispirazione dal nostro
progresso. Ma per questo bisogna essere molto sensibili. La maggior parte della gente non
sopporta questo fattore sul piano affettivo, perché si tende a divenire arroganti e fieri
quando si fanno dei progressi. Dunque, occorre stabilire con circospezione ciò che
s’intende per ”progressi”.