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Mi avete chiesto di parlare della pratica del Dharma nella vita quotidiana. E¶ importante
comprendere ciò che si vuol dire con´ Dharma ³. Ê è una parola sanscrita che
significa letteralmente´misura preventiva´. E¶ qualcosa che si fa per evitare i problemi. Per
trovare un interesse alla pratica del Dharma, bisogna riconoscere che la via comporta dei
problemi. E per questo, occorre coraggio. C¶è molta gente che non prende la vita
seriamente, che lavora duramente durante il giorno e poi la sera, poiché sono stanchi
cercano di distrarsi in tutti i modi. Queste persone non si guardano veramente dentro per
cercare la causa dei loro problemi. O anche quando vedono i loro problemi, non vogliono
ammettere che la loro vita non è soddisfacente poiché sarebbe troppo deprimente. Occorre
coraggio per verificare veramente la qualità della nostra vita e, nel caso, ammettere che
non ne siamo soddisfatti.
Secondo il Buddhismo, anche se gli altri, la società e via dicendo, aggravano i nostri
problemi, essi non sono veramente la loro causa più profonda. Per scoprire la causa più
profonda delle nostre difficoltà, è necessario rivolgere lo sguardo dentro noi stessi. Dopo
tutto se noi pensiamo di essere sfortunati nella vita, è una reazione alla nostra situazione.
E diverse persone rispondono in modo differente alla stessa situazione. E¶ sufficiente
osservare noi stessi per constatare che la nostra reazione alle difficoltà varia da un giorno
all¶altro. Se fosse solo la situazione esterna la causa del problema, la nostra reazione
dovrebbe essere sempre la stessa, ma non è così. Ci sono dei fattori che incidono sul nostro
modo di reagire alle situazioni, come aver avuto o meno una buona giornata lavorativa, ma
non sono che fattori marginali. Essi non incidono in profondità.
A guardare più da vicino, noi vediamo che la nostra attitudine verso la vita, verso noi
stessi e la nostra situazione contribuisce molto a determinare come ci sentiamo . Ad
esempio, non ci affliggiamo costantemente quando passiamo una bella giornata, ma in
caso contrario il sentimento di afflizione ritorna. La nostra attitudine fondamentale verso
la vita forma il nostro vissuto. E se guardiamo an cor più da vicino ci rendiamo conto che la
nostra attitudine mentale riposa sulla confusione.
Seguire un maestro spirituale può essere utile solo se la relazione è sana. Altrimenti la
situazione non può che peggiorare e accrescere la confusione. All¶inizio, credendo che il
maestro sia perfetto, che l¶amico/a sia perfetto, noi possiamo trovarci sprofondati in uno
stato di rimozione della realtà, ma presto o tardi la nostra ingenuità finisce per scomparire.
E quando cominciamo a vedere le debolezze dell¶altro e ad accorgerci che lui o lei non ci
salverà dalla nostra confusione, allora crolliamo. Ci sentiamo traditi. La nostra fiducia e la
nostra confidenza sono state tradite. Che orribile sensazione! E¶ molto impotante cercare di
evitare fin dall¶inizio che si verifichi una situazione simile. Bisogna praticare il Dharma, le
misure preventive. Occorre sapere ciò che è possibile e ciò che non lo è, ciò che può fare un
maestro spirituale e ciò che non può fare! Prendiamo delle misure preventive per evitare di
abbatterci.
Bisogna coltivare uno stato mentale libero dalla confusione. La comprensione, che è il
contrario della confusione, serve a impedirle di manifestarsi. Il nostro lavoro nel dharma
richiede introspezione e attenzione alle nostre attitudini mentali, alle nostre emozioni
perturbatrici e al nostro comportamento impulsivo, compulsivo o nervoso. Ciò significa
che siamo pronti a vedere cose di noi stessi non propriamente piacevoli, cose che
preferiremmo rimuovere. Quando notiamo che certe cose sono la causa dei nostri
problemi, allora dobbiamo applicare degli antidoti per superarle. E per questo abbiamo
bisogno della base che è data dallo studio e dalla meditazione. Dobbiamo imp arare ad
identificare le emozioni e le attitudini mentali perturbatrici e la loro origine.
La meditazione, significa che ci esercitiamo ad applicare questi diversi antidoti in una
situazione di cui abbiamo il controllo e che quindi, fa miliarizzando con essi, diveniamo
capaci di applicarli nella vita reale. Ad esempio, se abbiamo l¶abitudine di arrabbiarci
quando gli altri non si comportano come vorremmo, durante la meditazione pensiamo a
queste situazioni e sforziamoci di vederle partendo da un altro punto di vista. Ci possono
essere numerose ragioni per cui l¶altro si comporta in modo spiacevole.
Non necessariamente per contrariarci o perché non ci ami. Nella meditazione, cerchiamo
di dissolvere attitudini mentali quali ³ Il mio amico/a non mi ama più perché non mi
chiama.´ Se noi affrontiamo una situazione del genere mantenendo uno stato mentale più
disteso, calmo e comprensivo, non saremo più così contrariati se quella persona non ci
chiama per tutta la settimana. E se iniziamo a dispiacerci, ricordiamoci che quella persona
probabilmente è molto occupata e che sarebbe da egocentrici credere di essere al centro dei
suoi pensieri.
Quando lavoriamo su noi stessi, bisogna far attenzione a un altro paio di estremi: essere
completamente preoccupati per i propri sentimenti o non esserne affatto coscienti.
Il primo estremo è una preoccupazione narcisistica. Noi siamo toccati che da ciò che
proviamo e tendiamo a ignor are ciò che gli altri provano. Tendiamo a pensare che il nostro
sentire sia molto più importante di quello degli altri. D¶altro canto, possiamo essere
completamente staccati dai nostri sentimenti o non provarli affatto, come se le nostre
emozioni fossero anestetizzate. Occorre un equilibrio delicato per evitare questi estremi.
Non è così facile.
Se noi ci controlliamo costantemente, questo crea una dualità immaginaria ± noi stessi
e ciò che noi proviamo o facciamo ± e, dunque, non possiamo veramente entrare in
relazione con qualcun altro o essere con l¶altro. La vera arte sta nell¶essere connessi e
nell¶agire con spontaneità e sincerità avendo una parte di attenzione puntata sulla propria
motivazione e così via. Occorre assolutamente provare, ma no n è necessario tuttavia
dissociarsi al punto da dimenticare di rapportarsi all¶altro. Dovrei anche insistere sul fatto
che talvolta è utile informare l¶altro che, essendo presenti alla relazione, noi verifichiamo la
nostra motivazione e i nostri sentimenti. Ma sarebbe molto narcisistico sentirci
a dirlo. Sovente ciò che noi proviamo non interessa ad alcuno e sarebbe molto pretenzioso
credere che gli altri vogliano saperlo. Quando ci rendiamo conto che cominciamo ad agire
da egoisti è sufficiente fermarci. Non serve annunciarlo. Un'altra coppia di estremi
consiste nel credere che siamo interamente buoni o interamente cattivi. A mettere troppo
l¶accento sulle nostre difficoltà, i nostri problemi e le nostre emozioni perturbatrici,
finiamo per credere che siamo cattivi e ciò può facilmente degenerare in un senso di colpa.
³Occorre praticare perché se non pratico sono cattivo´. Ecco una base nevrotica per la
pratica!
Bisogna anche evitare l¶altro estremo che consiste nel mettere troppo in evidenza i
nostri lati positivi. ³ Tutti noi siamo perfetti, basta vedere la nostra natura di Buddha.Tutto
è per il meglio nel migliore dei mondi.´ Ciò è molto pericoloso poiché può implicare che
noi, proprio perché è sufficiente vedere la nostra natura di Buddha, non sentiamo il
bisogno di abbandonare né di far cessare le nostre attitudini negative. ³Sono meraviglioso,
sono perfetto, non ho bisogno di fermare il mio comportamento negativo.´ Ciò che ci
occorre è un equilibrio. Se ci sentiamo depressi allora ricordiamoci della nostra natura di
Buddha; se ci sentiamo euforici, ricordiamoci dei nostri lati negativi..
Si tratta essenzialmente di diventare responsabili di noi stessi, del nostro personale
sviluppo e di sbarazzarci dei nostri problemi. Certamente abbiamo bisogno di aiuto, non è
facile fare tutto da soli. Possiamo ricevere aiuto dal nostro maestro spirituale o dalla nostra
comunità spirituale, da persone che condividono i nostri valori e che lavorano su se stessi
anziché scaricare sugli altri i propri problemi. Per questo è importante in una relazione
condividere la stessa attitudine, in particolare, non biasimare l¶altro per i problemi che
possono sopraggiungere. Se le due parti si rimandano la responsabilità l¶una con l¶altra, ciò
non funziona. Se c¶è uno che lavora su di sé e l¶altro non fa che criticare , ciò non funziona.
Se noi ci troviamo già in una relazione dove l¶altra persona ci addossa la responsabilità
delle difficoltà e ci stiamo a domandare in che cosa possiamo contribuirvi, ciò non significa
che occorre cessare la relazione, ma è tuttavia più difficile. Occorre cercare di non fare i
martiri in questa relazione: ³Devo sopportare tutto questo! Com¶è faticoso!´ Tutta la
situazione può essere molto nevrotica.
La forma di sostegno che possiamo ricevere da un maestro spirituale, da una comunità
spirituale o da un amico con cui condividiamo gli stessi valori è ciò che a volte si dice
³l¶ispirazione´. Gli insegnamenti del Buddhismo insistono molto sull¶ispirazione ricevuta
dai Tre Gioielli, dai maestri, etc. Il termine tibetano ü è abitualmente
tradotto con ³benedizioni´, ma è una traduzione impropria. Noi abbiamo bisogno
d¶ispirazione, di una sorta di forza per continuare.
La via del Dharma non è una via facile. Significa occuparsi del lato sporco della vita.
Abbiamo bisogno di fonti d¶ispirazione che siano affidabili. Se prendiamo come fonte
d¶ispirazione maestri che riportano storie fantastiche di miracoli e tutto questo genere di
cose, ciò non sarà molto affidabile. Tutto ciò può essere affascinante ma bisogna vedere
come ci può influenzare. Nel migliore dei casi, ciò rafforzerà l¶idea illusoria che possiamo
ottenere la salute attraverso i miracoli. Immaginiamo che un g rande mago ci salverà grazie
ai suoi poteri miracolosi o che saremo noi stessi capaci di acquisire tali poteri. Bisogna
essere prudenti nei confronti di questi racconti fantastici. Essi possono ispirarci nella
nostra fede e ciò può essere utile, ma non è la base solida d¶ispirazione di cui abbiamo
bisogno.
Un perfetto esempio è quello del Buddha. Il Buddha non cercava d¶ ³ispirare´ le persone
né d¶impressionarle con racconti fantastici. Egli non si dava importanza passeggiando e
benedicendo la gente, o facendo cose del genere. L¶analogia che il Buddha utilizzava e che
si ritrova in tutti gli insegnamenti buddhisti, è che un buddha è come il sole. Il sole non
cerca di riscaldare le persone. Il sole naturalmente, proprio per il fatto di essere il sole, dà
spontaneamente il calore a tutti. E se ascoltare una storia favolosa, o rimanere colpiti
davanti a una statua, o ricevere un cordino rosso da legare attorno al collo , può renderci
euforici,ciò non è solido. Una fonte affidabile d¶ispirazione, è il mo do d¶essere del maestro,
naturale, spontaneo ±il suo carattere, il suo modo d¶essere in quanto risultato della sua
pratica del Dharma. E¶ ciò che c¶ispira, non ciò che qualcuno può fare per divertirci. Benché
possiamo rimanere affascinati da una storia fantastica, ciò non può darci un solido
sentimento d¶ispirazione. Via via che avanziamo, possiamo trovare ispirazione nel nostro
stesso progresso ± non per l¶acquisizione di poteri miracolosi, ma per il modo in cui il
nostro carattere cambia lentamente. Gli insegnamenti insistono sempre sul fatto che
occorre rallegrarsi delle nostre azioni positive. E¶ molto importante ricordarci che
l¶avanzamento non è mai lineare. Le cose non migliorano di giorno in giorno. Una delle
caratteristiche del samsara è che i nostri umori conoscono alti e bassi almeno finché non ci
siamo liberati completamente dal e questo è uno stato incredibilmente avanzato.
Dobbiamo aspettarci di essere ora felici, ora infelici. Talvolta saremo capaci di agire in
modo positivo, talaltra le nostre abitudini nevrotiche prenderanno il sopravvento. Ci sono
alti e bassi, si sale e si scende. Normalmente, niente miracoli.
Ciò di cui abbiamo bisogno è di essere pragmatici e di tenere i piedi per terra. Quando
facciamo delle pratiche di purificazione come la pratica di Vajrasattva, non bisogna
pensare che San Vajrasattva ci purifichi. Non è una figura che esiste all¶esterno, un grande
santo che ci salverà e ci purificherà. Non è questo il procedimento. Vajrasatthva
rappresenta la purezza naturale della mente di chiara-luce che non è in modo intrinseco
intaccata dalla confusione. La confusione può essere allontanata. E¶ riconoscendo la
purezza naturale della mente per mezzo dei nostri sforzi che possiamo lasciar andare i
sensi di colpa le potenzialità negative, etc. è ciò che permette al processo di purificazione di
funzionare. Inoltre, via via che noi effettuamo tutte queste pratiche e ci sforziamo di
integrare il Dharma nella nostra vita quotidiana, è importante riconoscere e accettare il
nostro livello. E¶ della massima importanza non essere pretenziosi e non voler essere a uno
stadio più elevato di quello in cui in realtà ci si trova.
Applicando il dharma nella nostra vita quotidiana, guardiamo ci bene dal considerare
negativa o inferiore la religione nella quale siamo nati, o dal rifiutarla. Sarebbe un grave
errore. Si potrebbe infatti diventare un buddhista fanatico o un anticattolico fanatico.
La gente fa ciò anche con il comunismo e la democrazia. Un meccanismo psicologico
chiamato ³fedeltà inopportuna´ prende il sopravvento. Si tratta di una tendenza a voler
essere fedeli alla propria famiglia, al proprio ambiente e così via. Noi vogliamo restare
fedeli al cattolicesimo anche se l¶abbiamo rifiutato. Se noi non siamo fedeli al nostro
ambiente d¶origine e lo rinneghiamo completamente in quanto dannoso, ci sentiamo
cattivi. Essendo una situazione estremamente disagevole, noi proviamo inconsciamente il
bisogno di trovare, nel nostro ambiente originario, qualcosa cui poter essere fedeli.
La tendenza ad essere fedeli ad alcuni aspetti poco benefici del nostro ambiente
originario è inconscia. Ad esempio, può essere che rifiutiamo il Cattolicesimo, ma ci
trasciniamo nel Buddhismo una gran paura degli inferi. Una mia amica, cattolica fervente,
ha vissuto una vera crisi esistenziale dopo essersi rivolta al Buddhismo con altrettanto
fervore. ³Ho abbandonato il C attolicesimo, andrò nell¶inferno cattolico; e se abbandono il
Buddhismo per tornare al Cattolicesimo, andrò nell¶inferno buddhista !´. Ciò può essere
divertente, ma è un vero problema per lei.
Noi apportiamo spesso inconsciamente alcune attitudini del Cattolicesimo nella nostra
pratica buddhista. I più ordinari sono i sensi di colpa e la ricerca di miracoli o di persone
che possano salvarci. Se non pratichiamo, pensiamo che Ô
farlo e, appunto, ci
sentiamo in colpa. Queste idee non ci sono di alcun aiuto. Occorre renderci conto quando
ci comportiamo in questo modo. Dobbiamo esaminare il nostro ambiente d¶origine e
riconoscerne gli aspetti posititvi per poter rimaner fedeli ad essi piuttosto che a quelli
negativi. Invece di pensare: ³ Ho ereditato sensi di colpa e la ricerca di miracoli´, noi
possiamo pensare: ³Ho ereditato dalla tradizione cattolica i valori dell¶amore, della carità e
della solidarietà.´
Possiamo fare la stessa cosa con la nostra famiglia. Può accadere che noi rifiutiamo la
nostra famiglia e che poi inconsciamente rimaniamo fedeli alle sue tradizioni negative
piuttosto che a quelle positive. Ad esempio, se scopriamo che siamo molto grati per
l¶educazione cattolica ricevuta, allora noi possiamo seguire la nostra via senza entrare in
conflitto col nostro passato e senza che sentimenti negativi vengano a turbare i nostri
progressi.