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Consigli per la pratica del

Ngöndro Longchen Nyingthig


*
Dzongsar Jamyang Khyentse Rinpoche
*
basato su:
“La Pratica Breve dei Preliminari”
di
Jamyang Khyentse Wangpo

Prefazione

Questo piccolo, insignificante libro è in realtà il prodotto di un mucchio di


chiacchiere. Però in qualche modo, a causa del debito karmico instauratosi fra
me e un certo numero di esseri senzienti, è accaduto che le chiacchiere siano
state interpretate come insegnamenti.
Comunque sia, il posto dove queste discussioni hanno avuto luogo è la città
tedesca di Silz, mentre il tempo è l’agosto del 2001.

All’inizio del Bodhicharyāvatāra, il grande Shāntideva espresse l’aspirazione


che la stesura di quel testo fosse di beneficio per gli esseri come lui.
Allo stesso modo, se per caso ci fossero – e non c’è dubbio che ci siano – molti
esseri confusi quanto me che possano ricevere beneficio da questo testo, allora
ciò sarà fonte di merito per me stesso. Alla fine, possa questo essere anche
una causa di merito per gli altri.

L’esistenza fisica di questo testo è principalmente dovuta al duro lavoro di


Chanel Grubner. Ovviamente, i lettori devono considerare che questo non è un
lavoro né finito né completo e che quindi può contenere molti errori sia nel
significato che nelle parole usate.
Senza alzare il vessillo dell’orgoglio intellettuale e balzare a conclusioni critiche,
con buon intento e motivazione di favorire il buddhadharma, qualsiasi
commento è particolarmente benvenuto.

Dzongsar J. Khyentse
Rinpoche

Alcuni punti cruciali dell’approccio al Ngöndro

Come tutti sappiamo, gli insegnamenti del Buddha mirano a liberarci da


ogni tipo di illusione, cioè a ciò che chiamiamo illuminazione. Ora, quando
parliamo di liberazione, non stiamo solo cercando di essere liberi dalle illusioni
materiali, ma anche dalla radice vera e propria delle erronee concezioni.
Quindi, usando il termine “illusione”, ci riferiamo a tutti gli aspetti, sia a quelli
più grossolani che a quelli estremamente sottili. Persino qualcosa che
consideriamo essere parte del sentiero, o che consideriamo come un tesoro, o
che consideriamo virtuoso, può rivelarsi proprio ciò che deve essere purificato.
Per permetterci di liberarci dall’illusione, il Buddha insegnò numerosi e
differenti metodi. Tradizionalmente, gli insegnamenti parlano di più di 84.000
di essi. Ciascun metodo è pensato per andare incontro alle diverse esigenze dei
diversi tipi di esseri senzienti, ognuno con intenzioni e motivazioni diverse. Ci
sono quelli completamente determinati ad uscire dal samsāra, questo è il loro
unico scopo. Per questi, il Buddha trasmise l’intero corpo di insegnamenti del
veicolo degli śrāvaka. Invece, altri esseri hanno un tipo di determinazione
ancora più grande. Non solo sono risoluti a liberarsi dal samsāra, ma hanno
anche la determinazione a non rimanere nel nirvāna. In altre parole, c’è la
determinazione a liberarsi da tutti i tipi di estremi, non solo per se stessi ma
per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Per coloro che hanno questa
determinazione, il Buddha insegnò il grande veicolo, noto generalmente come
mahāyāna. In entrambi i casi, sia che si tratti del piccolo o del grande veicolo,
ciascuno dei metodi ed entrambi i veicoli liberano dall’illusione.
Liberarsi dall’ illusione è difficile, a causa delle nostre molte abitudini
inveterate. I nostri pattern abituali sono un qualcosa che abbiamo accumulato
nel corso di innumerevoli vite, nel corso di innumerevoli anni. Si potrebbe
quindi dire che il buddhadharma è un metodo sistematico per rimuovere a uno
a uno gli strati costituiti da questi pattern abitudinari. E’ come se questi fossero
una nostra seconda pelle, che iniziamo a toglierci di dosso attraverso i nostri
studi e la nostra pratica. Ogni volta che rimuoviamo uno strato, però, troviamo
un’ altra pelle sottostante e pensiamo che finalmente questa sia il frutto reale.
Molto presto, tuttavia, comprendiamo che anche quella non è altro che
un’ulteriore pelle e allora rimuoviamo anche quello strato. Ogni volta questo ci
risulta piuttosto difficile, perché tendiamo a pensare che ogni strato sia il frutto
e quindi rimaniamo bloccati su di esso, non riconoscendo che si tratta
solamente di una sottile e ostinata illusione. Per questo abbiamo bisogno di
addestrare la mente.
Sia nel mahāyāna che nello śrāvakayāna c’è un addestramento della
mente completamente strutturato. Nella tradizione śrāvaka, l’addestramento
della mente è basato sulla disciplina di corpo, parola e mente. Ciò è realizzato
nell’ambito della struttura vinaya che comprende cose come il rasarsi il capo,
vestire l’abito monacale e fondamentalmente rinunciare fisicamente alla vita
mondana. Nel mahāyāna, cerchiamo di domare o addestrare la mente con
metodi molto più vigorosi. Oltre alla contemplazione della rinuncia alla vita
mondana, cerchiamo anche di addestrare la mente alla comprensione della
situazione generale e particolare degli altri esseri senzienti. In altre parole
pratichiamo la compassione e generiamo la così detta mente di bodhicitta in
modo da condurre all’illuminazione tutti gli esseri senzienti.
Questa pratica rientra nel sentiero mahāyāna. Ancora, a causa della
differente determinazione, si hanno due categorie di metodi: c’è il mahāyāna
che insegna la causa come sentiero, e c’è il mahāyāna che pratica il risultato
come sentiero. Praticando questo ngöndro si rientra nella seconda categoria,
cioè si prende il risultato come sentiero. Ciò è conosciuto anche come il
sentiero vajrayāna. In questo sentiero, alleniamo la nostra mente non solo
attraverso la rinuncia alla vita mondana e la generazione della compassione e
della bodhicitta, ma anche cercando di trasformare le esperienze impure in
visione pura. Questo è il punto forte del vajrayāna, la differenza di attitudine
che lo rende speciale.
Il modo vajrayāna di guardare al mondo è piuttosto particolare.
L’attitudine prātimoksha (di coloro che seguono il sentiero degli śrāvaka) è
quella di vedere il mondo samsarico come qualcosa di impuro, e ciò è quello
che chiamano “verità della sofferenza”. La logica conclusione a cui porta questa
visione è quella di liberarsi del mondo, di scappare da esso. Questa è
l’attitudine śrāvaka. Nel mahāyāna, il samsāra è altresì considerato imperfetto,
ma invece di cercare di evitarlo, lo scopo è quello di praticare la compassione e
la bodhicitta. Nel vajrayāna, cerchiamo invece di comprendere come i
fenomeni impuri della realtà e la realtà stessa siano invece puri e lo siano
sempre stati. Ciò è quello che cerchiamo di contemplare.
Sfortunatamente il termine ngöndro ha tratto in inganno molte persone.
Letteralmente tradotto, il suo significato infatti è quello di “pratiche
preliminari”. Quindi, in qualche modo, abbiamo sviluppato l’idea che si tratti di
qualcosa di poco importante e comunque non di una pratica principale.
Pensiamo che si tratti di qualcosa che ci venga richiesto prima di poter
avvicinare la “vera” pratica o la linea principale degli insegnamenti. Ciò è molto
triste perché andando avanti negli studi, si realizza che a parte la pratica del
ngöndro, non si trova niente di più distintivo nel vajrayāna. Tuttavia, capisco
perché nel passato i lama abbiano identificato il ngöndro principalmente come
una pratica preliminare; essendo strutturata proprio in quel senso, tende a
incoraggiare i praticanti.
Ad ogni modo, piuttosto che entrare nei dettagli tecnici, vorrei piuttosto
soffermarmi ancora su alcuni punti cruciali. Per quanto riguarda le
visualizzazioni ed altri dettagli tecnici, si possono trovare istruzioni dettagliate
nei grandi commentari, come “Le parole del mio Perfetto Maestro” di Patrül
Rinpoche. Alternativamente, si possono ricevere istruzioni e consigli a
proposito, come per esempio fare le prostrazioni e cose del genere, da altri
praticanti più avanzati.

La struttura del ngöndro

Abbiamo il rifugio, poi c’è bodhicitta e poi ci sono le tre pratiche esclusive del
vajrayāna. Il rifugio è il primo preliminare che ci porta dal sentiero sbagliato a
quello giusto e, in questo senso, è una pratica prātimoksha. Quindi all’interno
del sentiero troviamo il sentiero superiore e quello inferiore, benchè ambedue,
ovviamente, siano giusti. Al fine di incoraggiare i praticanti a praticare il
sentiero superiore abbiamo bodhicitta, che è l’incarnazione dell’intero sentiero
mahāyāna. Quando invece usiamo metodi come la visualizzazione, le sostanze
e i mantra, che sono metodi che non si trovano nello śrāvakayāna, stiamo
parlando di vajrayāna. Abbiamo la recitazione del mantra di Vajrasattva e
l’offerta del mandala dove si usano delle sostanze come supporto della pratica.
Infine, per smantellare il bozzolo dell’illusione, abbiamo la più profonda pratica
del guru yoga. Quindi queste tre pratiche - Vajrasattva, offerta del mandala e
guru yoga - sono essenziali per il sentiero vajrayāna. Come abbiamo visto,
tutti e tre i veicoli sono contenuti nel ngöndro: il rifugio come pratica
prātimoksha, bodhicitta come pratica mahāyāna e il resto come pratica
vajrayāna.
La pratica del ngöndro non è da sottovalutare, non è una pratica da
giardino d’infanzia: in realtà è una pratica fondamentale. Patrül Rinpoche
diceva:”Sotto molti aspetti la pratica del ngöndro è molto più importante della
pratica principale, poiché ne è il fondamento.” Altri grandi maestri come Sua
Santità Dilgo Khyentse Rinpoche e Dudjom Rinpoche ne riconoscevano
l’importanza. Si potrebbe pensare che se il ngöndro fosse solo un preliminare,
o un semplice pre-requisito per la pratica, maestri di quel calibro non
avrebbero dovuto praticarlo, o che comunque non avrebbero dovuto averne
bisogno. Invece, proprio con i miei occhi, ho visto Dilgo Khyentse Rinpoche e
Dudjom Rinpoche praticare il Nyingthig Ngöndro persino verso la fine delle loro
vite. Questo fatto da solo ci dovrebbe convincere della necessità di praticare il
ngöndro.

Distinguere la teoria dalle istruzioni essenziali

Nello studio e nella pratica del Buddhismo, si incontrano ciò che può essere
definita la teoria vera e propria (sūtra o shāstra del mahāyāna) e quelle che
sono le istruzioni essenziali. In modo simile nel vajrayāna si hanno i testi
tantrici come il Kālachakra, Chakrasamvara o Hevajra, e oltre a questi le
istruzioni essenziali. Mentre c’è una grossa differenza fra la teoria e le istruzioni
essenziali, nello stesso tempo c’è anche una grande complementarietà.
E’ molto strano, ma ho notato che sia in oriente come in occidente,
quando si studia il mahāyāna, si tende a mettere troppa enfasi nella teoria e a
trascurare le istruzioni essenziali. Nel vajrayāna accade il contrario: si
apprezzano grandemente le istruzioni e si dimenticano completamente i testi e
lo studio del tantra. In realtà la teoria e le istruzioni sono altrettanto
importanti. Soprattutto se si segue il sentiero mahāyāna o vajrayāna, ciò è
qualcosa che bisognerebbe tenere bene a mente.
La distinzione fra teoria ed istruzioni essenziali è molto chiara.
Usando l’analogia con l’imparare a guidare un auto, abbiamo un manuale di
guida che accompagna ogni auto, che possiamo leggere dalla prima all’ultima
pagina. Il manuale è l’equivalente dei testi tantrici ed è ciò che chiamiamo
teoria. Mentre il testo della parte teorica è molto logico e razionale, il
linguaggio delle istruzioni essenziali è variabile, piuttosto d’effetto ed inusuale.
Supponiamo che ci siano cinquanta persone che vogliano imparare a
guidare, ciascuna di esse con le sue paranoie e differenti abilità fisiche. Magari
qualcuna di esse ha difficoltà nell’uso del piede destro, oppure qualsiasi altro
tipo di anomalia. Ciascuna persona ha la sua unica e distinguibile condizione
fisica e mentale. Dunque, quando si tratta di insegnare a qualcuno a guidare,
ciò che è a disposizione è lo stesso testo, lo stesso manuale e anche la stessa
auto. Quello che io, come insegnante di guida, posso darvi è quindi lo stesso
materiale. Anche parte delle istruzioni, come ad esempio: ”se si gira il volante
a destra, la macchina svolterà a destra”, sono standard. Per quello che
riguarda le istruzioni non standard, averle o non averle dipende molto da
fattori individuali, come ad esempio il tempo che si dedica all’apprendimento.
Alcuni di voi possono non curarsi di quanto velocemente stanno imparando.
Altri vogliono invece apprendere intensivamente, per esempio entro tre giorni.
A volte potrei dover insegnare cose che sembrano assolutamente non
aver niente a che fare con il manuale, come per esempio: “adesso bevi una
tazza di caffè prima di metterti alla guida”. Il motivo è semplicemente quello
che potrei essermi accorto che lo studente sembra essere stanco e avere un
po’ di sonno. Il manuale non vi inviterà mai a bere del caffè prima di guidare.
Questa è solamente una mia iniziativa basata sul mio giudizio del momento.
Questo tipo di consiglio o insegnamento è ciò che si chiama istruzione
essenziale. Questo tipo di istruzioni sono versatili, colorite, non ortodosse, e
talvolta poco o affatto logiche, come potrebbe essere la domanda del maestro
Zen che vi chiede qual è il suono quando si batte una sola mano. E’ una
domanda che in generale sembra assolutamente senza senso, ma a seconda
del momento, del luogo e della persona, il porla può essere un metodo che
individualmente funziona.
In qualde delle due categorie di insegnamenti rientra il ngöndro? Si tratta
di teoria o istruzioni fondamentali? Forse per qualcuno di voi può essere una
sorpresa sapere che il ngöndro è fondamentalmente costituito da istruzioni
essenziali. Non è teoria. Per esempio, sia la pratica delle prostrazioni che quella
del mandala sono istruzioni essenziali. Se volete conoscere la teoria che sta
dietro queste pratiche dovete studiare testi come il Guhyagarbha Tantra o
simili. Quello che vi chiedo adesso è, per favore, di nutrire l’aspirazione di
studiare in futuro il perché state praticando questa e quella pratica. Solo
studiando testi come il Guhyagarbha Tantra potrete sapere perché le
prostrazioni funzionano e perché no.
Ancora più importante è imparare come interpretare la teoria. Tornando
all’esempio della scuola guida, sono sicuro che da qualche parte nel manuale ci
devono essere elencate le precauzioni nella guida. Probabilmente la prima sarà
un’esortazione alla cautela, al non bere e al prestare sempre la massima
attenzione. La teoria è così, non è mai chiara fino in fondo. Si deve dunque
essere prudenti mentre si guida, questo è tutto quello che in teoria si può dire.
In realtà, l’ “essere prudenti” si presta a molte interpretazioni. Persone
differenti sono prudenti in modo differente. Tenendo questo a mente, si arriva
al perché 100.000 prostrazioni funzionano per alcuni, mentre per altri come
Milarepa non sono state neanche necessarie dato che aveva costruito un a casa
di nove piani. O perché, per alcuni studenti, il lama potrebbe dire che non
hanno bisogno di fare le prostrazioni, dato che sono impegnati a confermare il
suo volo aereo. Altrimenti, c’è il pericolo di pensare che certe cose siano
praticamente obbligatorie e che, in quanto studente vajrayāna, si debba
seguire il metodo tibetano di fare le prostrazioni. In altre parole, si sviluppa il
malinteso per cui si pensa che qualsiasi guidatore abbia bisogno di bere del
caffè prima di mettersi alla guida.
Avendo letto sulla prima pagina del manuale che bisogna essere prudenti
mentre si guida, è anche molto importante imparare come interpretare ciò.
Forse per qualcuno tendente alla sonnolenza significa bere del caffè in modo da
stare al’erta, mentre per qualcun altro tendente all’agitazione bere del caffè
potrebbe peggiorare la situazione e quindi, ai fini della resa alla guida,
potrebbe essere addirittura più utile un rilassante sorsetto di margarita!
Dunque, totalmente l’opposto!
Per favore, tenente a mente che la maggior parte dei rituali vajrayāna e
tutti i metodi come l’offerta del mandala e soprattutto il guru yoga sono
istruzioni essenziali. Inoltre, dovreste anche sapere che esistono diversi livelli
di istruzioni essenziali. Alcune istruzioni sono di natura più generica, come per
esempio “fare 100.000 prostrazioni”, e poi ci sono le istruzioni prettamente
individuali.
Quindi mi riferirò sia alla teoria sia ad alcune delle istruzioni essenziali.
Cercherò il più possibile di attenermi al testo vero e proprio del ngöndro come
anche al concetto di vajrayāna nel suo insieme. Quando dò delle istruzioni
essenziali, il più delle volte ripeto le istruzioni che ho sentito dare dai miei
maestri, in quanto mi fido di loro più di quanto mi fidi della mia esperienza, che
è limitata in quanto non ho praticato tanto quanto loro. Nonostante tutto quel
poco di pratica che ho svolto mi ha condotto a delle esperienze. Avendole
analizzate e comprese posso, in base ad esse, dare anche delle istruzioni
originali.

Tre istruzioni essenziali per iniziare il ngöndro

Queste istruzioni derivano in gran parte dai miei maestri, ma anche dalla mia
esperienza. Come si afferma in molti insegnamenti e secondo quanto ho
sentito dire moltissime volte dai miei maestri, quando iniziamo a praticare è
bene non tuffarsi direttamente nella pratica. Questo è specialmente valido per
quelle persone molto indaffarate che hanno solo 5 minuti al giorno per la
pratica del Ngöndro Longchen Nyingthig o qualsiasi altra pratica che vogliate
fare. Persino normalmente abbiamo un treno di pensieri costante, ma
supponiamo che abbiate litigato con qualcuno poco prima della pratica. Molto
probabilmente avrete un treno di pensieri su cosa dire a questa persona,
pensieri che si succedono l’un l’altro senza interruzione. A questo punto
potreste decidere che è l’ora della vostra pratica del ngöndro e se la iniziate
subito ci saranno buone probabilità che non vada bene. Piuttosto è meglio
arrestare per qualche momento il treno di pensieri e per far questo esistono
innumerevoli metodi. Personalmente uso quello di ricondurmi continuamente
alla nozione della mente di rinuncia.
In pratica penso che adesso ho 40 anni e che se dovessi vivere fino ad
80 sarebbe un buon risultato. Comunque, di questi 80 ne ho già vissuti la
metà. Quindi penso che mi rimane solo la seconda metà della mia esistenza e
che dovessi continuare a viverla così come ho fatto fin’ora, anche questa
seconda metà non sarà diversa dalla prima. Le cose stanno proprio così. Penso
a Guru Rinpoche quando disse che della vita che ci rimane ne dormiremo quasi
la metà. Così non ci sono poi così tante ore durante la giornata che possiamo
dire essere vissute. Di queste ore, rifacendomi ai miei attaccamenti, diciamo
che ne passiamo un altro paio a vedere un film. Per vedere un film si perde
dell’altro tempo aspettando che inizi al cinema, oppure quando c’è la pubblicità
in televisione. Questa è una cosa abbastanza triste, perché in realtà stiamo
aspettando che accada una cosa del tutto assurda. Anche il mangiare ci porta
via altrettanto tempo, come anche le chiacchiere. Alla fine siamo fortunati se
abbiamo da vivere veramente almeno cinque ore al giorno. Ciò significa che di
40 anni rimasti ne potrei vivere veramente solo otto, ma anche questi è
probabile che se ne vadano sciupati in ansie, paranoie, etc.
Quindi c’è veramente poco tempo per la pratica.
Comunque questo vi dovrebbe dare un’idea sul come fermare il flusso di
pensieri. Non iniziate immediatamente la pratica, guardate invece un attimo a
voi stessi e alla vostra vita. Pensate a cosa state facendo. Se per esempio fate
dieci minuti di pratica quotidiana, almeno due o tre dovreste dedicarli
all’interruzione del flusso di pensiero. Facendo questo, la nostra intenzione è
quella di trasformare la mente. Lo facciamo invocando la mente di rinuncia,
pensando in termini quali “Sto morendo, mi avvicino sempre di più alla morte.
Questo serve veramente.
Fra i vari metodi tradizionali per la trasformazione della nostra
percezione ordinaria, uno molto efficace si chiama “cambiare l’aria consumata”.
Dopo aver calmato il flusso di pensieri per qualche minuto, si siede con la
schiena dritta e si fa un’inspirazione con una certa energia. Poi si chiude la
narice destra e si espira attraverso la sinistra. Mentre si espira, si applica uno
degli straordinari metodi vajrayana, come quello di visualizzare che tutte le
passioni e i desideri in forma di luce rosso scura escono dalla narice assieme
all’aria. Poi si inspira attraverso la stessa narice, cioè la sinistra, e se si vuole
elaborare un po’ la pratica si può pensare che mentre si fa questo tutta la
saggezza e la compassione dei buddha e dei bodhisattva si dissolvono in noi in
forma di luce. Poi si blocca la narice sinistra e si espira dalla destra, mentre si
visualizza la rabbia e l’aggressività che escono sotto forma di luce scura. In
seguito si inspira e si espira attraverso entrambe le narici, questa volta
visualizzando l’ignoranza che esce sotto forma di luce scura.
Non mi soffermerei troppo sui dettagli delle visualizzazioni. Pensate
solamente che tutto ciò che state visualizzando sta accadendo veramente. A
proposito di questo, c’è un’ulteriore istruzione. Quando fate una
visualizzazione, non soffermatevi troppo su una forma, domandandovi che tipo
di bianco o che diametro dovrebbe avere la luce. Il solo scopo della
visualizzazione vajrayāna è quello di sostituire i pensieri ordinari con pensieri
straordinari e questo è l’aspetto vitale della cosa. Se ci si sofferma troppo su
un dettaglio, si apre la porta ad ulteriori ostacoli. Non appena pensate di aver
visualizzato abbastanza bene, non soffermatevi e andate avanti nella
visualizzazione. Questa è un’istruzione molto comune.
C’è un altro aspetto del “cambiare l’aria consumata”. Nel vajrayāna,
troviamo i termini prāna, nādī e bindu, che non troviamo nello śrāvakayāna e
nel mahāyāna, neanche come signicato. E’ nel vajrayāna che abbamo un
sentiero per raggiungere l’illuminazione in questo corpo ordinario. Nello
śrāvakayāna e nel mahāyāna, per raggiungere l’illuminazione, si tende in
realtà a liberarsi del corpo. Solo allora si può raggiungere il parinirvāna. Così
normalmente questo prāna, o vento, è come un cavallo cieco, e la nostra
mente è come un cavaliere handicappato. Così, quando si inizia la pratica
purificando il prāna stagnante, si crea un’adeguata atmosfera interiore. E io
penso che questo sia un buon metodo da usare. Questo è un metodo.
Il prossimo non è strettamente necessario, ma io suggerisco di adottarlo.
Supponiamo che stiate praticando a casa, quello che dovete fare è convincervi
completamente che il posto dove vi trovate non è “casa in Germania” o un
qualsiasi altro. Il posto non è “questa casa o questo appartamento”; è un
reame puro. Questo è veramente importante, specialmente perché il vajrayāna
è un sentiero che trasforma la visone impura in visione pura.
Quando parliamo di “visione impura” non è nel senso che c’è qualcosa di
sporco, come si può trovare a Kathmandu. Non ha niente a che vedere con
tutto questo. Impura perché pensiamo nel modo “Il soffitto è solo un soffitto e
il pavimento è solo un pavimento”. Siamo bloccati in queste nozioni. Impura
quando pensiamo “Mille persone non possono trovare posto nella mia camera
da letto”, oppure “Questa non può essere usata come camera da letto”.
Abbiamo tutte queste distinzioni dualistiche, dove pensiamo che questo e
quell’altro può essere usato solo per un determinato scopo, oppure che questo
è troppo bianco o troppo scuro, troppo caldo o troppo freddo, e così via.
Allo stesso modo, quando diciamo “reame di buddha”, non stiamo parlando di
qualcosa come quello che si può vedere in un film di fantascienza, e neanche si
tratta di una specie di reale paradiso felice. Stiamo parlando di un reame di
non-dualità. Ma questo è già troppo difficile da comprendere adesso. Questo
reame non-duale, come appare? Per i principianti, poiché si tratta del Ngöndro
Longchen Nyingthig e poiché Guru Rinpoche sembra essere la figura principale,
possiamo visualizzarlo come la Montagna Color Rame. Naturalmente, questo
non significa che i soffitti e i muri e tutto il resto sono fatti di rame.
Sostanzialmente, quello che stiamo facendo è liberarci delle nostre attuali
percezioni ordinarie. Anche pensando “Questo non è ciò che penso che sia”,
solo questo cambierà la nostra percezione ordinaria. Così questa è la terza
delle istruzioni fondamentali per iniziare il ngöndro.

La teoria della visualizzazione

Adesso si è reso necessario introdurre un po’ di teoria. Quando pensate


“Questo non esiste veramente nel modo in cui lo vedo”, da un punto di vista
ordinario suona come qualcosa di folle o irrazionale. Tuttavia, dal punto di vista
teorico del vajrayāna, ciò è corretto perché ogni cosa che si vede è una propria
percezione. Cio che vedete non è ciò che è. E’ solamente la vostra percezione.
Se ci sono parecchie persone che guardano la stessa ragazza, una può pensare
“Quella ragazza è bellissima”, mentre un’altra può pensare il contrario. Ciò che
quelle persone vedono non è ciò che quella ragazza è. Su questa base teorica,
quando guardiamo “questa casa” o pensiamo caldo, freddo, bianco, nero o
qualsiasi altra cosa, sappiamo che tutto questo è solamente ciò che vediamo, e
non ciò che è. Così vedete che la teoria e le istruzioni vanno sempre insieme, e
si completano l’una con le altre. Per il momento, il solo modo di praticare è
attraverso la trasformazione delle nostre percezioni ordinarie.
Quando si parla di visualizzazioni, alcune persone tendono ad avere
problemi. Questo l’ho notato personalmente e penso che sia dovuto al fatto che
gli insegnanti tibetani come me danno per scontato che il mondo intero
affrontino le cose nel modo in cui lo fanno i tibetani. Vi insegnamo come
appare il Buddha secondo la tradizione tibetana, adorno di determinati
ornamenti e così via.
In realtà un’istruzione fondamentale è come il consiglio del medico al suo
paziente. E’ un consiglio del tutto personale e, a seconda della natura del
paziente, comprende una diagnosi e una terapia appropriata. Non è pensabile
che un dottore raccomandi a tutti i suoi pazienti esattamente le stesse cose,
altrimenti si potrebbe pensare che quel dottore non conosca il suo mestiere.
Così, con tutta probabilità, se iniziate a comprendere la teoria un poco più in
profondità, diventerete anche più a vostro agio con le visualizzazioni.
Lo scopo principale del fare le visualizzazioni è quello di purificare questa
visione impura, la percezione ordinaria. E allora, cos’è la percezione pura? Non
è certamente vedere le cose come sono dipinte nelle thangka tibetane. Per
molte persone la percezione pura è qualcosa di simile all’apparenza delle
thangka tibetane. Ovviamente ciò non è corretto, anzi non si tratta affatto di
una cosa simile. Infatti, se si riuscisse a trasformare ogni cosa in modo da
riprodurre una thangka, questo non farebbe altro che peggiorare le cose. Nei
dipinti non ci sono battiti di ciglia, i dipinti sono piatti, non c’è un dietro, tutto è
come congelato, le nuvole non si muovono. Il vero punto è distruggere questa
percezione ordinaria. Per quanto mi riguarda, i dipinti e le thangka tibetane
non trasmettono alcuna reale vibrazione.
Dunque, cosa intendiamo per percezione impura? La percezione impura,
in questo momento, è essenzialmente tutto ciò che vediamo, percepiamo ed
etichettiamo. Non si tratta di qualcosa di sbagliato là fuori, per cui tutto è
impuro. Piuttosto, si tratta del fatto che in questo momento il nostro essere è
sepolto dal desiderio, dalla gelosia, dall’orgoglio, dall’ira, dall’ignoranza. Così,
quando percepiamo qualcosa, lo facciamo sempre attraverso queste cinque
emozioni. Valutando una persona, possiamo farlo attraverso il filtro della
passione, così quella persona ci sembrerà desiderabile. Guardando un’altra
persona attraverso la lente dell’aggressività, sarà il motivo per cui ci apparirà
brutta e ripugnante. Quando percepiamo gli altri attraverso la nostra stessa
insicurezza, produciamo giudizi, riferimenti e paragoni. Alla fine cerchiamo di
difenderci e pompiamo il nostro ego, un risultato che origina dall’ignoranza.
La lista continua all’infinito. Tutte le diverse percezioni che abbiamo sorgono
esclusivamente dalla nostra stessa mente e si manifestano attraverso queste
emozioni. Ecco perché tutto ciò che sperimentiamo finisce sempre per essere
in qualche modo deludente. Indipendentemente dal fatto che ciò sia
sperimentato in maniera più o meno importante, ciò che conta in realtà è che
c’è sempre un po’ di delusione. Ciò che cerchiamo di purificare è proprio
questo.
E’ tutta una questione di addestramento della mente. Nella tradizione
prātimokșa si allena la mente disciplinando il corpo e la parola, rasandosi il
capo, chiedendo elemosine, indossando abiti zafferano, ed astenendosi da ogni
genere di attività mondana quale il matrimonio e così via. Nel mahāyāna si
allena la mente meditando sulla compassione, su bodhicitta e così via.
Nel vajrayāna cerchiamo di trasformare la visione impura in qualcosa di puro.
Come impariamo a fare ciò? Attraverso la pratica del ngöndro, passo per
passo. Così il primo passo è quello di interrompere la catena dei pensieri.
Poi rinnoviamo l’aria stagnante e introduciamo un po’ di visualizzazione,
considerando che il posto dove siamo non sia più un posto ordinario. Abbiamo
già iniziato a trasformare la visione impura.

I Tre Nobili Principi

I prossimi tre punti sono ciò che Patrül Rinpoche ha insegnato con il nome di
Tre Nobili Principi. Qualsiasi cosa facciate, e qualsiasi pratica di dharma
iniziate, fatelo sempre esprimendo la motivazione di essere di beneficio per
tutti gli esseri senzienti. Con questo si intende non solo un aiuto ordinario,
come dare cibo ed assistenza, ma anche e soprattutto il desiderio che tutti gli
esseri senzienti raggiungano l’illuminazione. Il primo pensiero è molto
importante, perché senza di esso la nostra pratica sarebbe orientata su noi
stessi, costituendo così un ulteriore atto egoistico. Così abbiate sempre questo
pensiero “Praticherò per il beneficio di tutti gli esseri senzienti”.
Anche nel semplice atto di accendere una lampada, iniziate sempre
generando la bodhicitta. Se accendete una lampada semplicemente per
rendere adorna la stanza, questo non è altro che un pensiero ordinario e
mondano. Se invece accendete una lampada per accumulare meriti con il
pensiero di distruggere il samsāra, questa diventa una attitudine prātimokșa.
Ancora, se accendete la lampada e pensate “Possano grazie a questi meriti
tutti gli esseri senzienti raggiungere l’illuminazione”, questa è un’attitudine
mahāyāna. Se invece pensate “Questa luce non è luce ordinaria, è la luce della
saggezza che illumina tutti gli esseri senzienti” e esprimete l’aspirazione
“Mentre la luce risplende, ogni cosa diventa un mandala”, questa è l’attitudine
tantrica.
Nel compiere una buona azione, o persino praticando il Ngöndro
Longchen Nyingthig, dovreste sempre pensare “Tutto questo è solo
un’interpretazione della mia mente”. Questo è il secondo pensiero virtuoso, ciò
che chiamiamo la pratica della non-dualità. Dovete ripetutamente convincervi
“E’ la mia mente che sta facendo questo, lo sto solamente immaginando.
Niente di tutto ciò esiste veramente.” Poniamo il caso che stiate facendo le
prostrazioni. Nel mentre le state facendo, pensate "Penso che questo sono io e
che ‘io’ sto facendo le prostrazioni. ‘Io’ sento che ‘io’ sto sentendo dolore, ma
in effetti si tratta della mia mente”. Tutto questo è fondamentalmente mente.
Il beneficio del pensare in questo modo è incredibile, poiché evità
l’attaccamento alle proprie azioni di dharma. E’ un antidoto diretto all’orgoglio
e all’ego. Anche se il dharma è un antidoto all’ego, può anche rafforzarlo
tramite l’idea di essere un buon praticante. Nel mentre si pratica, quindi,
dovremmo sempre cercare di riconoscere “Questo è solo la mia mente”.
Potreste allora domandarvi “Ma se si tratta solo della mia mente, ciò
significa che non esiste alcun merito?”
Anche la nozione “c’è un merito” o “non c’è alcun merito” è solo
un’interpretazione della mente.
Allora, come ultimo punto, alla fine della pratica dedichiamo sempre i
meriti. Persino i meriti che abbiamo accumulato non li teniamo per noi stessi,
ma li dedichiamo per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Questi dunque
sono i tre punti che chiamiamo i Tre Nobili Principi. Ciò introduce alcuni degli
aspetti cruciali per iniziare la pratica del ngöndro.

Fine della I° Parte

Continua con:

“I Preliminari Speciali – Il Rifugio”

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