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COLLOQUIO DIAGNOSTICO

Lez1

Come si organizzano le informazioni del paziente?

PROBLEMA (quesito clinico che ci pone il paziente) si colloca nel periodo presente, anamnesi Presente-
prossima ed è collegata ai fattori scatenanti, responsabili dell’esordio del problema. I fattori scatenanti
sono concomitanti all’esordio del problema e possono essere poco chiari al paziente.

Il problema ha degli effetti sul contestoconseguenze, da monitorare di seduta in seduta, sono le prime
informazioni tangibili che il paziente denuncia.

Il problema, da quando di manifesta ad oggi, lo deve anche a fattori esacerbanti (aumentano il livello della
situazione sintomatica) e fattori di mantenimento (contribuiscono al mantenimento della condizione
sintomatica).

Il problema è influenzato nel presente anche da variabili contestuali e influenti.

I fattori protettivi sono le risorse che possono favorire il cambiamento del paziente (es. una persona cara,
un valore positivo ecc.…).

Il nostro funzionamento relazionale è il Modello operativo interno (pensiero automatico che si sviluppa in
determinati contesti sociali tipo l’approccio sociale) e lavora nel contesto della memoria procedurale. Tutto
ciò è fuori dalla consapevolezza e il ruolo della terapia è di renderci consapevoli di certi meccanismi
automatici che caratterizzano il nostro modello operativo interno.

Fammi cambiare (senza sofferenza) o dammi un consiglio sono le richieste che si porta sempre dietro il
paziente.

Com’è arrivato il paziente a funzionare in quel modo? È arrivato con la sua storia che si colloca
nell’anamnesi remota fattori predisponenti (qualità dei rapporti con i nostri caregiver che hanno
determinato il nostro modo di funzionare) e fattori precipitanti (i traumi vissuti dal paziente in modo
soggettivo, il paziente può anche non leggerli come traumi). Sui traumi il terapeuta agisce con tecniche
specifiche che servono per far venire fuori la memoria episodica del trauma e poterla elaborare. Una di
queste tecniche, la più famosa è la EMDR. I traumi spesso non si ricordano grazie al sistema di autodifesa
della mente (rimozione di Freud). La mente rimuove la rievocazione del ricordo ma non il ricordo (e le
emozioni annesse), quindi l’episodio accaduto noi lo abbiamo vissuto in infanzia o in adolescenza, e nel
momento in cui cerchiamo di rievocare e quindi estrapolare dagli archivi della memoria episodica, non
riusciamo. Tutte le emozioni del ricordo agiscono sul presente e quando mi relaziono con una persona, il
mio trauma di cui NON SONO CONSAPEVOLE, incide.
Attaccamento sicuro: capacità di esplorare la realtà esterna e interna e facendo esperienze nuove che ci
servono da lezione e da modellamento futuro del nostro comportamento in circostanze simile.

Coazione a ripetere: ripetiamo sempre gli stessi errori a noi inconsapevoli (attaccamento insicuro).

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Mindfulness: coincide con il processo di contatto col momento presente e consiste in uno stato mentale
pieno di piena consapevolezza, che si attiva quando l’attenzione viene focalizzata soltanto sull’esperienza
del momento

Nella mindfulness, tutta l’esperienza corporea e sensoriale ma anche emotiva e mentale viene
semplicemente osservato e descritta.

La mindfulness viene definita come diffusione cognitiva che consiste nel promuovere la trasformazione
degli stimoli verbali associati ad ansia e paura consentendo di sperimentare rilassamento e benessere in
presenza degli stessi pensieri, associati ad ansia e al conseguente evitamento.

Meditazione: è un processo graduale a cui inizialmente sembra assistere ad un peggioramento con le


emozioni che imperversano e la mente congestionata (la mente è ingolfata e attraversata da mille pensieri)
e in realtà proprio il segnale che indica che il paziente sta iniziando a sperimentare la mindfulness intesa
come consapevolezza di sé come soggetto osservante, consapevolezza che nasce dal porre
intenzionalmente attenzione al momento presente, in modo non giudicante.

I pensieri sono fatti mentali, che passano durante la meditazione e li lasciamo scorrere senza giudicarli, li
osserviamo. Il soggetto ossessivo dà importanza a tutti i pensieri

CASI DI PANICO: suscitare pensieri e immagini relativi alle reazione di paura che il cliente teme di provare
esponendosi alle situazioni evitate; modificare la regola dell’evitamento e sostituirla con quella in base alla
quale la paura di morire o perdere il controllo non è più temibile, perché sperimentata in situazioni di
rilassamento: ci si può esporre senza conseguenze negative per affrontare nuove situazioni e non per
evitare la situazione di perdere il controllo.

Wells (1997) dice che per aiutare i pazienti con gli attacchi di panico, bisogna cercare di intervenire
cambiando le aspettative del paziente. Bandura (1997) invece pensa che far apprendere al paziente delle
coping skill (modi di affrontare e gestire le situazioni fobiche), sia la soluzione migliore.

Wolpe sostiene che i soggetti fobici abbiano generalmente le abilità per gestire le situazioni temute, ma
non riescono proprio ad affrontarle perché le temono; la psicoterapia deve ottenere l’eliminazione delle
paure che causano le disabilità (compromissione di aree del mio funzionamento); il miglioramento delle
aspettative e della self-efficacy segue e non precede la riduzione della paura.
Disturbo da stress post-traumatico

Il colloquio deve essere affrontato come se si fosse realmente in presenza dell’evento traumatico
originario, per aiutare il paziente ad esaurire le reazioni di terrore, rispettando il freezing, ossia il
congelamento delle emozioni, spesso prima della manifestazione del disturbo.

Gradualmente nel contesto protetto di colloquio, il paziente viene condotto a rivivere il trauma, affinché
riportandolo nel presente, possa accettarlo come ricordo di inevitabili esperienze che possono
caratterizzare la vita umana. Il superamento del trauma passa dall’accettazione del trauma.

Il compito del terapeuta è di condividere in maniera empatica l’esperienza emotiva, spiegando: il terapeuta
cerca di normalizzare la cosa tanto più l’esperienza è stata traumatica, tanto più l’organismo viene
alterato dall’attivazione della memoria emotiva, perché si prepara ad affrontarlo di nuovo. Bisogna
convalidare l’evento traumatico ma far pensare al paziente che adesso è un ricordo. L’uso delle metafore
nel colloquio è importante soprattutto per i pazienti che non sono in grado di identificare le emozioni.

Sottoporre il ricordo all’attivazione corticale prefrontale e dorsolaterale crea una nuova via di elaborazione
del trauma: lo tramuta in ricordo, di cui il flash-back è solo eco, e non episodio ricorrente traumatico.

La corteccia prefrontale deve essere messa nelle condizioni di inserire le memorie in nuovi contesti narrativi
dando loro un senso e un ordine osservabile, che consenta di parlarne senza essere sopraffatti dalle
emozioni. La corteccia prefrontale pulisce il flash-back dal vissuto emozionale, andandolo ad inserire in un
luogo con tempo e spazio definito, un ricordo ora osservabile con distacco. È la mindfulness, che ci
consente di guardare quello che prima era un evento traumatico, di osservarlo intenzionalmente da “fuori”.

Al termine del colloquio si invita ad un momento di mindfulness: lo scopo è quello di favorire l’esaurimento
della carica emotiva sottocorticale e assistere alla trasformazione del ricordo traumatico in una storia non
traumatica nel presente.

Primo esercizio di mindfulness: Chiudi gli occhi, Focalizza la tua consapevolezza e poni gentilmente la tua
attenzione al respiro, all’aria che entra e l’aria che esce (usare metafore e avverbi come dolcemente,
gentilmente). Il respiro è l’ancora alle sensazioni presenti e corporee, al qui e ora (riportare la
consapevolezza al presente). La mindfulness non ha un obiettivo preciso: è un’esperienza completa e può
portare a rilassamento nonostante non sia il suo obiettivo.

Disturbo ossessivo-compulsivo

L’analisi contestuale, suggeriscono di avviare il colloquio a partire dai valori che il soggetto intende
difendere con il suo comportamento ossessivo-compulsivo. Procede poi considerando il carico emotivo che
sostiene l’importanza letterale della relazione prevenzione-evitamento della malattia.

Il target del colloquio-intervento non è la prevenzione delle malattie, ma l’accettazione delle emozioni che il
ricordo può pesantemente evocare, in quanto non è mai stato affrontato come ricordi, presenza di un
evento già avvenuto e non più attuale. È necessario indagare la relazione tra azione e valori del paziente,
affinché possa orientarsi ad un adattamento più flessibile costituito da azioni mosse dalla logica dell’essere
e del vivere momento per momento, anziché dell’avere impossibili certezze sul futuro. Pazienti spaventati
da se stessi e dal fatto di non poter controllare il flusso di pensieri e azioni connesse.

Non si lavora sulla letteralità di stimolo e risposta, ma sulle azioni concrete che consentono di ricominciare
a pensare ad un modo differente e funzionale di dare valore alla vita.
DISTURBI DI PERSONALITA’ (DP)

Sono caratterizzati da uno stile di comportamento che presenta un grado di rigidità superiore, risultante
della combinazione di tre repertori di risposta alle richieste ambientali: viscerale ed emotivo; muscolo
scheletrico e motorio; verbale e cognitivo.

La valutazione dei DP è dimensionale: lo stile di risposta si può collocare in un continuum con la personalità
normale, caratterizzato da due estremi da eccessiva flessibilità ed eccessiva rigidità; quest’ultima può
assumere la forma di presa di posizione nei confronti degli altri e degli eventi o di reiterazione di
comportamenti nocivi a sé e agli altri.

Sé concettualizzato: può derivare da una valutazione di sé basata su esperienze del passato; punto di vista
chiuso che limita il confronto con gli altri sulla base di ciò che accade, perché il modo di valutare le cose non
dipende da come sono in realtà, ma da come la persona si sente in loro presenza. Il sé concettualizzato,
porta a difendersi dalla frustrazione attribuendo agli altri la responsabilità dei propri insuccessi e azioni,
processo negativo che condiziona empatia e modo di vedere la realtà. Dalle esperienze negative è
necessario modificare il contenuto, quanto la funzione: il colloquio deve orientare verso un approccio e ai
disturbi non focalizzato sul controllo di pensieri ed emozioni.

Il paziente deve imparare a riconoscere gli eventi negativi per quello che sono; deve individuare i valori per
lui importanti e muoversi verso gli obbiettivi in linea con tali valori.

Il colloquio deve articolarsi attorno ai racconti di molteplici esperienze del paziente, sia positive che
negative, che vanno riformulate in maniera descrittiva per limare l’inflessibilità delle sue autovalutazioni:
impara gradualmente a sperimentare reazioni interne (pensieri, emozioni, impulsi…), a riconoscersi
osservatore delle stesse e che, in quanto tale, può separare l’identificazione, la discriminazione e
l’osservazione dalle proprie reazioni e delle valutazioni circa il Sé.

Si scoglie l’equazione tra Io e i suoi contenuti e processi, per validare la nuova equazione di sé come
contesto: uno degli obbiettivi principali del colloquio è necessario avviare il paziente verso una vita di valore
e rimuovere l’ostacolo del Sé concettualizzato. Il colloquio deve incentrarsi sull’indebolimento del controllo
esercitato dia pensieri che ruotano nell’orbita del sé concettualizzato e che mantengono l’evitamento
esperienziale, con lo scopo di chiarire quali sono i valori che possono motivare al cambiamento e a
intraprendere attività più in linea con le proprie aspirazioni.
Matrice di polk: strumento utile durante il colloquio per raggruppare i dati in modo da rendere evidente
che i processi di rigidità psicologica sono sotto il controllo di pensieri legati al passato e al futuro e
allontanano dagli obbiettivi desiderati, mentre la flessibilità psicologica si esercita mediante l’uso dei 5 sensi
che mettono a contatto con la realtà dei diversi contesti.

Si compila:

1. Raccogliendo i dati relativi ai processi disfunzionali (a sinistra) e su come sostituirli con quelli
funzionali (a destra)
2. Nella parte superiore ciò che è reale e ha valore sensibile e ciò che è legato al pensiero nella parte
inferiore.

Compilare insieme al paziente la matrice è uno spunto per iniziare a cercare soluzioni differenti da quelle
dei riquadri di sinistra e comprendere come, per allontanarsi dalle astrazioni improduttive e dal pensiero di
soluzioni irrealistiche, debba allenarsi a stare contatto con la realtà sensibile.

Disturbo narcisistico di personalità

Pazienti con disturbo narcisistico di personalità sovrastimano le loro capacità ed esagerano i loro successi.
Pensano di essere superiori, unici o speciali. La loro sovrastima del proprio valore e delle loro realizzazioni
implica spesso una sottostima del valore e dei risultati degli altri.

Confusione tra punti di vista: il paziente assume una prospettiva egocentrica, costantemente sulla difensiva,
perché valuta sé e gli altri prevalentemente sulla base di esperienze negative passate, rendendo irrilevanti
le esperienze di contatto con l’ambiente sterno e soprattutto con gli altri. Durante il colloquio emerge la
difficoltà nel portare il paziente a distinguere tra caratteristiche descrittive di sé da quelle valutative,
avendo la stessa forma (pensiero: sono un perdente= sono biondo).

È importante proporre la paziente anche tramite l’uso di metafore esercizi di cambiamento di prospettiva
ed esercizi di mindufulness.

Disturbo borderline di personalità

Il disturbo borderline di personalità è caratterizzato da una modalità pervasiva di instabilità e di


ipersensibilità nei rapporti interpersonali, instabilità nell'immagine di sé, estreme fluttuazioni dell'umore, e
impulsività.
Autolesionismo: pazienti non capaci di effettuare la distinzione tra sé come processo (cosa sto provando
ora) e sé come contenuto (Dimmi di te, chi sei? Come ti descrivi?).

Si è concordi nell’attribuire agli atti autolesionisti, la funzione di ridurre le emozioni negative. Il colloquio
deve porsi come nuovo contesto rispetto a quelli invalidanti sperimentati, operare un’educazione
sentimentale che porti il paziente a riconoscere le emozioni negate, ripercorrendo i momenti della sua
storia più carichi emotivamente.

I bambini border non sono stati educati a riconoscere le emozioni, ad identificarle o esprimerle. In alcuni
contesti, come quelli abusanti o maltrattanti, le loro emozioni vengono trascurate, sminuite o punite.
Giudizi sulla base di alcuni comportamenti (sei uno stupido) portano il soggetto a rinchiudersi in
un’immagine di sé rigida (sé come contenuto) insensibile alle emozioni indotte dai giudizi esterni.
Un’immagine flessibile di sé (sé come processo) origina invece il sé come contesto, che conduce a
riconoscere e accettare le emozioni come parte dell’esperienza di vita.

Disturbo dipendente di personalità

Il disturbo dipendente di personalità è caratterizzato da un pervasivo, eccessivo bisogno di essere curati,


che porta a sottomissione e a comportamenti di attaccamento. La diagnosi avviene in base a criteri clinici.

Contesto-dipendenti: i pazienti quando devono relazionarsi con qualcuno, si prefigurano come sarà
l’interlocutore e regolano il proprio comportamento nel modo che ritengono più adeguato per facilitare il
rapporto;

Colloquio: rinforza i riferimenti a sé e agli altri di tipo descrittivo, mentre vengono lasciati cadere quelli di
tipo valutativo, anche nei confronti del terapeuta. Il colloquio deve prendere la forma di training assertivo,
affinché il cliente apprenda quei principi e abilità che gli consentano di agire autonomamente, senza il
timore di perdere stima, amicizia e affetto.

Disturbo dell’alimentazione

Fusione cognitiva: particolarmente forte nei pazienti con disturbi alimentari; “io sono grasso”: la fusione tra
“io” e “grasso”, è un’equazione che attrae introno all’Io una serie di altri significati, come orrendo, rifiutato
da tutti, coinvolgendo parole come cibo e mangiare, per cui la sola vista di cibo elicita automaticamente il
pensiero di aumento di peso, grassezza, mancanza di volontà e disgusto.

Radice della motivazione: cosa spinge ad una rigida dieta?

Evitare la paura del rifiuto e agire nella convinzione d’essere meglio accettati dagli altriincrementa i
comportamenti restrittivi senza possibilità di soluzione, in quanto, la relazione Dieta-Io-Grasso-Cibo-
Successo sociale è dettata dal linguaggio arbitrariamente, ma anziché essere funzionale all’obbiettivo,
allontana.

Due effetti contraddittori: nell’immediato avvalora l’idea di avere il controllo sulle paure, mentre l’altro
impedisce di risolverle realmente. Discutere l’incoerenza del comportamento con il cliente non è
funzionale: la relazione appresa dal soggetto tra eventi e parole derivanti non è cancellabile.

Il colloquio clinico non è fatto solo di parole: riguarda quei processi che pongono l’individuo in contatto con
ambienti reali, in cui parole, emozioni e propositi mantengono il significato avversivo originario e possono
divenire oggetto di abituazione; il terapeuta, chiede di parlarne, avviando una prima forma di esposizione e
accettazione, di contro all’evitamento rappresentato dalle pratiche alimentari disfunzionali.

Seguire una dieta ferrea, abbuffarsi e vomitare sono tutti comportamenti disfunzionali che nell’immediato
riducono l’esperienza del disagio legato ai pensieri sul cibo e sul peso.
Anoressia: la paziente si riduce alla fame come forma di evitamento esperienziale; tende a chiudersi e a
rifiutare ogni tipo d’aiuto, perché ritiene di non averne bisogno rifiuta la malattia e si sente molto forte per
il controllo esercitato da tempo; prova estrema avversione nei confronti delle parole riguardanti cibo e
peso.

Binge eating: vomito dopo un’abbuffata, per placare il senso di colpa per aver mangiato cibi dopo
l’astinenza portata avanti per giorni; comprende il pensiero di riprendere dal giorno seguente il controllo
rigido interrotto dall’abbuffata.

Colloquio: frasi in linea alla tecnica della “disperazione creativa”, che mette in luce l’inutilità delle azioni
messe in atto, conducendo la paziente a riconoscere che usare l’astinenza nella speranza di acquisire il
controllo delle abbuffate, non funziona, orientandola a trovare nuove soluzioni.

Lez6

Ricostruire a ritroso il contenuto degli episodi e le emozioni connesse, è importante per il paziente. Il
processo di pensiero e di silenzio del terapeuta aiuta a capire al paziente l’importanza di riflettere sulle
esperienze. Apprendi di più guardando rispetto a sentire la narrazione del problema. Sintomatologia del
paziente è una variabile che aumenta e diminuisce (quando e perché). Il terapeuta nel primo colloquio
pone domande investigative sulle rappresentazioni che il paziente ha su sé stesso e adotta un tono
condiscendente e collaborativo. Dal terzo in poi vengono fatte domande sul passato.

La logica di fondo è che il terapeuta di fida di quello che dice il paziente ma deve essere consapevole che la
narrazione del paziente riguarda solo una rappresentazione del suo funzionamento (probabilmente il
paziente non vede bene come sono i fatti). Il terapeuta può esplicitare la rappresentazione che gli viene
restituita dal paziente in modo che il paziente si possa confrontare con quello che arriva all’esterno.

(Domanda da fare: come si inizia un colloquio senza un problema, per es. paziente viene da me
chiedendomi di conoscere bene se stesso o senza sapere cosa lo fa stare male)

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