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COLLOQUIO PSICOLOGICO – prof.

GORI
ANTONIO PAPASERGIO 7034910
Elaborato scelto
traccia: I MECCANISMI DI DIFESA NEL COLLOQUIO CLINICO
titolo: LA VALUTAZIONE DEI MECCANISMI DIFENSIVI

I meccanismi difensivi sono dei normali processi che emergono in una situazione di disagio. Questi
meccanismi si possono constatare nell’ambito dei colloqui clinici o presenti in colloqui di
orientamento, diagnosi, ricerca, nel corso dei quali la persona senta la necessità di difendere sé
stessa da una condizione che la minaccia ad un certo livello. Alcuni autori, studiosi, psicoterapeuti e
quant’altro hanno dato ai meccanismi di difesa delle definizioni utili a comprendere meglio lo
stesso concetto, ad esempio: Melanie Klein considera i meccanismi di difesa come principi
organizzativi della vita psichica (1930), Kohut, declina le difese come una protezione della fragilità
del Sé. I meccanismi di difesa sarebbero finalizzati alla tutela dei deficit del Sé (1984), per Bowlby
le difese hanno prevalentemente un significato ambientale ed interpersonale (1988), Westen dice
invece che “le difese sono uno sforzo motivato inconscio teso a minimizzare le emozioni dolorose o
a massimizzare quelle piacevoli (1999). Le difese oggi, sono considerate come tutti quei sentimenti,
pensieri, comportamenti tendenzialmente involontari che sorgono in risposta a percezioni del
pericolo per il soggetto e sono finalizzati, in modo più o meno adattivo, a nascondere o alleviare i
conflitti o ad agenti stressanti che danno origine ad ansietà o angoscia (Lingiardi, 2002). I
meccanismi difensivi quindi hanno la finalità di prevenire un trauma, sono reversibili, possono
essere sia adattive che patologiche, possono essere mature o immature, quindi trarre beneficio o
danno. Le difese attivate quindi evitano le situazioni di ansia eccessiva e ripristinano un livello di
funzionamento confortevole. Le difese sono quindi adattive se vanno nella direzione della soluzione
del conflitto in termini realistici, sono appropriate alla situazione e l’uso è limitato ad essa,
proteggendo e permettendo alla persona di funzionare meglio, mentre sono disadattive se evitano il
conflitto e creano ulteriori svantaggi. Alcune difese ad alto livello adattivo possono perciò
consentire un adattamento ottimale nella gestione dei fattori stressanti. Queste difese solitamente
consentono la massima gratificazione e permettono di rendersi consapevolmente conto dei
sentimenti, delle idee, e delle loro conseguenze. Alcuni esempi di difese ad alto livello adattivo
sono: l’altruismo, la sublimazione, l’umorismo, la soppressione. Valutare le difese all’interno di un
colloquio psicologico può essere molto importante ai fini di una buona terapia. La valutazione delle
tendenze difensive di una persona contribuisce a rendere il più efficace possibile una terapia. Le
difese, come chiarito da Vaillant (1971), possono alterare la percezione del Sé, le idee, i sentimenti,
possono operare nell’ambito della cognizione, come ad esempio la razionalizzazione, per mezzo
della quale si cerca sollievo da stati dolorosi manipolando le idee; dell’emozione, come ad esempio
la formazione reattiva, per mezzo della quale si affronta un sentimento doloroso trasformandolo nel
suo opposto; del comportamento, come ad esempio l’acting out, che fornisce una fuga da conflitti
dolorosi per mezzo di stimoli esterni. I pattern difensivi delle persone sono loro peculiari, quasi
come la voce o le impronte digitali. Alcune persone usano la tristezza come difesa contro la rabbia,
mentre altre si arrabbiano per difendersi dalla tristezza. Per aiutare una persona abbiamo bisogno di
comprendere il modo particolare in cui usa i pensieri, i sentimenti e le azioni per alleviare stati
interiori spiacevoli. Una specifica reazione difensiva può essere determinata prevalentemente dalla
struttura caratteriale della persona, o dalla situazione nella quale si trova. Perciò in assenza di
un’informazione esterna adeguata, le persone richiamano i propri dati interni per comprendere
quello che sta succedendo. Quanto più le circostanze sono dolorose, tanto più le persone hanno
bisogno di provare a comprenderle facendo riferimento alle sole informazioni a loro disposizione:
quelle relative al loro stato interiore. Tutte le reazioni difensive costituiscono un mix di inclinazioni
personali e provocazioni situazionali. Una base clinica per determinare se una difesa è più
caratteriologica o situazionale durante un colloquio psicologico è la risposta soggettiva interna del
terapeuta al paziente. Se la difesa è caratteriologica infatti, il terapeuta sarà colpito dal modo
istantaneo e poco riflessivo in cui il paziente agisce. Se la difesa è situazionale essa è reattiva, il
terapeuta si sentirà chiamato in causa come persona separata, interessata e potenzialmente utile,
nonostante il paziente sia preoccupato dalla situazione in cui si trova. Il fondamento logico
tradizionale per fare una valutazione attenta dell’organizzazione difensiva stabile di una persona è
che, in una terapia a lungo termine, un pattern di difese può essere significativamente modificato
così da liberare le persone consentendo loro esperienze più ricche e un range di opzioni più ampio.
Quando una difesa è completamente radicata nella persona, tanto che essa è la struttura
fondamentale per mezzo della quale una persona tenta di far fronte alle avversità della vita, non è
possibile rimuoverla. Condurre inoltre un attacco frontale alle difese da parte di un terapeuta non è
nella maggior parte dei casi opportuno, perché offrono solo due possibilità alla persona che si
difende: abbandonare la difesa, e non avendo sviluppato meccanismi di coping che la sostituiscano,
essere sopraffatta dall’angoscia, dalla colpa o dalla vergogna; o respingere la persona che sta
conducendo l’assalto contro il proprio metodo per far fronte alla vita. Poiché gli assalti diretti contro
le difese preferite dal soggetto sono votati in questo modo al fallimento, la maggior parte dei
terapeuti imparano a eludere e raggirare i pattern difensivi dei clienti, o a usare le loro difese al
servizio della crescita e non della paralisi. Per un terapeuta, valutare la struttura difensiva
particolare di una determinata persona è necessario ed utile per sapere quale stile di comunicazione
è più probabile che la raggiunga; ad esempio: difronte ad un paziente psicopatico è inutile cercare di
riflettere sul perché la persona abbia bisogno di ingannare, poiché non favorirà l’onestà da parte del
paziente ma anzi un atteggiamento denigratorio e rifiutante, ma si può invece accettare il senso del
Sé in questo caso grandioso dell’altra persona e associando la verità con il coraggio, una posizione
di potere, il terapeuta avrà la possibilità di massimizzare la cooperazione del cliente. L’approccio
psicoanalitico classico all’analisi delle difese richiede che si vada “dalla superficie al profondo”,
vale a dire che si visualizzi l’organizzazione mentale del paziente come una struttura stratificata,
con ogni strato che difende dal contenuto di quello successivo. Il terapeuta quindi si rivolge in
modo sistematico alle parti consce e vicine alla coscienza dell’esperienza della persona. Il cliente si
sente sempre più conosciuto e al sicuro, gli strati sottostanti di difesa o significato o esperienza
emergono progressivamente, e il terapeuta li affronta quando appaiono nella relazione di
trattamento. Una delle ragioni tradizionali per andare attentamente dalla superficie al profondo è
che quando si fanno ipotesi sulle funzioni delle varie difese, si può essere radicalmente fuori strada
e perciò ogni volta che è possibile bisogna cercare di lavorare su un livello in cui il cliente può
accettare o rifiutare quello che il terapeuta dice con la sicurezza che gli viene dall’essere in contatto
con le cose di cui si sta parlando. Le indicazioni più accurate che gli esperti danno ogni giorno ai
loro studenti sono: “inizia da dove il cliente si trova” e “non interferire con una difesa prima che il
paziente non abbia trovato qualcosa per rimpiazzarla”; anche se bisogna ricordare che alcuni tipi di
pazienti con ad esempio tratti ipomaniacali o paranoidi necessitano di un terapeuta che
comprendano il bisogno di “andare a fondo” anziché stare al livello più alto della loro gerarchia
personale di difese. In conclusione, è importante per la pratica clinica comprendere i modi interni,
soggettivi e irriflessivi in cui le persone cercano di proteggersi dalla sofferenza. Si è cercato, grazie
al libro della McWilliams “Il caso clinico- dal colloquio alla diagnosi”, di distinguere perciò le
reazioni difensive caratteriologiche da quelle provocate da particolari stress. Come hanno osservato
Vaillant e McCullogh (1998, p. 154), tutti noi quando ci sentiamo capiti mostriamo dinamiche più
mature. Comprendere come una persona si difende dalle emozioni dolorose è uno dei requisiti
necessari per comprendere la sua psicologia in generale. Imparare a trasmettere questa
comprensione in modi che non siano schermati o distorti da quelle stesse difese è essenziale per
l’arte della psicoterapia.
BIBLIOGRAFIA
Bowlby, J. (1980) “Attaccamento e perdita. Vol. 3. La perdita della madre.” Traduzione italiana
Boringhieri, Torino 1983.
Klein, M. (1946), “Note su alcuni meccanismi schizoidi”, traduzione italiana in scritti 1921-1958.
Boringhieri, Torino 1978.
Kohut, H. (1977), “La guarigione del Sé”, traduzione italiana Boringhieri, Torino 1980.
Lingiardi, (2002) “I meccanismi di difesa. Teoria, valutazione, clinica.” Milano Raffaello Cortina
Editore.
Vaillant, C.E; McCullough, L. (1998), “The role of ego mechanism of defense in the diagnosis of
personality disorders”. American Psychological Association, Washington, DC.
Westen, D. (1998) “Case formulation and personality diagnosis: Two processes or one?”. American
Psychological Association, Washington, DC.

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