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L’ANSIA

L’ansia di per sé non è un meccanismo patologico ma rappresenta un


meccanismo utile all’adattamento e alla sopravvivenza perché consente di
riconoscere facilmente un pericolo e permette di mobilitare le risorse
appropriate per fronteggiare la situazione. La sua funzione informativa è
paragonabile a quella del dolore: si tratta di un segnale che permette
all’individuo di distogliere l’attenzione da quello che sta facendo per spingerlo
a prendere provvedimenti per evitare danni futuri e porre termine al disagio
che avverte. Il problema è costituito non dall’ansia ma dalla sua presenza
eccessiva. L’ansia è dunque un costrutto bidimensionale, che comprende
aspetti cognitivi e aspetti psicofisiologici. Il termine preoccupazione indica
un’attività cognitiva involontaria associata a un senso di disagio emotivo. È un
processo attraverso il quale il tema è approfondito, ed elaborato allo scopo di
fronteggiare il problema. A volte la preoccupazione diviene disadattiva perché
assume dimensioni eccessive rallentando il processo di soluzione del problema
arrivando ad una forma di evitamento cognitivo.

L’ansia diviene patologica e disadattiva quando è eccessiva al di fuori di un


contesto di allarme.

L’ansia, come abbiamo già detto, ha un aspetto bidimensionale:

- ASPETTI COGNITIVI: il mondo è percepito come pericoloso, l’individuo si


percepisce come debole e povera di risorse.

CAUSA: oggi si è trovato che l’amigdala, collocata nel lobo temporale, ha un


ruolo chiave nell’attivare paura e collera. Secondo l’ipotesi neurobiologica i
disturbi d’ansia si spiegherebbero con un’iperattività dell’amigdala che
risponde agli stimoli eccessivamente, i livelli di noradrenalina sono più alti del
normale.

- ASPETTI PSICOFISICI: i problemi d’ansia scatenano risposte fisiologiche:


tensione muscolare, problemi a respirare, dolore fisico, sudorazione eccessiva,
soffocamento, agitazione. Alcune di esse possono produrre malattie
psicosomatiche (asma).

La prima classificazione da effettuare è quella appunto dei disturbi d’ansia


generalizzato
Ansia e preoccupazioni croniche ed eccessive sono considerate l’aspetto
centrale del disturbo d’ansia generalizzato. Si parla di generalizzato perché
ansia e preoccupazioni riguardano una quantità di eventi e di attività che
vengono elaborate come potenzialmente pericolose e con un numero limitato
di situazioni specifiche.

Tra i sintomi del disturbo d’ansia generalizzato troviamo: irrequietezza,


affaticabilità, difficoltà a concentrarsi, irritabilità, tensione muscolare,
alterazione del sonno, paura del futuro.

Diventa disadattiva quando è pervasivo, cioè quando diventa


compromettente e diventa un problema per l’individuo e va ad incidere sulla
sua quotidianità.

Diventa invece adattiva quando è costruttiva, cioè quando la persona è in


tensione a causa della probabile apparizione di un evento dannoso. Si tratta,
dunque, di un meccanismo di difesa che serve alla nostra sopravvivenza e che
prepara la mente e il corpo a reagire a un pericolo reale.

ATTACCHI E DISTURBO DI PANICO

L’ansia è un disturbo cognitivo, perciò da esso derivano disturbi psicosomatici.

La principale differenza tra attacco di panico e disturbo da panico consiste nel


fatto che:

Un attacco di panico è l'improvvisa comparsa di un periodo distinto e breve di


intenso disagio, di ansia, o di paura; mentre il disturbo di panico consiste
nella comparsa di ripetuti attacchi di panico accompagnati dalla paura di un
attacco futuro o da cambiamenti nel comportamento atti a evitare situazioni
che possono predisporre agli attacchi. Gli attacchi di panico possono essere:
provocati dalla situazione (durante o prima di una situazione temuta, termina
alla sua fine. Evidente il rapporto tra i due eventi) o inaspettati (insorge
improvvisamente e raggiunge rapidamente l’apice.

Il disturbo di panico è dato da esperienze di attacchi di panico inaspettati e


ricorrenti, cui fanno seguito per almeno un mese preoccupazioni di poter
avere nuovi attacchi.
L’attacco di panico dunque è una manifestazione d’ansia molto intensa, breve
e transitoria è l’attacco di panico, ovvero un periodo limitato di intensa
apprensione, paura o terrore. Tra i vari sintomi dell’attacco di panico abbiamo:

• palpitazione o tachicardia;
• sudorazione;
• tremore;
• dispnea o sensazione di soffocamento;
• dolore al petto;
• nausea;
• sensazioni di sbandamento, instabilità o svenimento;
• derealizzazione o depersonalizzazione (sono due meccanismi di difesa e
rientrano tra i SINTOMI DISSOCIATIVI, che rientrano nel disturbo dello
stress post-traumatico. Con il termine depersonalizzazione si descrive
l'esperienza di sentirsi un osservatore esterno rispetto al proprio corpo;
con la derealizzazione invece, si intendono quelle esperienze di irrealtà
rispetto a un ambiente). Questi due li ritroviamo anche negli episodi
psicotici.
• paura di perdere il controllo o impazzire;
• paura di morire;
• parestesie (=disturbo soggettivo della sensibilità che consiste
nell'insorgenza di una sensazione come ad esempio il formicolio,
pizzicore, solletico, prurito, punture di spillo)
• brividi o vampate di calore.

L’assistenza infermieristica ad un paziente con un attacco di panico: Durante


un attacco di panico è necessario portare il paziente in un luogo appartato e
poco frequentato. Una volta raggiunto, va aiutato il paziente a regolarizzare il
suo respiro. In questa fase non va detto al paziente di controllarsi, ma va
aiutato nella gestione dell’attacco acuto. Una strategia facilmente spendibile
in caso di attacco di panico è quella di far respirare il paziente all’interno di un
sacchetto di carta per ripristinare l’eccessiva perdita di CO2.

Per agorafobia si intende l’ansia relativa all’essere in luoghi o situazioni dove


sia difficile allontanarsi oppure dove sia difficile ricevere aiuto nel caso di un
attacco di panico. Può essere dunque il risultato di una serie di attacchi di
panico. È possibile che si voglia andare in un luogo solo con un
accompagnatore o con l’ansia continua che possa insorgere un attacco. Per il
trattamento in ordine terapia psicologica, terapia farmacologica con
antidepressivi (non benzodiazepine, queste si utilizzano solo in pronto
soccorso= xanax) e autoaiuto.

LA FOBIA

Una fobia (dal greco «paura») è la paura persistente e irrazionale di un


oggetto, di un’attività o di una situazione particolare. Le persone che soffrono
di fobie provano paura anche solo pensando all’oggetto o alla situazione
temuti, ma restano in genere tranquille se evitano qualunque contatto o
pensiero riguardo a essi.

Le varietà di forme in cui si manifestano le Fobie dipendono dalla personalità


individuale e della storia di ognuno, comunque, a prescindere dalla forma
specifica che assume, la dinamica psicologica coinvolta nella formazione
del sintomo fobico è solitamente sempre la stessa e attiva un meccanismo di
difesa in particolare, ovvero la Proiezione.
La PROIEZIONE consiste nel "buttare fuori" nel mondo esterno, la paura che
originariamente si è formata all'interno di sè, ovvero ciò che è un conflitto
presente all'interno di noi stessi.

La fobia la distinguiamo in FOBIE SPECIFICHE e FOBIE SOCIALI.

La fobia specifica è rappresentata da una paura marcata, persistente,


irragionevole o sproporzionata per stimoli precisi o situazioni circoscritte e
chiaramente discernibili. Per parlare propriamente di una fobia bisogna che
l’interessato sia consapevole dell’irragionevolezza della paura e non sia in
grado di controllarla e che ricavi da tale fobia compromissioni nella propria
vita sociale o lavorativa o in sfere per lui importanti. Per esempio: molte
persone hanno paura degli ascensori, ma ciò non comporta loro la fatica di
fare le scale a piedi.

Una differenza la fa la fobia sangue-iniezione-ferite, sottotipo di fobia che


porta allo svenimento della persona in situazioni di paura. Ciò che accade è
una breve accelerazione iniziale della frequenza cardiaca seguita da una sua
decelerazione e da un calo della pressione sanguigna, in contrasto con
l’accelerazione della frequenza cardiaca e la risposta di attivazione che è
abituale in altre fobie.
FOBIA SOCIALE

La fobia sociale è caratterizzata da una paura marcata e persistente relativa a


una o più situazioni sociali o prestazionali (cioè dove è richiesta una
prestazione che possa implicare una valutazione o una critica da parte altrui,
come ad esempio, un esame oppure parlare/cantare in pubblico). La persona
teme di agire e comportarsi in modo inadeguato in presenza di persone non
familiari, di provare imbarazzo, vergogna, umiliazione, di essere criticata e
giudicata negativamente. La conseguenza è che le situazioni sociali e
prestazionali sono evitate o nella migliore delle ipotesi sono tollerate con
grande fatica e sofferenza. Es: possono evitare di mangiare, bere, scrivere in
pubblico per la preoccupazione che gli altri notino le loro mani che tremano.
Un aspetto critico è dato dalle condotte di evitamento che si possono
sviluppare e che possono essere più o meno gravemente invalidanti. Ciò può
compromettere gravemente lo sviluppo di relazioni sociali soprattutto
nell’adolescenza e in età giovanile.

DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO E DISTURBI CORRELATI

E’ un disturbo molto frequente, in particolar modo nell’età evolutiva.

Per ossessioni si intendono pensieri, impulsi, immagini mentali che sono


ricorrenti e persistenti che causano ansia o disagio marcato, che sono vissuti
dall’interessato come intrusivi o inappropriati. La persona tenta di ignorare tali
pensieri poiché ne riconosce l’irragionevolezza, quindi lotta attivamente per
allontanarle dalla propria mente. Le ossessioni sono dunque egodistoniche,
rappresentano un tipo di pensieri che contrasta con le convinzioni più radicate
dalla persona, come pensieri blasfemi in una persona pia e devota, impulsi
aggressivi o addirittura omicidi nei confronti di una persona verso la quale si
hanno sentimenti ambivalenti.

Le compulsioni sono comportamenti ingiustificati e ripetuti in modi


stereotipati e sproporzionati, come controllare e ricontrollare, lavarsi e pulire
all’infinito, allineare e riordinare, oppure azioni fatte per evitare l’ossessione
temuta.
LA DIFFERENZA TRA QUESTI DUE FENOMENI (domanda esame): = LE
OSSESSIONI CAUSANO UN DISAGIO, MENTRE LE COMPULSIONI
ALLEVIANO TALE DISAGIO Le ossessioni sono pensieri, impulsi o
immagini mentali che vengono percepite come sgradevoli o intrusive dalla
persona, che si sente così costretta a mettere in atto delle compulsioni,
ovvero comportamenti ripetitivi o azioni mentali che permettono di alleviare il
disagio provocato dalle ossessioni.

Si ha una diagnosi di disturbo ossessivo-compulsivo quando ossessioni o


compulsioni diventano eccessive o irrazionali, causano angoscia e malessere,
assorbono gran parte del tempo o interferiscono con le funzioni quotidiane. Il
disturbo viene classificato tra i disturbi d’ansia perchè le ossessioni causano
molta tensione, mentre le compulsioni hanno lo scopo di prevenire o
attenuare l’ansia. Il disturbo ossessivo-compulsivo è alimentato da molti
dubbi.

Questo è un disturbo che è conseguente ad un attaccamento insicuro, dove il


soggetto ha paura di mostrare le sue emozioni, in quanto ritiene che possono
essere criticate. (questo potrebbe essere la causa delle ossessioni).

Questo meccanismo durante le fasi della nostra vita si modifica, ad esempio:


un bambino mette in fila tutte le macchinette oppure i colori con la punta
verso l’alto/basso; crescendo invece si può trasformare in un’ossessione dello
sport, vestirsi sempre con lo stesso colore, mangiare solo determinate cose,
ecc. Diventa patologico quando diventa PERSISTENTE, INVASIVA e quando ci
PERVADE TUTTA LA GIORNATA.

Nello stress ossessivo troviamo anche il dismorfismo corporeo, ovvero la


presenza di sintomi fisici non giustificati da alcuna condizione medica generale
nonché dagli effetti di una sostanza o da un altro disturbo mentale.
Altri sono la tricotillomania (=strappamento dei peli), il disturbo da escoriazione
(=stuzzicamento della pelle), il disturbo da accumulo (=si caratterizza per un bisogno estremo
di conservare oggetti fino a rendere inutizzabili i propri spazi per la vita comune).

DISTURBI DI ALIMENTAZIONE
Una componente ossessiva la troviamo anche nei disturbi alimentari, come la
bulimia e l’anoressia. La principale caratteristica che distingue
la bulimia dall'anoressia è la presenza di ricorrenti abbuffate.

Il disturbo più drammatico è rappresentato dall’anoressia nervosa, sono


sempre più frequenti ragazze che angosciate dal loro aspetto fisico, si privano
di cibo fino a raggiungere uno stato fisico gravissimo. Evoluzione ed esito sono
estremamente variabili, in alcuni casi vi è una totale remissione, in altri è
necessario il ricovero in ambiente ospedaliero per ripristinare il peso ideale.
L’anoressia è il disturbo con il grado di mortalità più alto in assoluto. Il decesso
può avvenire per denutrizione o per suicidio dovuto agli squilibri elettrolitici.

L’anoressia nervosa ha molte manifestazioni, che sono caratteristiche


essenziali:

• intensa paura ad acquistare peso;


• distorsioni relative sia al valore che alla percezione attribuita all’aspetto
fisico e al peso;
• nelle donne, amenorrea, cioè assenza di almeno tre cicli mestruali
consecutivi dopo il menarca, oppure un ritardo nella comparsa del
menarca.

L’evoluzione e gli esiti sono estremamente variabili; a volte ad un episodio di


anoressia nervosa fa seguito una completa remissione. In altri casi è necessario
il ricovero ospedaliero.

Una crisi bulimica, invece, è l’ingestione in un certo lasso di tempo di una


quantità di cibo esagerata. Durante l’episodio il soggetto ha la sensazione di
perdere il controllo su ciò che si sta mangiando, e termina quando si ha una
sensazione di pienezza o quando termina il cibo a disposizione.Le crisi
bulimiche avvengonoin solitudine e sono indotte da stati depressivi, condizioni
di stress e insoddisfazione, successivamente all’episodio si prova vergogna,
autocritica e umore depresso.

DISFUNZIONI SESSUALI

La sfera sessuale implica il corpo fisico e la sfera psicologica. Per disfunzioni


sessuali si intendono quei problemi che ostacolano o impediscono, sia nelle
donne che negli uomini, il rapporto sessuale. Tra le cause delle disfunzioni
sessuali troviamo le cause:
• fattori psicologici hanno un ruolo fondamentale;

• fattori combinati: condizione medica generale o l’uso di sostanze che


contribuiscono al mantenimento della disfunzione sessuale;

• disfunzione dovuta agli effetti fisiologici diretti di una condizione medica


generale (lesioni al midollo, sclerosi multipla, ipotiroidismo, disturbi
genito-urinari...);

• effetti fisiologici diretti di una sostanza di abuso come le droghe, o di un


farmaco o all’esposizione con una sostanza tossica.

Ansia e disturbi correlati allo stress


Lo stress è una risposta psicofisica a compiti anche molto diversi tra loro, di
natura emotiva, cognitiva o sociale, che la persona percepisce come
eccessivi. In molti casi gli eventi stressanti sono nocivi e possono portare a
risposte negative rispetto alla situazione (si parla quindi di distress). In altri
casi, invece, gli eventi stressanti sono benefici, poiché portano ad una
risposta positiva rispetto agli eventi (in questo caso si parla di eustress).
DIFFERENZA TRA STRESS E TRAUMA= (domanda esame)
Lo stress è una risposta fisiologica e adattiva ad una situazione (fase
passeggera);
Il trauma psicologico, invece, può essere definito come una “ferita
dell'anima”, come qualcosa che rompe il consueto modo di vivere e vedere il
mondo e che ha un impatto negativo sulla persona che lo vive.

Il disturbo dell'adattamento comporta angoscia intensa e alterazione dei


sintomi emotivi e/o comportamentali causati da un fattore stressante
identificabile. Spesso le persone diventano tristi, arrabbiate o sconvolte
quando accadono cose spiacevoli. Tali reazioni non sono considerate un
disturbo a meno che la reazione sia più intensa di quanto normalmente
previsto nella cultura della persona, o quando la capacità della persona di
funzionare sia significativamente compromessa. La morte di una persona cara
può essere un fattore scatenante di un disturbo dell'adattamento.

Disturbo acuto da stress: emerge nel corso dell’esperienza traumatica e del


primo mese successivo all’evento. I sintomi comprendono dissociazione,
evitamento, difficoltà di concentrazione. Esso viene definito come
l’esposizione a una situazione di forte minaccia, alla vita o all’integrità fisica
per se stessi o altri, che può portare successivamente al disturbo post-
traumatico da stress. Il disturbo acuto da stress differisce dal disturbo da
stress post-traumatico per la gravità dei sintomi, che non sono riconducibili
a un comune disturbo d’assestamento, e per la loro comparsa: il disturbo
include infatti sia l’esperienza traumatica, sia i sintomi manifestati entro un
mese dal trauma.

Il disturbo da stress post-traumatico è un disturbo correlato ad un evento


traumatico e stressante in cui la persona ha vissuto, ha assistito, o si è
confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia
di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri.
Eventi come ad esempio, aggressioni personali, disastri, guerre e
combattimenti, rapimenti, torture, incidenti, malattie gravi.
I sintomi del disturbo post-traumatico da stress possono prodursi poche ore
dopo l’evento o addirittura settimane dopo, e possono perdurare per molto
tempo.
I sintomi possono essere:
• INTRUSIVI: consistono in flashback (ricordi ricorrenti all’evento) che
arrivano come fulmini a ciel sereno. A questi sintomi si associano delle
manifestazioni neurovegetative, come la tachicardia, tremore e a volte
anche attacchi di panico
• DI EVITAMENTO: tendenza ad evitare tutto ciò che possa ricondurre
all’evento traumatico, tutte quelle situazioni simili o anche le persone
con cui si è condiviso quell’evento
• DI NUMBING (=TORPORE): sono tutti quegli stati confusionali, reazioni di
angoscia, alterazioni della capacità affettiva
• DISSOCIATIVI: derealizzazione e depersonalizzazione (Con il
termine depersonalizzazione si descrive l'esperienza di sentirsi un
osservatore esterno rispetto al proprio corpo; con la derealizzazione
invece, si intendono quelle esperienze di irrealtà rispetto a un ambiente)

I sintomi del disturbo acuto da stress iniziano poco dopo il trauma e hanno una
durata che non supera i trenta giorni, mentre l’esordio del disturbo post-
traumatico da stress può avvenire in qualsiasi momento, anche a distanza di
anni dal trauma, e i sintomi possono perdurare per mesi o anni.
DISTURBI DISSOCIATIVI

Sono alterazioni marcate della coscienza, della memoria, del senso di identità
e della percezione dell’ambiente. L’alterazione può essere improvvisa o
graduale, transitoria o cronica. Per essere definiti disturbi devono creare un
disagio clinicamente significativo o compromettere il normale funzionamento
sociale o lavorativo.

I disturbi dissociativi sono di diverso tipo. Vi è l’amnesia dissociativa il cui


sintomo iniziale è l’incapacità di ricordare eventi e informazioni personali
importanti. Queste lacune sono di solito collegate ad eventi traumatici o
stressanti. Molto rare sono invece le amnesie generalizzate, e le amnesie
continuative.

La fuga dissociativa, invece, implica il dimenticare il passato, lo spostarsi in un


altro luogo e assumere un’altra identità. Essa inoltre ha come manifestazione
centrale un allontanamento improvviso e inaspettato da casa o dal posto di
lavoro, può variare da un viaggio di un paio d’ore ad un vagabondaggio che
dura mesi.

I trattamenti principali per l’amnesia e la fuga dissociati- va sono la terapia


psicodinamica, la terapia ipnotica e la terapia farmacologica. I terapeuti
psicodinamici guidano i pazienti con questi disturbi a indagare il loro inconscio
nel tentativo di riportare alla coscienza le esperienze traumatiche dissociate ed
escluse dalla loro consapevolezza. La terapia di matrice psicodinamica sembra
essere la più adatta per questo tipo di disturbi: essa permette ai pazienti di
recuperare esperienze traumatiche potenzialmente disgreganti e, pertanto,
difensivamente escluse dalla coscienza. Un altro trattamento molto utilizzato
per l’amnesia e la fuga dissociativa è la terapia ipnotica o ipnoterapia. Da
questa prospettiva i pazienti sotto ipnosi vengono guidati a ricordare eventi
dimenticati. Le persone in stato ipnotico entrano in uno stato simile al sonno
che le rende estremamente suggestionabili. Mentre sono in questa condizione
possono comportarsi, percepire e pensare in modi che abitualmente
sembrerebbero impossibili. L’ipnosi può aiutare a ricordare fatti accaduti e
dimenticati da anni, un effetto sfruttato da molti psicoterapeuti, ma può anche
aiutare a dimenticare fatti, eventi e perfino la propria identità personale, un
effetto chiamato amnesia ipnotica.
Si parla di BLOCCO DEL SONNO quando un individuo, al momento del risveglio
o poco prima dell'addormentamento, risulta temporaneamente incapace di
muoversi e/o parlare. In altre parole, il soggetto è cosciente, ma non riesce a
compiere i gesti tipici di una persona sveglia.

Il burnout è un insieme di sintomi che deriva da una condizione di stress


cronico e persistente, associato al contesto lavorativo. La sindrome da burn-
out dipende dalla risposta individuale ad una situazione professionale
percepita come logorante dal punto di vista psicofisico.
I sintomi del burn-out posso essere:
insonnia, cefalea, mal di stomaco, poca motivazione per lo svolgimento
dell'attività lavorativa, depressione, angoscia, non si vuole più andare a
lavorare, sensazione di fallimento, stanchezza.

DISTURBI DI PERSONALITA’ = lo chiede sempre all’esame

Si riferisce a modalità perduranti di percepire, rapportarsi, e pensare nei


confronti dell’ambiente e si sé stessi, che si manifestano in un’ampia gamma di
contesti.

La personalità è un costrutto, un insieme di manifestazioni più o meno stabili


in cui noi ci riconosciamo e con cui ci facciamo riconoscere dagli altri. Essa è
strutturata in due componenti principali: una PSICOCOMPORTAMENTALE
APPRESA e l’altra BIOGENETICA.

Quella psicocomportamentale potremmo definirla caratteriale, ereditaria ed è


il cosiddetto TEMPERAMENTO MENTALE.

La personalità è diversa dall’identità: Avere una personalità forte non significa,


quindi, avere anche una forte identità. L'identità invece è un'altra cosa, è il
sapersi riconoscere se stessi al di la del ruolo sociale e dei suoi
riconoscimenti, è il radicamento in se stesso al di là della personalità.
L’identità è tutto ciò che ci caratterizza. = ESAME
Nel TSM-5 il disturbo di personalità multipla viene rivalutato e rivisitato con il
nome di DISTURBO DISSOCIATIVO DI IDENTITA’ (non parlano più del disturbo
di personalità ma di identità) (la prof non è d’accordo su questo
cambiamento).
I disturbi di personalità si possono classificare in:
CLASTER A: rientrano il disturbo di personalità paranoide, schizoide e
schizotipico personalità strane ed eccentriche.
CLASTER B: rientrano il disturbo di personalità istrionico, antisociale,
narcisistica e disturbo di personalità border-line personalità amplificative e
imprevedibili.
CLASTER C: rientrano il disturbo di personalità evitante, dipendente e
ossessivo-compulsivo Personalità ansiosa e timorosa.

1. Le persone con disturbo paranoide di personalità nutrono una profonda


diffidenza nei confronti degli altri e una grande sospettosità sulle loro
motivazioni. Dal momento che sono convinti che tutti vogliano far loro
del male o danneggiarli, evitano qualunque tipo di relazione intima. In
ogni cosa trovano significati «nascosti», in genere tesi a sminuirle o
minacciarle. Le persone con disturbo paranoide tendono rapidamente a
mettere in dubbio la lealtà o l’onestà dei conoscenti e restano in
generale fredde e distanti. Queste persone sono tuttavia incapaci di
riconoscere i propri errori ed estremamente sensibili alle critiche. Spesso
accusano gli altri per ciò che non va nella propria vita e tendono a
portare rancore

2. Gli individui con disturbo schizoide di personalità evitano le relazioni


sociali, manifestano distacco e hanno una gamma limitata di espressioni
emotive. Come nel caso del disturbo paranoide, questi soggetti non
hanno legami di amicizia o affettivi con gli altri. La ragione per cui
evitano il contatto sociale non ha nulla a che fare con le sensazioni
paranoidi di diffidenza o sospettosità; essi preferiscono veramente la
solitudine. Gli individui con disturbo schizoide della personalità sono
concentrati essenzialmente su se stessi e sono insensibili sia alle lodi che
alle critiche. Raramente esprimono emozioni, neppure gioia o collera.
Sembrano non avere alcun bisogno di attenzione o accettazione; in
generale sono considerati freddi, privi di senso dell’umorismo, spenti; di
norma riescono a farsi ignorare, come desiderano.

Disturbo schizoide di personalità: disturbo di personalità caratterizzato da


una modalità pervasiva di distacco dalle relazioni sociali e una gamma
ristretta di espressioni emotive.
3. Il disturbo schizotipico di personalità ha difficoltà nei rapporti
interpersonali, accentuati da un estremo disagio nelle relazioni strette,
da modalità di pensiero e di percezione molto strane e da eccentricità
del comportamento. Le persone con questo disturbo sono in ansia
quando si trovano in mezzo agli altri; per questo motivo tendono a
isolarsi e ad avere pochissimi amici. Molti si sentono profondamente
soli. Si tratta di un disturbo più grave del disturbo schizoide e paranoide.
Tra i sintomi possono essere presenti idee di riferimento (la convinzione
che eventi esterni abbiano un significato che le riguarda direttamente) e
illusioni corporee, come la percezione di una «forza» o presenza esterna.
Spesso i soggetti con disturbo schizotipico pensano di avere poteri
speciali, capacità extrasensoriali, poteri magici sugli altri. Tra le
eccentricità tipiche del disturbo schizotipico, sistemare di continuo le
confezioni per allineare le etichette, mettere a posto gli armadi,
indossare abiti trasandati o male assortiti. Essi hanno ridotte capacità di
attenzione e presentano difficoltà di concentrazione.

4. I soggetti con disturbo antisociale di personalità, detti anche


«psicopatici» o «sociopatici», presentano un quadro pervasivo di
inosservanza e violazione dei diritti degli altri. Tendono a essere impulsivi
e agiscono senza pensare alle conseguenze. Di conseguenza possono
essere irritabili, aggressivi e violenti con gli altri. Disturbo antisociale di
personalità: disturbo della personalità caratterizzato da un quadro
pervasivo di inosservanza e violazione dei diritti degli altri. I soggetti con
disturbo antisociale di personalità mentono di continuo. L’avventatezza
è un’altra caratteristica comune: le persone sociopatiche hanno scarsa
considerazione per la sicurezza propria e degli altri, anche dei propri figli.
Sono egocentrici e hanno difficoltà a portare avanti relazioni strette. In
genere sviluppano un’abilità particolare nel trarre profitto o piacere
personale a spese degli altri. NON RISPETTANO GLI ALTRI, TRATTANO
GLI ALTRI COME UN OGGETTO.

5. Disturbo borderline di personalità: disturbo di personalità caratterizzato


da instabilità pervasiva nelle relazioni interpersonali, nell’immagine di sé
e nell’umore, e da comportamento impulsivo. Le caratteristiche del
disturbo borderline di personalità sono una grande instabilità, con
notevoli variazioni di umore, alterazioni dell’immagine di sé e impulsività
pervasiva. Tendono ad avere attacchi di rabbia che possono talora
sfociare in aggressione fisica e violenza. Possono inoltre rivolgere questa
rabbia impulsiva verso se stessi e autoinfliggersi del male. Molti
sembrano turbati da una profonda sensazione di vuoto. È frequente un
comportamento autolesivo o di automutilazione, come tagliarsi,
bruciarsi, sbattere la testa. Sebbene tali comportamenti siano in genere
causa di immensa sofferenza fisica, gli individui con disturbo borderline
di personalità hanno spesso la sensazione che il dolore fisico sia un
sollievo dalla sofferenza emotiva. Questo viene spesso collegato al
disturbo bipolare perché hanno dei sintomi molto simili, ma la
differenza sta nel fatto che il disturbo borderline è un disturbo di
personalità, il disturbo del bipolare è un disturbo del tono dell’umore.
Entrambi sono caratterizzati da cambi dell’umore.

6. Disturbo istrionico di personalità: disturbo di personalità caratterizzato


da un’emotività eccessiva e da un comportamento di ricerca di
attenzione. Un tempo era detto disturbo isterico di personalità. Le
persone con disturbo istrionico di personalità, un tempo detto disturbo
isterico di personalità, sono estremamente emotive (vengono definite in
genere «emotivamente cariche») e cercano di continuo di essere al
centro dell’attenzione. Le persone con disturbo istrionico di personalità
sono sempre «in scena», usano gesti teatrali, manierismi e linguaggio
altisonante per parlare anche di eventi comuni e quotidiani. Cambiano
continuamente allo scopo di attirare l’attenzione e fare colpo, e in
questa ricerca non modificano solo le caratteristiche superficiali, sempre
all’ultima moda, ma anche le proprie opinioni e convinzioni. In realtà il
loro eloquio è povero di dettagli e di sostanza, e sembrano non avere
chiaro il proprio senso di sé. L’approvazione e la lode sono essenziali per
questi individui, per i quali è essenziale avere un pubblico che assista ai
loro stati emotivi eccessivi. Vanitosi, egoisti, esigenti e incapaci di
ricercare la gratificazione a lungo, essi reagiscono in modo drammatico a
qualsiasi evento, anche piccolo, che impedisca la loro ricerca di
attenzione.
7. La caratteristica principale delle persone con disturbo narcisistico di
personalità è un’idea grandiosa di sé, il forte desiderio di essere
ammirate e la mancanza di empatia nei confronti degli altri. Convinte del
proprio grande successo, potere o bellezza, si aspettano la costante
attenzione e ammirazione degli altri. Le persone con disturbo narcisistico
di personalità si vantano dei propri successi e talenti, si aspettano di
essere ritenuti superiori dagli altri e spesso appaiono arroganti.
Nonostante l’autostima ipertrofica, in alcuni casi possono reagire alle
critiche o alla frustrazione con la collera o con l’eccessiva umiliazione.

Disturbo narcisistico di personalità: disturbo di personalità caratterizzato da


un quadro pervasivo di grandiosità, necessità di ammirazione e mancanza di
empatia.

8. Le persone con disturbo evitante di personalità sono molto a disagio e


inibite nelle situazioni sociali, provano un forte senso di inadeguatezza e
sono estremamente sensibili alle valutazioni negative. Hanno talmente
paura di essere respinte da evitare del tutto di dare a qualcuno
l’occasione di accettarle oppure quella di rifiutarle. Disturbo di
personalità caratterizzato da disagio e inibizione nelle situazioni sociali,
da sensazione di costante inadeguatezza e da un’estrema sensibilità alle
critiche. Questi individui si ritengono non attraenti o inferiori agli altri.
Tendono a esagerare le potenziali difficoltà delle situazioni nuove,
pertanto raramente corrono dei rischi o provano nuove attività. In
genere non hanno amici intimi o ne hanno pochissimi, e si sentono
spesso soli e depressi. Alcuni si creano nella fantasia un mondo
sostitutivo immaginario.

Il disturbo evitante di personalità è simile alla fobia sociale, e molto spesso


chi ha uno di questi disturbi manifesta anche l’altro. Le somiglianze
includono il timore di essere umiliati e la scarsa fiducia in se stessi. Secondo
alcuni teorici vi è una differenza essenziale tra i due disturbi: nella fobia
sociale gli individui temono in particolare le situazioni sociali, mentre nel
disturbo di personalità tendono a temere le relazioni sociali.

La parola evitante la troviamo anche nei modelli operativi interni insicuri.


9. Le persone con disturbo dipendente di personalità hanno un bisogno
persistente ed eccessivo di essere accudite. Esse sono pertanto
sottomesse e obbedienti, temono la separazione da un genitore, dal
coniuge o da altri familiari stretti. È normale e anche sano dipendere in
qualche misura dagli altri, ma gli individui con disturbo dipendente di
personalità hanno un costante bisogno di appoggiarsi agli altri, anche
nelle situazioni più semplici, e dimostrano sensazioni di estrema
inadeguatezza e sottomissione. Temendo di non essere in grado di
badare a se stessi, si attaccano eccessivamente ad amici o familiari.
Molte persone con disturbo dipendente di personalità si sentono a
disagio, sole e infelici; sono dubbiose, pessimiste e negative verso se
stesse.

10. Le persone con disturbo ossessivo-compulsivo di personalità sono


talmente preoccupate dell’ordine, della perfezione e del controllo da
perdere ogni traccia di flessibilità, apertura ed efficienza. La loro
produttività è limitata proprio dall’ansia di dover fare tutto nel modo
«giusto». Gli individui con disturbo d’ansia ossessivo-compulsivo in
generale non desiderano né gradiscono i propri sintomi; nel disturbo
ossessivo-compulsivo di personalità le persone spesso accettano i propri
sintomi e difficilmente intendono resistere ai propri impulsi.

Il disturbo di nevrosi o psicotico ossessivo-compulsivo è diverso dal disturbo


di personalità, poiché le caratteristiche del disturbo di nevrosi ossessivo-
compulsivo sono sintomi nel disturbo di personalità ossessivo-compulsivo.
Quest’ultimo ha tutti i sintomi legati alla sua personalità. NON SCAMBIARLO
PERCHE’ BOCCIA = ESAME

I farmaci aiutano solo a contenere i sintomi, li possono stabilizzare nel tono


dell’umore, li tengono più tranquilli, ma non è curativo.

DISTURBI DEPRESSIVI E BIPOLARI

Un episodio depressivo maggiore è detto episodio proprio perché costituisce


un fatto transitorio, un periodo che si è convenuto debba durare almeno due
settimane, che presenta un cambiamento rispetto al precedente livello di
funzionamento dell’individuo, con sintomi che causano disagio clinicamente
significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o altre
importanti aree.

I sintomi possono essere vari:

- umore depresso per la maggior parte del giorno, tutti i giorni;

- mancato interesse per qualsiasi cosa;

- perdita o aumento di peso e di appetito;

- insonnia o ipersonnia;

- agitazione o rallentamento psicomotorio;

- faticabilità o mancanza di energia;

- sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi;

- ridotta capacità di pensare o concentrarsi, indecisione;

- pensieri ricorrenti di morte e ideazione di suicidio o tentativo.

Per parlare di episodio depressivo maggiore è richiesta la presenza di almeno 5


di questi sintomi. Alcuni possono essere negati dal soggetto ma riferiti dai
familiari.

La depressione può essere unipolare (un solo disturbo) o bipolare (due


disturbi), l’episodio maniacale è bipolare poiché è sia depressivo che
maniacale.
L’episodio maniacale è caratterizzato da alterazione grave dell’umore, ossia
molto elevato, espansivo o irritabile. Per definire un episodio maniacale deve
avvenire per almeno una settimana e da una gravità tale da compromettere il
funzionamento lavorativo o delle attività sociali abituali. Inoltre è richiesta la
presenza di almeno 3 dei seguenti sintomi:

• autostima eccessiva o grandiosità


• diminuito bisogno di sonno
• loquacità maggiore del solito
• fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano
rapidamente
• distraibilità (attenzione è deviata da stimoli esterni non importanti
o pertinenti)
• aumento dell’attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica,
sessuale)
• eccessivo coinvolgimento in attività che hanno un alto potenziale
di conseguenze dannose (eccessi nel comprare, comportamento
sessuale sconveniente, investimenti in affari avventati)

Episodio maniacale:

2. di solito inizia molto velocemente


3. dura meno di un episodio depressivo
4. dopo un primo episodio il 90% dei pazienti avrà altri

episodi maniacali e depressivi

5. il tasso di suicidio è del 10%

Episodio ipomaniacale: è una manifestazione meno grave di un episodio


maniacale, dura almeno 4 giorni, non provoca la marcata compromissione in
ambito lavorativo e sociale, non richiede l’ospedalizzazione.

Un disturbo depressivo maggiore è caratterizzato dalla presenza di un episodio


depressivo e il decorso successivo è variabile e spesso si presentano nuovi
episodi.

Si parlerà di depressione ricorrente con un decorso clinico di almeno due


episodi depressivi maggiori separati da un intervallo di almeno due mesi.

Un disturbo distimico si caratterizza per un umore cronicamente depresso,


accertato per un periodo lungo almeno due anni. È caratterizzato da sintomi
meno gravi, che creano sofferenza e compromissione del funzionamento
sociale, lavorativo, ecc. ma che non pervengono mai a un episodio depressivo
maggiore. Quando ha durata di molti anni è difficile distinguerlo dal
funzionamento abituale.

Il disturbo bipolare era noto in passato come psicosi maniaco-depressiva. Tra


tutti i disturbi psichiatrici è quello che presenta la più alta componente
genetica. Il trattamento fa ricorso a stabilizzatori dell’umore, il farmaco
d’elezione è il carbonato di litio (con esso si possono danneggiare gravemente
alcuni organi vitali quindi vanno eseguite le giuste analisi prima di
prescriverlo), efficacie nel 75% dei casi. È facile che a causa delle oscillazioni
dell’umore i pazienti lo sospendano ma in questo modo facilitano l’insorgenza
di un episodio maniacale. Il trattamento farmacologico è d’obbligo, la
psicoterapia può avere un ruolo parallelo importante, ma non sostitutivo.

DISTURBO BIPOLARE I tipo: è caratterizzato da un decorso clinico con uno o


più episodi maniacali: è il più grave.

DISTURBO BIPOLARE II tipo: è costituito da un decorso con uno o più episodi


depressivi maggiori e almeno un episodio ipomaniacale.

DISTURBO CICLOTIMICO: un’alterazione dell’umore cronica, con numerosi


episodi ipomaniacali e periodi con sintomi depressivi che non raggiungono
l’intensità di un episodio depressivo maggiore.

Il disturbo bipolare non deve essere scambiato con il disturbo di personalità


multipla perché il disturbo di personalità è un disturbo che rientra nei disturbi
del tono dell’umore, ma soprattutto è un disturbo ponte tra i disturbi
dell’umore e disturbi psicotici. = ESAME

Il disturbo borderline è un disturbo personologico ed è quindi una condizione


persistente, presente fin dalla prima età adulta per tutta la durata della vita,
che influenza l’intero sviluppo della struttura emotiva e comportamentale di
una persona.

Il disturbo bipolare è, invece, un insieme di sintomi del tono dell’umore che si


presentano in forma acuta o subacuta in uno o più momenti di vita, ma non
sono parte della struttura centrale della personalità.

Suicidio è qualunque atto a esito fatale in cui un individuo provochi


deliberatamente la propria morte. Un suicidio mancato è l’atto suicidario
fallito, ma potenzialmente mortale. Per parasuicidio si intende qualunque
atto a esito non fatale in cui un individuo provochi deliberatamente danno a
se stesso, per esempio ingerendo deliberatamente una sostanza in dosi
maggiori di quelle generalmente ammesse come terapeutiche. Si presenta
come un tentativo di suicidio, mancato in genere perché i mezzi impiegati
non sono appropriati. In questo caso l’intenzione non è tanto togliersi la vita,
quanto esprimere un gesto vendicativo, di protesta o di richiamo
dell’attenzione, di richiesta d’aiuto. Nell’esame clinico di un paziente
depresso è doveroso esplorare i pensieri attinenti al suicidio e cercare di
mettere in luce l’esistenza di un progetto suicidario (nel presente come nel
passato). La sofferenza e il senso di disperazione presenti in un episodio
depressivo possono indurre la persona a ritenere la morte preferibile alla
propria condizione. È stato giustamente detto che la condizione in cui si trova
un paziente gravemente depresso è un mondo atemporale: il paziente non
riesce a credere che la sua condizione possa essere transitoria, fatica o non
riesce a ricordare un passato felice, davanti a sé vede solo un eterno doloroso
presente, si presta a lasciarsi curare per compiacenza verso gli altri, non per
intima convinzione. Il suicidio può apparirgli l’unica soluzione possibile.
Accanto all’ideazione, occorre valutare il grado della sofferenza interiore,
mentale o emozionale, la presenza/mancanza di motivi per vivere, la
presenza e la consistenza di fattori che trattengono dal suicidio (convinzioni
religiose, persone che sarebbero messe in difficoltà o ne soffrirebbero). Altri
aspetti da indagare sono l’impulsività, la tendenza al passaggio all’atto e
l’atteggiamento verso il suicidio. Per alcuni costituisce una resa: «non ce la
faccio più», «sono stanco di combattere»; per altri rappresenta una soluzione
e una via d’uscita: «sono soltanto un peso per gli altri, senza di me avranno
sollievo».
Un progetto suicidario può avere però altri e diversi significati:
• un gesto estremo per conquistare un amore perduto (innamorati respinti,
adolescenti);
• il modo per ricongiungersi a una persona amata da poco morta (Giulietta e
Romeo, coniugi anziani);
• una ritorsione per punire gli altri e indurre senso di colpa (bambini,
adolescenti);
• il tentativo di riparare colpe reali o presunte che il suicida ritiene di avere
commesso (studenti bocciati, ragazzine incinte);
• il tentativo di liberarsi da sentimenti ritenuti inaccettabili (amori proibiti,
desideri omosessuali, impulsi pedofili);
• il frutto di un impulso momentaneo e incontenibile.

Otto elementi sono ritenuti particolarmente importanti per valutare il rischio


di suicidio:
• la gravità dei tentativi precedenti;
• la storia dei tentativi precedenti;
• la presenza acuta di ideazione suicidaria;
• una condizione psicologica di grave disperazione;
• la forza di attrazione che la morte è venuta ad avere (la morte è sollievo,
ristoro da tribolazioni insopportabili);
• una storia familiare con presenza di suicidi;
• l’assunzione eccessiva di alcol (anche occasionale);
• la presenza di episodi recenti di perdita o di separazione.

SCHIZOFRENIA E ALTRI DISTURBI PSICOTICI

Il termine «psicotico» è stato definito, sul piano concettuale, come una


«perdita dei confini dell’Io», come una compromissione importante
dell’esame di realtà. Sul piano normativo e dell’operare concreto, è stato
definito come «psicotico» qualunque disturbo mentale che comportasse
menomazioni atte a interferire in maniera consistente con la capacità di
soddisfare le esigenze ordinarie della vita.
Il termine psicosi indica un sintomo di un’alterazione dell'equilibrio
psichico dell'individuo, con compromissione dell'esame di realtà e frequente
presenza di disturbi del pensiero come deliri e allucinazioni.

Questa viene inserita nella schizofrenia. Quest’ultima viene considerata il


disturbo mentale più grave; può essere fortemente invalidante e limitare
l’autonomia di chi ne soffre sia nelle relazioni sociali sia nelle normali attività
quotidiane. Allucinazioni e deliri sono sintomi psicotici per antonomasia:

1. le allucinazioni: percezione sensoriale che ha il senso impellente di realtà


di una percezione oggettiva, ma che si manifesta in assenza di una
stimolazione esterna del relativo organo di senso.
2. delirio: falsa convinzione, che comporta un'interpretazione non corretta
di percezioni ed esperienze. Tale convinzione è basata su errate
deduzioni riguardanti la realtà esterna e viene fermamente sostenuta a
dispetto di quanto tutti gli altri credono e di prove incontrovertibili della
sua falsità.

Si usa raggruppare in due ampie categorie i sintomi psicotici (essi vengono


in particolare utilizzati per la diagnosi della schizofrenia, cfr. più
avanti): sintomi positivi, così denominati in quanto riflettono una
distorsione o un eccesso di funzioni normali, e sintomi negativi, che
riflettono invece una diminuzione o una perdita delle funzioni normali. I
sintomi positivi includono:
1. allucinazione
2. deliri
3. eloquio disorganizzato: distorsioni del linguaggio e comunicazione nelle
quali si riflette la disorganizzazione del pensiero es. la persona può
continuamente perdere il filo del discorso passando da un argomento ad
un altro.
4. comportamento disorganizzato (o catatonico): distorsioni del controllo
del comportamento che possono causare difficoltà nell’esecuzione di
un’attività quotidiana, un’agitazione imprevedibile (gridare ecc). Si parla
di comportamento catatonico quando vi sono marcate anomalie
motorie, che corrispondono a gradi diversi di reattività all’ambiente fino
a giungere alla totale immobilità motoria (es catalessia). Sempre nel
comportamento catatonico si indicano mutacismo, ecolalia (cioè
ripetizione a eco di una parola o frase appena pronunciata da un’altra
persona) ed ecoprassia (cioè la ripetizione per imitazione dei movimenti
di un’altra persona in forma involontaria).

Tra i sintomi negativi troviamo:

1. Appiattimento dell’affettività: restrizione delle espressioni emotive, il


viso è immobile non reattivo, con scarso contatto dello sguardo, e
ridotto linguaggio del corpo.
2. Alogia: riduzione nella fluidità del pensiero e dei discorsi
3. Abulia: incapacità di iniziare o continuare comportamenti finalizzati a
una meta, la persona può rimanere seduta per lunghissimi tempi senza
mostrare interesse ad alcuna attività.

Quando arriva un soggetto delirante in pronto soccorso bisogna effettuare


esami ematici, tossicologici per confermare che non abbia ingerito sostanze
tossiche.

La schizofrenia rappresenta tutto un mondo enormemente diversificato.


Pertanto un «ritratto tipico» è difficile da stilare. Alcuni pensano che sotto
questo nome si stiano etichettando più disturbi diversi; altri studiosi
preferiscono parlare di spettro schizofrenico, cioè di un gruppo di disturbi
collegati e in sovrapposizione tra loro che possono avere basi eziologiche
comuni. Si tratta comunque di un disturbo universale. Per parlare di
schizofrenia è richiesta la presenza di almeno due tra i sintomi positivi e
negativi. Il disturbo comporta un grave deterioramento di una o più delle
principali aree di funzionamento, come 141il lavoro, le relazioni
interpersonali e la cura di sé. Vi sono diversi sottotipi che sono definiti dalla
sintomatologia predominante al momento della valutazione, sintomatologia
che può variare nell’evoluzione della malattia; secondo una secolare
tradizione essi sarebbero:
• tipo paranoide, che ha come manifestazione essenziale la presenza di
rilevanti deliri e allucinazioni uditive in un contesto di funzioni cognitive e di
affettività sostanzialmente preservato;
• tipo disorganizzato, che ha come caratteristiche essenziali la
disorganizzazione dell’eloquio e del comportamento;
• tipo catatonico, che ha come manifestazione principale la sintomatologia
catatonica;
• tipo indifferenziato, che non si caratterizza in nessuno dei tre tipi
precedenti pur presentando i sintomi caratteristici della schizofrenia;
• tipo residuo, che descrive un quadro clinico successivo alla fase attiva, nel
quale i sintomi positivi non sono più presenti o sono molto attenuati.
L’eziologia della schizofrenia esemplifica ampiamente il principio di causalità
multipla e offre l’opportunità di valutare quanto possa pesare il fattore
genetico nell’insorgenza di un disturbo mentale. In effetti, nella schizofrenia
come in numerosi altri disturbi, il fattore di rischio più importante è
la familiarità.

Disturbi psicotici possono pure essere indotti da sostanze. Rilevanti


allucinazioni e deliri possono essere la conseguenza fisiologica di stati di
intossicazione da alcol, amfetamine, cannabis, cocaina, allucinogeni,
oppiacei, e di intossicazione da alcuni farmaci, tra cui anestetici, analgesici,
sedativi, ipnotici e ansiolitici. Allucinazioni e deliri possono essere anche
conseguenza di stati di astinenza da alcol e da alcuni farmaci come sedativi,
ipnotici e ansiolitici. La caratteristica essenziale del disturbo delirante è la
presenza di uno o più deliri, che persistono per almeno un mese.
Il disturbo psicotico breve è un’alterazione che comporta l’insorgere
improvviso di uno o più dei sintomi seguenti: deliri, allucinazioni, eloquio
disorganizzato (per esempio, frequenti deragliamenti, incoerenza),
comportamento grossolanamente disorganizzato, comportamento
catatonico. Si tratta di un episodio che dura da un minimo di un giorno a un
massimo di un mese, con successivo pieno ritorno al livello di funzionamento
premorboso. Nel corso dell’episodio, benché di breve durata, si registra uno
stato di confusione e di agitazione emotiva particolarmente intenso. Può
rendersi necessaria una sorveglianza attenta sia per l’accudimento dei
bisogni alimentari e igienici, sia per la protezione del soggetto dalle
conseguenze dei deliri e della sua scarsa critica. Il rischio di suicidio è
particolarmente alto.
Nel disturbo schizoaffettivo si combinano sintomi psicotici con
caratteristiche di un disturbo dell’umore: durante il periodo di malattia, nel
quale sono presenti allucinazioni e deliri, si manifesta un episodio depressivo
maggiore, oppure un episodio maniacale, oppure un episodio misto. Anche in
questo caso esiste un aumentato rischio di suicidio. La prognosi è migliore
della prognosi della schizofrenia, ma peggiore della prognosi dei disturbi
dell’umore.
Nel disturbo schizofreniforme la durata della malattia è intermedia tra quella
del disturbo psicotico breve e quella della schizofrenia; in altre parole,
l’episodio di malattia (incluse le fasi prodromica, attiva e residua) ha durata
compresa tra uno e sei mesi. La sintomatologia presente è costituita dai
sintomi positivi della schizofrenia.

LA PSICOSOMATICA
La psicosomatica è quella parte della medicina e della psicologia clinica volta a
ricercare la connessione tra un disturbo somatico (anche generico) e la sua
possibile causa di natura psicologica.
La psicosomatica è quella branca della medicina che pone in relazione la
mente con il corpo, ossia il mondo emozionale ed affettivo con il soma (il
disturbo), occupandosi nello specifico di rilevare e capire l'influenza che
l'emozione esercita sul corpo e le sue affezioni.
Nel disturbo da sintomi somatici la sofferenza del paziente non deriva tanto
dalla presenza dei sintomi somatici in quanto tali, ma piuttosto dal modo in
cui l’interessato li interpreta, li presenta, li pone al centro della propria vita.
Egli è difficile da trattare in quanto la diagnosi è fatta in base alla presenza di
pensieri, preoccupazioni, comportamenti eccessivi correlati ai sintomi
somatici o alla salute, al tempo e alle energie che essi assorbono, alla
presenza costante di un elevato livello di ansia connesso appunto a questo o
a quel sintomo.
Il disturbo di conversione è anche detto «disturbo da sintomi neurologici
funzionali» perché ha per caratteristica essenziale la presenza di sintomi o
deficit riguardanti le funzioni motorie volontarie o sensitive (sintomi
pseudoneurologici). I sintomi e deficit motori più comuni sono alterazioni
della coordinazione e dell’equilibrio, paralisi o astenia localizzate, afonia,
difficoltà a deglutire e ritenzione urinaria. I sintomi o deficit sensitivi
comprendono perdita della sensibilità tattile o dolorifica, diplopia (un difetto
della visione che consiste nel percepire un’immagine doppia), cecità, sordità.
Altri sintomi comuni sono attacchi epilettiformi o convulsioni.
Il termine «conversione» deriva dall’ipotesi che il sintomo somatico
rappresenti la risoluzione simbolica di un conflitto psicologico inconscio, che
riduce l’angoscia e che serve a tenere il conflitto fuori dalla coscienza.
Diverso è il caso dell’ansia per la salute, dove in primo piano non sono i
sintomi somatici, ma la paura dei sintomi somatici. Nel disturbo, la
preoccupazione è chiaramente eccessiva e sproporzionata, l’individuo si
allarma spesso e facilmente (per esempio solo sentendo parlare di questa o
quella malattia), raggiunge un livello di ansia eccessivamente elevato (per
esempio dà luogo a ripetuti accessi al Pronto Soccorso).

Spesso i pazienti ritengono che i loro sintomi non ricevano l’attenzione


appropriata e le cure necessarie: frequente quindi il deterioramento della
relazione medico-paziente, con reciproca frustrazione e risentimento.
Frequente pure il cosiddetto «andar per medici», cioè il sottoporsi a
innumerevoli visite, esami diagnostici, terapie ecc.
In questi pazienti si osserva una stessa convinzione, fortissima ed
estremamente rigida, che la «natura del problema» sia fisica e sia collocata
nel corpo. Pertanto tali pazienti cercano raramente l’aiuto psicologico.
Un paziente psicosomatico ha varie caratteristiche:
1. Alessitimia: indica l’incapacità di utilizzare parole appropriate
all’espressione delle emozioni.
2. Comportamento di Tipo A: Il costrutto si riferisce ai fattori
comportamentali di rischio di malattia coronarica, come un senso
eccessivo di pressione temporale, un eccessivo coinvolgimento nel
lavoro e in attività sottoposte a scadenze, espressioni motorie
indicative di fretta e urgenza, ostilità e cinismo, umore irritabile,
tendenza alla fretta, alta competitività
3. Comportamento abnorme di malattia. Il concetto indica modalità
disadattive che vanno da un estremo di attenzione e allarme eccessivo
o addirittura ingiustificato all’estremo opposto della sottovalutazione e
della negazione.
4. Fobia di malattia. Si tratta della paura persistente e priva di
fondamento di soffrire di una determinata malattia (per esempio, AIDS,
tumore) e, a differenza dell’ipocondria, si esprime in forma di attacchi.
5. Tanatofobia: Si tratta della paura di morire e dell’evitamento di quegli
stimoli che in qualche modo si colleghino alla morte (funerali, annunci
mortuari ecc.).
6. Ansia per la salute: Si tratta di una preoccupazione generalizzata
relativa alla malattia, al dolore e alle funzioni somatiche.
7. Negazione di malattia: Si tratta della negazione persistente di soffrire di
una malattia e di necessitare di trattamento medico a fronte della
presenza dei sintomi, dei segni clinici, della conoscenza della diagnosi o
della natura del trattamento medico in atto e a dispetto di una chiara
ed esauriente informazione medica sul proprio stato di salute.
8. Somatizzazione: la tendenza a esperire la sofferenza psicologica in
forma di sintomi fisici e a cercare aiuto medico per tali sintomi.
9. Sintomi di conversione: Si tratta di uno o più sintomi a carico delle
funzioni sensoriali o della motricità volontaria, in assenza di riscontro
organico e di plausibilità neurofisiologica, in un quadro di personalità
istrionica o in associazione con stimoli scatenanti di natura emotiva.
10. Reazione da anniversario: Descrive il fenomeno per cui, o al
raggiungimento della stessa età o in occasione dell’anniversario della
data nella quale un genitore o un familiare molto stretto è morto o ha
sviluppato una grave malattia, il paziente manifesta sintomi di
attivazione neurovegetativa o disturbi medici funzionali o sintomi di
conversione. Il paziente non è consapevole di tale associazione.
11. Umore irritabile: Indica uno stato d’animo caratterizzato da
umore irritabile, in contrasto con il temperamento abituale della
persona, che richiede un estenuante esercizio di autocontrollo per non
trasformarsi in esplosioni con gesti o parole di rabbia.
12. Demoralizzazione: Descrive uno stato d’animo di sconforto o
disperazione, caratterizzato dalla consapevolezza di avere mancato il
raggiungimento dei propri obiettivi esistenziali o di essere incapaci di
far fronte alla pressione dei problemi presenti.

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