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FATTORI DI RISCHIO
Esistono diversi fattori di rischio, alcuni individuali, altri di origine ambientale. Tra
i fattori individuali, ci sono molti geni che si ritiene possano essere associati
all'insorgenza della Bpco. Al momento, i dati più significativi in proposito sono
quelli relativi al deficit di alfa1-antitripsina, una condizione ereditaria piuttosto rara
caratterizzata dalla carenza di questa proteina epatica che normalmente protegge i
polmoni. Ci sono poi alcune patologie respiratorie complesse che possono
contribuire allo sviluppo della malattia, in particolare l’asma e l'ipersensibilità
bronchiale.
Tra i fattori ambientali, numerosi studi indicano che il principale fattore di rischio
per lo sviluppo della Bpco è il fumo di tabacco, in particolare quello di sigaretta
(meno quello di sigaro e pipa), che accelera e accentua il decadimento naturale
della funzione respiratoria. Anche il fumo passivo può contribuire parzialmente
allo sviluppo della malattia, in quanto favorisce l'inalazione di gas e particolato.
Gioca un ruolo determinante anche l'esposizione a polveri, sostanze chimiche,
vapori o fumi irritanti all'interno dell'ambiente di lavoro (per esempio silice o
cadmio). Altri fattori di rischio, seppure meno influenti, associati allo sviluppo
della Bpco sono l'inquinamento dell’aria: non solo quello atmosferico causato da
smog e polveri sottili, ma anche quello presente all'interno degli ambienti chiusi
(provocato dalle emissioni di stufe, apparecchi elettrici, impianti di aria
condizionata ecc.). Infezioni respiratorie come bronchiti, polmoniti e pleuriti
possono predisporre infine al deterioramento dei bronchi.
DIAGNOSI.
La spirometria è il test più semplice e comune per diagnosticare
la BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva). Grazie a questo esame è
possibile valutare il grado di disabilità respiratoria, monitorare l'evoluzione della
malattia e l'efficacia della terapia intrapresa.
La spirometria è un test molto semplice e assolutamente indolore. Si effettua
soffiando con forza in un boccaglio collegato ad un apparecchio chiamato
spirometro.
Proprio per questa sua semplicità la spirometria è un esame poco costoso utilissimo
non solo per diagnosticare la BPCO, ma anche per prevenire le complicanze di una
diagnosi tardiva. I soggetti a rischio (fumatori con più di quarant'anni) dovrebbero
eseguire questo esame almeno una volta ogni due anni o all'insorgenza di sintomi
come tosse cronica, catarro o difficoltà respiratoria.
A seconda dei risultati della spirometria la BPCO viene classificata in una scala di
gravità composta da quattro stadi.
DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
· compromissione degli scambi gassosi e della pervietà delle vie aeree dovuta
all’inalazione cronica di tossine
· compromissione degli scambi gassosi correlata a variazioni del rapporto
ventilazione-perfusione
· inefficace liberazione delle vie aeree correlata a bronco costrizione
· inefficace respirazione correlato a dispnea
· insufficiente conoscenza della malattia correlato a mancanza di
informazione
· rischio potenziale di insufficienza respiratoria correlato a bronco strizione
· rischio potenziale di infezioni a livello polmonare secondario a diminuzione
delle difese immunitarie
· rischio potenziale di ipertensione polmonare correlato a scarsa cura della
BPCO
· potenziale presenza di pneumotorace correlato a BPCO
PIANIFICAZIONE E OBBIETTIVI
Gli obbiettivi principali per il paziente sono:
· smettere di fumare
· migliorare gli scambi gassosi
· mantenere pervie le vie aeree
· migliorare il modello respiratorio
· tollerare l’attività fisica
· essere capaci di autogestirsi
· aderire al regime terapeutico
INTERVENTI
L’infermiere assieme al paziente deve discutere per trovare le strategie per smettere
di fumare,l’infermiere deve fornire le risorse per smettere di fumare,consulenze e
programmi formalizzati.
Per migliorare gli scambi gassosi bisogna ridurre il broncospasmo,migliorando il
flusso respiratorio e quindi ridurre la dispnea.
Per ottenere la pervietà delle vie aeree bisogna ridurre la quantità e la densità
dell’espettorato così facendo si migliora anche la ventilazione polmonare e gli
scambi gassosi.
Occorre eliminare tutti i tipi di sostanze irritanti per i polmoni,in particolare il
fumo di sigaretta.
L’infermiere istruisce il paziente sulla tosse spontanea o controllata che è più
efficace e riduce la fatigue associata a una tosse forte non controllata.
I modelli respiratori inefficaci e la dispnea sono dovuti alla meccanica respiratoria
inefficace della parete toracica.
L’allenamento della muscolatura inspiratoria e della respirazione aiuta i modelli
respiratori. I pazienti affetti da BPCO sperimentano una progressiva intolleranza
all’attività fisica. L’infermiere valuta la tolleranza del paziente e gli insegna le
strategie per favorire l’indipendenza nelle attività di vita quotidiana.
L’infermiere inoltre aiuta il paziente nella cura di sé evitando di modificare lo stile
di vita.
VALUTAZIONE
I risultati attesi per l’assistito possono essere:
· dimostrare di conoscere i pericoli del fumo
· dimostrare un miglioramento degli scambi gassosi
· ottenere la massima pervietà delle vie aeree
· migliorare i modelli respiratori
· dimostrare di conoscere le strategie della cura di sé
PATOLOGIA
Ostruzione acuta di una o più arterie polmonari dovuta da coaguli ematici
proveniente da trombosi periferica ( del sist venoso profondo= tromboembolia) o
raramente da trombosi locale (trombosi cardiaca) o emboli estranei alla normale
composizione del sangue.
Embolo: corpo solido ( sangue) liquido ( liquido amniotico) o gassoso (bolle d’
aria) che causa l’ ostruzione di un vaso ( arteria/vena)
Trombo: massa solida costituita da gr, gb, piastrine e fibrina
CLASSIFICAZIONE
Abbiamo due tipi di embolia polmonare:
1. embolia trombotica: è un trombo che si stacca dalla parete di un vaso e va in
circolazione.
2. embolia non trombotica: sono altri elementi che intervengono a chiudere il
ramo dell’arteria polmonare.
L’embolia polmonare trombotica o tromboembolia polmonare è la più frequente
che si vede in emergenza. L' embolo polmonare è costituito da un coagulo ematico
che in oltre il 95% dei casi si stacca da un trombo rosso a superficie liscia di una
trombosi venosa profonda (TVP) delle vene al di sopra del ginocchio (poplitee,
femorali, iliache) o da un trombo più distale non trattato che si è esteso
prossimalmente.
L’embolia polmonare non trombotica è caratterizzata da 5 tipi di embolie:
3. Embolia adiposa: è del grasso che viene liberato nella circolazione sistemica
dalle ossa fratturate (fratture composte).
4. Embolia da liquido amniotico: parti complicati
5. Embolia gassosa: si può verificare quando ci sono grossi interventi
neurochirurgici; immissione di aria nella circolazione sistemica.
6. Embolia settica: in presenza di un focolaio infettivo
7. Embolia tumorale: in cui l’embolo è costituito da tessuto neoplastico che
entra nel circolo sistemico previo distacco dalla massa tumorale primitiva o
metastatica.
Un ulteriore classificazione la distingue in due gruppi:
embolia massiva - è caratterizzata da shock e/o ipotensione (definita come
pressione sistolica < 90 mmHg o calo di pressione di 40 mmHg per più di 15
minuti non secondario ad aritmia di nuova comparsa, ipovolemia o sepsi)
− embolia non massiva – riguarda soggetti in condizioni relativamente più stabili.
Tra loro può essere identificato un sottogruppo caratterizzato da segni
ecocardiografici di ipocinesia del ventricolo destro. Quest’ultimo gruppo viene
individuato come pazienti affetti da embolia polmonare submassiva.
SEGNI/ SINTOMI
· Dispnea
· Dolore toracico, simile all’angina che peggiora durante l’inspirazione
· Apprensione o senso di morte imminente
· Ansia o paura
· Aritmie
· Tachiacrdia
· Distensione delle vene giugulari
· Sincope
· Ipotensione
· Tachipnea
· Confusione mentale
· Cianosi
DIAGNOSI
· Emogasanalisi : ipossiemia e ipocapnia
· D-dimero ELISA plasmatico del fibrinogeno
· • Elettrocardiogramma importante per escludere altre patologie ( es IMA)
· Ecocardiogramma transtoracico con Doppler cardiaco: per documentare
sovraccarico e disfunzione del ventricolo dx
· Eco color Doppler venoso
· Radiografia del torace:che mostrerà aree di atelettasia parenchimale,
versamento pleurico,elevazione di emidiaframma, anchequesto è utile per
escludere altrecause di dispnea.
· Angiografia polmonare: trattamento invasivo che viene utilizzato solo se i test
non invasivi non sono diagnostici.
· TC spirale del torace con m.d.c.:affidabile nella visualizzazione di EP lobari o
centrali.
· Scintigrafia ventilatoria e perfusoria del polmone
· Score di Wells: valuta, segni e sintomi del TVP, FC <100bpm,
immobilizzazione nelle precedenti 4 settimane, emottisi, neoplasia ecc. Lo
score ha un massimo di 12.5 punti. Score >6 indica alta probabilità di EP, tra 2-
6 moderata probabilità, <2 bassa probabilità.
ASSISTENZA INFERMIERISTICA
La gestione di un paziente affetto da EP richiede spesso, ma non sempre, l’utilizzo
di una struttura di sorveglianza intensiva a causa delle frequenti compromissioni
emodinamiche e respiratorie che accompagnano il quadro della patologia. Il
paziente, nella maggioranza dei casi, giunge sveglio e cosciente in Terapia
IntensivaCardiologica (TIC), con un notevolecarico di ansia e paura che
spesso,non placata dal contatto con il medico,si riversa sull’infermiere al quale
competono,oltre che abilità tecniche, dotie capacità di equilibrio emozionale
edempatia.
DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
-Alterazioni della funzione respiratoria dovuta a embolia polmonare (1)
-Rischio di complicanze cardiologiche (2)
- Potenziale rischio emorragico da terapia anticoagulante e/o antiaggregante (3)
-Dolore dovuto a embolia polmonare (toracico/pleurico) o a immobilità/posizione
obbligata (4)
-Alterazione della comunicazione dovuta a agitazione/aggressività
depressione/ansia (5)
- Rischio elevato di compromissione dell’integrità cutanea, correlato a
compressione e immobilità secondaria a dolore e restrizioni (6)
PIANIFICAZIONE E OBIETTIVI
E’ importante che:
-(1) il paziente abbia le vie aeree pervie, non presenti complicanze, collabori ai
trattamenti, presenti e/o riferisca una diminuzione, dell’affaticamento respiratorio,
presenti normali valori emogasanalitici.
-(2) che il paziente presenti il ripristino dei parametri vitali alterati e mantenga un
equilibrio
cardiocircolatorio stabile,non presenti scompenso del ventricolo destro, non
presenti shock cardiogeno.
-(3) che il paziente non subisca traumi, che il paziente non presenti perdite
ematiche,mantenere il tempo di tromboplastina parziale attivata (aptt) secondo
protocollo,minimizzare i rischi
-(4) che il paziente controlli il proprio dolore, che il paziente non presenti dolore
-(5)che il paziente riesca a verbalizzare il disagio/bisogni, riesca a relazionarsi con
la famiglia e/
o con gli operatori, riceva stimoli, presenti riduzione dell’ansia e dell’agitazione
- (6) che il paziente mantenga l’integrità cutanea,che il paziente non sviluppi
ulteriori
lesioni da decubito (LdD), che il paziente non sviluppi complicanze dovute alle
LdD, che il paziente presenti miglioramento alla LdD, che le lesioni non
peggiorino.
INTERVENTI INFERMIERISTICI
-(1) monitorare la frequenza respiratoria,tipo di respiro, colorito della cute,
sudorazione cutanea, temperatura corporea, saturazione, ossigenoterapia mirata
con una adeguata umidificazione delle vie aeree, assicurare al paziente una
posizione adeguata, insegnare come muoversi risparmiando ossigeno, assistere
all’intubazione tracheale e alla connessione al respiratore automatico, connettere il
paziente al ventilatore automatico e prendere atto della tecnica di ventilazione
adottata dal medico, assistere il paziente secondo la ventilazione prescelta,
broncoaspirazione.
-(2) monitoraggio ECG, monitoraggio completo delle funzioni vitali, mantenere il
bilancio idroelettrolitico, valutare lo stato di coscienza, rassicurare il paz,
monitoraggio invasivo della PVC, somministrare terapia
-(3)monitorare per rilevare segni e sintomi di emorragia, ematomi, ematuria,
sangue nelle feci, ematemesi, monitoraggio delle perdite, controllo emocromo e
piastrine
-(4) monitoraggio del dolore, valutare la scala del dolore, assicurare comfort,
somministrare analgesici
-(5) assicurare un ambiente tranquillo, soddisfare il bisogno di aiuto, somministrare
terapia specifica
-(6) utilizzare ausili per la riduzione della pressione, girare e riposizionare il
paziente, controllare i punti di compressione, eseguire eventuali medicazioni.
L’infarto del miocardio o IMA è una sindrome coronarica acuta che porta alla
necrosi del tessuto muscolare cardiaco. Esso è dovuto principalmente alla trombosi
di un grosso ramo coronarico. Infatti le coronarie sono vasi che provvedono
all’irrorazione sanguigna del miocardio. La trombosi è secondaria all’aterosclerosi,
la quale è una condizione morbosa progressiva caratterizzata dalla formazione di
placche (ateromi) nelle arterie. Altri fattori di rischio cardiovascolari sono:
-fattori non modificabili: familiarità, età e sesso
-fattori modificabili: aumento del colesterolo, ipertensione, diabete, obesità,
tabagismo
I sintomi sono: dolore toracico, spesso irradiato al braccio sinistro, al collo,
mandibola, affaticamento, sudorazione, nausea, vomito, dispnea. Le complicazioni
che derivano da un attacco di cuore sono spesso legate al danno subito dal cuore
durante l’infarto. L’infarto può avere le seguenti conseguenze:
-aritmie: se il muscolo cardiaco è danneggiato da un attacco di cuore, possono
svilupparsi dai circuiti elettrici brevi causando anomalie del ritmo cardiaco.
-insufficienza cardiaca: la quantità di tessuto danneggiata nel cuore può essere
estesa che la parte ancora funzionante del muscolo non riesce a pompare
adeguatamente sangue al cuore. Ciò diminuisce il flusso di sangue ai tessuti e agli
organi in tutto il corpo e può causare respiro breve, affaticamento e gonfiore alle
caviglie e ai piedi.
-rottura del cuore: è fatale
L’infarto del miocardio nell’ECG viene visto come un sopraslivellamento del tratto
ST dato da una trombosi occlusiva a livello coronarico e quindi il suo trattamento
prevede nello stabilire e mantenere una riperfusione delle arterie coronariche. Se
invece l'occlusione della coronaria è parziale o transitoria, come evidenziato dalla
presenza di sottoslivellamento del tratto ST all'esame elettrocardiografico, l'evento
è definito NSTEMI. Quando si verifica un infarto è fondamentale agire entro i
primi 90 minuti.
ACCERTAMENTO
· Rilevare il dolore e dove si irradia (come è apparso, da quanto tempo si
irradia)
· auscultazione del torace ed esame del torace ( se c’è stasi in corso si sentono
rantoli polmonari e III tono di Galoppo e si va incontro ad edema
polmonare),
· valutaz stato di coscienza attrav Glasgow Coma Scale ( e cosciente posiz
semi-seduta),
· accesso venoso ( 20-18G)
· Valutaz respiratoria: polso, ritmo, espansione toracica, simmetria emitorace e
condizione della cute (cianosi labbiale, freddezza al tatto), ossigenoterapia
· tranquillizzare pz
· Valutaz emodinamica: rilevamento PV (FC, Pressione, FR, SaturazioneO2)
· ECG a 12 derivazionieseguito entro 10 m. dall’esordio dellasintomatologia;
può rilevare inversione dell’onda T,sopraslivellamento del tratto ST,
anomalie dell’onda Q
· Ecocardiogramma: permette di rilevare la presenza di ipooacinesie della
parete cardiaca
· Esami di laboratorio:CKMB(aumenta dopo poche ore e raggiunge il picco
massimo dopo 24 ore),
· LDH, mioglobina(aumenta dopo 1-3 ore e raggiunge il picco massimo
dopo12 ore), troponina (aumenta nelle prime 24 ore, ma rimanealterata fino
a tre settimane) più specifica.
· Valutaz ansia attrac>FC,>PA, tachipnea, midriasi, mucose asciutte,
vasocostrizione periferica)
DIAGNOSI INFERMIERISTICA
· Inefficace perfusione tessutale cardiopolmonarecorrelata a riduzione del
flusso ematico coronarico
· Potenziale compromissione degli scambi gassosi,correlata a sovraccarico di
liquidi per disfunzioneventricolare
· Potenziale alterazione della perfusione dei tessutiperiferici, correlata alla
riduzione della gittata cardiaca
· Ansia correlata alla paura di morire
· Insufficiente conoscenza dell’autoassistenza dopoinfarto del miocardio
· Probl collaborativi: complicanze
· Aritmie e Fibrillazione Ventricolare
· Edema Polmonare Acuto
· Insuff cardiaca
· Shock Cardiogeno
· Complicanze da cateterismo cardiaco(infezione, emorragia, aritmie)
· Rottura del miocardio
INTERVENTI:
1.monitoraggio continuo del battito cardiaco per valutare il tratto ST ed inversione
della T
2.monitoraggio enzimi cardiaci(si presentano alti e si devono abbassare)
3.monitoraggio del dolore toracico: posizione semiseduta nel letto o in
poltrona(aumenta il volume respiratorio, il drenaggio dai lobisuperiori dei polmoni,
diminuisce il ritorno venoso alcuore); somministrazione dei farmaci e di ossigeno
abasso flusso
4.miglioramento della funzione respiratoria: monitoraggio dell’attività respiratoria
e dellasaturazione dell’ossigeno; controllo del BI perprevenire il sovraccarico di
lavoro al cuore e aipolmoni; stimolare esercizi respiratori
5.monitoraggio delle complicanze da trattamento chirurgico (emorragia da PTCA)
6.Adeguata perfusione dei tessuti: riposo a letto nella fase acuta;controllo della TC
e del polso; ossigenoterapia
7. Riduzione dell’ansia: creare un rapporto di fiducia, fornireinformazioni precise,
garantire un ambiente tranquillo e ilriposo, insegnare tecniche di rilassamento e di
copyng, ascoltare le paure e le preoccupazioni.
8. Monitoraggio e prevenzione delle complicanze: valutarecostantemente l’attività
cardiaca, la P/A, il respiro, il dolore , il BI, il sensorio, il colore e la temperatura
della cute, l’ECG e ivalori degli esami di laboratorio.
9. avvisare tempestivamente ilmedico in caso di variazioni dello stato clinico.
10. Promuovere l’assistenza domiciliare: fornireun’adeguata educazione sanitaria
sullo stile di vita da adottare esull’adesione al regime terapeutico e al programma
riabilitativo.
PATOLOGIA:
L’angina è il classico sintomo della cardiopatia coronarica.
Rappresenta un dolore causato da perdita di ossigeno e nutrienti da parte del
tessuto miocardico causato da un insufficiente flusso ematico coronarico.
L’angina può essere stabile (dove il fattore precipitante è lo sforzo ed è di facile
risolvimento) o instabile (di lunga durata, più grave e con insorgenza anche a
riposo. Riposo e nitrati danno sllievo momentaneo).
Problemi correlati:
Cardiochirurgia
Aritmie
Insufficienza cardiaca
Infarto del miocardio
SEGNI E SINTOMI:
· Angina stabile
· Angina da sforzo:dolore durante lo sforzo di breve durata (5min o <20min),
regressione dolore con il riposo, sensibilità ai nitrati (vasodilatatori).
· Angina a riposo: dolore spontaneo, regressione spontanea, sensibilità ai
nitrati. C’è uno spasmo su una lesione preesistente.
· Angina mista: comparsa nello stesso individuo di angina da sforzo e a
riposo.
· Angina instabile
· dolore toracico simile all’angina da sforzo ma più intenso e durata > ( circa
30min). riposo e nitrati danno solo sollievo momentaneo.
· Angina variante (vasospastica):
· a differenza dell’angina pectoris classica che si manifesta durante lo sforzo
e si accompagna a sottoslivellamento tratto ST, l’a vasospastica si presenta
quasi sempre a riposo, di notte, e all’ECG c’è sopraslivellamento ST.
Dovuto a spasmo dell’arteria coronarica.
ESAMI DIAGNOSTICI:
ECG ed ECG da sforzoHolter cardiaco , Enzimi cardiaci: troponina (I <10mg/l;
T<01mg/l) più specifico; CPK-MB, Mioglobina , Rx Torace, PCO2 potassio e
lattato miocardico , Lipidi (HDL, LDL) , Ecocardiogramma , Depositi di calcio ,
Angiografia coronarica , Cateterismo cardiaco ,
ACCERTAMENTO
Per quanto riguarda le attività quotidiane e il riposo il paziente può riferire in
genere uno stile di vita sedentario, un senso di inabilità dopo l’esercizio fisico, un
dolore toracico da sforzo o a riposo e riferire risvegli notturni a causa del dolore
toracico; può inoltre manifestare dispnea da sforzo.
Dal punto di vista circolatorio il paziente può riferire una anamnesi positiva a
livello personale o familiare per altra cardiopatia, ipertensione o obesità; può
invece manifestare aritmie, PA normale/alta/bassa, anomalie nei toni cardiaci, cute
e mucose umide, fredde e pallide.
Dal punto di vista della persona il paziente può riferire situazioni di stress e
manifestare inquietudine ed apprensione. Per quanto concerne l’assunzione di cibo
e liquidi il paziente può riferire nausea o disturbi epigastrici associati spesso con
una dieta ricca di colesterolo, grassi, alcool e caffeina, con manifestazioni di
eruttazioni e distensioni gastriche. Il paziente quanto al dolore può riferire sedi ed
intensità diverse da uomo a donna. Può riferire in particolare un dolore toracico
retrosternale, anteriore o tra le scapole che può essere irradiato a mandibola, spalla,
collo e arti superiori. Il dolore può essere di diverse intensità che vanno dalla
leggera alla severa con una sensazione di costrizione o senso di oppressione. La
durata è di solito di 15 minuti ma può arrivare anche a 30 minuti.
Dal punto di vista respiratorio il paziente con angina può riferire dispnea che
peggiora con lo sforzo, anamnesi positiva per il vizio del fumo, può manifestare
inoltre modificazioni della FR e della profondità degli atti respiratori.
Rilevamento del dolore e dove si irradia:Sede dove si localizza il dolore?
Produzionecosa stava facendo quando è iniziato il dolore?Qualità come
descriverebbe il dolore? Ha mai avuto un dolore simile inprecedenza. Quantità il
dolore è continuo?Irradiazione il dolore si diffonde in altre parti del corpo?
Remissione ha fatto qualcosa per farlo passare? Severità da quanto tempo compare
il dolore?
Valutare inoltre la risposta del paziente, il grado di comprensione della diagnosi,?
L’adesione al piano terapeutico
Rileva Parametri vitali , ECG , Accesso venoso , EE , Ossigenoterapia
DIAGNOSI INFERMIERISTICA:
· Dolore Acuto
· Inefficace perfusione tessutale miocardica correlata acoronaropatia, che si
manifesta con dolore toracico
· Rischio di riduzione della gittata cardiaca
· Ansia correlata alla paura di morire
· Gestione inefficace del regime terapeutico, correlate arifiuto di modificare
adeguatamente lo stile di vita
· Conoscenza insufficiente della malattia
INTERVENTI:
All’esordio del dolore anginoso:
· Riposo a letto, posizione semi-Flower
· Valutazione del dolore, rilievo dei parametri vitali
· Esecuzione ECG a 12 derivazioni; monitoraggio ECGcon controllo del
segmento ST
· Somministrazione di nitroglicerinasublinguale,controllando P/A , FC,
segmento ST
· Somministrazione di ossigeno 2l/min.
· Prelievo ematico per enzimi cardiaci, troponinae mioglobina, cpk-mb
· Nitroglicerina: ha azione di vasodilatazione, aumenta ilflusso ematico
coronarico, riduce la pressione diriempimento del cuore (precarico), la
gittata cardiaca, lapressione arteriosa. Può essere somministrata per via sub-
linguale, topica (cerotto transdermico) o endovenosa
· Betabloccanti: riducono il consumo di ossigeno delmiocardio, con riduzione
della frequenza cardiaca, dellacontrattilità del miocardio, della conduzione
degli stimoli edella pressione arteriosa. Effetti collaterali:
ipotensione,bradicardia, bloccoAV. Ai paziente in terapia endovenosacon
betabloccanti devono essere monitorati ECG, P/A , FC.La terapia non può
essere sospesa bruscamente perchél’angina potrebbe peggiorare e insorgere
IMA
· Ridurre l’ansia,
· Informare il paziente sulle implicazioni che la diagnosi comporta, idisturbi,
il trattamento e i metodi per prevenire la malattia
· Favorire attività di coopingatte a promuovere la distrazione durante
l’episodio anginoso
· Controllare il dolore: Educare in tecniche atte a prevenire e controllare il
dolore (alternanzatra attività e riposo)
· Insegnare l’autocura
· Seguire un programma giornaliero di attività che on provochinomalessere,
techipnea, fatigue
· Evitare sbalzi di temperatura
· Seguire un regime dietetico adeguato (ipolipidico, iposodico,ipoglucidico)
· Rispettare il protocollo terapeutico prescritto
DIAGNOSI INFERMIERISTICA:
Modello di percezione e gestione della salute (carente gestione della salute),
modello attività ed esercizio fisico (affaticamento, modello di respirazione
inefficace), modello cognitivo-percettivo(dolore acuto, carente autogestione del
dolore), modello di percezione e concetto di sé ( paura, ansia moderata).
INTERVENTI:
Trattamento causa cardiaca:
· Aspirina. L’aspirina inibisce la coagulazione del sangue. L’aspirina può
significativamente ridurre i tassi di decesso.
· Nitroglicerina. Questo farmaco per il trattamento dell’angina allarga
temporaneamente i vasi sanguigni, migliorando il flusso sanguigno da e
verso il cuore.
· I beta-bloccanti. Questi farmaci aiutano a rilassare il muscolo cardiaco,
rallentando il battito cardiaco e diminuendo la pressione sanguigna.
· Trombolitici. Questi farmaci, contribuiscono a sciogliere il grumo di sangue
che sta bloccando il flusso di sangue al cuore. Questi farmaci sono più
efficaci se assunti entro un’ora dopo l’insorgenza dei sintomi.
· Ranolazina (Ranexa). La ranolazina, è un farmaco anti-angina, che può
essere prescritto con farmaci come i calcio-antagonisti, beta-bloccanti o la
nitroglicerina.
· Inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) e bloccanti
del recettore dell’angiotensina (ARB). Questi farmaci permettono al
sangue di fluire dal cuore più facilmente.
· Calcio-antagonisti. Durante il trattamento dello spasmo coronarico, i
medici a volte usano farmaci per il cuore come i bloccanti dei canali del
calcio per rilassare le arterie coronarie e prevenire lo spasmo.
Trattamento causa non cardiaca:
· Bruciore di stomaco: bloccanti acidità gastrica o antiacidi al PS.
· Attacco di panico. Gli attacchi di panico sono spesso scambiati per attacchi
di cuore, e molte persone sono viste in pronto soccorso per questo problema.
Ma una volta che la condizione viene diagnosticata, si può essere indirizzati
al trattamento per aiutare a ottenere il controllo su questi attacchi.
· Pleurite. Questa infiammazione della pleura, può derivare da una varietà di
condizioni, tra cui la polmonite e, raramente, malattie autoimmuni come il
lupus. Antidolorifici possono aiutare a minimizzare il dolore fino a quando
l’infiammazione scompare.
· Costocondrite. Il trattamento per questa infiammazione della cartilagine
della gabbia toracica è generalmente il riposo, calore e farmaci anti-
infiammatori non steroidei, come l’ibuprofene (Advil, Motrin, altri).
· Muscoli doloranti, costole rotte. Il dolore toracico da traumi o ferite migliora
con il tempo e spesso con le misure cautelative che il medico suggerisce.
· Disturbi della deglutizione. Questi disturbi hanno molte cause, che possono
solitamente essere trattate con i farmaci, la chirurgia minore o tecniche
endoscopiche.
· Herpes zoster. Il trattamento con aciclovir (Zovirax) o un farmaco antivirale
simile pare funzioni meglio se inizia entro 24 ore dalla comparsa del dolore
o bruciore, e prima della comparsa delle bolle. Alcuni medici usano altri
trattamenti, come analgesici e antistaminici, per controllare i sintomi come
dolore e prurito.
· Problemi di cistifellea o pancreas. Potrebbe essere necessario un intervento
chirurgico per curare un cistifellea infiammata o un pancreas che causa
dolore.
· Per ridurre il dolore= antidolorifico, per ridurre ansia=ansiolitici. Valutare i
parametri vitali PA, FC, Respirazione, Ossigenazione.
Una complicanza comune che si può verificare dopo una TVP è una condizione
nota come sindrome post-flebitica, detta anche sindrome post-trombotica. E’
caratterizzata da: edema e dolore alle gambe, decolorazione della pelle. Questa
sindrome è causata da danni alle vene dal coagulo di sangue. Questo danno riduce
il flusso di sangue nelle zone colpite. Le opzioni di trattamento comprendono
farmaci come l’aspirina o diuretici, così come l’utilizzo di calze a compressione.
DIAGNOSI
· Ecodoppler venosa degli arti inferiori
· Esami ematici in particolare il D-dimero ( prodotto di degradazione della
fibrina ed è un indice del fatto che sta avvenendo la lisi di un trombo).
· TAC o la risonanza magnetica
TRATTAMENTO
-terapia anticoagulante
-trombolitici funzionano come attivatori tissutali del plasminogeno, rompono i
coaguli di sangue. Questi farmaci possono causare emorragie gravi e vengono in
genere utilizzati solo in situazioni di pericolo di vita.
-calze a compressione che aiutano a prevenire il gonfiore associato a TVP
DIAGNOSI INFERMIERISTICA
DI: Dolore, correlato a compromissione del ritorno venoso.
Interventi: - Sollevare l’arto inferiore interessato di sopra al livello del cuore per
promuovere il drenaggio venoso in quanto il dolore venoso tende ad aumentare se
gli arti inferiori sono in posizione declive, mentre viene leggermente alleviato se la
loro posizione è più alta.
INTERVENTI
· Insegnare al paziente a evitare situazioni che ostacolino la circolazione a
livello degli arti inferiori, ad esempio, stare a lungo seduto . insegnare al paziente
di eseguire esercizi degli arti inferiori ogni ora se possibile. Gli esercizi degli arti
inferiori promuovono l’effetto di pompa muscolare nei confronti delle vene
profonde, migliorando il ritorno venoso.
· In caso di edemi alle caviglie, incoraggiare l’uso di calze elastiche a scopo di
stostegno. Le calze elastiche riducono la stasi venosa esercitando una pressione
uniforme sugli arti inferiori e aumentando il flusso verso le vene profonde.
· Insegnare al paziente di riferire immediatamente eventuali traumi o lesioni
alle caviglie; un diminuita circolazione può far si che la lesioni modesta peggiori
fino a diventare grave.
· Istruire il paziente a riferire la sua storia di trombosi nei futuro eventuali
ricoveri ospedalieri in quanto un paziente ad alto rischio deve avvertire il personale
medico e infermieristico che possa dare inizio a misure di prevenzione
NIV
(ventilazione non invasiva)
Definizione
La Niv una modalità di ventilazione non invasiva utilizzata principalmente per
l’insufficienza respiratoria ed è in grado di supportare l’attività spontanea del
paziente e di ridurre il lavoro respiratorio; aiuta a migliorare l’ossigenazione e
aiuta a eliminare CO2.
Garantisce un supporto ventilatorio a pressione positiva
Attraverso la NIV si riducono le complicanze della ventilazione invasiva
(intubazione endotracheale, tracheostomia): traumi a livello delle vie aeree,
polmoniti, necessità di sedazione. Quindi si riducono i giorni di degenza e la
mortalità.
Le indicazioni alla NIV sono:
32.INSUFFICENZA RESPIRATORIA
33.EDEMA POLMONARE
34.TRAUMI DEL TORACE
35.BPCO RIACUTIZZATA
36.POLMONITI
37.AIDS
38.NEOPLASIE ALL’ULTIMO STADIO
Questa ventilazione può essere effettuata tramite un ventilatore i cui circuiti sono
collegati ad una maschera che può essere applicata sulla faccia o sul naso della
persona. Non richiedendo manovre invasive, è meglio tollerata ed offre la
possibilità di un impiego precoce e di un approccio flessibile e sub-continuo,
permettendo l’uso della parola e mentendo il riflesso della deglutizione, risulta più
accettabile da parte del paziente e preserva i naturali meccanismi di difesa delle vie
aeree.
COMPLICANZE:
· Perdite d’aria
· Decubiti e lesioni da pressione
· Congestione nasale, sinusite
· Secchezza del naso e delle fauci
· Irritazione corneale
· Insonnia
· Claustrofobia
· Vomito con conseguente inalazione
· Distensione gastrica
L’uso del sistema di ventilazione in questione non è indicato per il trattamento di
pazienti soggetti ad arresto respiratorio grave, senza stimolo spontaneo di
respirazione. Inoltre l’uso del sistema di ventilazione per una terapia non invasiva
a pressione positiva non è indicato nei pazienti:
- Incapaci di mantenere la ventilazione minima vitale nel caso di breve distacco del
circuito o di arresto della terapia
- Incapaci di mantenere le vie respiratorie pervie o di rimuovere il muco secreto
- A rischio per la possibilità di inalazione dei contenuti gastrici
- Con sinusite o otite medie acute
- Con ipersensibilità o allergia al materiale della maschera, nel qual caso il rischio
di reazione allergica è superiore ad ogni possibile beneficio tratto dalla
ventilazione assistita
- Con epistassi, che determina inalazione di sangue nei polmoni
- Con ipertensione grave resistente al trattamento farmacologico
- Avvertire il paziente di segnalare immediatamente ogni sintomo o disagio
toracico, affanno o forte emicrania.
EFFETTI COLLATERALI:
- Disagio alle orecchie
- Congiuntivite
- Abrasioni della pelle dovuti al contatto delle maschere
- Aerofagia
- Distensione gastrica
MASCHERE
La scelta dell’interfaccia è un elemento chiave per la riuscita della NIV.
Fondamentali sono sia la scelta iniziale che il monitoraggio dopo l’avvio del
trattamento; valutare tollerabilità e d eventuali perdite di ossigeno. Ne esistono
numerosi modelli e misure che variano a seconda dell’indicazione e del contesto
clinico.
- Maschera nasale (vantaggi: consente di parlare, consente l’espettorazione, è più
sicura in caso di vomito, maggior comfort. Svantaggi: respirazione orale)
- Nasal – Pillows (utilizzata in caso di lesioni da pressione es. alla radice del naso)
ACCERTAMENTO:
· Valutazione degli EE
· Valutazione dei valori dell’Ega
· Valutaz PV (PA,FC,Diuresi,FR,TC,Pulsiossimetria)
· Valutaz dell’ECG
DIAGNOSI INFERMIERISTICA:
· M Nutrizionale metabolico( Nutrizione alterata inferiore al fabbisogno)
· M di attività ed esercizio fisico(inefficace liberazione delle vie aeree,
respirazine inefficace, alterazine degli scambi gassosi
· M sonno riposo(disturbi del modello di sonno)
· M di percezione e concetto di sé(paura, ansia)
· M di ruolo-relazione (difficoltà di comunicazione verbale)
PROBLEMI COLLABORATIVI:
· distensione gastrica
· inalazione
· lesioni da pressione
· otalgia
· Discomfort
INTERVENTI:
preparare e controllare il materiale (circuito, sistemi respiratori e filtri), predisporre
i sistemi di aspirazione e monitor dell'ECG, informare ed istruire il pz, fornirgli un
supporto psicologico, posizionarlo a 45°, controllare i PV e EGA, verificare che i
parametri impostati corrispondano alla prescrizione scegliere l’interfaccia,
rimanere inizialmente vicino al pz per monitorare lo status psicologico(la NIV può
causare agitazione), monitorare gli allarmi, la comparsa degli effetti collaterali, i
PV, monitorare la respirazione e la fatica respiratoria.
Per la comunicazione posizionare il campanello vicino in modo che possa
chiamare in caso di bisogno porre domande che implichino una risposta
affermativa o negativa.
Educare il pz a tossire per espellere le secrezioni bronchiali.
Per ridurre la difficoltà a prender sonno, somministrare sedativi se prescritto e
fornire un supporto psicologico
VALUTAZIONI:
· ridurre ed eliminare l’ansia e la paura
· assenza di dispnea
· assenza di ipercapnia ed acidosi
· riduzione della difficoltà a prender sonno
· accettazione della NIV da parte del pz
PEG: gastrostomia percutanea endoscopica.
Viene utilizzata laddove si prevede una nutrizione enterale a lungo termine (più di
30 giorni) per esempio malattie neurologiche (sla, trauma cranico,epilessia,
idrocefalo..) neoplastiche(cancro esofageo,gastrico, cerebrale, polmonare) altre
patologie (aids, sindrome di down, fibrosa cistica, insufficienza respiratoria,
stenosi peptica ed esofagea) condizioni post-chirurgiche o dove sia necessaria una
decompressione gastrica.
Controindicazioni: ostruzioni complete della faringe ed esofago, sepsi, disordini
della coagulazione, impossibilità di contatto la parete gastrica ed addominale e o
assenza di trans illuminazione.
Tra le controindicazioni relative ricordiamo la presenza di ascite massiva, reflusso
gastroesofageo importante, cancro gastrico e ulcera o fistola gastroenterica.
A differenza del sondino naso gastrico la peg non si deposiziona/rimuove
facilmente o accidentalmente e provoca meno reflusso gastro-esofageo.
Con la peg il paziente può mantenere una buona qualità della vita, essa può
rimanere in sede anche due anni prima che vi sia la necessità di sostituirla.
La nutrizione può iniziare già dopo 24 h il posizionamento della peg
I costi sono ridotti
Può essere gestita a livello domiciliare
Tecnica di inserimento
Il posizionamento di PEG avviene in sedazione, o, in casi selezionati, con
l’assistenza dell’anestesista. E’ anche praticata un’anestesia locale sul punto di
inserzione sulla parete addominale. Esistono diverse tecniche di inserzione della
PEG (metodiche tradizionali dette push e pull e metodica diretta) e diversi tanti di
dispositivi in uso. Tutte le diverse tecniche comunque prevedono prima
l’esecuzione di una gastroscopia nel corso della quale si gonfia lo stomaco di
aria,in modo che la parete dello stomaco aderisca a quella addominale. Il punto di
contatto tra le due pareti può essere agevolmente riconosciuto all’esterno,
osservando la luce del gastroscopio e si trasmette attraverso la parete stessa
(transilluminazione).In questo modo viene scelto il punto di inserzione della PEG.
Nelle metodiche tradizionali di posizionamento, nel punto prescelto della parete
addominale, è inserito un ago attraverso il quale è fatto passare un filo che viene
recuperato con l’endoscopio e portato fuori dalla bocca. Questo filo costituisce
quindi una sorta di guida al successivo posizionamento della PEG, sia che essa sia
fatta scorrere su filo (metodo push), o sia tirata dal filo stesso (metodica pull).Un
sistema di ancoraggio interno e un fermo esterno permetteranno, col tempo, di
avere una completa unione della parete gastrica e addominale nel punto di
inserzione della PEG. Invece nella “metodica diretta”, una volta individuato il
punto di inserzione come sopra,viene confezionato prima un ancoraggio tra parete
dello stomaco e parete addominale con delle ancorette metalliche, quindi attraverso
una serie di dilatatori si allarga il foro di inserzione in maniera da inserire
direttamente la sonda a palloncino. Sarà il medico a decidere, in base alla malattia
del paziente, e alla pervietà delle vie digestive, quale tecnica utilizzare. Quando la
PEG di primo impianto è usurata potrà essere rimossa da personale medico in
diversi modi: manualmente per trazione o , se qualora non fosse possibile, per
mezzo di una gastroscopia. Se necessario, la si sostituisce inserendone un’altra
attraverso il foro residuo della parete addominale. Questa sonda di sostituzione è
una sonda a palloncino e potrà in futuro essere cambiata anche dal personale
infermieristico specializzato, al domicilio del paziente.
COMPLICANZE:
Complicanze operatorie: emorragia digestiva, insufficienza respiratoria, peritonite,
ascesso addominale, ematoma della parete, infezioni peristomali
Complicanze meccaniche della peg: rottura della peg o occlusione
Complicanze della nutrizione: diarrea, stipsi, vomito, tensione addominale (per
eccessivo ristagno gastrico), polmonite ab ingestis
· Controllare che la zona peristomale non sia iperemica.
· Controllare che non via sia essudato
· Controllare che non via sia perdita di trasparenza o elasticità per usura della
peg
· Controllare che non via sia fissità della protesi questa situazione è legata alla
Buried Bumper Syndrome: condizione per cui il sistema di ancoraggio
interno erode la parete interna e rimane inglobata in un tessuto
infiammatorio neoformato. Essa si manifesta con dolore, massa palpabile
attorno alla peg, secrezioni purulente attorno ad essa e resistenza al flusso
durante la nutrizione.
Quotidianamente si deve attuare una adeguata pulizia della cute della zona
circostante la peg. Basta utilizzare acqua e sapone, oppure perossido di idrogeno o
betadine.
La cute della zona peristomale va quotidianamente controllata.
Prestare attenzione ad eventuali dislocamenti del sondino.
Scosigliati i preparati artigianali quali frullati/omogeneizzati, invece è corretto
usare i preparati presenti in commercio
Lavare prima e dopo la somministrazione di farmaci
Lavare ogni tre o quattro ore con acqua se la nutrizione enterale è continua
Se la nutrizione è intermittente lavare prima e dopo con 20- 30ml di acqua
Assicurarsi che non ci sia eccessiva tensione della peg
Se è necessaria una decompressione gastrica mediante una siringa o una pompa dia
spirazione
Valutare che non si manifestino delle complicanze.
Aver cura di mantenere pulito il cavo orale della persona
DIAGNOSI INFERMIERISTICHE:
· Deficit nella cura di sé
· Rischio di alterata gestione del regime terapeutico
Qui gli interventi da mettere in atto riguardano il dare informazioni, educare,
coinvolgere la famiglia e dare a tutti i membri le adeguate informazioni possibili
nel caso in cui il paziente mostri timori nell’intervento e difficoltà al cambiamento
a mettere in atto tutto quello che è necessario per la cura della peg e
l’alimentazione attraverso peg
· Lesioni dell’integrità cutanea
· Diarrea
· Mancanza di conoscenze
· Paura
· Disturbi dell’immagine corporea
· Relazioni familiari alterate
· Difficoltà di adattamento
TRATTAMENTO:
La scelta dei farmaci e delle procedure mediche dipende chiaramente dalla gravità
delle varici esofagee e dal rischio di sanguinamento: questi aspetti sono valutati
grazie ad un esame diagnostico chiamato esofago-gastro-duodenoscopia.
In alcuni casi, il paziente viene sottoposto a trattamenti alternativi, utili per evitare
l'eventuale emorragia esogafea:
39. legatura delle varici esofagee
40. scleroterapia (iniezione di un farmaco vasocostrittore nella vena
sanguinante, utile per favorire la formazione di coaguli nelle varici)
Tecniche nuove: elettrocoagulazione endoscopica e fotocoagulazione laser.
In alcuni pazienti, l'emorragia provocata dalla rottura delle varici esofagee è tale da
richiedere una trasfusione di sangue; nei casi estremi, specie per le varici esofagee
correlate alla cirrosi grave, è necessario agire riducendo la pressione all'interno
delle vene; ciò è possibile creando un ponte venoso artificiale che devia il sangue
dalla vena porta alla vena cava o alla vena renale (si ottiene una decompressione
della vena porta)
FARMACI:
Beta bloccanti non selettivi: costituiscono la terapia di prima linea nella
prevenzione del sanguinamento da varici esofagee. Questi farmaci esercitano la
propria attività terapeutica riducendo sia la gittata cardiaca che la pressione portale,
creando una vasocostrizione splancnica.
· Propanololo (es. Inderal) largamente utilizzato in terapia per la cura di
ipertensione, angina pectoris e tireotossicosi, il propanololo viene utilizzato anche
come farmaco di prima scelta per prevenire il sanguinamento delle varici esofagee.
· Nadololo (es. Corgard): particolarmente efficace nella prevenzione delle
recidive emorragiche. Il dosaggio, che dev'essere sempre stabilito precisamente dal
medico sulla base della gravità della condizione, dev'essere tale da ridurre
la frequenza cardiaca del 25% (non meno di 55 pul/min). Indicativamente, il
farmaco va assunto una volta al giorno alla posologia iniziale di 20 mg. La dose
può essere aumentata, sempre sotto osservanza medica, fino ad un massimo di 240
mg.
Nitrati: il loro impiego terapeutico per la cura delle varici esofagee trova
indicazione soprattutto nella prevenzione delle recidive emorragiche, specie
quando usati in associazione a farmaci beta-bloccanti.
· Isosorbide 5 mononitrato (es. Duronitrin, Monoket, Monocinque Retard,
Isosorbide MYL): Il farmaco viene utilizzato in terapia per la riduzione della
pressione portale. La posologia va attentamente stabilita dal medico.
Ormoni (analoghi della vasopressina): sono farmaci utilizzati sia nella prevenzione
che nella cura delle varici esofagee sanguinolente: la vasopressina e i suoi analoghi
sono in grado di esercitare una riduzione del flusso sanguigno che entra nella vena
porta, di conseguenza la pressione portale diminuisce e il sanguinamento delle
varici viene negato.
· Terlipressina (es. Glipressina): il farmaco è reperibile sottoforma di polvere
o solvente per soluzioni iniettabili endovena (1 mg di principio attivo). La
somministrazione di questo farmaco per il trattamento delle varici esofagee
dev'essere effettuata in ambito ospedaliero da un esperto in materia.
Agenti sclerosanti:
· Etanolammina oleato (es. Ethamolin): iniziare il trattamento con una dose di
attivo variabile tra l'1,5 e i 5 ml per varice, da somministrare per via endovenosa
(non superare i 20 ml per seduta di trattamento per le varici esofagee).
Si utilizzano vasocostrittori e atibiotico-terapia in caso si ascite concomitante e di
peritonite.
Se le varici esofagee sanguinano, bisogna intervenire rapidamente perché vi è il
rischio di shock emorragico ed è indicato l’utilizzo della sonda Sengstaken-
Blakemore qualora non sia possibile eseguire nell’immediato una gastroscopia
operativa. Questa sonda consente di bloccare meccanicamente il sanguinamento.
Il sondino si compone di due palloncini: uno per il tamponamento a livello del
fondo gastrico e uno per il tamponamento a livello esofageo, ma una risoluzione
temporanea perché i palloncini devono essere sgonfiati entro 24 ore per evitare
danni tissutali da compressione, es. perforazione).
Questo sondino prevede, in base ai modelli 3 o 4 vie:
· Aspirazione gastrica (per drenaggio e lavaggio gastrico)
· Insufflazione per palloncino gastrico (max 250 ml)
· Insufflazione per palloncino esofageo (volume max 150 ml)
· Aspirazione esofagea (solo nel sondino a quattro vie)
Tecnica di esecuzione:
Materiale:
· sondino S.B.
· Contenitore acqua fredda
· Lubrificante idrosolubile
· 4 siringhe da 50 ml con cono catetere
· Sacche per drenaggio
· Fonendoscopio e sfigmomanometri
· Guanti
· Garze
· Pinze pean
· Traversa
· Arcella reniforme e contenitore per rifiuti
· Sistema di aspirazione
· Presidi di protezione individuale (camice, occhiali)
RESPONSABILITA' INFERMIERISTICHE:
· Mantenere una vigilanza continua mentre si procede all’insufflazione dei
palloncini
· Mantenere le pressioni nei palloncini a livello necessario per tamponare il
sanguinamento
· Controllare e segnare i parametri vitali, controllare colore e quantità dei
liquidi rimossi dal sondino alla ricerca di sanguinamento
· Fare attenzione alla comparsa di dolore toracico che può indicare lesioni o
lacerazioni esofagee
· Irrigare le sonde di aspirazione secondo aspirazione
· Mantenere sollevata la testa del letto per evitare il rigurgito dallo stomaco,
diminuire la nausea e i conati
· Mantenere nutrizione e bilancio idro - elettrolitico per via parenterale
· Mantenere l’aspirazione sul sondino naso-gastrico per aspirare ogni residuo
salivare
· Controllare la respirazione, se il contrappeso tira il sondino nel naso faringe
il paziente può andare in asfissia
ALIMENTAZIONE:
Assicurarsi che il paziente venga nutrito.
Interventi:predisporre per NPT
Effettuare il bilancio idro elettrolitico
DIAGNOSI INFERMIERISTICA:
· Nutrizione alterata (inferiore al fabbisogno)
· Eccesso volume di liquidi correlato a ipertensione portale, diminuzione della
pressione colloidosmotica del plasma e ritenzione di sodio.
· Rischio elevato di gestione inefficace del regime terapeutico
· Rischio di compromissione dell'integrità cutanea
· Intolleranza all'attività
· Rischio elevato di riduzione dei liquidi organici (ipovolemia)?
· Disturbi del modello del sonno
· Paura
· Ansia
· Riduzione della gittata cardiaca
FIBRILLAZIONE ATRIALE
La fibrillazione atriale è la più comune tachicardia sopraventricolare; Essa origina
nell’atrio sinistro. E’ causata dall’attivazione dei focolai ectopici multipli negli atri,
che danno origine ad impulsi elettrici con alta frequenza, fino ad arrivare a 400-
600 bpm/min. Nessuno di questi impulsi elettrici è in grado di depolarizzare
completamente gli atri e solo alcuni arrivano al Nodo A.V.
Il risultato è l’assenza di Contrazione atriale ed una risposta Ventricolare irregolare,
con frequenza relativamente lenta.
Le contrazioni “vermicolari atriali” provocano ristagno di sangue nell’atrio dove si
possono formare trombi causa di embolizzazione sistemica con conseguente Ictus.
La Fibrillazione Atriale è riscontrabile in pazienti sani dopo stress emotivi o
interventi chirurgici o intossicazione alcolica; O secondaria a malattie
cardiovascolari che causano atriomegalia (eccesivo ingrandimento dell’atrio
cardiaco).
Trattamento farmacologico : poiché la fibrillazione atriale aumenta il rischio di
formazione di trombi, viene somministrata la terapia anticoagulante: Dicumarolici
(Warfarin, Coumadin ).
Per depolarizzare gli atri viene eseguita una cardioversione elettrica o
farmacologica. Per la cardioversione farmacologica vengono utilizzati farmaci
come antiaritmici : Propafenone, Flecainide e Amiodarone.
DIAGNOSI INFERMIERISTICA:
· Ansia di morte correlata a segni e sintomi che il paziente stesso ha
riscontrato per la prima volta.
Interventi
· -Rassicurare il paziente e informarli a riguardo del regime medico da
adottare
· -Metterlo a proprio agio
· -Starle vicino
· -Valutare i paramenti vitali
· -Somministrare sedativi o tranquillanti se prescritti
· -Spiegare lo scopo di eventuali test da sforzo
INTERVENTI:
· Mantenere il paziente a riposo
· Monitorare i PV e ECG
· Garantire adeguati periodi di riposo
· Sottolineare l’importanza di non sforzarsi durante la defecazione
· Incoraggiare l’immediata comunicazione del dolore
· Monitorare l’effetto dei farmaci
· Valutare segni e sintomi dell’insufficienza cardiaca
· Somministrare ossigeno supplementare se necessario e prescritto
· Somministrare la terapia prescritta
· Preparare il paziente all’intervento chirurgico o al cateterismo cardiaco se
necessario
· Preparare il trasferimento in Terapia Intensiva se le condizioni peggiorano
DIAGNOSI INFERMIERISTICA:
Conoscenza insufficiente della malattia: La conoscenza insufficiente del paziente
può essere correlata ad una cattiva informazione da parte dei sanitari, mancanza di
familiarità con le risorse informative o ad una esposizione carente delle nozioni. Il
paziente può evidenziare tale carenza attraverso domande, richieste di informazioni
ed imprecisioni nel seguire le istruzioni.
I risultati attesi sono una partecipazione al processo di apprendimento, una
assunzione delle responsabilità del proprio apprendimento, una dichiarazione di
comprensione del proprio stato di salute e del proprio regime terapeutico futuro,
inizio dei necessari cambiamenti sullo stile di vita.
INTERVENTI:
· Spiegare e rivedere con la persona i dubbi riguardanti la patologia ed il
processo terapeutico
· Riferire alla persona quali sono i livelli di colesterolo ottimali da mantenere
· Incoraggiare ad evitare fattori di rischio
· Aiutare il paziente ad identificare le fonti di stress per poi evitarle
· Rivedere l’eventuale importanza dello smettere di fumare
· Incoraggiare il paziente a seguire il programma di riabilitazione cardiologica
· Discutere dell’i
· mpatto della malattia sullo stile di vita
· Incoraggiare il paziente a monitorare il proprio polso e la propria PA
· Fornire istruzioni su cosa fare se compare un episodio anginoso
· Rivedere i farmaci prescritti
· Sottolineare l’importanza di consultare un medico prima di assumere
farmaci da banco
· Informare sul corretto utilizzo di preparati di erboristeria
· Rivedere i sintomi che devono essere riferiti
· Ribadire l’importanza dell’ follow-up (controlli periodici)
PREVENZIONE.
• somministrazione di warfarin (coumadin) anticoagulanti che inibisce la
formazione del coagulo, può prevenire l’ictus su base trombotica ed embolia.
Fattori di rischio:
• Ipertensione, il maggior fattore di rischio il controllo dell’ipertensione è la chiave
per la prevenzione dell’ictus.; Ipertrofia ventricolare sinistra; Obesità; Ematocrito
basale alto: aumenta il rischio d’infarto cerebrale; Diabete: associato a una
precoce eterogenesi; Consumo di alcol, ecc.
Complicanze potenziali.
• ipossia cerebrale
• il ridotto flusso ematico cerebrale e l’estensione dell’area danneggiata.
• Insufficiente rilascio di ossigeno al cervello.
DIAGNOSI INFERMIERISTICA
Si bassa sui risultati delle osservazioni, le principali diagnosi infermieristica di un
paziente colpito da ictus sono:
• Compromissione della comunicazione verbale correlata a danno cerebrale
• Compromissione della deambulazione correlata a emiparesi, perdita di equilibrio
e coordinazione e lesione cerebrale
• Rischio di compromissione dell’integrità cutanea correlata dell’emiparesi
/emiplegia e della ridotta mobilità
• Deficit nella cura di sé (bagno/igiene personale, alimentarsi) correlato ai postumi
dell’ictus.
• Alterazioni dei processi di pensiero correlata al danno cerebrale, confusione,
incapacità di seguire le istruzioni.
Priorità assistenziale.
• Mobilizzare il paziente ogni 2 ore per evitare le lesione cutanee e rigidità dei
muscoli
• Aiutarlo ad alimentarsi
OBIETTIVI:
• mantenimento dell’integrità cutanea,
• miglioramento della mobilizzazione del paziente ed di conseguenza portalo a una
autonomia per la cura personale.
• aiutarlo ad imparare ad una forma di comunicazione.
• alleviare il dolore alla spalla.
• il ripristino della serenità famigliare e l’assenza di complicazioni.
INTERVENTI:
• Monitoraggio dei parametri vitali.
• Eseguire prelievi ematici s.p.m.
• Monitoraggio del bilancio idroelettrolitico
• Prevenire dell’adduzione della spalla
• Migliorare i processi intellettivi
• Controllare la diuresi e alvo
• Migliorare le capacità della famiglia di affrontare il problema
• Aiutare il paziente ad affrontare la disfunzione sessuale.
VALUTAZIONE
• non si lamenta del dolore della spalla 5
• dimostra un miglioramento nella comunicazione
• mantiene la epidermide intatta senza danni.
Gravidanza o gestazione è lo stato della donna che porta nel proprio utero il
prodotto della fecondazione. La durata della gravidanza è di 40 settimane e si
calcola a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione. La gravidanza è un
normale processo fisiologico che solo in alcuni casi è complicato da condizioni
patologiche pericolose per la salute della donna e del feto.
La gravidanza normale comunque altera in modo significativo la fisiologia della
donna, e sono sempre presenti i rischi potenziali di una modificazione dello stato di
salute e l’insorgenza di malattie della madre e del feto.
SEGNI/SINTOMI
- PRIMO TRIMESTRE: nausea, vomito, scialorrea, pollacchiura, seno teso e
dolente, gengivite, aumento ponderale, diminuzione del desiderio sessuale. Più
gravi: Febbre, dolori, vomito persistente
- SECONDO TRIMESTRE: leucorrea, addome pesante, varici arti inferiori,
emorroidi, anemia fisiologica, infezioni delle vie urinarie, contrazioni uterine. Più
gravi: contrazioni uterine, cefalea, edemi, disturbi della vista, riduzione della
diuresi, perdite vaginali.
- TERZO TRIMESTRE: senso di apprensione per il parto, stanchezza, ridotta
attrazione sessuale, pirosi gastrica, respirazione faticosa, ansia. Sintomi gravi
sempre gli stessi.
DIAGNOSI
- Positività delle prove immunologiche : si basano sulla presenza dell’ormone
HCG (gonadotropina corionica) nelle urine e nel sangue della donna
- visualizzazione ecografica del sacco gestazione
- rilevazione strumentale dell’attività cardiaca embrionale o fetale attraverso
l’ecografia op doppler
- percezione obiettiva di movimenti fettali attivi
-riscontro palpatorio di parti del corpo fetali
COMPLICANZE:
· Ipertensione gestazionale
· Ritardo della crescita intrauterina
· Diabete gestazionale
· Cardiopatie congenite
· Distocie : meccaniche ( ostacolo al passaggio del bambino nel canale del
parto), dinamiche ( le contrazioni non sono sufficienti a far passare il bambino)
ACCERTAMENTO INFERMIERISTICO
- Raccolta anagrafica
- raccolta anamnestica remota attraverso segni/sintomi, allergie,
medicamenti/farmaci, patologie remote, ultimo pasto , eventi precedenti
- raccolta anamnestica prossima per capire esordio del dolore, cosa lo allevia o lo
peggiora, qualità, irradiazione
- rilevazione PV
PROBLEMI COLLABORATIVI
•ipertensione
•iperglicemia
•ipoglicemia
•anemia
•edemi arti inferiori
DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
•Di affaticamento correlato a modificazioni funzionali secondarie alla gravidanza.
•Di ansia correlata al parto/travaglio/taglio cesareo imminente,
all’ospedalizzazione, alla gravidanza/ruolo genitoriale(cambiamento).
•Di rischio di nutrizione alterata per carente apporto nutritivo.
•Di rischio di nutrizione alterata per eccessivo apporto nutritivo.
•Di rischio di alterazione dell’eliminazione intestinale correlata alla diminuzione
della peristalsi intestinale.
•Di rischio di disturbo del concetto di sé correlato agli effetti della gravidanza
sull’aspetto fisico sullo stile di VITA, sul ruolo di genitore
INTERVENTI INFERMIERISTICI
•Garantire una accoglienza adeguata alla partoriente
•Garantire le procedure di ricovero previste
•Monitorare i parametri vitali
•Garantire la somministrazione delle terapie prescritte e l’esecuzione di indagini
diagnostiche richieste.
•Suggerire i movimenti e le posture più appropriate allo stato fisico gravidico
•Valutare l’intensità dell’ansia e rassicurare la coppia sull’andamento del travaglio
e del parto e della riuscita dello stesso.
•Confortare e comprendere gli stati emotivi e le situazioni di ambivalenza
emozionale che la coppia sta affrontando.
•Informare riguardo la struttura deputata al parto e sulle tecniche e metodiche che
si usano in essa.
•Identificare e spiegare alla donna le cause dell’affaticamento
•Aiutare ad identificare i comportamenti sbagliati nei riguardi del cibo e a
modificare i modi di pensare riguardo l’alimentazione.
•Suggerire un’alimentazione ricca di fibre ed una idratazione sufficiente per
ridurre/eliminare la stitichezza.
•Insegnare le prime cure al neonato.
•Affiancare e consigliare la donna durante l’allattamento
Terapia: antipertensivi.
PROBLEMI COLLABORATIVI
•Proteinuria •Sofferenza fetale •Distacco di retina •Disturbi della vista
•Distacco di placenta •Edema polmonare •Insufficienza epatica •Insufficienza
renale
•Insufficienza vascolare periferica •Parto pretermine •Morte endouterina
•Ipertensione endocranica •Edema cerebrale •Crisi convulsive •Coma
DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
•Di ansia correlata alla percezione del pericolo di incolumità materno fetale.
•Di rischio di gestione inefficace del regime terapeutico per mancanza di
conoscenze.
•Di rischio di alterata nutrizione per difetto o per eccesso.
•Di rischio di alterazione dei processi familiari correlata al ricovero
•Di rischio di alterazione del confort (cefalea) correlato all’edema/irritabilità
cerebrale.
•Di rischio di eccesso di volume dei liquidi correlato all’alterata funzionalità
renale/insufficienza renale.
•Di rischio di alterazione sensoriale percettiva (coscienza) correlata alla sedazione
farmacologia ed all’insorgenza dell’eclampsia.
•Di rischio di confusione mentale acuta correlata ad ipossia cerebrale, ad anestesia
generale
PIANIFICAZIONE E OBIETTIVI
Monitorizzerà e ridurrà al minimo gli episodi di ipertensione e l’insorgenza di
complicanze
INTERVENTI INFERMIERISTICI
•Far mantenere il riposo assoluto a letto in decubito laterale sinistro (migliora il
ritorno venoso)
•Limitare l’accesso di visite.
•Verificare e mantenere condizioni ambientali tranquille.
•Monitorare i parametri vitali, peso, urine per proteinuria, diuresi, edemi, liquidi
assunti.
•Garantire l’esecuzione delle indagini richieste.
•Garantire la somministrazione delle terapie prescritte.
•Posizionare catetere vescicale per controllo diuresi e proteinuria.
•Far assumere una dieta iposodica ed iperproteica
INTERVENTI INFERMIERISTICI
•Monitorare i parametri vitali: PA, FC, TC, diuresi, colorito, sudorazione, sensorio
•Monitorare il bilancio idrico.
•Eseguire i controlli ematochimici richiesti.
•Somministrare le terapie prescritte.
•Controllare i drenaggi e ferita chirurgica
•Controllare perdite ematiche
•Garantire l’esecuzione di indagini diagnostici richieste.
•Rilevare eventuali segni di peggioramento clinico
•Mantenere la donna a riposo.
•Mantenere l’ambiente tranquillo.
•Permettere la presenza di una persona significativa
Farmaci utilizzati nel post parto: Methergin: contro l’atonia dell’utero per favorire
il restringimento dell’utero.
Nelle prime ore di vita e nei primi giorni vanno controllati i seguenti parametri:
•Frequenza respiratoria: 35 atti/min
•Frequenza cardiaca: 120-140 bpm
•Colorito cutaneo che deve essere roseo: alla seconda ora si può verificare una
reazione vasomotoria durante il pianto.
•Temperatura rettale stabile verso la 5 ora
•Diuresi che inizia entro le prime 12 ore di vita con un numero di emissioni pari a 6
die circa con un allattamento valido.
•Emissione di meconio che in alcuni casi avviene in sala parto e generalmente
avviene tra la 2 e la 5 ora di vita.
•Peso da effettuarsi ogni mattina a digiuno e nudo
•PA : 60/40 mmhg
•Glicemia perché il b. va spesso in ipoglicemia perché si muove, respira
velocemente e consuma zuccheri che il b. non ha.
Alimentazione
•Al seno
•Latte artificiale
Per quanto riguarda l’alimentazione, la scelta del latte materno resta la più indicata
e la più naturale per il corretto accrescimento fisico e lo sviluppo psichico e
relazionale del neonato
•Neonato pretermine: nel pretermine con peso maggiore di 2 Kg, l’allattamento
inizia tra la 6 e la 10 ora dalla nascita
•Neonato a termine: l’allattamento inizia tra la 8 e 12 ora dalla nascita
•Frequenza dei pasti: a richiesta del bambino
•Durata dei pasti: 15-20 minuti per seno
Cure igieniche
•Le cure igieniche devono essere effettuate quotidianamente in ambiente riscaldato
almeno a 25°, non ventilato e soprattutto assieme alla mamma.
•Il cordone ombelicale viene avvolto con una garza
di cotone imbevuta con alcool etilico al 75-90% o garza sterile asciutta o con
apposite garze imbevute di soluzioni essiccanti (….)
•Il cuoio capelluto viene trattato con oli per evitare danni alla struttura dei capelli e
irritazioni della pelle.
•Dopo 7-8 giorni dalla caduta del moncone si può fare il bagnetto quotidianamente
con prodotti delicati a base di oli; la temperatura dell’acqua non deve superare i
36-37°.
PROBLEMI COLLABORATIVI
•Crisi convulsive •Coma •Edema polmonare •Embolia polmonare •Emorragia
•Ipertensione gestazionale •Ipertermia grave •Ipoglicemia •Iperglicemia
•Scompenso cardiaco •Sofferenza fetale
DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
•Ansia correlata a insufficiente conoscenza delle procedure pre e post operatorie e
dei risultati dell’intervento su se stessa e sul neonato.
•Rischio di infezione correlata alle procedure chirurgiche.
•Rischio di alterazione della funzione respiratoria correlata all’eventuale anestesia
generale.
•Rischio di disturbo del modello riposo/sonno.
•Rischio di alterazione del confort: dolore
•Paura
PRESTAZIONI INFERMIERISTICHE
Pre-operatorie
•Spiegare le procedure preoperatorie
•Far eseguire una doccia antisettica preoperatoria la sera antecedente l’intervento.
•Predisporre nei bagni dove si effettua la doccia kit monouso contenente ciò che
occorre: antisettico in dose singola, telo per l’asciugatura
•Verificare che la paziente si sia detersa in modo efficace nelle pieghe cutanee
(solco mammario, pieghe inguinali), area ombelicale, aree interdigitali, area
perineale
•Prescrivere il digiuno preoperatorio 6 ore prima dell’intervento (cibi leggeri) 2 ore
prima (acqua)
•Eseguire tricotomia se necessario 2-4 ore prima dell’intervento con rasoio
tagliacapelli.
•Far eseguire subito dopo la tricotomia una seconda doccia preoperatoria con
antisettico.
•Invitare la paziente ad indossare un pigiama/camice pulito dopo la doccia
•Rimuovere tutte le protesi mobili.
•Posizionare catetere vescicale.
•Rilevare i parametri vitali.
•Eseguire profilassi antibiotica prescritta.
•Valutare il livello di ansia
•Facilitare le manifestazioni di supporto da parte dei familiari.
•Rassicurare e fornire sostegno
•Correggere le informazioni errate possedute dalla famiglia.
•Rassicurare la donna sull’aiuto che riceverà riguardo la gestione del dolore
postoperatorio.
•Informare la famiglia sul decorso post operatorio
Valutare se è stato firmato il consenso informato all’intervento e controllare tutta la
cartella clinica
Intra-operatorie
· Preparazione del carrello strumentario e del carrello servitore
· Posizionamento della paziente sul letto operatorio
· Monitoraggio della paz: PA,cavi ECG, saturazione, via infusionale
· Preparazione della posizione della paziente e del campo sterile per
l’esecuzionedell’anestesia spinale. Applica poi un cerotto sterile sul punto di
iniezione e ponendo immediatamente supina la paziente ponendo un cuneo
(cuscinetto) sotto l’anca destra in modo da sollevare il bacino di almeno 45° (Il
sollevamento del bacino con il cuneo previene la sindrome da compressione della
vena cava da parte dell’utero gravido, con diminuzione del ritorno venoso e
successiva ipotensione arteriosa, la quale si rivela più intensa se la vasocostrizione
riflessa è inibita dal blocco simpatico indotto dall’anestesia spinale (o
subaracnoidea)
· Infeermiere passa il laringoscopio all’anestesita e lo assite
· L’infermiere strumentista sta alla dx del primo operatore con il carrello
grande dello strumentario alla sua sn
· Durante l’intervento l’infermiera di sala collabora con il medico anestesista
in caso di induzione anestesia generale con IOT, esecuzione esami ematochimici e
trasfusione intraoperatoria
· Durante l’intervento il personale di sala esegue la conta delle garze utilizzate
ed eliminate dal campo operatorio dichiarandone la quantità alla strumentista: 1) al
momento del secondamento della placenta, 2) al momento della chiusura del
peritoneo parietale, 3) a chiusura avvenuta della fascia muscolare
· L’infermiera di sala esegue il prelievo di sangue funicolare dal cordone
ombelicale e firma apposito modulo
· .L’infermiera di sala provvede a raccogliere i pezzi anatomici negli appositi
contenitoriper esame istologico, inserendo il liquido di conservazione
(formaldeide), e ponendo l’etichetta della paziente segnando la data, il reparto, e la
descrizione del contenuto. Mette il contenitore nell’apposita frigoteca per pezzi
anatomici
· A fine intervento il modulo per la conta delle garze viene firmato dal 1°
chirurgo, dall’infermiera/ostetrica strumentista e dall’infermiera/ostetrica/Oss di
sala che ha eseguito la conta
· Al termine dell’intervento l’infermiera/ostetrica di sala applica i cerotti
tegaderm per fissare la medicazione della ferita chirurgica. La medicazione della
ferita laparotomia viene effettuata utilizzando garze sterili senza filo di bario
· L’infermiera/ostetrica di sala aiuta la strumentista ad eseguire la spremitura
dell’utero con lavaggio della zona perineale e lasciando 2 o 3 assorbenti
· La paziente viene spostata nella sala RCU adibita a sala “risveglio” per il
monitoraggio nell’immediato post-operatorio
· L’infermiera/ostetrica strumentista provvede a raccogliere tutti i ferri sporchi
nell’apposito box, esegue la decontaminazione, compila il modulo per il Centro
Sterilizzazione, quindi invia kit e box ponendoli nell’apposito armadio posto fuori
dell’UO
· Terminate tutte le procedure operative, lavarsi le mani. Preparazione del
letto operatorio e ripristino della Sala Cesarei da parte dell’infermiera in
collaborazione con l’Oss
Post-operatorie
•Monitorare i parametri vitali: PA, FC, TC, diuresi, colorito, sudorazione, sensorio
•Monitorare il bilancio idrico.
•Eseguire i controlli ematochimici richiesti.
•Somministrare le terapie prescritte.
•Controllare i drenaggi e ferita chirurgica
•Controllare perdite ematiche
•Garantire l’esecuzione di indagini diagnostici richieste.
•Rilevare eventuali segni di peggioramento clinico
•Mantenere la donna a riposo.
•Mantenere l’ambiente tranquillo.
•Permettere la presenza di una persona significativa
VALUTAZIONE DEI RISULTATI
•Le prescrizioni preoperatorie sono eseguite secondo gli orari ed i protocolli
stabiliti.
•La donna presenta i segni vitali entro il range di normalità
INSUFFICIENZA RENALE.
Condizione patologica che compare quando i reni non sono più in grado di
funzionare in modo efficiente. I reni hanno il compito di depurare il sangue,
filtrando le sostanze dannose, e svolgono perciò un ruolo fondamentale nel
mantenimento dell'equilibrio interno dell'organismo.
I reni svolgono diverse azioni:
1. Rimozione dei prodotti di rifiuto e dei prodotti tossici (scorie prodotte dal
consumo di energia nei nostri organi per il loro lavoro, come azoto, creatinina,
radicali acidi, metaboliti di farmaci etc).
2. Rimozione dell’eccesso di liquidi e sali.
3 Regolazione della pressione arteriosa.
4. Produzione di eritropoietina, ormone che stimola la produzione di globuli rossi,
da parte del midollo osseo.
5. Regolazione del bilancio del calcio e del fosforo (elementi fondamentali per la
costituzione dell’osso), attraverso la produzione di vitamina D.
6. Mantenimento di un PH stabile, (cioè di una costante e giusta acidità) nel
sangue.
In poche parole il rene assicura l’armonia delle funzioni del nostro organismo
riequilibrando qualsiasi situazione di eccesso. Quando la funzione renale si altera,
perché i reni non sono in grado di trattenere gli elettroliti (sali minerali presenti
nelle cellule) oppure non riescono più a mantenere il livello di sostanze nocive nel
sangue entro una soglia ottimale, si ha l'insufficienza renale.
L'insufficienza renale può essere acuta (IRA) o cronica (IRC).
Quella acuta è provocata da un deterioramento improvviso della funzionalità renale
(il blocco renale), ed è caratterizzata da ridotta produzione di urine (oliguria); può
essere causata da infezioni gravi, terapie farmacologiche, interventi chirurgici, un
improvviso e forte calo del flusso ematico ai reni .
L’Insufficienza renale cronica (IRC) è la perdita graduale e progressiva della
funzionalità renale. Essa è dovuta a differenti malattie renali come
glomerulonefriti, pielonefriti, calcolosi, malattie ereditarie come il rene policistico,
oppure essere secondaria ad altre patologie come il diabete, l’ipertensione grave e
patologie che provocano un ostacolo al normale deflusso urinario e uso di farmaci
nefrotossici come molti farmaci antinfiammatori. Tali malattie producono pian
piano col tempo la perdita di tessuto renale, dando luogo ad una condizione
clinico-metabolica chiamata “uremia” in cui si ha accumulo nel sangue dei prodotti
del metabolismo delle proteine e di urea, fino alla totale assenza di funzione del
rene. Non esiste una terapia specifica per contrastare la perdita della funzione
renale, ma esistono diversi mezzi con cui possiamo rallentarne la progressione e
consentire una qualità di vita migliore. Quando la funzione renale è arrivata a
livelli minimi il malato dovrà essere sottoposto ad un trattamento di dialisi per
poter continuare a vivere. Proprio perché tale processo è lento, il nostro organismo
si abitua a tale situazione clinica metabolica, e molti pazienti arrivano ad avere
necessità della dialisi senza sapere di avere una malattia renale.
I sintomi variano da persona a persona, avvolte l’insufficienza renale può essere
presente senza sintomi, fino a che non è tanto avanzata da richiedere la dialisi.
Tuttavia, alcuni “segnali” possono presentarsi fin dalle prime fasi della malattia ed
essere adeguatamente contrastati:
· L’ipertensione arteriosa: è un sintomo che accompagna l’insufficienza renale
spesso fin dalle primissime fasi;
· Gli edemi, cioè il gonfiore ai piedi, alle caviglie, alle gambe…:sono i liquidi
in eccesso che si accumulano in varie parti del corpo;
· L’astenia: quando i reni non ripuliscono adeguatamente il sangue, i prodotti
di scarto, chiamati tossine, si accumulano nell'organismo. Questo può provocare
affaticamento, perdita di appetito e prurito. L’astenia dipende anche dall’anemia e
migliora con le opportune cureche servono a riportare ivalori di emoglobina nella
norma.C'è un medicinale che agisce come l'ormone del corpo, l'eritropoietina,
stimolando la produzione di globuli rossi. Il farmaco può essere prescritto dal
medico per curare questo tipo di anemia;
· I crampi muscolari: possono dipendere da squilibri elettrolitici (derivati da
alterata concentrazione di sodio e potassio nel sangue) e possono essere prevenuti
bilanciando la terapia farmacologica;
· La dispnea, meglio parlare di “fame d’aria”: è da mettere in relazione con un
accumulo di liquidi nei polmoni; può essere preceduta da gonfiore degli arti
inferiori.
La diagnosi (sia per la forma acuta sia per quella cronica) si basa su una serie di
esami di laboratorio (Creatininemia, Azotemia, Sodio, Potassio, Cloro, Calcio,
Fosforo, Emocromo, Acido urico, esame delle urine, glicemia) e strumentali
(ecografia renale e vescicale, Tac, scintigrafia renale, urografia, biopsia). E’
fondamentale, quindi, affidarsi ad un nefrologo che ricercherà la causa della vostra
malattia con ulteriori esami strumentali ed ematochimici, e ne seguirà l’evoluzione
negli anni. Da diversi studi si è visto che i pazienti seguiti fin dalle prime fasi della
insufficienza renale cronica dal nefrologo arrivano alla dialisi in migliori
condizioni generali e meglio nutriti ed hanno una più alta aspettativa di vita.
DIAGNOSI INFERMIERISTICA.
· Disagio psicologico dovuto a stato di dipendenza, cambiamento del ruolo,
dell’immaginazione corporea e della funzione sessuale.
Obiettivo: aumento dell’autostima.
INTERVENTI:
· Spiegare al paziente e alla famiglia le procedure assistenziali che saranno
messe in atto per effettuare l’emodialisi;
· Spiegare al paziente la possibilità di mantenere la sua occupazione anche
con spostamenti continui di località;
· Permettere al paziente e ai familiari le limitazioni imposte dalla malattia del
trattamento;
· Informarlo delle risorse torritoriali a disposizione;
· Valutare con l’èquipe la possibilità di indirizzare il paziente e i familiari al
consulto con uno psicologo esperto in cura di pazienti in dialisi;
· Spiegare i possibili effetti dell’insufficienza renale cronica sulla funzione
sessuale e la sessualità con le possibili risoluzioni attuabili.
VALUTAZIONE
il paziente spiegherà le cause della riduzione della libido(volontà) e
dell’alterazione dell’attività sessuale, mostrerà di conoscere le risorse territoriali
attuabili e la capacità di pianificare il comportamento in caso di spostamenti dal
luogo di residenza.
Diagnosi infermieristica
· Rischio di complicanze dovute ad emodialisi
Obiettivo: gestire e ridurre al minimo le complicanze dell’emodialisi.
INTERVENTI:
· Valutare: cute, PA, polso apicale, atti respiratori, peso corporeo, accesso
vascolare, valori di pretrattamento di azotemia, creatininemia, sodio, potassio;
· Accertare se il paziente lamenta i seguenti sintomi: dolore toracico, dispnea,
crampi, cefalea, vertigini, nausea e vomito, obnubilamento visivo;
· Controllare l’istallazione dell’apparecchio per dialisi allo scopo di verificare:
presenza di aria nella linea, sicurezza delle connessioni, inserimento dell’allarme
per la presenza di aria, Sacca con soluzione fisiologica, collabimento a livello del
sito dell’ago arterioso;
· Durante la dialisi monitorare il paziente per rilevare segni e sintomi di
squilibri di potassio e sodio e di reazione trasfusionale come febbre, brividi,
cianosi, nausea, dolore toracico, dolore dell’arto superiore;
· Alternare i punti di inserzioni degli aghi per le successive sedute dialitiche,
chiedere al cliente se ha dolore nell’area d’ accesso, controllare la medicazione
dello shunt ogni 2 ore per verificare la presenza di sangue o sconnessione;
· Monitorare per rilevare manifestazioni di perdita di dialisato;
· Monitorare per rilevare la presenza di coaguli: osservare se vi è formazione
di coaguli nelle camere di gocciolamento, monitorare la PA ogni 15 minuti,
osservare se vi sono coaguli durante l’aspirazione della fistola, dello shunt e del
catetere in succlavia;
· Monitorare per rilevare segni e sintomi dell’embolia gassosa: cianosi,
dispnea, dolore toracico ansia e tosse persistente;
· Monitorare per rilevare segni e sintomi di sepsi: febbri, brividi, tachicardia,
nausea e vomito;
· Mantenere la temperatura del dialisato a 37,8 0C, valutare la presenza di
ipertermia, riferita sensazione di calore, cute calda al tatto, possibile cessazione
della sudorazione con anormale secchezza cutanea, cefalea e delirio, atti respiratori
rapidi e superficiali, tachicardia, sangue di colore rosso scuro.
Valutazione: il paziente non andrà incontro a complicanze
COLECISTECTOMIA
Meglio nota come cistifellea, la colecisti è un organo a forma di pera situato
appena sotto il fegato nella parte destra dell'addome. Il suo compito è quello di
raccogliere e conservare la bile prodotta dal fegato, concentrandola e riversandola
nell'intestino dopo i pasti, specialmente grassi, per favorire i processi digestivi. La
cistifellea, pertanto, non è un organo vitale ed i pazienti sottoposti a
colecistectomia sono in grado di riprendere una vita assolutamente normale.
Soltanto nei primi giorni o settimane dopo l'operazione, alcuni soggetti lamentano
problemi digestivi (diarrea), facilmente controllabili tramite farmaci opportuni;
recuperato l'intervento può persistere un'intolleranza digestiva ai pasti
particolarmente abbondanti e ricchi di grassi, oltre a fenomeni di reflusso
gastroesofageo.
La procedura elettiva per l'asportazione della colecisti è la colecistectomia
laparoscopica, che ormai da diversi anni ha in gran parte sostituito la procedura
chirurgica a cielo aperto, definita colecistectomia open. I vantaggi della tecnica
laparoscopica sono importanti, sia in termini di costi sanitari che in termini di
benefici per il paziente. Non a caso, è nota per essere una tecnica chirurgica mini-
invasiva.
E' uno degli interventi più frequenti. Con questo intervento la colecisti viene
rimossa dopo legatura del dotto cistico e dell'arteria cistica (si isolano).
ACCERTAMENTO.
L'anamnesi e la visita si concentrano sulla comparsa del dolore addominale, del
disagio e dei fattori che tendono ad aggravarlo. Si constata se parecchie ore dopo
l'assunzione di cibo ricco in grassi compaia dolore addominale. L’anamnesi e la
visita includono anche informazioni circa lo stato
respiratorio, poiché l'intervento chirurgico richiede un’incisione addominale che
può interferire con la completa escursione respiratoria. Si considerano l'abitudine al
fumo e precedenti problemi respiratori. Una respirazione difficoltosa, la presenza
di tosse persistente o non efficace e di rumori respiratori avventizi vengono
annotati. Lo stato nutrizionale viene valutato attraverso la storia alimentare l'esame
generale e gli esami di laboratorio.
DIAGNOSI INFERMIERISTICA
In base ai dati ottenuti durante l'accertamento le principali diagnosi
infermieristiche per il paziente con patologie della colecisti sottoposto a chirurgia
sono le seguenti:
· Dolore e malessere correlati all'ostruzione delle vie biliari all'infiammazione
e alla distensione della colecisti.
· Alterato scambio di gas correlato con l'incisione chirurgica nell'addome
superiore.
· Compromessa integrità della cute causata dall'alterazione del drenaggio
biliare dopo intervento chirurgico.
· Alterata nutrizione dovuta a un'inadeguata secrezione della bile.
· Carenza di conoscenze circa l'attività di self-care dopo la dimissione.
PIANIFICAZIONE E ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI
OBIETTIVI:
cessazione/alleviamento del dolore, l'assenza di complicanze respiratorie, l'assenza
di complicanze postoperatorie nel drenaggio biliare, il miglioramento dell'apporto
nutrizionale e la comprensione dei metodi di self-care.
INTERVENTI INFERMIERISTICI
Interventi infermieristici postoperatori:
· liquidi somministrati per via endovenosa e può essere eseguita l'aspirazione
nasogastrica (il sondino è stato probabilmente inserito immediatamente
prima dell'intervento) per mitigare la distensione addominale.
· Acqua e altri liquidi possono essere somministrati per bocca dopo circa 24
ore e una dieta leggera iniziata più tardi dopo la ripresa dei rumori
peristaltici intestinali.
· Cessazione/alleviamento del dolore La sede sottocostale dell'incisione
costituisce probabilmente il motivo per cui, il paziente evita di girarsi, di
muoversi e di respirare profondamente, per non sollecitare la zona in cui è
stata praticata l'incisione chirurgica, il che gli provoca dolore. Poiché la
prevenzione delle complicanze postoperatorie richiede una ventilazione
completa dei polmoni e una graduale ripresa dell'attività, si possono
somministrare analgesici secondo le prescrizioni e il paziente viene aiutato a
muoversi nel letto, a tossire, a respirare profondamente e a camminare. L'uso
di un cuscino o l'applicazione di una leggera pressione sopra l'incisione
possono ridurre il dolore durante questi movimenti.
· Miglioramento dello stato respiratorio Questi pazienti, come tutti i pazienti
con incisione dell'addome superiore, sono particolarmente soggetti a
complicanze polmonari, quindi devono essere istruiti a respirare
profondamente ogni ora per espandere i polmoni completamente e prevenire
atelettasie. La deambulazione precoce previene le complicanze polmonari e
altre complicanze come le tromboflebiti. Le complicanze polmonari si
verificano maggiormente nell'anziano e nell'obeso.
· Drenaggio biliare e cura della cute Come menzionato in precedenza nei
pazienti sottoposti a colecistostomia o coledocostomia i drenaggi devono
essere connessi immediatamente a un sistema di raccolta e inoltre devono
essere sufficientemente fissati per lasciare al paziente la possibilità di
movimento. Quando il paziente cammina il sacco di raccolta del liquido di
drenaggio deve essere posto in una tasca o comunque bloccato al di sotto
della vita o del livello del coledoco.
· Dopo queste procedure chirurgiche il paziente viene controllato per rilevare
eventuali infezioni, perdite di bile nella cavità peritoneale o ostruzione del
drenaggio biliare. L'infermiere può notare un drenaggio non appropriato
osservando il colore delle sclere del paziente; infatti un’ostruzione
causerebbe un ritorno della bile al fegato e in circolo e quindi ittero.
L'infermiere dovrebbe anche notare e riportare dolori nel
· quadrante superiore destro addominale, nausea e vomito, perdita di bile
intorno alla sonda a T, feci color argilla e cambiamento dei parametri vitali.
· La bile può continuare a drenare dal drenaggio in quantità considerevoli per
un certo tempo necessitando quindi frequenti cambiamenti della fasciatura
esterna e protezione della cute dalle irritazioni. Creme all'ossido di zinco,
alluminio o petrolato prevengono l'effetto irritante della bile sulla cute.
· Per prevenire la totale perdita di bile, il drenaggio e il sistema di raccolta
possono essere alzati al di sopra del livello dell'addome cosicché la bile
drena esternamente solo se si sviluppa pressione nei dotti. La bile raccolta
viene misurata ogni 24 ore; la quantità, il colore e il carattere sono registrati.
Dopo parecchi giorni di drenaggio, i tubi possono essere pinzati per un'ora
prima e dopo ogni pasto con l'obiettivo di rilasciare la bile nel duodeno per
facilitare la digestione. Entro 7/14 giorni, i tubi di drenaggio sono rimossi
dalla colecisti o dal coledoco.
· In tutti i pazienti con drenaggio biliare le feci dovrebbero essere osservate
quotidianamente e il loro colore registrato. Campioni di urine e di feci
possono essere inviati al laboratorio per l'esame dei pigmenti biliari. In
questo modo è possibile determinare se i pigmenti biliari sono nuovamente
drenati nel duodeno e stanno scomparendo dal circolo. Si tiene un'attenta
registrazione dell’assunzione ed escrezione di liquidi nell'arco delle 24 ore.
· Miglioramento dello stato nutrizionale Immediatamente dopo l'intervento,
la dieta del paziente deve essere a basso contenuto di grassi e ricca in
carboidrati e proteine. Alla dimissione il paziente non riceve generalmente
istruzioni alimentari particolari, a parte quella di seguire una dieta nutriente
e povera di grassi. La restrizione deve durare 4-6 settimane, cioè il tempo
necessario perché i dotti biliari siano in grado di dilatarsi per accogliere la
bile che proviene dalla colecisti e l'ampolla del Vater funzioni nuovamente.
Dopo di ciò, in seguito a un pasto grasso verrà rilasciato nel tratto digestivo
un adeguato quantitativo di bile per l'emulsione e la digestione dei lipidi.
Prima di ciò la digestione dei lipidi potrebbe essere incompleta o inadeguata
e alcuni soggetti potrebbero accusare flatulenza. Comunque, uno degli
obiettivi dell’intervento alla colecisti è la possibilità di seguire nuovamente
una dieta normale.
· Educazione del paziente e assistenza sanitaria domiciliare Poiché la
dimissione dall'ospedale può avvenire quando i tubi di drenaggio sono
ancora inseriti, il paziente e i familiari devono essere istruiti a compiere le
cure relative, alla manutenzione appropriata e a segnalare tempestivamente
al medico cambiamenti della quantità e delle caratteristiche del drenaggio.
Una medicazione appropriata allevierà l'ansia che il paziente prova per il
fatto di tornare a casa con il drenaggio inserito. Egli dovrebbe essere istruito
sulla terapia farmacologica (vitamine, anticolinergici e antispastici) e
sull'azione dei vari farmaci; inoltre dovrebbe sapere quali sintomi devono
essere segnalati al medico: ittero, urine scure, feci chiare, prurito e segni di
infiammazione e di infezione, come dolore o febbre.
· Alcuni pazienti notano scariche diarroiche, con 1-3 evacuazioni al giorno,
come conseguenza del continuo gocciolamento della bile attraverso la
giunzione coledoco-duodenale dopo colecistectomia. Generalmente, tale
frequenza diminuisce in un periodo di poche settimane o alcuni mesi. Le
visite di controllo sono essenziali per questi pazienti.
VALUTAZIONE:
1. Il paziente non ha più dolore:
a. Riferisce una diminuzione di dolore da colecistite e colelitiasi e assenza di
dolore postoperatorio nel punto dove è stata praticata l'incisione.
b. Evita di sollecitare il punto dell'incisione addominale per diminuire il dolore.
c. Evita cibi che causano dolore.
d. Assume analgesici dopo l'intervento come prescritto.
e. Utilizza appropriate attività preventive quando non ha più dolore postoperatorio
(per es., cambiamenti di posizione, colpi di tosse, respiri
profondi, deambulazione).
2. Il paziente non presenta complicanze respiratorie:
a. Non ha febbre, tosse o iperventilazione.
b. Dimostra completa escursione respiratoria con inspirazioni ed espirazioni
profonde.
c. Tossisce efficacemente, usando il cuscino per bloccare il punto dell'incisione
addominale.
d. Adopera analgesici dopo l'intervento come prescritto.
e. Esegue esercizi come descritto (per es., cambiamenti di posizione,
deambulazione).
3. Il paziente mostra normale integrità della cute vicino al sito di drenaggio
biliare:
a. Non ha febbre dolore addominali, cambiamenti nei segni vitali, o bile intorno al
tubo di drenaggio.
b. Dimostra o riferisce una graduale diminuzione del drenaggio biliare.
c. Riferisce che cute, mucose, feci e urine sono di colore normale.
d. Dimostra un'appropriata gestione del catetere; identifica complicanze da
riportare (per es., rossore o drenaggio purulento).
e. Dimostra che la cute intorno al raccordo T o al tubo di drenaggio è intatta e priva
di escoriazioni.
f. Identifica segnali e sintomi di ostruzione biliare che devono essere notati e
riferiti.
g. I livelli di bilirubina serica sono entro i valori normali.
4. Il paziente non ha intolleranze alimentari:
a. Mantiene un adeguato apporto alimentare.
b. Evita cibi che causano sintomi gastrointestinali.
c. Riferisce una diminuita incidenza o assenza di nausea, vomito, diarrea,
flatulenza e disagio addominale.
PAZIENTE ONCOLOGICO
In ogni stadio del cancro il paziente deve essere sottoposto ad esame perché
possano essere identificati gli eventuali fattori predisponenti ad infezione; è questa
infatti la causa principale di mortalità tra i pazienti oncologici. L'infermiere
controlla i dati di laboratorio, soprattutto l'emocromocitometrico per individuare
precocemente alterazioni nei globuli bianchi. Siti comuni di infezione, quali la
faringe, la cute, la zona perianale, l'apparato urinario e quello respiratorio, devono
essere controllati con frequenza. È tuttavia importante ricordare che i segni tipici di
infezione (febbre, gonfiore, arrossamento, drenaggio e dolore) possono essere
assenti nel paziente immunosoppresso. Va tenuta sotto controllo la sepsi
soprattutto se sono stati posizionati cateteri invasivi o sonde da infusione. La
funzionalità dei globuli bianchi è spesso alterata nei pazienti oncologici. La
diminuzione dei globuli bianchi circolanti è definita leucopenia ogranulocitopenia.
Il paziente viene inoltre sottoposto a controllo per l'individuazione di fattori che
possono contribuire ad emorragie, tra cui la mielosoppressione in conseguenza di
chemioterapia o radioterapia o somministrazione di altri farmaci, per esempio
l'aspirina, la persantina, l’eparina o la warfarina, che interferiscono con il
funzionamento della coagulazione e delle piastrine. Siti frequentemente associati
ad emorragie sono la cute e le membranemucose, il cervello e gli apparati
intestinale, urinario e respiratorio. Devono essere controllati e riferiti eventuali
abbondanti sanguinamenti, nonché suppurazione ai siti di iniezione, contusioni
(ecchimosi) edalterazioni dello stato mentale che possono essere indice di
emorragia intracranica. Nel paziente oncologico l'integrità cutanea e tessutale è a
rischio a causa degli effetti della chemioterapia e radioterapia, di interventi
chirurgici e di procedure invasive a scopo diagnostico e terapeutico. Come parte
dell’accertamento, l'infermiere identifica l'eventuale presenza di questi fattori
predisponenti e di altri possibili fattori di rischio, quali deficit nutrizionali,
incontinenza fecale e urinaria, immobilità, immunosoppressione e modificazioni
legate all'età. Rileva inoltre lesioni o ulcerazioni cutanee causate dal tumore.
Alterazioni nell'integrità tessutale dell’apparato gastrointestinale sono
particolarmente fastidiose per il paziente. Una parte importante dell'assistenza è la
valutazione dello stato nutrizionale del paziente; alterazioni di tale stato e cali
ponderali possono verificarsi a causa degli effetti di un tumore locale, di una
patologia sistemica, di effetti collaterali legati alla terapia, dello stato emotivo del
soggetto.
Il peso del paziente e il suo apporto calorico devono essere rilevati
quotidianamente. Dolore e malessere possono essere legati al tumore, alla
pressione che esso esercita, a procedure diagnostiche o a molte delle terapie
utilizzate. Come in ogni altra situazione che comporti la presenza di dolore, anche
nel caso di cancro la sofferenza è condizionata da fattori fisici e psicosociali.Oltre
a verificare l'origine e la localizzazione del dolore, l'infermiere esamina anche i
fattori che possono aumentarne, nel paziente, la percezione,
quali paura e apprensione, senso di spossatezza, rabbia ed isolamento sociale. La
scala di valutazione del dolore (si veda il capitolo. 15) è utile sia per identificare il
livello di sofferenza prima di intraprendere terapie antalgiche, sia per valutare la
risposta del paziente a tali terapie.
Sebbene il senso di spossatezza sia un sintomo comune a tutti gli individui, nel
malato di cancro questo è spesso un problema cronico.L'infermiere osserva il
paziente per individuare la presenza di affaticamento, debolezza, mancanza di
energia e incapacità di assolvere alle necessità quotidiane. L'accertamento del
paziente oncologico non deve limitarsi alla constatazione delle alterazioni
fisiologiche che possono verificarsi nel corso dellamalattia, ma deve considerare
anche lo stato psicologico e mentale del soggetto e dei suoi familiari nell'affrontare
questa esperienza così minacciosa,test diagnostici e modalità di trattamento
spiacevoli, progressione della malattia. Vanno osservati l’umore e le reazioni
emotive della persona airisultati dei test diagnostici e alla prognosi, nonché il suo
passaggio attraverso i vari stadi di afflizione e il suo rapporto con i familiari nel
comunicar loro la diagnosi e la prognosi. Il paziente oncologico è costretto ad
affrontare molte alterazioni della propria immagine del corpo nel corso della
malattia e del trattamento.
L'ospedalizzazione è spesso accompagnata da una perdita di identità; inoltre vi
sono enormi minacce all'autostima allorché la persona prende coscienza della
malattia, di possibili infermità e della morte.
DIAGNOSI INFERMIEIRISTICHE.
Sulla base dei dati ricavati dall'accertamento, la diagnosi infermieristica del
paziente oncologico può rilevare le seguenti situazioni:
· Alto rischio di infezione collegato alle alterazioni della risposta
immunologica.
· Alto rischio di lesioni legate ad emorragie.
· Danni tessutali conseguenti agli effetti della terapia e della malattia stessa.
· Alterazioni nutrizionali, alimentazione inferiore alle necessità
dell'organismo, a causa di uno stato anoressico e modificazioni
· gastrointestinali.
· Dolore e malessere dovuti alla malattia e agli effetti collaterali della terapia.
· Facile affaticabilità dovuta ad agenti di stress fisici e psicologici.
· Afflizione in previsione di perdita o di alterazione del ruolo.
· Alterazione dell'immagine del corpo a causa di modificazioni nell'aspetto
fisico e nel ruolo.
INTERVENTI INFERMIERISTICI
Prevenzione delle infezioni -> Nonostante i progressi nell'assistenza al paziente
oncologico, l'infezione rimane la causa principale di decesso. Le difese contro le
infezioni sono compromesse in molti modi differenti. L’integrità della cute e della
membrana mucosa, che costituiscono la prima linea di difesa dell'organismo, è
minacciata da varie procedure diagnostiche e terapeutiche invasive dagli effetti
collaterali della radioterapia e chemioterapia e dalle conseguenze negative
dell'immobilità. Uno stato nutrizionale indebolito da anoressia, nausea, vomito,
diarrea e dal processo maligno sottostante può alterare la capacità dell'organismo di
reagire ad agenti estranei che lo invadono. Farmaci quali gli antibiotici alterano
l'equilibrio della flora batterica normale, permettendo la crescita di organismi
patogeni. Anche altri farmaci possono anche alterare la risposta immunitaria (vedi
il capitolo 48). Il cancro stesso può avere azione immunosoppressiva: malattie
quali leucemie e linfomi sono spesso associate ad alterazioni dell'immunità
cellulare ed umorale. Un tumore in stadio avanzato può portare ad ostruzione dei
visceri cavi e dei vasi sanguigni e linfatici,
creando un ambiente favorevole alla proliferazione di agenti patogeni. In alcuni
pazienti le cellule tumorali infiltrano il midollo osseo e impediscono la normale
produzione di globuli bianchi. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la
diminuzione della conta dei globuli bianchi è dovuta a mielosoppressione in
seguito a chemioterapia o radioterapia. Le infezioni che colpiscono il paziente
mielosoppresso o immunosoppresso sono molto spesso contratte durante la
degenza in ospedale, come conseguenza di organismi divenuti parte della flora
batterica del paziente dopo essere stati acquisiti nell'ambiente ospedaliero. I
patogeni più
pericolosi sono i bacilli gram-negativi quali lo Pseudomonas aeruginosa e
l'Escherichia coli. Anche bacilli gram-positivi quali lo Staphilococcus aureus e
organismi fungini come la Candida albicans possono contribuire a gravi infezioni.
Nel paziente immunocompromesso il sintomo principale di infezione è la febbre.
Sebbene essa possa essere imputata anche a varie condizioni non infettive, inclusa
la neoplasia maligna sottostante, qualsiasi temperatura di 38.3° C (101° F) o più
deve essere riferita al medico e sottoposta a immediato trattamento. Possono esser
prescritti antibiotici dopo avere ottenuto i risultati delle colture e dei test di
sensibilità dai liquidi di drenaggio, essudato, espettorato, urine, feci o sangue.
Pazienti granulocitopenici (con una diminuita conta dei globuli bianchi) devono
essere trattati con
antibiotici ad ampio spettro prima che sia individuata l'origine dell'infezione; ciò è
necessario in quanto, in tali pazienti, vi è un'alta incidenza di mortalità associata ad
infezioni non trattate. L'uso di antibiotici ad ampio spettro o una terapia empirica
consistono in una combinazione di farmaci che forniscono al paziente difese contro
la maggior parte degli organismi patogeni.
Prevenzione di lesioni legate ad emorragie-> La diminuzione del numero di
piastrine circolanti (trombocitopenia) è la causa più comune di emorragia nel
paziente oncologico. La trombocitopenia è spesso la conseguenza di una
mielosoppressione provocata da determinati tipi di chemioterapia e radioterapia.
Anche l'infiltrazione tumorale del midollo può alterare la normale produzione di
piastrine. In alcuni casi la distruzione piastrinica è associata ad ipersplenismo
(aumento di volume della milza) e ad una funzione alterata degli anticorpi che si
verifica in casi di leucemia e linfoma.
Mantenimento dell'integrità cutanea-> Il malato di cancro rischia lo sviluppo di
varie lesioni alla cute e alla membrana mucosa. L'infermiere di qualsiasi struttura
sanitaria è nella posizione ideale per valutare e aiutare il paziente e i suoi familiari
nella gestione di questi problemi. Tra le lesioni di più frequente riscontro vi sono
reazioni cutanee e tessutali a radioterapia, stomatiti, alopecia e lesioni cutanee
metastatiche. Il paziente che presenta reazioni tessutali e cutanee alla radioterapia
richiede una cura molto attenta della cute per evitare ulteriori irritazioni,
secchezza e lesioni. La cute della zona interessata deve essere trattata con
delicatezza, evitando sfregamenti e l'uso di acqua troppo calda o fredda, di saponi,
talco, cipria, lozioni e cosmetici. E possibile prevenire eventuali traumi indossando
abiti ampi che non stringano, irritino o sfreghino l'area colpita. Se si formano
vesciche, la bolla non deve essere rotta, per evitare il rischio di introdurre batteri. È
necessaria una cura in asepsi delle ferite.
Stomatite-> Si tratta di un problema comune, causato da radioterapia e
chemioterapia, consistente in una risposta infiammatoria dei tessuti orali che da un
eritema ed edema leggero può trasformarsi in ulcerazione dolente, sanguinamento
e infezione secondaria. Questa condizione si sviluppa per lo
più 5-14 giorni dopo la somministrazione di alcuni agenti chemioterapici quali
doxorubicina e 5-fluorouracile, oppure dopo un'irradiazione alla testa e al collo.
Nei casi più gravi la terapia deve essere temporaneamente sospesa fino alla
risoluzione dell'infiammazione.
Le labbra devono essere sempre inumidite e possono essere prescritti anestetici o
agenti antifungini ad uso topico per favorire la guarigione e alleviare il dolore. In
presenza di forte dolore l'infermiere deve incoraggiare e aiutare il paziente ad
assumere i farmaci prescritti e a mantenere un adeguato apporto di liquidi e di cibo.
Alopecia-> La perdita temporanea o permanente, parziale o totale, dei capelli,
definita alopecia, è un potenziale effetto collaterale di alcune forme di radioterapia
e di molati agenti chemioterapici. L'estensione dell'alopecia dipende dalla dose e
dalla durata della terapia. Tale fenomeno è dovuto al
danneggiamento delle cellule staminali e dei follicoli piliferi in conseguenza al
quale i capelli divengono fragili e cadono oppure si rompono a livello di superficie
del cranio. La perdita di altri peli del corpo è meno frequente.
Il paziente va incoraggiato ad acquistare una parrucca prima che si verifichi la
caduta dei capelli,
in modo che la scelta possa avvenire in base alle caratteristiche della capigliatura
reale. L'uso di foulard o cappelli alla moda può far sentire il paziente più a suo agio
dal punto di vista estetico. È, poi, un sollievo osservare la ricomparsa dei capelli al
termine della chemioterapia; tuttavia essi possono differire per colore e consistenza
da quelli antecedenti.
Mantenimento dello stato nutrizionale-> La maggior parte dei pazienti oncologici
evidenzia un calo ponderale durante la malattia. Anoressia, malassorbimento e
cachessia sono esempi dei problemi nutrizionali di più frequente riscontro.
IL TRAUMA CRANICO
Si intende una qualsiasi lesione al cranio o al cervello dovuta a un evento
traumatico.
SINTOMI: I sintomi e le conseguenze dipendono dalla gravità del trauma. La
commozione cerebrale si manifesta generalmente con una momentanea perdita di
conoscenza ed è di solito transitoria e reversibile. Anche se non comporta danni
permanenti, nei casi più gravi può portare a uno stato di coma. Quando si verifica
invece una distruzione dei tessuti cerebrali sottostanti si ha una contusione
cerebrale che è irreversibile e comporta dei danni permanenti. Un trauma cranico
può anche causare la rottura di un vaso sanguigno. Il sangue, in tal caso, fuoriesce
e si raccoglie tra le ossa craniche comprimendo il cervello. La formazione
dell'ematoma può essere anche non immediata e verificarsi alcune ore o anche
alcuni giorni dopo il trauma. Talvolta l'infortunato riprende coscienza per un breve
periodo, poi avverte mal di testa, vomita e può avere convulsioni ed entrare in
coma.
DIAGNOSI:
La valutazione clinica immediata tende a valutare l'entità del trauma, distinguendo:
1. I traumi cranici leggeri; sono di norma asintomatici, ma possono
accompagnarsi a cefalea, vertigini soggettive, ferite cutanee, ma senza perdita della
coscienza. Solo nel caso di una ferita aperta per traumi di una certa energia vi è la
necessità di una Rx del cranio. I pazienti possono essere usualmente dimessi ma in
presenza di frattura cranica, specie nei bambini, si richiede un breve periodo di
osservazione (24-48 ore).
DIAGNOSI INFERMIERISTICA.
Basandosi sulla valutazione di tutti i dati, le principali diagnosi infermieristiche del
paziente possono includere:
· Difficoltà di ventilazione relativa all'ipossia.
· Disidratazione relativa all'alterazione di coscienza e alle disfunzioni
ormonali.
· Nutrizione insufficiente, per le alterazioni metaboliche, restrizioni idriche e
introiti inadeguati.
· Rischio elevato di comportamento violento (contro se stesso o altri) relativo
a disorientamento, agitazione e danno cerebrale.
· Compromissione dei processi mentali (perdita delle funzioni intellettuali,
comunicative, mnemoniche e di elaborazione) risultanti
· dalla lesione alla testa.
· Possibilità di inadeguato adattamento dei familiari relativo ad apatia del
paziente, esito imprevedibile, periodo di recupero prolungato e deficit
residui fisici ed emozionali del paziente.
Può essere anche formulata una diagnosi infermieristica per il paziente non
cosciente e per il paziente con un'aumentata pressione endocranica
(entrambe sono discusse nel cap. 56).
INTERVENTI INFERMIERISTICI
Non appena sono stati eseguiti la valutazione iniziale e i test diagnostici, si
annotano le alterazioni neurologiche. La figura 57-11 è un grafico che include la
continua valutazione infermieristica, le priorità nei relativi interventi e la
riabilitazione per il paziente con trauma cranico.
Mantenimento della funzionalità respiratoria-> Uno dei più importanti obiettivi
infermieristici nel trattamento del paziente con lesione alla testa è di stabilire e
mantenere una adeguata respirazione. Il cervello è estremamente vulnerabile
all'ipossia e la compromissione neurologica può peggiorare se l'ossigenazione è
inadeguata. La terapia è diretta verso il mantenimento di una adeguata ventilazione
per assicurare il flusso di sangue ossigenato al cervello e preservare la funzionalità
cerebrale. Un’ostruzione delle vie respiratorie causa ritenzione di CO2 e
ipoventilazione, che produce la
dilatazione dei vasi cerebrali e aumenta la pressione endocranica.
Gli interventi terapeutici e infermieristici per assicurare un adeguato scambio
gassoso sono riassunte nel capitolo 56 e includono:
· Porre il paziente non cosciente in una posizione che faciliti il drenaggio delle
secrezioni orali, con la testa del letto elevata di circa
· 30 gradi per diminuire la pressione venosa endocranica
· Procedere ad aspirazioni efficaci (le secrezioni polmonari producono tosse e
sforzi con un aumento di pressione endocranica).
· Vigilare su una insufficienza respiratoria; e aspirazione patologica
· Effettuare emogasanalisi arteriosa per accertare che la ventilazione sia
adeguata (l'obiettivo è di mantenere normali i gas ematici per
· assicurare un adeguata ossigenazione cerebrale).
· Controllare il paziente sottoposto a ventilazione meccanica.
Equilibrio idro-elettrolitico-> un danno al cervello può produrre disturbi
metabolici e ormonali. Il controllo delle concentrazioni di elettroliti plasmatici è
importante, specialmente nei pazienti che ricevono diuretici osmotici, che
presentano una secrezione anormale di ormoni antidiuretici e che soffrono di
diabete insipido post-traumatico.
· si dosano gli elettroliti plasmatici e urinari e si misura l'osmolarità urinaria
perché le lesioni alla testa possono essere accompagnate da squilibri nella
regolazione del sodio. La ritenzione di sodio può durare diversi giorni,
seguita da una sua eliminazione con la diuresi.
Letargia, confusione e convulsioni crescenti possono essere dovute allo squilibrio
elettrolitico.
· si valutano disfunzioni endocrine misurando i valori degli elettroliti e del
glucosio plasmatici, oltre alle loro entrate e uscite.
· si analizza l'urina per la presenza di acetone.
· si annota il peso specifico delle urine, specialmente se l’ipotalamo è
coinvolto ed esiste il rischio di diabete insipido.
Fornire un'adeguata nutrizione-> Le lesioni cerebrali provocano alterazioni
metaboliche che aumentano il consumo calorico e la escrezione azotata. Anche la
terapia con steroidi aumenta lo stato catabolico. Appena le condizioni del paziente
sono stabili, si inizia l'alimentazione per via nasogastrica, se non è controindicata
per una perdita dal naso di liquido cerebrospinale (rinorrea cerebrospinale).
Dosi piccole e frequenti diminuiscono la possibilità di vomito e diarrea.
L'elevazione della testa del letto e l’aspirazione nasogastrica prima
dell'alimentazione (per evidenza di cibi residui alimentari nello stomaco) sono
misure usate per prevenire la distensione, il rigurgito e l’aspirazione. Per regolare il
nutrimento si può usare un’infusione continua a goccia o una pompa. I principi e le
tecniche dell'alimentazione per via nasogastrica sono
discusse nel capitolo 35. Il sondino di nutrizione rimane solitamente in sede fino al
ritorno del riflesso di deglutizione.
Prevenzione di lesioni-> Quando il paziente esce dal coma vi è un periodo di
letargia e autismo acinetico seguito da un periodo di agitazione. Ogni fase varia, a
seconda dell'individuo, della profondità e della durata del coma e dell'età. Il
paziente che emerge dal coma può divenire maggiormente agitato verso la fine del
giorno. L'irrequietezza può essere dovuta a ipossia, febbre, dolore o a distensione
della vescica. Può indicare lesione del
cervello ma è anche segno che il paziente sta riprendendo coscienza (una moderata
agitazione può essere di beneficio perché esercita i polmoni e gli arti). L'agitazione
può essere inoltre dovuta al fastidio procurato dal catetere vescicale permanente,
dalle linee endovenose, dalle restrizioni e dai
ripetuti controlli neurologici.
· Ci si assicura che la respirazione sia adeguata e che la vescica non sia
distesa. Si controllino bendaggi e ingessature per compressione.
· Per evitare autolesioni e la rimozione dei drenaggi, si usano sponde del letto
imbottite e il paziente può indossare guanti. Le restrizioni fisiche devono
essere evitate quando possibile perché gli sforzi per liberarsi possono
alterare la pressione endocranica o causare altre lesioni.
· L'inquietudine non deve essere controllata con narcotici, perché queste
sostanze deprimono la respirazione, restringono la pupilla e alterano il
livello della coscienza del paziente.
· L'uso di un letto da pavimento (materasso sul pavimento circondato da
imbottiture) permette la libertà dei movimenti e la sicurezza del paziente.
· Gli stimoli ambientali devono essere tenuti al minimo assicurando una
stanza tranquilla, limitando i visitatori, parlando piano e dando
· frequenti informazioni orientative (per es. Spiegando al paziente dove è e
che cosa stanno facendogli).
· Una illuminazione adeguata può prevenire allucinazioni visive.
· Il ciclo di sonno e veglia del paziente non deve essere interrotto.
· La cute deve essere trattata con oli e lozioni emollienti per prevenire
irritazioni da sfregamento contro le lenzuola.
· Se vi è incontinenza, si può usare un catetere esterno per il paziente maschio.
L'uso prolungato di un catetere a permanenza inevitabilmente
· porta a infezioni, perciò il paziente può essere cateterizzato a intermittenza.
Miglioramento delle funzioni cognitive-> Sebbene molti pazienti con danno
cerebrale sopravvivano grazie alla tecnica di rianimazione e di supporto,
frequentemente essi riportano significative sequele mentali che possono non essere
notate durante la fase acuta. La perdita cognitiva
include lacune di memoria, diminuzione della capacità di concentrazione
(distrazione), riduzione della facoltà di elaborazione e lentezza di pensiero,
percezione, comunicazione, lettura e scrittura. Dal 25% al 38% di queste persone
sviluppano problemi psichiatrici. Queste limitazioni psicosociali,
comportamentali ed emotive sono devastanti per i familiari come per il paziente.
Questi problemi richiedono una collaborazione tra molte discipline. Un
neuropsichiatra (specializzato nella valutazione e nel trattamento di problemi
cognitivi) stabilisce un programma e inizia una terapia destinata ad aiutare il
paziente a raggiungere le sue massime potenzialità. Le attività di riabilitazione
cognitiva sono dirette a rigenerare la capacità del paziente a ideare nuove strategie
per risolvere i problemi. La riabilitazione è a
lungo termine e include l'uso di programmi educativi con computer, videogames,
stimolazione e rinforzo sensoriali, modificazioni comportamentali e orientamenti
nella realtà. È necessaria l’assistenza di molteplici discipline durante questa fase di
recupero. La capacità intellettuale può rimanere
immutata, ma gli aspetti sociali e comportamentali possono migliorare.
L'infermiere deve sapere che vi sono delle fluttuazioni nell'orientamento e nella
memoria di questi pazienti. Sono facilmente distratti e spinti oltre
i limiti della loro funzionalità corticale indebolita possono manifestare sintomi di
fatica e di stress (mal di testa, vertigini).
Educazione sanitaria del paziente e dei familiari-> Gravi lesioni alla testa
possono produrre stress intenso e prolungato all'interno della famiglia per i limiti
fisici ed emotivi del paziente, l'esito imprevedibile e i cambiamenti nei rapporti
familiari. I membri della famiglia riferiscono difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti
di temperamento, comportamento e personalità del paziente. E tutto questo
associato alla compromissione della coesione nella famiglia, alla perdita di attività
ricreative e della capacità lavorativa, oltre che all'isolamento sociale e al peso della
responsabilità di chi assiste il paziente. I familiari possono provare periodicamente
sentimenti quali rabbia, afflizione, senso di colpa e rifiuto.
Si chiede ai familiari quali differenze trovino nel paziente al momento. Che cosa è
stato perso? Qual è la difficoltà da affrontare in questa situazione? Gli interventi
utili includono una informazione accurata e onesta e l’incoraggiamento a
continuare, a porsi obiettivi ben definiti, comuni e a breve termine. La consulenza
familiare aiuta a far fronte all'acuto senso di perdita e di impotenza e offre una
guida su come reagire a un
comportamento inappropriato. I gruppi di supporto organizzano incontri per
condividere problemi, sviluppare soluzioni, ottenere informazioni, trovare
comprensione e assistenza nel mantenimento oltre ad aspettative realistiche e
speranza.
Esistono centri di assistenza che offrono punti di riferimento e risorse disponibili ai
pazienti traumatizzati cranici e alle loro famiglie e che possono fornire specifiche
informazioni circa il coma, la riabilitazione, le conseguenze comportamentali della
lesione e i problemi familiari. Queste organizzazioni possono procurare i nomi di
istituzioni e professionisti che lavorano con persone con lesioni alla testa e possono
assistere le famiglie
nell'organizzazione di gruppi locali di supporto.
Il paziente viene incoraggiato a continuare il programma di riabilitazione dopo la
dimissione, perché vi possono essere miglioramenti nel suo stato per 3 o più anni.
L’emicrania può essere un chiaro indice di recupero. Un secondo cuscino o
sostegno per la schiena, possono essere di aiuto per
alleviare il dolore alla testa.
Dato che si verificano frequentemente convulsioni, possono essere prescritti
anticonvulsivanti per 1 o 2 anni dalla lesione. Il paziente viene incoraggiato a
tornare gradualmente alle normali attività.
VALUTAZIONE
1. Il paziente raggiunge e mantiene adeguate la funzionalità respiratoria,
ventilazione e ossigenazione del cervello:
a. I risultati dell'emogasanalisi sono nella norma.
b. I rumori respiratori sono normali all'auscultazione.
c. Il paziente riesce a espellere le secrezioni.
2. L'equilibrio idroelettrolitico è mantenuto:
a. Gli elettroliti plasmatici sono normali.
b. Non vi sono segni clinici di disidratazione o iperidratazione.
3. Lo stato nutrizionale è adeguato:
a. Il ristagno gastrico prima di ogni alimentazione nasogastrica e inferiore ai 50
mL.
b. Assenza distensione gastrica e vomito.
c. La perdita di peso è minima.
4. Il paziente evita lesioni:
a. È meno agitato e più riposato
b. È orientato nel tempo-spazio-persona.
5. Il paziente progredisce nei processi cognitivi:
a. Manifesta meno comportamenti inappropriati.
b. Vi è miglioramento nella memoria.
c. Espone piani realistici.
6. I membri della famiglia dimostrano capacità di adattamento:
a. Frequentano gruppi di supporto.
b. Sono disposti a identificare le aree problematiche.
c. Condividono i loro sentimenti con il personale medico.
Riassumendo, i traumi cranici possono essere gravi e potenzialmente mortali o
lievi con pochi segni e sintomi permanenti.
DRENAGGIO TORACICO
DIAGNOSI INFERMIERISTICA
Sulla base dei dati dell'accertamento le principali diagnosi infermieristiche
postoperatorie possono includere:
· Compromissione dello scambio gassoso correlata alla malattia polmonare e
all'intervento chirurgico.
· Inefficace clearance delle vie aeree correlata alla patologia polmonare,
all'anestesia e al dolore.
· Dolore correlato all'incisione, ai tubi di drenaggio e alla procedura
chirurgica.
· Compromissione del movimento degli arti superiori correlata all'intervento
al torace.
· Squilibrio del volume idrico correlato alla procedura chirurgica.
· Ansia correlata agli esiti dell'intervento chirurgico, al dolore e alla
strumentazione tecnologica.
· Deficit di conoscenza relativamente alle procedure di self-care da attuare al
rientro a casa dopo la dimissione.
INTERVENTI INFERMIERISTICI
Miglioramento dello scambio gassoso e della respirazione Si accerta lo scambio
dei gas valutando la ventilazione e l'ossigenazione. Subito dopo l'intervento ciò è
fattibile mediante la misurazione della pressione sanguigna, del polso e della
frequenza respiratoria ogni 15 minuti durante la prima o prime 2 ore e a intervalli
più lunghi man mano che la condizione del paziente si stabilizza. Per espandere gli
alveoli e prevenire l'atelettasia è opportuno effettuare, ogni 2 ore, la respirazione
diaframmatica o con labbra serrate appresa nella fase preoperatoria. Un'altra
tecnica per migliorare la ventilazione è la terapia dell'inspirazione massima
continuata o la spirometria incentiva. Questa tecnica ottimizza l’inflazione
polmonare, migliora il meccanismo della tosse e fornisce un precoce accertamento
dei cambiamenti polmonari acuti. Subito dopo l'intervento, non appena il paziente
è orientato e la sua pressione sanguigna si è stabilizzata, lo schienale del letto viene
alzato di 30-40 gradi; ciò facilita la ventilazione, promuove il drenaggio toracico
dal tubo inferiore e aiuta l'aria residua a salire
nella parte superiore dello spazio pleurico, da cui può essere eliminata attraverso il
tubo toracico superiore.
Viene consultato il chirurgo sulle posizioni più adatte per ogni singolo paziente. Il
soggetto con riserva respiratoria limitata può non essere in grado di girarsi sul lato
non operato, in quanto ciò limita la ventilazione del lato operato. La posizione
viene cambiata da orizzontale a semieretta, poiché la permanenza nella medesima
posizione tende a promuovere la ritenzione delle secrezioni nella parte
corrispondente dei polmoni. Dopo una pneumonectomia il lato operato dovrebbe
essere dipendente, in modo che il liquido dello
spazio pleurico rimanga al di sotto del livello del moncone bronchiale e il lato non
operato possa espandersi totalmente.
TECNICA
-Posizionarsi alla testa della vittima
-Appoggiare la maschera sul volto, facendo attenzione che sia di misura adeguata
a coprire bocca e naso e che l’apice della maschera sia posto in corrispondenza
della radice del naso.
-Con l’indice ed il pollice di una mano aderente al volto, con le restanti dita
sollevare la mandibola per effettuare l’iperstensione del capo ed il sollevamento
della mandibola; con l’altra mano comprimere il pallone per insufflare un
quantitativo d’aria tale da provocare una normale espansione del torace.
Osservare l’escursione del torace, come indice di ventilazione efficace. La
ventilazione può avvenire: con sistema bocca-maschera o bocca a bocca.
LO SHOCK
Stato di insufficienza circolatoria periferica che determina una ridotta perfusione
tissutale a livello sistemico e quindi un inadeguato apporto di ossigeno e substrati
energetici alle cellule. Il vero danno esistente nello shock è una disfunzione acuta
del metabolismo energetico delle cellule che non riescono a far fronte alle loro
necessità nutrizionali ed a svolgere le loro attività metaboliche specifiche. Dunque
il problema principale dello shock non è la semplice ipoperfusione tessutale ma è
soprattutto il danno metabolico cellulare che ad essa può conseguire. discrepanza
fra perfusione tessutale ed effettive richieste
da parte dei tessuti metabolicamente attivi.
FRATTURA FEMORALE
La frattura del femore, l'osso più lungo e voluminoso del corpo umano situato nella
coscia, è un evento che può verificarsi a tutte le età. Nonostante il femore sia un
osso molto resistente, urti e traumi violenti nel giovane oppure l'osteoporosi
nell'anziano possono provocarne la rottura. Vista la posizione e la funzione del
femore, fondamentale per il movimento degli arti inferiori, è necessario far subito
ricorso alle cure mediche.
Che cos'è la frattura del femore?
Il femore è un osso particolarmente importante. Su di esso si inseriscono muscoli
fondamentali per il movimento. Il femore comunica con l'anca, costituendo
l'articolazione coxofemorale, e con la rotula e la tibia nell'articolazione del
ginocchio. La frattura può colpire il femore nella sua parte centrale o più
frequentemente negli anziani nella testa del femore, vale a dire l'estremità che si
congiunge con l'articolazione dell'anca. Si parla in questi casi di frattura a livello
del collo femorale e di frattura pertrocanterica.
Quali sono le cause della frattura del femore?
Le cause di frattura del femore variano molto a seconda dell'età
del soggetto. Le cadute accidentali in casa sono la principale causa di frattura del
femore nella persona anziana. La persona anziana va incontro a frattura più di
frequente a causa dell'osteoporosi, una patologia che comporta la riduzione della
forza delle ossa e le espone a un rischio maggiore di lesione. Negli anziani sono
comuni le fratture da stress, che non sono provocate da traumi o urti violenti ma da
una
progressiva degenerazione della struttura ossea. Spesso sono associate anche ad
altre patologie come diabete e artrite reumatoide. Altre cause sono infezioni e
tumori che possono alterare la robustezza del tessuto osseo. Nel giovane la frattura
del femore è frequentemente associata a traumi sportivi o a incidenti stradali. Il
femore è un osso molto robusto e quindi, in assenza di altre patologie, ha bisogno
di un urto molto violento affinché si verifichi la rottura. La frattura si può
presentare in diversi punti del femore e può essere composta o scomposta, a
seconda che ci sia uno spostamento o meno dei frammenti lesionati che perdono,
così, il naturale allineamento. La frattura al femore può inoltre essere completa o
non completa, a
seconda che ci sia una lesione con o senza separazione dei segmenti e può essere
multipla, se c'è una rottura in più punti, e ancora trasversale, obliqua o spiroide.
Quali sono i sintomi della frattura al femore?
I sintomi della frattura del femore differiscono a seconda del punto di lesione.
Generalmente la frattura provoca:
• Dolore acuto e immediato, che si può irradiare verso l'inguine, ma
può essere avvertito anche all'altezza del ginocchio e della
caviglia
• Sensazione di uno schiocco al momento del trauma
• Difficoltà a stare in piedi e a muovere la gamba
• Gonfiore
• Presenza di lividi e tumefazioni
• Deformazione e accorciamento dell'arto
Le fratture non trattate adeguatamente possono dare luogo a complicazioni che
comprendono artrosi post-traumatica, infezioni, deformità, rigidità articolare
ovvero la difficoltà a
muovere correttamente l'arto.
Come prevenire la frattura del femore?
Le fratture del femore si prevengono ponendo particolare attenzione alla
protezione delle articolazioni se si svolgono attività sportive. È buona norma non
sottoporre l'articolazione a movimenti ripetuti e usuranti. Per evitare le fratture
dovute a osteoporosi si dovrebbe integrare l'alimentazione con calcio e vitamina D
e seguire le terapie mediche prescritte. Per prevenire le cadute le persone anziane
dovrebbero indossare scarpe comode, con suole antiscivolo, rimuovere gli ostacoli
presenti in casa, come i tappeti, illuminare bene gli ambienti, fare attenzione se si
cammina all'esterno su superfici scivolose.
DIAGNOSI INFERMIERISTICA
Ansia correlata a minaccia all’integrità biologica
dovuta a trauma da caduta e dolore (che si manifesta
con sudorazione, tremore, F.C., insonnia)
OBIETTIVO:
la persona assistita riferirà maggiore sollievo e benessere
psicofisico; descriverà la propria ansia e cercherà di attuare modelli di coping.
INTERVENTI:
• Accertare i livelli di ansia;
• Garantire comfort e rassicurare la persona assistita;
• Diminuire la stimolazione sensoriale;
• Garantire un ambiente tranquillo e non troppo stimolante.
DIAGNOSI INFERMIERISTICA
Compromissione della mobilità (correlata a riduzione
della forza e resistenza secondaria a fratture, correlata a
dolore, come manifestata da affaticamento, debolezza
muscolare.)
Obiettivo: la persona assistita non apporterà lesioni secondarie all’ allettamento.
INTERVENTI
• Mobilizzazione della persona allettata ogni 2/3h e
utilizzo di cuscini ed ausili per posizionare ed
allineare i segmenti corporei in modo fisiologico;
• Valutazione del paziente a rischio di lesioni mediante
scale;
• Uso del materasso antidecubito;
• Trattamenti antidolorifici prescritti e applicazioni di
impacchi caldo- umidi per ridurre infiammazione,
dolore e ematomi;
• Aiutare la persona assistita a deambulare con ausili;
• Stimolare la persona assistita allo svolgimento di
trattamenti di fisiochinesiterapia.
IL MONITORAGGIO
Per monitoraggio si intende la registrazione in modo continuativo e in tempo reale
dei dati relativi ai parametri vitali del paziente.
L’infermiere deve essere in grado di conoscere le apparecchiature che usa,
conoscere le modalità di rilievo dei parametri vitali, correlare i dati rilevati alle
condizioni cliniche del paziente, interpretare i dati, verificandone l’attendibilità,
valutare l’opportuna frequenza di rilevazione dei dati in base alla
criticità/complessità assistenziale del paziente, pianificando il lavoro.Gli scopi del
monitoraggio sono:
1. Permettere una visione globale dello stato del paziente,
2. Segnalare precocemente l’insorgenza di eventi patologici,
3. Ottenere informazioni per la migliore scelta assistenziale e terapeutica e
verificarne la corretta applicazione.
I monitoraggi che possiamo utilizzare, durante la nostra attività professionale,
sono:
46.Monitoraggio E.C.G. in continuo,
47.Monitoraggio della pressione arteriosa (P.A.) con metodica invasiva o non
invasiva,
48.Monitoraggio della pressione venosa centrale (P.V.C.),
49.Monitoraggio emodinamico con catetere di Swan – Ganz,
50.Monitoraggio respiratorio:
51.paO2,
52.paCO2,
53.Ossimetria,
54.Capnometria,
55.Monitoraggio della temperatura corporea,
56.Monitoraggio della diuresi,
57.Monitoraggio neurologico,
58.Monitoraggio della pressione intracranica (P.I.C.).
Set arterioso (soluzione fisiologica in sacca, sacca a pressione –in cui deve essere
inserita la sacca di fisiologica -,deflussore, rubinetto a tre vie già collocato sul
trasduttore che ne consente l’azzeramento, sistema di lavaggio).
L’azzeramento deve essere effettuato ogni volta che la persona cambia posizione.
E’importante che il trasduttore venga posizionato in corrispondenza del punto detto
asse flebo statico, in quanto, se è posto al di sopra di questo punto avremo valori
inferiori a quelli reali, se, invece, è posto al di sotto, vedremo valori più bassi di
quelli reali. Al fine di valutare il buon funzionamento del sistema di monitoraggio
arterioso si può effettuare il test dell’onda quadra. Questo test consiste nell’aprirei
il sistema di lavaggio rapido e valutare la morfologia dell’onda che comparirà sul
monitor. Lo smorzamento ottimale si ha se vi è la presenza di una o due
oscillazioni.
MATERIALI E METODI
· Materiale per campo sterile (telini, guanti, maschera, cuffia, camice),
· Catetere venoso,
· Disinfettanti,
· Siringhe,
· Garze sterili,
· Ferri chirurgici,
· Anestetico locale,
· Filo di sutura,
· Set venoso (soluzione fisiologica in sacca, sacca a pressione –in cui deve
essere inserita la sacca di fisiologica -,deflussore, rubinetto a tre vie già
collocato sul trasduttore che ne consente l’azzeramento, sistema di
lavaggio).
Il metodo usato per l’inserimento è quello con metodica Seldinger. Una volta punta
una vena di accesso, si introduce una guida metallica su cui viene fatto scorrere un
dilatatore, per ampliare il foro di ingresso, e poi viene introdotto il catetere stesso.
Se si utilizzano C.V.C poli – lumi, la via da connettere al circuito di trasduzione
della P.V.C. è quello distale.
Valori di P.V.C. elevati possono indicare:
· Aumento della massa sanguigna,
· Aumento del ritorno venoso per incremento della massa circolante o per
costrizione del distretto vascolare,
· Insufficienza ventricolare destra,
· Valvulopatia tricuspidale o polmonare,
· Aumento delle resistenze del circolo polmonare.
· Valori di P.V.C. inferiori possono indicare:
· Ipovolemia,
· Vasodilatazione venosa.
4) IL MONITORAGGIO EMODINAMICO CON IL CATETERE DI SWAN
– GANZ
Quando gli altri monitoraggi non forniscono tutte le informazioni necessarie
riguardanti l’emodinamica del paziente, per un migliore inquadramento
diagnostico, terapeutico e assistenziale, si usa il catetere di Swan – Ganz che viene
introdotto in arteria polmonare e poi fatto avanzare nelle camere cardiache.
Questo monitoraggio consente di misurare ulteriori parametri e cioè:
· Pressione arteriosa polmonare,
· Pressione di incuneamento (wedge),
· Gittata cardiaca (con metodo della termo diluizione),
· Calcoli emodinamici derivati dalla gittata cardiaca, quali resistenze vascolari
polmonari e sistemiche, frazione di eiezione etc.,
· Saturazione venosa mista,
· P.V.C.
MATERIALI E METODI
· Materiale per campo sterile (telini, guanti, maschera, cuffia, camice),
· Catetere di Swan – Ganz,
· Disinfettanti,
· Siringhe,
· Garze sterili,
· Ferri chirurgici,
· Anestetico locale,
· Filo di sutura,
· Set arterioso (soluzione fisiologica in sacca, sacca a pressione –in cui deve
essere inserita la sacca di fisiologica -,deflussore, prolunghe con rubinetto a
tre vie, sistema di lavaggio),
· Set per termo diluizione,
· Ghiaccio,
· Cavo con termistore.
L’inserimento avviene per via per cutanea con metodica di Seldinger sotto
controllo radioscopico, o monitorizzando la morfologia delle onde pressorie che
indicano l’avanzamento nelle camere cardiache sino al raggiungimento dell’arteria
polmonare. Il catetere di Swan – Ganz ha un numero variabile da 3 a 5 lumi, tra
questi una via prossimale è usata per la misurazione della P.V.C. e per la
somministrazione di farmaci,
distale per rilevare la pressione di incuneamento e la pressione arteriosa polmonare
(P.A.P.), una via a valvola per il gonfiaggio del palloncino con 1,5 cc di aria e una
via di connessione al termistore.
VALORI DI RIFERIMENTO
· P.A.P.
· Sistolica = 15 – 30 mmHg,
· Diastolica = 5 – 15 mmHg,
· Media = 10 – 17 mmHg.
· PCWC (pressione di incuneamento o wedge) = 5 – 12 mmHg,
· Cardiac Output o gittata cardiaca (Gittata sistolica, GS*FC, FC) = 4 – 6
l/min,
· Indice cardiaco = 2,5 – 4 l/min/m2.
5) IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO
Il monitoraggio respiratorio serve per ottenere valori, quali:
PaCO2/PaO2 per valutare quadri di insufficienza respiratoria. E’ un metodo
invasivo che si esegue effettuando emogasanalisi di un campione ematico
arterioso. Valori ridotti di PaO2 (ipossiemia) e/o ridotti di PaCO2 (ipercapnia)
segnalano la comparsa di quadri di insufficienza respiratoria del pz,
Ossimetria, consiste nella rilevazione della quantità (espressa in %) di Hb legata
all’ossigeno nel sangue arterioso periferico. Viene rilevata da sensori applicati alle
dita, al naso, al lobo dell’orecchio o, nel caso dei neonati, alle mani o ai piedi. I
principi per rilevare i valori di ossimetria . I saturimetri per determinare i valori di
ossimetria sfruttano i principi spettrofotometrici (rileva le modificazioni di
assorbimento della luce da parte dell’Hb differentemente ossigenata) e
pulsossimetrici (rileva il sangue arterioso in quanto pulsatile). Non sempre si
possono dei valori attendibili; esistono anche situazioni che limitano la possibilità
di misurare questi valori, come l’ipoperfusione, l’ipotensione, l’uso di farmaci
vasoattivi, l’ipotermia, i movimenti del paziente, Hb patologiche, spostamento del
sensore.
Capnometria, rappresenta la quantità di CO2 nei gas espirati. Questo valore
corrisponde indicativamente alla CO2 dei gas alveolari (PaCO2) e rispecchia i
livelli di CO2 arteriosi. I suoi valori sono normalmente inferiori da 1 a 4 mmHg
rispetto alla PaCO2.
Questi valori, uniti alla corretta osservazione della frequenza respiratoria e del tipo
di respiro, consentono un migliore approfondimento del quadro clinico.
6) IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Il monitoraggio neurologico è una parte fondamentale dell’attività infermieristica
in ambito intensivo, dove vi siano persone con lesioni cerebrali. In questo ambito
ogni attività infermieristica deve essere indirizzata alla prevenzione di danni
secondari che potrebbero peggiorare il danno già presente. A tal proposito è utile
riportare la teoria di Monroe – Kellie che rappresenta il cranio come un sistema
chiuso, al cui interno coesistono tre elementi in equilibrio tra loro (sangue, liquor,
tessuto cerebrale). L’aumento di volume o di quantità di uno di questi tre elementi
provoca una riduzione dello spazio a disposizione degli altri due. Questo comporta,
quindi, una compressione dell’intero sistema con conseguente aumento della
pressione intra cranica
(P.I.C.) e una riduzione sia della pressione di perfusione cerebrale (P.P.C.) e
dell’apporto di ossigeno al cervello.
PPC= P.A.M. (pressione arteriosa media) – P.I.C.
I valori di P.P.C. devono essere mantenuti al di sopra dei 60 mmHg. Il
monitoraggio neurologico consiste nella valutazione di parametri che permettono
di comprendere meglio lo stato clinico della persona e la sua evoluzione. Sono
state ideate varie scale, la più usata è la Glasgow coma scale (GCS) e la reazione
pupillare.
TRACHEOSTOMIZZATO
La tracheostomia è una procedura chirurgica eseguita in anestesia locale o generale
per
posizionare in trachea, a livello dei primi anelli tracheali, una cannula da lasciare
per più giorni
per consentire una comunicazione diretta tra le vie aeree inferiori e l’ambiente.1
Deve essere eseguita solo da personale qualificato, in molti casi dopo che la via
aerea è stata
garantita dal posizionamento di un tubo endotracheale o di un catetere
translaringeo, oppure
dalla cricotiroidectomia.2 Trattandosi di un intervento chirurgico deve essere
eseguita in ambienti
protetti e controllati come la sala operatoria o la sala di rianimazione.
Gli obiettivi della tracheostomia sono:1
realizzare una via di comunicazione diretta tra l’ambiente e le vie aeree
inferiori, superando
eventuali ostacoli presenti nel cavo orale o a livello di faringe o laringe;
rendere possibile un collegamento corretto e sicuro al respiratore automatico
per la
ventilazione artificiale;
ridurre lo spazio morto anatomico fino a 50 ml per diminuire le resistenze ai
flussi dei gas e
migliorare la ventilazione;
consentire un’accurata pervietà delle vie aeree permettendo una valida pulizia
tracheobronchiale
e un miglior rendimento della fisiochinesiterapia;
diminuire le resistenze al flusso dei gas respiratori, riducendo i gradienti
pressori intratoracici
inspiratori ed espiratori;
facilitare nei pazienti coscienti la ripresa di una normale alimentazione per
bocca;
consentire interventi di otorinolaringoiatria come per esempio una
laringectomia;
consentire la fonazione nei pazienti che hanno bisogno di sostegno ventilatorio
a intervalli.
Indicazioni
Le linee guida internazionali raccomandano di procedere alla tracheostomia dopo
circa una
settimana di intubazione oro o naso-tracheale qualora non sussistano motivi clinici
per una
possibile estubazione.1 I tempi della procedura vengono stabiliti di volta in volta in
base alle
condizioni cliniche del paziente.
La tracheostomia può essere una condizione temporanea o permanente come per
esempio in
caso di laringectomia oppure in caso di dismorfismi gravi delle vie aeree superiori,
in pazienti
obesi o con alterazioni neurologiche, in caso di broncopneumopatia cronica
ostruttiva oppure di
lesioni spinali.
Indicazioni alla tracheostomia1,4,5
presenza di ostacoli in faringe, nel laringe o nel cavo orale a causa di traumi
(frattura mandibolare bicondiloidea,
frattura tipo Lefort), tumori, ustioni, epiglottiti, edema, stenosi sottoglottidea
anomalie congenite delle vie aeree superiori
intubazione fallita o ritenuta impossibile
in previsione della fissazione chirurgica della mascella
presenza di lesioni cervicali che possono provocare difficoltà o impossibilità
respiratoria
intubazione prolungata (almeno 7-10 giorni)
assenza o anormalità dei riflessi glottidici
clearance inefficace delle secrezioni bronchiali
polmonite grave per intubazione prolungata
neuropatie gravi (sclerosi laterale amiotrofica, sindrome di Charcot-Marie-
Tooth)
COMPLICANZE
-immediate: emorragia, pnx, lesioni dell’esofago, mal posizionamento della
cannula, aritmie fino all’arresto cardiaca, decesso.
-precoci: pnx, sepsi dello stoma, ostruzione della cannula
-tardive: infezioni delle vie aeree, necrosi, ostruzione cannula
DIAGNOSI
Modello di ventilazione inefficace
Compromissione dello stato gassoso
Inefficace liberazione delle vie aeree
Compromissione dell’integrità tissutale