Sei sulla pagina 1di 117

Assistenza Infermieristica al paziente con BPCO

La broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) è una malattia dell'apparato


respiratorio caratterizzata da un'ostruzione irreversibile delle vie aeree, di entità
variabile a seconda della gravità. La malattia è solitamente progressiva ed è
associata a uno stato di infiammazione cronica del tessuto polmonare. La
conseguenza a lungo termine è un vero e proprio rimodellamento dei bronchi, che
provoca una riduzione consistente della capacità respiratoria. Nella BPCO la
riduzione di flusso d’aria è sia progressivo sia associata ad una risposta
infiammatoria anomala dai polmoni alle particelle di gas nocivi. La risposta
infiammatoria si sviluppa in ogni parte delle vie aeree,del parenchima e della
vascolarizzazione polmonare. La riduzione del flusso d’aria può essere dovuto
anche alla distruzione del parenchima come accade nell’enfisema,patologia in cui
la compromissione degli scambi gassosi deriva dalla distruzione dei setti alveolari
sovra distesi.
 Ad aggravare questo quadro clinico è l’aumento della predisposizione alle
infezioni respiratorie di origine virale, batterica o fungina. Non esiste al momento
una cura efficace, ma sono disponibili diversi trattamenti per controllare i sintomi e
per evitare pericolose complicanze. Fondamentale è invece la prevenzione, per
ridurre al minimo i fattori di rischio (fumo di sigaretta in primis).

I sintomi principali della BPCO:

Tosse ( spesso è cronica, più intensa al mattino e caratterizzata dalla produzione di


muco ), produzione di espettorato e la dispnea ( compare gradualmente nell'arco di
diversi anni e nei casi più gravi può arrivare a limitare le normali attività
quotidiane ), qualche volta accompagnati da respiro sibilante. In genere, queste
persone sono soggette a infezioni croniche dell'apparato respiratorio, che
occasionalmente provocano ricadute accompagnate da una sintomatologia
aggravata. Con il progredire della malattia questi episodi tendono a divenire
sempre più frequenti. Nei pazienti affetti da BPCO con una componente
enfisematosa primaria, l’iperinflazione cronica produce il cosiddetto “torace a
botte”, che è il risultato della fissazione delle costole in posizione inspiratoria e
della perdita di elasticità polmonare. 
Dovuti all’ipossia
· Dispnea
· Tachipnea
· Tachicardia
· Cianosi
Dovuti all’ipocapnia
· Ipertensione arteriosa
· Agitazione/irrequietezza
· Confusione mentale
· Disorientamento/sonnolenza

FATTORI DI RISCHIO
Esistono diversi fattori di rischio, alcuni individuali, altri di origine ambientale. Tra
i fattori individuali, ci sono molti geni che si ritiene possano essere associati
all'insorgenza della Bpco. Al momento, i dati più significativi in proposito sono
quelli relativi al deficit di alfa1-antitripsina, una condizione ereditaria piuttosto rara
caratterizzata dalla carenza di questa proteina epatica che normalmente protegge i
polmoni. Ci sono poi alcune patologie respiratorie complesse che possono
contribuire allo sviluppo della malattia, in particolare l’asma e l'ipersensibilità
bronchiale.
 Tra i fattori ambientali, numerosi studi indicano che il principale fattore di rischio
per lo sviluppo della Bpco è il fumo di tabacco, in particolare quello di sigaretta
(meno quello di sigaro e pipa), che accelera e accentua il decadimento naturale
della funzione respiratoria. Anche il fumo passivo può contribuire parzialmente
allo sviluppo della malattia, in quanto favorisce l'inalazione di gas e particolato.
Gioca un ruolo determinante anche l'esposizione a polveri, sostanze chimiche,
vapori o fumi irritanti all'interno dell'ambiente di lavoro (per esempio silice o
cadmio). Altri fattori di rischio, seppure meno influenti, associati allo sviluppo
della Bpco sono l'inquinamento dell’aria: non solo quello atmosferico causato da
smog e polveri sottili, ma anche quello presente all'interno degli ambienti chiusi
(provocato dalle emissioni di stufe, apparecchi elettrici, impianti di aria
condizionata ecc.). Infezioni respiratorie come bronchiti, polmoniti e pleuriti
possono predisporre infine al deterioramento dei bronchi.

DIAGNOSI.
La spirometria è il test più semplice e comune per diagnosticare
la BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva). Grazie a questo esame è
possibile valutare il grado di disabilità respiratoria, monitorare l'evoluzione della
malattia e l'efficacia della terapia intrapresa.
La spirometria è un test molto semplice e assolutamente indolore. Si effettua
soffiando con forza in un boccaglio collegato ad un apparecchio chiamato
spirometro.
Proprio per questa sua semplicità la spirometria è un esame poco costoso utilissimo
non solo per diagnosticare la BPCO, ma anche per prevenire le complicanze di una
diagnosi tardiva. I soggetti a rischio (fumatori con più di quarant'anni) dovrebbero
eseguire questo esame almeno una volta ogni due anni o all'insorgenza di sintomi
come tosse cronica, catarro o difficoltà respiratoria.
A seconda dei risultati della spirometria la BPCO viene classificata in una scala di
gravità composta da quattro stadi.

Un altro esame importante per la diagnosi della BPCO è l'emogasanalisi. Questo


test permette infatti di rilevare la concentrazione di ossigeno e di anidride
carbonica nel sangue arterioso. Un piccolo prelievo è sufficiente per fornire dati
importanti sulla funzionalità del sistema cardiorespiratorio.
Il rapporto tra ossigeno ed anidride carbonica nel sangue dev'essere relativamente
costante ed un valore alterato è segno di un importante problema respiratorio o
metabolico. L'emogasanalisi è l'unico esame valido per valutare la necessità di
ossigenoterapia nei pazienti affetti da BPCO.
Se spirometria ed emogasanalisi non forniscono indicazioni sicure, lo studio della
funzionalità polmonare può essere eseguito con una tecnica approfondita
chiamata scintigrafia polmonare perfusionale e ventilatoria.
Anche l’emocromo permette di evidenziare una possibile policitemia o aumento
Hb secondario alla presenza di BPCO.
Inoltre può essere effettuato un RX TORACE IN DUE PROIEZIONI, che permette
di ricercare segni di iperdistensione polmonare o presenza di bolle,segni di
ipertensione polmonare,ed è inoltre necessario per escludere altre cause di dispnea
quali tubercolosi,tumori ecc.
CONTROINDICAZIONI ALLA SPIROMETRIA
· precedenti episodi cerebrovascolari
· infezioni polmonari
· recente sottoposizione ad interventi chirurgici toracici, addominali o oculari 
infarto miocardico negli ultimi sei mesi, o angina pectoris instabile
· aneurismi grave ipertensione arteriosa
· presenza di sintomi che potrebbero interferire con la spirometria
(nausea, vomito)
·
TRATTAMENTO DELLA MALATTIA
Non esiste una cura efficace per la Bpco che consenta di ripristinare la funzionalità
respiratoria perduta. Esistono comunque tutta una serie di trattamenti per gestire la
malattia e consentire di raggiungere i seguenti obiettivi:
· prevenire la progressione della malattia
· ridurre i sintomi
· migliorare la capacità sotto sforzo
· migliorare lo stato di salute generale
· prevenire e trattare le complicanze
· prevenire e trattare l'aggravarsi della malattia
· ridurre la mortalità.
I farmaci più indicati per la Bpco sono i broncodilatatori, somministrati per via
inalatoria, che sono in grado di dilatare le vie aeree e garantire così il maggior
flusso possibile di aria. In caso di forme gravi o acute, si possono usare
antinfiammatori potenti come cortisone e suoi derivati, evitandone però l'uso
prolungato a causa dei pesanti effetti collaterali. Ai pazienti si raccomanda anche di
vaccinarsi regolarmente contro malattie come l’influenza o la polmonite da
pneumococchi, che potrebbero aggravare una funzionalità polmonare già
fortemente compromessa.
Accanto ai farmaci, esistono altre possibilità terapeutiche:
· l'ossigenoterapia, ovvero la somministrazione di ossigeno puro. Lo scopo è
quello di modificare il contenuto arterioso di O2 (CaO2) modificando la PaO2. Il
fondamento su cui si basa l’O2 terapia è l’aumento del gradiente di pressione di O2
attraverso la membrana alveolo-capillare.
· ventilazione meccanica, terapia che, con l'impiego di un opportuna
strumentazione, ha lo scopo di supportare o variare completamente la ventilazione,
in modo da allontanare la CO2 prodotta nel metabolismo e fornire all'organismo
una quantità di O2 sufficiente al fabbisogno dello stesso organismo
Inoltre ai pazienti viene consigliato di controllare il peso, per non affaticare
ulteriormente il sistema respiratorio, e di praticare una serie di esercizi specifici per
tenere in attività i muscoli del respiro.

PROCESSO INFERMIERISTICO: LA PERSONA CON BPCO


ACCERTAMENTO
L’accertamento infermieristico si basa su un’anamnesi sanitaria,cioè l’infermiere
valuterà:
· da quanto tempo la persona ha difficoltà di respiro
· se la persona presenta dispnea facendo sforzi
· le abitudini alimentari e del sonno
· se la persona è a conoscenza della malattia e cosa sa di essa
· se fuma o se ha mai fumato
· la frequenza del polso
· che tipo di respiro ha
· se è presente cianosi centrale
· se la persona tossisce
· se il paziente è agitato o se vi è un aumento del sopore
Inoltre l’infermiere valuterà:
· esposizioni a fattori di rischio
· anamnesi patologica remota
· precedenti famigliari di bpco
· tipologia di evoluzione dei sintomi
· potenziale di riduzione dei fattori di rischio.

DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
· compromissione degli scambi gassosi e della pervietà delle vie aeree dovuta
all’inalazione cronica di tossine
· compromissione degli scambi gassosi correlata a variazioni del rapporto
ventilazione-perfusione
· inefficace liberazione delle vie aeree correlata a bronco costrizione
· inefficace respirazione correlato a dispnea
· insufficiente conoscenza della malattia correlato a mancanza di
informazione
· rischio potenziale di insufficienza respiratoria correlato a bronco strizione
· rischio potenziale di infezioni a livello polmonare secondario a diminuzione
delle difese immunitarie
· rischio potenziale di ipertensione polmonare correlato a scarsa cura della
BPCO
· potenziale presenza di pneumotorace correlato a BPCO

PIANIFICAZIONE E OBBIETTIVI
Gli obbiettivi principali per il paziente sono:
· smettere di fumare
· migliorare gli scambi gassosi
· mantenere pervie le vie aeree
· migliorare il modello respiratorio
· tollerare l’attività fisica
· essere capaci di autogestirsi
· aderire al regime terapeutico

INTERVENTI
L’infermiere assieme al paziente deve discutere per trovare le strategie per smettere
di fumare,l’infermiere deve fornire le risorse per smettere di fumare,consulenze e
programmi formalizzati.
Per migliorare gli scambi gassosi bisogna ridurre il broncospasmo,migliorando il
flusso respiratorio e quindi ridurre la dispnea.
Per ottenere la pervietà delle vie aeree bisogna ridurre la quantità e la densità
dell’espettorato così facendo si migliora anche la ventilazione polmonare e gli
scambi gassosi.
Occorre eliminare tutti i tipi di sostanze irritanti per i polmoni,in particolare il
fumo di sigaretta.
L’infermiere istruisce il paziente sulla tosse spontanea o controllata che è più
efficace e riduce la fatigue associata a una tosse forte non controllata.
I modelli respiratori inefficaci e la dispnea sono dovuti alla meccanica respiratoria
inefficace della parete toracica.
L’allenamento della muscolatura inspiratoria e della respirazione aiuta i modelli
respiratori. I pazienti affetti da BPCO sperimentano una progressiva intolleranza
all’attività fisica. L’infermiere valuta la tolleranza del paziente e gli insegna le
strategie per favorire l’indipendenza nelle attività di vita quotidiana.
L’infermiere inoltre aiuta il paziente nella cura di sé evitando di modificare lo stile
di vita.
VALUTAZIONE
I risultati attesi per l’assistito possono essere:
· dimostrare di conoscere i pericoli del fumo
· dimostrare un miglioramento degli scambi gassosi
· ottenere la massima pervietà delle vie aeree
· migliorare i modelli respiratori
· dimostrare di conoscere le strategie della cura di sé

ASSISTENZA INFERMIERISTICA AL PAZIENTE CON EMBOLIA


POLMONARE

PATOLOGIA
Ostruzione acuta di una o più arterie polmonari dovuta da coaguli ematici
proveniente da trombosi periferica ( del sist venoso profondo= tromboembolia) o
raramente da trombosi locale (trombosi cardiaca) o emboli estranei alla normale
composizione del sangue.
Embolo: corpo solido ( sangue) liquido ( liquido amniotico) o gassoso (bolle d’
aria) che causa l’ ostruzione di un vaso ( arteria/vena)
Trombo: massa solida costituita da gr, gb, piastrine e fibrina

CLASSIFICAZIONE
Abbiamo due tipi di embolia polmonare:
1. embolia trombotica: è un trombo che si stacca dalla parete di un vaso e va in
circolazione.
2. embolia non trombotica: sono altri elementi che intervengono a chiudere il
ramo dell’arteria polmonare.
L’embolia polmonare trombotica o tromboembolia polmonare è la più frequente
che si  vede in emergenza. L' embolo polmonare è costituito da un coagulo ematico
che in oltre il 95% dei casi si stacca da un trombo rosso a superficie liscia di una
trombosi venosa profonda (TVP) delle vene al di sopra del ginocchio (poplitee,
femorali, iliache) o da un trombo più distale non trattato che si è esteso
prossimalmente.
L’embolia polmonare non trombotica è caratterizzata da 5 tipi di embolie:
3. Embolia adiposa: è del grasso che viene liberato nella circolazione sistemica
dalle ossa fratturate (fratture composte).
4. Embolia da liquido amniotico: parti complicati
5. Embolia gassosa: si può verificare quando ci sono grossi interventi
neurochirurgici; immissione di aria nella circolazione sistemica.
6. Embolia settica: in presenza di un focolaio infettivo
7. Embolia tumorale: in cui l’embolo è costituito da tessuto neoplastico che
entra nel circolo sistemico previo distacco dalla massa tumorale primitiva o
metastatica.
Un ulteriore classificazione la distingue in due gruppi:
embolia massiva - è caratterizzata da shock e/o ipotensione (definita come
pressione sistolica < 90 mmHg o calo di pressione di 40 mmHg per più di 15
minuti non secondario ad aritmia di nuova comparsa, ipovolemia o sepsi)
− embolia non massiva – riguarda soggetti in condizioni relativamente più stabili.
Tra loro può essere identificato un sottogruppo caratterizzato da segni
ecocardiografici di ipocinesia del ventricolo destro. Quest’ultimo gruppo viene
individuato come pazienti affetti da embolia polmonare submassiva.

SEGNI/ SINTOMI
· Dispnea
· Dolore toracico, simile all’angina che peggiora durante l’inspirazione
· Apprensione o senso di morte imminente
· Ansia o paura
· Aritmie
· Tachiacrdia
· Distensione delle vene giugulari
· Sincope
· Ipotensione
· Tachipnea
· Confusione mentale
· Cianosi

DIAGNOSI
· Emogasanalisi : ipossiemia e ipocapnia
· D-dimero ELISA plasmatico del fibrinogeno
· • Elettrocardiogramma importante per escludere altre patologie ( es IMA)
· Ecocardiogramma transtoracico con Doppler cardiaco: per documentare
sovraccarico e disfunzione del ventricolo dx
· Eco color Doppler venoso
· Radiografia del torace:che mostrerà aree di atelettasia parenchimale,
versamento pleurico,elevazione di emidiaframma, anchequesto è utile per
escludere altrecause di dispnea.
· Angiografia polmonare: trattamento invasivo che viene utilizzato solo se i test
non invasivi non sono diagnostici.
· TC spirale del torace con m.d.c.:affidabile nella visualizzazione di EP lobari o
centrali.
· Scintigrafia ventilatoria e perfusoria del polmone
· Score di Wells: valuta, segni e sintomi del TVP, FC <100bpm,
immobilizzazione nelle precedenti 4 settimane, emottisi, neoplasia ecc. Lo
score ha un massimo di 12.5 punti. Score >6 indica alta probabilità di EP, tra 2-
6 moderata probabilità, <2 bassa probabilità.

ASSISTENZA INFERMIERISTICA
La gestione di un paziente affetto da EP richiede spesso, ma non sempre, l’utilizzo
di una struttura di sorveglianza intensiva a causa delle frequenti compromissioni
emodinamiche e respiratorie che accompagnano il quadro della patologia. Il
paziente, nella maggioranza dei casi, giunge sveglio e cosciente in Terapia
IntensivaCardiologica (TIC), con un notevolecarico di ansia e paura che
spesso,non placata dal contatto con il medico,si riversa sull’infermiere al quale
competono,oltre che abilità tecniche, dotie capacità di equilibrio emozionale
edempatia.
DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
-Alterazioni della funzione respiratoria dovuta a embolia polmonare (1)
-Rischio di complicanze cardiologiche (2)
- Potenziale rischio emorragico da terapia anticoagulante e/o antiaggregante (3)
-Dolore dovuto a embolia polmonare (toracico/pleurico) o a immobilità/posizione
obbligata (4)
-Alterazione della comunicazione dovuta a agitazione/aggressività
depressione/ansia (5)
- Rischio elevato di compromissione dell’integrità cutanea, correlato a
compressione e immobilità secondaria a dolore e restrizioni (6)

PIANIFICAZIONE E OBIETTIVI
E’ importante che:
-(1) il paziente abbia le vie aeree pervie, non presenti complicanze, collabori ai
trattamenti, presenti e/o riferisca una diminuzione, dell’affaticamento respiratorio,
presenti normali valori emogasanalitici.
-(2) che il paziente presenti il ripristino dei parametri vitali alterati e mantenga un
equilibrio
cardiocircolatorio stabile,non presenti scompenso del ventricolo destro, non
presenti shock cardiogeno.
-(3) che il paziente non subisca traumi, che il paziente non presenti perdite
ematiche,mantenere il tempo di tromboplastina parziale attivata (aptt) secondo
protocollo,minimizzare i rischi
-(4) che il paziente controlli il proprio dolore, che il paziente non presenti dolore
-(5)che il paziente riesca a verbalizzare il disagio/bisogni, riesca a relazionarsi con
la famiglia e/
o con gli operatori, riceva stimoli, presenti riduzione dell’ansia e dell’agitazione
- (6) che il paziente mantenga l’integrità cutanea,che il paziente non sviluppi
ulteriori
lesioni da decubito (LdD), che il paziente non sviluppi complicanze dovute alle
LdD, che il paziente presenti miglioramento alla LdD, che le lesioni non
peggiorino.

INTERVENTI INFERMIERISTICI
-(1) monitorare la frequenza respiratoria,tipo di respiro, colorito della cute,
sudorazione cutanea, temperatura corporea, saturazione, ossigenoterapia mirata
con una adeguata umidificazione delle vie aeree, assicurare al paziente una
posizione adeguata, insegnare come muoversi risparmiando ossigeno, assistere
all’intubazione tracheale e alla connessione al respiratore automatico, connettere il
paziente al ventilatore automatico e prendere atto della tecnica di ventilazione
adottata dal medico, assistere il paziente secondo la ventilazione prescelta,
broncoaspirazione.
-(2) monitoraggio ECG, monitoraggio completo delle funzioni vitali, mantenere il
bilancio idroelettrolitico, valutare lo stato di coscienza, rassicurare il paz,
monitoraggio invasivo della PVC, somministrare terapia
-(3)monitorare per rilevare segni e sintomi di emorragia, ematomi, ematuria,
sangue nelle feci, ematemesi, monitoraggio delle perdite, controllo emocromo e
piastrine
-(4) monitoraggio del dolore, valutare la scala del dolore, assicurare comfort,
somministrare analgesici
-(5) assicurare un ambiente tranquillo, soddisfare il bisogno di aiuto, somministrare
terapia specifica
-(6) utilizzare ausili per la riduzione della pressione, girare e riposizionare il
paziente, controllare i punti di compressione, eseguire eventuali medicazioni.

VALUTAZIONE RISULTATI ATTESI


Se gli interventi risultano efficaci, si noterà nelle prime 48 ore un miglioramento
dei valori di emogasanalisi, la normalizzazione della pressione arteriosa, del ritmo
cardiaco, la riduzione della dispnea (fino alla comparsa dell’eupnea), il ritorno
della pressione dell’arteria polmonare
nei limiti, la cute calda e asciutta, la ripresa della diuresi.
Una volta stabilizzate le condizioni cliniche, il paziente verrà incoraggiato ad
esprimere i propri dubbi e le preoccupazioni; alle sue domande devono essere date
risposte concise ed accurate. La persona va informata sulla terapia e sul modo in
cui può collaborare mediante una immediata segnalazione dei segni tempestivi.
L’educazione al paziente sarà rivolta alla prevenzione delle recidive ed
all’osservazione degli effetti collaterali del trattamento anticoagulante come:
✔ Fare attenzione a rilevare l’eventuale presenza di lividi ed emorragie, evitare di
urtare contro oggetti che possono provocare contusioni.
✔ Utilizzare uno spazzolino da denti con setole morbide.
✔ Consultare sempre il medico prima di assumere qualsiasi farmaco, compresi
quelli da banco.
✔ Continuare a indossare calze anti-emboli per la durata della prescrizione,

ASSISTENZA DEL PZ CON INFARTO DEL MIOCARDIO

L’infarto del miocardio o IMA è una sindrome coronarica acuta che porta alla
necrosi del tessuto muscolare cardiaco. Esso è dovuto principalmente alla trombosi
di un grosso ramo coronarico. Infatti le coronarie sono vasi che provvedono
all’irrorazione sanguigna del miocardio. La trombosi è secondaria all’aterosclerosi,
la quale è una condizione morbosa progressiva caratterizzata dalla formazione di
placche (ateromi) nelle arterie. Altri fattori di rischio cardiovascolari sono:
-fattori non modificabili: familiarità, età e sesso
-fattori modificabili: aumento del colesterolo, ipertensione, diabete, obesità,
tabagismo
I sintomi sono: dolore toracico, spesso irradiato al braccio sinistro, al collo,
mandibola, affaticamento, sudorazione, nausea, vomito, dispnea. Le complicazioni
che derivano da un attacco di cuore sono spesso legate al danno subito dal cuore
durante l’infarto. L’infarto può avere le seguenti conseguenze:
-aritmie: se il muscolo cardiaco è danneggiato da un attacco di cuore, possono
svilupparsi dai circuiti elettrici brevi causando anomalie del ritmo cardiaco.
-insufficienza cardiaca: la quantità di tessuto danneggiata nel cuore può essere
estesa che la parte ancora funzionante del muscolo non riesce a pompare
adeguatamente sangue al cuore. Ciò diminuisce il flusso di sangue ai tessuti e agli
organi in tutto il corpo e può causare respiro breve, affaticamento e gonfiore alle
caviglie e ai piedi.
-rottura del cuore: è fatale
L’infarto del miocardio nell’ECG viene visto come un sopraslivellamento del tratto
ST dato da una trombosi occlusiva a livello coronarico e quindi il suo trattamento
prevede nello stabilire e mantenere una riperfusione delle arterie coronariche. Se
invece l'occlusione della coronaria è parziale o transitoria, come evidenziato dalla
presenza di sottoslivellamento del tratto ST all'esame elettrocardiografico, l'evento
è definito NSTEMI. Quando si verifica un infarto è fondamentale agire entro i
primi 90 minuti.

ESAMI STRUMENTALI E DI LABORATORIO


-esami ematici in particolare gli esami cardiaci (CPK o creatinfosfochinasi,
troponina T, LDH o latticodeidrogenasi ). Sono delle sostanze che normalmente si
trovano nelle cellule cardiache e non nel sangue ma quando le cellule cardiache
subiscono un danno, vengono rilasciati nel sangue.
-ECG
-ecocardiogramma
TRATTAMENTO
La terapia di un sospetto infarto si basa principalmente sulla sedazione del dolore
con la morfina, controllo dei valori di pressione e vasodilatazione coronarica con i
nitrati come la nitroglicerina, aspirina, ossigeno. Molto importanti sono la
coronarografia nei primi 90 minuti dall’occlusione o l’angioplastica.

CORONAROGRAFIA (detta anche angiografia coronarica )


E’ un indagine diagnostica di tipo invasiva che consente di visualizzare
direttamente le arterie coronarie che distribuiscono sangue al muscolo cardiaco.
Viene svolta in un ambiente apposito, denominato “laboratorio di emodinamica”in
condizioni di sterilità. L’esame viene eseguito in anestesia locale, non comporta
dolore e si svolge grazie all’introduzione di un catetere attraverso un accesso
creato o a livello inguinale nell’arteria femorale o a livello del braccio nell’arteria
radiale. Dopo un breve viaggio il catetere verrà posizionato in prossimità della
valvola aortica dove hanno sede le due arterie coronarie principali: l’arteria
coronaria dx e quella di sx. Successivamente attraverso apposite punte, verrà
introdotto all’interno delle coronarie un mezzo di contrasto in modo da poterle
visualizzare su uno schermo attraverso una radiografia dinamica. Nel momento
dell’iniezione del mezzo di contrasto, il pz può avvertire un senso di calore, che nn
ha alcun significato avverso e che di solito cessa dopo pochi secondi. L’esame dura
circa 30 min e al termine viene applicata sulla sede di inserzione del catetere una
medicazione compressiva che serve ad evitare la formazione di un ematoma e che
deve essere tenuta in sede per circa 24 ore, per permettere la perfetta chiusura del
punto di inserzione del catetere. Il cardiologo emodinamista potrà vedere in diretta
lo stato dell’albero coronarico, valutandone l’eventuale compromissione dovuta a
stenosi o a occlusioni e decidendo in quel momento la terapia più adatta. Se si
rileva una stenosi l’equipe di emodinamica opera sul vaso malato un angioplastica
seguita da un impianto di uno stent ( protesi metallica preposta a mantenere la
pervietà del vaso ).
CONSEGUENZE: perforazioni, emorragie, trombosi o embolie, infezione.
ANGIOPLASTICA
Metodica utilizzata per dilatare un restringimento del lume (stenosi) di un vaso
sanguigno, causato nella maggior parte dei casi dalla presenza di una placca
ateroma sica. La dilatazione viene fatta per mezzo di un catetere a palloncino che
viene introdotto mediante la puntura percutanea di un arteria, portato fino al vaso
stenotico e successivamente gonfiato in corrispondenza del restringimento, in
modo da ripristinare il normale diametro del vaso e permettere un incremento del
flusso sanguigno. La procedura di angioplastica si esegue in anestesia locale e dura
circa 45 min-1 ora a seconda della complessità della lesione da trattare. Dopo la
rimozione del catetere a palloncino viene effettuata per 30-40 min una
compressione del sito di accesso arterioso per favorire l’emostasi ed evitare che il
pz abbia un emorragia.

ACCERTAMENTO
· Rilevare il dolore e dove si irradia (come è apparso, da quanto tempo si
irradia)
· auscultazione del torace ed esame del torace ( se c’è stasi in corso si sentono
rantoli polmonari e III tono di Galoppo e si va incontro ad edema
polmonare),
· valutaz stato di coscienza attrav Glasgow Coma Scale ( e cosciente posiz
semi-seduta),
· accesso venoso ( 20-18G)
· Valutaz respiratoria: polso, ritmo, espansione toracica, simmetria emitorace e
condizione della cute (cianosi labbiale, freddezza al tatto), ossigenoterapia
· tranquillizzare pz
· Valutaz emodinamica: rilevamento PV (FC, Pressione, FR, SaturazioneO2)
· ECG a 12 derivazionieseguito entro 10 m. dall’esordio dellasintomatologia;
può rilevare inversione dell’onda T,sopraslivellamento del tratto ST,
anomalie dell’onda Q
· Ecocardiogramma: permette di rilevare la presenza di ipooacinesie della
parete cardiaca
· Esami di laboratorio:CKMB(aumenta dopo poche ore e raggiunge il picco
massimo dopo 24 ore),
· LDH, mioglobina(aumenta dopo 1-3 ore e raggiunge il picco massimo
dopo12 ore), troponina (aumenta nelle prime 24 ore, ma rimanealterata fino
a tre settimane) più specifica.
· Valutaz ansia attrac>FC,>PA, tachipnea, midriasi, mucose asciutte,
vasocostrizione periferica)
DIAGNOSI INFERMIERISTICA
· Inefficace perfusione tessutale cardiopolmonarecorrelata a riduzione del
flusso ematico coronarico
· Potenziale compromissione degli scambi gassosi,correlata a sovraccarico di
liquidi per disfunzioneventricolare
· Potenziale alterazione della perfusione dei tessutiperiferici, correlata alla
riduzione della gittata cardiaca
· Ansia correlata alla paura di morire
· Insufficiente conoscenza dell’autoassistenza dopoinfarto del miocardio
· Probl collaborativi: complicanze
· Aritmie e Fibrillazione Ventricolare
· Edema Polmonare Acuto
· Insuff cardiaca
· Shock Cardiogeno
· Complicanze da cateterismo cardiaco(infezione, emorragia, aritmie)
· Rottura del miocardio

PIANIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI:


ridurre il danno miocardico, alleviare i sintomi, ottenere un’adeguata perfusione
tissutale, ridurre l’ansia e il dolore, ridurre il carico di lavoro cardiaco e gestire le
complicanze.

INTERVENTI:
1.monitoraggio continuo del battito cardiaco per valutare il tratto ST ed inversione
della T
2.monitoraggio enzimi cardiaci(si presentano alti e si devono abbassare)
3.monitoraggio del dolore toracico: posizione semiseduta nel letto o in
poltrona(aumenta il volume respiratorio, il drenaggio dai lobisuperiori dei polmoni,
diminuisce il ritorno venoso alcuore); somministrazione dei farmaci e di ossigeno
abasso flusso
4.miglioramento della funzione respiratoria: monitoraggio dell’attività respiratoria
e dellasaturazione dell’ossigeno; controllo del BI perprevenire il sovraccarico di
lavoro al cuore e aipolmoni; stimolare esercizi respiratori
5.monitoraggio delle complicanze da trattamento chirurgico (emorragia da PTCA)
6.Adeguata perfusione dei tessuti: riposo a letto nella fase acuta;controllo della TC
e del polso; ossigenoterapia
7. Riduzione dell’ansia: creare un rapporto di fiducia, fornireinformazioni precise,
garantire un ambiente tranquillo e ilriposo, insegnare tecniche di rilassamento e di
copyng, ascoltare le paure e le preoccupazioni.
8. Monitoraggio e prevenzione delle complicanze: valutarecostantemente l’attività
cardiaca, la P/A, il respiro, il dolore , il BI, il sensorio, il colore e la temperatura
della cute, l’ECG e ivalori degli esami di laboratorio.
9. avvisare tempestivamente ilmedico in caso di variazioni dello stato clinico.
10. Promuovere l’assistenza domiciliare: fornireun’adeguata educazione sanitaria
sullo stile di vita da adottare esull’adesione al regime terapeutico e al programma
riabilitativo.

VALUTAZIONE DEI RISULTATI ATTESI:


· Riduzione e scomparsa del dolore e dell’ansia
· Assenza di dispnea
· Mantenimento della perfusione tissutale adeguata
· Assenza di complicanze
· Adesione al programma di autoassistenza
· parametri vitali stabili
· implementata la risoluzione del sopraslivellamento tratto ST
· assenza degli effetti collaterali della terapia trombolitica

ASSISTENZA INFERMIERISTICA AL PAZIENTE CON ANGINA

PATOLOGIA:
L’angina è il classico sintomo della cardiopatia coronarica.
Rappresenta un dolore causato da perdita di ossigeno e nutrienti da parte del
tessuto miocardico causato da un insufficiente flusso ematico coronarico.
L’angina può essere stabile (dove il fattore precipitante è lo sforzo ed è di facile
risolvimento) o instabile (di lunga durata, più grave e con insorgenza anche a
riposo. Riposo e nitrati danno sllievo momentaneo).

Problemi correlati:
Cardiochirurgia
Aritmie
Insufficienza cardiaca
Infarto del miocardio
SEGNI E SINTOMI:
· Angina stabile
· Angina da sforzo:dolore durante lo sforzo di breve durata (5min o <20min),
regressione dolore con il riposo, sensibilità ai nitrati (vasodilatatori).
· Angina a riposo: dolore spontaneo, regressione spontanea, sensibilità ai
nitrati. C’è uno spasmo su una lesione preesistente.
· Angina mista: comparsa nello stesso individuo di angina da sforzo e a
riposo.
· Angina instabile
· dolore toracico simile all’angina da sforzo ma più intenso e durata > ( circa
30min). riposo e nitrati danno solo sollievo momentaneo.
· Angina variante (vasospastica):
· a differenza dell’angina pectoris classica che si manifesta durante lo sforzo
e si accompagna a sottoslivellamento tratto ST, l’a vasospastica si presenta
quasi sempre a riposo, di notte, e all’ECG c’è sopraslivellamento ST.
Dovuto a spasmo dell’arteria coronarica.

ESAMI DIAGNOSTICI:
ECG ed ECG da sforzoHolter cardiaco , Enzimi cardiaci: troponina (I <10mg/l;
T<01mg/l) più specifico; CPK-MB, Mioglobina , Rx Torace, PCO2 potassio e
lattato miocardico , Lipidi (HDL, LDL) , Ecocardiogramma , Depositi di calcio ,
Angiografia coronarica , Cateterismo cardiaco ,

ACCERTAMENTO
Per quanto riguarda le attività quotidiane e il riposo il paziente può riferire in
genere uno stile di vita sedentario, un senso di inabilità dopo l’esercizio fisico, un
dolore toracico da sforzo o a riposo e riferire risvegli notturni a causa del dolore
toracico; può inoltre manifestare dispnea da sforzo.
Dal punto di vista circolatorio il paziente può riferire una anamnesi positiva a
livello personale o familiare per altra cardiopatia, ipertensione o obesità; può
invece manifestare aritmie, PA normale/alta/bassa, anomalie nei toni cardiaci, cute
e mucose umide, fredde e pallide.
Dal punto di vista della persona il paziente può riferire situazioni di stress e
manifestare inquietudine ed apprensione. Per quanto concerne l’assunzione di cibo
e liquidi il paziente può riferire nausea o disturbi epigastrici associati spesso con
una dieta ricca di colesterolo, grassi, alcool e caffeina, con manifestazioni di
eruttazioni e distensioni gastriche. Il paziente quanto al dolore può riferire sedi ed
intensità diverse da uomo a donna. Può riferire in particolare un dolore toracico
retrosternale, anteriore o tra le scapole che può essere irradiato a mandibola, spalla,
collo e arti superiori. Il dolore può essere di diverse intensità che vanno dalla
leggera alla severa con una sensazione di costrizione o senso di oppressione. La
durata è di solito di 15 minuti ma può arrivare anche a 30 minuti.
Dal punto di vista respiratorio il paziente con angina può riferire dispnea che
peggiora con lo sforzo, anamnesi positiva per il vizio del fumo, può manifestare
inoltre modificazioni della FR e della profondità degli atti respiratori.
Rilevamento del dolore e dove si irradia:Sede dove si localizza il dolore?
Produzionecosa stava facendo quando è iniziato il dolore?Qualità come
descriverebbe il dolore? Ha mai avuto un dolore simile inprecedenza. Quantità il
dolore è continuo?Irradiazione il dolore si diffonde in altre parti del corpo?
Remissione ha fatto qualcosa per farlo passare? Severità da quanto tempo compare
il dolore?
Valutare inoltre la risposta del paziente, il grado di comprensione della diagnosi,?
L’adesione al piano terapeutico
Rileva Parametri vitali , ECG , Accesso venoso , EE , Ossigenoterapia

DIAGNOSI INFERMIERISTICA:
· Dolore Acuto
· Inefficace perfusione tessutale miocardica correlata acoronaropatia, che si
manifesta con dolore toracico
· Rischio di riduzione della gittata cardiaca
· Ansia correlata alla paura di morire
· Gestione inefficace del regime terapeutico, correlate arifiuto di modificare
adeguatamente lo stile di vita
· Conoscenza insufficiente della malattia

PIANIFICAZIONE DI BIETTIVI E INTERVENTI:


· Prevenire l’episodio anginoso
· Controllare il dolore anginoso
· Gestire l’ansia
· Prevenire le complicanze
· Promuovere l’educazione sanitaria per lacomprensione della patologia,
l’adesione al regimeterapeutico, attuare il cambiamento dello stile di vita

INTERVENTI:
All’esordio del dolore anginoso:
· Riposo a letto, posizione semi-Flower
· Valutazione del dolore, rilievo dei parametri vitali
· Esecuzione ECG a 12 derivazioni; monitoraggio ECGcon controllo del
segmento ST
· Somministrazione di nitroglicerinasublinguale,controllando P/A , FC,
segmento ST
· Somministrazione di ossigeno 2l/min.
· Prelievo ematico per enzimi cardiaci, troponinae mioglobina, cpk-mb
· Nitroglicerina: ha azione di vasodilatazione, aumenta ilflusso ematico
coronarico, riduce la pressione diriempimento del cuore (precarico), la
gittata cardiaca, lapressione arteriosa. Può essere somministrata per via sub-
linguale, topica (cerotto transdermico) o endovenosa
· Betabloccanti: riducono il consumo di ossigeno delmiocardio, con riduzione
della frequenza cardiaca, dellacontrattilità del miocardio, della conduzione
degli stimoli edella pressione arteriosa. Effetti collaterali:
ipotensione,bradicardia, bloccoAV. Ai paziente in terapia endovenosacon
betabloccanti devono essere monitorati ECG, P/A , FC.La terapia non può
essere sospesa bruscamente perchél’angina potrebbe peggiorare e insorgere
IMA
· Ridurre l’ansia,
· Informare il paziente sulle implicazioni che la diagnosi comporta, idisturbi,
il trattamento e i metodi per prevenire la malattia
· Favorire attività di coopingatte a promuovere la distrazione durante
l’episodio anginoso
· Controllare il dolore: Educare in tecniche atte a prevenire e controllare il
dolore (alternanzatra attività e riposo)
· Insegnare l’autocura
· Seguire un programma giornaliero di attività che on provochinomalessere,
techipnea, fatigue
· Evitare sbalzi di temperatura
· Seguire un regime dietetico adeguato (ipolipidico, iposodico,ipoglucidico)
· Rispettare il protocollo terapeutico prescritto

VALUTAZIONE DEI RISULTATI ATTESI:


Il paziente riconosce e sa gestire il dolore anginoso:
1. Riconosce i sintomi
2. Interviene subito con misure appropriate
Si rivolge al Servizio Sanitario di Emergenza se il dolorenon regredisce. Il paziente
riferisce una riduzione dell’ansia, ha accettato ladiagnosi e mostra di saper
scegliere tra le varie alternativeterapeuticheIl paziente aderisce al programma
terapeutico, ha adottato lemisure adeguate per prevenire le complicanze, rispetta
ilcalendario dei controlli clinici, non ha segni e sintomi diinfarto.

ASSISTENZA INFERMIRISTICA AL PZ CON DOLORE TORACICO


Il dolore toracico è uno dei sintomi più comuni per cui le persone si recano al
pronto soccorso. Può essere sintomo di patologie gravi, ma può essere anche
sintomo di patologie non gravi ma che comunque provocano questo disagio. Può
essere di origine cardiaca (miocardica o pericardica) e non cardiaca. Le sue cause
sono numerose e spesso costituiscono un serio problema diagnostico.

CAUSE DEL DOLORE TORACICO


-CAUSE CARDIACHE
8. Cardiopatia ischemia
9. Stenosi aortica
10. Pericardite
11. Angina
12. Infarto del miocardio
13. Cardiomiopatia ipertrofica
14. Dissezione aortica
-RESPIRATORIE
15. Embolia polmonare
16. Pleurite o Polmonite
17. Pneumotorace
18. Neoplasie
19. Mediastinite o enfisema mediastinico
-MUSCOLO-SCHELETRICHE
20. Costocondrite (dolore toracico associato a un'infiammazione della
cartilagine delle costole)
21. Muscoli doloranti. Sindromi dolorose croniche, come la fibromi algia, sono
in grado di produrre dolore toracico.
22. Ferite o traumi. Una costola rotta o incrinata, così come un nervo
schiacciato, può causare dolore al petto.
23. Artrite
-MALATTIE GASTROINTESTINALI
24. Reflusso gastro-esofageo
25. Spasmo esofageo
26. Ulcera peptica
27. Pancreatite
28. Malattie biliari
-ALTRE CAUSE
29. Attacco di panico
30. Herpes zoster
31. Tumori della parete toracica

Il dolore dell’ischemia miocardica è di tipo viscerale ed è causato da un


insufficiente apporto di ossigeno ad un area del cuore. Uno squilibrio transitorio tra
richiesta e apporto di ossigeno causa angina pectoris, mentre un’ischemia
prolungata può essere seguita da necrosi cellulare e provocare perciò infarto del
miocardio. Il dolore dell’infarto del miocardio è più intenso e può essere
accompagnato da nausea, vomito, palpitazioni, sudorazione fredda, vertigini,
torpore mentale, confusione. Obiettivamente si può constatare: irrequietezza,
agitazione, senso di morte imminente, insufficienza cardiaca, ipotensione arteriosa
fino allo stato di shock, aritmie, febbre. Il dolore della pericardite acuta è
solitamente prolungato, costante, opprimente, retro sternale, spesso ha una
componente pleuritica aggravata dalla tosse, dall’inspirazione profonda, dalla
posizione supina e alleviata dalla posizione seduta; inoltre spesso sono udibili
sfregamenti pericardici. Nell’embolia polmonare il dolore toracico è per lo più
assente; quando presente può essere localizzato in sede retro sternale oppure può
essere avvertito più lateralmente; può essere di natura pleuritica e quindi aggravato
dagli atti respiratori, ed è spesso associato ad altri sintomi come dispnea, tachipnea,
tachicardia, ipotensione. Nella dissecazione aortica il dolore è molto intenso,
localizzato al centro del torace,lacerante, irradiato al dorso, non influenzato dai
cambiamenti di posizione; può essere associato a debolezza o assenza dei polsi
periferici.
Vi sono altre cause non cardiache di dolore toracico.
Nell’enfisema mediastinico il dolore è acuto, intenso, localizzato in regione retro
sternale ed è spesso associato a crepitii udibili nella stessa sede. La pleurite può
essere causa di un dolore generalmente unilaterale, a colpo di pugnale, superficiale,
aggravato dalla tosse e dal respiro. Nel pneumotorace il dolore è unilaterale, acuto,
di tipo pleuritico, ed è associato a tachipnea, rumori respiratori. Nei disordini
muscolo-scheletrici il dolore è in genere di lunga durata, aggravato dal movimento
o dalla pressione sulla zona dolente. L’herpes zoster è caratterizzato da un rash
varicelliforme nella stessa sede del dolore; in alcuni disordini gastrointestinali
( reflusso gastro-esofageo, ulcera peptica,…) il dolore è localizzato in sede
sottosternale, all’epigastrio o nel quadrante superiore destro o sinistro, può essere
di tipo colico, è spesso accompagnato da nausea, rigurgito, intolleranza al cibo.
Infine nei disordini emozionali come negli stati d’ansia, il dolore può essere
descritto come sofferenza prolungata o come un dolore lancinante, breve o
brevissimo, associato a stanchezza e a tensione emotiva.
Il dolore toracico poiché può sottintendere gravi patologie, che possono risultare
fatali se non trattati immediatamente, richiede una pronta e decisa diagnosi.
Diagnosi che i medici di pronto soccorso effettuano avvalendosi di:
· ANAMNESI
· ANALISI DI SINTOMI E SEGNI
· ESAME FISICO obiettivo del pz
· ELETTROCARDIOGRAMMA. Fornisce un tracciato dell’attività elettrica
del muscolo cardiaco e quindi della sua funzionalità. Consente quindi di
diagnosticare se è in corso un infarto o se sono presenti eventuali altri patologie
che compromettono il regolare funzionamento dell’organo.
· ESAMI EMATOCHIMICI sono valutati tra gli altri parametri i livelli di
enzimi cardiaci che in caso di danno del muscolo ( come avviene nell’infarto)
passano nel sangue.
· RADIOGRAFIA DEL TORACE serve a valutare le dimensioni del cuore lo
stato dei grossi vasi e quello dei polmoni.
I test descritti sono quelli sono quelli di primo intervento e servono ad esclude un
infarto in atto o un embolia polmonare. Altri esami sono:
· ECOCARDIOGRAMMA servendosi di scansioni ad ultrasuoni riesce a
visualizzare su di uno schermo un’immagine del cuore in movimento delle sue
cavità e dei vasi.
· TAC serve a visualizzare eventuale formazione di placche aterosclerotiche e
se si utilizza un particolare mezzo di contrasto anche il cuore e arterie polmonari.
· RISONANZA MAGNETICA consente un indagine più approfondita dei
tessuti molli e quindi fornisce immagini di cuore con sue cavità e valvole e dei
grossi vasi come aorta e arterie polmonari.
· CATETERISMO CARDIACO tecnica endoscopica in grado di fornire
indagini dell’interno dei vasi e delle cavità cardiache.
· ENDOSCOPIA
Molti tipi di dolore toracico possono sembrare a prima vista legati a problemi
cardiaci. Ma spesso, dopo un attenta valutazione, i medici possono distinguere i
sintomi del dolore toracico non cardiaco dal dolore toracico causato da una
condizione del cuore.

TRATTAMENTO DEL DOLORE TORACICO


Il trattamento del dolore toracico varia a seconda della causa che lo ha prodotto.
-TRATTAMENTO CAUSE CARDIACHE
· ASPIRINA inibisce la coagulazione del sangue
· NITROGLICERINA. Questo farmaco allarga temporaneamente i vasi
sanguigni, migliorando il flusso sanguigno da e verso il cuore.
· BETA-BLOCCANTI aiutano a rilassare il muscolo cardiaco, rallentando il
battito ardiaco e diminuendo la pressione sanguigna.
· TROMBOLITICI contribuiscono a sciogliere il grumo di sangue che sa
bloccando il flusso di sangue al cuore.
· CALCIO-ANTAGONISTI. Durante il trattamento dello spasmo coronarico,
i medici a volte usano farmaci per il cuore come i bloccanti dei canali del calcio
per rilassare le arterie coronarie e prevenire lo spasmo.
Se è chiaro che si sta avendo un attacco di cuore, si può essere trattati con farmaci
e procedure chirurgiche, quali:
· Angioplastica e stenting.
· Intervento di bypass coronarico. Questa procedura crea un percorso
alternativo al sangue in una arteria coronarica bloccata.

-TRATTAMENTO CAUSE NON CARDIACHE


Trattamenti per cause non cardiache del dolore toracico dipendono dal tipo di
problema. Questi problemi e i loro trattamenti comprendono: Bruciore di stomaco.
In questo caso possono essere prescritti antiacidi, gastro-protettori. La maggior
parte degli episodi di bruciori di stomaco sono eventi causati da eccesso di cibo o
da cibi grassi. Se si verificano frequenti bruciori di stomaco,il gastroenterologo può
chiedere di sottoporsi a ulteriori esami.
· Attacco di panico. Sono spesso scambiati per attacco di cuore, ma una volta
che la condizione viene diagnosticata si può essere indirizzati al trattamento per
avere un controllo su questi attacchi.
· Costocondrite. Il trattamento per questa infiammazione della cartilagine
della gabbia toracica è generalmente il riposo, calore e farmaci anti-infiammatori
non steroidei, come l’ibuprofene (Advil, Motrin, altri).
· Pleurite. Questa infiammazione della pleura, può derivare da una varietà di
condizioni, tra cui la polmonite e, raramente, malattie autoimmuni come il lupus.
Antidolorifici possono aiutare a minimizzare il dolore fino a quando
l’infiammazione scompare.
· Herpes zoster. Il trattamento con aciclovir (Zovirax) o un farmaco antivirale
simile pare funzioni meglio se inizia  entro 24 ore dalla comparsa del dolore o
bruciore, e prima della comparsa delle bolle. Alcuni medici usano altri trattamenti,
come analgesici e antistaminici, per controllare i sintomi come dolore e prurito.

RACCOLTA DATI E ACCERTAMENTO:


Caratteristiche del dolore: sede (dove si localizza), cosa stava facendo quando è
apparso, qualità (come descrive il dolore e chiedere se lo ha già avuto) il dolore
può essere netto, lancinante, trafittivo,intermittente, irradiazione o è localizzato,
durata, fattori scatenanti, ha fatto qualcosa per farlo passare, avverte altri sintomi,
valutare la risposta del paziente, l’adesione al piano terapeutico, il grado di
comprensione della diagnosi.

DIAGNOSI INFERMIERISTICA:
Modello di percezione e gestione della salute (carente gestione della salute),
modello attività ed esercizio fisico (affaticamento, modello di respirazione
inefficace), modello cognitivo-percettivo(dolore acuto, carente autogestione del
dolore), modello di percezione e concetto di sé ( paura, ansia moderata).

PIANIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI:


Riduzione della paura ed ansia, riduzione dell’affaticamento, ristabilire la
respirazione, riduzione del dolore, gestione del dolore. Ottenere un’ottima gestione
della salute.

INTERVENTI:
Trattamento causa cardiaca:
· Aspirina. L’aspirina inibisce la coagulazione del sangue. L’aspirina può
significativamente ridurre i tassi di decesso.
· Nitroglicerina. Questo farmaco per il trattamento dell’angina allarga
temporaneamente i vasi sanguigni, migliorando il flusso sanguigno da e
verso il cuore.
· I beta-bloccanti. Questi farmaci aiutano a rilassare il muscolo cardiaco,
rallentando il battito cardiaco e diminuendo la pressione sanguigna.
· Trombolitici. Questi farmaci, contribuiscono a sciogliere il grumo di sangue
che sta bloccando il flusso di sangue al cuore. Questi farmaci sono più
efficaci se assunti entro un’ora dopo l’insorgenza dei sintomi.
· Ranolazina (Ranexa). La ranolazina, è un farmaco anti-angina, che può
essere prescritto con farmaci come i calcio-antagonisti, beta-bloccanti o la
nitroglicerina.
· Inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) e bloccanti
del recettore dell’angiotensina (ARB). Questi farmaci permettono al
sangue di fluire dal cuore più facilmente.
· Calcio-antagonisti. Durante il trattamento dello spasmo coronarico, i
medici a volte usano farmaci per il cuore come i bloccanti dei canali del
calcio per rilassare le arterie coronarie e prevenire lo spasmo.
Trattamento causa non cardiaca:
· Bruciore di stomaco: bloccanti acidità gastrica o antiacidi al PS.
· Attacco di panico. Gli attacchi di panico sono spesso scambiati per attacchi
di cuore, e molte persone sono viste in pronto soccorso per questo problema.
Ma una volta che la condizione viene diagnosticata, si può essere indirizzati
al trattamento per aiutare a ottenere il controllo su questi attacchi.
· Pleurite. Questa infiammazione della pleura, può derivare da una varietà di
condizioni, tra cui la polmonite e, raramente, malattie autoimmuni come il
lupus. Antidolorifici possono aiutare a minimizzare il dolore fino a quando
l’infiammazione scompare.
· Costocondrite. Il trattamento per questa infiammazione della cartilagine
della gabbia toracica è generalmente il riposo, calore e farmaci anti-
infiammatori non steroidei, come l’ibuprofene (Advil, Motrin, altri).
· Muscoli doloranti, costole rotte. Il dolore toracico da traumi o ferite migliora
con il tempo e spesso con le misure cautelative che il medico suggerisce.
· Disturbi della deglutizione. Questi disturbi hanno molte cause, che possono
solitamente essere trattate con i farmaci, la chirurgia minore o tecniche
endoscopiche.
· Herpes zoster. Il trattamento con aciclovir (Zovirax) o un farmaco antivirale
simile pare funzioni meglio se inizia entro 24 ore dalla comparsa del dolore
o bruciore, e prima della comparsa delle bolle. Alcuni medici usano altri
trattamenti, come analgesici e antistaminici, per controllare i sintomi come
dolore e prurito.
· Problemi di cistifellea o pancreas. Potrebbe essere necessario un intervento
chirurgico per curare un cistifellea infiammata o un pancreas che causa
dolore.
· Per ridurre il dolore= antidolorifico, per ridurre ansia=ansiolitici. Valutare i
parametri vitali PA, FC, Respirazione, Ossigenazione.

VALUTAZIONE DEI RISULTATI ATTESI:


pressione arteriosa, frequenza cardiaca, ossigenazione, respirazione sono nella
norma. Episodi di dolore sono scomparsi. Ansia scomparsa. Si è raggiunta da parte
del paziente un’ottima gestione della salute (dieta ipokalorica non ricca di lipidi).

ASSISTENZA INFERMIERISTICA AL PZ CON TROMBOSI VENOSA


PROFONDA
La trombosi venosa profonda è una condizione in cui un coagulo di sangue si
forma in una o più delle vene profonde nel corpo, di solito nelle gambe. La TVP
può causare dolore alle gambe, ma si verifica spesso senza alcun sintomo. I sintomi
di una TVP sono: gonfiore nella gamba interessata, tra cui gonfiore alle caviglie e
ai piedi, dolore che spesso inizia al polpaccio e si sente come un crampo, rossore e
calore sulla zona interessata. E’ una condizione grave, perché un coagulo di
sangue che si è formato in vena può staccarsi e viaggiare verso i polmoni e quindi
provocare una condizione chiamata embolia polmonare. L’embolia polmonare è
una condizione che si verifica quando uno o più vasi arteriosi polmonari si
ostruiscono per mezzo di coaguli. I segni promonitori di una embolia polmonare
includono: inspiegabile improvvisa comparsa di dispnea, dolore o fastidio al petto
che peggiore quando si prende un respiro profondo o quando si tossisce,
sensazione di vertigini o capogiri, svenimenti, tosse con sangue, un senso di ansia
o nervosismo.

FATTORI DI RISCHIO TVP


Molti fattori possono aumentare il rischio di sviluppare una TVP, tra cui:
· Stare seduti per lunghi periodi di tempo come quando si guida o si è in aereo
· Ereditare un disordine della coagulazione del sangue
· Prolungato riposo a letto, ad esempio durante un ricovero ospedaliero a
lungo, Quando le gambe rimangono per troppo tempo a riposo
· Gravidanza. La gravidanza aumenta la pressione nelle vene del bacino e
gambe.
· Cancro. Alcune forme di cancro aumentano la quantità di sostanze nel
sangue che provocano la coagulazione
· L’insufficienza cardiaca. Soggetti con scompenso cardiaco sono a rischio di
TVP, perché un cuore danneggiato non pompa sangue in maniera efficace
· Essere in sovrappeso o obesi
· Fumo

Una complicanza comune che si può verificare dopo una TVP è una condizione
nota come sindrome post-flebitica, detta anche sindrome post-trombotica. E’
caratterizzata da: edema e dolore alle gambe, decolorazione della pelle. Questa
sindrome è causata da danni alle vene dal coagulo di sangue. Questo danno riduce
il flusso di sangue nelle zone colpite. Le opzioni di trattamento comprendono
farmaci come l’aspirina o diuretici, così come l’utilizzo di calze a compressione.

DIAGNOSI
· Ecodoppler venosa degli arti inferiori
· Esami ematici in particolare il D-dimero ( prodotto di degradazione della
fibrina ed è un indice del fatto che sta avvenendo la lisi di un trombo).
· TAC o la risonanza magnetica

TRATTAMENTO
-terapia anticoagulante
-trombolitici funzionano come attivatori tissutali del plasminogeno, rompono i
coaguli di sangue. Questi farmaci possono causare emorragie gravi e vengono in
genere utilizzati solo in situazioni di pericolo di vita.
-calze a compressione che aiutano a prevenire il gonfiore associato a TVP

DIAGNOSI INFERMIERISTICA
DI: Dolore, correlato a compromissione del ritorno venoso.
Interventi: - Sollevare l’arto inferiore interessato di sopra al livello del cuore per
promuovere il drenaggio venoso in quanto il dolore venoso tende ad aumentare se
gli arti inferiori sono in posizione declive, mentre viene leggermente alleviato se la
loro posizione è più alta.

DI : Rischio elevato di compromissione dell’integrità cutanea, correlato a edema


cronico delle caviglie.

INTERVENTI
· Insegnare al paziente a evitare situazioni che ostacolino la circolazione a
livello degli arti inferiori, ad esempio, stare a lungo seduto . insegnare al paziente
di eseguire esercizi degli arti inferiori ogni ora se possibile. Gli esercizi degli arti
inferiori promuovono l’effetto di pompa muscolare nei confronti delle vene
profonde, migliorando il ritorno venoso.
· In caso di edemi alle caviglie, incoraggiare l’uso di calze elastiche a scopo di
stostegno. Le calze elastiche riducono la stasi venosa esercitando una pressione
uniforme sugli arti inferiori e aumentando il flusso verso le vene profonde.
· Insegnare al paziente di riferire immediatamente eventuali traumi o lesioni
alle caviglie; un diminuita circolazione può far si che la lesioni modesta peggiori
fino a diventare grave.
· Istruire il paziente a riferire la sua storia di trombosi nei futuro eventuali
ricoveri ospedalieri in quanto un paziente ad alto rischio deve avvertire il personale
medico e infermieristico che possa dare inizio a misure di prevenzione

NIV
(ventilazione non invasiva)
Definizione
La Niv una modalità di ventilazione non invasiva utilizzata principalmente per
l’insufficienza respiratoria ed è in grado di supportare l’attività spontanea del
paziente e di ridurre il lavoro respiratorio; aiuta a migliorare l’ossigenazione e
aiuta a eliminare CO2.
Garantisce un supporto ventilatorio a pressione positiva
Attraverso la NIV si riducono le complicanze della ventilazione invasiva
(intubazione endotracheale, tracheostomia): traumi a livello delle vie aeree,
polmoniti, necessità di sedazione. Quindi si riducono i giorni di degenza e la
mortalità.
Le indicazioni alla NIV sono:
32.INSUFFICENZA RESPIRATORIA
33.EDEMA POLMONARE
34.TRAUMI DEL TORACE
35.BPCO RIACUTIZZATA
36.POLMONITI
37.AIDS
38.NEOPLASIE ALL’ULTIMO STADIO
Questa ventilazione può essere effettuata tramite un ventilatore i cui circuiti sono
collegati ad una maschera che può essere applicata sulla faccia o sul naso della
persona. Non richiedendo manovre invasive, è meglio tollerata ed offre la
possibilità di un impiego precoce e di un approccio flessibile e sub-continuo,
permettendo l’uso della parola e mentendo il riflesso della deglutizione, risulta più
accettabile da parte del paziente e preserva i naturali meccanismi di difesa delle vie
aeree.
COMPLICANZE:
· Perdite d’aria
· Decubiti e lesioni da pressione
· Congestione nasale, sinusite
· Secchezza del naso e delle fauci
· Irritazione corneale
· Insonnia
· Claustrofobia
· Vomito con conseguente inalazione
· Distensione gastrica
L’uso del sistema di ventilazione in questione non è indicato per il trattamento di
pazienti soggetti ad arresto respiratorio grave, senza stimolo spontaneo di
respirazione. Inoltre l’uso del sistema di ventilazione per una terapia non invasiva
a pressione positiva non è indicato nei pazienti:
- Incapaci di mantenere la ventilazione minima vitale nel caso di breve distacco del
circuito o di arresto della terapia
- Incapaci di mantenere le vie respiratorie pervie o di rimuovere il muco secreto
- A rischio per la possibilità di inalazione dei contenuti gastrici
- Con sinusite o otite medie acute
- Con ipersensibilità o allergia al materiale della maschera, nel qual caso il rischio
di reazione allergica è superiore ad ogni possibile beneficio tratto dalla
ventilazione assistita
- Con epistassi, che determina inalazione di sangue nei polmoni
- Con ipertensione grave resistente al trattamento farmacologico
- Avvertire il paziente di segnalare immediatamente ogni sintomo o disagio
toracico, affanno o forte emicrania.

EFFETTI COLLATERALI:
- Disagio alle orecchie
- Congiuntivite
- Abrasioni della pelle dovuti al contatto delle maschere
- Aerofagia
- Distensione gastrica

MASCHERE
La scelta dell’interfaccia è un elemento chiave per la riuscita della NIV.
Fondamentali sono sia la scelta iniziale che il monitoraggio dopo l’avvio del
trattamento; valutare tollerabilità e d eventuali perdite di ossigeno. Ne esistono
numerosi modelli e misure che variano a seconda dell’indicazione e del contesto
clinico.
- Maschera nasale (vantaggi: consente di parlare, consente l’espettorazione, è più
sicura in caso di vomito, maggior comfort. Svantaggi: respirazione orale)

- Maschera oro-nasale (vantaggi: minore perdite aeree con mantenimento di


pressioni medie delle vie aeree più stabili specialmente durante il sonno,
maggiore stabilità della FiO2, minore necessità di collaborazione. Svantaggi:
claustrofobia, vomito e rischio di inalazione, distensione gastrica)

- Nasal – Pillows (utilizzata in caso di lesioni da pressione es. alla radice del naso)

L’interfaccia e la taglia va scelto in base al profilo del volto e condizioni cliniche


per evitare delle perdite che rendono la NIV inefficace

ASSISTENZA INFERMIERISTICA NIV:


Quando il paziente deve iniziare una ventilazione non invasiva è consigliabile
posizionarlo nella stanza più adiacente alla infermeria per averlo sempre sotto
controllo visivo e per poter meglio udire i segnali di allarmi
Inoltre lo staff di reparto deve monitorare accuratamente il paziente soprattutto
nelle prime fasi di ventilazione, con particolare attenzione all’interazione paziente-
ventilatore.
E’ infatti nelle prime due ore di NIV che si verificano i più frequenti fallimenti
terapeutici.
Il controllo effettuato durante la terapia deve essere sia clinico che strumentale.
· Posizionare il ventilatore al lato del letto del paziente dove è facilmente
raggiungibile
· Procurarsi il pulsiossimetro per la monitorizzazione SaO2,
· Informare il paziente e spiegargli accuratamente i vantaggi di questa
ventilazione non invasiva, premettendo che viene applicata in pazienti
coscienti e che collaborano, e che questa è importante per la riuscita della
terapia
· Fornirgli il necessario supporto psicologico

Prima di posizionare il VISION scegliere la maschera idonea al volto del paziente,


facendo la prova con varie maschere, per evitare perdite d’aria e fastidio all’utente.
· Posizionare il paziente in posizione ortopnoica e comoda aiutandosi anche
con cuscini o altri ausili
· Sarebbe consigliato l’uso di un materasso antidecubito, per un maggior
confort e per la prevenzione di decubiti dovuti allo stato ipossico e alla
posizione obbligata, zone più a rischio sono il sacro,talloni e gomiti
· Controllare i parametri fisiologici del paziente, PA-FC-FR-SaO2 ad orario e
a seconda delle condizioni del paziente. Controllare lo stato di coscienza e/o
di agitazione
· Istruire il paziente delle manovre da effettuare per liberarsi dalla maschera
total-face
· Accendere il ventilatore premendo il pulsante che si trova sulla parte
posteriore ed attendere la fine dell’autotest, quindi premere il tasto
MONITORAGGIO per accedere ai parametri di ventilazione impostati
precedentemente
· Appoggiare la maschera collegata al circuito sul volto del paziente per alcuni
minuti in modo che possa adattarsi, quindi fissarla con le apposite cuffie e
controllare eventuali perdite di aria per garantire una corretta ventilazione
Se il paziente dovesse non tollerare questa ventilazione: sospenderla
momentaneamente, in accordo con il medico, per farlo riposare e tranquillizzare.
La mascherina e la cuffia possono essere lavate con proteozin lasciandole in
ammollo per 30’. La maschera deve essere asciugata all’aria e non al calore.
Controllare che non si creino delle dolore ulcere da pressioni al naso e che non si
manifestino reazioni allergiche al materiale della maschera o problemi ortodontici.
È opportuno ridurre il grado di compressione utilizzando cuscinetti di idrocolloide
oppure steroidi nel caso compaiano reazioni acneiformi.
Per la congestione nasale si utilizzano spray a base di cortisone o antistaminici e
vasocostrittori. Contro la secchezza nasale utilizzare sistemi di umidificazione.

La sostituzione del filtro antibatterico va effettuata ogni 24 ore


La durata del trattamento con ventilatore viene stabilita dal medico in base ai
risultati dell’EGA e alle condizioni del paziente
La ventilazione può essere interrotta durante l’alimentazione, l’espettorazione e el
manovre di nursing, garantendo l’apporto di O2 attraverso gli occhialini nasali
tenendo sotto controllo le condizioni del paziente ed i parametri respiratori

PATOLOGIE PER LE QUALI E' INDICATA LA NIV:


- BPCO
- Polmoniti
- insufficienza respiratoria
- asma
- edema polmonare
NON E' INDICATA:
- PNX
- Instabilità emodinamica per grave aritmia (IMA)
- Coma
- Grave agitazione del pz
- Traumi cranio-facciali
- Epistassi
- Rischio di inalazione dei contenuti gastrici

ACCERTAMENTO:
· Valutazione degli EE
· Valutazione dei valori dell’Ega
· Valutaz PV (PA,FC,Diuresi,FR,TC,Pulsiossimetria)
· Valutaz dell’ECG

DIAGNOSI INFERMIERISTICA:
· M Nutrizionale metabolico( Nutrizione alterata inferiore al fabbisogno)
· M di attività ed esercizio fisico(inefficace liberazione delle vie aeree,
respirazine inefficace, alterazine degli scambi gassosi
· M sonno riposo(disturbi del modello di sonno)
· M di percezione e concetto di sé(paura, ansia)
· M di ruolo-relazione (difficoltà di comunicazione verbale)

PROBLEMI COLLABORATIVI:
· distensione gastrica
· inalazione
· lesioni da pressione
· otalgia
· Discomfort

PIANIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI:


Ridurre l’ansia e la paura, Ridurre la dispnea, Ridurre la FR, Stabilizzare il ph,
ridurre l’agitazione

INTERVENTI:
preparare e controllare il materiale (circuito, sistemi respiratori e filtri), predisporre
i sistemi di aspirazione e monitor dell'ECG, informare ed istruire il pz, fornirgli un
supporto psicologico, posizionarlo a 45°, controllare i PV e EGA, verificare che i
parametri impostati corrispondano alla prescrizione scegliere l’interfaccia,
rimanere inizialmente vicino al pz per monitorare lo status psicologico(la NIV può
causare agitazione), monitorare gli allarmi, la comparsa degli effetti collaterali, i
PV, monitorare la respirazione e la fatica respiratoria.
Per la comunicazione posizionare il campanello vicino in modo che possa
chiamare in caso di bisogno porre domande che implichino una risposta
affermativa o negativa.
Educare il pz a tossire per espellere le secrezioni bronchiali.
Per ridurre la difficoltà a prender sonno, somministrare sedativi se prescritto e
fornire un supporto psicologico

VALUTAZIONI:
· ridurre ed eliminare l’ansia e la paura
· assenza di dispnea
· assenza di ipercapnia ed acidosi
· riduzione della difficoltà a prender sonno
· accettazione della NIV da parte del pz
PEG: gastrostomia percutanea endoscopica.

Viene utilizzata laddove si prevede una nutrizione enterale a lungo termine (più di
30 giorni) per esempio malattie neurologiche (sla, trauma cranico,epilessia,
idrocefalo..) neoplastiche(cancro esofageo,gastrico, cerebrale, polmonare) altre
patologie (aids, sindrome di down, fibrosa cistica, insufficienza respiratoria,
stenosi peptica ed esofagea) condizioni post-chirurgiche o dove sia necessaria una
decompressione gastrica.
Controindicazioni: ostruzioni complete della faringe ed esofago, sepsi, disordini
della coagulazione, impossibilità di contatto la parete gastrica ed addominale e o
assenza di trans illuminazione.
Tra le controindicazioni relative ricordiamo la presenza di ascite massiva, reflusso
gastroesofageo importante, cancro gastrico e ulcera o fistola gastroenterica.
A differenza del sondino naso gastrico la peg non si deposiziona/rimuove
facilmente o accidentalmente e provoca meno reflusso gastro-esofageo.
Con la peg il paziente può mantenere una buona qualità della vita, essa può
rimanere in sede anche due anni prima che vi sia la necessità di sostituirla.
La nutrizione può iniziare già dopo 24 h il posizionamento della peg
I costi sono ridotti
Può essere gestita a livello domiciliare

Tecnica di inserimento
Il posizionamento di PEG avviene in sedazione, o, in casi selezionati, con
l’assistenza dell’anestesista. E’ anche praticata un’anestesia locale sul punto di
inserzione sulla parete addominale. Esistono diverse tecniche di inserzione della
PEG (metodiche tradizionali dette push e pull e metodica diretta) e diversi tanti di
dispositivi in uso. Tutte le diverse tecniche comunque prevedono prima
l’esecuzione di una gastroscopia nel corso della quale si gonfia lo stomaco di
aria,in modo che la parete dello stomaco aderisca a quella addominale. Il punto di
contatto tra le due pareti può essere agevolmente riconosciuto all’esterno,
osservando la luce del gastroscopio e si trasmette attraverso la parete stessa
(transilluminazione).In questo modo viene scelto il punto di inserzione della PEG.
Nelle metodiche tradizionali di posizionamento, nel punto prescelto della parete
addominale, è inserito un ago attraverso il quale è fatto passare un filo che viene
recuperato con l’endoscopio e portato fuori dalla bocca. Questo filo costituisce
quindi una sorta di guida al successivo posizionamento della PEG, sia che essa sia
fatta scorrere su filo (metodo push), o sia tirata dal filo stesso (metodica pull).Un
sistema di ancoraggio interno e un fermo esterno permetteranno, col tempo, di
avere una completa unione della parete gastrica e addominale nel punto di
inserzione della PEG. Invece nella “metodica diretta”, una volta individuato il
punto di inserzione come sopra,viene confezionato prima un ancoraggio tra parete
dello stomaco e parete addominale con delle ancorette metalliche, quindi attraverso
una serie di dilatatori si allarga il foro di inserzione in maniera da inserire
direttamente la sonda a palloncino. Sarà il medico a decidere, in base alla malattia
del paziente, e alla pervietà delle vie digestive, quale tecnica utilizzare. Quando la
PEG di primo impianto è usurata potrà essere rimossa da personale medico in
diversi modi: manualmente per trazione o , se qualora non fosse possibile, per
mezzo di una gastroscopia. Se necessario, la si sostituisce inserendone un’altra
attraverso il foro residuo della parete addominale. Questa sonda di sostituzione è
una sonda a palloncino e potrà in futuro essere cambiata anche dal personale
infermieristico specializzato, al domicilio del paziente.

COMPLICANZE:
Complicanze operatorie: emorragia digestiva, insufficienza respiratoria, peritonite,
ascesso addominale, ematoma della parete, infezioni peristomali
Complicanze meccaniche della peg: rottura della peg o occlusione
Complicanze della nutrizione: diarrea, stipsi, vomito, tensione addominale (per
eccessivo ristagno gastrico), polmonite ab ingestis
· Controllare che la zona peristomale non sia iperemica.
· Controllare che non via sia essudato
· Controllare che non via sia perdita di trasparenza o elasticità per usura della
peg
· Controllare che non via sia fissità della protesi questa situazione è legata alla
Buried Bumper Syndrome: condizione per cui il sistema di ancoraggio
interno erode la parete interna e rimane inglobata in un tessuto
infiammatorio neoformato. Essa si manifesta con dolore, massa palpabile
attorno alla peg, secrezioni purulente attorno ad essa e resistenza al flusso
durante la nutrizione.

ASSISTENZA INFERMIERISTICA AL PZ CON PEG:

Prima dell’inserzione bisogna dare tutte le informazioni al pz e familiari sui rischi


e benefici del trattamento, assicurarsi che abbia firmato il consenso.
Bisogna eseguire prelievi quali emocromo, profilo coagulativo ed la profilassi
antibiotica. Poco prima dell’intervento, se necessario, eseguire una eventuale
rasatura dell’addome.
Dopo l’inserzione proseguire la profilassi antibiotica e non utilizzare subito la peg
per alimentare (prima che siano trascorse 24 dall’intervento effettuare NPT).
Per il primo giorno disinfezione con soluzione fisiologica sterile e preparazioni
iodate – Dal 1° al 28° giorno lavaggio quotidiano con acqua e sapone (poi
asciugare bene la cute intorno al sito) e rotazione 360°della sonda – Mantenere in
sede con cerotto avvolto intorno alla sonda e attaccato alla parete addominale –
Chiudere il morsetto per evitare la perdita di cibo e succhi gastrici • Interventi –
Posizionare una garza in corrispondenza del sito di emergenza della sonda –
Valutare la presenza di dolore – Se segni di flogosi, lavaggio cute con antisettico e
applicazione antibiotico topico (indicato dal medico).
Si possono utilizzare creme a base di ossido di zinco o protettori per la cute per
prevenire lesioni cutanee.
Inoltre una volta che si possa iniziare l’alimentazione con la peg vanno
somministrati piccoli boli( 50cc per arrivare gradualmente a 150-200) usare
preparati iperosmolari per evitare diarrea e reflusso.
Se il paziente ha un apparato digerente compromesso è da preferire un sistema ad
infusione continua..
La peg va clampata quando non si usa
Le pillole e le capsule vanno frantumate e disciolte in acqua tiepida prima di
essere somministrate
Fare dei lavaggi per evitare che si creino ostruzioni. Prima e dopo aver alimentato
lavare con circa 30-50 cc di acqua.
Per evitare il reflusso gastrico il paziente deve essere lasciato in posizione eretta o
semieretta dopo l’alimentazione per circa30-60 minuti.
Se si usa una nutripompa, si terrà la sacca più in alto della pompa. Il deflussore
della nutri pompa si deve attaccare al connettore ad Y della peg (una via va chiusa)
Se si usa un siringa, allora si riempie con l’alimento e si avrà cura di eliminare le
bolle d’aria, poi si connette la siringa al connettore ad Y e si infonde l’alimento
lentamente per evitare il rigurgito e la diarrea. (ricordarsi di lavare la peg dopo
l’infusione e chiudere il connettore)

Quotidianamente si deve attuare una adeguata pulizia della cute della zona
circostante la peg. Basta utilizzare acqua e sapone, oppure perossido di idrogeno o
betadine.
La cute della zona peristomale va quotidianamente controllata.
Prestare attenzione ad eventuali dislocamenti del sondino.
Scosigliati i preparati artigianali quali frullati/omogeneizzati, invece è corretto
usare i preparati presenti in commercio
Lavare prima e dopo la somministrazione di farmaci
Lavare ogni tre o quattro ore con acqua se la nutrizione enterale è continua
Se la nutrizione è intermittente lavare prima e dopo con 20- 30ml di acqua
Assicurarsi che non ci sia eccessiva tensione della peg
Se è necessaria una decompressione gastrica mediante una siringa o una pompa dia
spirazione
Valutare che non si manifestino delle complicanze.
Aver cura di mantenere pulito il cavo orale della persona

Al momento delle dimissioni informare la persona e i familiari sulla peg,


alimentazione, pulizia della sonda.
Ricordare al paziente e ai familiari di aver cura di stabilire sempre l’igiene del cavo
orale

DIAGNOSI INFERMIERISTICHE:
· Deficit nella cura di sé
· Rischio di alterata gestione del regime terapeutico
Qui gli interventi da mettere in atto riguardano il dare informazioni, educare,
coinvolgere la famiglia e dare a tutti i membri le adeguate informazioni possibili
nel caso in cui il paziente mostri timori nell’intervento e difficoltà al cambiamento
a mettere in atto tutto quello che è necessario per la cura della peg e
l’alimentazione attraverso peg
· Lesioni dell’integrità cutanea
· Diarrea
· Mancanza di conoscenze
· Paura
· Disturbi dell’immagine corporea
· Relazioni familiari alterate
· Difficoltà di adattamento

Gli da effettuare devono mirare ancora a dare le informazioni corrette, educare,


mostrare come prendersi cura della sonda, favorire l’espressione dello stato
d’animo della persona prima dell’intervento e dopo, favorire la comunicazione in
ambito familiare, assicurarsi che una volta dimesso il paziente sia aiutato e
supportato dai membri della famiglia e che sia adattino ai cambiamenti.

ASSISTENZA INFERMIERISTICA AL PAZIENTE CON VARICI


ESOFAGEE.
Le varici esofagee sono delle dilatazioni patologiche delle vene esofagee che si
formano in coincidenza ed a causa di degli stati di ipertensione portale.
Le varici esofagee si presentano come dei cordoni flessuosi, turgidi di sangue e
dalla parete sottile e che sporgono sotto la mucosa dell’esofago.

Si presentano nell’ultimo tratto dell’esofago (1/3 inferiore) e difficilmente nelle


porzioni superiori, ciò è dovuto alla diposizione anatomica delle reti venose
dell’esofago, le quali poste nello strato sottomucoso, danno origine a vene che
vanno a sboccare per i 2/3 superiori direttamente nella vena cava inferiore o
direttamente nella vena cava superiore. Invece il terzo inferiore delle vene esofagee
confluisce nella vena gastrica di sinistra, la quale sbocca nella vena splenica
(proviene dalla milza) e che rappresenta una delle radici della vena porta.
Da ciò si capisce come le varici esofagee si formino a causa di patologie che
riguardano la vena porta ed il suo territorio.
Tali evenienze sono rappresentate da tutte le cause che provocano l’insorgenza di
una ipertensione portale cioè una aumentata pressione del sangue venoso nel
territorio della vena porta, ad esempio a causa di una trombosi della vena porta e
dei suoi rami, la compressione esercitata da cisti, tumori e la presenza di stati di
cirrosi epatica.
Le varici, inoltre possono ampliarsi ed interessare le vene del fondo gastrico (e
molto difficilmente anche le resta tanti parti dell’esofago).
Nella stragrande maggioranza dei casi le v. e. non danno segno di presenza (a volte
però il pz. afferma di avere difficoltà a deglutire) fino a quando non si rendono
improvvisamente manifeste con un episodio emorragico (ad esempio dopo un
pasto abbondante il paziente comincia a rigurgitare sangue dalla bocca, o si
manifesta ematemesi. Altre volte il pz. presenta melena).
L’emorragia, di solito, può essere grave e rischiare di condurre a morte il paziente.

TRATTAMENTO:
La scelta dei farmaci e delle procedure mediche dipende chiaramente dalla gravità
delle varici esofagee e dal rischio di sanguinamento: questi aspetti sono valutati
grazie ad un esame diagnostico chiamato esofago-gastro-duodenoscopia.
In alcuni casi, il paziente viene sottoposto a trattamenti alternativi, utili per evitare
l'eventuale emorragia esogafea:
39. legatura delle varici esofagee
40. scleroterapia (iniezione di un farmaco vasocostrittore nella vena
sanguinante, utile per favorire la formazione di coaguli nelle varici)
Tecniche nuove: elettrocoagulazione endoscopica e fotocoagulazione laser.
In alcuni pazienti, l'emorragia provocata dalla rottura delle varici esofagee è tale da
richiedere una trasfusione di sangue; nei casi estremi, specie per le varici esofagee
correlate alla cirrosi grave, è necessario agire riducendo la pressione all'interno
delle vene; ciò è possibile creando un ponte venoso artificiale che devia il sangue
dalla vena porta alla vena cava o alla vena renale (si ottiene una decompressione
della vena porta)

FARMACI:
Beta bloccanti non selettivi: costituiscono la terapia di prima linea nella
prevenzione del sanguinamento da varici esofagee. Questi farmaci esercitano la
propria attività terapeutica riducendo sia la gittata cardiaca che la pressione portale,
creando una vasocostrizione splancnica.
· Propanololo (es. Inderal) largamente utilizzato in terapia per la cura di
ipertensione, angina pectoris e tireotossicosi, il propanololo viene utilizzato anche
come farmaco di prima scelta per prevenire il sanguinamento delle varici esofagee.
· Nadololo (es. Corgard): particolarmente efficace nella prevenzione delle
recidive emorragiche. Il dosaggio, che dev'essere sempre stabilito precisamente dal
medico sulla base della gravità della condizione, dev'essere tale da ridurre
la frequenza cardiaca del 25% (non meno di 55 pul/min). Indicativamente, il
farmaco va assunto una volta al giorno alla posologia iniziale di 20 mg. La dose
può essere aumentata, sempre sotto osservanza medica, fino ad un massimo di 240
mg.
Nitrati: il loro impiego terapeutico per la cura delle varici esofagee trova
indicazione soprattutto nella prevenzione delle recidive emorragiche, specie
quando usati in associazione a farmaci beta-bloccanti.
· Isosorbide 5 mononitrato (es. Duronitrin, Monoket, Monocinque Retard,
Isosorbide MYL): Il farmaco viene utilizzato in terapia per la riduzione della
pressione portale. La posologia va attentamente stabilita dal medico.
Ormoni (analoghi della vasopressina): sono farmaci utilizzati sia nella prevenzione
che nella cura delle varici esofagee sanguinolente: la vasopressina e i suoi analoghi
sono in grado di esercitare una riduzione del flusso sanguigno che entra nella vena
porta, di conseguenza la pressione portale diminuisce e il sanguinamento delle
varici viene negato.
· Terlipressina (es. Glipressina): il farmaco è reperibile sottoforma di polvere
o solvente per soluzioni iniettabili endovena (1 mg di principio attivo). La
somministrazione di questo farmaco per il trattamento delle varici esofagee
dev'essere effettuata in ambito ospedaliero da un esperto in materia.
Agenti sclerosanti:
· Etanolammina oleato (es. Ethamolin): iniziare il trattamento con una dose di
attivo variabile tra l'1,5 e i 5 ml per varice, da somministrare per via endovenosa
(non superare i 20 ml per seduta di trattamento per le varici esofagee).
Si utilizzano vasocostrittori e atibiotico-terapia in caso si ascite concomitante e di
peritonite.
Se le varici esofagee sanguinano, bisogna intervenire rapidamente perché vi è il
rischio di shock emorragico ed è indicato l’utilizzo della sonda Sengstaken-
Blakemore qualora non sia possibile eseguire nell’immediato una gastroscopia
operativa. Questa sonda consente di bloccare meccanicamente il sanguinamento.
Il sondino si compone di due palloncini: uno per il tamponamento a livello del
fondo gastrico e uno per il tamponamento a livello esofageo, ma una risoluzione
temporanea perché i palloncini devono essere sgonfiati entro 24 ore per evitare
danni tissutali da compressione, es. perforazione).
Questo sondino prevede, in base ai modelli 3 o 4 vie:
· Aspirazione gastrica (per drenaggio e lavaggio gastrico)
· Insufflazione per palloncino gastrico (max 250 ml)
· Insufflazione per palloncino esofageo (volume max 150 ml)
· Aspirazione esofagea (solo nel sondino a quattro vie)

Tecnica di esecuzione:
Materiale:
· sondino S.B.
· Contenitore acqua fredda
· Lubrificante idrosolubile
· 4 siringhe da 50 ml con cono catetere
· Sacche per drenaggio
· Fonendoscopio e sfigmomanometri
· Guanti
· Garze
· Pinze pean
· Traversa
· Arcella reniforme e contenitore per rifiuti
· Sistema di aspirazione
· Presidi di protezione individuale (camice, occhiali)

Esecuzione ( è di competenza medica, ma l’infermiere collabora col medico):


· Lavaggio antisettico della mani e indossare i presidi di protezione
individuali
· Se pz è cosciente, informarlo sulla procedura e assicurarsi che abbia firmato
il consenso
· Far assumere la posizione di fowler e mettere la traversa monouso sul torace
· Aprire l’incarto della sonda
· Lubrificare la sonda e porgerla al medico
· Aiutare la persona a mantenere la posizione
· Raccordare una siringa alla II via e insufflare la quantità di aria necessaria
· Clampare con la pinza e bloccarla con un cerotto
· Verificare con lo sfigmomanometro che si sia raggiunta la pressione adatta
(indicata dal fornitore)
· Ripetere le stesse azioni per il pallone esofageo

· Rilevare i parametri vitali ogni 30 minuti


· Sgonfiare il palloncino per circa 5-10 minuti ogni 4-6 ore ( o attenersi alle
indicazioni mediche)
· Aspirare le secrezioni orali ogni 30 minuti ( ma se il pz è cosciente si può
invitare a eliminare le secrezioni su fazzoletti di carta)
·
· Sgonfiare il palloncino su indicazione medica
· Rimuovere il cerotto
· Spingere la sonda verro l’antro gastrico per decomprimere il cardias
· Fissare il sondino al naso e lasciarlo in se de per 12-24 ore, dopo questo
periodo il palloncino va sgonfiato.
· Si possono dare al paziente due cucchiai di olio di vasellina così mentre si
rimuove la sonda non si rischia di compromettere l’emostasi
· Clampare la sonda al di sopra delle diramazioni
· Collaborare con il medico nella rimozione della sonda
· Effettuare igiene del cavo orale e provvedere alla cura della narice
interessata

Dal materiale di Iacobuci…….


· Controllare la tenuta del palloncino insufflando prima di posizionarlo per
scoprire eventuali perdite
· Lubrificare il sondino con Ky o Luan
· Far assumere al paziente alcuni sorsi d’acqua per introdurre il sondino
· Dopo aver posizionato il sondino nello stomaco verificarne la posizione
immettendovi aria mentre si ascolta
· Gonfiare il palloncino gastrico con 200/250 ml di aria o acqua e tirare
delicatamente indietro il sondino per farlo aderire alla giunzione gastro-esofagea
· Fissare la sonda tenendola in trazione fino alla resistenza cardiale
· Chiudere il palloncino gastrico e segnare il punto di ingresso a livello delle
narici

· Applicare una trazione delicata al sondino ed assicurarlo alle narici con un


supporto di gomma o spugna
· Attaccare un connettore a y all’apertura del pallone esofageo. Gonfiare il
palloncino esofageo sino a 25/35 mm hg per poi chiudere il palloncino esofageo
· Aspirare dal sondino gastrico ed irrigare almeno ogni ora
· Controllare che la sonda non si sposti e mantenga in trazione
· Durante la permanenza della sonda si deve svuotare il palloncino esofageo
per alcuni minuti ogni 6 ore per evitare lesioni da decubito sulla parete
dell’esofago

RESPONSABILITA' INFERMIERISTICHE:
· Mantenere una vigilanza continua mentre si procede all’insufflazione dei
palloncini
· Mantenere le pressioni nei palloncini a livello necessario per tamponare il
sanguinamento
· Controllare e segnare i parametri vitali, controllare colore e quantità dei
liquidi rimossi dal sondino alla ricerca di sanguinamento
· Fare attenzione alla comparsa di dolore toracico che può indicare lesioni o
lacerazioni esofagee
· Irrigare le sonde di aspirazione secondo aspirazione
· Mantenere sollevata la testa del letto per evitare il rigurgito dallo stomaco,
diminuire la nausea e i conati
· Mantenere nutrizione e bilancio idro - elettrolitico per via parenterale
· Mantenere l’aspirazione sul sondino naso-gastrico per aspirare ogni residuo
salivare
· Controllare la respirazione, se il contrappeso tira il sondino nel naso faringe
il paziente può andare in asfissia

ASSISTENZA INFERMIERISTICA AL PAZIENTE CON VARICI


ESOFAGEE:
È necessario reperire un accesso venoso (se possibile di grosso calibro) e infondere
soluzione fisiologica o plasma espander, collaborare col medico nel
posizionamento del sondino S.B
È necessario comunicare con la persona in modo rapido e prudente circa la
necessità di tale trattamento per la sua sopravvivenza
Il paziente potrebbe essere anche sedato per il trattamento a cui sarà sottoposto.
L’infermiere deve saper distinguere il sanguinamento scuro, caffeano che indica
un sanguinamento non recente (comunque da non sottovalutare) da quello rosso
vivo che indica sanguinamento recente.
Il paziente deve essere considerato come in shock ipovolemico e si devono valutare
i parametri vitali e lo stato di coscienza
Si dovrà inoltre controllare la diuresi mediante la cateterizzazione del pz.
soprattutto se è incosciente e somministrare i farmaci prescritti.
Spesso è necessaria la trasfusione con sacche di sangue e plasma, quindi
l’infermiere deve eseguire prima di tutto un prelievo campione per ottenere
dall’emoteca le sacche. È opportuno praticare anche prelievi per Hb e Hct.
Il paziente va educato circa la gravità delle varici esofagee, dell’ematemesi
massiva, inoltre deve essere educato a riconoscere la melena.
È importante educare ed informare i familiari che rappresenta un sostegno per il
paziente.

ALIMENTAZIONE:
Assicurarsi che il paziente venga nutrito.
Interventi:predisporre per NPT
Effettuare il bilancio idro elettrolitico

Posizionare il pz in modo corretto affinché abbia meno fastidi e impedire che si


rimuova la sonda.
Interventi: mantenere il pz semiseduto, controllare che la pressione delle sonde sia
corretta, controllare l’ancoraggio della sonda, mantenere pervia la narice libera. Se
il paziente è troppo agitato è possibile che si decida di immobilizzarlo
momentaneamente

L’infermiere deve prevenire difficoltà respiratorie dovute alla compressione sulla


trachea da parte del sondino
Interventi: controllo della FR e della normale espansione toracica, controllare che
non si manifestino segni di cianosi, auscultare il torace. L’infermiere deve
assicurarsi che il paziente riposi:
interventi: preparare un ambiente favorevole al riposo, tranquillizzare il pz, aiutarlo
ad assumere una posizione confortevole, somministrare tisane calmanti (es.
camomilla).

DIAGNOSI INFERMIERISTICA:
· Nutrizione alterata (inferiore al fabbisogno)
· Eccesso volume di liquidi correlato a ipertensione portale, diminuzione della
pressione colloidosmotica del plasma e ritenzione di sodio.
· Rischio elevato di gestione inefficace del regime terapeutico
· Rischio di compromissione dell'integrità cutanea
· Intolleranza all'attività
· Rischio elevato di riduzione dei liquidi organici (ipovolemia)?
· Disturbi del modello del sonno
· Paura
· Ansia
· Riduzione della gittata cardiaca

FIBRILLAZIONE ATRIALE
La fibrillazione atriale è la più comune tachicardia sopraventricolare; Essa origina
nell’atrio sinistro. E’ causata dall’attivazione dei focolai ectopici multipli negli atri,
che danno origine ad impulsi elettrici con alta frequenza, fino ad arrivare a 400-
600 bpm/min. Nessuno di questi impulsi elettrici è in grado di depolarizzare
completamente gli atri e solo alcuni arrivano al Nodo A.V.
Il risultato è l’assenza di Contrazione atriale ed una risposta Ventricolare irregolare,
con frequenza relativamente lenta.
Le contrazioni “vermicolari atriali” provocano ristagno di sangue nell’atrio dove si
possono formare trombi causa di embolizzazione sistemica con conseguente Ictus.
La Fibrillazione Atriale è riscontrabile in pazienti sani dopo stress emotivi o
interventi chirurgici o intossicazione alcolica; O secondaria a malattie
cardiovascolari che causano atriomegalia (eccesivo ingrandimento dell’atrio
cardiaco).
Trattamento farmacologico : poiché la fibrillazione atriale aumenta il rischio di
formazione di trombi, viene somministrata la terapia anticoagulante: Dicumarolici
(Warfarin, Coumadin ).
Per depolarizzare gli atri viene eseguita una cardioversione elettrica o
farmacologica. Per la cardioversione farmacologica vengono utilizzati farmaci
come antiaritmici : Propafenone, Flecainide e Amiodarone.

DIAGNOSI INFERMIERISTICA:
· Ansia di morte correlata a segni e sintomi che il paziente stesso ha
riscontrato per la prima volta.
Interventi
· -Rassicurare il paziente e informarli a riguardo del regime medico da
adottare
· -Metterlo a proprio agio
· -Starle vicino
· -Valutare i paramenti vitali
· -Somministrare sedativi o tranquillanti se prescritti
· -Spiegare lo scopo di eventuali test da sforzo

Diminuzione della gittata cardiaca:  I risultati attesi devono essere un aumento


della tolleranza all’attività fisica, una diminuzione degli episodi di dispnea, angina
ed aritmia, una maggiore partecipazione alle attività che riducono il lavoro del
cuore.

INTERVENTI:
· Mantenere il paziente a riposo
· Monitorare i PV e ECG
· Garantire adeguati periodi di riposo
· Sottolineare l’importanza di non sforzarsi durante la defecazione
· Incoraggiare l’immediata comunicazione del dolore
· Monitorare l’effetto dei farmaci
· Valutare segni e sintomi dell’insufficienza cardiaca
· Somministrare ossigeno supplementare se necessario e prescritto
· Somministrare la terapia prescritta
· Preparare il paziente all’intervento chirurgico o al cateterismo cardiaco se
necessario
· Preparare il trasferimento in Terapia Intensiva se le condizioni peggiorano

DIAGNOSI INFERMIERISTICA:
Conoscenza insufficiente della malattia: La conoscenza insufficiente del paziente
può essere correlata ad una cattiva informazione da parte dei sanitari, mancanza di
familiarità con le risorse informative o ad una esposizione carente delle nozioni. Il
paziente può evidenziare tale carenza attraverso domande, richieste di informazioni
ed imprecisioni nel seguire le istruzioni.
I risultati attesi sono una partecipazione al processo di apprendimento, una
assunzione delle responsabilità del proprio apprendimento, una dichiarazione di
comprensione del proprio stato di salute e del proprio regime terapeutico futuro,
inizio dei necessari cambiamenti sullo stile di vita.

INTERVENTI:
· Spiegare e rivedere con la persona i dubbi riguardanti la patologia ed il
processo terapeutico
· Riferire alla persona quali sono i livelli di colesterolo ottimali da mantenere
· Incoraggiare ad evitare fattori di rischio
· Aiutare il paziente ad identificare le fonti di stress per poi evitarle
· Rivedere l’eventuale importanza dello smettere di fumare
· Incoraggiare il paziente a seguire il programma di riabilitazione cardiologica
· Discutere dell’i
· mpatto della malattia sullo stile di vita
· Incoraggiare il paziente a monitorare il proprio polso e la propria PA
· Fornire istruzioni su cosa fare se compare un episodio anginoso
· Rivedere i farmaci prescritti
· Sottolineare l’importanza di consultare un medico prima di assumere
farmaci da banco
· Informare sul corretto utilizzo di preparati di erboristeria
· Rivedere i sintomi che devono essere riferiti
· Ribadire l’importanza dell’ follow-up (controlli periodici)

PAZIENTE CON ICTUS


E' una improvvisa perdita della funzione cerebrale risultante dall’interruzione del
flusso ematico (ossigeno e sostanze nutritive ) a una parte del cervello, provocando
un danno cerebrale a lungo termine e, spesso irreparabile causando delle
alterazione cognitive, sensoriale, motoria e emotiva.
Sono suddivisi in due:
• Ischemiche (trombosi e/o embolia)
• Emorragiche (rottura di un vaso sanguigno cerebrale con conseguente emorragia
nel tessuto cerebrale o negli spazi limitrofi).
Ictus ischemici: sono causati di trombosi e embolia. In caso di trombosi, causa più
comune di ictus, l’ischemia insorge quando un vaso sanguigno viene occluso a
causa delle placche aterosclerotiche. Si può verificarsi a livello delle arterie
carotide interna o in qualsiasi punto a monte della biforcazione della carotide
comune o all’inizio delle ramificazioni che partono dall’aorta, dall’arteria anonima
e dalla succlavia. In caso di embolia, seconda causa di ictus, l’ischemia insorge
quando la placca aterosclerotica, il tessuto adiposo, i batteri o altri tessuti si
staccano dalla parete del cuore, entrano nella circolazione e si depositano in un
vaso cerebrale, causando ischemia cellulare e morte del tessuto per fuso da quel
vaso. La maggior parte degli emboli cerebrali origina dalla tonaca dell’endocardio.
L’embolo viene trasportato fino a raggiungere un vaso troppo stretto; se l’embolo è
di piccole dimensioni, il paziente può essere colpito da un attacco ischemico
transitorio (TIA).
Le malattie cardiache che contribuiscono alla formazione di emboli cerebrali
includono:
• Fibrillazione striale cranica • IMA • Valvupatie • Endocardite batterica infettiva •
Sostituzione protesica delle valvole • Cardiopatie reumatica. Ictus emorragico:
possono essere dovuti a malformazioni arterovenose, rottura di un aneurisma,
farmaci (ad es. anticoagulanti e amfetamine) o ipertensione incontrollata. Il
sanguinamento si può verificarsi negli spazi spidurale o subaracnoideo, oppure
all’interno del parenchima cerebrale. Le complicanze sono: quando la lesione e
stessa può andare incontro a erniazionecausando coma e infine il decesso. Tasso di
mortalità 50-60% circa.
Anamnesi Infermieristica:
L’infermiere deve valutare se il paziente e in grado di comunicare verbalmente,
valuta se è confuso e/o disorientato e il suo stato di nutrizione , chiede ai famigliare
se il paziente fuma, se è iperteso (se prende la terapia antipertensivi o
anticoagulanti) se in famiglia hanno sofferto di ictus, obesità.
Esame obiettivo: Tutti tre tipi di ictus, trombotico, embolico ed emorragico,
determinano l’insorgenza di segni e sintomi simili tra loro: • Formicolio o
debolezza al volto, braccio o gamba specie di un lato del corpo • Confusione o
cambiamenti dello stato mentale
• Difficoltà nel parlare o nel comprendere le parole
• Disturbi visivi • Difficoltà nel camminare, vertigini o perdita di equilibrio o
coordinazione • Improvvise, severe cefalee • Perdita graduale della coscienza che
conduce al coma
• Rigidità nucale, vomito, ecc. La perdita di comunicazione o del linguaggio si può
manifestare con.
• Disartria (difficoltà nel parlare)
• Disfagia o afasia (linguaggio difettoso o mancanza di linguaggio)
• Aprassia (incapacità di ripetere correttamente un’azione imparata in precedenza),
che si nota per esempio quando un paziente afferra una forchetta e cerca di
pettinarsi con quella.

ACCERTAMENTO E VALUTAZIONI DIAGNOSTICHE:


Tutti i pazienti colpiti da deficit neurologici necessitano di un’accurata anamnesi e
di un attento esame fisico e neurologico. La valutazione iniziale sarà focalizzata
sulla capacità del paziente di mantenere la pervietà delle vie aeree (per la possibile
perdita del riflesso del vomito e della tose e per un’alterata respirazione), sulla
condizione condizione cardiocircolatoria (inclusa la pressione ematica, il ritmo e la
frequenza cardiaca, presenza di soffio carotideo) e deficit neurologici grossolani.
Le indagini diagnostiche iniziali includono la TAC o la RMN per determinare se si
tratti di ictus ischemico o emorragico (il che determina il tipo di trattamento),
l’elettrocardiogramma e un’ecografia carotidea. Altri esami comprendono
l’angiografia cerebrale, gli studi di flusso mediante Doppler transcranico e
l’ecocardiogramma.

PREVENZIONE.
• somministrazione di warfarin (coumadin) anticoagulanti che inibisce la
formazione del coagulo, può prevenire l’ictus su base trombotica ed embolia.
Fattori di rischio:
• Ipertensione, il maggior fattore di rischio il controllo dell’ipertensione è la chiave
per la prevenzione dell’ictus.; Ipertrofia ventricolare sinistra; Obesità; Ematocrito
basale alto: aumenta il rischio d’infarto cerebrale; Diabete: associato a una
precoce eterogenesi; Consumo di alcol, ecc.
Complicanze potenziali.
• ipossia cerebrale
• il ridotto flusso ematico cerebrale e l’estensione dell’area danneggiata.
• Insufficiente rilascio di ossigeno al cervello.

DIAGNOSI INFERMIERISTICA
Si bassa sui risultati delle osservazioni, le principali diagnosi infermieristica di un
paziente colpito da ictus sono:
• Compromissione della comunicazione verbale correlata a danno cerebrale
• Compromissione della deambulazione correlata a emiparesi, perdita di equilibrio
e coordinazione e lesione cerebrale
• Rischio di compromissione dell’integrità cutanea correlata dell’emiparesi
/emiplegia e della ridotta mobilità
• Deficit nella cura di sé (bagno/igiene personale, alimentarsi) correlato ai postumi
dell’ictus.
• Alterazioni dei processi di pensiero correlata al danno cerebrale, confusione,
incapacità di seguire le istruzioni.
Priorità assistenziale.
• Mobilizzare il paziente ogni 2 ore per evitare le lesione cutanee e rigidità dei
muscoli
• Aiutarlo ad alimentarsi

OBIETTIVI:
• mantenimento dell’integrità cutanea,
• miglioramento della mobilizzazione del paziente ed di conseguenza portalo a una
autonomia per la cura personale.
• aiutarlo ad imparare ad una forma di comunicazione.
• alleviare il dolore alla spalla.
• il ripristino della serenità famigliare e l’assenza di complicazioni.

INTERVENTI:
• Monitoraggio dei parametri vitali.
• Eseguire prelievi ematici s.p.m.
• Monitoraggio del bilancio idroelettrolitico
• Prevenire dell’adduzione della spalla
• Migliorare i processi intellettivi
• Controllare la diuresi e alvo
• Migliorare le capacità della famiglia di affrontare il problema
• Aiutare il paziente ad affrontare la disfunzione sessuale.

VALUTAZIONE
• non si lamenta del dolore della spalla 5
• dimostra un miglioramento nella comunicazione
• mantiene la epidermide intatta senza danni.

ASSISTENZA INFERMIERISTICA ALLA MATERNITA’ E AL NEONATO,


DURANTE IL TRAVAGLIO E IL PARTO

Gravidanza o gestazione è lo stato della donna che porta nel proprio utero il
prodotto della fecondazione. La durata della gravidanza è di 40 settimane e si
calcola a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione. La gravidanza è un
normale processo fisiologico che solo in alcuni casi è complicato da condizioni
patologiche pericolose per la salute della donna e del feto.
La gravidanza normale comunque altera in modo significativo la fisiologia della
donna, e sono sempre presenti i rischi potenziali di una modificazione dello stato di
salute e l’insorgenza di malattie della madre e del feto.

SEGNI/SINTOMI
- PRIMO TRIMESTRE: nausea, vomito, scialorrea, pollacchiura, seno teso e
dolente, gengivite, aumento ponderale, diminuzione del desiderio sessuale. Più
gravi: Febbre, dolori, vomito persistente
- SECONDO TRIMESTRE: leucorrea, addome pesante, varici arti inferiori,
emorroidi, anemia fisiologica, infezioni delle vie urinarie, contrazioni uterine. Più
gravi: contrazioni uterine, cefalea, edemi, disturbi della vista, riduzione della
diuresi, perdite vaginali.
- TERZO TRIMESTRE: senso di apprensione per il parto, stanchezza, ridotta
attrazione sessuale, pirosi gastrica, respirazione faticosa, ansia. Sintomi gravi
sempre gli stessi.

DIAGNOSI
- Positività delle prove immunologiche : si basano sulla presenza dell’ormone
HCG (gonadotropina corionica) nelle urine e nel sangue della donna
- visualizzazione ecografica del sacco gestazione
- rilevazione strumentale dell’attività cardiaca embrionale o fetale attraverso
l’ecografia op doppler
- percezione obiettiva di movimenti fettali attivi
-riscontro palpatorio di parti del corpo fetali

ASPETTI IMPORTANTI DELLA GRAVIDANZA


· Adozione di atteggiamenti cautelativi nella vita quotidiana
· Norme igieniche: igiene e cura della mammella, del cavo orale e intima.
· Alimentazione adeguata: il peso standard da raggiungere è di 12kg in +.
Dieta ricca di frutta, verdura, yogurt, alimenti ricchi di proteine e ferro e povera di
grassi. Evitare bevande alcoliche e fumo.
· Supervisione medica

COMPLICANZE:
· Ipertensione gestazionale
· Ritardo della crescita intrauterina
· Diabete gestazionale
· Cardiopatie congenite
· Distocie : meccaniche ( ostacolo al passaggio del bambino nel canale del
parto), dinamiche ( le contrazioni non sono sufficienti a far passare il bambino)

ACCERTAMENTO INFERMIERISTICO
- Raccolta anagrafica
- raccolta anamnestica remota attraverso segni/sintomi, allergie,
medicamenti/farmaci, patologie remote, ultimo pasto , eventi precedenti
- raccolta anamnestica prossima per capire esordio del dolore, cosa lo allevia o lo
peggiora, qualità, irradiazione
- rilevazione PV
PROBLEMI COLLABORATIVI
•ipertensione
•iperglicemia
•ipoglicemia
•anemia
•edemi arti inferiori

DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
•Di affaticamento correlato a modificazioni funzionali secondarie alla gravidanza.
•Di ansia correlata al parto/travaglio/taglio cesareo imminente,
all’ospedalizzazione, alla gravidanza/ruolo genitoriale(cambiamento).
•Di rischio di nutrizione alterata per carente apporto nutritivo.
•Di rischio di nutrizione alterata per eccessivo apporto nutritivo.
•Di rischio di alterazione dell’eliminazione intestinale correlata alla diminuzione
della peristalsi intestinale.
•Di rischio di disturbo del concetto di sé correlato agli effetti della gravidanza
sull’aspetto fisico sullo stile di VITA, sul ruolo di genitore

PIANIFICAZIONE DEGLI OBIETTIVI


-Promuovere la fisiologicità della gravidanza e rendere la donna protagonista di
tale periodo;
-Rilevare precocemente le complicanze;
-Preparare la donna e la coppia al parto e al futuro ruolo di genitori.

INTERVENTI INFERMIERISTICI
•Garantire una accoglienza adeguata alla partoriente
•Garantire le procedure di ricovero previste
•Monitorare i parametri vitali
•Garantire la somministrazione delle terapie prescritte e l’esecuzione di indagini
diagnostiche richieste.
•Suggerire i movimenti e le posture più appropriate allo stato fisico gravidico
•Valutare l’intensità dell’ansia e rassicurare la coppia sull’andamento del travaglio
e del parto e della riuscita dello stesso.
•Confortare e comprendere gli stati emotivi e le situazioni di ambivalenza
emozionale che la coppia sta affrontando.
•Informare riguardo la struttura deputata al parto e sulle tecniche e metodiche che
si usano in essa.
•Identificare e spiegare alla donna le cause dell’affaticamento
•Aiutare ad identificare i comportamenti sbagliati nei riguardi del cibo e a
modificare i modi di pensare riguardo l’alimentazione.
•Suggerire un’alimentazione ricca di fibre ed una idratazione sufficiente per
ridurre/eliminare la stitichezza.
•Insegnare le prime cure al neonato.
•Affiancare e consigliare la donna durante l’allattamento

VALUTAZIONE DEI RISULTATI ATTESI


•La donna riferisce uno stato di benessere fisico.
•Presenta un’eliminazione intestinale normale.
•Ha un’alimentazione equilibrata.
•Riferisce una netta diminuzione dello stato di
affaticamento.
•Descrive il proprio stato d’animo e le emozioni
contrastanti

ASSISTENZA ALLA DONNA CON IPERTENSIONE GESTAZIONALE.


L’ipertensione della gravidanza è una malattia multisistemicaspecifica della
gravidanza che compare dopo la 20 settimana di gestazione ed è caratterizzata
dalla presenza di:
•Edema con aumento di peso eccessivo per ritenzione idrica, maggiore di 500 gr a
settimana.
•Ipertensione arteriosa sist. >di 140 e diast.> di 100 (20mmHg sup.).
•Proteinuria. 0.3g%-0,5g% nelle 24h.
•Contrazione della diuresi.
Evoluzione della malattia:
•ipertensione gestazionale
•pre eclampsia
•eclampsia: crisi epilettiche o coma

Terapia: antipertensivi.

PROBLEMI COLLABORATIVI
•Proteinuria •Sofferenza fetale •Distacco di retina •Disturbi della vista
•Distacco di placenta •Edema polmonare •Insufficienza epatica •Insufficienza
renale
•Insufficienza vascolare periferica •Parto pretermine •Morte endouterina
•Ipertensione endocranica •Edema cerebrale •Crisi convulsive •Coma

DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
•Di ansia correlata alla percezione del pericolo di incolumità materno fetale.
•Di rischio di gestione inefficace del regime terapeutico per mancanza di
conoscenze.
•Di rischio di alterata nutrizione per difetto o per eccesso.
•Di rischio di alterazione dei processi familiari correlata al ricovero
•Di rischio di alterazione del confort (cefalea) correlato all’edema/irritabilità
cerebrale.
•Di rischio di eccesso di volume dei liquidi correlato all’alterata funzionalità
renale/insufficienza renale.
•Di rischio di alterazione sensoriale percettiva (coscienza) correlata alla sedazione
farmacologia ed all’insorgenza dell’eclampsia.
•Di rischio di confusione mentale acuta correlata ad ipossia cerebrale, ad anestesia
generale

PIANIFICAZIONE E OBIETTIVI
Monitorizzerà e ridurrà al minimo gli episodi di ipertensione e l’insorgenza di
complicanze

INTERVENTI INFERMIERISTICI
•Far mantenere il riposo assoluto a letto in decubito laterale sinistro (migliora il
ritorno venoso)
•Limitare l’accesso di visite.
•Verificare e mantenere condizioni ambientali tranquille.
•Monitorare i parametri vitali, peso, urine per proteinuria, diuresi, edemi, liquidi
assunti.
•Garantire l’esecuzione delle indagini richieste.
•Garantire la somministrazione delle terapie prescritte.
•Posizionare catetere vescicale per controllo diuresi e proteinuria.
•Far assumere una dieta iposodica ed iperproteica

VALUTAZIONE DEI RISULTATI


•La pressione si mantiene nei range di normalità e non supera i 130/80.
•La donna rispetta le prescrizione terapeutiche e dietetiche.
•La donna presenta variazioni di peso normali.

ASSISTENZA INFERMIERISTICA AL PARTO.


Il parto è l’espulsione spontanea o l’estrazione in caso di parto operativo, del feto e
dei suoi annessi attraverso quel complesso di fenomeni meccanici e dinamici che si
identificano nel travaglio
Le complicanze possibili sono:
•Il parto distocico
•La rottura intempestiva delle membrane.
•L’iperpiressia in travaglio
•Il prolasso del funicolo.•Il parto pretermine.
Complicanze postpartum:
•Mancato distacco della placenta
•Emorragia post partum

INTERVENTI INFERMIERISTICI
•Monitorare i parametri vitali: PA, FC, TC, diuresi, colorito, sudorazione, sensorio
•Monitorare il bilancio idrico.
•Eseguire i controlli ematochimici richiesti.
•Somministrare le terapie prescritte.
•Controllare i drenaggi e ferita chirurgica
•Controllare perdite ematiche
•Garantire l’esecuzione di indagini diagnostici richieste.
•Rilevare eventuali segni di peggioramento clinico
•Mantenere la donna a riposo.
•Mantenere l’ambiente tranquillo.
•Permettere la presenza di una persona significativa

Farmaci utilizzati nel post parto: Methergin: contro l’atonia dell’utero per favorire
il restringimento dell’utero.

ASSISTENZA INFERMIERISTICA AL NEONATO.


L’evento nascita è determinato da processi fisiologici di adattamento alla vita
extrauterina tali da rendere il neonato in grado di:
•Iniziare e mantenere la respirazione.
•Avere un’attività cardiocircolatoria adeguata.
•Mantenere una temperatura corporea ottimale.
Il processo di adattamento richiede un’attenta osservazione da parte del personale
soprattutto nelle prime 24-72 ore di vita.

L’assistenza al neonato alla nascita si pone l’obiettivo di garantire un regolare


processo di adattamento alla vita extrauterina attraverso l’uso di attrezzature
tecnologico strumentali che devono essere presenti nell’area predisposta alle prime
cure.
Unità di cure neonatali
•Isola neonatale:
Con questo termine si definisce un area adiacente la sala parto che ha come
funzione principale l’assistenza al bambino appena nato. È provvista anche di tutto
l’occorrente utile per una rianimazione cardio polmonare, di farmaci di urgenza e
di farmaci necessari al post partum
-Lettino di rianimazione riscaldato
-Lampada a 80 cm dal piano
-O2 con occorrente per l’intubazione orotracheale
-Respiratore automatico
-Aspiratore, monitor per parametri vitali, cronometro, metro
-Provette e materiale per prelievi e stick glicemici
-Dispositivi per la preparazione di accessi venosi o incannulamento della vena
ombelicale.
•Nido : Il nido è l’area assistenziale che accoglie i neonati sani dove è prevista
anche una stanza per l’allattamento ed un’area per le visite dei familiari.
•Rooming-in :è il nuovo approccio al neonato rappresentato dalla previsione di
stanze ad uno o due posti letto all’interno dell’unità operativa contenenti spazi
separati da vetrate e comunicanti al cui interno vengono ricoverati i neonati
•Unità di terapia sub intensiva- Unità di terapia intensiva :Le unità sub intensive ed
intensive neonatale accolgono i neonati con patologie la cui gravità indica il livello
di cure da erogare
Il neonato dopo la nascita presenta: •un’apnea respiratoria iniziale
•fase del pianto con atti respiratori irregolari
•fase del respiro regolare con circa 35 atti/min.
•frequenza cardiaca: 180 bpm e 120-140 bpm in seconda giornata
•diminuzione della temperatura corporea: Se l’ipotermia non viene corretta può
provocare ipossia, acidosi, ipoglicemia fino ad arrivare alla morte del neonato per
collasso cardiocircolatorio
•La temperatura corporea si regolarizza intorno alla 5 ora dopo il parto
Subito dopo la nascita
:•Il neonato viene adagiato su un piano declive 10 cm al di sotto del livello della
mamma (altrimenti il bambino perde sangue perché il cordone ombelicale no è
clampato)
•Clampaggio del cordone ombelicale
•Aspirazione delle prime vie aeree
•Recisione del cordone ombelicale
•Valutazione secondo indice di Apgar ad 1 minuto ed a 5 minuti: si valutano FC,
Respirazione, Tono muscolare, Eccitabilità riflessa, Colorito. Lo fa il pediatra: da
7-10 neonato sano senza problemi cardiaci e di respirazione; da 4 -6 neonato
monitorato x controlli cardiaci e resp; da0-4 neonato in terapia intensiva.
•Prelievo di sangue dal cordone ( bilirubina, emocromo, gruppo, fattori RH)
•Chiusura e fissaggio di sicurezza del cordone
•Posizionamento del neonato in culla termica
•Lavaggio del neonato
•Applicazione di bracciale identificativo (uguale alla madre)
•la profilassi antiblenorragica e della congiuntivite neonatale con pomate o colliri
antibiotici.
•La profilassi delle emorragie con la somministrazione della vitamina K ( perché
fegato non maturo per produrla)
•La rilevazione della TC rettale.
•La misurazione della circonferenza cranica.
•La misurazione della lunghezza.
•Il controllo del peso

Nelle prime ore di vita e nei primi giorni vanno controllati i seguenti parametri:
•Frequenza respiratoria: 35 atti/min
•Frequenza cardiaca: 120-140 bpm
•Colorito cutaneo che deve essere roseo: alla seconda ora si può verificare una
reazione vasomotoria durante il pianto.
•Temperatura rettale stabile verso la 5 ora
•Diuresi che inizia entro le prime 12 ore di vita con un numero di emissioni pari a 6
die circa con un allattamento valido.
•Emissione di meconio che in alcuni casi avviene in sala parto e generalmente
avviene tra la 2 e la 5 ora di vita.
•Peso da effettuarsi ogni mattina a digiuno e nudo
•PA : 60/40 mmhg
•Glicemia perché il b. va spesso in ipoglicemia perché si muove, respira
velocemente e consuma zuccheri che il b. non ha.

Alimentazione
•Al seno
•Latte artificiale
Per quanto riguarda l’alimentazione, la scelta del latte materno resta la più indicata
e la più naturale per il corretto accrescimento fisico e lo sviluppo psichico e
relazionale del neonato
•Neonato pretermine: nel pretermine con peso maggiore di 2 Kg, l’allattamento
inizia tra la 6 e la 10 ora dalla nascita
•Neonato a termine: l’allattamento inizia tra la 8 e 12 ora dalla nascita
•Frequenza dei pasti: a richiesta del bambino
•Durata dei pasti: 15-20 minuti per seno

Cure igieniche
•Le cure igieniche devono essere effettuate quotidianamente in ambiente riscaldato
almeno a 25°, non ventilato e soprattutto assieme alla mamma.
•Il cordone ombelicale viene avvolto con una garza
di cotone imbevuta con alcool etilico al 75-90% o garza sterile asciutta o con
apposite garze imbevute di soluzioni essiccanti (….)
•Il cuoio capelluto viene trattato con oli per evitare danni alla struttura dei capelli e
irritazioni della pelle.
•Dopo 7-8 giorni dalla caduta del moncone si può fare il bagnetto quotidianamente
con prodotti delicati a base di oli; la temperatura dell’acqua non deve superare i
36-37°.

ASSISTENZA INFERMIERISTICA PRE- INTRA- POST-OPERATORIA


AL PARTO CESAREO

Il taglio cesareo è un intervento chirurgico per via addominale che permette


l’estrazione rapida del feto. Le indicazioni a questa tecnica possono essere:
•Le anomalie placentari (PLACENTA PREVIA)
•Precedente chirurgia uterina.
•Prolasso del funicolo.
•Sofferenza fetale.
•Pregresso taglio cesareo.
•Anomalie del travaglio.
•Anomalie di presentazione (bambino podalico)

PROBLEMI COLLABORATIVI
•Crisi convulsive •Coma •Edema polmonare •Embolia polmonare •Emorragia
•Ipertensione gestazionale •Ipertermia grave •Ipoglicemia •Iperglicemia
•Scompenso cardiaco •Sofferenza fetale

DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
•Ansia correlata a insufficiente conoscenza delle procedure pre e post operatorie e
dei risultati dell’intervento su se stessa e sul neonato.
•Rischio di infezione correlata alle procedure chirurgiche.
•Rischio di alterazione della funzione respiratoria correlata all’eventuale anestesia
generale.
•Rischio di disturbo del modello riposo/sonno.
•Rischio di alterazione del confort: dolore
•Paura

PIANIFICAZIONE DEGLI OBIETTIVI


•L’infermiere fornirà alla donna le informazioni necessarie alla preparazione
chirurgica.
•Monitorizzerà e valuterà le condizioni della donna per prevenire o ridurre al
minimo le complicazioni del taglio cesareo.
•Gestirà le possibili complicanze dell’intervento.

PRESTAZIONI INFERMIERISTICHE
Pre-operatorie
•Spiegare le procedure preoperatorie
•Far eseguire una doccia antisettica preoperatoria la sera antecedente l’intervento.
•Predisporre nei bagni dove si effettua la doccia kit monouso contenente ciò che
occorre: antisettico in dose singola, telo per l’asciugatura
•Verificare che la paziente si sia detersa in modo efficace nelle pieghe cutanee
(solco mammario, pieghe inguinali), area ombelicale, aree interdigitali, area
perineale
•Prescrivere il digiuno preoperatorio 6 ore prima dell’intervento (cibi leggeri) 2 ore
prima (acqua)
•Eseguire tricotomia se necessario 2-4 ore prima dell’intervento con rasoio
tagliacapelli.
•Far eseguire subito dopo la tricotomia una seconda doccia preoperatoria con
antisettico.
•Invitare la paziente ad indossare un pigiama/camice pulito dopo la doccia
•Rimuovere tutte le protesi mobili.
•Posizionare catetere vescicale.
•Rilevare i parametri vitali.
•Eseguire profilassi antibiotica prescritta.
•Valutare il livello di ansia
•Facilitare le manifestazioni di supporto da parte dei familiari.
•Rassicurare e fornire sostegno
•Correggere le informazioni errate possedute dalla famiglia.
•Rassicurare la donna sull’aiuto che riceverà riguardo la gestione del dolore
postoperatorio.
•Informare la famiglia sul decorso post operatorio
Valutare se è stato firmato il consenso informato all’intervento e controllare tutta la
cartella clinica

Intra-operatorie
· Preparazione del carrello strumentario e del carrello servitore
· Posizionamento della paziente sul letto operatorio
· Monitoraggio della paz: PA,cavi ECG, saturazione, via infusionale
· Preparazione della posizione della paziente e del campo sterile per
l’esecuzionedell’anestesia spinale. Applica poi un cerotto sterile sul punto di
iniezione e ponendo immediatamente supina la paziente ponendo un cuneo
(cuscinetto) sotto l’anca destra in modo da sollevare il bacino di almeno 45° (Il
sollevamento del bacino con il cuneo previene la sindrome da compressione della
vena cava da parte dell’utero gravido, con diminuzione del ritorno venoso e
successiva ipotensione arteriosa, la quale si rivela più intensa se la vasocostrizione
riflessa è inibita dal blocco simpatico indotto dall’anestesia spinale (o
subaracnoidea)
· Infeermiere passa il laringoscopio all’anestesita e lo assite
· L’infermiere strumentista sta alla dx del primo operatore con il carrello
grande dello strumentario alla sua sn
· Durante l’intervento l’infermiera di sala collabora con il medico anestesista
in caso di induzione anestesia generale con IOT, esecuzione esami ematochimici e
trasfusione intraoperatoria
· Durante l’intervento il personale di sala esegue la conta delle garze utilizzate
ed eliminate dal campo operatorio dichiarandone la quantità alla strumentista: 1) al
momento del secondamento della placenta, 2) al momento della chiusura del
peritoneo parietale, 3) a chiusura avvenuta della fascia muscolare
· L’infermiera di sala esegue il prelievo di sangue funicolare dal cordone
ombelicale e firma apposito modulo
· .L’infermiera di sala provvede a raccogliere i pezzi anatomici negli appositi
contenitoriper esame istologico, inserendo il liquido di conservazione
(formaldeide), e ponendo l’etichetta della paziente segnando la data, il reparto, e la
descrizione del contenuto. Mette il contenitore nell’apposita frigoteca per pezzi
anatomici
· A fine intervento il modulo per la conta delle garze viene firmato dal 1°
chirurgo, dall’infermiera/ostetrica strumentista e dall’infermiera/ostetrica/Oss di
sala che ha eseguito la conta
· Al termine dell’intervento l’infermiera/ostetrica di sala applica i cerotti
tegaderm per fissare la medicazione della ferita chirurgica. La medicazione della
ferita laparotomia viene effettuata utilizzando garze sterili senza filo di bario
· L’infermiera/ostetrica di sala aiuta la strumentista ad eseguire la spremitura
dell’utero con lavaggio della zona perineale e lasciando 2 o 3 assorbenti
· La paziente viene spostata nella sala RCU adibita a sala “risveglio” per il
monitoraggio nell’immediato post-operatorio
· L’infermiera/ostetrica strumentista provvede a raccogliere tutti i ferri sporchi
nell’apposito box, esegue la decontaminazione, compila il modulo per il Centro
Sterilizzazione, quindi invia kit e box ponendoli nell’apposito armadio posto fuori
dell’UO
· Terminate tutte le procedure operative, lavarsi le mani. Preparazione del
letto operatorio e ripristino della Sala Cesarei da parte dell’infermiera in
collaborazione con l’Oss

Farmaci per taglio cesareo:


Syntocinon
Efedrina
Atropina
Antibiotici
Farmaci per anestesia spinale: 1 fl Fentanest;1 flBupivacaina 0,5% iperbarica (in
frigo)per anestesia locale: 1 fl di Lidocaina 1%

Farmaci per anestesia generale: Succinicolina (Midarine) in


frigo ;Penthotal;Diprivan (in frigo)

Post-operatorie
•Monitorare i parametri vitali: PA, FC, TC, diuresi, colorito, sudorazione, sensorio
•Monitorare il bilancio idrico.
•Eseguire i controlli ematochimici richiesti.
•Somministrare le terapie prescritte.
•Controllare i drenaggi e ferita chirurgica
•Controllare perdite ematiche
•Garantire l’esecuzione di indagini diagnostici richieste.
•Rilevare eventuali segni di peggioramento clinico
•Mantenere la donna a riposo.
•Mantenere l’ambiente tranquillo.
•Permettere la presenza di una persona significativa
VALUTAZIONE DEI RISULTATI
•Le prescrizioni preoperatorie sono eseguite secondo gli orari ed i protocolli
stabiliti.
•La donna presenta i segni vitali entro il range di normalità

GESTIONE STOMIE INTESTINALI.


· La stomia intestinale è il risultato di un intervento chirurgico con il quale si
crea un’apertura per poter mettere in comunicazione l’apparato intestinale con
l’esterno che, anziché per via fisiologica, svuota il suo contenuto attraverso
un’apertura creata artificialmente sulla parete addominale.
· Una stomia intestinale può essere confezionata in caso di asportazione di
parte dell’intestino, a scopo palliativo – in caso di tumore inoperabile – o a scopo
di protezione per escludere la parte dell’intestino a valle della stomia per
permetterne la guarigione o la cicatrizzazione.
· La stomia intestinale può essere eseguita a qualunque età. Più frequente
nelle persone adulte e/o anziane, viene eseguita anche in età pediatrica e nei
neonati (per esempio in caso di malformazioni intestinali).
· Le stomie intestinali possono essere classificate in funzione alla sede
anatomica, alla durata e alla tecnica di confezionamento utilizzata.
In funzione della sede anatomica si classificano in:
- ileostomia;
- ciecostomia;
- colostomia destra;
- trasversostomia;
- colostomia sinistra;
- sigmoidostomia.
Il retto è l’unico tratto d’intestino che non può essere esteriorizzato.
In funzione alla durata si classificano in:
- temporanee, quando la stomia viene confezionata come “protezione” e la
canalizzazione della parte inferiore dell’intestino verrà ripristinata dopo qualche
periodo di tempo, dopo la risoluzione di eventuali problemi patologici che hanno
richiesto l’esclusione temporanea della normale funzionalità dell’intestino;
- definitive, quando il tratto di intestino che segue la stomia è escluso
definitivamente dal transito delle feci del tratto distale dell’intestino o
completamente asportato.
In funzione alla tecnica di confezionamento utilizzata si classificano in:
- terminali, principalmente definitive, permettono un’esclusione totale al transito
della parte di intestino a valle;
- laterali o a doppia canna di fucile, possono essere sia temporanee sia definitive.
In questo tipo di stomia sia il moncone afferente (che drena all’esterno il contenuto
intestinale) sia l’efferente (che resta in comunicazione con il segmento colico
escluso) vengono abboccati alla cute mentre le pareti posteriori delle anse
interessate vengono fissate insieme per mantenere le due anse parallele e fisse.
· Se il confezionamento della stomia avviene con un intervento programmato
è necessario comprendere come il paziente percepisce la stomia e l’impatto che
essa avrà sul suo stato di salute e sul suo stile di vita, informazioni fondamentali
per pianificare gli interventi. È frequente che il paziente provi emozioni negative
che ovviamente dovranno essere prese in considerazione insieme agli accertamenti
circa il grado di dipendenza e le eventuali limitazioni relative alle attività di vita
quotidiana che questo intervento provoca.
· La stomia è priva di uno sfintere, che ne permette la chiusura, e quindi le
feci non possono essere trattenute e fuoriescono senza controllo. E’ indispensabile
per la persona sottoposta a intervento per il confezionamento della stomia sapere
che il problema può essere affrontato e risolto in modo soddisfacente mediante una
buona gestione della stomia.
· Nella fase pre operatoria è quindi necessario:
- stabilire insieme al paziente la fase più adatta per la stomia;
- prevenire le complicanze da mal posizionamento;
- favorire il mantenimento della sacca di raccolta delle feci in situ;
- preparare psicologicamente il paziente;
- favorire la gestione autonoma della stomia.
· La posizione dello stoma dipende dal tipo di patologia e di intervento. Una
buona sede deve:
- consentire una facile gestione della stomia;
- garantire la tenuta in situ della sacca di raccolta delle feci;
- evitare le complicanze;
- ridurre i costi di gestione.
· Nell’immediato periodo post operatorio (24-48 ore) è importante attuare
manovre di buona prassi come:
- effettuare la prima sostituzione del presidio dopo 48 ore;
- detergere la stomia e la cute peristomale con acqua tiepida e sapone senza
utilizzare sostanze irritanti e lesive per i tessuti (come per esempio etere, alcol,
disinfettanti eccetera);
- coinvolgere precocemente il soggetto e chi assiste alla cura dello stoma.
· Dopo l’intervento chirurgico, il personale sanitario deve insegnare al
paziente come gestire la stomia. Il soggetto nei giorni che seguono l’intervento
deve imparare a:
- detergere la stomia;
- sostituire correttamente la sacca di raccolta delle feci.
L’educazione del paziente non si esaurisce con la dimissione del soggetto ma è
importante garantire continuità assistenziale proseguendo l’assistenza al domicilio.
· La sacca di raccolta viene posizionata in sala operatoria e in genere viene
sostituita dopo 48-72 ore.
· La sacca di raccolta delle feci va rimossa dall’alto verso il basso,
delicatamente, tendendo e umidificando la pelle per evitare traumatismi alla cute.
Se per staccare più facilmente la placca si usano solventi, è preferibile evitare
quelli contenenti alcol perché irritanti e astringenti, mentre vanno usati quelli a
base oleosa (che però possono ostacolare la tenuta della nuova sacca da
posizionare ) o di silicone.
· Dopo aver rimosso le feci con carta igienica o con panno carta, la stomia e la
cute peristomale vanno deterse con acqua tiepida e sapone, successivamente vanno
asciugate tamponando delicatamente. Durante la pulizia dello stoma si può
verificare un lieve sanguinamento per microlesioni della mucosa, provocate dalla
manovra. Eventuali arrossamenti o ulcerazioni, a meno che siano dovute ad
allergia al materiale della placca, non sono una controindicazione all’applicazione
del presidio.
· Dopo aver deterso la stomia occorre:
- verificare che il foro della placca sia delle stesse dimensioni della stomia, perché
se è più grande favorisce il contatto delle feci con la cute, se è più piccolo può
provocare edema stomale;
- proteggere la cute peristomale, su indicazione del terapista, mediante
l’applicazione di una pasta barriera che va modellata con le dita bagnate e lasciata
asciugare per circa 30 secondi;
- fare aderire bene la placca alla cute, senza formare grinze. Se il paziente ha un
addome villoso, va eseguita la tricotomia per facilitare l’aderenza della placca e
ridurre l’insorgenza di microlesioni cutanee quando la si rimuove.
· Per prevenire disidratazione e arrossamenti:
- distribuire un velo di crema barriera e attendere che si sia assorbita;
- applicare un pezzetto di pasta sulla pelle;
- modellare la pasta stendendola dall’interno verso l’esterno;
- procedere all’applicazione di un nuovo sistema di raccolta.
· L’irrigazione è una tecnica che favorisce l’evacuazione della feci, con acqua
potabile introdotta nella stomia (lavaggio colico). Questa manovra se associata a
una dieta povera di scorie riesce a garantire la continenza in media per 48 ore. Ciò
consente di allungare i tempi del cambio della sacca di raccolta (una volta ogni 2
giorni invece che una o più volte al giorno) e di ridurre le alterazioni cutanee.
Questa tecnica viene eseguita anche in preparazione a esami diagnostici e
interventi chirurgici.
· Nelle 6-8 settimane dopo l’intervento si sconsiglia l’assunzione di alimenti
ricchi di fibre per evitare evacuazioni frequenti. L'alimentazione del soggetto
stomizzato seppur varia deve limitare il consumo di alimenti ricchi di scorie
(evitare i cereali integrali). La frutta va consumata senza buccia e preferibilmente
centrifugata. Preferire grassi vegetali e non fritti, evitare e/o limitare il consumo di
formaggi, uova, frattaglie, salumi, carni e pesci grassi (per esempio oca, anitra,
agnello, capitone, anguilla, aringa, salmone, sgombro, sardina).
Diagnosi infermieristiche
Modello percezione/gestione della salute
· Alto rischio di infezioni
· Alto rischio di lesioni
Modello nutrizione/metabolismo
· Alterazioni della nutrizione
· Alto rischio di carenza di liquidi
· Alto rischio di danneggiamento dell’integrità cutanea
Modello di ruolo/relazione
· Isolamento sociale
· Alterazione dei processi familiari
· Alterazione della comunicazione verbale
Modello percezione/concezione di sé
· Paura
· Ansia
· Alterazione dell’immagine corporea
MANCANO LE SOLUZIONI ALLE DIAGNOSI

INSUFFICIENZA RENALE.
Condizione patologica che compare quando i reni non sono più in grado di
funzionare in modo efficiente. I reni hanno il compito di depurare il sangue,
filtrando le sostanze dannose, e svolgono perciò un ruolo fondamentale nel
mantenimento dell'equilibrio interno dell'organismo.
I reni svolgono diverse azioni:
1. Rimozione dei prodotti di rifiuto e dei prodotti tossici (scorie prodotte dal
consumo di energia nei nostri organi per il loro lavoro, come azoto, creatinina,
radicali acidi, metaboliti di farmaci etc).
2. Rimozione dell’eccesso di liquidi e sali.
3 Regolazione della pressione arteriosa.
4. Produzione di eritropoietina, ormone che stimola la produzione di globuli rossi,
da parte del midollo osseo.
5. Regolazione del bilancio del calcio e del fosforo (elementi fondamentali per la
costituzione dell’osso), attraverso la produzione di vitamina D.
6. Mantenimento di un PH stabile, (cioè di una costante e giusta acidità) nel
sangue.
In poche parole il rene assicura l’armonia delle funzioni del nostro organismo
riequilibrando qualsiasi situazione di eccesso. Quando la funzione renale si altera,
perché i reni non sono in grado di trattenere gli elettroliti (sali minerali presenti
nelle cellule) oppure non riescono più a mantenere il livello di sostanze nocive nel
sangue entro una soglia ottimale, si ha l'insufficienza renale. 
L'insufficienza renale può essere acuta (IRA) o cronica (IRC).
Quella acuta è provocata da un deterioramento improvviso della funzionalità renale
(il blocco renale), ed è caratterizzata da ridotta produzione di urine (oliguria); può
essere causata da infezioni gravi, terapie farmacologiche, interventi chirurgici, un
improvviso e forte calo del flusso ematico ai reni .
L’Insufficienza renale cronica (IRC) è la perdita graduale e progressiva della
funzionalità renale. Essa è dovuta a differenti malattie renali come
glomerulonefriti, pielonefriti, calcolosi, malattie ereditarie come il rene policistico,
oppure essere secondaria ad altre patologie come il diabete, l’ipertensione grave e
patologie che provocano un ostacolo al normale deflusso urinario e uso di farmaci
nefrotossici come molti farmaci antinfiammatori. Tali malattie producono pian
piano col tempo la perdita di tessuto renale, dando luogo ad una condizione
clinico-metabolica chiamata “uremia” in cui si ha accumulo nel sangue dei prodotti
del metabolismo delle proteine e di urea, fino alla totale assenza di funzione del
rene. Non esiste una terapia specifica per contrastare la perdita della funzione
renale, ma esistono diversi mezzi con cui possiamo rallentarne la progressione e
consentire una qualità di vita migliore. Quando la funzione renale è arrivata a
livelli minimi il malato dovrà essere sottoposto ad un trattamento di dialisi per
poter continuare a vivere. Proprio perché tale processo è lento, il nostro organismo
si abitua a tale situazione clinica metabolica, e molti pazienti arrivano ad avere
necessità della dialisi senza sapere di avere una malattia renale.
I sintomi variano da persona a persona, avvolte l’insufficienza renale può essere
presente senza sintomi, fino a che non è tanto avanzata da richiedere la dialisi.
Tuttavia, alcuni “segnali” possono presentarsi fin dalle prime fasi della malattia ed
essere adeguatamente contrastati:
· L’ipertensione arteriosa: è un sintomo che accompagna l’insufficienza renale
spesso fin dalle primissime fasi;
· Gli edemi, cioè il gonfiore ai piedi, alle caviglie, alle gambe…:sono i liquidi
in eccesso che si accumulano in varie parti del corpo;
· L’astenia: quando i reni non ripuliscono adeguatamente il sangue, i prodotti
di scarto, chiamati tossine, si accumulano nell'organismo. Questo può provocare
affaticamento, perdita di appetito e prurito. L’astenia dipende anche dall’anemia e
migliora con le opportune cureche servono a riportare ivalori di emoglobina nella
norma.C'è un medicinale che agisce come l'ormone del corpo, l'eritropoietina,
stimolando la produzione di globuli rossi. Il farmaco può essere prescritto dal
medico per curare questo tipo di anemia;
· I crampi muscolari: possono dipendere da squilibri elettrolitici (derivati da
alterata concentrazione di sodio e potassio nel sangue) e possono essere prevenuti
bilanciando la terapia farmacologica;
· La dispnea, meglio parlare di “fame d’aria”: è da mettere in relazione con un
accumulo di liquidi nei polmoni; può essere preceduta da gonfiore degli arti
inferiori.
La diagnosi (sia per la forma acuta sia per quella cronica) si basa su una serie di
esami di laboratorio (Creatininemia, Azotemia, Sodio, Potassio, Cloro, Calcio,
Fosforo, Emocromo, Acido urico, esame delle urine, glicemia) e strumentali
(ecografia renale e vescicale, Tac, scintigrafia renale, urografia, biopsia). E’
fondamentale, quindi, affidarsi ad un nefrologo che ricercherà la causa della vostra
malattia con ulteriori esami strumentali ed ematochimici, e ne seguirà l’evoluzione
negli anni. Da diversi studi si è visto che i pazienti seguiti fin dalle prime fasi della
insufficienza renale cronica dal nefrologo arrivano alla dialisi in migliori
condizioni generali e meglio nutriti ed hanno una più alta aspettativa di vita.

Nel caso di insufficienza renale acuta la terapia è rappresentata dall'eliminazione


della causa che l'ha provocata, dal ripristino della diuresi e degli equilibri idro-
elettrolitici, dal trattamento delle infezioni. Nel caso della forma cronica, si devono
adottare severi cambiamenti nella dieta, passando a un'alimentazione priva di
sodio, con poche proteine (da favorire proteine di carne bianca) e fosfati, per
evitare ulteriori danni ai reni, e una terapia farmacologica che consenta di
correggere gli squilibri presenti nell'organismo. Nel caso dei pazienti ormai giunti
all'uremia, le uniche possibilità sono rappresentate dalla dialisi e dal trapianto
renale (quest'ultimo indicato soprattutto per i pazienti molto giovani). La forma più
completa di terapia è rappresentata dal trapianto; in più della metà dei casi, il rene
trapiantato funziona in modo ottimale anche dopo quindici anni dall'intervento. In
caso di fallimento del trapianto, il paziente torna alla dialisi, ma potrà in seguito
effettuare un nuovo tentativo.
LA DIALISI.
La dialisi è un processo che consente di purificare il sangue mediante un
macchinario specifico, il rene artificiale, la cui introduzione ha permesso di
garantire la sopravvivenza ai malati di insufficienza renale cronica. Infatti, fino agli
anni Sessanta, chi non poteva sottoporsi a trapianto di rene, arrivava alla sindrome
uremica terminale e inevitabilmente moriva nel giro di pochi giorni o alcune
settimane. Durante l’emodialisi il sangue viene fatto passare, pochi millilitri alla
volta, attraverso un filtro (rene artificiale) che rimuove le sostanze di rifiuto e i
liquidi in eccesso. Una volta filtrato il sangue ritorna nell’organismo.
Una volta individuati gli obiettivi, l’infermiere si prefissa determinati interventi
per migliorare lo stato di salute del paziente:
41. CONTROLLARE ADEGUATAMENTE LA PRESSIONE ARTERIOSA E
LA GLICEMIA
42. INFORMARE quindi istruire il paziente riguardo l’alimentazione
43. MANTENERE O RAGGIUNGERE IL PESO IDEALE, infatti è
fondamentale non sottoporre i reni ad uneccessivo carico di lavoro
44. CONTROLLARE L’ASSUNZIONE DEI LIQUIDI in quanto l’incremento
di peso tra una dialisi e l’altra è dovuto esclusivamente all’ acqua che non può
essere smaltita dai reni non funzionanti. L’eccessivo accumulo di liquidi è dannoso
per l’organismo e provoca un possibile aumento della pressione arteriosa.
L’apporto idrico giornaliero non deve superare il mezzo litro (sottoforma di acqua,
the, caffè o altro liquido).
5. CONTROLLARE L’ASSUNZIONE DI POTASSIO. La dieta deve essere
ipopotassica, ovvero povera di potassio. Il rene svolge un ruolo essenziale nella
regolazione della concentrazione di potassio, controllandone l’alimentazione.
Quando il rene non è in grado di fare ciò, il potassio tende ad accumularsi nel
sangue col rischio di provocare alterazioni del ritmo cardiaco (aritmie) fino
all’arresto cardiaco.
6. CONTROLLARE L’ASSUNZIONE DI SODIO. La dieta deve essere
iposodica, ovvero povera di sale, in quanto l’eccessivo uso di sale porta ad
aumento dellapressione e della sete. Se i liquidi in eccesso raggiungono alti livelli
compaiono edemi.
7. CONTROLLARE L’ASSUNZIONE DI FOSFORO. La dieta deve essere
ipofosforica, ovvero povera di fosforo. Il fosforo e il calcio sono importanti nel
controllo del metabolismo osseo, dal loro equilibrio dipende il mantenimento della
salute delle ossa.
8. CONTROLLARE L’APPORTO PROTEICO in modo tale da alleviare i
sintomo legati all’iperazotemia quali nausea, vomito, stanchezza, inappetenza; da
rallentare la perdita della funzione renale; da ridurre l’accumulo di fosforo ed
infine ciò contribuisce a prevenire l’acidosi metabolica.
9. OFFRIRE RASSICURAZIONE E CONFORTO trasmettendo un senso di
comprensione ed empatia
10. INCORAGGIARE IL PAZIENTE AD ESPRIMERE LE SUE PAURE E
PREOCCUPAZIONI.
DIAGNOSI INFERMIERISTICA.
· Squilibrio idroelettrolitico dovuto a insufficiente produzione di urina, e
ritenzione di sodio e acqua
Obiettivo: ristabilire l’equilibrio idroelettrolitico, con mantenimento del peso
corporeo ideale
INTERVENTI:
· Valutare lo stato di idratazione: peso corporeo giornaliero, bilancio idrico,
turgore della cute, presenza di edema, pressione arteriosa, polso e ritmo, frequenza
respiratoria;
· Limitare l’assunzione di liquidi al volume prescritto;
· Spiegare ai familiari e al paziente i motivi delle restrizioni prescritte.
VALUTAZIONE: il paziente non mostra rapidi cambiamenti di peso; è privo di
edema; parametri vitali nella norma.

DIAGNOSI INFERMIERISTICA.
· Disagio psicologico dovuto a stato di dipendenza, cambiamento del ruolo,
dell’immaginazione corporea e della funzione sessuale.
Obiettivo: aumento dell’autostima.
INTERVENTI:
· Spiegare al paziente e alla famiglia le procedure assistenziali che saranno
messe in atto per effettuare l’emodialisi;
· Spiegare al paziente la possibilità di mantenere la sua occupazione anche
con spostamenti continui di località;
· Permettere al paziente e ai familiari le limitazioni imposte dalla malattia del
trattamento;
· Informarlo delle risorse torritoriali a disposizione;
· Valutare con l’èquipe la possibilità di indirizzare il paziente e i familiari al
consulto con uno psicologo esperto in cura di pazienti in dialisi;
· Spiegare i possibili effetti dell’insufficienza renale cronica sulla funzione
sessuale e la sessualità con le possibili risoluzioni attuabili.
VALUTAZIONE
il paziente spiegherà le cause della riduzione della libido(volontà) e
dell’alterazione dell’attività sessuale, mostrerà di conoscere le risorse territoriali
attuabili e la capacità di pianificare il comportamento in caso di spostamenti dal
luogo di residenza.
Diagnosi infermieristica
· Rischio di complicanze dovute ad emodialisi
Obiettivo: gestire e ridurre al minimo le complicanze dell’emodialisi.
INTERVENTI:
· Valutare: cute, PA, polso apicale, atti respiratori, peso corporeo, accesso
vascolare, valori di pretrattamento di azotemia, creatininemia, sodio, potassio;
· Accertare se il paziente lamenta i seguenti sintomi: dolore toracico, dispnea,
crampi, cefalea, vertigini, nausea e vomito, obnubilamento visivo;
· Controllare l’istallazione dell’apparecchio per dialisi allo scopo di verificare:
presenza di aria nella linea, sicurezza delle connessioni, inserimento dell’allarme
per la presenza di aria, Sacca con soluzione fisiologica, collabimento a livello del
sito dell’ago arterioso;
· Durante la dialisi monitorare il paziente per rilevare segni e sintomi di
squilibri di potassio e sodio e di reazione trasfusionale come febbre, brividi,
cianosi, nausea, dolore toracico, dolore dell’arto superiore;
· Alternare i punti di inserzioni degli aghi per le successive sedute dialitiche,
chiedere al cliente se ha dolore nell’area d’ accesso, controllare la medicazione
dello shunt ogni 2 ore per verificare la presenza di sangue o sconnessione;
· Monitorare per rilevare manifestazioni di perdita di dialisato;
· Monitorare per rilevare la presenza di coaguli: osservare se vi è formazione
di coaguli nelle camere di gocciolamento, monitorare la PA ogni 15 minuti,
osservare se vi sono coaguli durante l’aspirazione della fistola, dello shunt e del
catetere in succlavia;
· Monitorare per rilevare segni e sintomi dell’embolia gassosa: cianosi,
dispnea, dolore toracico ansia e tosse persistente;
· Monitorare per rilevare segni e sintomi di sepsi: febbri, brividi, tachicardia,
nausea e vomito;
· Mantenere la temperatura del dialisato a 37,8 0C, valutare la presenza di
ipertermia, riferita sensazione di calore, cute calda al tatto, possibile cessazione
della sudorazione con anormale secchezza cutanea, cefalea e delirio, atti respiratori
rapidi e superficiali, tachicardia, sangue di colore rosso scuro.
Valutazione: il paziente non andrà incontro a complicanze

COLECISTECTOMIA
Meglio nota come cistifellea, la colecisti è un organo a forma di pera situato
appena sotto il fegato nella parte destra dell'addome. Il suo compito è quello di
raccogliere e conservare la bile prodotta dal fegato, concentrandola e riversandola
nell'intestino dopo i pasti, specialmente grassi, per favorire i processi digestivi. La
cistifellea, pertanto, non è un organo vitale ed i pazienti sottoposti a
colecistectomia sono in grado di riprendere una vita assolutamente normale.
Soltanto nei primi giorni o settimane dopo l'operazione, alcuni soggetti lamentano
problemi digestivi (diarrea), facilmente controllabili tramite farmaci opportuni;
recuperato l'intervento può persistere un'intolleranza digestiva ai pasti
particolarmente abbondanti e ricchi di grassi, oltre a fenomeni di reflusso
gastroesofageo.
La procedura elettiva per l'asportazione della colecisti è la colecistectomia
laparoscopica, che ormai da diversi anni ha in gran parte sostituito la procedura
chirurgica a cielo aperto, definita colecistectomia open. I vantaggi della tecnica
laparoscopica sono importanti, sia in termini di costi sanitari che in termini di
benefici per il paziente. Non a caso, è nota per essere una tecnica chirurgica mini-
invasiva.
E' uno degli interventi più frequenti. Con questo intervento la colecisti viene
rimossa dopo legatura del dotto cistico e dell'arteria cistica (si isolano).

ACCERTAMENTO.
L'anamnesi e la visita si concentrano sulla comparsa del dolore addominale, del
disagio e dei fattori che tendono ad aggravarlo. Si constata se parecchie ore dopo
l'assunzione di cibo ricco in grassi compaia dolore addominale. L’anamnesi e la
visita includono anche informazioni circa lo stato
respiratorio, poiché l'intervento chirurgico richiede un’incisione addominale che
può interferire con la completa escursione respiratoria. Si considerano l'abitudine al
fumo e precedenti problemi respiratori. Una respirazione difficoltosa, la presenza
di tosse persistente o non efficace e di rumori respiratori avventizi vengono
annotati. Lo stato nutrizionale viene valutato attraverso la storia alimentare l'esame
generale e gli esami di laboratorio.

DIAGNOSI INFERMIERISTICA
In base ai dati ottenuti durante l'accertamento le principali diagnosi
infermieristiche per il paziente con patologie della colecisti sottoposto a chirurgia
sono le seguenti:
· Dolore e malessere correlati all'ostruzione delle vie biliari all'infiammazione
e alla distensione della colecisti.
· Alterato scambio di gas correlato con l'incisione chirurgica nell'addome
superiore.
· Compromessa integrità della cute causata dall'alterazione del drenaggio
biliare dopo intervento chirurgico.
· Alterata nutrizione dovuta a un'inadeguata secrezione della bile.
· Carenza di conoscenze circa l'attività di self-care dopo la dimissione.
PIANIFICAZIONE E ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI
OBIETTIVI:
cessazione/alleviamento del dolore, l'assenza di complicanze respiratorie, l'assenza
di complicanze postoperatorie nel drenaggio biliare, il miglioramento dell'apporto
nutrizionale e la comprensione dei metodi di self-care.

INTERVENTI INFERMIERISTICI
Interventi infermieristici postoperatori:
· liquidi somministrati per via endovenosa e può essere eseguita l'aspirazione
nasogastrica (il sondino è stato probabilmente inserito immediatamente
prima dell'intervento) per mitigare la distensione addominale.
· Acqua e altri liquidi possono essere somministrati per bocca dopo circa 24
ore e una dieta leggera iniziata più tardi dopo la ripresa dei rumori
peristaltici intestinali.
· Cessazione/alleviamento del dolore La sede sottocostale dell'incisione
costituisce probabilmente il motivo per cui, il paziente evita di girarsi, di
muoversi e di respirare profondamente, per non sollecitare la zona in cui è
stata praticata l'incisione chirurgica, il che gli provoca dolore. Poiché la
prevenzione delle complicanze postoperatorie richiede una ventilazione
completa dei polmoni e una graduale ripresa dell'attività, si possono
somministrare analgesici secondo le prescrizioni e il paziente viene aiutato a
muoversi nel letto, a tossire, a respirare profondamente e a camminare. L'uso
di un cuscino o l'applicazione di una leggera pressione sopra l'incisione
possono ridurre il dolore durante questi movimenti.
· Miglioramento dello stato respiratorio Questi pazienti, come tutti i pazienti
con incisione dell'addome superiore, sono particolarmente soggetti a
complicanze polmonari, quindi devono essere istruiti a respirare
profondamente ogni ora per espandere i polmoni completamente e prevenire
atelettasie. La deambulazione precoce previene le complicanze polmonari e
altre complicanze come le tromboflebiti. Le complicanze polmonari si
verificano maggiormente nell'anziano e nell'obeso.
· Drenaggio biliare e cura della cute Come menzionato in precedenza nei
pazienti sottoposti a colecistostomia o coledocostomia i drenaggi devono
essere connessi immediatamente a un sistema di raccolta e inoltre devono
essere sufficientemente fissati per lasciare al paziente la possibilità di
movimento. Quando il paziente cammina il sacco di raccolta del liquido di
drenaggio deve essere posto in una tasca o comunque bloccato al di sotto
della vita o del livello del coledoco.
· Dopo queste procedure chirurgiche il paziente viene controllato per rilevare
eventuali infezioni, perdite di bile nella cavità peritoneale o ostruzione del
drenaggio biliare. L'infermiere può notare un drenaggio non appropriato
osservando il colore delle sclere del paziente; infatti un’ostruzione
causerebbe un ritorno della bile al fegato e in circolo e quindi ittero.
L'infermiere dovrebbe anche notare e riportare dolori nel
· quadrante superiore destro addominale, nausea e vomito, perdita di bile
intorno alla sonda a T, feci color argilla e cambiamento dei parametri vitali.
· La bile può continuare a drenare dal drenaggio in quantità considerevoli per
un certo tempo necessitando quindi frequenti cambiamenti della fasciatura
esterna e protezione della cute dalle irritazioni. Creme all'ossido di zinco,
alluminio o petrolato prevengono l'effetto irritante della bile sulla cute.
· Per prevenire la totale perdita di bile, il drenaggio e il sistema di raccolta
possono essere alzati al di sopra del livello dell'addome cosicché la bile
drena esternamente solo se si sviluppa pressione nei dotti. La bile raccolta
viene misurata ogni 24 ore; la quantità, il colore e il carattere sono registrati.
Dopo parecchi giorni di drenaggio, i tubi possono essere pinzati per un'ora
prima e dopo ogni pasto con l'obiettivo di rilasciare la bile nel duodeno per
facilitare la digestione. Entro 7/14 giorni, i tubi di drenaggio sono rimossi
dalla colecisti o dal coledoco.
· In tutti i pazienti con drenaggio biliare le feci dovrebbero essere osservate
quotidianamente e il loro colore registrato. Campioni di urine e di feci
possono essere inviati al laboratorio per l'esame dei pigmenti biliari. In
questo modo è possibile determinare se i pigmenti biliari sono nuovamente
drenati nel duodeno e stanno scomparendo dal circolo. Si tiene un'attenta
registrazione dell’assunzione ed escrezione di liquidi nell'arco delle 24 ore.
· Miglioramento dello stato nutrizionale Immediatamente dopo l'intervento,
la dieta del paziente deve essere a basso contenuto di grassi e ricca in
carboidrati e proteine. Alla dimissione il paziente non riceve generalmente
istruzioni alimentari particolari, a parte quella di seguire una dieta nutriente
e povera di grassi. La restrizione deve durare 4-6 settimane, cioè il tempo
necessario perché i dotti biliari siano in grado di dilatarsi per accogliere la
bile che proviene dalla colecisti e l'ampolla del Vater funzioni nuovamente.
Dopo di ciò, in seguito a un pasto grasso verrà rilasciato nel tratto digestivo
un adeguato quantitativo di bile per l'emulsione e la digestione dei lipidi.
Prima di ciò la digestione dei lipidi potrebbe essere incompleta o inadeguata
e alcuni soggetti potrebbero accusare flatulenza. Comunque, uno degli
obiettivi dell’intervento alla colecisti è la possibilità di seguire nuovamente
una dieta normale.
· Educazione del paziente e assistenza sanitaria domiciliare Poiché la
dimissione dall'ospedale può avvenire quando i tubi di drenaggio sono
ancora inseriti, il paziente e i familiari devono essere istruiti a compiere le
cure relative, alla manutenzione appropriata e a segnalare tempestivamente
al medico cambiamenti della quantità e delle caratteristiche del drenaggio.
Una medicazione appropriata allevierà l'ansia che il paziente prova per il
fatto di tornare a casa con il drenaggio inserito. Egli dovrebbe essere istruito
sulla terapia farmacologica (vitamine, anticolinergici e antispastici) e
sull'azione dei vari farmaci; inoltre dovrebbe sapere quali sintomi devono
essere segnalati al medico: ittero, urine scure, feci chiare, prurito e segni di
infiammazione e di infezione, come dolore o febbre.
· Alcuni pazienti notano scariche diarroiche, con 1-3 evacuazioni al giorno,
come conseguenza del continuo gocciolamento della bile attraverso la
giunzione coledoco-duodenale dopo colecistectomia. Generalmente, tale
frequenza diminuisce in un periodo di poche settimane o alcuni mesi. Le
visite di controllo sono essenziali per questi pazienti.

VALUTAZIONE:
1. Il paziente non ha più dolore:
a. Riferisce una diminuzione di dolore da colecistite e colelitiasi e assenza di
dolore postoperatorio nel punto dove è stata praticata l'incisione.
b. Evita di sollecitare il punto dell'incisione addominale per diminuire il dolore.
c. Evita cibi che causano dolore.
d. Assume analgesici dopo l'intervento come prescritto.
e. Utilizza appropriate attività preventive quando non ha più dolore postoperatorio
(per es., cambiamenti di posizione, colpi di tosse, respiri
profondi, deambulazione).
2. Il paziente non presenta complicanze respiratorie:
a. Non ha febbre, tosse o iperventilazione.
b. Dimostra completa escursione respiratoria con inspirazioni ed espirazioni
profonde.
c. Tossisce efficacemente, usando il cuscino per bloccare il punto dell'incisione
addominale.
d. Adopera analgesici dopo l'intervento come prescritto.
e. Esegue esercizi come descritto (per es., cambiamenti di posizione,
deambulazione).
3. Il paziente mostra normale integrità della cute vicino al sito di drenaggio
biliare:
a. Non ha febbre dolore addominali, cambiamenti nei segni vitali, o bile intorno al
tubo di drenaggio.
b. Dimostra o riferisce una graduale diminuzione del drenaggio biliare.
c. Riferisce che cute, mucose, feci e urine sono di colore normale.
d. Dimostra un'appropriata gestione del catetere; identifica complicanze da
riportare (per es., rossore o drenaggio purulento).
e. Dimostra che la cute intorno al raccordo T o al tubo di drenaggio è intatta e priva
di escoriazioni.
f. Identifica segnali e sintomi di ostruzione biliare che devono essere notati e
riferiti.
g. I livelli di bilirubina serica sono entro i valori normali.
4. Il paziente non ha intolleranze alimentari:
a. Mantiene un adeguato apporto alimentare.
b. Evita cibi che causano sintomi gastrointestinali.
c. Riferisce una diminuita incidenza o assenza di nausea, vomito, diarrea,
flatulenza e disagio addominale.

PAZIENTE ONCOLOGICO

In ogni stadio del cancro il paziente deve essere sottoposto ad esame perché
possano essere identificati gli eventuali fattori predisponenti ad infezione; è questa
infatti la causa principale di mortalità tra i pazienti oncologici. L'infermiere
controlla i dati di laboratorio, soprattutto l'emocromocitometrico per individuare
precocemente alterazioni nei globuli bianchi. Siti comuni di infezione, quali la
faringe, la cute, la zona perianale, l'apparato urinario e quello respiratorio, devono
essere controllati con frequenza. È tuttavia importante ricordare che i segni tipici di
infezione (febbre, gonfiore, arrossamento, drenaggio e dolore) possono essere
assenti nel paziente immunosoppresso. Va tenuta sotto controllo la sepsi
soprattutto se sono stati posizionati cateteri invasivi o sonde da infusione. La
funzionalità dei globuli bianchi è spesso alterata nei pazienti oncologici. La
diminuzione dei globuli bianchi circolanti è definita leucopenia ogranulocitopenia.
Il paziente viene inoltre sottoposto a controllo per l'individuazione di fattori che
possono contribuire ad emorragie, tra cui la mielosoppressione in conseguenza di
chemioterapia o radioterapia o somministrazione di altri farmaci, per esempio
l'aspirina, la persantina, l’eparina o la warfarina, che interferiscono con il
funzionamento della coagulazione e delle piastrine. Siti frequentemente associati
ad emorragie sono la cute e le membranemucose, il cervello e gli apparati
intestinale, urinario e respiratorio. Devono essere controllati e riferiti eventuali
abbondanti sanguinamenti, nonché suppurazione ai siti di iniezione, contusioni
(ecchimosi) edalterazioni dello stato mentale che possono essere indice di
emorragia intracranica. Nel paziente oncologico l'integrità cutanea e tessutale è a
rischio a causa degli effetti della chemioterapia e radioterapia, di interventi
chirurgici e di procedure invasive a scopo diagnostico e terapeutico. Come parte
dell’accertamento, l'infermiere identifica l'eventuale presenza di questi fattori
predisponenti e di altri possibili fattori di rischio, quali deficit nutrizionali,
incontinenza fecale e urinaria, immobilità, immunosoppressione e modificazioni
legate all'età. Rileva inoltre lesioni o ulcerazioni cutanee causate dal tumore.
Alterazioni nell'integrità tessutale dell’apparato gastrointestinale sono
particolarmente fastidiose per il paziente. Una parte importante dell'assistenza è la
valutazione dello stato nutrizionale del paziente; alterazioni di tale stato e cali
ponderali possono verificarsi a causa degli effetti di un tumore locale, di una
patologia sistemica, di effetti collaterali legati alla terapia, dello stato emotivo del
soggetto.
Il peso del paziente e il suo apporto calorico devono essere rilevati
quotidianamente. Dolore e malessere possono essere legati al tumore, alla
pressione che esso esercita, a procedure diagnostiche o a molte delle terapie
utilizzate. Come in ogni altra situazione che comporti la presenza di dolore, anche
nel caso di cancro la sofferenza è condizionata da fattori fisici e psicosociali.Oltre
a verificare l'origine e la localizzazione del dolore, l'infermiere esamina anche i
fattori che possono aumentarne, nel paziente, la percezione,
quali paura e apprensione, senso di spossatezza, rabbia ed isolamento sociale. La
scala di valutazione del dolore (si veda il capitolo. 15) è utile sia per identificare il
livello di sofferenza prima di intraprendere terapie antalgiche, sia per valutare la
risposta del paziente a tali terapie.
Sebbene il senso di spossatezza sia un sintomo comune a tutti gli individui, nel
malato di cancro questo è spesso un problema cronico.L'infermiere osserva il
paziente per individuare la presenza di affaticamento, debolezza, mancanza di
energia e incapacità di assolvere alle necessità quotidiane. L'accertamento del
paziente oncologico non deve limitarsi alla constatazione delle alterazioni
fisiologiche che possono verificarsi nel corso dellamalattia, ma deve considerare
anche lo stato psicologico e mentale del soggetto e dei suoi familiari nell'affrontare
questa esperienza così minacciosa,test diagnostici e modalità di trattamento
spiacevoli, progressione della malattia. Vanno osservati l’umore e le reazioni
emotive della persona airisultati dei test diagnostici e alla prognosi, nonché il suo
passaggio attraverso i vari stadi di afflizione e il suo rapporto con i familiari nel
comunicar loro la diagnosi e la prognosi. Il paziente oncologico è costretto ad
affrontare molte alterazioni della propria immagine del corpo nel corso della
malattia e del trattamento.
L'ospedalizzazione è spesso accompagnata da una perdita di identità; inoltre vi
sono enormi minacce all'autostima allorché la persona prende coscienza della
malattia, di possibili infermità e della morte.
DIAGNOSI INFERMIEIRISTICHE.
Sulla base dei dati ricavati dall'accertamento, la diagnosi infermieristica del
paziente oncologico può rilevare le seguenti situazioni:
· Alto rischio di infezione collegato alle alterazioni della risposta
immunologica.
· Alto rischio di lesioni legate ad emorragie.
· Danni tessutali conseguenti agli effetti della terapia e della malattia stessa.
· Alterazioni nutrizionali, alimentazione inferiore alle necessità
dell'organismo, a causa di uno stato anoressico e modificazioni
· gastrointestinali.
· Dolore e malessere dovuti alla malattia e agli effetti collaterali della terapia.
· Facile affaticabilità dovuta ad agenti di stress fisici e psicologici.
· Afflizione in previsione di perdita o di alterazione del ruolo.
· Alterazione dell'immagine del corpo a causa di modificazioni nell'aspetto
fisico e nel ruolo.

PIANIFICAZIONE E ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI.


OBIETTIVI:
Gli obiettivi principali possono includere la prevenzione di infezioni, la
prevenzione di lesioni dovute ad emorragie, il mantenimento dell'integrità
tessutale, il mantenimento dello stato nutrizionale, l'alleviamento del dolore e del
senso di stanchezza, il controllo dello stato psicologico e il miglioramento
dell'immagine del corpo.

INTERVENTI INFERMIERISTICI
Prevenzione delle infezioni -> Nonostante i progressi nell'assistenza al paziente
oncologico, l'infezione rimane la causa principale di decesso. Le difese contro le
infezioni sono compromesse in molti modi differenti. L’integrità della cute e della
membrana mucosa, che costituiscono la prima linea di difesa dell'organismo, è
minacciata da varie procedure diagnostiche e terapeutiche invasive dagli effetti
collaterali della radioterapia e chemioterapia e dalle conseguenze negative
dell'immobilità. Uno stato nutrizionale indebolito da anoressia, nausea, vomito,
diarrea e dal processo maligno sottostante può alterare la capacità dell'organismo di
reagire ad agenti estranei che lo invadono. Farmaci quali gli antibiotici alterano
l'equilibrio della flora batterica normale, permettendo la crescita di organismi
patogeni. Anche altri farmaci possono anche alterare la risposta immunitaria (vedi
il capitolo 48). Il cancro stesso può avere azione immunosoppressiva: malattie
quali leucemie e linfomi sono spesso associate ad alterazioni dell'immunità
cellulare ed umorale. Un tumore in stadio avanzato può portare ad ostruzione dei
visceri cavi e dei vasi sanguigni e linfatici,
creando un ambiente favorevole alla proliferazione di agenti patogeni. In alcuni
pazienti le cellule tumorali infiltrano il midollo osseo e impediscono la normale
produzione di globuli bianchi. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la
diminuzione della conta dei globuli bianchi è dovuta a mielosoppressione in
seguito a chemioterapia o radioterapia. Le infezioni che colpiscono il paziente
mielosoppresso o immunosoppresso sono molto spesso contratte durante la
degenza in ospedale, come conseguenza di organismi divenuti parte della flora
batterica del paziente dopo essere stati acquisiti nell'ambiente ospedaliero. I
patogeni più
pericolosi sono i bacilli gram-negativi quali lo Pseudomonas aeruginosa e
l'Escherichia coli. Anche bacilli gram-positivi quali lo Staphilococcus aureus e
organismi fungini come la Candida albicans possono contribuire a gravi infezioni.
Nel paziente immunocompromesso il sintomo principale di infezione è la febbre.
Sebbene essa possa essere imputata anche a varie condizioni non infettive, inclusa
la neoplasia maligna sottostante, qualsiasi temperatura di 38.3° C (101° F) o più
deve essere riferita al medico e sottoposta a immediato trattamento. Possono esser
prescritti antibiotici dopo avere ottenuto i risultati delle colture e dei test di
sensibilità dai liquidi di drenaggio, essudato, espettorato, urine, feci o sangue.
Pazienti granulocitopenici (con una diminuita conta dei globuli bianchi) devono
essere trattati con
antibiotici ad ampio spettro prima che sia individuata l'origine dell'infezione; ciò è
necessario in quanto, in tali pazienti, vi è un'alta incidenza di mortalità associata ad
infezioni non trattate. L'uso di antibiotici ad ampio spettro o una terapia empirica
consistono in una combinazione di farmaci che forniscono al paziente difese contro
la maggior parte degli organismi patogeni.
Prevenzione di lesioni legate ad emorragie-> La diminuzione del numero di
piastrine circolanti (trombocitopenia) è la causa più comune di emorragia nel
paziente oncologico. La trombocitopenia è spesso la conseguenza di una
mielosoppressione provocata da determinati tipi di chemioterapia e radioterapia.
Anche l'infiltrazione tumorale del midollo può alterare la normale produzione di
piastrine. In alcuni casi la distruzione piastrinica è associata ad ipersplenismo
(aumento di volume della milza) e ad una funzione alterata degli anticorpi che si
verifica in casi di leucemia e linfoma.
Mantenimento dell'integrità cutanea-> Il malato di cancro rischia lo sviluppo di
varie lesioni alla cute e alla membrana mucosa. L'infermiere di qualsiasi struttura
sanitaria è nella posizione ideale per valutare e aiutare il paziente e i suoi familiari
nella gestione di questi problemi. Tra le lesioni di più frequente riscontro vi sono
reazioni cutanee e tessutali a radioterapia, stomatiti, alopecia e lesioni cutanee
metastatiche. Il paziente che presenta reazioni tessutali e cutanee alla radioterapia
richiede una cura molto attenta della cute per evitare ulteriori irritazioni,
secchezza e lesioni. La cute della zona interessata deve essere trattata con
delicatezza, evitando sfregamenti e l'uso di acqua troppo calda o fredda, di saponi,
talco, cipria, lozioni e cosmetici. E possibile prevenire eventuali traumi indossando
abiti ampi che non stringano, irritino o sfreghino l'area colpita. Se si formano
vesciche, la bolla non deve essere rotta, per evitare il rischio di introdurre batteri. È
necessaria una cura in asepsi delle ferite.
Stomatite-> Si tratta di un problema comune, causato da radioterapia e
chemioterapia, consistente in una risposta infiammatoria dei tessuti orali che da un
eritema ed edema leggero può trasformarsi in ulcerazione dolente, sanguinamento
e infezione secondaria. Questa condizione si sviluppa per lo
più 5-14 giorni dopo la somministrazione di alcuni agenti chemioterapici quali
doxorubicina e 5-fluorouracile, oppure dopo un'irradiazione alla testa e al collo.
Nei casi più gravi la terapia deve essere temporaneamente sospesa fino alla
risoluzione dell'infiammazione.
Le labbra devono essere sempre inumidite e possono essere prescritti anestetici o
agenti antifungini ad uso topico per favorire la guarigione e alleviare il dolore. In
presenza di forte dolore l'infermiere deve incoraggiare e aiutare il paziente ad
assumere i farmaci prescritti e a mantenere un adeguato apporto di liquidi e di cibo.
Alopecia-> La perdita temporanea o permanente, parziale o totale, dei capelli,
definita alopecia, è un potenziale effetto collaterale di alcune forme di radioterapia
e di molati agenti chemioterapici. L'estensione dell'alopecia dipende dalla dose e
dalla durata della terapia. Tale fenomeno è dovuto al
danneggiamento delle cellule staminali e dei follicoli piliferi in conseguenza al
quale i capelli divengono fragili e cadono oppure si rompono a livello di superficie
del cranio. La perdita di altri peli del corpo è meno frequente.
Il paziente va incoraggiato ad acquistare una parrucca prima che si verifichi la
caduta dei capelli,
in modo che la scelta possa avvenire in base alle caratteristiche della capigliatura
reale. L'uso di foulard o cappelli alla moda può far sentire il paziente più a suo agio
dal punto di vista estetico. È, poi, un sollievo osservare la ricomparsa dei capelli al
termine della chemioterapia; tuttavia essi possono differire per colore e consistenza
da quelli antecedenti.
Mantenimento dello stato nutrizionale-> La maggior parte dei pazienti oncologici
evidenzia un calo ponderale durante la malattia. Anoressia, malassorbimento e
cachessia sono esempi dei problemi nutrizionali di più frequente riscontro.

IL TRAUMA CRANICO
Si intende una qualsiasi lesione al cranio o al cervello dovuta a un evento
traumatico.
SINTOMI: I sintomi e le conseguenze dipendono dalla gravità del trauma. La
commozione cerebrale si manifesta generalmente con una momentanea perdita di
conoscenza ed è di solito transitoria e reversibile. Anche se non comporta danni
permanenti, nei casi più gravi può portare a uno stato di coma. Quando si verifica
invece una distruzione dei tessuti cerebrali sottostanti si ha una contusione
cerebrale che è irreversibile e comporta dei danni permanenti. Un trauma cranico
può anche causare la rottura di un vaso sanguigno. Il sangue, in tal caso, fuoriesce
e si raccoglie tra le ossa craniche comprimendo il cervello. La formazione
dell'ematoma può essere anche non immediata e verificarsi alcune ore o anche
alcuni giorni dopo il trauma. Talvolta l'infortunato riprende coscienza per un breve
periodo, poi avverte mal di testa, vomita e può avere convulsioni ed entrare in
coma.

In presenza di una lesione al cervello, permanente o reversibile, l'infortunato


presenta sempre anisocoria, e cioè asimmetria dei diametri pupillari. In altre
parole, osservando le pupille, una sarà dilatata (stato di midriasi) e l'altra ristretta
(stato di miosi). La frattura del cranio può portare a emorragie da orecchio o naso.
Intervento ATTENZIONE: davanti a un trauma cranico, anche se appare lieve, è
necessario comportarsi sempre come se l'infortunato - anche se sembra normale -
abbia avuto delle lesioni, e portarlo in ospedale per controlli e accertamenti. Per
prima cosa, quando l'infortunato ha battuto il cranio, è necessario compiere
un'indagine sull'accaduto per vedere se il paziente presenta amnesie, difficoltà nel
parlare (afasia) o confusione mentale. Controllare sempre se c'è asimmetria
pupillare, segno evidente di un danno al cervello. Evitare sempre che il paziente si
addormenti, nonostante possa presentare una forte sonnolenza, in queste
circostanze, infatti, il sonno può degenerare in coma.
In attesa di una visita è consigliabile apporre sulla parte traumatizzata una borsa di
ghiaccio, per indurre una vasocostrizione. In caso di emorragie da orecchio o naso,
è bene porre l'infortunato in posizione di sicurezza per far defluire il sangue che
non deve rimanere all'interno.
ATTENZIONE: fare attenzione in questo caso che l'infortunato
non presenti fratture o lesioni alla colonna vertebrale, davanti a questo sospetto la
posizione di sicurezza potrebbe nuocere.
In caso di fratture esposte e di fuoriuscita di materiale cerebrale è necessario
coprire la parte con un telo sterile, il rischio di infezioni è elevato. Se il paziente
non è cosciente, in attesa dei soccorsi, controllare costantemente la presenza delle
funzioni vitali.
GRAVITA': Un trauma cranico, anche se appare lieve, richiede sempre
accertamenti e controlli in ospedale. Anche quando l'infortunato appare normale è
bene condurlo al pronto soccorso, le complicazioni possono a volte sorgere anche
dopo alcune ore e persino giorni. Se il trauma è forte e il paziente ha perso
coscienza, presenta amnesie, afasia o confusione mentale, è bene chiamare i
soccorsi.
Il danno cranico viene spesso svelato dalla presenza di lesioni lacero contusive od
ecchimotiche craniche, ma non è sempre così. I traumi più gravi si osservano nel
contesto di un politrauma, spesso con compromissione della respirazione e della
circolazione cerebrale per calo della pressione arteriosa. Questi due fattori, insieme
all'età, sono le variabili che più marcatamente incidono sul recupero dei
traumatizzati cranici in coma.
La sofferenza cerebrale viene rivelata da sonnolenza inusitata e cefalea, specie se
accompagnate da vomito, insieme indicative di un aumento della pressione
endocranica. L' anisocoria (una differenza del diametro pupillare), indica
un'erniazione cerebrale, ed è un segno immediato di allarme. Talora si associa a
"paralisi" (emiparesi od emiplegia) degli arti controlaterali.

Classificazione dei traumi ed il riconoscimento dei principali quadri clinici


osservabili:

DIAGNOSI:
La valutazione clinica immediata tende a valutare l'entità del trauma, distinguendo:
1. I traumi cranici leggeri; sono di norma asintomatici, ma possono
accompagnarsi a cefalea, vertigini soggettive, ferite cutanee, ma senza perdita della
coscienza. Solo nel caso di una ferita aperta per traumi di una certa energia vi è la
necessità di una Rx del cranio. I pazienti possono essere usualmente dimessi ma in
presenza di frattura cranica, specie nei bambini, si richiede un breve periodo di
osservazione (24-48 ore).

2. I traumi cranici di media gravità si accompagnano ad una perdita della


coscienza durante o subito dopo l'incidente. Per essi si impone un periodo di
osservazione di almeno 24 ore ed una TC del cranio. Nel sospetto di una frattura
cranica è necessaria una Rx del cranio. Allo stesso modo il sospetto di un trauma
cervicale rende necessario lo studio radiografico del tratto cervicale. La presenza di
cefalea progressiva, epilessia post-traumatica, amnesia o circostanze del trauma
poco chiare, traumi multipli, lesioni facciali imponenti, depressione cranica,
un'anamnesi positiva per abuso di droghe o alcool, o minori che hanno subito
violenza richiede comunque un periodo di osservazione ed una TC del cranio.
3. I traumi cranici severi comportano un'alterazione persistente della coscienza,
possono accompagnarsi a deficit neurologici focali o a lesioni craniche penetranti.
Di particolare severità sono quelli con un G.C.S. di <7.
L'esame neurologico deve essere accurato. Il Glasgow Coma Score consente una
rapida e precisa definizione delle condizioni cliniche. Si somma la migliore
risposta oculare, motoria, e verbale (O.M.V.): 15 è il valore normale, 7 indica
coma, e 5 coma profondo.
Bisogna escludere subito una lesione focale. L'indice più immediato è il diametro,
e la reattività pupillare e quindi la simmetria della risposta motoria. L'anisocoria
associata a deficit motorio controlaterale alla midriasi indica con certezza un'ernia
uncale transtentoriale da aumento della pressione distrettuale.
Le indagini radiologiche servono a definire la sede e l'entità del danno. La Rx del
cranio conserva la sua importanza nel sospetto di una frattura. Tipicamente la
frattura si produce per colpo diretto da corpo contundente, da caduta, o da contatto
agonistico.
Una TC del cranio urgente è indicata in caso di alterazione della coscienza in
concomitanza del trauma, deficit neurologici focali o G.C.S. < 15, deterioramento
progressivo, fratture depresse o comminute.
La Rx del rachide cervicale va sempre praticata nei traumi gravi, in presenza di
dolore cervicale o di sintomi midollari e/o radicolari. Ovviamente bisognerà
valutare la richiesta di altri esami radiografici in rapporto al quadro clinico (arti,
torace etc.). Infatti il 56-60% dei pazienti con G.C.S. < 7 presenta lesioni associate,
il 25% di tipo chirurgico.

DIAGNOSI INFERMIERISTICA.
Basandosi sulla valutazione di tutti i dati, le principali diagnosi infermieristiche del
paziente possono includere:
· Difficoltà di ventilazione relativa all'ipossia.
· Disidratazione relativa all'alterazione di coscienza e alle disfunzioni
ormonali.
· Nutrizione insufficiente, per le alterazioni metaboliche, restrizioni idriche e
introiti inadeguati.
· Rischio elevato di comportamento violento (contro se stesso o altri) relativo
a disorientamento, agitazione e danno cerebrale.
· Compromissione dei processi mentali (perdita delle funzioni intellettuali,
comunicative, mnemoniche e di elaborazione) risultanti
· dalla lesione alla testa.
· Possibilità di inadeguato adattamento dei familiari relativo ad apatia del
paziente, esito imprevedibile, periodo di recupero prolungato e deficit
residui fisici ed emozionali del paziente.
Può essere anche formulata una diagnosi infermieristica per il paziente non
cosciente e per il paziente con un'aumentata pressione endocranica
(entrambe sono discusse nel cap. 56).

PIANIFICAZIONE E ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI.


OBIETTIVI.
Gli obiettivi del paziente possono includere il mantenimento della funzionalità
respiratoria e dell'equilibrio idro-elettrolitico, il
conseguimento di un adeguato stato nutrizionale, la prevenzione di lesioni, il
miglioramento delle funzionalità cognitive e il raggiungimento di un adattamento
positivo dei familiari.

INTERVENTI INFERMIERISTICI
Non appena sono stati eseguiti la valutazione iniziale e i test diagnostici, si
annotano le alterazioni neurologiche. La figura 57-11 è un grafico che include la
continua valutazione infermieristica, le priorità nei relativi interventi e la
riabilitazione per il paziente con trauma cranico.
Mantenimento della funzionalità respiratoria-> Uno dei più importanti obiettivi
infermieristici nel trattamento del paziente con lesione alla testa è di stabilire e
mantenere una adeguata respirazione. Il cervello è estremamente vulnerabile
all'ipossia e la compromissione neurologica può peggiorare se l'ossigenazione è
inadeguata. La terapia è diretta verso il mantenimento di una adeguata ventilazione
per assicurare il flusso di sangue ossigenato al cervello e preservare la funzionalità
cerebrale. Un’ostruzione delle vie respiratorie causa ritenzione di CO2 e
ipoventilazione, che produce la
dilatazione dei vasi cerebrali e aumenta la pressione endocranica.
Gli interventi terapeutici e infermieristici per assicurare un adeguato scambio
gassoso sono riassunte nel capitolo 56 e includono:
· Porre il paziente non cosciente in una posizione che faciliti il drenaggio delle
secrezioni orali, con la testa del letto elevata di circa
· 30 gradi per diminuire la pressione venosa endocranica
· Procedere ad aspirazioni efficaci (le secrezioni polmonari producono tosse e
sforzi con un aumento di pressione endocranica).
· Vigilare su una insufficienza respiratoria; e aspirazione patologica
· Effettuare emogasanalisi arteriosa per accertare che la ventilazione sia
adeguata (l'obiettivo è di mantenere normali i gas ematici per
· assicurare un adeguata ossigenazione cerebrale).
· Controllare il paziente sottoposto a ventilazione meccanica.
Equilibrio idro-elettrolitico-> un danno al cervello può produrre disturbi
metabolici e ormonali. Il controllo delle concentrazioni di elettroliti plasmatici è
importante, specialmente nei pazienti che ricevono diuretici osmotici, che
presentano una secrezione anormale di ormoni antidiuretici e che soffrono di
diabete insipido post-traumatico.
· si dosano gli elettroliti plasmatici e urinari e si misura l'osmolarità urinaria
perché le lesioni alla testa possono essere accompagnate da squilibri nella
regolazione del sodio. La ritenzione di sodio può durare diversi giorni,
seguita da una sua eliminazione con la diuresi.
Letargia, confusione e convulsioni crescenti possono essere dovute allo squilibrio
elettrolitico.
· si valutano disfunzioni endocrine misurando i valori degli elettroliti e del
glucosio plasmatici, oltre alle loro entrate e uscite.
· si analizza l'urina per la presenza di acetone.
· si annota il peso specifico delle urine, specialmente se l’ipotalamo è
coinvolto ed esiste il rischio di diabete insipido.
Fornire un'adeguata nutrizione-> Le lesioni cerebrali provocano alterazioni
metaboliche che aumentano il consumo calorico e la escrezione azotata. Anche la
terapia con steroidi aumenta lo stato catabolico. Appena le condizioni del paziente
sono stabili, si inizia l'alimentazione per via nasogastrica, se non è controindicata
per una perdita dal naso di liquido cerebrospinale (rinorrea cerebrospinale).
Dosi piccole e frequenti diminuiscono la possibilità di vomito e diarrea.
L'elevazione della testa del letto e l’aspirazione nasogastrica prima
dell'alimentazione (per evidenza di cibi residui alimentari nello stomaco) sono
misure usate per prevenire la distensione, il rigurgito e l’aspirazione. Per regolare il
nutrimento si può usare un’infusione continua a goccia o una pompa. I principi e le
tecniche dell'alimentazione per via nasogastrica sono
discusse nel capitolo 35. Il sondino di nutrizione rimane solitamente in sede fino al
ritorno del riflesso di deglutizione.
Prevenzione di lesioni-> Quando il paziente esce dal coma vi è un periodo di
letargia e autismo acinetico seguito da un periodo di agitazione. Ogni fase varia, a
seconda dell'individuo, della profondità e della durata del coma e dell'età. Il
paziente che emerge dal coma può divenire maggiormente agitato verso la fine del
giorno. L'irrequietezza può essere dovuta a ipossia, febbre, dolore o a distensione
della vescica. Può indicare lesione del
cervello ma è anche segno che il paziente sta riprendendo coscienza (una moderata
agitazione può essere di beneficio perché esercita i polmoni e gli arti). L'agitazione
può essere inoltre dovuta al fastidio procurato dal catetere vescicale permanente,
dalle linee endovenose, dalle restrizioni e dai
ripetuti controlli neurologici.
· Ci si assicura che la respirazione sia adeguata e che la vescica non sia
distesa. Si controllino bendaggi e ingessature per compressione.
· Per evitare autolesioni e la rimozione dei drenaggi, si usano sponde del letto
imbottite e il paziente può indossare guanti. Le restrizioni fisiche devono
essere evitate quando possibile perché gli sforzi per liberarsi possono
alterare la pressione endocranica o causare altre lesioni.
· L'inquietudine non deve essere controllata con narcotici, perché queste
sostanze deprimono la respirazione, restringono la pupilla e alterano il
livello della coscienza del paziente.
· L'uso di un letto da pavimento (materasso sul pavimento circondato da
imbottiture) permette la libertà dei movimenti e la sicurezza del paziente.
· Gli stimoli ambientali devono essere tenuti al minimo assicurando una
stanza tranquilla, limitando i visitatori, parlando piano e dando
· frequenti informazioni orientative (per es. Spiegando al paziente dove è e
che cosa stanno facendogli).
· Una illuminazione adeguata può prevenire allucinazioni visive.
· Il ciclo di sonno e veglia del paziente non deve essere interrotto.
· La cute deve essere trattata con oli e lozioni emollienti per prevenire
irritazioni da sfregamento contro le lenzuola.
· Se vi è incontinenza, si può usare un catetere esterno per il paziente maschio.
L'uso prolungato di un catetere a permanenza inevitabilmente
· porta a infezioni, perciò il paziente può essere cateterizzato a intermittenza.
Miglioramento delle funzioni cognitive-> Sebbene molti pazienti con danno
cerebrale sopravvivano grazie alla tecnica di rianimazione e di supporto,
frequentemente essi riportano significative sequele mentali che possono non essere
notate durante la fase acuta. La perdita cognitiva
include lacune di memoria, diminuzione della capacità di concentrazione
(distrazione), riduzione della facoltà di elaborazione e lentezza di pensiero,
percezione, comunicazione, lettura e scrittura. Dal 25% al 38% di queste persone
sviluppano problemi psichiatrici. Queste limitazioni psicosociali,
comportamentali ed emotive sono devastanti per i familiari come per il paziente.
Questi problemi richiedono una collaborazione tra molte discipline. Un
neuropsichiatra (specializzato nella valutazione e nel trattamento di problemi
cognitivi) stabilisce un programma e inizia una terapia destinata ad aiutare il
paziente a raggiungere le sue massime potenzialità. Le attività di riabilitazione
cognitiva sono dirette a rigenerare la capacità del paziente a ideare nuove strategie
per risolvere i problemi. La riabilitazione è a
lungo termine e include l'uso di programmi educativi con computer, videogames,
stimolazione e rinforzo sensoriali, modificazioni comportamentali e orientamenti
nella realtà. È necessaria l’assistenza di molteplici discipline durante questa fase di
recupero. La capacità intellettuale può rimanere
immutata, ma gli aspetti sociali e comportamentali possono migliorare.
L'infermiere deve sapere che vi sono delle fluttuazioni nell'orientamento e nella
memoria di questi pazienti. Sono facilmente distratti e spinti oltre
i limiti della loro funzionalità corticale indebolita possono manifestare sintomi di
fatica e di stress (mal di testa, vertigini).
Educazione sanitaria del paziente e dei familiari-> Gravi lesioni alla testa
possono produrre stress intenso e prolungato all'interno della famiglia per i limiti
fisici ed emotivi del paziente, l'esito imprevedibile e i cambiamenti nei rapporti
familiari. I membri della famiglia riferiscono difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti
di temperamento, comportamento e personalità del paziente. E tutto questo
associato alla compromissione della coesione nella famiglia, alla perdita di attività
ricreative e della capacità lavorativa, oltre che all'isolamento sociale e al peso della
responsabilità di chi assiste il paziente. I familiari possono provare periodicamente
sentimenti quali rabbia, afflizione, senso di colpa e rifiuto.
Si chiede ai familiari quali differenze trovino nel paziente al momento. Che cosa è
stato perso? Qual è la difficoltà da affrontare in questa situazione? Gli interventi
utili includono una informazione accurata e onesta e l’incoraggiamento a
continuare, a porsi obiettivi ben definiti, comuni e a breve termine. La consulenza
familiare aiuta a far fronte all'acuto senso di perdita e di impotenza e offre una
guida su come reagire a un
comportamento inappropriato. I gruppi di supporto organizzano incontri per
condividere problemi, sviluppare soluzioni, ottenere informazioni, trovare
comprensione e assistenza nel mantenimento oltre ad aspettative realistiche e
speranza.
Esistono centri di assistenza che offrono punti di riferimento e risorse disponibili ai
pazienti traumatizzati cranici e alle loro famiglie e che possono fornire specifiche
informazioni circa il coma, la riabilitazione, le conseguenze comportamentali della
lesione e i problemi familiari. Queste organizzazioni possono procurare i nomi di
istituzioni e professionisti che lavorano con persone con lesioni alla testa e possono
assistere le famiglie
nell'organizzazione di gruppi locali di supporto.
Il paziente viene incoraggiato a continuare il programma di riabilitazione dopo la
dimissione, perché vi possono essere miglioramenti nel suo stato per 3 o più anni.
L’emicrania può essere un chiaro indice di recupero. Un secondo cuscino o
sostegno per la schiena, possono essere di aiuto per
alleviare il dolore alla testa.
Dato che si verificano frequentemente convulsioni, possono essere prescritti
anticonvulsivanti per 1 o 2 anni dalla lesione. Il paziente viene incoraggiato a
tornare gradualmente alle normali attività.

VALUTAZIONE
1. Il paziente raggiunge e mantiene adeguate la funzionalità respiratoria,
ventilazione e ossigenazione del cervello:
a. I risultati dell'emogasanalisi sono nella norma.
b. I rumori respiratori sono normali all'auscultazione.
c. Il paziente riesce a espellere le secrezioni.
2. L'equilibrio idroelettrolitico è mantenuto:
a. Gli elettroliti plasmatici sono normali.
b. Non vi sono segni clinici di disidratazione o iperidratazione.
3. Lo stato nutrizionale è adeguato:
a. Il ristagno gastrico prima di ogni alimentazione nasogastrica e inferiore ai 50
mL.
b. Assenza distensione gastrica e vomito.
c. La perdita di peso è minima.
4. Il paziente evita lesioni:
a. È meno agitato e più riposato
b. È orientato nel tempo-spazio-persona.
5. Il paziente progredisce nei processi cognitivi:
a. Manifesta meno comportamenti inappropriati.
b. Vi è miglioramento nella memoria.
c. Espone piani realistici.
6. I membri della famiglia dimostrano capacità di adattamento:
a. Frequentano gruppi di supporto.
b. Sono disposti a identificare le aree problematiche.
c. Condividono i loro sentimenti con il personale medico.
Riassumendo, i traumi cranici possono essere gravi e potenzialmente mortali o
lievi con pochi segni e sintomi permanenti.

DRENAGGIO TORACICO

Un intervento fondamentale per migliorare lo scambio gassoso e la respirazione è


l'attuazione appropriata del drenaggio toracico. Dopo l'intervento, per riespandere
il polmone interessato ed eliminare l'eccesso di aria e liquido (o sangue), vengono
utilizzati tubi toracici e un sistema di drenaggio chiuso.
Il normale meccanismo della respirazione opera in base al principio della pressione
negativa (la pressione nella cavità toracica è inferiore a quella atmosferica,
cosicché l'aria si sposta entro i polmoni durante l'inspirazione). Quando, per
qualsiasi ragione, il torace viene aperto vi è una perdita di pressione negativa e ciò
può provocare un collasso del polmone . L'accumulo di aria, liquido o altre
sostanze nel torace può compromettere la funzione cardiopolmonare e causare
anche il collasso del polmone. Le sostanze patologiche che si raccolgono nello
spazio pleurico includono la fibrina (o sangue coagulato), liquidi (liquidi sierosi,
sangue, pus, chilo) e gas (aria dai polmoni, dall’albero tracheobronchiale o
dall'esofago).
L'incisione chirurgica della parete toracica provoca quasi sempre un certo grado di
pneumotorace. Aria e liquido si raccolgono nello spazio intrapleurico, limitando
l'espansione dei polmoni e riducendo lo scambio d'aria. In fase postoperatoria è
necessario mantenere evacuato lo spazio pleurico e mantenere la pressione
negativa all’interno di questo spazio potenziale. Pertanto, durante o subito dopo
l'intervento alcuni cateteri vengono posizionati in punti strategici dello spazio
pleurico, suturati alla cute e collegati a un apparecchio drenante per eliminare l'aria
residua e il liquido di drenaggio dallo spazio pleurico o mediastinico. Ciò consente
una riespansione del rimanente tessuto polmonare. Un sistema di drenaggio
toracico deve essere in grado di eliminare qualsiasi eventuale accumulo all'interno
dello spazio pleurico
in modo da ripristinare e mantenere la normalità sia dello spazio pleurico sia della
funzione cardiopolmonare. Attualmente il metodo più diffuso utilizza sistemi
commercializzati (per es. Pleur-Evac) che consentono un drenaggio con sistema a
guardia idraulica; tali sistemi impiegano gli stessi principi del sistema a guardia
idraulica a tre bottiglie. Il tubo o catetere toracico viene collegato alsistema di
drenaggio munito di valvola unidirezionale; l'acqua nella seconda camera agisce
da chiusura e consente all'aria e al liquido di drenare dal torace entro la prima
camera, ma l'aria non può rientrare nel tubo. Il drenaggio si accumula nella prima
camera e l'aria fuoriesce dalla seconda camera. Il livello dell'acqua fluttua mentre il
paziente respira: si alza durante l'inspirazione e si abbassa durante l'espirazione.
Per creare una pressione negativa che favorisca il drenaggio del liquido e
l'eliminazione dell'aria è possibile aggiungere l'aspirazione alla seconda camera.
Ciò produce un costante gorgogliamento nella terza camera; se tale
gorgogliamento avviene in assenza di aspirazione, può esservi fuoriuscita di aria
dal polmone oppure una perdita nel sistema. L'assistenza al paziente con drenaggio
toracico a guardia idraulica viene spiegata nella tavola 25-6. Per comprendere il
drenaggio toracico con sistema a guardia idraulica vengono più sotto descritti
sistemi a una bottiglia, due bottiglie e tre bottiglie; il loro uso si è tuttavia ridotto
con la diffusione sul mercato di sistemi autonomi monouso.
Sistema a guardia idraulica a una bottiglia-> L'estremità del tubo inserito nel
torace del paziente è coperto da uno strato d'acqua
che consente il drenaggio dell'aria e del liquido dallo spazio pleurico, ma non
consente all'aria di ritornare nel torace. Dal punto di vista del funzionamento il
drenaggio dipende dalla forza di gravità e dalla meccanica della respirazione. Man
mano che nella bottiglia il livello del liquido aumenta, l'aria e il liquido incontrano
sempre maggiore difficoltà a uscire dal torace; pertanto può essere aggiunta
l'aspirazione.
Sistema a due bottiglie-> Il sistema a due bottiglie ha anch'esso una camera a
guardia idraulica, in più tuttavia ha una bottiglia di raccolta del liquido. Il
drenaggio è simile a quello di un sistema a una bottiglia, ma quando il liquido
pleurico drena, il sistema Subacqueo di tenuta non è influenzato dal volume del
drenaggio.
Il drenaggio effettivo dipende dalla gravità o dall'aspirazione aggiunta al sistema.
Quando a esso viene aggiunto un vuoto (aspirazione) prodotto da una fonte di
vuoto, per esempio l'aspirazione a parete, il collegamento viene effettuato con il
cannello di sfiato della bottiglia a tenuta subacquea. La quantità di aspirazione
applicata al sistema è regolata dal misuratore a parete.
Sistema a tre bottiglie-> Il sistema a tre bottiglie è del tutto simile al sistema a due
bottiglie, con l'aggiunta di una terza bottiglia per controllare la quantità di
aspirazione applicata; quest'ultima è determinata dalla profondità di immersione
dell'estremità dello sfiatatoio di vetro. (Per es., un'immersione di 10 cm al di sotto
della superficie dell'acqua equivarrà a 10 cm di aspirazione idrica applicata al
paziente).
Nel sistema a tre bottiglie (come in quello a due), il drenaggio dipende dalla
gravità e dalla quantità di aspirazione applicata. In questo sistema la quantità
dell'aspirazione è controllata dalla bottiglia del manometro. Il motore
dell'aspirazione meccanica o aspirazione a parete crea e mantiene una pressione
negativa in tutto il sistema di drenaggio chiuso. La terza bottiglia regola la quantità
di vuoto nel sistema; ciò dipende dalla profondità di immersione del tubo (la
profondità usuale è di 20 cm). Quando all'interno il vuoto diventa maggiore della
profondità di immersione del tubo, vi è un risucchio di aria esterna entro il sistema;
ciò produce un costante gorgogliamento nella bottiglia del manometro (o
regolatore di pressione) e indica che il sistema sta funzionando in modo corretto.

DIAGNOSI INFERMIERISTICA
Sulla base dei dati dell'accertamento le principali diagnosi infermieristiche
postoperatorie possono includere:
· Compromissione dello scambio gassoso correlata alla malattia polmonare e
all'intervento chirurgico.
· Inefficace clearance delle vie aeree correlata alla patologia polmonare,
all'anestesia e al dolore.
· Dolore correlato all'incisione, ai tubi di drenaggio e alla procedura
chirurgica.
· Compromissione del movimento degli arti superiori correlata all'intervento
al torace.
· Squilibrio del volume idrico correlato alla procedura chirurgica.
· Ansia correlata agli esiti dell'intervento chirurgico, al dolore e alla
strumentazione tecnologica.
· Deficit di conoscenza relativamente alle procedure di self-care da attuare al
rientro a casa dopo la dimissione.

PIANIFICAZIONE DI INTERVENTI E OBIETTIVI


possono includere il miglioramento dello scambio gassoso e della respirazione, il
miglioramento della clearance delle vie respiratorie, il sollievo dal dolore e dal
malessere, un aumentato movimento del braccio e della spalla, il mantenimento di
un adeguato volume idrico, la diminuzione dell'ansia a un livello controllabile, la
conoscenza delle procedure di self-care.

INTERVENTI INFERMIERISTICI
Miglioramento dello scambio gassoso e della respirazione Si accerta lo scambio
dei gas valutando la ventilazione e l'ossigenazione. Subito dopo l'intervento ciò è
fattibile mediante la misurazione della pressione sanguigna, del polso e della
frequenza respiratoria ogni 15 minuti durante la prima o prime 2 ore e a intervalli
più lunghi man mano che la condizione del paziente si stabilizza. Per espandere gli
alveoli e prevenire l'atelettasia è opportuno effettuare, ogni 2 ore, la respirazione
diaframmatica o con labbra serrate appresa nella fase preoperatoria. Un'altra
tecnica per migliorare la ventilazione è la terapia dell'inspirazione massima
continuata o la spirometria incentiva. Questa tecnica ottimizza l’inflazione
polmonare, migliora il meccanismo della tosse e fornisce un precoce accertamento
dei cambiamenti polmonari acuti. Subito dopo l'intervento, non appena il paziente
è orientato e la sua pressione sanguigna si è stabilizzata, lo schienale del letto viene
alzato di 30-40 gradi; ciò facilita la ventilazione, promuove il drenaggio toracico
dal tubo inferiore e aiuta l'aria residua a salire
nella parte superiore dello spazio pleurico, da cui può essere eliminata attraverso il
tubo toracico superiore.
Viene consultato il chirurgo sulle posizioni più adatte per ogni singolo paziente. Il
soggetto con riserva respiratoria limitata può non essere in grado di girarsi sul lato
non operato, in quanto ciò limita la ventilazione del lato operato. La posizione
viene cambiata da orizzontale a semieretta, poiché la permanenza nella medesima
posizione tende a promuovere la ritenzione delle secrezioni nella parte
corrispondente dei polmoni. Dopo una pneumonectomia il lato operato dovrebbe
essere dipendente, in modo che il liquido dello
spazio pleurico rimanga al di sotto del livello del moncone bronchiale e il lato non
operato possa espandersi totalmente.

RIANIMAZIONE CARDIO-POLMONARE (BLS)


La rianimazione cardio-polmonare è la procedura salvavita basilare utilizzata nel
caso di un arresto cardiaco, respiratorio o cardiopolmonare, per mantenere
l’ossigenazione dei tessuti tramite il massaggio cardiaco esterno e/o la respirazione
artificiale.
Un arresto cardiaco o respiratorio si può verificare in qualunque momento ad
individui di ogni età. Questa eventuale crisi può essere il risultato di un incidente
(es. aspirazione di un corpo estraneo, incidente con veicolo a motore,
annegamento) o dell’evolversi di una malattia (es. aritmia cardiaca, epiglottide).
La rianimazione cardiopolmonare in quanto procedura salvavita deve essere
intrapresa nel caso in cui venga riscontrata assenza del polso e/o della respirazione.

OBIETTIVI della BLS: spesso identificati come ABCD della rianimazione


d’emergenza, sono i seguenti :
A: Pervietà delle vie aeree
B: Respirazione (breathing)
C: Valutazione cardiocircolatoria (circolazione)
D: Defibrillazione

La rianimazione cardiopolmonare deve essere iniziata immediatamente ogni volta


che si verifica un arresto cardiaco o respiratorio. La mancanza di ossigeno ai
tessuti può produrre danni cardiaci o cerebrali permanenti nell’arco di tempo tra i 4
e i 6 minuti.
(E’ una procedura salvavita che gli infermieri devono essere in grado di effettuare
non solamente in ambito ospedaliero o in altre situazioni di ricovero clinico, ma
anche in ambienti esterni se necessario. E’ previsto che gli infermieri abbiano
certificati di pratica al corso di formazione sulla BLS di individui di ogni età e che
partecipino ad esami annuali di corsi di aggiornamento. In aggiunta questa
procedura è spesso insegnata a dipendenti pubblici)
POSSIBILI DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
· Ostruzione delle vie aeree
· Inefficiente attività respiratoria
· Compromissione degli scambi gassosi
· Incapacità di sostenere la ventilazione spontanea
· Diminuzione del segnale cardiaco

SEQUENZA E TECNICHE BLS


45. VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA DELL’AMBIENTE
Prima di intraprendere qualunque manovra nei confronti di un soggetto che
necessiti aiuto, il soccorritore deve sempre valutare l’ambiente in cui si trova e gli
eventuali rischi per se stessi e per la vittima . Se esistono pericoli per sé e per il
soggetto che si vuole soccorrere (ad esempio rischio di essere investiti da
automobili, di incendio, di folgorazione), la vittima deve essere spostata e tutte le
manovre rianimatorie devono essere eseguite in un luogo sicuro. Lo spostamento
deve sempre essere effettuato con molta cautela, muovendo la testa ed il tronco
come un tutt’uno ed evitando ogni estensione o flessione della colonna vertebrale .
Se l’ambiente è sicuro la vittima non deve essere spostata e tutte le manovre
rianimatorie devono essere eseguite sul posto.

2..VALUTAZIONE DELLO STATO DI COSCIENZA


La prima cosa da fare soccorrendo una persona apparentemente senza vita consiste
nel valutare lo stato di coscienza :
· chiamarla a voce alta
· scuotere delicatamente afferrandole le spalle
Se la persona risponde o si lamenta :
· lasciarla nella posizione in cui l’abbiamo trovata se ciò non comporta rischi;
· cerchiamo di capire qual è il problema e richiediamo aiuto se necessario;
· rivalutazione ad intervalli regolari.
Se la persona non risponde e non si muove :
· gridiamo cercando aiuto e se sappiamo che c’è l presenza di un DEA nelle
vicinanze chiediamo il DEA.
· Poniamo la vittima in posizione supina su un piano rigido o a terra,
allineando il capo, il tronco e gli arti.
· Scopriamo il torace in modo da poterne valutare il movimento.

3. APERTURA DELLE VIE


La perdita di coscienza determina un rilasciamento muscolare in seguito al quale la
mandibola cade all’indietro e la lingua, aderendo al palato molle, va ad ostruire le
prime vie aeree. In questi casi per ripristinare la pervietà delle vie aeree, si usa una
manovra che prevede due azioni manuali :
· Con una mano posta sulla fronte della vittima spingiamo all’indietro la testa
e iperestendiamo il capo;
· Con la punta delle dita dell’altra mano solleviamo il mento e la mandibola
agendo sulla punta del mento e applicando una forza verso l’alto.
Tale manovra è chiamata estensione del capo e sollevamento del mento e
impedisce la caduta all’indietro della lingua permettendo il passaggio dell’aria.
Se esiste il sospetto di un trauma, la prima manovra di apertura delle vie aeree che
deve essere tenuta non è l’iperestensione del capo , Ma la sublussazione della
mandibola e ciò allo scopo di evitare che fratture vertebrali provochino lesioni
midollari .

Manovra di sublussazione della mandibola


La mandibola di sublussazione della mandibola è alternativa a quella di estensione
del capo e sollevamento del mento con lo scopo di spostare la mandibola in avanti
e rimuovere l’ostruzione dovuta alla caduta all’indietro della base della lingua. Il
soccorritore deve porre gli indici e le altre dita delle mano sugli angoli della
mandibola ed esercitare una forza verso l’alto e in avanti; contemporaneamente i
pollici aprono un po’ la bocca dislocando il mento verso il basso.

Controllo della cavità orale e rimozione di eventuali corpi estranei


Eventuali corpi estranei presenti nella cavità orale devono essere rimossi solo se
visibili : non ci son dati per supporre l’utilizzo routinario delle dita per rimuovere
corpi estranei non visibili dalle vie aeree superiori, ma , al contrario, esistono dati
su potenziali danni per la vittima e per il soccorritore. Questa manovra, quindi,
deve essere evitata e l’eventuale materiale solido presente nelle vie aeree rimosso
manualmente solo se visibile con una pinza o con il sondino aspiratore. Vanno,
invece evitate manovre alla cieca in assenza di corpi estranei visibili in quanto ciò
può comportare rischi per la vittima. Eventuali protesi dentarie vanno rimosse solo
se dislocate.
Mezzo aggiuntivo : cannula faringea
La cannula faringea facilita il mantenimento della pervietà delle vie aeree; posta tra
la lingua e il palato molle facilita il passaggio dell’aria attraverso le vie aeree
superiori, sia in caso di respiro spontaneo sia durante ventilazione con maschera.
Attenzione: se sono presenti i riflessi faringei, è possibile che lo stimolo meccanico
della cannula provochi il vomito; in questo caso l’ostruzione delle vie aeree può
essere aggravata. E’ opportuno quindi, non impiegare la cannula se il soggetto
reagisce al tentativo di inserimento.
Le dimensioni della cannula possono essere stimante prendendo la distanza tra il
lobo dell’orecchio e la commisura labiale omolaterale o fra l’angolo della
mandibola e gli incisivi centrali.

4. VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ RESPIRATORIA


Una volta provveduto alla pervietà delle vie aeree occorre valutare se l’attività
respiratoria è presente e normale. Mantenendo il mento sollevato ed il capo esteso,
avviciniamo la guancia alla bocca e al naso della vittima per:
· Guardiamo se il torace si espande;
· Ascoltiamo dalla bocca della vittima se ci sono rumori respiratori.
· Sentiamo sulla nostra guancia se c’è il passaggio di aria.
Per ricordare queste tre azioni è utile l’acronimo GAS (guarda, ascolta, senti ). La
manovra Gas deve essere effettuata per non più di 10 secondi, mantenendo la
pervietà delle vie aeree con la tecnica descritta precedentemente.

6. VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ CARDIOCIRCOLATORIA


Per capire se la vittima ha un’attività cardiocircolatoria valida, cioè se la funzione
di pompa del cuore è ancora attiva, possono essere ricercati dei segni indicativi a
riguardo “segni di vita” come ad esempio la reattività agli stimoli, movimenti
volontari e finalistici, tosse , atti respiratori. Inoltre la palpazione del polso
carotideo può consentire di valutare se esiste un output cardiaco o no.
La tecnica di ricerca del polso carotideo prevede di :
· mantenere estesa la testa con la mano posta sulla fronte.
· Con l’indice e il medio dell’altra mano individuare la cartilagine tiroidea e
far scivolare le dita verso di sé, per non comprimere le vie aeree, fino ad incontrare
il solco anatomico corrispondente presente fra la cartilagine e al margine anteriore
del muscolo sternocleidomastoideo, dove decorre l’arteria carotide;
· sostare in questo punto, con i polpastrelli delle due dita, esercitando una
modesta pressione per non comprimere eccessivamente l’arteria.
Se la persona respira normalmente :
· la mettiamo in posizione laterale di sicurezza;
· mandiamo qualcuno o andiamo direttamente a cercare aiuto o chiamiamo o
chiediamo a qualcuno di chiamare il 118;
· controlliamo che la vittima continui a respirare normalmente;
Se la persona non respira normalmente e non ha altri segni di vita e di circolo o
nei casi dubbi:
· mandiamo qualcuno a chiamare aiuto per trovare e ottenere un DEA (nel
caso non fosse arrivato già alla prima richiesta); se siamo soli chiamiamo il 118; se
siamo soli senza cellulare ci rechiamo noi stessi a chiamare aiuto ritornando nel
più breve tempo possibile.
· Iniziamo le compromissioni toraciche (massaggio cardiaco esterno)
effettuarne 30.
· Apriamo le vie aree con la manovra dell’estensione del capo e sollevamento
del mento;
· somministriamo 2 ventilazioni di soccorso della durata di un secondo
ciascuna.
Se la vittima no respira normalmente ma ha segni certi di vita e di circolo :
· apriamo le vie aeree con la manovra dell’estensione del capo e sollevamento
del mento;
· somministriamo 10 ventilazioni di soccorso della durata di un secondo
ciascuna, una ogni 6 secondi.
7. COMPROMISSIONI TORACICHE (massaggio cardiaco esterno)
Le compromissioni toraciche si rendono necessarie quando occorre sostituire il
circolo, in mancanza di attività cardiaca inefficace. Durante i primi minuti dopo
l’arresto cardiaco, la cui causa non sia di tipo respiratorio, il contenuto di ossigeno
nel sangue rimane ancora a livelli accettabili, ma la sua distribuzione al miocardio
e al cervello è limitata più dalla ridotta gittata cardiaca che da una mancanza di
ossigeno nei polmoni e nel sangue arterioso. Per questo motivo occorre iniziare le
manovre di RCP con il massaggio cardiaco.

Tecnica del massaggio cardiaco corretto


· Inginocchiarsi al lato della vittima con le ginocchia all’altezza del torace ;
· Porre la base del palmo di una mano al centro del torace della vittima.
· Sovrapporre la base del palmo dell’altra mano alla propria mano
· Intrecciare le dita delle due mani
· Mantenere le braccia e le spalle perpendicolari al punto di compromissione
· Comprimere sullo sterno abbassandolo verso la colonna vertebrale per
almeno 5 cm
· Dopo ogni compromissione rimuovere completamente la pressione
consentendo al torace di riespandersi totalmente, ma non perdere il contatto tra le
mani e lo sterno;
· Mantenere una frequenza di compressioni di almeno 100/minuto (senza
superare i 120 /minuto).
8. VENTILAZIONI DI SOCCORSO
Le ventilazioni di soccorso sono necessarie nel paziente in arresto cardiaco e in
quello in cui il circolo è ancora efficace ma che non respira normalmente.
La tecnica di ventilazione di soccorso più appropriata è quella con il sistema
pallone auto espandibile-maschera collegato, il più presto possibile, ad una fonte di
ossigeno .
Il sistema è composto da:
-pallone auto espandibile;
-valvola unidirezionale, che impedisce all’aria espirata di rientrare nel
pallone;
-maschera facciale
-tubo di raccordo per il collegamento alla fonte di ossigeno
- reservoir, o pallone di riserva, che permette di arricchire l’aria insufflata
con alte percentuali di ossigeno.

TECNICA
-Posizionarsi alla testa della vittima
-Appoggiare la maschera sul volto, facendo attenzione che sia di misura adeguata
a coprire bocca e naso e che l’apice della maschera sia posto in corrispondenza
della radice del naso.
-Con l’indice ed il pollice di una mano aderente al volto, con le restanti dita
sollevare la mandibola per effettuare l’iperstensione del capo ed il sollevamento
della mandibola; con l’altra mano comprimere il pallone per insufflare un
quantitativo d’aria tale da provocare una normale espansione del torace.
Osservare l’escursione del torace, come indice di ventilazione efficace. La
ventilazione può avvenire: con sistema bocca-maschera o bocca a bocca.

Le manovre di BLS non devono essere interrotte fino :


-all’arrivo dei soccorritori avanzati;
-al riscontro di segni di vita ;
-all’esaurimento fisico dei soccorritori.

LO SHOCK
Stato di insufficienza circolatoria periferica che determina una ridotta perfusione
tissutale a livello sistemico e quindi un inadeguato apporto di ossigeno e substrati
energetici alle cellule. Il vero danno esistente nello shock è una disfunzione acuta
del metabolismo energetico delle cellule che non riescono a far fronte alle loro
necessità nutrizionali ed a svolgere le loro attività metaboliche specifiche. Dunque
il problema principale dello shock non è la semplice ipoperfusione tessutale ma è
soprattutto il danno metabolico cellulare che ad essa può conseguire. discrepanza
fra perfusione tessutale ed effettive richieste
da parte dei tessuti metabolicamente attivi.

FRATTURA FEMORALE

La frattura del femore, l'osso più lungo e voluminoso del corpo umano situato nella
coscia, è un evento che può verificarsi a tutte le età. Nonostante il femore sia un
osso molto resistente, urti e traumi violenti nel giovane oppure l'osteoporosi
nell'anziano possono provocarne la rottura. Vista la posizione e la funzione del
femore, fondamentale per il movimento degli arti inferiori, è necessario far subito
ricorso alle cure mediche.
Che cos'è la frattura del femore?
Il femore è un osso particolarmente importante. Su di esso si inseriscono muscoli
fondamentali per il movimento. Il femore comunica con l'anca, costituendo
l'articolazione coxofemorale, e con la rotula e la tibia nell'articolazione del
ginocchio. La frattura può colpire il femore nella sua parte centrale o più
frequentemente negli anziani nella testa del femore, vale a dire l'estremità che si
congiunge con l'articolazione dell'anca. Si parla in questi casi di frattura a livello
del collo femorale e di frattura pertrocanterica.
Quali sono le cause della frattura del femore?
Le cause di frattura del femore variano molto a seconda dell'età
del soggetto. Le cadute accidentali in casa sono la principale causa di frattura del
femore nella persona anziana. La persona anziana va incontro a frattura più di
frequente a causa dell'osteoporosi, una patologia che comporta la riduzione della
forza delle ossa e le espone a un rischio maggiore di lesione. Negli anziani sono
comuni le fratture da stress, che non sono provocate da traumi o urti violenti ma da
una
progressiva degenerazione della struttura ossea. Spesso sono associate anche ad
altre patologie come diabete e artrite reumatoide. Altre cause sono infezioni e
tumori che possono alterare la robustezza del tessuto osseo. Nel giovane la frattura
del femore è frequentemente associata a traumi sportivi o a incidenti stradali. Il
femore è un osso molto robusto e quindi, in assenza di altre patologie, ha bisogno
di un urto molto violento affinché si verifichi la rottura. La frattura si può
presentare in diversi punti del femore e può essere composta o scomposta, a
seconda che ci sia uno spostamento o meno dei frammenti lesionati che perdono,
così, il naturale allineamento. La frattura al femore può inoltre essere completa o
non completa, a
seconda che ci sia una lesione con o senza separazione dei segmenti e può essere
multipla, se c'è una rottura in più punti, e ancora trasversale, obliqua o spiroide.
Quali sono i sintomi della frattura al femore?
I sintomi della frattura del femore differiscono a seconda del punto di lesione.
Generalmente la frattura provoca:
• Dolore acuto e immediato, che si può irradiare verso l'inguine, ma
può essere avvertito anche all'altezza del ginocchio e della
caviglia
• Sensazione di uno schiocco al momento del trauma
• Difficoltà a stare in piedi e a muovere la gamba
• Gonfiore
• Presenza di lividi e tumefazioni
• Deformazione e accorciamento dell'arto
Le fratture non trattate adeguatamente possono dare luogo a complicazioni che
comprendono artrosi post-traumatica, infezioni, deformità, rigidità articolare
ovvero la difficoltà a
muovere correttamente l'arto.
Come prevenire la frattura del femore?
Le fratture del femore si prevengono ponendo particolare attenzione alla
protezione delle articolazioni se si svolgono attività sportive. È buona norma non
sottoporre l'articolazione a movimenti ripetuti e usuranti. Per evitare le fratture
dovute a osteoporosi si dovrebbe integrare l'alimentazione con calcio e vitamina D
e seguire le terapie mediche prescritte. Per prevenire le cadute le persone anziane
dovrebbero indossare scarpe comode, con suole antiscivolo, rimuovere gli ostacoli
presenti in casa, come i tappeti, illuminare bene gli ambienti, fare attenzione se si
cammina all'esterno su superfici scivolose.

DIAGNOSI INFERMIERISTICA
Ansia correlata a minaccia all’integrità biologica
dovuta a trauma da caduta e dolore (che si manifesta
con sudorazione, tremore, F.C., insonnia)

OBIETTIVO:
la persona assistita riferirà maggiore sollievo e benessere
psicofisico; descriverà la propria ansia e cercherà di attuare modelli di coping.

INTERVENTI:
• Accertare i livelli di ansia;
• Garantire comfort e rassicurare la persona assistita;
• Diminuire la stimolazione sensoriale;
• Garantire un ambiente tranquillo e non troppo stimolante.

DIAGNOSI INFERMIERISTICA
􂿣 Compromissione della mobilità (correlata a riduzione
della forza e resistenza secondaria a fratture, correlata a
dolore, come manifestata da affaticamento, debolezza
muscolare.)
Obiettivo: la persona assistita non apporterà lesioni secondarie all’ allettamento.

INTERVENTI
• Mobilizzazione della persona allettata ogni 2/3h e
utilizzo di cuscini ed ausili per posizionare ed
allineare i segmenti corporei in modo fisiologico;
• Valutazione del paziente a rischio di lesioni mediante
scale;
• Uso del materasso antidecubito;
• Trattamenti antidolorifici prescritti e applicazioni di
impacchi caldo- umidi per ridurre infiammazione,
dolore e ematomi;
• Aiutare la persona assistita a deambulare con ausili;
• Stimolare la persona assistita allo svolgimento di
trattamenti di fisiochinesiterapia.

IL MONITORAGGIO DEL PZ CRITICO.


Molti di voi sapranno sicuramente cosa si intende per monitorare, che non significa
soltanto attaccare un paziente ad una macchina per visualizzarne i parametri vitali,
per monitorare si intende mettere in atto una serie di azioni che hanno come fine
ultimo quello di valutare il paziente nel suo insieme. In terapia intensiva, in
rianimazione, in pronto soccorso, sono molteplici i parametri che possono essere
monitorati a seconda delle esigenze del paziente. Andiamo ora a vedere quali sono
questi parametri e cosa significa monitorarli.

IL MONITORAGGIO
Per monitoraggio si intende la registrazione in modo continuativo e in tempo reale
dei dati relativi ai parametri vitali del paziente.
L’infermiere deve essere in grado di conoscere le apparecchiature che usa,
conoscere le modalità di rilievo dei parametri vitali, correlare i dati rilevati alle
condizioni cliniche del paziente, interpretare i dati, verificandone l’attendibilità,
valutare l’opportuna frequenza di rilevazione dei dati in base alla
criticità/complessità assistenziale del paziente, pianificando il lavoro.Gli scopi del
monitoraggio sono:
1. Permettere una visione globale dello stato del paziente,
2. Segnalare precocemente l’insorgenza di eventi patologici,
3. Ottenere informazioni per la migliore scelta assistenziale e terapeutica e
verificarne la corretta applicazione.
I monitoraggi che possiamo utilizzare, durante la nostra attività professionale,
sono:
46.Monitoraggio E.C.G. in continuo,
47.Monitoraggio della pressione arteriosa (P.A.) con metodica invasiva o non
invasiva,
48.Monitoraggio della pressione venosa centrale (P.V.C.),
49.Monitoraggio emodinamico con catetere di Swan – Ganz,
50.Monitoraggio respiratorio:
51.paO2,
52.paCO2,
53.Ossimetria,
54.Capnometria,
55.Monitoraggio della temperatura corporea,
56.Monitoraggio della diuresi,
57.Monitoraggio neurologico,
58.Monitoraggio della pressione intracranica (P.I.C.).

1) IL MONITORAGGIO ECG CONTINUO


Il monitoraggio ECG continuo permette la visualizzazione costante dell’attività
elettrica cardiaca.Si effettua mediante l’uso di monitor collegati alla persona
attraverso cavi elettrici e elettrodi posti sul torace che, grazie a un sistema di
filtraggio e amplificazione, permettono la costante visualizzazione di:
Frequenza cardiaca (F.C.),
Ritmo cardiaco. La tecnica di monitoraggio E.C.G. più completa è quella a 12
derivazioni ma è anche la meno pratica, in quanto richiede un eccessivo numero di
cavi e elettrodi. Solitamente, infatti, si usano tre elettrodi da posizionare come
illustrato di seguito, privilegiando le prominenze ossee al fine di prevenire al
massimo artefatti da movimento del paziente: L’elettrodo rosso deve essere posto
al di sotto della clavicola destra, sulla linea medio – claveare, l’elettrodo giallo
deve essere posto al di sotto della clavicola sinistra, sulla linea medio – claveare,
l’elettrodo verde deve essere posizionato tra il VI° e il VII° spazio intercostale,
sulla linea medio – claveare sinistra.
Se durante il monitoraggio compaiono anomalie, si deve:
Controllare lo stato del paziente,
Verificare l’attendibilità del dato (elettrodi staccati, cavi lesionati …), correlando il
dato agli altri parametri riportati sul monitor,
Avvisare il medico e effettuare un tracciato elettrocardiografico a 12 derivazioni.

2) IL MONITORAGGIO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA


Il monitoraggio della pressione arteriosa può essere eseguito con metodica invasiva
e non invasiva. I metodi non invasivi prevedono l’uso di un bracciale pneumatico
che, a intervalli pre-impostati dal professionista sanitario, è in grado di rilevare la
pressione arteriosa, visualizzandolo poi sul monitor. Quando, però, la criticità del
paziente è di particolare gravità può essere necessario ricorrere a una metodica
invasiva.
Questo tipo di monitoraggio è necessario, quando:
· La persona è emodinamicamente instabile,
· Vi è necessità di valutare le reazioni alla terapia impostata,
· Vi è la necessità di valutare altri tipi di valori pressori (es. pressione di
pefusione cerebrale),
· Vi è la necessità di monitorizzare i valori emogasnalitici,
· Non vi èla possibilità di utilizzare metodiche non invasive ( persone
amputate, ingessate…).

Il metodo invasivo prevede l’incanulamento arterioso mediante una canula


arteriosa che viene connessa a un sistema di trasduzione collegato al monitor. Sul
monitor troveremo, quindi, sia l’onda pressoria che il suo valore numerico. Le
arterie più comunemente incanulate e utilizzate nel monitoraggio invasivo sono:
· Arteria radiale: è la più usata perché permette alla persona massima libertà
di movimento e anche in quanto offre la possibilità di verificare la
perfusione della mano mediante il test di Allen,
· Arteria femorale,
· Arteria pedidia,
· Arteria omerale e ascellare.

TECNICHE E MATERIALI PER L’INCANULAMENTO ARTERIOSO


· Materiale per campo sterile (telini, guanti, maschera, cuffia, camice),
· Catetere arterioso,
· Disinfettanti,
· Siringhe,
· Garze sterili,
· Ferri chirurgici,
· Anestetico locale,
· Filo di sutura,

Set arterioso (soluzione fisiologica in sacca, sacca a pressione –in cui deve essere
inserita la sacca di fisiologica -,deflussore, rubinetto a tre vie già collocato sul
trasduttore che ne consente l’azzeramento, sistema di lavaggio).

Il circuito, prima di essere collegato, deve essere completamente lavato e riempito


di soluzione fisiologica, assicurandosi che non vi siano bolle d’aria, causa di gravi
aritmie e arresto cardiaco. Ogni tre ore circa, e ogni volta che sia necessario (onda
smorzata, reflusso di sangue), il gonfiaggio della sacca. Le metodiche per
l’incanulamento arterioso sono:
Metodo percutaneo (metodo di Seldinger). Si utilizza un catetere arterioso e una
guida sulla quale viene fatto scorrere il catetere stesso. La canula viene fissata alla
cute mediante punti di sutura,
Metodo chirurgico, usato molto raramente e solo nei casi in cui il metodo
percutaneo non è possibile (es. bambini).

Le complicanze che possono insorgere sono:


· Ischemia,
· Occlusione dell’arteria,
· Formazione di trombi,
· Infezione,
· Ematoma,
· Emorragie/dissanguamento per de connessione accidentale. E’ importante
per prevenire questa complicanza valutare la tenuta del sistema (rubinetti e
raccordi).
Dopo aver incanulato l’arteria e dopo averlo connesso al sistema di
trasduzione/lavaggio, è necessario procedere all’azzeramento. L’azzeramento, altro
non è che una definizione di un punto di riferimento tra la pressione atmosferica
(valore fisso) e la pressione arteriosa (valore variabile), sfruttando la collocazione
del trasduttore su un punto preciso detto asse flebostatico. Per effettuare
l’azzeramento si deve:
1. Porre il trasduttore a livello della linea che interseca il IV° spazio intercostale
con la linea ascellare media del paziente (asse flebo statico),
2. Aprire il rubinetto del trasduttore, mettendo in collegamento l’aria ambiente con
il trasduttore,
3. Premere il tasto zero sul monitor,
4. Attendere il messaggio dell’avvenuto azzeramento,
5. Richiudere il rubinetto e osservare il valore che compare sul monitor.

L’azzeramento deve essere effettuato ogni volta che la persona cambia posizione.
E’importante che il trasduttore venga posizionato in corrispondenza del punto detto
asse flebo statico, in quanto, se è posto al di sopra di questo punto avremo valori
inferiori a quelli reali, se, invece, è posto al di sotto, vedremo valori più bassi di
quelli reali. Al fine di valutare il buon funzionamento del sistema di monitoraggio
arterioso si può effettuare il test dell’onda quadra. Questo test consiste nell’aprirei
il sistema di lavaggio rapido e valutare la morfologia dell’onda che comparirà sul
monitor. Lo smorzamento ottimale si ha se vi è la presenza di una o due
oscillazioni.

3) IL MONITORAGGIO DELLA PRESSIONE VENOSA CENTRALE


Questo monitoraggio avviene mediante l’introduzione di un catetere venoso
centrale (C.V.C.) a livello delle grandi vene intratoraciche (vena cava superiore e
inferiore, atrio destro). La pressione che andiamo, così, a rilevare la pressione
dell’atrio e del ventricolo destro al termine della diastole e ci riferisce la capacità
del
Ventricolo stesso di iniettare sangue in arteria polmonare. I valori di riferimento
della P.VC sono di 5-12cm H2O e 1-7 mmHg.

MATERIALI E METODI
· Materiale per campo sterile (telini, guanti, maschera, cuffia, camice),
· Catetere venoso,
· Disinfettanti,
· Siringhe,
· Garze sterili,
· Ferri chirurgici,
· Anestetico locale,
· Filo di sutura,
· Set venoso (soluzione fisiologica in sacca, sacca a pressione –in cui deve
essere inserita la sacca di fisiologica -,deflussore, rubinetto a tre vie già
collocato sul trasduttore che ne consente l’azzeramento, sistema di
lavaggio).

La preparazione della persona prevede:


1. Informazione sulla manovra a cui, la persona, verrà sottoposta,
2. Liberare la zona di venipuntura e introduzione,
3. Eseguire eventuale tricotomia,
4. Monitorare i parametri vitali e il tracciato E.C.G. (specialmente durante
l’inserimento, in quanto la manovra può provocare gravi aritimie),
5. Posizionare il paziente in base all’accesso venoso scelto:
Vena giugulare interna e esterna: la persona deve essere messa in posiziona supina,
con le braccia distese lungo il corpo, posizionare eventuale supporto sotto le spalle,
ruotare la testa sul lato opposto alla venipuntura, mettere la persona in lieve
Trendelenburg,
Vena succlavia: la persona deve essere posizionata supina, con eventuale spessore
lungo la colonna vertebrale, il braccio omolaterale viene disteso lungo il fianco e,
se necessario, leggermente trazionato,
Vena femorale: paziente supina e arto inferiore abdotto e extra ruotato,
Vena basilica: paziente supino e supinazione dell’arto superiore..

Il metodo usato per l’inserimento è quello con metodica Seldinger. Una volta punta
una vena di accesso, si introduce una guida metallica su cui viene fatto scorrere un
dilatatore, per ampliare il foro di ingresso, e poi viene introdotto il catetere stesso.
Se si utilizzano C.V.C poli – lumi, la via da connettere al circuito di trasduzione
della P.V.C. è quello distale.
Valori di P.V.C. elevati possono indicare:
· Aumento della massa sanguigna,
· Aumento del ritorno venoso per incremento della massa circolante o per
costrizione del distretto vascolare,
· Insufficienza ventricolare destra,
· Valvulopatia tricuspidale o polmonare,
· Aumento delle resistenze del circolo polmonare.
· Valori di P.V.C. inferiori possono indicare:
· Ipovolemia,
· Vasodilatazione venosa.
4) IL MONITORAGGIO EMODINAMICO CON IL CATETERE DI SWAN
– GANZ
Quando gli altri monitoraggi non forniscono tutte le informazioni necessarie
riguardanti l’emodinamica del paziente, per un migliore inquadramento
diagnostico, terapeutico e assistenziale, si usa il catetere di Swan – Ganz che viene
introdotto in arteria polmonare e poi fatto avanzare nelle camere cardiache.
Questo monitoraggio consente di misurare ulteriori parametri e cioè:
· Pressione arteriosa polmonare,
· Pressione di incuneamento (wedge),
· Gittata cardiaca (con metodo della termo diluizione),
· Calcoli emodinamici derivati dalla gittata cardiaca, quali resistenze vascolari
polmonari e sistemiche, frazione di eiezione etc.,
· Saturazione venosa mista,
· P.V.C.

Questo monitoraggio è indicato in caso di:


· Infarto miocardico acuto grave,
· Shock,
· Insufficienza respiratoria grave,
· Cardiochirurgia,
· Studio emodinamico per patologie cardiache congenite.

Le vie di accesso che possono essere usate sono:


· Vena giugulare interna destra e sinistra,
· Vena succlavia destra e sinistra,
· Vena femorale.

MATERIALI E METODI
· Materiale per campo sterile (telini, guanti, maschera, cuffia, camice),
· Catetere di Swan – Ganz,
· Disinfettanti,
· Siringhe,
· Garze sterili,
· Ferri chirurgici,
· Anestetico locale,
· Filo di sutura,
· Set arterioso (soluzione fisiologica in sacca, sacca a pressione –in cui deve
essere inserita la sacca di fisiologica -,deflussore, prolunghe con rubinetto a
tre vie, sistema di lavaggio),
· Set per termo diluizione,
· Ghiaccio,
· Cavo con termistore.

L’inserimento avviene per via per cutanea con metodica di Seldinger sotto
controllo radioscopico, o monitorizzando la morfologia delle onde pressorie che
indicano l’avanzamento nelle camere cardiache sino al raggiungimento dell’arteria
polmonare. Il catetere di Swan – Ganz ha un numero variabile da 3 a 5 lumi, tra
questi una via prossimale è usata per la misurazione della P.V.C. e per la
somministrazione di farmaci,
distale per rilevare la pressione di incuneamento e la pressione arteriosa polmonare
(P.A.P.), una via a valvola per il gonfiaggio del palloncino con 1,5 cc di aria e una
via di connessione al termistore.
VALORI DI RIFERIMENTO
· P.A.P.
· Sistolica = 15 – 30 mmHg,
· Diastolica = 5 – 15 mmHg,
· Media = 10 – 17 mmHg.
· PCWC (pressione di incuneamento o wedge) = 5 – 12 mmHg,
· Cardiac Output o gittata cardiaca (Gittata sistolica, GS*FC, FC) = 4 – 6
l/min,
· Indice cardiaco = 2,5 – 4 l/min/m2.

La misurazione della G.C. mediante il sistema della temodiluizione viene


effettuato iniettando 10 ml di soluzione fisiologica o glucosata al 5%,
precedentemente raffreddata, a temperatura nota, nella via prossimale. Il termistore
apicale rileva la variazione della temperatura subita dal sangue in un determinato
tempo.

5) IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO
Il monitoraggio respiratorio serve per ottenere valori, quali:
PaCO2/PaO2 per valutare quadri di insufficienza respiratoria. E’ un metodo
invasivo che si esegue effettuando emogasanalisi di un campione ematico
arterioso. Valori ridotti di PaO2 (ipossiemia) e/o ridotti di PaCO2 (ipercapnia)
segnalano la comparsa di quadri di insufficienza respiratoria del pz,
Ossimetria, consiste nella rilevazione della quantità (espressa in %) di Hb legata
all’ossigeno nel sangue arterioso periferico. Viene rilevata da sensori applicati alle
dita, al naso, al lobo dell’orecchio o, nel caso dei neonati, alle mani o ai piedi. I
principi per rilevare i valori di ossimetria . I saturimetri per determinare i valori di
ossimetria sfruttano i principi spettrofotometrici (rileva le modificazioni di
assorbimento della luce da parte dell’Hb differentemente ossigenata) e
pulsossimetrici (rileva il sangue arterioso in quanto pulsatile). Non sempre si
possono dei valori attendibili; esistono anche situazioni che limitano la possibilità
di misurare questi valori, come l’ipoperfusione, l’ipotensione, l’uso di farmaci
vasoattivi, l’ipotermia, i movimenti del paziente, Hb patologiche, spostamento del
sensore.
Capnometria, rappresenta la quantità di CO2 nei gas espirati. Questo valore
corrisponde indicativamente alla CO2 dei gas alveolari (PaCO2) e rispecchia i
livelli di CO2 arteriosi. I suoi valori sono normalmente inferiori da 1 a 4 mmHg
rispetto alla PaCO2.

Questi valori, uniti alla corretta osservazione della frequenza respiratoria e del tipo
di respiro, consentono un migliore approfondimento del quadro clinico.

6) IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Il monitoraggio neurologico è una parte fondamentale dell’attività infermieristica
in ambito intensivo, dove vi siano persone con lesioni cerebrali. In questo ambito
ogni attività infermieristica deve essere indirizzata alla prevenzione di danni
secondari che potrebbero peggiorare il danno già presente. A tal proposito è utile
riportare la teoria di Monroe – Kellie che rappresenta il cranio come un sistema
chiuso, al cui interno coesistono tre elementi in equilibrio tra loro (sangue, liquor,
tessuto cerebrale). L’aumento di volume o di quantità di uno di questi tre elementi
provoca una riduzione dello spazio a disposizione degli altri due. Questo comporta,
quindi, una compressione dell’intero sistema con conseguente aumento della
pressione intra cranica
(P.I.C.) e una riduzione sia della pressione di perfusione cerebrale (P.P.C.) e
dell’apporto di ossigeno al cervello.
PPC= P.A.M. (pressione arteriosa media) – P.I.C.
I valori di P.P.C. devono essere mantenuti al di sopra dei 60 mmHg. Il
monitoraggio neurologico consiste nella valutazione di parametri che permettono
di comprendere meglio lo stato clinico della persona e la sua evoluzione. Sono
state ideate varie scale, la più usata è la Glasgow coma scale (GCS) e la reazione
pupillare.

La G.C.S. prevede l’analisi dei seguenti punti:


1. Apertura degli occhi:
a. Spontanea à 4 p.
b. Richiamo Verbale à 3 p.
c. Stimolo doloroso à 2 p.
d. Nessuna risposta à 1p.
2. Risposta verbale:
a. Appropriata à 5 p.
b. Confusa à 4 p.
c. Inappropriata à 3 p.
d. Incomprensibile à 2 p.
e. Assente/pz intubato à 1 p.
3. Risposta motoria:
a. Segue ordini semplici à 6 p.
b. Localizza il dolore à 5p.
c. Ritrae al dolore à 4 p.
d. Flette al dolore à 3 p.
e. Estende al dolore à 2 p.
f. Assente à 1 p.
La reazione pupillare:
Pupille isocoriche: uguaglianza del diametro delle due pupille,
Pupille anisocoriche: differenza del diametro delle due pupille,
Pupille isocicliche: contorno circolare regolare delle pupille,
Pupille anisocicliche: contorno circolare irregolare delle pupille,
Miosi: restringimento delle pupille,
Midriasi: dilatazione delle pupille,
Riflesso alla luce o fotomotore: avvicinando una sorgente luminosa all’occhio in
esame si avrà miosi. Si ottiene anche miosi (detta consensuale all’altra pupilla),
Riflesso all’accomodazione: si ricerca facendo guardare al soggetto in esame un
oggetto lontano e facendogli quindi fissare d’un tratto un oggetto a breve distanza
dal naso (20-30 cm.). Nella prima condizione si ottiene midriasi e nella seconda
miosi,
Riflesso alla convergenza: facendo convergere lo sguardo del soggetto in esame,
ad esempio avvicinando progressivamente un dito fino a 3-4 cm.dalla punta del
naso, si ottiene miosi,
Riflesso al dolore:uno stimolo doloroso in qualsiasi sede, ad esempio un
pizzicottood una pun-tura della cute, provocano una risposta midriatica.
Il monitoraggio della P.I.C. è possibile utilizzando diversi tipi di dispositivi, con
sedi e kit differenti. Si possono usare:
Il catetere ventricolare o ventricolostomia,
La vite sub aracnoidea o bullone subdurale,
Dei sensori a fibre ottiche,
Il sistema intraparenchimale.

Tutti i sistemi sono dotati di un trasduttore che permette la rilevazione costante


della P.I.C., ad eccezione della ventricolostomia che permette di drenare anche il
liquor. Il sistema di trasduzione usato per il catetere ventricolare è simile a quello
utilizzato per la misura della P.V.C. e per la rilevazione della P.A. con metodica
invasiva. Il trasduttore deve essere posto a livello del meato uditivo esterno e il
sistema deve essere azzerato ogni volta che il pz cambia posizione o quando si
cambia set. Il catetere ventricolare viene collegato a un sistema di drenaggio, che
permette la fuoriuscita e, quindi, la quantificazione del liquor. E’ molto importante
non collocare il drenaggio troppo in basso, al fine di non drenare un’eccessiva
quantità di liquor, causando un collasso dei ventricoli.
I valori normali della P.I.C. sono 4-15 mmHg. Possono contribuire a un
incremento del valore:
· Ipercapnia,
· Ipossiemia,
· Vasodilatazione,
· Posizione del corpo,
· Dolore,
· Tosse,
· Bronco aspirazione,
· Stress emotivo,
· Attività infermieristiche o manovre diagnostiche,
· Aumento dell’introito di liquidi.
Possono favorire un miglioramento della P.P.C.:
· Mantenimento del capo a 30°,
· Iperossigenazione pre e post bronco aspirazione,
· Monitoraggio neurologico continuo,
· Terapia antalgica,
· Sedazione,
· Adeguato introito di liquidi,
· Controllo della temperatura corporea.

IL PAZIENTE ALIMENTATO MEDIANTE SONDINO ( VEDI WHITE,


TAYLOR)
ACCERTAMENTO
L'infermiere deve partecipare all'accertamento del paziente con presunti problemi
nutrizionali. L'esame preliminare include la necessità di parlare con i familiari per
raccogliere le seguenti informazioni:
 Qual è lo stato nutrizionale del paziente, così come si può arguire dal suo aspetto
fisico; l'anamnesi alimentare, include una storia d'intolleranza agli alimenti come
latte o lattosio; c'è una storia recente di rapido incremento o perdita di peso?
 Ci sono delle patologie croniche in atto che facciano aumentare le richieste
metaboliche dell'organismo?
 Il bilancio idrico ed elettrolitico è in ordine?
 L’apparato digerente presenta dei problemi? Ha una buona capacità dr
assorbimento?
 I reni e l'apparato urinario funzionano in modo adeguato?
 Il peso e le necessità di liquidi sono soddisfatte (per es., 30-40 mL/kg di peso
corporeo)?
 Il paziente sta assumendo farmaci o terapie che potrebbero influenzare l'apparato
digerente e l'assunzione di cibo?
 La prescrizione dietetica soddisfa le esigenze del paziente?
Inoltre, una valutazione più elaborata deve essere fatta in quei pazienti che possono
richiedere una terapia nutrizionale estensiva. Ciò viene fatto da un gruppo che
include l'infermiere, il medico e il dietista. Oltre all'anamnesi e all'esame fisico,
alle misure antropometriche, la valutazione alimentare prevede la raccolta dei dati
relativi a cambi di peso, de plasmatica, livelli di transferrina e conta totale dei
linfociti, test di reazione ritardata di ipersensibilità e valutazione della funzionalità
muscolare.
Diagnosi infermieristiche
Sulla base dei dati sopra ricordati, le diagnosi infermieristiche possono includere:
 Stato nutrizionale alterato, inferiore a quanto richiesto dall’organismo, dovuto a
un'inadeguata assunzione delle
sostanze nutrienti.
 Diarrea legata alla dumping sindrome.
 Insufficiente ventilazione polmonare per aspirazione di alimenti dal sondino.
 Rischio elevato di ipovolemia per una condizione di disidratazione ipertonica.
 Possibile mancanza di volontà di recupero da parte del paziente, legata al
fastidio provocato dalla presenza del sondino nasogastrico/nasoenterico.
Pianificazione e attuazione degli interventi
Obiettivi L'obiettivo più importante include l’ottenimento e mantenimento di un
corretto bilancio nutrizionale, di un normale funzionamento intestinale, della
pervietà delle vie aeree, di un adeguato stato d'idratazione e stimolazione della
voglia di recupero.terminazione dell'albumina
Interventi infermieristici
Bilancio nutrizionale Quando il sondino per alimentazione viene preparato e
posizionato, è essenziale che vengano rispettate tutte le regole d'assoluta igiene.
Altri punti critici del trattamento possono essere: la temperatura degli alimenti, il
volume, la velocità del flusso e l’adeguata assunzione di liquidi.
Lo schema previsto per quanto riguarda quantità e frequenza dei pasti deve essere
rispettato. L'infermiere, quindi, deve monitorarne attentamente la velocità di
somministrazione evitando che l'infusione dei liquidi sia troppo veloce. Le pompe
elettriche generalmente utilizzate per controllare la velocità e la pressione del
trasporto dei liquidi viscosi sono relativamente pesanti e devono essere attaccate a
una piantana per fleboclisi. Alcune pompe specificamente designate per la
nutrizione via sondino enterale, sono
leggere e facili da maneggiare e richiedono un minimo di istruzioni per l'uso. Il
contenuto gastrico residuo deve essere monitorato prima di ciascun pasto. (Questa
procedura deve essere suggerita anche al
paziente). se il quantitativo di aspirato gastrico è superiore a 150 mL,
l'alimentazione deve essere ritardata e le condizioni del paziente riverificate dopo
due ore. In ogni caso se questo fenomeno si ripresenta per due volte di seguito, il
medico deve esserne informato. Prima e dopo ogni somministrazione di cibo,
oppure ogni 4-6 ore nel caso di alimentazione continua, devono essere
somministrati circa 50 mL d'acqua per assicurare la pervietà del sistema e per fare
diminuire la possibilità di crescita batterica,
formazione di croste o occlusione del sondino. Eventuali farmaci possono essere
somministrati in unico bolo, iniettando dell'acqua dopo ogni singola dose, in
relazione al tipo di preparazione.
Quando i sondini a bassa porosità per alimentazione continua vengono lavati,
devono essere utilizzate siringhe da 30 mL o più grandi, poiché la pressione
generata da siringhe più piccole può determinare la rottura del sondino. Il sacchetto
e i tubi di raccordo
vengono cambiati a seconda delle istruzioni d'uso, generalmente ogni 24-48 ore,
mentre soluzioni fresche vengono preparate ogni 4 ore, per ridurre la possibilità di
contaminazione batterica.
Gli alimenti vengono somministrati per forza di gravità (a goccia), in bolo, o
mediante pompa continua che può essere sia volumetrica (mL/ora) sia peristaltica
(gtt/ora). Nel caso di somministrazione per gravità, la sacca viene posizionata più
in alto dello stomaco e la velocità di somministrazione è determinata dalla gravità.
L'alimentazione via bolo somministra volumi più grandi: 300-400 mL ogni 4-6 ore.
l'alimentazione continua è il metodo preferito: consente di somministrare piccoli
quantitativi in un lungo intervallo di tempo, riduce il rischio di fenomeni quali
l'aspirazione, distensione, nausea, vomito e diarrea.
Gli alimenti utilizzati sono privi di lattosio, con un osmolarità di solo 300
mOsm/lig; e un pasto può essere somministrato senza bisogno d'essere diluito e
fornire 1 cal/mL. Flussi d'alimentazione di 100-150 mL/ora (2400-3600 cal/die)
sono efficaci nell'indurre un bilancio azotato positivo e fare guadagnare peso,
senza provocare crampi addominali e diarrea. Se lo schema alimentare è
intermittente, 200-350 mL vengono somministrati in 10-15 minuti. Un continuo
monitoraggio del sistema d'alimentazione via sondino è necessario per
determinarne l'efficacia nutrizionale. Devono essere effettuati i seguenti interventi
infermieristici:
Controllare il posizionamento del sondino, la posizione del paziente, la velocità di
flusso.
 Osservare la tolleranza del paziente nei confronti del preparato somministrato
(valutare se c'è sensazione di
pienezza, gonfiore, orticaria, nausea, vomito, diarrea, stipsi).
 Valutare la risposta clinica, mediante esecuzione di esami di laboratorio:
azotemia, emoglobina, proteine seriche, ed
ematocrito.
 Determinare le condizioni generali del paziente, valutando l'aspetto della cute
(gonfiore, secchezza, colore) e delle
mucose; l'escrezione urinaria, lo stato d'idratazione, la perdita o l'aumento di peso
corporeo.
 Osservare i segni di disidratazione (mucose secche, sete, diminuita escrezione
urinaria).
 Registrare il tipo di preparato assunto dal paziente al momento.
 Registrare tutti gli eventuali incidenti (vomito, diarrea, distensione).
9
 Notare qualsiasi cambiamento del paziente per quanto riguarda la
comunicazione.
 Riportare una glicosuria positiva (+3 o +4), una riduzione del volume urinario,
un improvviso aumento di peso, un
edema periorbitario.
 Rifornire ogni 4 ore il contenitore di cibo fresco.
 Cambiare il contenitore e i tubi di raccordo ogni 24 ore.
 Valutare il volume residuo prima di ogni pasto o, in caso d’alimentazione
continua, ogni 4 ore.
 Monitorare il cibo assunto e i liquidi eliminati.
 Pesare il paziente almeno tre volte durante la settimana.
 Consultare un dietista.
 Verificare l'insorgenza di eventuali complicanze (tab. 35-3).

Condizioni dell'intestino Il paziente alimentato mediante sondino nasogastrico o


nasoenterico frequentemente presenta diarrea feci acquose almeno tre volte
nell'arco delle 24 ore). Feci pastose e non formate rappresentano la regola poiché
con la terapia enterale molte formule hanno pochissimi o addirittura nulli residui.
La dumping sindrome stessa causa diarrea. Per confermare il fatto che sia la
dumping sindrome la causa della diarrea, dovrebbero essere escluse altre cause
possibili: carenza di zinco (15 mg di zinco
ogni 24 ore sono raccomandati nell’alimentazione per mantenere il livello serico
normale di 50-150 g/dL [7.65-22.95 mol/L]),
preparati contaminati, malnutrizione (riduzione della superficie assorbente
intestinale prodotta dalla malnutrizione può provocare diarrea) e terapia
farmacologia. Antibiotici come la clindamicina (Dalacinc) e lincomicina
(Lincocin), farmaci antiaritmici (chinidina, propranololo [Inderal]), aminofillina
(teofillina), la digitale favoriscono la frequenza di dumping sindrome in alcuni
pazienti.
La dumping sindrome (discussa nel cap.36) è determinata da una rapida
distensione del digiuno quando soluzioni ipertoniche vengono somministrate
rapidamente (in circa 10-20 minuti). Cibi troppo ricchi di carboidrati ed elettroliti
richiamano liquidi extracellulari dal sistema vascolare direttamente nel digiuno
così che si può verificare diluizione e assorbimento. I sintomi gastrointestinali
(diarrea e nausea) associati con la sindrome possono essere trattati:
 Diminuendo la velocità d'instillazione per dare tempo ai carboidrati e agli
elettroliti di essere diluiti.
 Somministrando gli alimenti a temperatura ambiente, poiché temperature
estreme stimolano la peristalsi.
 Somministrando gli alimenti mediante instillazione continua piuttosto che via
bolo (se tollerata), per prevenire il
fenomeno della distensione improvvisa dell'intestino.
 Avvisando il paziente di restare nella posizione semiseduta per 30 minuti dopo
ciascun pasto (questa posizione
prolunga il tempo di transito facendo diminuire la forza di gravità).
 Instillando il quantitativo minimo d'acqua richiesto per pulire il sondino prima e
dopo il pasto poiché i fluidi
somministrati con il cibo allungano il tempo di transito.
Trattamento delle vie aeree Ostruzioni delle vie aeree si verificano quando il
contenuto gastrico, o parte del nutrimento enterale, vengono rigurgitati e aspirati
oppure quando il sondino nasogastrico è posizionato in modo improprio e parte dei
cibi vengono instillati in faringe o trachea. I sondini nasoenterici, specialmente
quelli che servono per la decompressione gastrica ed esofagea/duodenale
(Nyhus/Nelson, Moss) hanno facilitato la riduzione dei fenomeni di rigurgito e
aspirazione. Per mantenere le vie aeree pervie, l'infermiere deve verificare il
corretto posizionamento del sondino prima di ogni pasto e
somministrare sempre il cibo con il paziente nella corretta posizione, per prevenire
fenomeni di rigurgito. Per ridurre il rischio di reflusso e aspirazione polmonare, la
posizione di Fowler per la nutrizione nasogastrica viene raccomandata; la testa del
paziente dovrebbe essere elevata di almeno 30° per l'alimentazione nasoenterica.
Tale posizione deve essere mantenuta per almeno 30 minuti dopo il termine
dell'alimentazione intermittente; mentre deve essere conservata sempre nel caso di
alimentazione continua.
Se si ha il sospetto di un fenomeno di aspirazione l’alimentazione deve essere
bloccata, e, se necessario, faringe e trachea devono essere aspirate. L'infermiere
deve, inoltre, avvertire il medico.
Mantenimento di un adeguato stato di idratazione L'idratazione del paziente deve
essere controllata con attenzione, poiché spesso è impossibilitato a comunicare le
sue necessità d'acqua. L'acqua viene somministrata ogni 4-6 ore e dopo ogni pasto,
per prevenire uno stato di disidratazione ipertonica. All'inizio della
somministrazione, il cibo viene diluito almeno a metà della concentrazione di
partenza e non più di 50-100 mL possono essere somministrati a ogni pasto,
oppure a scelta 40-60 mL/ora nel caso
di somministrazione continua. Questa somministrazione graduale aiuta il paziente
a sviluppare una tolleranza, specialmente quando si tratta di soluzioni iperosmolari.
Sono importanti le seguenti misure infermieristiche:
 Valutare i segni di disidratazione (mucose secche, sete, diminuita escrezione
urinaria).
 Somministrare acqua routinariamente e secondo le necessita.
 Controllare le entrate e le uscite.
Promozione della volontà di ripresa L'obiettivo psicosociale dell'intervento
infermieristico è quello di fornire supporto, incoraggiamento e calorosa
accettazione del paziente, mentre si cerca di convincerlo che un progressivo e
quotidiano recupero è possibile. Se il paziente fa fatica ad adattarsi al trattamento,
l'infermiere interviene:
 Incoraggiandolo nel momento in cui aderisce al piano di trattamento medico.
 Incoraggiando la self-care prendendo a dimostrazione i livelli della sua attività
(si può rifare il letto, registrare il peso, le entrate e le uscite).
 Rinforzando un approccio ottimistico identificando i segni e i sintomi che
indicano progresso (acquisizione quotidiana di peso, bilancio elettrolitico, assenza
di nausea e diarrea).
Valutazione
Risultati attesi
1. Il paziente mantiene il bilancio nutrizionale:
a. Bilancio azotato positivo.
b. Esami di laboratorio con valori nei limiti di normalità (per es., azotemia,
emoglobina, ematocrito, proteine seriche).
c. Ottenimento e mantenimento dello stato d'idratazione tessutale.
d. Ottenimento e mantenimento del peso forma.
2. Il paziente non presenta diarrea:
a. Meno di tre scariche diarroiche per giorno.
b. Assenza di movimenti intestinali dopo l'assunzione di un bolo alimentare.
c. Assenza di crampi intestinali. d. Normali rumori intestinali.
3. Le vie respiratorie rimangono pervie:
a. Campi polmonari liberi all'auscultazione.
b. Normale ritmo cardiaco e respiratorio.
c. Rx torace nella norma.
4. L'idratazione è conservata:
a. Bilancio dei liquidi assunti ed eliminati nelle 24 ore.
b. Cute e mucose ben idratate.
c. Sete nella norma.
5. Il paziente si adatta alla presenza del sondino:
a. Richiesta d'aiuto al momento dei pasti.
b. Partecipazione alle attività di cura quotidiana.
c. Offerta d'incoraggiamento e supporto per altre persone che ricevono
l'alimentazione mediante sondino.

TRACHEOSTOMIZZATO
La tracheostomia è una procedura chirurgica eseguita in anestesia locale o generale
per
posizionare in trachea, a livello dei primi anelli tracheali, una cannula da lasciare
per più giorni
per consentire una comunicazione diretta tra le vie aeree inferiori e l’ambiente.1
Deve essere eseguita solo da personale qualificato, in molti casi dopo che la via
aerea è stata
garantita dal posizionamento di un tubo endotracheale o di un catetere
translaringeo, oppure
dalla cricotiroidectomia.2 Trattandosi di un intervento chirurgico deve essere
eseguita in ambienti
protetti e controllati come la sala operatoria o la sala di rianimazione.
Gli obiettivi della tracheostomia sono:1
realizzare una via di comunicazione diretta tra l’ambiente e le vie aeree
inferiori, superando
eventuali ostacoli presenti nel cavo orale o a livello di faringe o laringe;
rendere possibile un collegamento corretto e sicuro al respiratore automatico
per la
ventilazione artificiale;
ridurre lo spazio morto anatomico fino a 50 ml per diminuire le resistenze ai
flussi dei gas e
migliorare la ventilazione;
consentire un’accurata pervietà delle vie aeree permettendo una valida pulizia
tracheobronchiale
e un miglior rendimento della fisiochinesiterapia;
diminuire le resistenze al flusso dei gas respiratori, riducendo i gradienti
pressori intratoracici
inspiratori ed espiratori;
facilitare nei pazienti coscienti la ripresa di una normale alimentazione per
bocca;
consentire interventi di otorinolaringoiatria come per esempio una
laringectomia;
consentire la fonazione nei pazienti che hanno bisogno di sostegno ventilatorio
a intervalli.
Indicazioni
Le linee guida internazionali raccomandano di procedere alla tracheostomia dopo
circa una
settimana di intubazione oro o naso-tracheale qualora non sussistano motivi clinici
per una
possibile estubazione.1 I tempi della procedura vengono stabiliti di volta in volta in
base alle
condizioni cliniche del paziente.
La tracheostomia può essere una condizione temporanea o permanente come per
esempio in
caso di laringectomia oppure in caso di dismorfismi gravi delle vie aeree superiori,
in pazienti
obesi o con alterazioni neurologiche, in caso di broncopneumopatia cronica
ostruttiva oppure di
lesioni spinali.
Indicazioni alla tracheostomia1,4,5
presenza di ostacoli in faringe, nel laringe o nel cavo orale a causa di traumi
(frattura mandibolare bicondiloidea,
frattura tipo Lefort), tumori, ustioni, epiglottiti, edema, stenosi sottoglottidea
anomalie congenite delle vie aeree superiori
intubazione fallita o ritenuta impossibile
in previsione della fissazione chirurgica della mascella
presenza di lesioni cervicali che possono provocare difficoltà o impossibilità
respiratoria
intubazione prolungata (almeno 7-10 giorni)
assenza o anormalità dei riflessi glottidici
clearance inefficace delle secrezioni bronchiali
polmonite grave per intubazione prolungata
neuropatie gravi (sclerosi laterale amiotrofica, sindrome di Charcot-Marie-
Tooth)

La tracheostomia è controindicata in situazioni di emergenza come l’ostruzione


delle vie aeree o
l’arresto cardiaco perché richiede tempi piuttosto lunghi. In questi casi si preferisce
una
cricotiroidectomia. Prima di eseguire la tracheostomia vanno valutati i fattori della
coagulazione:
valori alterati possono essere una controindicazione all’intervento.

COMPLICANZE
-immediate: emorragia, pnx, lesioni dell’esofago, mal posizionamento della
cannula, aritmie fino all’arresto cardiaca, decesso.
-precoci: pnx, sepsi dello stoma, ostruzione della cannula
-tardive: infezioni delle vie aeree, necrosi, ostruzione cannula
DIAGNOSI
Modello di ventilazione inefficace
Compromissione dello stato gassoso
Inefficace liberazione delle vie aeree
Compromissione dell’integrità tissutale

Potrebbero piacerti anche