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1 I costrutti dell'ansia: obbligo di controllo, perfezionismo patologico, pensiero catastrofico, autovalutazione negativa e intolleranza dell'incertezza 2 Riuscire ad identificare con

sufficiente affidabilit un corpo centrale di cognizioni disfunzionali comune a tutti i disturbi d'ansia da tempo un attraente obiettivo per i ricercatori nel campo della psicopatologia cognitiva. Una possibile strada da seguire l'identificazione e l'analisi dei contenuti cognitivi empiricamente pi frequenti e ipoteticamente specifici della paura e dell'ansia e sottesi alle differenti manifestazioni cliniche ansiose (Beck, 1976; Beck, Emery e Greenberg, 1985; Hibbert, 1984; Rachman, Lopatka e Levitt, 1988). I costrutti pi frequentemente citati sono lo sproporzionato timore del danno e la tendenza a previsioni catastrofiche ( catastrophising thought), la tendenza al controllo ( drive to control), lintolleranza dellincertezza ( intolerance of uncertainty), il timore dell'imprevisto ( fear of

unexpected), il timore dell'errore ( concern over mistakes) o perfezionismo patologico e lautovalutazione negativa ( negative selfevaluation).

Secondo la teoria cognitiva queste credenze sono sempre o spesso presenti, sia pure applicate a domini differenti, nei vari disturbi d'ansia cos come sono definiti dal DSM-IV e anche in altri disturbi con elevata componente ansiosa, come ad esempio i disturbi alimentari o l'ipocondria Questo lavoro passa in rassegna la letteratura cognitiva riguardante i costrutti sopracitati. Sono stati usati motori di ricerca telematici (MED-LINE e PSYCHINFO) e sono stati consultati alcuni autorevoli volumi sull'argomento. Le parole chiave scelte erano inizialmente anxiety e worry e, in un secondo momento, negative self-evaluation, perfectionism, concern over mistakes, intolerance of uncertainty e catastrophising thought. si propone l'obiettivo di fornire definizioni clinicamente affidabili dei costrutti cognitivi dell'ansia, definizioni che permettano, durante laccertamento clinico, di osservare la presenza

dei costrutti nei soggetti ansiosi esercitando un non eccessivo grado di inferenza. Al limite il soggetto stesso potrebbe essere in grado di riconoscere, dopo un periodo di esercitazione allintrospezione in psicoterapia cognitiva, la presenza di questi costrutti (Young, 1999). Le definizioni proposte, quindi, dovrebbero essere utilizzabili per disegnare strumenti psicometrici di valutazione clinica e cognitiva che permettano un accertamento formalizzato. A questo scopo in questo lavoro presentiamo in appendice una intervista strutturata e un questionario autosomministrato originali. 3 Ansia come timore sproporzionato di danno e tendenza a previsioni catastrofiche Il terreno psicologico comune dei fenomeni clinici noti come ansia, rimuginio, panico e fobie lemozione della paura. Tutti queste manifestazioni cliniche possono essere considerate, almeno in parte, come manifestazioni disfunzionali di questa emozione. Il contenuto cognitivo dellemozione di paura implica una valutazione di pericolo e danno imminente. Il giudizio cognitivo distorto delle

forme di paura disfunzionali e potenzialmente psicopatologiche dovrebbe quindi implicare una valutazione sproporzionata dei rischi e dei pericoli ambientali (Power and Dalgleish, 1997). Varie prove di fatto sperimentali sono state prodotte ad appoggio di questa assunzione. La tendenza a produrre previsioni negative e talvolta catastrofiche effettivamente presente in maggior misura nei soggetti ansiosi che in quelli normali, e l'estensione di questa distorsione cognitiva correlata al grado di ansia provata (Butler e Matthews, 1983, 1987; McNally e Foa, 1987). Esperimenti di laboratorio hanno mostrato che i soggetti ansiosi sono portati ad interpretare gli stimoli situazionali come indizi di conseguenze negative sopravvenienti (Tomarken, Cook e Mineka, 1989), a scegliere aggettivi descrittivi negativi quando gli viene richiesto di valutare scenari neutri o ambigui (Butler e Matthews, 1983), stimoli verbali neutri (Mathews, Richards e Eysenk, 1989) e espressioni facciali neutre (Winton, Clark e Edelman, 1995). I soggetti ansiosi tendono a usare termini negativi o

catastrofici quando gli si richiede di completare gli spazi vuoti di frasi incomplete o gli si richiede di interpretare stimoli testuali ambigui (Richards e French, 1992; MacLeod e Cohen, 1993; Calvo, Eysenk e Estevaz, 1994; Calvo, Eysenk e Castillo, 1997). Infine, Vasey e Borkovec (1992) hanno dimostrato che i soggetti ansiosi e rimuginatori posseggono una pi larga rete di previsioni negative legate ad un determinato evento che i soggetti non ansiosi. Tutto questo porta a pensare che i soggetti ansiosi nutrano un elevato timore di rovina, danno o addirittura di catastrofe. Dal punto di vista clinico, il soggetto ansioso sarebbe incline a pensare che le cose della vita in generale, o alcune cose che gli stanno particolarmente a cuore, tendenzialmente vadano male o addirittura verso la catastrofe. Nella fase di accertamento clinico, i costrutti cognitivi 4 dellansia si potranno manifestare con varie modalit. In alcuni casi, il soggetto tender a produrre e riferire catene pi o meno lunghe di previsioni negative. Alla domanda: ma cosa non le

va in questo che mi dice, cosa teme che potrebbe accadere? Il soggetto ansioso tenderebbe a giustificare lo scarso gradimento o la valutazione negativa di una determinata situazione riportando ulteriori eventi e/o conseguenze negative. Levento temuto finale potr essere, in certi disturbi, una catastrofe finale oggettivamente irreparabile (es. infarto nel panico, grave e dolorosa emarginazione nella fobia sociale); altre volte (e pi frequentemente) il timore finale piuttosto una autovalutazione negativa di incapacit, indegnit, debolezza, e cos via. Un'altra possibilit quella in cui ci siano, invece, catene predittive negative singolarmente povere e brevi. Quindi non lunghe catene di scenari catastrofici, ma un restringimento dell'attenzione su un singolo evento temuto e valutato catastroficamente. Ipotesi sulla fenomenologia della mancanza di dettaglio dell' appraisal ansioso Naturalmente, la valutazione ( appraisal) di pericolo e di danno imminente non sufficiente a distinguere l'emozione della paura dalle sue forme disfunzionali, a cominciare dall'ansia.

Giustamente Power e Dalgleish (1997, pp. 206) notano che la definizione del DSM-IV dell'ansia come uno stato di apprensione, tensione o disagio legata al timore di un pericolo esterno o interno in realt applicabile anche alla semplice paura. Molto meglio sarebbe dire, proseguono i due autori, che nell'ansia l'individuo non in grado di mettere in atto una determinata strategia di comportamento che sia in grado di rimuovere e/o di alterare l'evento minaccioso. Questa definizione certamente migliore, ma lascia aperto il problema del come e del perch il soggetto ansioso soffra di un deficit di pianificazione di strategie comportamentali di gestione delle minacce temute. La nostra proposta che il deficit di processazione cognitiva sia a monte della risposta comportamentale, e risieda nelle caratteristiche stesse dell' appraisal ansioso. Secondo gli studi di Mogg e collaboratori sull'attenzione alle parole ad elevato contenuto emozionale (Mogg, Mathews and Weinman, 1987; 1989; Mogg and Mathews, 1990; Mogg, Mathews and Eysenck, 5

1992; Mogg, Bradley, Williams and Mathews, 1993), la prima valutazione preattenzionale degli stimoli si limita a classificarli semplicemente come negativi o positivi, senza ulteriori caratterizzazioni specifiche. La valutazione olistica e mancante di dettaglio. Nel caso della paura, vi sarebbe quindi inizialmente un semplice riconoscimento di negativit. Dopodich, segue una processazione cognitiva di livello superiore, pi differenziata e in grado di effettuare valutazioni specifiche di pericolo. Secondo la nostra ipotesi, i soggetti ansiosi mostrerebbero una prestazione insufficiente a questo secondo stadio. Essi non si rappresenterebbero il quadro concreto dei possibili eventi futuri, dalla possibilit migliore alla peggiore, e delle reali conseguenze anche della peggiore possibilit.. Nel soggetto ansioso la processazione cognitiva mostrerebbe una singolare mancanza di modulazione e di dettaglio (Williams et al., 1997, pp. 169). Questa mancanza di modulazione e di dettaglio coinvolgerebbe sia il pensiero di tipo rappresentativo visivo-iconico

(costituito da immagini mentali che riproducono il mondo visibile) che il pensiero di tipo verbaleproposizionale (costituito dalle parole mentali del discorso interno). Dal punto di vista rappresentativo-iconico, potremmo ipotizzare che la mancanza di dettaglio della processazione cognitiva di tipo ansioso si traduca concretamente in rappresentazioni mentali statiche e astratte al tempo stesso dell'agente minaccioso e temuto, immaginato come pietrificato in una terrifica e irresistibile postura di attacco. Il soggetto ansioso soffrirebbe di una grave carenza di immaginazione e fantasia nella predizione di scenari dinamici in cui l'agente minaccioso non si limiti a minacciare, ma interagisca con il soggetto stesso, realizzando secondo scenari realistici il suo attacco con maggiore o minore efficacia. La minaccia sarebbe invece vissuta sempre o tendenzialmente come in grado di portare un attacco unico, irresistibile, definitivo, irreversibile e irreparabile. In una parola: catastrofico. Dal punto di vista verbale-proposizionale si potrebbe ipotizzare che lagente minaccioso venga

genericamente etichettato nel discorso interno con predicati rigidi e vaghi come terribile, "catastrofe", "male", "insopportabilit", "impossibilit di essere allaltezza", le cose potrebbero 6 andare tutte e sempre male (o andranno, nella variante depressiva) ecc. Questa etichetta negativa viene ripetuta instancabilmente e costituisce il tema del cosiddetto rimuginio, fenomeno caratterizzato da una predominanza altamente ripetitiva del pensiero verbale negativo (Borkovec et al., 1998). La psicopatologia cognitiva ha prestato negli utlimi dieci anni forte attenzione a questo fenomeno mentale, trovandolo strettamente apparentato con lansia. Come i soggetti ansiosi, i rimuginatori posseggono una rete di associazioni di eventi previsti negativi molto pi ampia e pi ricca dei non rimuginatori (Vasey e Borkovec, 1992). Il rimuginio la forma che assume lansia nel discorso mentale interno. Facciamo un altro esempio clinico. Se immaginiamo un fobico sociale preoccupato dalla predizione mentale di uno scenario di

disapprovazione da parte degli altri in una situazione sociale, possiamo ipotizzare egli si rappresenter gli altri fermi nel loro atteggiamento di disapprovazione (pensiero iconico) ed etichetter nel discorso interno la scena come catastrofica (pensiero proposizionale). Non vi sar alcuna immagine pi dettagliata e capace di evolversi nel tempo dello scenario, e nemmeno una analisi verbale pi flessibile e possibilista. Il soggetto fobico non penser quindi secondo un copione in cui le persone possano disapprovarlo solo parzialmente e in maniera non definitiva, o facciano solo fugacemente o per niente caso a sue eventuali goffaggini, o addirittura si dimostrino benevole e lo incoraggino, o notino anche i lati positivi, ecc. Evidenze a supporto dellipotesi della mancanza di dettaglio degli eventi temuti Nella letteratura scientifica le evidenze a supporto di questa ipotesi sono varie. Per quanto riguarda il pensiero iconico e rappresentazionale, Watts, McKenna, Sharrock e Tresize (1986) hanno dimostrato come la variabile 'dettaglio' del loro

strumento di valutazione delle immaginazioni fobiche fosse inversamente correlato con la gravit dello stato fobico. Coerentemente, stato dimostrato che la vividit, cio la ricchezza di dettaglio, aumenta durante i trattamenti di desensibilizzazione negli ansiosi (Borkovec e Sides, 1979) e nelle persone in lutto laddove il loro grado di rimuginio sul defunto diminuisca (Parkes, 1972). Anche per quanto riguarda il pensiero 7 verbale sono stati trovati risultati congruenti. Infatti i soggetti sofferenti di fobia canina sono in grado di elencare un minor numero di razze canine dei non fobici (Landau, 1980) e gli ossessivi mostrano un vocabolario limitato nella descrizione di temi ossessivi come la contaminazione o il timore di sbagliare. Consideriamo questi risultati come segni di deficit di cognizione dettagliata. Secondo Williams et al., (1997, pp. 180-181) anche i risultati delle ricerche sui costrutti personali presenti in varie patologie ansiose o a elevata componente ansiosa (per una rassegna esaustiva vedi Button, 1985) dimostrerebbero che

nell'ansia vi sia una peculiare indifferenziazione e mancanza di precisione nella processazione cognitiva. Inoltre un nutrito numero di studi ha dimostrato che gli ansiosi soffrono di un restringimento dell'attenzione e del pensiero verso le conseguenze pi negative immaginabili, senza mai uno spostamento verso stimoli positivi o verso valutazioni meno minacciose degli eventi temuti (Williams et al., 1997; Mathews, 1990; 1993; 1997). Questo modello applicabile sia all'ansia generalizzata (Eysenck, 1992) che alle fobie (hman, 1993; hman and Soares, 1993, 1994). Una terza sorgente di studi a supporto della ipotesi della genericit della minaccia e del danno temuti nell'ansia la troviamo negli studi sul rimuginio. Il rimuginio lo stile di pensiero tipico dei soggetti ansiosi, ed caratterizzato da una forte predominanza di pensieri ripetitivi negativi, se non catastrofici (Borkovec et al. 1998). Il rimuginio caratterizzato proprio da uno scarso livello di concretezza (Eysenck, 1992) e dalla mancata elaborazione di piani protettivi e gestionali ( coping) efficaci (Schnpflug, 1989). Nel rimuginio

prevalgono le valutazioni di tipo verbale astratto, mentre l'immaginazione visiva di scenari dinamici quantitativamente meno presente (Borkovec and Inz, 1990; Freeston, Dugas e Ladoucer, 1996; Molina, Borkovec e Peasley, 1998). Perfino quando l'immaginazione presente ha un carattere di bassa vividezza e risoluzione (Borkovec e Inz, 1990; Stber, 1997). Clinicamente, il rimuginio viene definito come l'autoripetizione continua e ossessiva di previsioni e valutazioni negative e pessimistiche con scarsa rappresentazione di scenari concreti. In breve, il soggetto ansioso e rimuginatore ha sempre paura che le cose potrebbero andare male, ritiene di dover tenere tutto sotto controllo al fine di evitare che le cose vadano male, ma non sa mai 8 esattamente che cosa accadrebbe se le cose effettivamente andassero male. Egli "vede" delle scene temute, e continua a ripetere a se stesso che si tratta di possibilit negative, catastrofiche, da evitare assolutamente, sostanzialmente non suscettibili di aggiustamento alcuno.

Da un punto di vista speculativo anche il modello dei sottosistemi cognitivi interattivi di Teasdale (1993; 1996; 1997) assume che nell'ansia entri in azione uno stile cognitivo differente da quello analitico tipico degli stati di calma. Questo stile sarebbe di minore contenuto cognitivo e di maggiore espressivit emotiva. In altre parole, l'ansioso pensa che qualcosa andr male e soprattutto teme fortemente di non farcela, ma non si rappresenta esattamente il danno. Simili osservazioni si possono trovare nelle teorie sull'emozione di Power e Dalgleish (1997), sia pure con una terminologia differente. Paura dell'incertezza o intolleranza della possibilit della minaccia Il soggetto ansioso nutre quindi un elevato timore di pericolo e di danno. Ma come si pone di fronte al problema della probabilit che lo scenario temuto si avveri? Perch spesso si osserva che nell'ansia non si in grado di trarre beneficio dalla considerazione che non affatto sicuro, o addirittura poco probabile, che gli eventi temuti avvengano?

In molti casi, il soggetto ansioso non si pone consapevolmente il problema della probabilit che la situazione temuta si verifichi o meno. Interrogato in proposito, potrebbe rispondere che egli ritiene che le probabilit di realizzazione del pericolo siano sufficientemente elevate da giustificare la sua ansia. In altri casi, tuttavia, il soggetto pu essere consapevole che il suo stato di allarme eccessivo, o lo diventa dopo una ristrutturazione cognitiva in psicoterapia. In questi casi spesso emerge un costrutto interessante, noto come "intolleranza dell'incertezza" o anche, in forma leggermente diversa, "timore dell'imprevisto". Si tratta in breve di una incapacit di sopportare la semplice esistenza di un rischio, la possibilit, sia pure bassa, che si verifichi il pericolo e il danno temuti. Molti studi hanno dimostrato l'esistenza e l'importanza di questo costrutto nei disturbi emozionali ansiosi. E' stato dimostrato che 9 l'intolleranza dell'incertezza correlata al rimuginio perfino nei soggetti non clinici (Freeston

et al., 1994). I soggetti affetti da ansia generalizzata sopporterebbero l'incertezza molto meno dei cosiddetti "rimuginatori moderati" (Ladoucer, Freeston e Dugas, 1993). L'intolleranza dell'incertezza sembra particolarmente correlata al disturbo d'ansia generalizzata, poich pare che questi pazienti la sopportino molto meno dei soggetti ossessivi e di quelli affetti da panico o da fobia sociale (Ladoucer et al., 1995). Altri studi hanno dimostrato che i soggetti rimuginatori sono pi lenti a rispondere dei non rimuginatori quando si tratta di rispondere a domande ambigue e apparentemente prive di una sola risposta corretta, situazione che pu essere definita di incertezza (Dugas et al., 1993; Metzeger et al., 1990; Tallis, Eysenck e Mathews, 1991). Dugas et al. (1997), dopo avere ancora una volta mostrato la correlazione tra rimuginio e intolleranza dell'incertezza, hanno anche discusso teoricamente la loro relazione. Secondo questi autori, questo costrutto si potrebbe spiegare invocando la caratteristica difficolt nell'impostare e risolvere i problemi da parte dei

rimuginatori ( problem orientation). Il costrutto problem orientation probabilmente un altro aspetto della mancanza di modularit nella rappresentazione del pericolo, ed anche un sinonimo della incapacit di elaborare strategie comportamentali di gestione del pericolo come definita da Power e Dalgleish (1997). Tuttavia, in termini clinici questa soluzione discutibile. A nostro parere non basterebbe, infatti, un deficit di problem orientation per giustificare uno stato d'ansia, e nemmeno chiara la connessione con la paura dell'incertezza. In primo luogo perch il soggetto sia ansioso sarebbe necessaria, infatti, nel soggetto la consapevolezza di questo proprio limite, con conseguente valutazione di possibile fallimento (e quindi catastrofe). Il soggetto si rappresenterebbe come se fosse incapace di orientarsi nelle difficolt e proverebbe, giustamente, ansia. Ma questo giustifica la paura del pericolo e del fallimento, non quella dellincertezza. La paura dellincertezza deriverebbe piuttosto dallassunzione ansiogena che dalla situazione incerta derivi un fallimento.

Dal punto di vista dell'accertamento clinico della psicopatologia cognitiva, la spiegazione pi plausibile probabilmente quella del particolare restringimento attenzionale del soggetto ansioso. In presenza di pericolo e di possibili 10 danni, vero che il soggetto ansioso pu essere in grado di produrre una valutazione "fredda" che la probabilit di pericolo sia poco elevata a o addirittura bassa. Tuttavia, nello stato di incertezza la sua attenzione rimane ristretta sulle possibilit negative, di cui evidentemente non tollera la semplice esistenza sia pure solo potenziale. Egli vede solo i possibili sbocchi pericolosi. Per lui una situazione di incertezza significa in definitiva certezza della catastrofe. Timore dell'errore o perfezionismo patologico Il timore dell'errore, o perfezionismo patologico, un sottoinsieme particolare di timori ansiosi, legati alle prestazioni elevate e ai pericoli ad esse connessi. Nel nostro approccio gerarchico il perfezionismo patologico , in ultima analisi, riconducibile alla valutazione di pericolo e di timore del danno, verso il quale strumentale. Una

definizione precisa di perfezionismo non facile, ma la letteratura scientifica ha individuato un certo numero di caratteristiche specifiche (Frost et al., 1990). La prima la tendenza a porsi obiettivi eccessivamente elevati ( excessively high standards). Questa dimensione del perfezionismo probabilmente necessaria ma non sufficiente: essa infatti non sembra in grado di distinguere tra perfezionisti patologici e persone altamente competenti e padrone di un determinato campo dellattivit umana. Lottare per obiettivi ambiziosi, notano Frost et al., non certamente in s patologico. Anzi, vi sono studi che hanno suggerito che questa caratteristica pu essere un indicatore di benessere psichico (Blatt, DAfflitti e Quinlan, 1976). La dimensione cognitiva che potrebbe determinare un carattere psicopatologico al perfezionismo semmai il timore dellerrore ( concern over mistakes), come gi suggerito da Hamachek (1978). Il perfezionista sano o non nevrotico persegue obiettivi anche estremamente ambiziosi, ma accetta la eventualit di battute di

arresto ed incertezze durante il percorso, ed in grado di valorizzare in termini di soddisfazione personale il risultato finale anche in caso di successo solo parziale. Al contrario il perfezionista patologico non ammette incertezze durante il percorso e nel momento in cui dovr valutare il risultato finale, ed anzi tender ad interpretare ogni minima discrepanza 11 dallobiettivo iniziale come segno di fallimento globale. Questa visione stata poi riaffermata da Burns (1980) e Pacht (1984). Accanto a queste, Frost et al. (1990) elencano ancora altre caratteristiche specifiche del perfezionismo. Esse sono un pervasivo ed al tempo stesso vago senso di dubbio riguardante la qualit di quel che fa il soggetto, ed un bisogno di ordine ed esattezza. Infine vi la tendenza a sopravvalutare le aspettative ed il criticismo dei genitori e quello altrui in generale. Sebbene queste ulteriori qualificazioni del perfezionismo siano utili e chiarificatrici, esse per sembrano non aggiungere troppo al potere demarcativo del concetto di timore dellerrore. Il

principale vantaggio di questa definizione del perfezionismo proprio la sua elevata capacit non solo di definire con buona e precisa approssimazione lo stile cognitivo tipico del perfezionista, ma anche di distinguerlo con chiarezza da uno stile cognitivo non perfezionista. Il timore dellerrore delinea intuitivamente la scarsa flessibilit dellatteggiamento cognitivo del soggetto perfezionista, la sua tendenza ad aspettarsi che i suoi scopi, le sue previsioni, i suoi piani si avverino interamente in ogni dettaglio. Lo stile cognitivo perfezionistico si applica con facilit ad alcune aree della sintomatologia ansiosa, come l'ossessivit o il timore di ingrassare nei disturbi alimentari, ma non pare in grado di coprire una area vasta come la valutazione di pericolo, la tendenza a previsioni negative e il timore del danno, costrutti che si coprono l'intero arco dei contenuti cognitivi ansiosi. Il timore dell'errore, infatti, si pu applicare soltanto a situazioni in cui il soggetto punta o costretto a puintare a prestazioni di livello elevato, ma non applicabile in altri casi.

Cosa pensare, infatti, delle distorsioni cognitive di un disturbo di ansia generalizzata che abbia paura che i propri familiari possano essere investiti da un'auto mentre sono fuori, o di un disturbo da attacchi panico che tema un infarto. In questi casi, in cui gli scopi prestazionali elevati sono assenti e le aspettative catastrofiche non sono legate ad essi, volendo applicare a tutti i costi l'equazione tra ansia e perfezionismo patologico, si finirebbe per attribuire alla nozione di timore dell'errore un significato troppo ampio e sostanzialmente vago. 12 Inoltre, da solo il timore dell'errore non riesce a spiegare lo stato ansioso del soggetto perfezionista. In realt, lo scopo terminale del perfezionista nevrotico non affatto il successo, il miglioramento prestazionale e personale, ma ancora una volta protettivo. Si tratta sempre del coping goal dell'evitamento del danno e del bisogno di controllo. Coerentemente con questa ipotesi, Frost et al. (1990) hanno dimostrato che il soggetto

perfezionista patologico incapace di apprezzare positivamente la propria prestazione perch tende a intravedere un danno finale dietro ogni successo parziale o imperfetto. Dietro la insoddisfazione per la incapacit di apprezzare un successo parziale si nasconde una valutazione globale di mancato successo che a sua volta porterebbe una lunga serie di ulteriori previsioni negative catastrofiche. Il timore dell'errore pu essere quindi concettualizzato come una credenza sottordinata al timore del danno e alla tendenza al controllo. I timori legati alla valutazione di s Secondo Wells (2000, pp. 18-20) le credenze riguardanti s stessi si possono definire come un insieme di credenze metacognitive che dirigono l'attenzione e la valutazioni del soggetto in un senso negativo o positivo, e svolgono un ruolo chiave nella psicopatologia dell'ansia e dei disturbi emozionali in generale. Le ragioni che giustificano questo ruolo chiave si potrebbero trovare riflettendo sul fatto che le credenze autovalutative sono credenze che per definizione

generalizzano, in termini di capacit personali di base o di tratti di personalit, i giudizi di valore positivo e/o negativo su eventi particolari. Si tratta, quindi, di valutazioni per definizione con una componente predittiva, e soggette a generare routine cognitive secondarie automatiche, rigide e ipergeneralizzanti, in senso sia positivo che negativo. La psicopatologia cognitiva ha sempre insistito sulla efficacia delle routine cognitive autoriflessive disfunzionali, che gi Ellis (1962) chiamava credenze secondarie e che oggi pi sofisticatamente sono parte integrante della cosiddetta metacognizione, nell'ingenerare rimuginii ansiogeni catastrofici. Se l'ansia quindi, per definizione, uno stile cognitivo predittivo e generalizzativo di tipo negativo o addirittura catastrofico, non c' da meravigliarsi se le autovalutazioni, qualora siano negative, svolgano un simile ruolo, trattandosi di 13 non altro che di un valutazione di s come tendenzialmente incapace di far fronte ( coping) ai problemi sopravvenienti. Dal punto di vista clinico osserviamo che, laddove

prevalgano credenze autovalutative di tipo negativo, il soggetto presenti timori legati non tanto a valutazioni di pericolo esterno, quanto piuttosto ad autovalutazioni di incapacit di poter far fronte materialmente e/o emozionalmente alle situazioni temute. Soprattutto nel secondo caso (timore non poter reggere emozionalmente alla situazione temuta), si tratta di credenze di tipo squisitamente metacognitivo: il soggetto non teme un evento in s, ma piuttosto di non essere in grado di controllare il proprio comportamento e le proprie emozioni, di non produrre le risposte comportamentali giuste e di lasciar trapelare con troppa evidenza emozioni di ansia, paura, vergogna oppure convinzioni personali di inferiorit, inadeguatezza, ecc. La autovalutazione negativa quindi il rovescio del senso di autoefficacia, definito come la convinzione di essere sia in grado di produrre risposte comportamentali efficaci di fronte ai problemi, di poter affrontare la paura e le altre emozioni negative stimolate da una situazione problematica, e infine di poter affrontare e gestire

emozionalmente una eventuale fuga o fallimento e di concepire scopi alternativi e soggettivamente significativi e gratificanti di fronte a sconfitte anche gravi. Anche nella definizione di autoefficacia troviamo una forte componente metacognitiva. Infatti secondo Mineka e Thomas (1999) il senso di autoefficacia piuttosto una percezione di poter controllare la propria risposta emozionale e comportamentale in una situazione problematica che una generica convinzione di essere all'altezza. A supporto di questa ipotesi, i due autori citano gli studi sulle scimmie (Mineka, Keir e Price, 1980; Mineka e Keir, 1983) che dimostrano come questi animali possano imparare ad affrontare stimoli paurosi e minacciosi, come i serpenti, e tuttavia comunque mostrare segni di paura. Speculativamente, quindi, possiamo pensare che gli animali dell'esperimento abbiano appreso delle routine metacognitive in cui l'emozione di paura provata alla comparsa dell'animale minaccioso, il serpente, non venga pi interpretata come segnale di debolezza e inferiorit e non dia luogo pi a

risposte comportamentali di fuga. Anche le autovalutazioni, positive o negative che siano, si realizzano concretamente sotto entrambe le forme sia del pensiero verbaledichiarativo che di quello iconico-analogico. Nel primo caso sotto forma di autoistruzioni e autodefinizioni di fragile, inadeguato, ecc. nel secondo di rappresentazioni immaginative di s come deriso, non considerato, criticato, emarginato. Illusione e ricerca del controllo La tendenza al controllo lultimo costrutto psicologico dellansia che prendiamo in considerazione. Operazionalmente, il controllo stato definito da Seligman (1975) come percezione soggettiva di una relazione contingente tra la risposta ( response) ad un evento temuto e un risultato ( outcome) di evitamento del danno. La credenza della necessit di mantenere il controllo sulle cose, di sentire che le cose siano sotto controllo logicamente lo scopo finale dellarchitettura gerarchica del sistema cognitivo

ansioso. Il concetto clinico dellobbligo di controllo assoluto definibile come lo strenuo perseguimento e ricerca da parte del soggetto ansioso della illusione di certezza assoluta che egli possa impedire che si avverino tutte le possibilit negative da egli stesso continuamente temute e previste nel rimuginio attraverso il monitoraggio e la manipolazione continui di alcuni aspetti e parametri della realt esterna e/o interna (ad esempio il peso, il cibo e/o il grasso nei disturbi alimentari; i pensieri intrusivi o lordine esterno nel disturbo ossessivo compulsivo, ecc.) In realt la preferenza per uno stato di relativo controllo sulla propria vita normale. Il soggetto normale colui che in grado di accettare sia un grado di controllo relativo (che vuol dire la consapevolezza di non averlo del tutto) e al tempo stesso esperisce uno stato di controllo illusorio lievemente maggiore a ci che realmente egli sta esercitando (Langer, 1975). Al contrario il soggetto ansioso vivrebbe con il mito del controllo assoluto, ritenendo che sia possibile ottenerlo e rimanendo con il dubbio

perenne di non riuscire a possederlo. Il controllo assoluto lunica alternativa concepita dal soggetto ansioso al suo stato emotivo pervaso dal timore continuo di catastrofe. Essendo lunico scenario alternativo allansia immaginato dal soggetto 15 ansioso, il controllo quindi concepito come componente obbligata e indispensabile della condizione di tranquillit.. Il soggetto ansioso quindi percepisce il controllo come stato obbligato e privo di alternative (Crosina, 2000; Lorenzini e Sassaroli, 2000). Da un punto di vista gerarchico, il bisogno pervasivo di conoscenza e predizione di tutti i possibili eventi futuri temuti e il bisogno di controllo sugli eventi stessi (la certezza che non si avverino) costituiscono lo scopo finale del sistema ansioso, dove confluiscono tutti gli scopi strumentali e particolari. Questo scopo pu essere concepito come un aspetto della strategia compensativa che il soggetto ansioso adotta per affrontare e gestire le sue distorsioni cognitive. Utilizzando la terminologia di Caspar (1985), esso definibile come uno scopo compensativo (

coping goal). Naturalmente, si tratta di una strategia destinata al fallimento. La distorsione cognitiva pi grave del soggetto ansioso consiste nel concepire il controllo come soluzione allansia, invece di comprendere che si tratta di una componente (forse la pi importante) del complesso castello delle credenze ansiose. L'esperienza clinica in psicoterapia cognitiva dei disturbi ansiosi fa spesso incontrare soggetti che dichiarano di avere il bisogno di avere la certezza assoluta che non accada quello che loro preoccupa (Lorenzini e Sassaroli, 1992; 2000). Da un punto di vista fenomenologico per i soggetti ansiosi il controllo non soltanto un bisogno, ma viene vissuto come un obbligo imprenscindibile (Crosina, 2000). Si badi che nella nostra ipotesi la necessit del controllo non concepita come uno scopo terminale implicato dallarchitettura sistema ansioso, in cui il soggetto si comporta come se perseguisse il controllo, ma di uno scopo consapevole.. Secondo la nostra esperienza clinica, il soggetto ansioso dichiara, spesso dopo

poche sedute, che desidera il controllo e la certezza. Anche gli studi empirici riportati dalla letteratura scientifica appoggiano questa ipotesi. Vari studi infatti hanno dimostrato la correlazione tra l'ansia e la percezione soggettiva (e quindi presumibilmente consapevole) della mancanza di controllo (Barlow, 1988, 1991; Basoglu e Mineka, 1992; Foa, Zinbarg e Olasov-Rothbaum, 1992; Mineka e Kelly, 1989; Mineka e Zinbarg, 1996; Rapee, Craske, Brown e Barlow, 1996). La percezione soggettiva che la situazione sia sotto controllo (nel senso che vi sia la 16 sicurezza che le cose non possano deviare dal binario previsto e non possano andar male), perfino laddove essa sia fallace e illusoria, riduce l'ansia (Sanderson, Rapee e Barlow, 1989). I risultati di questi studi sembrano mostrare che il costrutto della percezione del controllo sia consapevole ed accertabile con strumenti di valutazione come intervista e questionari che non esercitino elevati gradi di inferenza. Infine, interessante osservare che il controllo perseguito dal soggetto ansioso potrebbe essere

definito prima di tutto come controllo conoscitivo. Il soggetto, secondo l'esperienza clinica, parla spesso di 'necessit di certezza' e 'necessit di sapere'. In qualche modo, possiamo dire che nel soggetto ansioso si realizza quello che Kelly (1955) riteneva essere lo scopo terminale di qualunque sistema cognitivo: la massimizzazione della capacit predittiva. Tuttavia, mentre nell'uomo kelliano questo scopo aveva un segno positivo di incremento delle capacit umane, nel caso del soggetto ansioso, lo scopo vero ha un segno negativo, di evitamento del danno. In realt, il soggetto ansioso persegue la certezza piuttosto che la conoscenza. Quindi vi sono delle somiglianze, ma anche delle differenze tra il costrutto clinico di bisogno di controllo e la teoria dei costrutti personali di Kelly. Il bisogno di controllo un concetto fondamentalmente clinico utile per caratterizzare una determinata categoria di individui psicologicamente disturbati, mentre la teoria di Kelly una teoria e una concezione generale della mente umana, definibile come ipercognitivista.

Conclusione In conclusione, i costrutti psicopatologici dellansia sono: 1. Timore sproporzionato di danno e tendenza a previsioni negative o pensiero catastrofico, definibile come la tendenza da parte del soggetto ansioso a prevedere una pi larga gamma di conseguenze negative rispetto ai soggetti non ansiosi a partire dalle situazioni quotidiane e a concepire il pericolo insito in queste possibilit negative come sostanzialmente inevitabile, irresistibile e irreparabile; 17 2. Timore dellerrore o perfezionismo patologico, definibile come la tendenza a sottolineare piuttosto gli errori e le imperfezioni presenti nei compiti eseguiti che i risultati positivi, e a temere e prevedere che queste imperfezioni conducano inevitabilmente a conseguenze negative e catastrofiche; 3. Intolleranza dellincertezza, definibile come la tendenza a pensare di non poter sopportare emozionalmente il fatto di non conoscere

perfettamente tutti i possibili scenari ed eventi futuri, di non poter sopportare il dubbio che tra i possibili avvenimenti futuri ve ne possano essere alcuni negativi, anche nel caso che questa possibilit sia molto bassa, oppure a temere che, se vi sono delle possibilit negative in un certo scenario, queste saranno quelle che inevitabilmente o tendezialmente si realizzeranno (naturalmente gli sviluppi negativi sono poi temuti a causa del punto 1); 4. Autovalutazione negativa, definibile come la tendenza a prevedere scena ri catastrofici derivanti direttamente da una valutazione negativa sia delle proprie capacit pratiche (autovalutazione negativa prestazionale) che delle proprie capacit di autocontrollo emotivo e di recupero nelle situazioni di difficolt e di stress (autovalutazione negativa di debolezza, fragilit); 5. Necessit di controllo, definibile come lo strenuo perseguimento e ricerca da parte del soggetto ansioso della illusione di certezza assoluta che egli possa impedire che si avverino tutte le possibilit negative da egli stesso

continuamente temute e previste nel rimuginio attraverso il monitoraggio e la manipolazione continui di alcuni aspetti e parametri della realt esterna e/o interna (ad esempio il peso, il cibo e/o il grasso nei disturbi alimentari; i pensieri intrusivi o lordine esterno nel disturbo ossessivo compulsivo, ecc.) Nella nostra ipotesi la tendenza al controllo costituisce il livello sopraordinato e terminale dell'architettura gerarchica dell'ansia. Questo vuol dire che riteniamo che al fondo di ogni stato ansioso vi siano sempre idealmente la credenza finale che le cose vadano tendenzialmente male e che necessario un elevato grado di conoscenza e controllo della realt per evitare che le cose vadano male. 18 Gli altri costrutti (timore di danno, timore dell'errore, autovalutazione negativa e timore dell'incertezza) sono sottordinati e non tutti sempre presenti, almeno dal punto di vista teorico. Timore di danno e autovalutazione negativa sono quelli pi generali. E' difficile dire, allo stato

attuale se siano organizzati gerarchicamente o se si riferiscano a ambiti differenti. Ipoteticamente si potrebbe ritenere che la autovalutazione negativa sia temuta perch essa porterebbe a un danno, e quindi il timore di danno la credenza terminale. Allo stesso modo si potrebbe pensare che la autovalutazione negativa la credenza centrale di cui il timore di danno solo un predicato. Oppure si potrebbe ritenere che i due concetti siano due diversi dimensioni di un unico costrutto, e quindi siano reciprocamente in relazione non gerarchica.

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