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La guerra è persa. Chi vincerà la pace?

di Pino Tripodi

Chi vincerà la guerra? La vincerà l’Ucraina, non ci sono più dubbi.


La perderà Putin.
Il giorno in cui la Germania ha deciso di concedere i suoi Leopard all’Ucraina
si è avuta la sicurezza della sconfitta di Putin. Quel giorno certifica lo stato
avvenire della guerra, ma già al suo scoppio chiunque avrebbe già potuto
dedurre come incontrovertibile questa tendenza.
Perché la questione dei tank certifica ciò che era già largamente presumibile?
Perché la strategia degli alleati dell’Ucraina è divenuta finalmente chiara,
immediatamente e universalmente leggibile, definita e definitiva. Tale strategia
conferma che l’Ucraina sarà aiutata in tutte le forme utili e per tutto il tempo
necessario a respingere l’aggressione russa. E che il fronte rimarrà stabile: un
Paese, la Russia, che tenta d’invadere un vicino e un altro, l’Ucraina, che si
difende senza tuttavia varcare i confini riconosciuti dalla comunità
internazionale.
Con una strategia così chiara, i costi dell’aiuto all’Ucraina risultano essere già
un investimento straordinario – politico, militare, economico, sociale, di
coesione nazionale e internazionale – mentre per la Russia i costi di ogni tipo
diverranno mano a mano più insostenibili. Come avviene di regola in buona
parte delle guerre dell’ultimo secolo, anche in questo conflitto, con il tempo,
l’aggressore si indebolisce e l’aggredito si rafforza.
Già in un anno, la UE si è svegliata dal colpevole sonno che l’aveva resa
schiava dell’energia russa e l’avrebbe resa schiava delle infrastrutture cinesi
della Nuova Via della Seta. A un anno dallo scoppio della guerra chi può
pensare di ripristinare quelle forme di schiavitù per il continente? I paesi e le
forze politiche che – per idiozia o per corruttela – avevano condotto l’UE sulla
soglia della schiavitù hanno dovuto rivedere in fretta le loro posizioni.
Riguardo all’aspetto militare, il livello di forza messo in campo dipende
dall’aggressore Putin. Gli alleati dell’Ucraina rispondono in modo adeguato e
coerente. Se la Russia alza il tiro, l’Ucraina viene equipaggiata adeguatamente
per renderla in grado di difendersi. Questa strategia difensiva si è rivelata
vincente. Diversamente da ciò che affermano i manuali di scacchi, in questa
partita la migliore difesa è la difesa.
Fin dal primo momento, la strategia difensiva scelta dall’Ucraina e dai suoi
alleati avrebbe dovuto far comprendere a Putin che è impossibile vincere la
guerra. Con tale strategia, ogni azione militare della Russia ha un effetto
boomerang. L’escalation della Russia ha come risposta l’escalation della
Ucraina. Ognuna delle bombe sganciate da Putin sulla popolazione inerme
ferisce il territorio e la popolazione ucraina ma si ritorce contro di lui.
L’unica possibilità di vincere per Putin era – e rimane - quella dividere il fronte
alleato, di spaccare la Ucraina e la UE. Ma la spaccatura della UE – su questioni
così delicate come l’integrità territoriale degli stati ai propri confini, la pretesa
di un Paese di dominare il continente - ne avrebbe comportato la dissoluzione.
Se non si tenesse unita nell’affrontare la questione russa, l’UE non
sopravviverebbe. Per l’UE, gli aiuti all’Ucraina sono una questione di vita o di
morte. Se l’Ucraina è resa capace di difendersi, l’UE avrà in mano le chiavi - i
valori di civiltà, non le armi - del futuro del continente europeo e non solo. Se
l’Ucraina verrà abbandonata, il destino dell’UE sarà il collasso, la prematura
fine della più importante esperienza di civiltà dai tempi dell’ Atene classica.
La divisione dell’UE sembrava un gioco da ragazzini. Invece, fin dal primo
momento, Putin, anziché dividere la UE, è riuscito nel miracolo opposto. Unire
ciò che sembrava diviso, rendere forte ciò che sembrava debole. Emancipare un
continente strozzato dal suo ricatto energetico, renderlo autonomo dalla sua
servitù.
L’Ucraina diviene ogni giorno più granitica, l’UE acquista consapevolezza del
suo ruolo internazionale mentre il pugno di ferro di Putin rischia di sgretolare la
Russia.

In ogni guerra si simula l’eterna lotta tra il gatto e il topo. In questa guerra, la
simulazione ha un effetto paradossale poiché tende all’inversione dei ruoli: chi
doveva comportarsi da gatto diviene topo e viceversa, il topo si rivela un gatto.
Il gatto – cioè la Russia di Putin - ha deciso se, come e quando iniziare la
guerra. Decide pure il livello militare. Deciderà anche quando smetterla. È la
Russia che decide ogni mossa che la porterà alla sconfitta. Il costo di questa
strategia è enorme ma il risultato è sicuro.
In una guerra di logoramento vince chi è in grado di sopportare maggiormante i
costi, di conseguire maggiori vantaggi dalla durata del conflitto e dalle
prospettive. Sia la sopportazione dei costi sia i maggiori vantaggi propendono
dalla parte dell’Ucraina e dei suoi alleati. Sulle prospettive non ci sarebbe
neanche da ragionare. La Russia rischia semplicemente la sconfitta, tutt’al più
la fine del suo regime autocratico, l’Ucraina e la UE la loro stessa esistenza. La
Russia potrebbe addirittura venire rigenerata dalla sconfitta, l’Ucraina e la UE
ne uscirebbero incenerite.

Un problema che angoscia il pianeta è: fino a che punto si spingerà la Russia?


Utilizzerà le armi nucleari? Nulla si può escludere.
Gli errori generalmente aumentano il rischio dell’orrore. Più grave è l’errore,
minore diviene la possibilità di rimediare. Chi sbaglia in modo grossolano tende
a seguitare nell’orrore poiché non vede altre vie d’uscita. S’immola alla sua
stupidità. La Russia si trova in questo cul de sac.
Più tempo passa, più diventa certa la sconfitta della Russia, più l’ipotesi
nucleare non si può scartare. La Russia, iniziando la guerra contro l’Ucraina, ha
segnato un punto di non ritorno. O vince questa guerra riconquistando un ruolo
centrale nella stoltezza della geopolitica mondiale o si accuccia su se stessa fino
a quando dovrà optare per l’unica scelta saggia: rigenerarsi, avvicinarsi quanto
più possibile alla Unione Europea.

La Russia, prima perde la guerra e meno perde. Più seguita nella guerra,
maggiori sono i costi che dovrà sopportare.
Quello attuale – fine febbraio 2023 - potrebbe rivelarsi uno degli ultimi jolly
disponibili per la Russia. Un jolly da giocare per perdere la guerra facendo finta
di non averla perduta. Come? Trattando. Su che cosa? Sul bilinguismo e sul
binazionalismo delle regioni contese all’Ucraina. Ottenere quei territori in via
definitiva ed esclusiva è fuori discussione. La Russia non ne ha la possibilità.
Intorno alla prospettiva indicata, – l’altoatesizzazione della Crimea, del Donetsk
e del Donbass – invece, la Russia può ancora inventarsi un punto d’onore da
presentare alla sua popolazione, principale vittima di Putin, e ai suoi alleati.
Così, otterrebbe adesso ciò avrebbe potuto ottenere senza colpo ferire molto
prima della ripresa della sua stolida politica di potenza. Ma ogni giorno che
passa la Russia dovrà arretrare le sue pretese fino a quando l’unica pretesa
negoziabile sarà la fine del conflitto.
Inoltre, la Russia può, ancora per poco tempo, decidere se perdere la guerra con
Putin o senza di lui. Non potendo Putin liberare la Russia dalla guerra con una
vittoria, è ogni giorno più probabile che la Russia per liberarsi dalla guerra
debba fare a meno di lui.
Dopo la Germania nazista, dopo gli Usa, dopo tutti gli orrori militari della
modernità, anche la Russia sperimenta la nuova legge dei conflitti: La guerra
perde. La pace vince.

Grazie alla scelleratezza di Putin, l’Unione europea non è l’unica area del
pianeta che si va rafforzando. Anche gli Stati Uniti, dopo i disastri del
trumpismo, stanno provando una collocazione internazionale più stabile e più
coerente. Persino nei confronti della Cina, indebolita dal Covid e dalla guerra
russa, gli Stati Uniti possono vantare una migliore postura. Trovassero il
coraggio di eliminare l’embargo a Cuba – inutile e dannoso, buono solo come
alibi per tenere in piedi il regime, per alimentare le lamentele e l’odio anti Usa
-, di tollerare se non proprio di favorire la formazioni di democrazie stabili in
LatinoAmerica – cosa che tende ad avvenire già per proprio conto - avrebbero
nuovo slancio dopo decenni di mesta decadenza. Senza considerare l’Asia
occidentale. Chi può pensare ancora di avere come alleato l’Iran degli
Ayatollah?
Gli Stati Uniti non sono mai stati un alfiere della libertà – già all’interno dello
Stato vi sono situazioni che offendono la parola, gli Usa non hanno mai avuto
una politica estera degna di questo nome, hanno confuso in modo cialtronesco
gli interessi di qualche botteguccia nazionale con quelli dello Stato, hanno il
vizio di usare la politica internazionale come arma di politica interna, con le
loro imprese militari degli ultimi settanta anni hanno combinato più guai che
utile a se stessi e al mondo intero – ma gli antagonisti dello scenario
internazionale si palesano come portatori di tali orrori che i terribili errori e le
gravi deficienze degli Usa, in confronto, risultano incommensurabilmente più
sopportabili.
Proprio nel momento in cui vivevano il periodo più luttuoso della propria
decadenza, l’aggressione della Russia all’Ucraina ha dato agli Usa una inattesa
patina di legittimità.
Grazie a questa insperata situazione, anche Biden, il presidente predestinato alla
insignificanza, che appariva debole e abile solo a guidare gli Usa verso il
baratro, si trova invece a gestire il mandato che modifica di nuovo a proprio
favore le sorti del Paese.
La Cina, anche a causa della Russia, riceve un primo alt alla sua espansione in
Europa e presto subirà effetti simili in Africa e altrove. La politica di potenza
depotenzia le forze e le possibilità espansive degli stati. Se si desidera ottenere
dei risultati duraturi in termini di ruolo internazionale, occorre puntare
sull’appeal, sul fascino del proprio stile e tenore di vita, sulla condivisione, sul
cointeresse, sulla cooperazione. La forza, l’egemonia, l’autocrazia, sono
diventati più utensili da primati che simboli del primato mondiale.
Giova ripeterlo. La guerra perde. La pace vince.

La guerra del pacifismo e quella del pacifismo di facciata

In questa guerra si sono palesate due forme ben distinte di pacifismo. La prima
è il pacifismo tradizionale, rappresentato anzitutto dalla Chiesa, la quale, pur
simpatizzando, come è suo dovere, per gli aggrediti, ha difeso le ragioni,
sempre valide e sempre inascoltate, del disarmo.
La seconda forma è il pacifismo di facciata. Ecco definiti i suoi elementi
fondamentali.
1) È un pacifismo che intende il suo favore per la pace come resa degli ucraini –
e della UE - ai russi. Effettivamente, sul piano logico, il discorso non fa una
grinza: se gli ucraini si arrendessero, se la Russia potesse occupare
pacificamente tutti i territori desiderati, non avrebbe alcun motivo di continuare
la guerra.
Che il pacifismo di facciata abbia questa idea della pace lo chiarisce la
stranezza del suo manifestarsi.
2) È un pacifismo che non chiede ai contendenti di smettere la guerra, che non
si interpone tra di loro – non ha i caratteri nobili e gloriosi di chi, durante la
prima guerra mondiale, ha rifiutato di combattere contro i fratelli
d’oltrefrontiera ed è morto, si è fatto ammazzare pur di non uccidere – ma
pretende che l’aggredito non si difenda.
3) È un pacifismo che non ha un punto di vista autonomo e che non è terzo
rispetto alle parti in guerra.
4) È un pacifismo che, quando non prende parte direttamente e chiaramente a
favore della Russia, schiera le proprie truppe di pace nettamente contro
l’Ucraina e contro gli alleati dell’Ucraina. Non sempre si dice apertamente
favorevole alla Russia, ma spesso ne giustifica le ragioni, compresa la ragione
madre ovvero che la Russia è stata costretta alla guerra dall’aggressione degli
aggrediti, l’Ucraina in parte ma soprattutto il fronte UE - Nato. La logica del
discorso di questo universo pacifista di facciata è raccapricciante: la Russia e
Putin vengono giustificati per ogni attacco e aggressione; l’Ucraina, la UE e la
Nato vengono condannati per ogni atto di difesa. L’aggressione viene
giustificata in ogni modo mentre il primo mantra di ogni pacifista dovrebbe
essere che nessuna aggressione, mai, può venire giustificata da qualcuno. Le
giustificazioni di qualunque aggressore non possono mai essere alibi
dell’orrore. Le azioni abominiose si qualificano da sé e in sé. Il tentativo di
giustificarle è parte costitutiva dell’abominio.
5) Non è un pacifismo privo di nemici; un nemico sicuro ce l’ha: la Nato. Ci
sono poi tanti altri nemici di contorno - gli Usa, la UE - che appaiono spesso
all’orizzonte.
6) È un pacifismo figlio e fratello dell’antiamericanismo. Anche
l’antiamericanismo dei tempi della guerra del Vietnam risultava essere, nella
parte più torbida, una manifestazione del filosovietismo, ma il corpo centrale di
quel movimento è stata la generazione antiautoritaria del ‘68 che, pur avendo
criticato e combattuto contro ogni rigurgito razzista e colonialista degli Usa, di
certo non guardava all’Unione sovietica come modello.
7) È un pacifismo dal ragionamento strano. Il ragionamento cardine – quello
con cui miete consensi, anche se in modo sempre più pallido - emerge
nell’indicare l’alternativa alla situazione stagnante della guerra: anziché inviare
armi, l’Italia, l’Ue, gli Usa dovrebbero intensificare gli sforzi diplomatici.
L’alternativa è secca: i pacifisti di facciata non desiderano, come logica
vorrebbe, che oltre ad aiutare l’Ucraina a difendersi, si attivassero credibili
iniziative diplomatiche. La diplomazia viene ritenuta alternativa all’invio delle
armi. I pacifisti di facciata evitano di spiegare cosa succederebbe nel frattempo,
cioè in quel tempo che intercorre tra l’assenza di aiuti all’Ucraina e il successo
dell’eventuale iniziativa diplomatica. Forse pensano che, senza aiuti
all’Ucraina, la Russia si ritirerebbe entro i suoi confini? E se invece procedesse
nell’occupazione dell’Ucraina, fino a quando bisognerebbe privilegiare
l’iniziativa diplomatica? Il primo stuzzicadenti di difesa contro l’occupazione
quando si potrebbe legittimamente sollevare?
L’alternativa tra aiuti e diplomazia, a guerra iniziata, non ha alcuna ragione
seria.
Ma la domanda da porsi è più radicale. Il prodursi della guerra e la sua
continuazione derivano da un deficit d’iniziativa diplomatica?
La guerra di aggressione russa è preceduta da un intensissimo lavoro
diplomatico che ha condotto, tra l’altro, ai seguenti risultati: il Memorandum di
Budapest del 1994 – con il quale, in cambio del riconoscimento della propria
sovranità nazionale, l’Ucraina consegna alla Russia le proprie armi nucleari – e
gli accordi di Minsk del 2015 - che al punto 9 riconoscono il "ripristino del
pieno controllo da parte ucraina del confine di Stato lungo tutta la zona di
conflitto".
Ulteriori e diffuse iniziative diplomatiche sono state intraprese prima e dopo
l’inizio del conflitto. Ciò non ha scongiurato né l’annessione della Crimea del
2014 né l’aggressione all’intera Ucraina nel 2022.
Il conflitto in corso, dunque, non si deve al deficit di diplomazia, ma avviene
nonostante la diplomazia e grazie a essa. Nonostante e grazie alla diplomazia,
la Russia ha potuto attaccare l’Ucraina. Si ricorderà che fino al 24 febbraio
2022 la quasi totalità delle fonti diplomatiche negavano la possibilità di un
attacco militare russo. Si ricorderà magari che non è mancato Stato o partito
politico in Europa che fino al giorno prima dell’aggressione non palesasse una
certa simpatia e il proprio favore per la Russia di Putin. Neanche gli Usa sono
stati al riparo dalla simpatia per Putin.
La diplomazia, nel conflitto in corso, dunque, non solo non ha favorito la pace,
ma è stata utilizzata dalla Russia come arma di guerra.
Se c’è una cosa che non è mancata per scongiurare il conflitto in corso è proprio
la diplomazia. I pacifisti di facciata inalberano la questione diplomatica
dimenticando che la Russia è tra i 5 paesi membri a titolo permanente del
Consiglio di sicurezza dell’Onu e che un altro dei 5 paesi è la Cina, suo, finora,
stretto alleato. Qualora la Russia avesse voluto risolvere i problemi con la
diplomazia non ne avrebbe avuto tutte le possibilità? I pacifisti di facciata
ragionano come se la Russia fosse un Paese piccolo e indifeso costretto alla
guerra dalla fame predatoria degli USA.

Non c’è nessuna garanzia che lo sforzo diplomatico conduca alla pace o sia
garanzia di pace. La diplomazia avviene in tempi di pace e in tempi di guerra,
non dismette mai di operare. Quando la Russia ha voluto trattare, anche di
recente – commercio del grano, scambio di prigionieri – nessuno glielo ha
impedito.
Le soluzioni diplomatiche - sempre auspicabili in assenza di conflitto – nel
corso di una guerra risultano possibili solo se una o entrambe le parti desiderano
trattare o sono costrette a trattare.
8) È lo strano pacifismo di chi non vuole che gli aggrediti si difendano e gli
aggressori vengano fermati.
9) È il primo pacifismo, a memoria d’uomo, favorevole agli aggressori.
A testimoniarlo è che a un anno dalla guerra non risulta abbia convocato una
manifestazione contro Putin. Le manifestazioni di piazza di questo pacifismo si
sono concentrate contro l’invio degli aiuti all’Ucraina, si sono rivolte contro la
Nato, contro gli Usa, contro la UE, mai contro Putin.

Quale guerra dopo la guerra

La guerra contro l’Ucraina può essere una prima volta; la prima volta
dell’acquisita consapevolezza che un Paese aggressore non potrà mai vincere la
guerra.
La guerra in Ucraina può divenire un monito per qualunque altro Paese. Se
intende perseguire propositi di guerra deve sapere che la guerra che scatenerà lo
vedrà sicuramente sconfitto.
Può essere la prima volta di un altro principio militare fondamentale: la
migliore guerra è la pace. L’unica guerra possibile può e deve divenire la pace.
La pace è la piattaforma migliore sulla quale si possono connaturare – esaltarsi
o stemperarsi – tutti i conflitti. D’altronde, la storia della contemporaneità non
fa che insistere su questo principio militare; i paesi che hanno avuto maggiori
vantaggi in termini di crescita economica nel secondo dopoguerra sono stati
Germania, Giappone e Italia, paesi sconfitti nel secondo conflitto mondiale e
quindi impossibilitati a riarmarsi; la Cina va a divenire la prima potenza
economica del globo grazie alla sua astensione dall’uso della forza. La stessa
Russia di Putin stava infilando il suo nodo scorsoio sul collo dell’Europa con
l’energia a basso costo, con la corruzione di intere classi dirigenti, con l’uso
massivo della disinformazione per orientare le opinioni pubbliche di mezzo
mondo. Avrebbe potuto continuare tranquillamente la sua guerra con mezzi di
pace.
Viceversa, i paesi che hanno provato a pensare che la storia militare sia ferma
alla Guerra dei cent’anni, che la forza economica sia direttamente proporzionale
all’uso della forza, che l’egemonia e il dominio siano le armi migliori per
posizionarsi nel mondo - gli Usa, la Russia, in parte anche la Francia – ogni
volta che hanno utilizzato la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti
hanno dovuto ritirarsi con le pive nel sacco dopo aver provocato danni
inenarrabili a se stessi e a coloro che hanno tentato di assoggettare. Appena
qualcuno evoca l’uso della forza inizia l’inesorabile declino.
L’unica guerra che sopporta il pianeta è la pace.
Questo pianeta può giungere alla consapevolezza che se vincere la pace è
difficile, vincere la guerra è impossibile.
Chiunque si allinea a questo principio, nella pace che viene, avrà posizioni di
assoluto privilegio.1

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presso questo link, dove si può consultare anche la scheda editoriale]

1
Per approfondimenti, si rinvia a Lettera a Putin, pubblicata nel maggio 2022 nella lista Pianetica

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